#il gatto rosso rompicoglioni
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yomersapiens · 1 year ago
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1 anno insieme al ladro di formaggio, squartatore di piante, graffiatore di piedi, morsicatore di zaini, degustatore di scarpe, saltatore in faccia, abolitore del sonno, urlatore della notte, cacatore del mattino, corridore del buio pesto, selettore geloso di chi merita di dormire nel letto vicino a noi, dannatissimo gatto rosso se eri brutto col cacchio che ti facevo cambiare la mia vita te ne stavi in mezzo alla strada e invece no, sei bello e sai di esserlo e allora mi freghi, che poi tutti i gatti sono belli quindi era fin troppo facile.
Una volta in una mia canzone avevo detto che il massimo della mia aspirazione è qualcuno al mio fianco mentre finisco Zelda e pensavo fosse dedicato a una ragazza e invece alla fine era scritto per Ernesto che si mette sempre sul divano insieme a me e mi guarda giocare e tra un po’ impara anche le bestemmie che tiro quando perdo.
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intotheclash · 4 years ago
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Al campo decidemmo per una sfida tre contro tre ed un solo portiere contro tutti, praticamente. Bomba in porta, perché non aveva voglia di correre e perché era il più scarso. Mi avevano raccontato che pure in Brasile facevano in quel modo. Per questo la loro nazionale era la più forte al mondo, ma avevano delle mezze seghe di portieri. Fu la volta della conta per fare le squadre. A me toccarono il Tasso e Tonino, contro Pietro, il forestiero, Sergetto e Schizzo. Era andata meglio di quanto sperassi, avrei avuto la mia rivincita, me lo sentivo. Ma mi sbagliavo. Neanche dieci minuti dopo eravamo sotto di tre goal. Quel diavolo del mio omonimo era una furia scatenata. Correva, dribblava, saltava e calciava come un giocatore di serie A. Iniziai, mio malgrado, a capire che ci avrebbe fatto il culo anche da solo. E il peggio doveva venire. Viene sempre, come recitava un vecchio detto e, come tutti i vecchi detti, ogni tanto ci prendeva. Infatti, mentre mi apprestavo a battere una punizione faticosamente guadagnata, dove, vista la scarsezza di Schizzo in porta, avrei sicuramente segnato, notai tre personaggi fare il loro ingresso in campo. Dalla parte opposta a dove stavamo noi. Anche Bomba se ne accorse e disse sottovoce: "Guardate un po' chi sta arrivando?" Si voltarono anche gli altri, contemporaneamente. Fu Pietro a parlare: "Allora? Che ci frega, hanno il loro spazio. Chi sono?"
"Dei bastardi rompicoglioni! Te lo avevamo detto di venire prima, accidenti a te!" La voce del Tasso era impastata di rabbia. Ma si trattava di una rabbia figlia della paura e dell'impotenza. Come l'abbaiare di quei minuscoli cagnolini che incontrano  un cane vero, uno grosso, un pastore maremmano, o un pastore tedesco. Soprattutto se tenuti al guinzaglio, ringhiano e fanno finta di mordere a più non posso. In realtà vorrebbero soltanto essere a mille chilometri di distanza e scomparire.
"Non vedo il problema. Hanno tre quarti di campo tutto per loro, perché dovrebbero darci fastidio?"
"Perché è così che funziona. Da sempre. Perché ci godono a prendersela con i più piccoli, perché sono dei figli di puttana rotti in culo e per tanti altri motivi che non abbiamo mai capito." Dissi, tutto d'un fiato.
"Forse oggi non ne hanno voglia. Forse ci lasceranno in pace. Chissà." Sentenziò Pietro. Era tranquillo. Non sembrava minimamente preoccupato.
"Se credi a questo, allora credi pure a Babbo Natale." Disse Sergetto con la voce tremante. Lui si che aveva paura. E anch'io. Tra tanti che potevano capitarci, ci erano toccati i peggiori. Franco, detto ringhio, immaginate perché, sedici anno, ancora in terza media. Un capoccione della Madonna, di nome e di fatto, corto e tozzo come un cinghiale. Ginetto, detto Peloroscio, per via del colore dei capelli, anche lui ancora in terza media, un altro genio. Alto e secco come un frustino di nocciolo selvatico, cattivo come il fiele. Il padre era peggio di lui e era stato pure in galera. Per ultimo Alberto Maria, il figlio dell'avvocato Terenzi. Bastardo lui e bastardo il padre. I più grandi lo chiamavano solo Maria, per prenderlo per il culo, ma noi ci guardavamo bene dal farlo. Non ci azzardavamo neanche a riderci su. Anche lui sedici anni, secondo Liceo Classico, chissà perché se la faceva con quei due minorati. Forse perché, in fondo, erano fatti della stessa pasta. Non l'avremmo passata liscia.
