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#il caso venere privata
giallofever2 · 5 years
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In 🇮🇹 & 🇬🇧
Happy Birthday/ Buon Compleanno
Agostina Belli
(born Agostina Maria Magnoni 13 April 1949) is an Italian film actress. She has appeared in more than 50 films since 1968.
... Belli made her debut in 1968 with a minor part in Bandits à Milan then appeared in supporting roles in several musicarelli, giallo films and horror of Spanish-Italian co-production.
She had her first role of weight in Lina Wertmüller's The Seduction of Mimi, then she was chosen by Dino Risi as the beautiful Sara in Scent of a Woman (1975 film) , for which she won a Grolla d'oro and the ingenuous Marcella of The Career of a Chambermaid, for which she received a special Premi David di Donatello
In the 1970s, Belli enjoyed a period of strong popularity performing in small productions and comedies of somewhat dubious value, but of great commercial success, from the 1980s onwards she reduced the quantity of her appearances.
She was married to actor Fred Robsahm
🇮🇹 Agostina Belli, pseudonimo di Agostina Maria Magnoni (Milano, 13 aprile 1949)
Il primo film Banditi a Milano (1968) di Carlo Lizzani
Stabilitasi definitivamente nella capitale, partecipa a una serie di commedie, musicarelli e thriller tra cui Giornata nera per l'ariete con Franco Nero e Barbablù (film 1972) con Richard Burton, divenendo una sex symbol degli anni settanta.
Agostina riesce a farsi notare per il ruolo della moglie di Giancarlo Giannini in Mimì metallurgico ferito nell'onore di Lina Wertmüller, anche se sono L' Ultima Neve di Primavera di Raimondo Del Balzo e Sepolta viva di Aldo Lado ad imporla al grande pubblico e farle conoscere il futuro compagno, l'attore norvegese Fred Robsahm, cognato di Ugo Tognazzi.
Nel 1974 è Sara in Profumo di donna di Dino Risi, il ruolo della sua vita, anche se ammetterà che il rapporto con Vittorio Gassman non fu facile.
Ormai famosa viene chiamata per affrontare ruoli più impegnativi, ma non vuole slegarsi dal cinema prettamente commerciale. Nel frattempo, infatti, continua ad essere fra le protagoniste della commedia erotica all'italiana, talora ambiziosa come ne Il piatto piange di Paolo Nuzzi, tratto da Piero Chiara, per il quale vince un Globo d'Oro, altre volte trascurabile come Due cuori e una cappella con Renato Pozzetto e Virilità di Paolo Cavara.
Risi la vuole ancora per Telefoni bianchi grande successo in Francia, dove la Belli viene subito chiamata per affiancare Philippe Noiret in Giochi di fuoco. In questo periodo posa nuda per l'edizione italiana di Playboy.
Sul finire degli anni settanta, Agostina Belli è un'attrice perfetta per le coproduzioni internazionali come Holocaust 2000 con Kirk Douglas, Il Genio con Yves Montand, Doppio delitto con Marcello Mastroianni e Peter Ustinov, Un taxi color malva con Fred Astaire, Charlotte Rampling (altra celebre icona sexy) e ancora Ustinov e nel 1978, Enfantasme di Sergio Gobbi un inquietante dramma che segna il suo abbandono dalla scene per alcuni anni.
Torna sul set negli anni ottanta in Vai avanti tu che mi vien da ridere con Lino Banfi.
Nel 1996 decide di ritirarsi dalle scene. Nel 2006, dopo un lungo silenzio, interrotto solo da qualche fiction televisiva, la Belli torna sulle scene con il film Uno su due di Eugenio Cappuccio, con Fabio Volo.
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lapolani · 5 years
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L’Eneide letta e commentata da Lapo Lani: Libro II
Museo Casa Rurale di Carcente
Comune di San Siro (CO)
Sabato 24 agosto, ore 17:00
(In caso di maltempo, la lettura verrà rinviata a sabato 7 settembre, ore 17:00)
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«Sono il pio Enea, e porto con me sulle navi i Penati sottratti al nemico, io famoso di là dalle stelle. Cerco l’Italia: la patria che il sommo Giove ci designa per sempre». (Eneide, Libro I, versi 378-380). Così si presenta il troiano Enea alla dèa Venere travestita da cacciatrice, sua madre, sulla costa della Libia (l’attuale Tunisia), terra in cui è naufragato cercando di raggiungere le terre italiche, promesse dal fato, dopo aver lasciato la propria città, sconfitta e assediata.
Ma cosa intende Enea con l’aggettivo pio? A quale particolare stato affettivo si riferisce Virgilio con la parola “pietas”? E se fosse invocata una virtù, quella necessaria a sopportare il coraggio di salvare la propria stirpe nonostante le avversità di qualche divinità e una cattiva china della sorte? Sarebbe una virtù diversa rispetto all’impeto iracondo del greco Achille, all’audacia di affrontare la morte in giovane età combattendo una guerra atroce. Se la vocazione alla pietas fosse proprio il vigore e il senso del sacrificio necessari a resistere e a rassegnarsi a un futuro impenetrabile e a un passato incompreso, cioè alla misteriosa forza del destino, e insieme il rispetto e il compianto per il dolore di cui è imbevuta la breve vita di ogni essere umano? Se la virtù del nuovo eroe fosse quell'abnegazione al fato che gli impedisce di deflettere dalla propria sorte di peregrino errante, facendolo piangere sulle sofferenze e sugli orrori che è costretto a infliggere e a subire? Se l’attitudine a essere pio fosse la virtù necessaria per decifrare le condizioni poste dagli dèì e dalla sorte, per essere quindi acquiescente alle imperfezioni, alle discontinuità, alle cadute e alle disillusioni dello stare al mondo?
