#iltuoracconto
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Non sono mai stato uno normale…tutti seguivano Jordan e i suoi Chicago Bulls o si divertivano a guardare i talenti di Iverson e Kobe (certo, anche io adoravo tutto questo), ma due cose mi hanno fatto innamorare di questo sport che ho sempre praticato (o almeno ci provo):
un giocatore in particolare e una squadra con un gioco bellissimo da vedere, che risponde al nome di San Antonio Spurs, guidati da coach Pop (e condotti magistralmente in campo da Ducan, Parker e Ginobili).
Oggi non voglio parlare di quella squadra e del suo sistema di gioco, che porta il basket ad un livello superiore.
La mia attenzione oggi va a lui, al mio giocatore preferito. Quello che in assoluto mi ha fatto divertire più di tutti e mi ha fatto innamorare di quella palla a spicchi.
Dopo tutte queste parole vi starete chiedendo di chi sto parlando…ecco, vi parlo del mio personalissimo numero uno…per davvero…lui è…Tracy McGrady!!!
Raga per me non c’è mai stato un giocatore come lui…come disse anche una volta Kobe “Si, io sono forte, ma il giocatore più forte che io conosca 1vs1 è T-Mac!” (E se lo dice il Mamba…).
Come vi dicevo, non sono un tipo normale, a me piace vedere un giocatore al di là dei risultati sportivi (infatti T-Mac non ha mai vinto una mazza) ma guardo altro…
Ad esempio, secondo voi, a chi poteva venire in mente durante un All Star game di arrivare in palleggio, lanciare la palla tra 2 avversari facendola battere sul tabellone e riprenderla in volo per schiacciare da solo?
Oppure, per citarne un’altra delle tante, a chi sarebbe mai venuto in mente di fare 13 punti in 35 secondi, vincendo la partita di 1 punto e guarda caso contro i San Antonio Spurs, famosi oltre che per il bel gioco anche per una difesa non proprio facile e morbida?
Ora basta annoiarvi con queste parole, ma vi invito ad andare a vedere i video su youtube su di lui per capire di chi sto parlando.
Grazie per l’attenzione e preparatevi che la prossima volta vi parleró di uno dei giocatori con più talento al mondo, ma che purtroppo il cervello non lo ha mai aiutato…JaVale McGee
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...La pallacanestro è stata una, forse l'unica, costante della mia vita. Sempre lei ma in due forme assolutamente diverse tra loro.
La prima da “giocatrice”: mio nonno aveva una società di pallacanestro qui in paese, ed era uno di quei presidenti con la P maiuscola. Era quasi sempre presente, ed io con lui; dai 4 anni in poi il mio "dopo scuola" era la palestra. ed è forse più per amore suo che per ispirazione che ho iniziato a giocare con la palla a spicchi.
Ho amato tutto di questo sport: le trasferte infinite per i campionati, i primi week-end fuori per qualche torneo, i tornei internazionali, i camp estivi...e tutto con un gruppo alle spalle. “La Squadra” è un’altra parte fondamentale per me: riuscire a trovare delle persone affini con cui condividere tutte le gioie e i dolori di partite, allenamenti e ritrovi ai campetti è per me un qualcosa di indispensabile.
Non sempre semplice, perché non dimentichiamoci che stiamo parlando di gruppi femminili che, soprattutto in adolescenza, si possono rivelare più letali di una Swat addestrata ad uccidere.
Agli allenatori che sono sopravvissuti ai nostri spogliatoi, al di là del risultato cestistico, avrebbe dovuto dare la medaglia al valore.
La seconda è stata, e lo è ancora oggi "lavoro": sono riuscita a trasformare la mia passione in lavoro. tramite un vecchio amico, quasi per gioco sono tornata in palestra come istruttrice mini-minibasket...e da li è stato un crescendo tra squadre e corsi scolastici.
E sono stati i palloni taglia 5 che mi hanno nuovamente fatto innamorare del basket.
