#i pugni in tasca
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I pugni in tasca (Marco Bellocchio, 1965)
#i pugni in tasca#marco bellocchio#lou castel#paola pitagora#1965#cinema italiano#italian film#italian cinema#italian movies
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Marino Masé in Marco Bellocchio’s “I pugni in tasca“ (Fists In The Pocket) October 31, 1965.
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Marco Bellocchio’s “I pugni in tasca“ (Fists In The Pocket) October 31, 1965.
#Marco Bellocchio#Fists in the Pocket#I pugni in tasca#1965#1960s#Foreign#🇮🇹#Family Drama#Crime Drama#Drama#Psychological Thriller#Visually Stunning#Winter#Marino Masé#Lou Castel#Paola Pitagora#2/5
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I pugni in tasca (1965) Marco Bellocchio
Fists in the Pocket (1965), dir. Marco Bellocchio
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Fossi tu al posto mio, la schiena al muro, i pugni in tasca, avresti larghi gli occhi e un desiderio acceso di purezza, tramonterebbe il sole al tuo pensiero nelle ombre allungate della sera.
Scrivi, ma sarà nulla se non scrivi di noi.
(Ph: Daniel Taylor)
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Nessuno la nota
È all'ultimo banco,
Il suo viso è pallido,
I suoi occhi vuoti e arrossati dal pianto,
Le guance bagnate dalle lacrime che continuano a uscire inosservate
Nessuno lo nota
Sta stringendo i suoi pugni dentro la tasca della felpa
E conficcando le unghie sul palmo della sua mano
Le osservo lebraccia...
Nessuno le chiede niente, ma delle bende escono dalle maniche... so cos'era successo
I suoi capelli erano raccolti in modo scombinato...
Cosa ne aveva fatto dei suoi magnifici capelli morbidi, folti e lunghi?
Adesso sono corti, crespi e spezzati...
Ha delle occhiaie pazzesche,
Un livido all'altezza della guancia,
Le labbra rosee, screpolate e torturare dai denti,
Ha le mani ossute, come il resto del corpo...
Ha una felpa larga che non le tiene abbastanza caldo...
Trema...
Il viso scuro,
I segni rossi sul viso, sul collo sui polsi...
Le gambe magre
Le unghie bluastre...
Si tiene a fatica in piedi...
Nessuno la nota
Oggi le avrei parlato,
Avrei voluto sapere il suo malessere per aiutarla...
La campanella suonò
Ma di lei nessuna traccia...
È passata la seconda ora
So già che no verrà...
Non è venuta a scuola...
Osservo la sua sedia fredda e vuota...
Lei non c'è più...
I demoni dentro di lei
L'AVEVANO PORTATA VIA
#ammazzatemi#non mi accetterò mai#non voglio mangiare#perder peso#voglio scappare#voglio sparire#anoressica#morte#depressing shit#mi odio
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Un freddo boia,
e cammino solo
tra strade nude,
spoglie d’inverno,
in un cappotto
che non scalda,
troppo stretto
per le emozioni,
e la rabbia.
In tasca,
i pugni chiusi
aspettano una
sigaretta
a bruciarmi
i polmoni,
soffiando
fuori
spirali bianche,
come neve,
come ghiaccio,
come me.
Cammino
ancora,
al polso
orologio senza
ora,
a far correre
il tempo.
Mi fermo,
mi seggo,
al sole,
un tiepido calore
al cuore
mi fa guardare
avanti,
laggiù
c’è il mare.
Ma si,
fa un freddo
boia,
ma so ancora
amare.
Armando Lavorini🖋
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Norman Mailer accoltella la moglie che lo accusava di non saper scrivere come Dostoevskij al grido di “Lasciatela morire, quella puttana!”, ed altre imprese del grande scrittore
Il 19 novembre 1960 Norman Mailer (nato Nachem Malech Mailer), all’epoca lanciatissima “giovane promessa” dell’intellighenzia americana, in particolare per il suo saggio di pochi anni prima The White Negro, con il quale trasformava il teppismo bohémien dei giovani bianchi annoiati in una sottocultura rivoluzionaria, decise di dare un ricevimento per lanciare la sua candidatura a sindaco di New York, nell’appartamento dell’Upper West Side che condivideva con la moglie Adele Morales (artista e critica letteraria di origine peruviana) e le due figlie.
Fresco di arresto per oltraggio a pubblico ufficiale (aveva cercato di fermare un’auto della polizia come se fosse un taxi) Mailer aveva fatto di tutto per assicurare il sostegno dell’establishment progressista della città a una “struttura di potere” che avrebbe portato avanti le battaglie delle minoranze (tra le quali, per l’appunto, i “negri bianchi” che tanto gli stavano a cuore): una commistione, quella tra élite e rivoluzionari, che rappresenta alla perfezione l’anima della sinistra occidentale sin dagli esordi.
Nonostante la defezione di qualche “filantropo” come David Rockefeller, al party di Mailer convogliarono circa 200 ospiti, tra i quali Allen Ginsberg, Norman Podhoretz (in seguitò uno dei principali rappresentanti del neoconservatorismo bushiano) e una masnada di “derelitti, tagliagole e bohémien” che lo scrittore aveva raccattato letteralmente dalla strada.
Dopo aver bevuto tutto il bevibile, l’enfant prodige della controcultura americana cominciò a litigare con gli ospiti, obbligandoli a mettersi ai lati opposti della stanza a seconda se fossero a favore o contro la sua candidatura, per poi scendere direttamente in strada a prendere a pugni i passanti.
Alle quattro di notte passate, una volta tornato nel suo appartamento con la camicia strappata e un occhio nero, e constatato che tutti gli invitati se ne fossero andati (ad eccezione di 5-6 persone), Mailer se la prese con la moglie, probabilmente anche lei alticcia, la quale lo aveva apostrofato con un Aja toro, aja! per poi chiamarlo “frocetto” [little faggot] e insinuare che la “lurida puttana della sua amante” gli avesse tagliato i cojones (sic).