Sì, la pietas latina è tutto questo, ma Virgilio va molto oltre. La virtù come appena descritta (chiamata dai greci “Eusébeia”) è anche quella narrata da Omero attraverso l’eroe Odisseo (Ulisse per i latini), il re di Itaca, il cui destino gli impone di salvare la propria dinastia; la stessa virtù esprime anche la condizione interiore di Odisseo, colui che vuole tornare nella sua isola per morire nella terra degli avi in una serena vecchiezza, al riparo dai mali, dopo aver riabbracciato il padre Laerte e salvato il proprio regno, consegnandolo al figlio Telemaco.
Virgilio non racconta la virtù di un re figlio di due umani, come è Odisseo, che subisce gli orrori di una guerra furente e le fatiche di un ritorno in patria durato dieci anni, il cui epilogo lo vedrà riabbracciare la sua sposa. Virgilio delinea il profilo di un eroe, figlio della dèa Venere (Afrodite per i greci), che fino ad allora non si era mai conosciuto: Enea non è un re, è un eroe senza regno, un eroe che ha perso tutto ciò che aveva: la casa, la sposa, la città dei propri progenitori, la terra dei padri. Enea è un profugo la cui patria è stata sconfitta, il cui popolo è stato ucciso, umiliato, deportato, reso schiavo.
Pio (in latino “pius”) designa un’inclinazione del tutto personale e interiore che costringe Enea a essere radicalmente fedele ai doveri verso gli dèi; che lo fa piangere sul dolore che è costretto a imporre, sugli orrori a cui è costretto ad assistere, mentre gli impedisce di desistere dal proprio destino di pastore di popoli e fondatore di città. Achille e Odisseo non sono profughi, non sono stati segnati dal destino per fondare città. La pietas (in latino “piĕtas -atis”, derivazione di “pius” ossia pio, pietoso) è, secondo il concetto latino virgiliano, quella particolare disposizione individuale a provare l’affetto e la devozione verso gli spiriti tutelari della famiglia e della patria, e a operare per ciò che è sacro, rinunciando integralmente a se stesso e al proprio volere.
La pietas è uno stato affettivo soggettivo, radicalmente diverso dal sentimento cristiano di condiviso dolore, di profonda e commossa partecipazione e di solidarietà che si prova nei confronti di altri, di chi soffre, ovvero la compassione, la misericordia, la condizione emotiva di benevolenza verso chi è infelice, verso la sua afflizione, la sua disgrazia, la sua pena. L’Eneide racconta la Passione di Enea, ossia quella condizione che si contrappone a un’azione, e indica lo stato di passività da parte del soggetto, il quale si trova sottoposto a potentissime forze esterne, il fato e gli dèi, e ne subisce l’effetto nel corpo, nella mente, nello spirito. Il termine “passione” deriva dal verbo latino “pati”, che significa sopportare, subire, patire. La passione è uno stato sentimentale intimo e inconsolabile.                                                                                                    
L’eroe che rimane dalla favola dell’Eneide è il pio Enea, Enea il laudato (dal nome greco “Aineías”), il sofferente Enea, colui che si sacrifica senza timore né residui alla tragedia che il proprio destino gli ha assegnato.
A volte sembra che l’eroe Enea – e qui si sedimenta l’originale profondità dell’epica virgiliana – nasconda e protegga l’incongruenza, la consapevolezza infelice e tragica del mondo in divenire, l’impotenza di tenere insieme i brandelli del mondo diviso, il tremore di fronte alle possibilità inibite e rinunciate, le speranze non realizzate, le promesse non mantenute, il dolore subìto. Enea non conosce l’ira e il furore di Achille, e neppure l’odio e l’astuzia dello stare al mondo di Odisseo. Enea si consuma nella malinconia e nell’infelice solitudine del sacrificio.
Nell'interminabile spirale tragica che è l’Eneide, la speranza è data a Enea solo per favorire i disperati, gli sconfitti, i vinti, gli umiliati, i profughi, gli esiliati: è a loro che la tragedia consegnerà una nuova patria e una nuova stirpe. E solo allora, attraverso la contaminazione con i popoli italici, i troiani potranno purificarsi e sopravvivere. Così nasceranno nuove genti, le nobili genti che daranno alla luce Roma.
Ogni patria, che si voglia o no, è una patria perduta e una patria sperata, ma soprattutto è una patria anche di altri.
Lapo Lani Luglio 2019 
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“Creùsa e Enea”: acrilico su carta bianca, successivamente elaborato con processi digitali. Dimensioni: cm 32x24. Anno: giugno 2019. Collezione privata.
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gardanotizie · 5 years
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Per quattro mesi, le sale di Palazzo Martinengo a Brescia, si popolano di dame eleganti, madri affettuose, eroine mitologiche, seducenti modelle e instancabili popolane.
Dal 18 gennaio al 7 giugno 2020, la storica residenza nel cuore della città, ospita la mostra DONNE NELL’ARTE. Da Tiziano a Boldini, che documenta quanto l’universo femminile abbia giocato un ruolo determinante nella storia dell’arte italiana, lungo un periodo di quattro secoli, dagli albori del Rinascimento al Barocco, fino alla Belle Époque.
L’esposizione, curata da Davide Dotti, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, col patrocinio della Provincia di Brescia, del Comune di Brescia, Fondazione Provincia di Brescia Eventi e MOICA – Movimento Italiano Casalinghe, in partnership con Fondazione Marcegaglia onlus, presenta oltre 90 capolavori di artisti quali Tiziano, Guercino, Pitocchetto, Appiani, Hayez, Corcos, Zandomeneghi e Boldini che, con le loro opere, hanno saputo rappresentare la personalità, la raffinatezza, il carattere, la sensualità e le più sottili sfumature dell’emisfero femminile, ponendo particolare attenzione alla moda, alle acconciature e agli accessori tipici di ogni epoca e contesto geografico.