Passare ore e ore in palestra vedendo dei piccoli nani correre e imparare a coordinare braccia, gambe e palla; milioni di scarpe da allacciare, le trasferte ad allarme vomito, le ginocchia sbucciate, le lacrime (mai per un canestro non fatto ma perchè il compagno non aveva condiviso un panino o perchè l'altro non gli aveva passato la palla), le trasferte a 40km di domenica mattina con inizio gara alle 9:00, le battaglie con le borracce, una delle due scarpe persa, le felpe dimenticate sugli spalti, la divisa in polyestere stirata da mamma, gli occhiali appannati...ma allo stesso tempo tutta la loro energia, l'esultare come avessero vinto una finale NBA quando vincono un tempo su 6, i sorrisi quando li convochi, le manine che salutano mamma e papà sugli spalti durante un terzo tempo, l'enorme quantità di cibo quando c'è un compleanno, le contese paragonabili solo a un incontro professionale di lotta libera, gli abbracci quando segnano...
...ma la cosa che più di tutte è sempre stata una sfida sono le marcature! Si, proprio quelle, che nel basket ci sembrano la cosa più ovvia del mondo: il coach ti dice che marchi il "7", dai uno sguardo in giro, lo trovi e non lo molli (almeno ci provi). nel minibasket invece no, non funziona cosi: tu istruttore dici a "Paolo" che marca il 7; lui tutto contento entra in campo consapevole di dover cercare il numero 7. Lo trova. Ci chiacchera 2 minuti. Corre verso di te tutto agitato e sconvolto (in contemporanea l'istruttore della squadra avversaria vive la stessa scena con il suo 7) e arrivato ti dice: "ho parlato con il 7, HAI SBAGLIATO marcature, lui mi ha detto che marca "Giovanni, chi marco io?". E questo, a rotazione succede a tutte le partite, e generalmente mai a gioco fermo.
Ma il minibasket è un mondo fantastico, più amore dai alla palla a spicchi, più i bambini ne assorbono, più te ne torna indietro. È la mia forma preferita di questo sport...unica, infinita e incredibile.
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Quando si scrive qualcosa di cosi importante, per alcuni di noi, credo che la tecnologia non sia di supporto, note del cellulare, pc, tablet, credo che carta e penna, senza sofismi, metafore, paroloni, siano gli strumenti migliori. Credo che si debba usare l’istinto e come si dice in gergo” flusso di coscienza” tra il passato e emozioni.
Potrei dirvi che quando hai 8 anni e l’anno è il 1992, se scopri grazie a una videocassetta un tizio con una canotta rossa e il numero 23, inevitabilmente credi di volare.
Bill Russel disse “Il basket è l'unico sport che tende al cielo. Per questo è una rivoluzione per chi è abituato a guardare sempre a terra.”
Poteri dirvi che nel mio piccolo paese il basket in quei anni era lo sport principe, tutti noi ragazzetti giocavamo, dal più basso, (cioè io) al più alto, dal magro al grassoccio, dal più brillante a scuola al meno brillante.
Potrei dirvi quanto ero felice quando sotto le feste di Natale, in un negozio in via Sacchi a Torino, mio padre mi comprò le air Jordan 8.
Minchia ragazzi! adesso si che si vola.
Potrei dirvi che a scuola, durante gli intervalli passavamo il tempo a scambiarci le figurine Upper Deck (molto più fiche, essendo in cartoncino, delle figurine panini dei calciofili), a sfogliare la rivista Superbasket e conoscere le città degli Stati Uniti solo per la squadra di appartenenza.
Potrei dirvi di mio fratello Luca, maggiore di 3 anni, che con lui nel cortile dei miei genitori costruimmo il nostro campetto, tracciando le line del campo a mano libera, con una tinta indelebile sul cemento. Ma soprattutto potrei dirvi dello sguardo di mio padre geometra tornato da lavoro alla vista di quell’obbrobrio. Aspettandoci una cazziata colossale ci disse: adesso vi tenete sta schifezza tutta storta! Se aveste chiesto a me lo avrei tracciato come quello nelle palestre. In quel campetto passavo tutto il giorno, a tirare sognando di essere un grande giocatore e inevitabilmente a farmi battere da mio fratello maggiore. Ps: ad oggi non c’è storia!
