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Strage Suviana, i sommozzatori hanno trovato i corpi di due dispersi
Strage Suviana, i sommozzatori hanno trovato i corpi di due dispersi. I sommozzatori dei vigili del fuoco hanno individuato i corpi di due dei quattro dispersi a causa dell’esplosione nella centrale idroelettrica Enel di Suviana. Il bilancio sale così a cinque vittime. Alla centrale idroelettrica di Bargi «la prima priorità è la ricerca dei dispersi. Non ci siamo fermati un attimo e non ci fermeremo». Lo ha detto il capo della Protezione civile nazionale Fabrizio Curcio. «Lo scenario è molto complesso, è una di quelle situazioni che ha richiesto l'attivazione di tutti i livelli di protezione civile. È uno scenario insolito con l'esplosione e i solai compromessi e le macerie. Questo ha richiesto la necessità di attivare tutto il sistema ma è un momento di condivisione con tutte le strutture operative», ha aggiunto. I soccorritori hanno riportato scenari da incubo: «Uno degli interventi più difficili che sia stato chiamato a gestire nella mia carriera», ha affermato Giuseppe Petrone, responsabile nazionale del servizio sommozzatori dei Vigili del fuoco e che coordina tutte le squadre di soccorso. I suoi uomini procedono sott'acqua e al buio. «Ci sono accertamenti in corso sugli appalti e i subappalti, abbiamo dato una delega per questo. Non è che il subappalto di per se stesso è un problema, è una figura giuridica prevista dal codice civile a cui tradizionalmente si ricorre per avere personalità specifiche. Non deve essere vista in ottica pregiudizialmente negativa, lo sguardo verso le competenze non deve essere ideologico. Qui noi valuteremo le condizioni delle ditte e se dal punto di vista normativo, di prevenzione e infortunistica è stato fatto tutto». Lo ha detto il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato, nel corso di un punto stampa sulla strage di Suviana. «Non c'è nessuna catena di subappalti. Le aziende hanno scelto in autonomia. Non meritiamo questo tipo di affermazioni». Lo ha detto l'amministratore delegato di Enel Green Power, Salvatore Bernabei, durante il punto stampa.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Myrta Merlino assente a Pomeriggio 5: cosa è successo Myrta Merlino non ha condotto Pomeriggio 5 oggi ed ecco che subito si sono scatenati pettegolezzi, voci, sospetti. Cosa è successo? Perché la conduttrice non era al timone del programma che le è stato assegnato dai vertici Mediaset a inizio stagione? Era già accaduto un'altra volta in questa stagione televisiva che la conduttrice fosse sostituita e in quel caso il motivo era stato un attacco influenzale. A prendere il suo posto era stato anche in quell'occasione Giuseppe Brindisi, attuale timoniere di Zona Bianca e giornalista che ha preso il posto di Andrea Giambruno subito dopo lo scandalo che lo aveva travolto. Anche oggi ad accogliere i telespettatori di Canale 5 nella fascia pomeridiana è stato lo stesso Giuseppe Brindisi. Quali sono i motivi dell'assenza di Myrta Merlino? C'è chi ha ipotizzato teorie che coinvolgono le voci su una sua presunta sostituzione a fine stagione, ma la realtà sarebbe molto più normale e quotidiana. Secondo Davide Maggio, esperto di gossip e tv, infatti si sarebbe trattato di un'assenza programmata. Myrta Merlino avrebbe semplicemente chiesto due giorni di permesso per motivi familiari. La prossima assenza dovrebbe portare la data dei primi di aprile. Nulla di insolito, quindi. Anche se le voci in merito a una sua possibile sostituzione alla guida di Pomeriggio 5 a partire dall'inizio della prossima stagione continuano ad essere insistenti: Veronica Gentili e Cesara Buonamici sarebbero in pole position per prendere il posto di Myrta Merlino.