Grazie alla collaborazione con la Fondazione Marcegaglia Onlus, è possibile approfondire tramite appositi pannelli di sala alcune tematiche di grande attualità sociale e mediatica quali le disparità tra uomini e donne, il lavoro femminile, le violenze domestiche, l’emarginazione sociale e le nuove povertà. Le opere d’arte diverranno quindi formidabili veicoli per sensibilizzare il pubblico – soprattutto quello più giovane – verso argomenti di grande importanza socio-culturale.
Il percorso espositivo, suddiviso in otto sezioni tematiche – Sante ed eroine bibliche; Mitologia in rosa; Ritratti di donne; Natura morta al femminile; Maternità; Lavoro; Vita quotidiana; Nudo e sensualità – documenta il rapporto tra l’arte e il mondo femminile per evidenziare quanto la donna sia da sempre il centro dell’universo artistico.
“Dopo il successo registrato quest’anno con Gli animali nell’Arte – afferma il curatore Davide Dotti – ho deciso di proseguire il percorso di indagine su argomenti di grande attualità sociale e mediatica scegliendo per il 2020 il tema così affascinante e coinvolgente della donna che gli artisti, soprattutto tra XVI e XIX secolo, hanno indagato da ogni prospettiva iconografica, eternando le “divine creature” in capolavori che tutt’oggi seducono fatalmente il nostro sguardo. Per il visitatore è l’occasione di compiere un emozionante viaggio ricco di sorprese, impreziosito da dipinti inediti scoperti di recente in prestigiose collezioni private, opere mai esposte prima d’ora, e incontri ravvicinati con celebri donne del passato, tra cui la bresciana Francesca (Fanny) Lechi, ritratta nel 1803 dal grande Andrea Appiani in una straordinaria tela che dopo oltre venticinque anni dall’ultima apparizione torna visibile al pubblico”.
Tra i capolavori della mostra, si segnala la Maddalena penitente, un olio su tela di Tiziano, firmato per esteso, proveniente da una collezione privata tedesca, esposto per la prima volta in Italia. A proposito di questo dipinto, Peter Humfrey, una delle massime autorità a livello internazionale di Tiziano e autore del catalogo ragionato delle opere del maestro cadorino, ha scritto che “si tratta di una variante di alta qualità di una delle composizioni più avidamente ricercate di Tiziano. Le altre redazioni autografe sono state dipinte non solo per i suoi più importanti committenti – come il re Filippo II di Spagna – ma anche per altri illustri personaggi del suo tempo, quali Antoine Perrenot de Granvelle – consigliere dell’imperatore Carlo V d’Asburgo nonché viceré del regno di Napoli – e il potente cardinale Alessandro Farnese. Le vigorose pennellate frante e il denso impasto cromatico, suggeriscono una datazione al 1558-1563 circa, in prossimità della realizzazione della versione della Maddalena penitente dipinta per Filippo II nel 1561”.
A questa, si aggiunge Coppia di amanti in piedi, un disegno di Gustav Klimt (1862-1918), principale esponente dell’avanguardia viennese, che anticipa le soluzioni stilistiche de Il bacio e de L’Abbraccio del Fregio Stoclet, due tra i capolavori più conosciuti del maestro austriaco.
“Il nuovo appuntamento espositivo, organizzato dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo – afferma il Presidente Roberta Bellino – è dedicato all’universo femminile, da sempre soggetto tra i più amati e frequentati della storia dell’arte. Un tema di grande suggestione che ha una ricaduta sulla contemporaneità. In collaborazione con la Fondazione Marcegaglia Onlus, infatti, si approfondiscono alcuni argomenti di grande attualità sociale quali la differenza di genere, le donne e il lavoro, la maternità, i femminicidi e le nuove povertà”.
“Donne nell’Arte – conclude Roberta Bellino – è il sesto evento che si tiene all’interno della storica residenza bresciana che, anche grazie alle mostre proposte dagli Amici di Palazzo Martinengo e al sostegno della Provincia di Brescia, è diventata uno dei cardini della proposta culturale della città, registrando con le sue mostre oltre 250.000 visitatori”.
“La partecipazione come partner alla mostra Donne nell’Arte – dichiara Carolina Toso Marcegaglia, Presidente di Fondazione Marcegaglia Onlus – ci è sembrata da subito un’occasione speciale per sensibilizzare, attraverso lo straordinario strumento dell’arte, su alcuni temi che come Fondazione ci stanno molto a cuore: le disparità sociali, il lavoro femminile, la violenza di genere. Grazie ad alcune testimonianze di donne di varie latitudini del mondo, abbiamo scelto di far riflettere, soprattutto le nuove generazioni, sulle difficoltà che le donne incontrano quotidianamente e su quanto sia fondamentale e urgente valorizzare il loro ruolo nella società di oggi”.
Traendo ispirazione da testi sacri e libri agiografici, gli artisti hanno licenziato tele oggetto di secolare devozione che raffigurano le più famose sante della cristianità insieme al proprio attributo iconografico: Maddalena col vasetto di unguenti; Caterina con la ruota dentata; Barbara con la torre; Margherita con il drago; Cecilia con gli strumenti musicali. Senza dimenticare le eroine bibliche quali Giuditta, Salomè, Dalila, Susanna e Betsabea, le cui tormentate vicende personali sono narrate nell’Antico Testamento.
Anche la letteratura classica e la mitologia hanno fornito agli artisti infiniti spunti di riflessione, come nel caso delle storie che riguardano divinità (Diana, Venere, Minerva, Giunone), celebri figure mitologiche (Leda, Europa, Onfale, Circe, Dafne) e illustri donne del mondo antico che, con coraggio e drammatica determinazione, hanno preferito la morte al disonore. Si pensi, a tal proposito, alla regina d’Egitto Cleopatra, che decise di togliersi la vita, dopo il suicidio dell’amato Antonio, per non consegnarsi viva nelle mani dell’acerrimo nemico Ottaviano e subire la pubblica umiliazione; a Lucrezia, che si trafisse il petto con il pugnale dopo essere stata avvilita e violentata da Sesto Tarquino; e a Sofonisba, che bevve il veleno inviatogli dal marito Messinissa per non vivere un’esistenza mortificata come schiava dei romani.