Secondo altri testimoni, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata l’affermazione da parte della Morales che il marito non fosse bravo a scrivere come Dostoesvkij. Fatto sta che a un certo punto Mailer estrasse un temperino arrugginito dalla tasca e colpì la consorte alla schiena e al seno, perforandole il pericardio e mancando di pochissimo il cuore.
Ai presenti, scioccati per l’accaduto, Mailer intimò di “lasciar morire quella cagna” (o “quella puttana”, Let the bitch die). La donna venne prima condotta nell’appartamento al piano inferiore e poi all’ospedale universitario per un intervento d’urgenza.
Seppur in gravi condizioni, la Morales inizialmente disse ai medici di essere caduta su dei pezzi di vetro, ma due giorni dopo confessò alla polizia che era stato Mailer ad aggredirla; nel frattempo lo scrittore aveva fatto in tempo a rilasciare un’intervista televisiva al giornalista Mike Wallace, già programmata per promuovere la sua candidatura a sindaco, nella quale aveva sostenuto un’idea a lui particolarmente cara, cioè che il coltello rappresentasse per un criminale “la sua parola d’onore, la sua mascolinità”.
Quando la Morales ammise di esser stata colpita da Mailer, lo scrittore che in quel momento si trovava in ospedale venne subito arrestato. In seguito venne ricoverato per un paio di settimane in un istituto psichiatrico per una valutazione della sua sanità mentale, nonostante lo scrittore avesse implorato di non essere mandato con i pazzi poiché altrimenti “per il resto della mia vita le mie opere saranno considerate come frutto di una mente malata”.
A salvare la sua carriera, oltre che la clemenza dei giudici e la connivenza del milieu culturale newyorchese, fu probabilmente decisiva la scelta di Adele Morales di non sporgere denuncia in cambio del divorzio (ottenuto nel 1962). Mailer ne uscì praticamente indenne, e non solo dalla prospettiva penale, dal momento che i suoi amici “serrarono i ranghi” in sua difesa: il collega scrittore James Baldwin descrisse la sua “impresa” come un tentativo di liberarsi dalla “prigione spirituale che aveva creato con le sue fantasie politiche”, mentre il critico Lionel Trilling derubricò l’accaduto a “stratagemma dostoevskiano” messo in scena dallo stimato scrittore per “testare i limiti del male in se stesso”.
Qualche voce critica si sollevò dal fronte femminista: per esempio la scrittrice Kate Millett, proprio alla luce della violenza sulla moglie, tacciò l’intera opera di Mailer di legittimare il “sistema patriarcale”; tuttavia, quando Mailer si ricandidò a sindaco di New York nel 1969, le ideologhe Bella Abzug e Gloria Steinem lo sostennero con convinzione.
Le prime accuse di un certo rilievo sono giunte in tempi recenti, sia sulla scia delle memorie di Adele Morales (The Last Party, pubblicato nel 1997), sia con l’ascesa della cancel culture. Persino il “manifesto” di Mailer, The White Negro, è stato ridotto a espressione di esistenzialismo macho, ispirato a una concezione del maschile (anche in termini di aggressività e violenza) intrinsecamente positiva in quanto legato alla realtà e all’azione, e di conseguenza superiore al femminile, di contro schierato con l’artificiosità e il vaniloquio.
D’altro canto, per corroborare la sua candidatura a sindaco, Mailer abbozzò una lettera aperta a Fidel Castro nel quale biasimava che, a differenza di Cuba, negli Stati Uniti “troppi pochi colpi vengono sferrati alla carne. Qui siamo esperti nell’uccidere lo spirito, usiamo proiettili psichici e ci uccidiamo vicendevolmente cellula per cellula”. Se è probabile che annoverasse se stesso, in quanto intellettuale, tra i “carnefici dell’anima”, di certo ne includeva la compagna, le cui frecciate aveva definito come “una sequela di pugnalate psichiche” [psychic stabbings].
La mania per un certo tipo di mascolinità, declinata sempre in chiave progressista, emerge anche da uno dei punti più importanti del suo programma, con cui lo scrittore annunciava l’organizzazione di tornei cavallereschi in stile medievale a Central Park e corse di cavalli a Little Italy per contrastare la delinquenza giovanile.
Ad ogni modo, un parallelo più interessante è con il romanzo scritto dopo l’accoltellamento, Un sogno americano (1965) che racconta di uno stimato intellettuale e politico, Stephen Rojack, il quale in preda ai fumi dell’alcol uccide la moglie e poi si rifugia nei bassifondi di Manhattan dove, tra jazz club e puttane, scopre il valore liberatorio della violenza. Va osservato che al processo per l’accoltellamento della Morales l’avvocato di Mailer sostenne che il suo assistito avrebbe potuto “dare un contributo alla società” con il suo nuovo libro, che era appunto l’elogio letterario del suo gesto An American Dream…
.....
storia di fama, compagne, paraocchi e opportunismo...:-)
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Nuovo giorno nuovo giro. Questa volta posto in italiano, because why not. Piccola storia, perché a volte se gli sceneggiatori non sono capaci di scrivere cose decenti allora ci devi provare tu. Tutti i commenti sono ben accetti. Enjoy 💜
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Simone avrebbe finito la giornata vomitando, prendendo a pugni qualcuno o semplicemente andandosi a schiantare veramente sulla tangenziale, altro che spazzatura sotto casa di Manuel.
Se da un lato è sollevato che il cretino di 5C si sia svegliato, dall'altro non può fare altro che odiare un po' la situazione, Ernesto, suo padre. E forse anche un po' sé stesso.
Dopo aver salutato il commissario e lasciato l'ospedale, non gli era rimasto altro su cui concentrarsi a parte quelle due parole: futili motivi. Gli risuonavano nelle orecchie, gli rimbalzavano nel cervello, gli pugnalavano il cuore.