Potrei dirvi della mia canotta verde con il numero 11 nella squadra di Pino Torinese, il tifo dei compagni di classe con le bottiglie d’acqua vuote piene di sassolini che battevano sopra la balaustra che divideva spalti e campo, i primi schemi di gioco che dovevo conosce meglio degli altri per il mio ruolo Playmaker, che inevitabilmente dimenticavo.
Poteri dirvi del derby Pino–Chieri, sentito da noi piccoli tanto quanto i grandi, maledetto derby! Siamo pari, sono in doppia cifra a fine del secondo quarto, andiamo negli spogliatoi, il coach ci carica e rientriamo in campo. Era usanza durante l’intervallo di metà partita, che gli amici sugli spalti entrassero in campo per tirare, in quel frangente dopo due ottimi tempi mi scontrai contro un mio compagno di classe… Clavicola rotta! (fanculo Vincenzo). Non immaginate, o forse si, la frustrazione di non finire quella partita ed il campionato.
Poteri dirvi che dopo quel episodio a 14 anni il mio mondo del basket cambiò e si evolse in: campetto, campetto e campetto. Chieri San Silvesto.
Al campetto ho conosciuto una socialità che non ho mai riscontrato in nessun frangente. Anche qua dal più basso, (oggi non sono sempre il più basso) al più alto, dal magro al grassoccio, dal più brillante a lavoro al meno brillante, dal ricco al meno ricco, dal chiaro allo scuro. Ricordate la storia della Livella di Totò, andate a leggerla e associatela al basket nei Playgroud.
Potrei dirvi che a 16 anni ero al secondo appuntamento con una ragazza che mi interessava molto, domenica pomeriggio, andiamo nel parco dove c’è anche il campo da basket, da me frequentato abitualmente. Ci sediamo su una panchina e tra varie effusioni arrivano i miei amici, vestiti in tenuta da basket, io in jeans e scarpe non adatte. Lei capisce che la mia priorità e fare un tiro, mi alzo e mi metto a tirare, faccio due tiri, nella mia testa da adolescente scemo “cosi vede come sono figo” dopo due tiri ne faccio tre, poi una partita, poi un'altra. Dopo due ore di gioco tutto tronfio vado da Sara per trovare approvazione mi guarda e mi dice: “Ti sei divertito?” Non si è mai più fatta sentire!
Il primo amore non si scorda mai… il pallone a spicchi.
Potrei dirvi che la mia continuità con il gioco non è stata costante, ma l’amore non è mai sceso, che tra tornei e vari campetti in città diverse ho avuto la mia involuzione ma è la Mia quindi va bene.
Potrei dirvi che per motivi di lavoro ho conosciuto un membro fondatore di WGG, parlando mi invitata a giocare il giovedì sera in uno spazio riservato in palestra. Conoscendo tutto lo staff ne entro a far parte, la mia passione per la pallacanestro si rinvigorisce. Tornei, progetti, divertimento, amicizia, insomma Basket a 360 gradi.
Oggi Vi dico che a 36 anni quando compro delle Jordan trono bambino e quando le indosso volo come allora, che la Livella è importante, che quando guardo le figurine ripenso ai compagni delle elementari, che il campetto a casa dei miei genitori non c’è più, ma prima poi con mio fratello e mio padre lo rifaremo con tutti i crismi, che la mia canotta 11 è ancora nel mio armadio, che quando gioco a volte la spalla della clavicola rotta mi fa male, che in estate di domenica sono spesso al campo di San Silvesto e che il progetto WGG è in costante evoluzione.
Vi dico che quando gioco a basket il tempo si dilata e la mente si svuota.