Soprattutto nell’ambito della pittura dell’Ottocento, vera protagonista della rassegna, la donna è stata colta nella sua dimensione quotidiana, alle prese con le faccende della vita domestica e del lavoro; nei panni di madre affettuosa che accudisce con amore i propri figli; ma anche in atteggiamenti maliziosi e in situazioni intime per esaltarne la carica sensuale, come testimoniano gli straordinari capolavori di Giovanni Boldini, il più grande artista italiano della Belle Époque.
La Fondazione Marcegaglia Onlus, la cui missione è sostenere le donne, motore della crescita e dello sviluppo dell’intera comunità, attraverso progetti di solidarietà e cooperazione, offre alle scuole, 350 percorsi tematici di visita alla mostra, con l’obiettivo di avvicinare sempre più i giovani al fantastico mondo dell’arte e, al contempo, sensibilizzarli rispetto a tematiche di grandissima importanza sociale legate all’emisfero femminile.
L’Associazione Amici di Palazzo Martinengo devolverà l’1% del ricavato da biglietteria a Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro con l’obiettivo di sostenere la migliore ricerca per la prevenzione, la diagnosi e la cura dei tumori femminili.
L’esposizione è il sesto appuntamento espositivo dell’Associazione Amici di Palazzo Martinengo che fa seguito ai successi di pubblico e di critica ottenuti con le rassegne Il Cibo nell’Arte dal Seicento a Warhol (2015), Lo Splendore di Venezia. Canaletto, Bellotto, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento (2016), Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell’Ottocento (2017) e Picasso, De Chirico, Morandi. Cento capolavori dalle collezioni private bresciane (2018), Gli animali nell’arte dal Rinascimento a Ceruti (2019), visitate da oltre 250.000 persone.
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“Donne nell’arte, da Tiziano a Boldini” da domani presso Palazzo Martinengo di Brescia Per quattro mesi, le sale di Palazzo Martinengo a Brescia, si popolano di dame eleganti, madri affettuose, eroine mitologiche, seducenti modelle e instancabili popolane.
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    Sabbioneta una città nata come fortezza
e patrimonio dell’UNESCO
    Sabbioneta la città fortezza edificata dal nulla
    Se uno andasse su google maps e chiedesse di Sabbioneta, comparirebbe un comune con forma particolare di esagono, con i vertici a punta di lancia, molto simile a Peschiera del Garda, che a differenza, è a forma pentagonale.
Dichiarata nel 2008 Patrimonio dell’Umanità da parte dell’ UNESCO, per la sua eccezionalità di “città di nuova fondazione”, ovvero un nucleo urbano-abitativo non nato spontaneamente ma per volontà politica e su un progetto urbanistico, costruito nella parte fondamentale in tempi brevi e con una precisa conformazione geometrica spesso caricata di significati simbolici e modelli ideali, Sabbioneta fu costruita in poco più di trent’anni per volontà del principe Vespasiano I Gonzaga.
Secondo l’UNESCO rappresenta un perfetto esempio di applicazione delle teorie rinascimentali, su come vada progettata una città ideale.
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  La cinta muraria di Sabbioneta
      Le mura che delimitano l’intero perimetro del centro storico sono state realizzate nell’arco di poco meno quarant’anni, dal 1556 al 1591, con consulenza di abili ingegneri ed esperti architetti militari, dato che occupava una posizione strategica nel cuore della Pianura Padana e quindi, per il Signore della città, doveva essere soprattutto una fortezza e la potenza del circuito murario, la rendevano sicuramente uno dei più muniti baluardi della Lombardia di dominio spagnolo.
Prima che Sabbioneta passasse sotto i possedimenti dei Gonzaga, non era altro che un minuscolo borgo, qualche casa intorno ad una rocca, in seguito Vespasiano, non appena divenne signore di Sabbioneta, decise subito di mettere mano al volto urbanistico della città.
La più antica porta di Sabbioneta Porta della Vittoria
Iniziò, tra una campagna militare e un’altra, la costruzione della cinta muraria e del Palazzo Ducale, emanò inoltre l’obbligo a tutti i cittadini dello Stato di Sabbioneta, di risiedere dentro le mura e di svolgere in città tutti i propri commerci, i mercati, le attività artigianali, fu inoltre terminata nel 1562 la prima delle due porte d’accesso alla città, Porta della Vittoria.
Con l’ultimo rientro, nel 1578 di Vespasiano, in Italia ricominciò e terminò la costruzione della città, furono eretti tutti i sei bastioni difensivi, incuneati nei vertici dell’esagono delle mura a forma di punta di lancia, San Niccolò, Santa Maria, San Francesco, Sant’Elmo, San Giorgio e San Giovanni, l’ultima porta d’accesso, Porta Imperiale, iniziò la costruzione della Chiesa dedicata a S. Maria Assunta, una più piccola residenza per il suo riposo, Palazzo Giardino e una galleria privata, in modo da poter esporre la sua collezione di di opere d’arte il Corridor Grande.
Le porte maestre per l’accesso, sono opposte tra loro, Porta Imperiale verso Mantova e Porta della Vittoria, la più antica, verso la Lombardia spagnola a ovest.
Porta Imperiale a est di Sabbioneta verso Mantova
La prima fu dedicata all’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, la facciata  è completamente rivestita di bugne di marmo  bianco e nella parte inferiore è interrotta da tre aperture arcuate a tutto tondo.