Suo padre non sembra notare niente, ma quella non era una novità. Poteva essere così attento in alcune situazioni, tipo in classe con i suoi studenti, e allo stesso tempo l'opposto a casa. O forse era così distratto solo con Simone.
Forse, dopo Jacopo, aveva concluso che Simone non ne valeva la pena.
Forse era Simone il problema.
Chissà se le cose sarebbero state diverse, se a morire fosse stato lui. La vita dei suoi genitori sarebbe stata migliore? Jacopo sarebbe stato migliore? Avrebbe scoperto la cura per il cancro?
Tutte domande idiote, ma che a volte si palesavano nel suo cervello e non volevano uscirne.
C'era solo una persona che lo aiutava a zittire tutto il caos in testa, ma in questo momento non era lì, e lui doveva imparare a sopravvivere da solo.
Improvvisamente sente una pressione sulla spalla, e si accorge in ritardo che il padre stava parlando con lui.
"Come?" si limita a chiedere.
Il padre lo guarda per un attimo come se davanti a lui ci fosse un nuovo filosofo che ancora non capisce ma che è disposto a studiare, per poi distogliere lo sguardo.
"Niente, dicevo ci vediamo a casa?"
"Sì sì, a casa."
Simone riesce a stento a processare quello che gli ha detto Dante che già non lo vede più, scappato verso chissà dove.
Ora è solo, Simone, in un'area affollata. Troppe persone, troppi sguardi, troppi rumoriodorilacrimeviavai.
Non riesce a concentrarsi su niente, tutto troppo presente ma totalmente inafferrabile.
Vede di fronte a sé un parco, e decide di entrare, perché qualsiasi cosa è meglio della strada, e sa già che non riuscirebbe a tornare a casa in moto.
Si addentra nella piccola zona verde, piena di spazzatura e con una vecchia panca arrugginita.
Si siede, e aspetta che il tempo passi. Ogni tanto un soffio di brezza gli accarezza il viso, o il suono di un clacson gli infastidisce le orecchie, ma lì, su quella panca, si ritrova ad esistere, senza doversi sforzare di essere il figlio perfetto, lo studente modello o l'amico comprensivo. Lì è semplicemente Simone, un corpo senza una volontà.
È solo quando gli vibra il telefono in tasca che ritorna un po' in sé, notando il sole sempre più basso e la sua pelle d'oca, nonostante la giacca pesante.
Con mani malferme risponde alla chiamata.
"Pronto?" la voce rauca, chissà se per il freddo od il disuso.
"Ao, a Simò, ma dove cazzo stai? So' du' ore che t'aspetto pa'a cosa de fisica!" la voce di Manuel è come un balsamo per le sue ferite, ma le parole lo fanno sprofondare. Sì, si era completamente dimenticato di qualsiasi cosa che non fossero quelle parole. Aveva lasciato perdere tutto perché non riusciva neanche ad essere felice quando avrebbe dovuto.
Ma che cazzo c'è di sbagliato in me? si chiede, perché ormai è disposto a tutto pur di non sentirsi sempre nel torto, sempre sbagliato.
"Ao, Simò, ce stai?" chiede Manuel, voce leggermente più seria.
"Sì sì, sto qua." e non sa proprio cosa aggiungere.
Nonostante voglia disperatamente la presenza dell'altro al suo fianco, non può che risentire l'eco di vecchie parole e porte di un garage che sbattono.
"Simone, che c'è? 'Ndo stai?"
"Sto tornando, a dopo."
Simone non aveva la minima idea di come tornare a casa. Si sentiva distaccato dal proprio corpo, quindi il motorino era escluso. Ma non aveva la forza di pensare ad altre alternative.
Il telefono continua a squillare, ma lui lo ignora spegnendolo.
Si riposiziona sulla panchina, ma poi sente una voce familiare.
"Accidenti!"
Si alza e trova Viola all'entrata del parco.
"Ehi Viola, tutto bene?"
La testa della ragazza scatta nella sua direzione, e si rilassa leggermente quando lo vede.
"Ehi Simone. Sì, tutto bene. Solo queste stupide buche che non aiutano le ruote."
In effetti il danno era visibile a chiunque: la ruota destra era deformata e lo pneumatico sgonfio.
"Mi dispiace. Vuoi chiamare qualcuno?"
"Probabilmente."
Quando la ragazza non continua, Simone la squadra velocemente. Ha gli occhi lucidi e sembra anche lei un po' distante da tutto.
Anime in pena entrambe. Ma si sa, mal comune mezzo gaudio.
"Se vuoi possiamo sederci sulla panca ed aspettare."
"Aspettare cosa?"
"Che ad entrambi torni la voglia di tornare a casa."
Questa volta è Viola a guardarlo attentamente, ma Simone non ha niente da nascondere, quindi rimane fermo ad aspettare una qualsiasi risposta.
"E come ci arriviamo alla panchina, genio?" chiede la ragazza, uno strano misto di rabbia e divertimento a tingerle la voce.
"Le opzioni sono due. O ti sollevo, oppure spingo la sedia."
"Ma sei scemo? O sei solo cieco? La ruota è completamente andata, non ce la faresti mai a spingerla."
"E secondo te io perché faccio rugby?"
"Ah, quindi non è la prima volta che ti trovi in questa situazione?" cerca di rimanere seria, ma si vede che trattiene a stento la risata.
"Pfff, tutti i giorni. Non sei così speciale."
Finisce la frase e, appena si guardano, scoppiano entrambi a ridere.
Quando entrambi riprendono fiato, Viola gli lancia l'ultimo sguardo, e poi sembra convincersi su qualcosa.
"Va bene, ma non ti fare strane idee."
"Non mi permetterei mai, my lady." dice nel suo miglior peggior accento british. Poi lentamente si avvicina, le passa un braccio sotto le gambe ed uno dietro la schiena e la guarda, aspettando un cenno di assenso che arriva poco dopo.