Vi dico, che per me, l’amore per il basket non morirà mai.
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Paragonando la pallacanestro ad una persona, per me si tratta di un amore adolescenziale intenso, nato appunto intorno ai 14 anni, ma praticamente mai corrisposto, proprio per questo motivo forse non l'ho mai inseguito con la giusta convinzione, ne come giocatore, ne come narratore e ne come organizzatore.
L'orgoglio che non ti permette di spenderti fino in fondo per chi non ti apprezza o puro istinto di sopravvivenza nel non consumare troppe energie in attività comunque non essenziali? Probabilmente entrambe le cose, con prevalenza della prima, tuttavia non ci siamo mai allontanati definitivamente, magari delle pause anche lunghe, ma oggi sono qui, alla soglia dei 50 anni, a passare ogni mia giornata in cui questa passione tossica, almeno per qualche minuto torna a tormentarmi, sarà masochismo?
C'è da dire che fortunatamente questa "bastarda" non ha mai nuociuto alla mia salute, si, qualche lieve infortunio, qualche ora di troppo rubata agli affetti, al sonno e anche al lavoro, ma tutto sommato mi ha reso resistente alla fatica mentale e fisica, e soprattutto regalato gioie e ricordi indelebili, decisamente sporadici, episodi di goduria che durano magari 5 minuti o qualche ora, ma che in realtà sono puro ossigeno, e danno piu senso alla mia vita, quindi aspetto il prossimo, speriamo a breve.
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Son seduto davanti al mio foglio virtuale da più o meno un’ora, riassumere in una lettera cosa sia stata, e cosa sia tutt’ora, la pallacanestro per me, mi fa tornare alla mente il vuoto cosmico che avevo in testa durante la terza prova all’esame di maturitá, preparato dal sottoscritto da manuale (spoiler pesante della mia vita in arrivo), con pomeriggi passati in palestra ad allenarmi o al campetto a tirare, per sfide di 1vs1 ai 100 e tirare ancora, al posto di provare a passare anche solo una mezz’ora buona coi libri in mano. Pensiero che non rientra (tra l’altro) propriamente nella top 5 dei ricordi migliori che ho a parte, l’unica spiegazione che mi do per questa difficoltá nel buttare giù due righe sulla palla a spicchi è che penso abbia rappresentato praticamente qualsiasi cosa per me.Scontato dirlo, un po’ meno scriverlo.
Da bambino è stata la prima cotta, esatto, quella che ti faceva venire le farfalle nello stomaco, che vi emozionava, che vi lasciava senza fiato con uno sguardo, era gioia pura insomma...mi piaceva, io forse a lei un po’ meno, perdevamo praticamente sempre, chi mi conosce un po’ sa che (oggi come ieri) ho qualche problema a metabolizzare una sconfitta, ma ci davo dentro sempre, la corteggiavo a modo mio senza un domani, allenamento dopo allenamento, finchè finalmente non si è decisa, dopo non mi ricordo quante sconfitte arriva il momento che sogni da giorni, la tua prima vittoria, ce l’hai fatta, ero riuscito a prenderle la mano!
Da li in poi, ad oggi, è stata una corsa durata praticamente 26 anni.
Da adolescente ha assunto più forme di quante potessi immaginare. Siamo passati da prima cotta, a convivenza totale (e spesso quasi letale) nel giro di pochi anni. Da convivenza è diventata una vera e propria scuola di vita, con tanto di insegnamenti pratici, che tu fossi pronto o meno. È stata delusione, poi gioia infinita, di nuovo delusione e così via, una montagna russa, un sali-scendi di emozioni clamoroso durato quasi 10 anni. È stata odio per diverso tempo, perchè ad un tratto ho odiato la palla a spicchi. Non capivo al tempo perchè non ricambiasse tutte le attenzioni che le davo io, sembrava respingermi, tenermi lontano. Fortuna mia, in quel periodo, entro per caso nel mondo dello streetball, del 3vs3, della musica rap mentre si gioca, insomma...avevo appena conosciuto quell’amico che fa solo cose fighe, che ti crea situazioni interessanti, che ti lascia libero di esprimere te stesso senza giudicarti. Posso dire senza problemi che senza il basket estivo al campetto, tra un torneo e l’altro, probabilmente la mia vita cestistica avrebbe avuto vita molto breve.