Sopra l’arco centrale, nella cui chiave di volta è inserito un grottesco mascherone,  un’iscrizione: “Vespasiano, per grazia di Dio, Duca di Sabbioneta, fece costruire questa porta fregiata  del nome imperiale, nell’anno della salvezza 1579.”
Sopra ancora lo stemma ducale, la pianta della porta, simile a Porta della Vittoria, è quadrangolare.
La seconda porta, quella più antica, ha la facciata in mattoni a vista, interrotti da quattro colonne appena staccate dalla parete, in marmo bianco bugnato e tre aperture, una lapide ricorda che “Vespasiano Marchese di Sabbioneta e suo fondatore volle chiamarla Porta Vittoria in segno di buon augurio” sopra la lapide compare il suo stemma araldico, inquartato con le Armi Gonzaga e Colonna e gli stemmi sulle mura raccontano l’ascesa di Vespasiano.
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  La città di Sabbioneta
    Edificata come una fortezza, nel cuore della Pianura Padana, Vespasiano avvalendosi di architetti militari, disegnò il tracciato urbano con le strade disposte secondo l’antico schema degli accampamenti romani, ovvero a scacchiera, formando 34 isolati.
I due assi principali sono formati da l’antica strada Giulia, oggi via Vespasiano Gonzaga, che collega le due porte d’accesso e va da est ad ovest e via Dondi, perpendicolare e più piccola alla precedente.
Palazzo del Giardino di Sabbioneta
Diede un effetto di intricato labirinto, studiato per disorientare il nemico in caso di invasione, ma soprattutto per far apparire la città più grande di quello che in effetti era.
Pose le due piazze in posizione asimmetrica e decentrate, con attorno gli edifici più rappresentativi della città, Piazza d’Armi, antica piazza del castello, era considerata il centro della vita privata del Signore, di forma poligonale avente un lato che si affaccia su via Vespasiano, mentre sugli altri lati, collegati tra loro, i tre edifici più importanti, a ovest si trovava la Rocca, oggi non più esistente,  circondata da fossato e ponte levatoio, che la univa alla piazza ed era collegata al Palazzo del Giardino.
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  Palazzo del Giardino
    Era il luogo dove Vespasiano Gonzaga amava riposare, dove si ritirava per leggere, studiare, rilassarsi dagli impegni di governo e dove tenere la sua collezione di marmi.
Il Palazzo del Giardino non era di grossa metratura, la facciata intonacata di bianco e cornicione in quercia, si sviluppa su due livelli e pianta rettangolare.
La Stanza dei Cesari
Al suo interno, Vespasiano curò e indicò l’iconografia decorativa che segue un preciso itinerario, basato sulla vasta cultura letteraria del duca.
    La Stanza dei Cesari
    Il soffitto a crociera con volta a botte, riporta nelle lunette medaglioni con ritratti i profili di imperatori e le due lunette alla base della piccola volta a botte,  sono rappresentate battaglie.
Le pareti sono dipinte, in un circuito ininterrotto, colonne e tra loro inserite finte statue di Cesari.
    La Stanza di Filemone e Bauci
    Le pareti più lunghe hanno dipinto in contrapposizione il Circo Massimo e il Circo Flaminio, nelle due più corte, in una è dipinta una paesaggio agreste, nell’altra una prospettiva urbana.
Il soffitto è suddiviso in riquadri, in quello centrale una figura alata regge lo stemma ducale, con ai lati due gru e due leoni a simboleggiare vigilanza e forza.
Nelle quattordici lunette è rappresentata la favola mitologica di Filemone e Bauci.
Vi è anche la Camera dei Miti, dove sono raffigurati i miti di Dedalo e Icaro, di Aracne e Minerva, di Fetonte, Apollo e Marsia.
La galleria degli Antichi o Corridor Grande
Il Corridoio d’Orfeo raffigurati quattro episodi del mito di Orfeo, uno è quello dove ammansisce con il suono della lira le belve, Orfeo agli Inferi con Plutone e Proserpina, le Baccanti che lo uccidono.
La Sala degli Specchi, la stanza più grande del complesso, adibito alle feste di corte, il Camerino delle Grazie con pareti interamente decorate a motivi grotteschi, mostri, chimere, sfingi e al centro figure mitologiche, Apollo, le tre Grazie, Venere con Cupido.
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  La Galleria degli Antichi o Corridor Grande
    Una struttura esterna, un lungo corridoio o galleria che non fungeva da collegamento tra palazzi ma da contenitore per la collezione archeologica del duca, una collezione di marmi antichi, busti, statue, epigrafi e bassorilievi, inoltre conteneva anche trofei di caccia.
interno del Teatro all’Antica di Sabbioneta parte verso il loggione
interno del Teatro all’Antica di Sabbioneta parte verso il palco
Un’altra struttura di notevole interesse è il Teatro all’Antica, primo teatro stabile italiano costruito dal nulla, non su strutture preesistenti, internamente le gradinate, destinate al pubblico e di fattura lignea, è sormontata da una fila di colonne poste a semicerchio e sul cornicione statue di divinità mitologiche, dietro sul muro, affreschi con rappresentati dei Cesari e ai lati nicchie con busti compresi fra due colonne cecate.
Il palcoscenico a scena fissa, rappresenta un’immagine di città prospettica, lignea, policroma e mono focale.
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  La Sinagoga di Sabbioneta
    Costruita agli inizi del 1800, si trova all’interno di un palazzo cinquecentesco, in seguito alla donazione di Salomone Forti, l’antico proprietario dello stabile.
L’allora locale comunità ebraica, decise di costruire la Sinagoga, per marcare l’autonomia amministrativa da Mantova, non esistendo un ghetto, la scelta cadde sull’ala dell‘edificio cinquecentesco.