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Christmas Town, Teatro d'Autore, Mercatini: cosa fare a Catania per l'Immacolata e nel weekend
Il Natale si avvicina a Catania, con una serie di eventi imperdibili dall'Immacolata fino a domenica 10 dicembre. Venerdì 8 dicembre sarà l'inaugurazione del grande parco tematico 'Christmas Town' alle Ciminiere, regalando magia sia ai grandi che ai piccini. Al Monastero dei Benedettini ci sarà una divertente 'Caccia al tesoro', mentre alla Nuova Dogana si potrà vivere 'Natale all'Accademia degli Elfi'. Ma c'è spazio anche per la beneficenza, con l'opportunità di acquistare una stella di Natale AIL o un panettone per sostenere Emergency. Lo spettacolo non manca, con Panariello e Masini al Metropolitan, 'Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'Agosto' al Teatro ABC, e 'Una notte ad Amsterdam' al Piccolo Teatro della Città. **'Christmas Town' alle Ciminiere dall'8 al 30 dicembre** Il primo parco tematico del Sud Italia, 'Christmas Town', sbarcherà alle Ciminiere dall'8 al 30 dicembre, offrendo un'esperienza unica con pista di pattinaggio, aree-gioco Lego, PlayMobil, Disney Princess, e tanto altro. Un viaggio emozionale con luminarie, giostre, e oltre 150 animatori. **Panariello e Masini in 'Lo strano incontro' al Teatro Metropolitan** Venerdì 08 dicembre al Teatro Metropolitan, 'Panariello-Masini' con lo spettacolo 'Lo strano incontro'. L'incontro strano tra Panariello VS Masini continua a conquistare il pubblico, promettendo una serata di risate e divertimento. **Caccia al tesoro di Natale 2023 al Monastero dei Benedettini** Venerdì 8 dicembre al Monastero dei Benedettini, parte la 'Caccia al tesoro di Natale 2023'. Bambini e famiglie si avventureranno tra gli imponenti archi monastici risolvendo enigmi per trovare il tesoro nascosto. **'Accendi una stella AIL' - Adotta una pianta per la ricerca** Dal 8 al 10 dicembre, supporta la ricerca acquistando una stella di Natale AIL o un panettone a sostegno di Emergency. Trova i volontari di AIL in varie piazze di Catania e provincia. **Spettacolo 'Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'Agosto' al Teatro ABC** Dal 8 dicembre, al Teatro ABC, 'Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'Agosto' con Giuseppe Zeno ed Euridice Axen. Una nuova interpretazione del celebre film di Lina Wertmüller. **'Un Panettone fatto per Bene': a Catania con Emergency dal 7 al 10 dicembre** Dal 7 al 10 dicembre, supporta Emergency acquistando il 'Panettone fatto per Bene' nelle piazze di Catania. Un modo delizioso per contribuire concretamente alla solidarietà. **Gjmala: il villaggio di Babbo Natale tra i dromedari** In occasione dell'Immacolata, visita il parco Gjmala tra dromedari, tartarughe giganti, e un Villaggio di Babbo Natale per i più piccoli. Corsa ai sacchi, trucca bimbi, pesca a sorpresa e mostra faunistica renderanno la giornata speciale. **Spettacolo 'Una notte ad Amsterdam' al Piccolo Teatro della Città** Il 9 e 10 dicembre al Piccolo Teatro della Città, 'Una notte ad Amsterdam', uno spettacolo che racconta l'incontro tra Tommaso e Queen nella capitale olandese. Un'esperienza da non perdere. **Catania Vinile al Centro Sicilia** Dal 8 al 10 dicembre al Centro Sicilia, un evento per gli amanti della musica con vinili, CD e MIX. Esplora generi musicali diversi e unisciti a una community appassionata. **Catania segreta e la macchina del tempo** Scopri la Catania segreta con un itinerario insolito, guidato dalla turista Vanessa Motta. Percorri vicoli, cortili e siti archeologici nascosti, immergendoti nei quartieri autentici di Catania. **Laboratorio per bambini: Il villaggio di Babbo Natale** A Parco Paternò del Toscano, un laboratorio per bambini per costruire il Villaggio di Babbo Natale. Ogni bambino