I tre ci si avvicinarono con calma, come il gatto che, dopo averlo ridotto male, sa che il suo topo non può più andare da nessuna parte. Peloroscio improvvisamente si staccò dagli altri, mi diede uno spintone che quasi mi mandò con il culo per terra e si prese il mio pallone di cuoio. "Andatevene a casa, mocciosi, adesso tocca a noi giocare." Disse con aria truce.
"Su bambini, fuori dalle palle!" Aggiunse Alberto Maria sghignazzando.
Non era la prima volta che subivamo tali umiliazioni, avevamo tutta la vita davanti, sicuramente non sarebbe stata neanche l'ultima. Ci avevamo fatto il callo. Eravamo rassegnati e stavamo per allontanarci, ma gli eventi successivi presero una piega totalmente diversa e inaspettata. Non dimenticherò mai quello che vidi, dovessi campare cent'anni. Imparai che non c'è niente di definitivo. Che le cose si possono cambiare. Che niente è così com'è, ma è solo come tu lasci che sia.
"Ridagli la palla." Disse Pietro con una voce fredda e dura come la roccia. Guardava Peloroscio dritto nelle palle degli occhi, gettando noialtri nello sconforto. Ci stava mettendo nei casini. Ora le avremmo buscate sul serio. Ma che cazzo voleva dimostrare? Ci avrebbero pestati come l'uva. Peloroscio rimase un attimo interdetto. non se lo aspettava. Non era mai successo che qualcuno si ribellasse così apertamente. Anche perché erano soliti scegliere le proprie vittime tra i più piccoli. Guardò con disprezzo il nuovo arrivato e rispose: "E tu chi cazzo sei? Non ti ho mai visto prima, stronzetto." Era sicuro che, da lì a non molto, lo avrebbe gonfiato come una zampogna.
Pietro non rispose alla domanda, si limitò a ripetere, con lo stesso tono di prima: "Ridagli la palla. Non è roba tua."
"Perché non ci vieni tu a prenderla?"
E quel matto lo fece davvero. Si avvicinò a Peloroscio, senza affanni e senza scomporsi. Era pronto alla guerra. Faceva... Faceva paura! Ecco cosa faceva. Non appena gli fu tanto vicino da poterlo quasi toccare, l'altro lanciò la palla verso Ringhio, rivolgendogli un sorriso di compassione e di scherno. Pietro, senza degnarlo di uno sguardo, si voltò e si avvio verso quest'ultimo, che, a sua volta, lanciò la palla ad Alberto Maria. Costui attese l'arrivo del nostro amico, poi, sempre con quell'aria da strafottente appiccicata sul muso, rilanciò verso Peloroscio. "Su, coglione, mettici un po' di grinta! Corri, altrimenti non ci divertiamo!" E giù, tutti e tre, a ridere sguaiatamente.
Era un balletto quasi macabro. Stava soltanto prolungando la nostra agonia. Presto si sarebbero stancati di quello stupido giochetto e, purtroppo per noi, avrebbero realizzato che si sarebbero divertiti molto di più a suonarcele. Sperai con tutte le mie forze, anche se al contempo, provai anche un po' di vergogna, che se la prendessero solo col nuovo arrivato, in fondo era colpa sua se si erano incazzati.  Noi avevamo imparato le regole da tempo, non ci saremmo mai sognati di infrangerle. Vero anche che Pietro era nostro amico, ma, come si dice, meglio a lui che a noi. Che a me, soprattutto. Aveva voluto la bicicletta e ora gli toccava pedalare. Volente o nolente.
Pietro era tornato da Peloroscio, sempre con la stessa flemma, sempre misurando i passi, ma stavolta, quando quest'ultimo lanciò il pallone, fece un balzo improvviso e fenomenale, come un gatto a caccia di rondini. Bloccò al volo il mio adorato pallone di cuoio e, non appena i suoi piedi ritoccarono terra, sferrò un calcio nei coglioni di Peloroscio che quasi glieli fece uscire dagli occhi. Quello spilungone testa di cazzo, con la faccia tutta storta dal dolore, fece per urlare, ma dalla sua boccaccia spalancata a dismisura non uscì il minimo suono. Cadde a terra come un sacco di patate, o, meglio, come quel sacco di merda che era, tenendosi in mezzo alle gambe con tutte e due le mani. Iniziò subito a diventare viola. Ero sicuro che sarebbe morto. Lo aveva ammazzato! Sarebbe finito in galera. Tutti noi saremmo finiti in galera, eravamo suoi amici. Si sa come vanno a finire certe cose. Ci avrebbero chiuso in gattabuia e avrebbero buttato la chiave. Ma per quale motivo non si era fatto i cazzi suoi?