Nel giro di un’estate di punto in bianco la pallacanestro subisce l’ennesima mutazione, da montagna russa, da odio, da amico, da amante, all’improvviso diventa una compagna di viaggio clamorosa. E non mi lascia mai, mi accompagna per mezza Italia, ci rincorriamo stagione dopo stagione, annata dopo annata.
Nel frattempo passano 10 anni, che mentre scrivo sembrano molti meno per la velocitá con cui sono trascorsi. In tutto questo crescendo e maturando (ma non troppo) col tempo ho poi potuto comprenderne e conoscerne meglio altre mille sfaccettature. È stata stata una famiglia, che mi ha accolto in ogni momento, mi ha dato un posto dove stare, mi ha dato altri fratelli che diversamente non avrei mai avuto , è stata un strada da seguire che mi ha permesso di fare tra le 7 e le 8 miliardi di esperienze, negative e positive, mi ha fatto conoscere persone, stringere legami che tutt’ora sono fortissimi e vivi con persone di qualsiasi zona dell’Italia e non.
Ha avuto la pazienza di farmi da vice mamma e vice papá, che per quanto insostituibili potranno mai essere, spesso e volentieri a 1000km di distanza, facevano fatica a gestirmi.
Ragazzi, è stata una tour operator clamorosa, mi ha fatto conoscere posti che mi porto nel cuore ancora oggi per la bellezza pazzesca e mi ha imposto di approfondire la conoscenza con luoghi che a prima occhiata non mi sarebbero andati a genio, facendomene scoprire invece tutti i lati positivi.
Mi ha permesso, da buona agenzia matrimoniale, di rendermi conto che il basket che corteggiavo io non fosse l’unico, ma ne esistevano altri mille in giro, che soprattutto sembravano tollerarmi vagamente meglio rispetto a quello!
È stata un’università clamorosa. Ha professato pazienza, ha spiegato i rapporti umani, ha tenuto lezioni su cosa non fare mai in uno spogliatoio (ci vorrebbe una lettera a parte), corsi di gestione delle emozioni, ai quali spesso ero però assente, lo ammetto, e dottorati sul non arrendersi di fronte a imprevisti e problemi perchè c’è sempre qualcosa di positivo, dopo.
È stato dolore, molto, un ginocchio, una serie incalcolabile di infortuni, punti, lesioni ecc...ma che si è trasformava in gioia, infinita, ogni volta che dopo ogni stop rimettevo il culo al suo posto, sul parquet.
Sei stata insegnamento, quello giusto, quello sano, hai indotto in me principi come il rispetto, la condivisione, la trasparenza, la fiducia e l’onestà
È stata un turbinio di esperienze, una montagna russa emozionale, una corsa su una Ferrari lanciata ai 300km orari su un rettilineo costituito dalle tappe della mia vita...
Inoltre la cosa assurda è che non so bene cosa potrebbe diventare in un futuro prossimo, tra qualche anno, ma mi incuriosisce da matti pensarci, fermarmi anche solo qualche secondo ogni tanto e chiedermi in cosa potrebbe ancora evolvere il nostro rapporto così lungo e così mutaforma giá fin’ora.
Ma ritorniamo alla domanda iniziale, che si è divagato un po’ troppo mi sa...
Cara palla a spicchi, cosa sei quindi per me ora?
Sono convinto che tu, per me, sia tutto quell’insieme di emozioni, insegnamenti ed esperienze che buttate nell’enorme calderone che porta il mio nome, mi abbiano portato ad essere la persona che sono ora, componendo la parte migliore di me.
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