contribuirà con la propria "tessera" alla creazione dell'intero villaggio. **Mineo si prepara ad accogliere "Gli atelier dell'olio d'oliva" il 7 e 8 dicembre** Il 7 e 8 dicembre a Mineo, evento dedicato all'olio d'oliva organizzato da La Città Felice Onlus. Un'occasione per esplorare la cultura, la solidarietà e la sostenibilità legate al territorio. **Natale in Piazza Mazzini** Dall'8 al 29 dicembre, 'Le Pulci di Città' e 'I Viandanti Benessere e Spiritualità' animano Piazza Mazzini con eventi e laboratori natalizi. **Etna, escursione alla Grotta dei Rotoli e alla Grotta della Neve** Un trekking alla scoperta di due grotte dell'Etna, la 'Grotta dei Rotoli' e la 'Grotta della Neve', con la guida naturalistica Antonino Di Grazia. Un'esperienza vulcanologica unica. **'Natale all'Accademia degli Elfi' alla Nuova Dogana** Venerdì 8 dicembre, presso la Nuova Dogana, 'Natale all'Accademia degli Elfi' con animazione, laboratori per bambini e spettacoli. Un evento di beneficenza con ingresso gratuito. Read the full article
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In onore del funzionario parlamentare - di Giuseppe Sacco
E’ un dato che va di per se stesso registrato positivamente, che uno o più funzionari del Senato abbiano avuto la capacità e il coraggio, francamente insolito con l’aria che tira attualmente non solo in Italia ma in tutta Europa, di esprimere dati alla mano un parere che non è piaciuto ad una piuttosto assertiva forza politica di governo. Anche se non è detto che ciò si applichi anche al…
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Assistir Filme Destino Insólito Online fácil
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Destino Insólito - Filmes Online Fácil
Um magnata da indústria farmacêutica, Anthony "Tony" Leighton (Bruce Greenwood), é casado com a bela e extremamente arrogante Amber (Madonna). Tony alugou uma embarcação para, junto com a mulher e alguns amigos, fazerem um cruzeiro da Grécia até a Itália. Porém nada faz Amber feliz, com ela implicando especialmente com Giuseppe Esposito (Adriano Giannini), um pescador que está trabalhando no navio. Um dia Amber descobre que seu marido e a maioria dos seus convidados pegaram um bote para fazer um passeio nas cavernas das ilhas. Ela fica irritada e ordena que Peppe desça outro bote, apesar dele avisá-la que o momento não é uma boa hora, por causa das correntes. O temor de Peppe logo se concretiza, pois o motor do bote quebra. Para piorar ele e Amber brigam por um sinalizador e acabam dando um tiro, que fura o bote.
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GRAZIE INFINITAMENTE A TUTTI, SIETE STATI SPLENDIDI!!!
Sabato 5 Settembre 2020 siamo riusciti in un'impresa dura dopo tutti i seri problemi creati dal Coronavirus in Italia e nel mondo! Abbiamo fatto la cerimonia di premiazione della 5^ Edizione del Premio di Poesia, Narrativa e Testi per una Canzone "La forza dei sentimenti" in un clima armonioso ed intriso come sempre di arte pura ed elevata! L'Associazione culturale e teatrale "Luce dell'Arte" ringrazia più di ogni anno tutti gli artisti vincitori che sono intervenuti per renderci orgogliosi del nostro paese di grande cultura, lo hanno fatto con serenità e gioia, nonostante le restrizioni legate al Covid e per questo meritano un applauso commosso.Grazie dal profondo del cuore a tutta la Giuria di qualità, alla Giuria popolare, al fotografo ufficiale dell'associazione e a quanti hanno reso memorabile e leggero questo evento rinviato ad aprile 2020 per il lockdown! Un grazie immane anche a chi ci ha concesso di rendere possibile tutto ciò, concedendoci la sala a Roma con le dovute precauzioni e burocrazia coronavirus! Un caloroso saluto a tutti e ancora una volta viva l'Arte, l'unica, vera vincitrice di ogni sfida nella vita!