Il Maremmano, come lo chiamava il Tasso, neanche una piega. Si girò verso di me e mi lanciò la palla, "Riprendila. E' sempre tua." Disse. Aveva uno sguardo che te la faceva fare nei pantaloni. Alberto Maria, riavutosi dallo stupore, caricò a testa bassa, come un toro quando vede rosso, "Guarda cosa gli hai fatto, brutto figlio di puttana! Adesso ti ammazzo!" Gridava. E, forse, lo avrebbe ammazzato davvero. Se solo fosse riuscito a colpirlo, magari anche una sola volta. Menava colpi all'impazzata, con le mani e con i piedi, ma non c'era verso di centrare il bersaglio. La cosa più strana era che, mentre Alberto Maria sparava alla cieca pugni e calci alla massima velocità, Pietro si muoveva al rallentatore, un rallentatore a scatti, schivava i colpi quasi scivolando nell'aria e diceva. "Non sono qui, neanche lì e neppure qui." Se me lo avessero raccontato non ci avrei mai creduto. Sembrava che gli occhi non mi funzionassero bene. Ricordo che, quella sera stessa, in paese, dopo che lui se ne era tornato a casa, discutemmo dell'accaduto con gli altri. Volevo capire. Volevo avere la loro versione. Che cavolo! Anche se si trattava dei miei stessi occhi, era difficile dar loro ragione. Niente da fare. Stesso, identico film per tutti. Stessa trama e stesse scene in quell'incredibile rallentatore. C'era da diventare matti!
La strana danza improvvisamente cambiò direzione. Alberto Maria, a corto di fiato, sparava colpi sempre più radi e più lenti e sbuffava come un tubercoloso. Mentre si apprestava a far partire l'ennesima larga sventola di destro, il braccio di Pietro si animò e scattò come una molla, fu l'unico movimento veloce che fece. Talmente veloce che neanche lo vedemmo. Gli effetti però li vedemmo bene. E chi se li scorda più! Il naso del suo nemico esplose come un petardo, schizzando sangue dappertutto. Una fontana. Ma non fu tanto il sangue ad impressionarmi, quanto il rumore che fece. Un rumore simile a quando calpesti un ramo secco e quello si spezza a metà. Una frustata di rumore. Un rumore che mi spaventò a morte e mi fece venir voglia di vomitare. Il povero Maria (ora potevo anche chiamarlo così, le aveva buscate di brutto da un mio amico, di sicuro non ci avrebbe più rotto i coglioni) si rotolava per terra, cercando di tamponare alla meglio il naso rotto e urlava e piangeva come una femminuccia. Pietro lo fissò gelido, come una statua di ghiaccio, si voltò verso Ringhio, che stava tremando come una foglia e si era pure pisciato addosso dalla fifa, e disse: " Vuoi anche tu la tua parte?" Ringhio era stupido, vero, ma non fino a quel punto. Continuò a guardarsi la punta delle sue lerce scarpe da tennis come se ci fosse nascosto chissà quale segreto e sussurrò un no appena percettibile. Era impietrito, in tutti i sensi, dalla paura.
Solo a quel punto, Pietro si rivolse a noi, ai suoi amici, quelli che non avevano mosso un dito per aiutarlo. Vero è che non ce n'era stato bisogno. Caso mai gli altri avrebbero avuto bisogno di aiuto.
"Mi è passata la voglia di giocare. Ce ne andiamo?"
"Si, andiamo. Anche a me è passata" Risposi.
Gettammo un’ultima occhiata verso i nemici sconfitti, ma che dico sconfitti, annientati! Per fortuna Peloroscio si stava riprendendo. tossiva e sputava di continuo, ma era in grado di stare seduto. Non sarebbe più morto. Ma di questo non è che me ne fregasse granché, la buona notizia era che non saremmo finiti in galera. Uscimmo dal campo sportivo, inforcammo le nostre biciclette e via, sulla strada del ritorno. Lungo il percorso, Tonino si avvicinò a Pietro e dopo averlo osservato da vicino per un po' disse: "Ma chi sei veramente? Nembo Kid?"
Lui lo guardò, ma non rispose. Non solo gli era passata la voglia di giocare, ma anche quella di parlare.
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