L’ingresso, al piano terra, sotto un portico di colonne marmoree dà accesso ad un piccolo atrio che porta allo scalone di marmo per il piano superiore dove si trova la sala di preghiera, un’ulteriore rampa porta al piano del matroneo.
Il Palazzo cinquecentesco con al suo interno la Sinagoga di Sabbioneta
Interno della Sinagoga di sabbioneta con in fondo l’Aron
Il Tempio venne realizzato nella parte superiore dello stabile, per rispettare il precetto per il quale tutte le sinagoghe devono trovarsi sotto la volta celeste, e non devono avere nulla al di sopra, se non il cielo.
L’interno a pianta rettangolare, conserva un aspetto solenne, l’arredo è costituito dagli antichi banchi di legno, l’Aron è collocato tra due imponenti colonne con capitelli corinzi, ai lati pendono due lampade, ed è sormontato da un timpano con uno scritta in ebraico a caratteri dorati, cui si accede per un bel cancelletto di ferro battuto.
Le pareti sono rifinite a stucco finto marmo di diversi colori, in ciascuno dei lati lunghi del salone sono disposte tre porte, una reale e due dipinte, mentre le finestre del lato sinistro guardano su un cortile interno, quelle sul lato destro, sono finte.
Nel Novecento la sinagoga conobbe un lungo periodo di abbandono, divenendo un luogo fatiscente e pericolante; alcuni degli arredi più preziosi furono rimossi e trasferiti altrove, a Modena o in Israele, l’antico Aron ligneo cinquecentesco, proveniente dalla sinagoga precedente, si trova nella Casa Strauss presso il Muro del Pianto a Gerusalemme.
In seguito l’edificio è stato oggetto di un accurato restauro, a cura della Soprintendenza ai beni culturali e architettonici di Brescia, riottenendo così lo splendore originario, oggi è sede museale.
Vale la pena di visitare questa bellissima cittadina, molto particolare, e cercare di rendersi conto di quello che erano le intenzioni di Vespasiano Gonzaga, nel realizzare una città fortezza a misura d’uomo, la “Piccola Atene”, così venne definita dagli Illuministi, una vera città ideale nata sul modello delle antiche città romane, una città nata e morta con il suo ideatore, rimasta come lui l’ha creata, ferma nella sua evoluzione al 1591, anno della morte di Vespasiano a Sabbioneta.
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  Sabbioneta la piccola Atene Sabbioneta una città nata come fortezza e patrimonio dell’UNESCO Se uno andasse su google maps e chiedesse di Sabbioneta, comparirebbe un comune con forma particolare di esagono, con i vertici a punta di lancia, molto simile a Peschiera del Garda, che a differenza, è a forma pentagonale.
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alessiacamera · 7 years
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Vi ricordate della mostra Lato B | un altro genere di storia ?
Si tratta di un progetto espositivo nato per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne attraverso le opere di due artisti del posto, un uomo e una donna, diversi per mezzi espressivi, età, poetica e ricerca.
Se ve lo siete perso potete recuperarne un pezzo nell’ultimo articolo, dove vi ho raccontato la genesi del concept espositivo: Lato B | un altro genere di storia: una mostra allo Spazio Rizzato.
Ecco qui il comunicato stampa, completo di link di approfondimento alle foto della mostra e al catalogo digitale.
Ovviamente potete (dovete!) andare a vedere la mostra di persona:
fino al 30 dicembre 2017 da Spazio Rizzato (Marano Vicentino – VI)
E ora veniamo a noi: vi avevo promesso fior fiore di interviste con gli artisti, e io mantengo sempre le promesse.
Oggi vi presento Elisabetta Roncoroni, il Lato B della fotografia.
  Elisabetta Roncoroni: il Lato B della fotografia
1. Alice Traforti: Ti sei avvicinata alla fotografia fin da piccola, prima paesaggi e architetture, poi ritratti. Come è avvenuta questa svolta nei soggetti delle tue inquadrature?
Elisabetta Roncoroni: Ho sempre sfogliato riviste di moda come Vogue, Elle e libri di grandi fotografi con invidia. Sognavo anch’io di essere in grado di ritrarre una persona e di immortalarla per sempre con un click, proprio come sapevano fare quei grandi fotografi tipo Herbert List, Richard Avedon… Parallelamente, vista la mia grande passione per la storia dell’arte, ho sempre avuto un occhio di riguardo anche per i dipinti preraffaelliti o del secessionismo viennese, che racchiudono qualcosa di speciale dietro ogni volto o corpo femminile.
Poi ho avuto la fortuna di incontrare Nicola (il fotografo Nicola Giovanni Ciscato – ndr) che, a differenza di tanti che si sforzavano a dirmi un “bello” poco sincero, ha creduto in me sin dal principio. Lui mi ha incoraggiata suggerendomi di provare a cambiare i soggetti della mia fotografia, di “buttarmi” su qualche ritratto, senza aver paura di sbagliare.
Così, nel settembre del 2015, ho fotografato per la prima volta una mia carissima amica e da lì tutto è iniziato come un vortice e, una foto dopo l’altra, ho imparato e “aggiustato il tiro” da me, da autodidatta.
  2. AT: La tua è una tecnica in controtendenza: nell’era del digitale, tu scatti in modalità analogica. Quali sono le differenze a livello di preparazione dello scatto e di resa finale, ma anche in fase di approccio? Io credo che ci sia anche un grado di coinvolgimento diverso, non solo tecnico, ma fisico e psicologico.
ER: La fase di approccio è sempre tragica. Bisogna decidere con che rullino scattare. Scaduto o no? Se è scaduto, sarà stato conservato bene o sarà virato verso qualche colore in particolare? Adoro andare a caccia di rullini scaduti nei vari mercatini e vedere che cosa ne verrà fuori. Dedico molto tempo anche alla ricerca online di qualsiasi informazione utile a capire cosa hanno ottenuto altri fotografi con i diversi tipi di pellicola.