#presentatrice Carmela Gabriele#Associazione Luce dell'arte#Premio La forza dei sentimenti#alex di vito#andrea santaniello#giuseppe insolito#leon marchi#milena ziletti#leone caterina#giuria popolare#giuria di qualità#premi letterari roma#canzoni#pittura#narrativa#poesia#fotografia#teatro
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Giuseppe Porcheddu, illustratore dei sogni
Giuseppe Porcheddu, illustratore dei sogni
Un disegnatore dallo stile insolito, che visse un’esistenza particolare nella Torino del primo Novecento… Giuseppe Porcheddu nacque il 1 maggio 1898 a Torino, dove il padre Giovanni Antonio aveva aperto uno studio professionale per la creazione di conglomerati in calcestruzzo armato, grazie alla concessionaria esclusiva in Italia del brevetto Hennebique. (more…)
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ADORAZIONE DEI PASTORI
Nome🌼: adorazione dei pastori
Autore🌼: hugo van der goes
Data🌼: 1480
Materiale e tecnica🌼: olio su tavola
Contesto attuale🌼: è un'opera che risale all'ultima fase creata dell'artista, e presenta un formato insolito: per questo fu ritenuto essere la pala inferiore di un retablo, ossia una pala d'altare, ipotesi che oggi appare improbabile.
Stile e descrizione🌼: la scena è impostata in modo molto originale e mette in scena una vera e propria sacra rappresentazione. Ai lati i profeti Isaia e Geremia infatti discostano una sorta di tenda-sipario e invitano lo spettatore ad assistere al prodigio religioso. La culla del Bambino Gesù, al centro e in prospettiva intuitiva, è attorniata da una serie di figure che lo pregano, come Maria e Giuseppe, angeli, il bue e l'asino, e una serie di pastori che varca la soglia della capanna togliendosi il cappello e inginocchiandosi.
Collocazione attuale🌼: Gemäldegalerie, Berlino
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Elio Ciol, un fotografo contadino
di Andrea Scandolara
-- Novant’anni all’anagrafe e 75 dedicati alla fotografia: soltanto Elio Ciol ha queste caratteristiche. Figlio d’arte ha cominciato a fare fotografia a 15 anni nello studio del padre, a Casarsa nella piana friulana, ma dopo ne ha fatta di strada anche se si è fermato nel paese natale. E’ un fotografo prevalentemente naturalista, paesaggista e di architettura, ma non solo; i suoi lavori sono esposti nelle maggiori gallerie e nei migliori musei del mondo, per non parlare dei meritati riconoscimenti che lo rendono famoso più all’estero che in Italia; ma qui non si vuole ripercorrere una biografia che merita ben altri spazi.
© Elio Cio, ln attesa - San Giovanni di Casarsa, 1959 (Coll.G.Millozzi)
Le immagini di Elio Ciol sono note a tutti e non si smetterebbe mai di ammirarle; molte foto colpiscono per quel bianco e nero insolito dato dalla pellicola all’infrarosso che lui usa sin dagli inizi della sua carriera. E’ stato Ciol stesso a spiegare il perché. Alla fine della guerra le forze militari alleate avevano cominciato a svendere ogni cosa dei loro rifornimenti che non serviva più; così il nostro fotografo, allora sedicenne, aveva comperato un grosso rotolo di pellicola che poi avrebbe dovuto tagliare per adattarla al formato della sua macchina 4,5x6 cm: ma era una pellicola all’infrarosso, gli americani la usavano per la fotogrammetria aerea ricavandone negativi da cm 24x24. Ciol sin dai primi scatti di paesaggi resta affascinato dalla resa tonale, serendipity diremmo oggi, che contribuisce a collocare il soggetto fuori dal tempo ed esalta la bellezza della natura che lui vuole sottolineare; l’infrarosso tende a distanziare la rappresentazione dal soggetto.