Allora, la solleva il più delicatamente possibile e la porta fino alla panchina, depositandola e poi tornando indietro per la sedia a rotelle, non pesante quanto si aspettava ma sicuramente non leggera.
Una volta riseduto, lascia cadere la testa all'indietro, e fissa il suo sguardo sulle nuvole arancioni che lentamente percorrono il cielo.
Non ha idea di quanto tempo sia passato, quando sente Viola sospirare.
Allora si gira verso di lei, e la vede con il viso ancora rivolto verso il cielo.
Il silenzio che si crea non è imbarazzante, anzi.
"Perché stavi piangendo prima?" le chiede Simone sussurrando.
"Non sono cazzi tuoi, ti pare?" risponde lei stizzita, lanciandogli un'occhiata torva.
E tutto questo fa sorridere Simo, perché lui a persone che si comportano da porcospini è abituato.
"Non è per sapere gli affari tuoi. È solo per sapere se ti posso aiutare in qualche modo." risponde pacato.
Lei lo squadra di nuovo, e per qualche motivo quella diffidenza, quella poca fiducia nel prossimo gli è molto familiare.
Sospirando, la ragazza distoglie lo sguardo.
"Non credo proprio che il ragazzo perfetto della classe possa capirmi,no?"
E Simone lo sa che è la cosa più scortese che possa fare, ma a sentire quelle parole scoppia a ridere.
Viola lo guarda torvo, e lui ha bisogno di qualche secondo per ricomporsi.
"Viola, ma che cazzo stai a di'? Solo durante l'anno scorso ho scoperto di aver avuto un gemello che è morto quando avevamo tre anni, me lo sono scordato come se non fosse mai esistito, ho quasi perso l'anno perché mi sono immischiato in giri loschi ed ho scoperto di essere gay. Non posso lamentarmi di come vivo perché so che c'è chi sta peggio, ma non è sempre stata una passeggiata, ah."
Finisce il discorso e vede gli occhi di Viola sgranarsi. Ma in quel momento non sente vergogna, o rabbia, o alcun sentimento in particolare. Quasi non si sente più umano.
"Scusa, non lo sapevo." comincia lei, ma lui scuote la testa.
"Non te l'ho detto per farti sentire male o in colpa. Voglio semplicemente dirti che le persone non sono tutte così cattive come pensi."
"Soprattutto tu?" chiede lei.
"Oh no, io sono il peggiore. Ma qualcuno di veramente buono c'è. Tipo Ryan" continua lui, vedendo la ragazza arrossire. Ah, gli etero e i loro stupidi motivi per non stare insieme.
"Non voglio parlarne."
"Va bene." annuisce svelto, e ritorna quel silenzio, come una coperta spessa che li avvolge.
"Ma tu perché sei qui?" chiede la ragazza, senza però girarsi.
"Ernesto si è svegliato e la polizia mi ha contattato per farmi sapere che non continueranno le indagini." dice in un tono di voce neutro, quasi robotico.
Viola si gira verso di lui e corruccia le sopracciglia.
"È un bene, no? Significa che non sei più sotto accusa."
"Si, per carità. Ma significa anche che non proseguiranno le indagini per l'aggressione nei miei confronti. E sai perché? Perché la rissa è scoppiata per quelli che ritengono motivi futili." non si accorge di aver gli occhi lucidi fino a quando Viola non gli tocca il braccio.
Sposta velocemente le mani, stropicciandosi gli occhi fino a vedere dietro le palpebre le stelle.
"Scusa, non volevo scaricarti addosso la situazione." dice dopo aver abbassato le mani.
"Macché. Mi dispiace per quello che ti hanno detto. Se vuoi mio padre conosce degli avvocati, potrei provare a parlargliene."
Ed è in quel momento che Simone vede davanti a sé non la nuova arrivata in classe, ma una persona che sa cosa significa soffrire e che, come lui, non vuole che altri soffrano.
"No, grazie, tanto non porterebbe a nulla."
"Se non ci provi non lo puoi sapere. Però sappi che è una scelta tua."
Ed è una cosa stupida realizzare che sì, la scelta è solo sua. Nessun fattore esterno, non suo padre né la scuola possono decidere se Simone denuncerà o meno.
In un mare in tempesta, dove la sua vita non gli era sembrata altro che sopravvivi o muori, questa è una scelta solo ed esclusivamente sua.
"Io..." inizia, senza saper bene come continuare.
"Ehi, prenditi il tempo per rifletterci. Ma sappi anche che qualsiasi cosa vorrai fare non sarai solo."
Ed eccolo di nuovo qua, a piangere perché qualcuno ha capito il suo dolore, non lo ha minimizzato ed anzi gli sta dando l'opportunità di fare qualcosa a riguardo.
Ed allora non può non buttarsi sulla ragazza ed abbracciarla e, dopo un attimo di esitazione, sente le braccia di lei stringerlo.
Rimangono così finché non le vibra il cellulare. È il padre preoccupato, e Simone coglie benissimo l'ironia, grazie tante.
Dopo che Viola dà l'indirizzo al padre, ritornano a guardare le stelle che ormai fanno capolino nel cielo blu.
Non c'è bisogno di altre parole.
Quando arriva la macchina di Nicola, Simone non ci pensa due volte a prendere Viola in braccio e portarla fino alla vettura, e lei non protesta, anzi gli posa il capo sulla spalla.
Dopo aver recuperato anche la sedia, Simone fa per andarsene, quando sente la manica del cappotto venire tirata, e si gira verso la ragazza.
"Ma che fai? Sali va, che incomincia a fare freddo e voglio tornare a casa."
"Ed allora lasciami?" dice Simone, anche se sembra più una domanda.
"Ho il motorino parcheggiato di là." indica una direzione che ad essere onesto non sa neanche se sia quella giusta.