Il coinvolgimento è completamente diverso. In primis: si sarà agganciato il rullino? Ho buttato via diversi rullini e diversi progetti sono stati rimandati per questo motivo… Foto completamente bruciate o nere? È successo anche questo.
Per diverso tempo ho utilizzato una Ricoh 35 zf del 1976 con l’esposimetro rotto, quindi impostavo la macchina in maniera casuale, ma ragionando secondo il mio intuito, oserei dire in modo sperimentale. La soddisfazione di vedere che le foto venivano comunque come me le ero immaginate, era davvero immensa.
Lo stress in realtà è tangibile quando scatto in analogico. Non voglio lasciare nulla al caso. Io so che per un progetto ho un rullino (raramente due) da 36 pose. Gli scatti vengono pensati al momento, come le pose. Ho la fortuna di aver sempre collaborato con persone con cui ero molto in sintonia e con cui si è subito creato un legame che fa sì che in quell’ora di shooting tutto sia molto naturale e rilassato. Odio le pose predefinite. Non amo che la modella guardi in camera, anzi, ogni tanto vorrei che si potesse dimenticare della mia presenza e che interpretasse la sua parte (come quando da bambine si giocava allo specchio, per intenderci). Amo le cose fatte razionalmente, ma comunque di getto. Sono più spontanee e naturali ed è esattamente ciò che cerco per le mie foto.
Oggi i fotografi utilizzano fin troppo gli apparecchi digitali e possono scattare migliaia di foto, scegliendone magari solo un paio, le più azzeccate. Per me, la magia della fotografia analogica sta proprio in questo allontanarsi dalla facilità del digitale e nel non utilizzare programmi come Photoshop (che io detesto) per modificare la foto o, peggio, la persona che è stata ritratta.
Ecco perché la fotografia analogica, con le sue imperfezioni, la sua polvere e la ricerca del rullino perfetto, è ciò che davvero mi rappresenta.
3. AT: Parliamo ora del progetto inedito Peaux, presentato per la prima volta nella mostra Lato B | un altro genere di storia, presso Spazio Rizzato. Nasce da un episodio particolare, una violenza subita come violazione della libertà di espressione: una censura sui social. Da lì ha preso avvio tutto un processo di consapevolezza, che probabilmente giaceva da tempo latente. Vuoi raccontarci tutto per bene?
ER: Lo scorso aprile 2017 ho avuto la possibilità di fare le mie prime foto di nudo integrale. Non ne avevo mai fatte prima. È stato tutto molto naturale, come doveva essere, e io ho candidamente pubblicato online una foto con un seno scoperto, dal momento che non c’era il viso della ragazza ritratta e la posa era molto naturale non mi sono posta alcun problema. Il capezzolo scoperto, a quanto pare, viola le linee guida di utilizzo di social network come Facebook o Instagram. Così è iniziata così la mia “battaglia” – un po’ alla Don Chisciotte, temo. Vedo ogni giorno servizi fotografici di dubbia qualità in cui le ragazze si fanno ritrarre mostrandosi, seppur coperte da micro indumenti, in atteggiamenti davvero poco equivocabili. Senza contare che ormai la pornografia è alla portata di chiunque abbia un qualsiasi device. Perché, a questo punto, vengono censurati siti, come Flickr o Instagram, nati appositamente per la fotografia?
Cosa c’è di sbagliato o scandaloso in un corpo femminile nudo? Ho sempre guardato con ammirazione i corpi dei dipinti del passato: la Venere di Urbino di Tiziano, le odalische di Ingres, le donne di Lautrec, le polinesiane di Gauguin. Una volta era normale ritrarre le donne in quella maniera. Ho avuto la fortuna di avere una mamma che si mostrava in casa senza problemi, senza nascondersi e senza nascondere le sue imperfezioni, e ho sempre creduto che è anche grazie a lei se ho portato a termine questo progetto.
  Non c’è nessun tabù in un seno nudo o in un gluteo, nemmeno nei fianchi di una donna. Se tutti riuscissero a vedere che le cose stanno effettivamente così, probabilmente tutta questa violenza sul corpo femminile non ci sarebbe, perché qualcuno si farebbe qualche scrupolo prima di massacrare e deturpare un corpo delicato e pieno di vita come quello femminile.
Ed ecco che è nato il progetto del 25 novembre, proprio contro la violenza sulle donne. Mostrare dei corpi scoperti per far vedere quanto il corpo femminile sia diverso e meraviglioso, nonostante le tante imperfezioni, che in realtà imperfezioni non sono, ma rappresentano proprio ciò che ci rende uniche rispetto alle altre.
E qui torna il discorso della fotografia analogica, che nelle sue imperfezioni rispecchia esattamente il messaggio che vorrei trasmettere.
4. AT: La fotografia è lo specchio dell’anima. In alcune leggende lontane, la fotografia è in grado persino di rubare l’anima dei soggetti che cattura. Questo è un po’ quello che hai fatto con le 14 donne che hai fotografato per Lato B. Sono molto curiosa riguardo al processo di messa a nudo di ciascuna personalità che hai incontrato. Vuoi parlarci un po’ di queste donne che ci hai fatto incontrare attraverso le immagini delle loro cicatrici, dei loro problemi, dei loro difetti?
ER: La prima cosa che faccio, quando si tratta di progetti collettivi, è chiedere alle mie amiche di posare per me. Nessuna di loro è perfetta, non sono alte 1.80 e nemmeno portano una 38. Nessuna di loro vuole fare la modella professionista. Solitamente evito di cercare persone che lo fanno di lavoro perché vorrei mostrare corpi di tutti i tipi: chi più alta, chi più bassa, chi più morbida… Solo alcune di loro avevano già posato per me, ma mai nude. Più di qualcuna mi aveva già detto in passato “io non mi spoglierò mai davanti alla macchina fotografica!” Ma, quando ho spiegato loro il progetto che avevo in mente, tutte si sono “spogliate” con una facilità disarmante. Mostrandomi le loro imperfezioni, le loro paure, le loro cicatrici e i loro tatuaggi: quei segni di momenti particolari che attraversiamo e superiamo nella nostra vita, decidendo di imprimerli per sempre nella nostra pelle.