© Elio Ciol, Sogni di prosperità - Morsano al Tagliamento, 1985 (Coll. G.Millozzi)
Giuseppe Turroni a questo proposito scrisse: “Tecnica e arte, secondo la concezione classica, procedono in Ciol di pari passo. La tecnica non diviene mai tecnicismo fine a sé stesso, e l’arte, dato che di arte si deve parlare per le opere fotografiche di Ciol, non assume mai le valenze aride e pretestuose dell’astrazione, della forzatura intellettualistica, del formalismo perentorio e grossolano.” (1)
Il paesaggio, nella serie Sculture e disegni nella campagna friulana, è una contemplazione della bellezza della natura, tema quanto mai attuale dopo Greta Thunberg, dove a volte i tronchi dei gelsi e le ombre assumono sembianze quasi antropomorfe e comunque evocano la presenza dell’uomo in un panorama ben più profondo di lui. A volte non ci si accorge della scala di lettura facendoci precipitare in un contesto ideale ben diverso da quello rappresentato. Lui vuole vivere “dove lo spazio è tutto ciò che ti circonda, dove regna un silenzio non artefatto ma naturale”. Qualcuno l’ha accostato ad Ansel Adams ma quando poi lui ha affermato di voler “fotografare soprattutto il paese dell’uomo” qualcun altro ha visto un accostamento a Paul Strand, autore di riferimento a metà degli anni ’50 del Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia a cui Ciol aveva aderito.
© Elio Ciol, Viti come disegni - M. Ramandolo, 1996 (Coll. G.Millozzi)
Ma forse Ciol è un’altra cosa, e cerca di farcelo capire quando dice: “Credo che la bellezza esista ovunque e che ciascuno può documentarla e comunicarla se la sa davvero guardare. Ciascuno di noi è stato posto al centro dell’infinito per poterlo osservare.” Per dirla con Paul Valèry, “un’opera d’arte dovrebbe sempre insegnarci che non avevamo veduto quello che vediamo”.
A lui interessa raccontare la bellezza e la dignità della sua terra e della sua gente. E’ un segno della sua friulanità?
Ancora Turroni (1): “Il Friuli ci viene incontro con una dolcezza pulsante e vibrante, secondo forme che la nostra immaginazione non aveva mai tenuto in considerazione. E’ come se vedessimo per la prima volta quei campi lavorati, quegli alberi, quei cieli, quelle nuvole, che altri avevano rappresentato con modi più comuni, anche se non banali e stereotipati. E’ come se Ciol inventasse la sua terra.” E Ciol aggiunge: ”Il senso religioso per me vuol dire contemplare, cioè sentire, verificare, vedere, vivere la realtà del mondo.” Carlo Sgorlon, friulano anche lui, sostiene che nelle sue fotografie “si trova una mescolanza di panteismo istintivo e di cristianesimo di superficie.” E aggiunge: “Ciol ha conservato intatta una componente culturale che gli uomini di oggi vanno perdendo, ossia il sentimento del rapporto tra l’uomo e la natura, anzi tra l’uomo e l’universo.” … “Ciò che egli sottolinea, con le sue splendide fotografie, è l’umiltà dell’uomo nei confronti della natura e le dimensioni sterminate dell’universo.” (2)
© Elio Ciol, Il teatro: orchestra ed edificio scenico - Palmira, 1996
Bastano questi motivi per dire che Ciol non è un fotografo di denuncia, non è un neorealista come i suoi colleghi all’inizio della carriera, nel paesaggio raramente si scorgono figure umane e se ci sono queste ultime non fanno parte del soggetto.
Come si diceva, più volte è stato accostato ad Ansel Adams, quasi suo contemporaneo, tanto che nel 1988 ha voluto fotografare proprio quel tempio naturale dello Yosemite National Park tanto amato da Adams. Ma le differenze sono troppe per giustificare questo accostamento, frutto forse di un’analisi superficiale: la sola comunanza del soggetto non basta per suggerirlo. Adams predilige l’idea di un paesaggio tattile, i dettagli pare di poterli toccare, Ciol “esprime un concetto di paesaggio in formazione e in lotta, che vive cercando la luce…” (3)
Ma l’analisi più limpida dei lavori di Elio Ciol è quella di Fabio Amodeo che ha cercato di collocare il nostro autore in un ben preciso momento storico. Partendo da Roland Barthes quando sostiene che la fotografia sia un intercettatore cronologico che ci costringe a raffrontarci con il trascorrere del tempo (la distanza dal momento dello scatto della foto che stiamo guardando) ha osservato che per conoscere il tempo degli scatti di Ciol bisogna leggere la didascalia. “Nelle immagini non ci sono mai elementi che possano concorrere a datare le fotografie. Le sue immagini non sono moderne, neppure antimoderne o postmoderne. Le foto di Ciol sono amoderne: appartengono a un mondo da un respiro più lento, imparentato con la crescita degli alberi, non con i ritmi che ci sono abituali. Ci portano in un altro ritmo temporale, non in un altro tempo.” (4)
Un fotografo contadino, potremmo dire.