"Se pensi che ti permetta di metterti alla guida in queste condizioni ti sbagli. Ora sali, ti porto a casa e poi domani torni a riprendertelo"
Simone avrebbe voluto ribattere, ma un'altra voce lo interrompe ancor prima di iniziare.
"Tu sei Simone, no? L'amico di Manuel? So già dove abiti. Sali che ti diamo un passaggio"
Simone allora accetta, per non sembrare scortese eh, non perché non riuscirebbe a distinguere la luce verde del semaforo da quella rossa.
"Abiti a casa di Manuel?" chiede la ragazza dopo essersi allacciata la cintura.
"No, in realtà è lui che vive a casa mia" risponde lui divertito.
Il viaggio verso casa continua silenzioso, con entrambi i giovani che guardano fuori dal finestrino e Nicola che lancia rapide occhiate alla "specie di fratello" di suo figlio.
Arrivano velocemente alla villa e Simone scende dalla macchina, dopo aver ringraziato ancora un paio di volte.
"Buonanotte, Simo. E, pensaci, ok?"
Si salutano così, con Viola che lo guarda serie, lui che annuisce piano e Nicola confuso.
Non fa neanche in tempo a chiudere la porta di casa che è assalito da un'ondata di ricci ribelli e giacca verde.
"Ao, ma dove cazzo sei stato? Vedi che se nun t'è successo niente de grave, te meno io, ah!"
Non ha la forza di rispondere, perché è a casa, in una villa che non ha mai ospitato la sua famiglia, o almeno non che lui lo ricordi. È a casa perché Manuel è lì, preoccupato ed arrabbiato, ma sempre accanto a lui.
E Manuel lo conosce, lo capisce, e gli toglie le mani di dosso, ma non si allontana. Studia attentamente il suo volto, poi lo prende per la manica e lo porta sul bordo della piscina, dove si siedono in silenzio, le gambe penzoloni ed i cuori pesanti.
"Vuoi dirmi che cazzo è successo?" sbotta Manuel, dopo un lungo silenzio.
Simone sospira. Non sa che cosa dire. Come si spiega alla stessa persona che ti ha insultato perché gay neanche sei mesi prima che ora il suo orientamento sessuale non è considerato un'aggravante abbastanza importante per un'aggressione?
"Niente Manuel, sono andato in ospedale per vedere il cretino di 5C, e poi ho incontrato Viola e abbiamo passato il pomeriggio insieme, tutto qui"
"Simò, smettila de dì cazzate che lo sai che n'e sopporto. Ch'è successo?"
Simone sa che dovrebbe mentire, minimizzare, non mostrarsi debole né sofferente. Ma non è mai riuscito a mentire a Manuel. Forse un giorno imparerà, ma quel giorno non è oggi. Allora fa un ultimo disperato tentativo.
"Mi crederesti se ti dicessi che mi sono incantato a guardare il cielo?"
"No, primo perché è palesemente 'na cazzata, e secondo perché a te il cielo fa schifo, troppo grande senza movimento. Preferisci guardare il mare, con la schiuma e le onde ed i pesci."
Vorrebbe ribattere, ma riflettendoci bene Manuel ha ragione, Simone odia la monotonia piatta del cielo. Solo che questo non lo aveva mai detto a Manuel.
"Come fai a saperlo?"
"Cosa che è 'na cazzata? Perché..."
Ma Simone non gli dà il tempo di distrarsi con le sue chiacchiere.
"No, scemo. Come fai a sapere che odio il cielo?"
Manuel sembra studiarlo per un lungo minuto, per poi distogliere lo sguardo.
"Eh, non lo so Simò, me sembri più 'n tipo da mare."
Manuel sta evitando l'argomento, e per quanto Simone vorrebbe insistere, lascia perdere il discorso. Ma solo per il momento.
Allora sbuffa e torna a guardare un punto indefinito davanti a sé.
"È successa una cosa, niente di grave, ma stavo a rosicà, così sono rimasto fuori a sbollire. Poi ho incontrato veramente Viola."
E come poco prima, anche Manuel deve percepire che Simone non ha voglia di parlare in quel momento. Allora si limita ad abbracciarlo per dargli conforto e calore. Simone gli sembrava così pallido al chiaro di luna, come una statua triste e sola.
Simone sente piano piano la stanchezza distendergli i muscoli e rallentargli i pensieri, e si rilassa tra le braccia dell'altro ragazzo.
Si potrebbe addormentare qui, ma sa che sarebbe peggio, anche se il solo pensiero di muoversi sembra impossibile. Così, si scosta leggermente dal corpo dell'altro e cerca di trovare la forza per alzarsi.
Manuel deve aver pietà di lui e, dopo essersi alzato, lo aiuta sù e lo porta praticamente di peso fino alla loro camera.
Simone usa le ultime facoltà fisiche e mentali per togliersi i vestiti e mettersi il pigiama e poi crolla sul letto.
Quando Manuel torna dal bagno, anche lui già in pigiama, trova Simone steso con ancora i piedi su pavimento e sopra le coperte. Sbuffa divertito, ma poi realizza che, se la giornata lo ha sfiancato fino a questo punto, qualcosa di grave deve essere successo, anche se Simone cerca di minimizzare. Si ripromette di farsi dire tutto la mattina, e poi si mette a lavoro per spostare quel testone sotto le coperte ed in un posizione più comoda.
Dopo essere riuscito nell'impresa, resta un attimo a guardare quel volto, ora disteso, e quei ricci arruffati.
Senza neanche accorgersene, si china e sfiora la sua fronte con le sue labbra, prima di ritirarsi. Non è esattamente imbarazzato, e si ripromette di riflettere anche sull'istintiva tenerezza che sente nei confronti del più giovane.
Ma tutto questo domani. Per ora c'è la sua branda che lo aspetta, e magari qualche sogno pieno di mare, di risate e di ricci ribelli.