  Malgrado all’inizio fossero titubanti, alla fine non hanno avuto problemi a mettersi a nudo davanti a me, anche se ad alcune il proprio corpo non piace, anche se alcuni dettagli fisici le fanno sentire “non belle” rispetto agli standard propinati ogni giorno dai mass media. Di questo sono stata davvero molto orgogliosa perché ho capito due cose: che le persone credono davvero nel mio lavoro e che ho la capacità di farle sentire belle. In giro si vedono fotografi che cercano modelle sempre più magre e sempre più uniformate. Chi penserebbe mai di mostrare una cicatrice di un fibroma rimosso, o una banale cicatrice sul braccio, o un seno non simmetrico e non pieno, per non parlare di smagliature o, più in generale, di un corpo che non è mai piaciuto a chi lo indossa ogni giorno? Per me è stato un onore immenso poterle ritrarre così, senza filtri e senza paure. Riguardando le foto tutte insieme, mi sento pienamente soddisfatta.
5. AT: In generale, quanto c’è della tua vita privata nei tuoi scatti?
ER: Questa domanda non è facile. Nessuno me l’aveva mai posta prima, nemmeno io ci avevo mai pensato. Non saprei esattamente come rispondere, quindi lo farò di getto e senza rileggere la risposta, probabilmente.
Non so bene cosa metto della mia vita privata nei miei scatti. Forse la curiosità e la necessità di conoscere la verità, andando sempre più a fondo rispetto alla semplice superficie.
Mi piace moltissimo osservare le persone, cercare le loro peculiarità e immaginarmi che storia potrebbero raccontare per me, attraverso le foto che ho intenzione di fare e la “parte” che interpreteranno quando poseranno per me. Qualcuno mi ha detto che la macchina fotografica è la mia “arma” perché dietro di essa mi sento al sicuro e dimostro sicurezza in ciò che sto facendo, visto che nella mia vita non è quasi mai stato così. Mille dubbi mi hanno sempre gravitato intorno, partendo dall’incertezza del mio corpo e arrivando a cose ben più semplici, sempre preoccupandomi fin troppo del giudizio altrui. Con la fotografia sto abbandonando, almeno un po’, questo aspetto di me. Non tanto perché molte persone che incontro sembrano apprezzare i miei scatti, quanto perché io apprezzo il mio lavoro. Malgrado ci sia ancora moltissimo da imparare, continuo a migliorare ad ogni sbaglio commesso, ad ogni mio errore…
Forse è proprio questo che metto nei miei scatti: la mia voglia di rivalsa e la necessità di mostrarci così come siamo, senza stereotipi e tabù.
6. AT: Infine, hai qualche nuovo progetto che vuoi condividere con noi?
ER: A breve avrò la possibilità di ritrarre alcune donne che partecipano ad un corso di italiano per donne straniere presso il Comune di Sarcedo. Poi ci sarà una mostra, ma non posso svelare di più. Ovviamente continuerò a ritrarre le donne nella loro bellezza e nelle loro imperfezioni… e poi chi lo sa?
Ritratto di Elisabetta Roncoroni
Identikit dell’artista
Elisabetta Roncoroni, 1994 Thiene (VI), fotografa
Visita il sito web dell’artista.
Elisabetta Roncoroni, il Lato B della fotografia: scatto perfetto e imperfezione analogica Vi ricordate della mostra Lato B | un altro genere di storia ? Si tratta di un progetto espositivo nato per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne attraverso le opere di due artisti del posto, un uomo e una donna, diversi per mezzi espressivi, età, poetica e ricerca.
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giallofever2 · 7 years
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1969/1970 Il caso "Venere privata" Also Known As (AKA) (original title) Cran d'arrêt Argentina La Traba Brazil Obsessão de um Sádico Spain Privado de amar Finland Painajainen Greece (transliterated) Entalma syllipseos Italy Il caso 'Venere privata' Poland Hamulec bezpieczenstwa Portugal A Hora da Verdade USA Il caso "Venere privata" (Safety Catch/Safety Catch Yugoslavia (Serbian title) (literal title) Stop za ubicu Directed by Yves Boisset Music by Michel Magne Release Dates France 14 January 1970 Italy 27 August 1970 Portugal 25 October 1971 Finland 30 June 1972 France 1995 (video premiere) Writing Credits Giorgio Scerbanenco ... (novel) Antoine Blondin ... (adaptation) and Yves Boisset ... (adaptation) & Francis Cosne ... (adaptation) Antoine Blondin ... (dialogue) Cast Raffaella Carrà Raffaella Carrà ... Alberta Radelli Mario Adorf Mario Adorf ... Le sadique aux cheveux longs Bruno Cremer Bruno Cremer ... Duca Lamberti / Lucas Lamberti Renaud Verley Renaud Verley ... Davide Auseri Marianne Comtell Marianne Comtell ... Livia Ussaro Claudio Gora Claudio Gora ... Le docteur Carrua Marina Berti Marina Berti ... La soeur d'Alberta AGOSTINA BELLI Agostina Belli ... Mara Vanna Brosio Vanna Brosio ... Marilina Jean Martin Jean Martin ... Le majordome Rufus Rufus ... L'assistant du photographe Jean Mermet Jean Mermet Claudine Berg Claudine Berg Roger Lumont Roger Lumont ... Le gros danseur Giorgio Scerbanenco Triligy
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