#simone balestra#manuel ferro#simuel#ma perché non possono essere felici ed insieme?#potrei anche scrivere del confronto con Dante#chi lo sa#finto angelo x finto diavolo
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Saw you reblogging bunny lake is missing and i screamed because that film is so good yet so underrated and i have to ask what are your favorite problematic inc*st ships canon or subtext? I think it's so insane how this trope peaked with shadow of a doubt. Considering that film was released during the hays code like.... Yeah stoker was delicious but the original had this "repressed" feeling (due to the era ofcourse) that worked so well.
bunny lake caught me completely by surprise 😭 i thought it was just your average old british movie (larry olivier is in it….) but it just gets crazier and crazier. but ok. so, for movies, of course as you mentioned shadow of a doubt and stoker. visconti’s films, especially vague stelle dell’orsa 1965 and la caduta degli dei 1969 (the first one being loosely inspired by orestes and electra and the second, even more loosely, by hamlet and gertrude. both insane in their own ways), i pugni in tasca also from 1965, scarface 1932, haider 2014 (speaking of hamlet…), scalpel 1977, ginger snaps 2000, secret ceremony 1968. when it comes to books…. the winter prince (forever!!!!), we have always lived in the castle, sharp objects (and more so the tv show), my sweet audrina. and of course wuthering weights. but NOW. ships in things of varying quality…. caligula and drusilla in caligula 1979, cesare and lucrezia in borgia: faith and fear (which over the years i’ve grown to like more than its more famous counterpart in showtime tbh), dragon incest show (daemon/rhaenyra, otto/alicent and aemond/aegon are all <3 to me). these are the ones to come to mind.
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Selvatica - 44. Zingari
«Ferma la macchina.» Ante guardò il cellulare poi scrutò fuori dal finestrino mentre Rade accostava lungo il marciapiede.
«È questo il posto?» chiese Mario, voltando la testa indietro per guardarlo.
Quando la mattina aveva spiegato ai suoi due amici quello che stava succedendo e cosa aveva intenzione di fare nessuno dei due si era tirato indietro. Era felice che fossero lì, probabilmente da solo si sarebbe messo nei guai.
Emise un verso di approvazione e scese dalla macchina, attraversando subito la strada senza aspettare i due. I muscoli delle braccia cominciavano a indolenzirsi a furia di stringere i pugni per la tensione. Lo avrebbe fatto parlare, ma sperava di non perdere il controllo. Dopotutto era un calciatore di una delle squadre più importanti della serie A, non poteva permettersi di finire sui giornali per una cosa del genere, non voleva esporsi a quel tipo di circo mediatico né voleva compromettere la sua carriera.
«Allora che facciamo, lo pestiamo prima o dopo averlo fatto parlare?» Mario si stiracchiò e fece scrocchiare le dita, sghignazzando.
Ante accennò un sorriso. «Prima, durante e dopo.»
«Ragazzi, cerchiamo di non perdere la testa. Va bene?» Rade si guardò intorno. «Dov'è questo tizio?»
«Dentro al bar. Io entro, voi aspettatemi qui.»
Tutti e tre indossavano felpe scure e anonime, cercavano di passare inosservati. In quella zona della città c'era poco traffico e per le strade si aggirava un esiguo numero di ragazzi, qualcuno assiepato davanti al bar, altri seduti su gradini a bere e fumare.
Mario tirò su il cappuccio. «No, veniamo anche noi.»
«Non sarebbe meglio parlargli in un posto più appartato?» domandò Rade.
«Eccolo.» Ante fece un cenno del capo in direzione di Carmine. Era appena uscito dal bar, solo, e aveva preso la direzione opposta alla loro.
I tre si mossero insieme, agili, con gli occhi puntati sulla preda. Ante gli si accostò e lo spintonò in un vicolo. Aveva il cuore in gola, non era più sicuro di voler conoscere la realtà dei fatti. Però voleva dare una lezione a Carmine, voleva che capisse una volta per tutte di dover lasciare Corinna in pace. Questi, sorpreso, cercò di difendersi ma subito Mario gli fu addosso, bloccandogli le braccia.
Carmine curvò le labbra in un sorriso di scherno. «Guarda chi si rivede, e hai portato anche i tuoi amici zingari. Che cazzo vuoi?»
Ante lo fissò senza batter ciglio. «Perché non mi dici tu che cazzo vuoi da Corinna?»
«Io niente. Anzi, quella stronzetta mi ha stancato.»
«Ti ha stancato ma le giri sempre intorno. Cosa c'è, non riesci ad accettare il fatto che adesso sta con un altro?»
Carmine strinse gli occhi. «Non so cosa ti abbia detto, ma non mi scoperei quella ricciolina nemmeno se mi supplicasse in ginocchio di farlo.»
Lui serrò i pugni. «A cosa devo allora quelle gomme bucate?»
«Ah.» Carmine ridacchiò, cercando di divincolarsi dalla presa salda di Mario. «Quello è un regalino per Corinna.»
Il braccio scattò in avanti e le nocche affondarono nel volto di Carmine, un colpo secco e deciso, che centrò il setto nasale. Il sangue cominciò a uscire dalle narici, lui sputacchiò quello che gli era finito in bocca. «Figlio di puttana!»
«Cazzo, Ante! Andiamocene via, è pericoloso, se ci vedono siamo nella merda.» Rade gettò uno sguardo fuori dal vicolo, agitato e preoccupato dalla piega che stava prendendo la situazione.
«Rade, non rompere il cazzo» lo zittì Mario.
«Vattene se hai paura» rispose Ante, continuando a guardare Carmine negli occhi.
Rade borbottò qualcosa ma non si mosse.
«Abbiamo un problema. Corinna è la mia ragazza e io non tollero che altri le ronzino intorno, hai capito? Devi lasciarla in pace.»
Carmine sorrise, mostrando i denti sporchi di sangue. «Eseguo solo degli ordini.»
Mario tirò fuori dalla tasca un coltellino. La lama scintillò sinistra sotto le luci fioche del lampione. Lo puntò nel fianco di Carmine, scambiando un rapido sguardo con Ante. «Ci siamo stancati delle tue mezze risposte. Parla, o questa te la infilo nel rene.»
Carmine si irrigidì. Forse non si aspettava questo tipo di attacco e neanche Ante ma rimase imperturbabile.
«Io non ho fatto niente a Corinna, ho solo eseguito gli ordini del mio capo.»
«Che vuole da Corinna?»
Carmine ridacchiò e Mario premette la lama più a fondo. «Chi è il tuo capo? Chi cazzo è il tuo capo? Corinna è una escort?» sbraitò nell'orecchio di Carmine.
Ante impallidì un poco. Ci stava girando intorno, non voleva chiederlo direttamente ma Mario era andato dritto al punto. Trattenne il fiato.
«No, non è una escort. Se lo fosse stata non saremmo a questo punto. Sentite, quella ragazza si è infilata in un giro più grande di lei. E voi non potete farci niente.»
L'ansia abbandonò il corpo di Ante d'un colpo, trattenne un sorriso di sollievo. Una parte di lui in quelle ore di pensieri opprimenti si era sempre rifiutata di credere che Corinna potesse vendere il suo corpo per soldi e quella parte ora voleva gioire. Ma c'era ancora da capire tutto e lui doveva restare concentrato. Non era una escort e non era una ex di Carmine. «E allora che problemi ha con il tuo capo?»
«Soldi. Ha chiesto soldi al mio capo per sistemare i casini dei suoi genitori.»
Ante si trattenne dal tirare un altro pugno, questa volta contro il muro, per la frustrazione. Soldi? Tutti questi segreti per degli stupidi soldi? «Lo pago io il suo debito. Di quanto si tratta?»
Carmine sollevò le sopracciglia. «Povera ragazza, vero? Il padre morto ammazzato, la madre rinchiusa in una clinica... e tu sei il cavaliere dall'armatura scintillante che corre in suo aiuto. Non potrai mai ripagarlo.»
Arrivò a pochi centimetri dal suo volto e lo guardò truce. «Di quanto cazzo si tratta?»
Carmine scosse la testa e fece schioccare la lingua sotto al palato. «La tua amichetta ha fatto colpo sul grande capo, adesso lui la vuole e non si fermerà fino a quando non l'avrà avuta. Io gliel'ho detto, che le costava andare da lui e aprire le gambe? Invece no, fa la puritana e poi si fa scopare da uno zingaro come te.»
Ante lo afferrò per la gola e lo sbatté contro il muro. «Non ti permettere di parlare di lei in questo modo. Dì al tuo capo che Corinna non la deve toccare neanche con un dito, o lo faccio saltare in aria.» Si ripulì la mano dal sangue di Carmine sul pantalone e fece de passi indietro. «Lascialo» disse a Mario.
Carmine si tastò il naso rotto e con la mano spazzò via il sangue che aveva in faccia. «Questa me la paghi, zingaro di merda, figlio di puttana.»
«Non farti più vedere.»
Ante Mario e Rade uscirono dal vicolo. Ante si sentiva molto sollevato dal fatto che la sua ragazza non fosse stata una escort e che non avesse ceduto ai ricatti, ma era profondamente deluso perché non gli aveva parlato dei suoi problemi, non gli aveva detto niente di quello che stava passando e, cosa ancora più grave, non si era fatta aiutare da lui ma era andata a chiedere dei soldi a uno strozzino. Cosa credeva, che si sarebbe allontanato? Lui l'amava, cazzo! L'aveva amata sin dalla prima volta che aveva sfiorato le sue labbra, fin dal momento in cui aveva sentito il suo profumo e non ne aveva più potuto fare a meno.
«Si può sapere che ti dice la testa? Te ne vai in giro con un coltello?» Rade guardò Mario con gli occhi sbarrati.
Mario rise e tirò fuori il coltellino, facendolo scattare. «È finto, è di plastica» lo passò a Rade che se lo rigirò tra le mani. «Sembra vero, lo so, e ci ha fatto ottenere quello che volevamo. No?»
«Sì» rispose distrattamente Ante.
«Almeno sappiamo che Corinna non fa la prostituta.» Mario parlò con delicatezza, avendo capito quanto il pensiero che lei potesse essere una puttana lo avesse devastato.
«Sappiamo che è la brava ragazza che tutti credevamo. Si è solo trovata in un casino, ma adesso ci siamo noi, ci sei tu... la aiuteremo a uscirne. Perché hai quella faccia?» Rade afferrò Ante per un braccio, costringendolo a voltare il viso verso di lui.
Si sottrasse dalla stretta. «Perché non me lo ha detto. Non si è fidata di me, mi ha tenuto nascosta una cosa così grande. Che cazzo ci sta a fare con me?»
L'amico si passò le mani tra i capelli corti. «Ante, queste sono faccende delicate, magari...»
«Faccende delicate? Quindi cosa sono io per lei, niente?» sbottò, appoggiandosi con le braccia al tettuccio di una macchina. Lanciò un'occhiata alle nocche arrossate che cominciavano a fagli male. «Hai sentito che ha detto quel coglione? Che sua madre è in una clinica. Non mi ha detto nemmeno questo.»
Mario si accostò alla macchina. «Che ne dici se ti accompagniamo da lei? Così ne potete parlare.»
«No» disse Ante categorico. «Voglio stare da solo, devo riflettere.»
Aveva ignorato i suoi messaggi per tutta la giornata e aveva intenzione di continuare a farlo fino a quando non avrebbe deciso cosa fare.
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532. De Punhos Cerrados (I pugni in tasca, 1965), dir. Marco Bellocchio
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Durante la Mostra del Cinema di Venezia, Marco Bellocchio ha presentato il suo cortometraggio "Se posso permettermi - Capitolo II" e ha rievocato un aneddoto del 1965 riguardo al suo film "I pugni in tasca", che fu rifiutato dall’allora direttore del festival, Luigi Chiarini, per motivi politici. Bellocchio ha spiegato che Chiarini sosteneva Luchino Visconti, premiato con il Leone d’oro per "Vaghe stelle dell’Orsa", mentre il suo film non fu considerato idoneo. Tuttavia, due anni dopo, il regista fu invitato a presentare "La Cina è vicina", che vinse un premio, sottolineando l’influenza della politica nel settore cinematografico di quel tempo. Il corto "Se posso permettermi - Capitolo II" è una riflessione profonda e ironica sulla figura del 'perdente', un omaggio al fratello scomparso, Piergiorgio. Ambientato nella casa di famiglia a Bobbio, il film racconta la storia di Fausto, un uomo apatico che affronta visite surreali. Bellocchio ha affermato che Fausto gli ricorda suo fratello, che non si è mai integrato nella società e alla fine è morto senza pensione. Questo personaggio incarna valori intellettuali e una connessione con grandi figure della cultura italiana come Dante e Leopardi. Bellocchio ha descrito il processo di creazione del corto come un’esperienza divertente, con attori che hanno contribuito attivamente alle riprese. Ha girato il film nella casa in cui ha trascorso la sua infanzia e ha espresso il desiderio di vedere il film proiettato in una sala con il pubblico. Il cast include nomi come Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Rocco Papaleo e altri, con Leo che ha espresso gratitudine per l’opportunità di lavorare con Bellocchio e con i giovani attori, descrivendo l’esperienza come liberatoria. Durante una conferenza stampa, Bellocchio ha ricevuto il Premio Robert Bresson, e Davide Milani, presidente dell’Ente dello Spettacolo, ha elogiato il suo sguardo critico e libero nei confronti del mondo e dell'impegno a esplorare la realtà. Inoltre, il regista ha fornito un aggiornamento sulla sua attesa serie televisiva dedicata a Enzo Tortora, dichiarando che le riprese inizieranno tra 2-3 settimane. Questa serie sarà molto più complessa rispetto al corto, affrontando la vicenda del noto conduttore, ingiustamente accusato di camorra. Bellocchio ha accennato che mentre il corto è stato realizzato con leggerezza e in un periodo breve, la serie richiederà più tempo e impegno. Con il suo corto e la imminente serie su Tortora, Bellocchio continua a rappresentare una voce significativa nel panorama cinematografico italiano, affrontando temi complessi e sfide artistiche con determinazione e creatività.
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Roma: ordinanza cautelare a carico di due uomini di 29 anni per tentata rapina aggravata e lesioni personali
Roma: ordinanza cautelare a carico di due uomini di 29 anni per tentata rapina aggravata e lesioni personali. Continua l'attività della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica, volta a contrastare i reati predatori, che inficiano la percezione di sicurezza dei cittadini. Gli agenti della Polizia di Stato del commissariato Esquilino hanno eseguito un'ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti di due 29enni originari di Tivoli, gravemente indiziati di tentata rapina aggravata e lesioni personali nei confronti di un uomo. I fatti risalgono allo scorso 10 marzo, data in cui gli investigatori di via Petrarca hanno raccolto le dichiarazioni di una vittima di tentata rapina perpetrata poco prima. La stessa, nello specifico, ha riferito che mentre rientrava, nel cuore della notte, all'interno dell'androne del palazzo in cui abitava, è stato aggredito alle spalle da due uomini con molteplici pugni al volto e al torace al fine di sottrargli gli effetti personali. Ne è nata una vera e propria colluttazione, nel corso della quale i due aggressori sono riusciti a strappare la tasca della giacca, frugando poi all'interno, senza tuttavia riuscire ad asportare nulla. La vittima, nel tentativo di difendersi, ha morso un dito ad uno dei due uomini e colpito con un pugno l'altro, ferendolo con le chiavi che aveva in mano. I due aggressori pertanto, non riuscendo nel loro intento, sono fuggiti facendo perdere le proprie tracce. Il rinvenimento di un telefono cellulare in via Mecenate, una delle strade limitrofe al luogo del fatto, che i due uomini hanno percorso durante la fuga, insieme ad altri riscontri investigativi, ha permesso di identificare i due aggressori. Le indagini, coordinate dalla Procura di Roma, hanno consentito al PM di chiedere ed ottenere, dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma, l'emissione di una misura cautelare a carico dei 29enni. Mentre l'ordinanza è stata notificata inizialmente solo a uno dei due uomini, il complice si è reso irreperibile ed è stato rintracciato il giorno dopo a Tivoli. Durante le indagini volte al rintraccio del secondo destinatario della misura è stata inoltre perquisita a Palombara Sabina l'abitazione di un 49enne amico del "ricercato" il quale avrebbe aiutato il 29enne a nascondersi. All'interno del veicolo di proprietà di quest'ultimo, è stata rinvenuta sostanza stupefacente del tipo marijuana e hashish per un totale di circa 90 grammi. L'uomo è stato arrestato per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente. La Procura di Tivoli ha chiesto ed ottenuto dal GIP la convalida dell''arresto. A suo carico è stata inoltre inviata alla Procura un'informativa di reato per favoreggiamento.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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A Cannes arriva Rapito di Marco Bellocchio, dal film al libro
Cresciuto in una famiglia di stretta osservanza cattolica, “educato dai barnabiti ma dichiaratamente ateo (basta scorrere i suoi film, fin dai Pugni in tasca e Nel nome del padre, per capire il suo rapporto con la religione cattolica e le sue pratiche), Marco Bellocchio ha visto in questa storia la possibilità di affrontare i nodi la Famiglia, la Chiesa, il Potere che da sempre sono al centro del…
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