Auguri Elio per i tuoi novant’anni, continua a farci sognare!
© Elio Ciol, La densità del silenzio-Assisi, 2009 (Coll. G.Millozzi)
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(1) Elio Ciol, Ascoltare la luce, Libreria Editrice IL LEGGIO, 2003
(2) Carlo Sgorlon, Elio Ciol, Cinquant’anni di fotografia, Federico Motta Editore, 1999
(3) Ian Jeffrey, Elio Ciol, Cinquant’anni di fotografia, Federico Motta Editore, 1999
(4) Fabio Amodeo, Elio Ciol, Ascoltare la luce, Libreria Editrice IL LEGGIO, 2003
http://www.zam.it/biografia_Elio_Ciol
#elio ciol#casarsa#giuseppe turroni#greta thunberg#ansel adams#paul strand#gruppo friulano per una nuova fotografia#paul valéry#carlo sgorlon#fabio omodeo#roland barthes#andrea scandolara
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Mycomics gr
#Mycomics gr full
Sinister, and devious supervillain in history - Doctor Doom! September is DOOM Month here at mycomicshop as we celebrate the most diabolical, The son of Mar-Vell’s triumphant return may be cut short as our young hero catches the “Eye of the Titan?!” This Week's Features Genis-Vell: Captain Marvel (2022 Marvel) #2A If we don't, add it to your want list and we'll If you're looking for a hard to find back issue, we probably have it. Alfred Prufrock” by T.S.Comic Books: Buy, Sell, Trade, Consign, Collect Les aventures de Marcel Proust : À la recherche du temps perdu.Il cognome insolito e con la stessa iniziale del nome è chiaro indice della sua origine: trovatello del Brefotrofio di Milano o, come si usava dire, figlio dell’Ospedale o figlio di Santa Caterina, poiché il brefotrofio dipendeva dall’Ospedale Maggiore e si trovava nell’ex convento di Santa Caterina alla Ruota. Il primo di questi fu Pietro Colombo, venticinquenne morto il 2 dicembre 1915 per malattia nell’ospedale da campo 230 a Langòris (ora detta Angòris) nei pressi di Cormòns, mentre il primo caduto “per ferite riportate in combattimento” fu Simeone Silci, la cui storia è molto speciale. Nel corso della guerra furono chiamati alle armi 286 suoi cittadini delle leve dal 1876 al 1900 e 34 di loro persero la vita. Identificato il compagno morto?īorsano, che oggi è frazione di Busto Arsizio, durante la Grande Guerra era un piccolo comune con meno di duemila abitanti. (To see my comics adaptation of Veglia, and other WWI poems by Ungaretti, both in the original Italian and in English translations by Sonzogni and Woods, click here: ) At the age of 23 he married Adele Caprioli, and left three children behind at the moment of his death, which probably occurred in the early evening of December 22, 1915, while on a patrol mission.įor those of you who read Italian, I have posted Mario Colombo’s moving and exhaustively researched article below: A foundling in the Brefotrofio (foundling institute) in Milan, Silci was adopted by the family of Giovanni Puricelli, a weaver in Borsano. As Colombo demonstrates in the article below, the soldier was almost certainly Simeone Silci, a 33-year-old man from Borsano who was drafted into the 19th Infantry Regiment, into which Private Ungaretti had enlisted as a volunteer. “Veglia” takes its inspiration from this grisly experience, a prolonged close encounter with death that is nevertheless transmuted by the poet into a tenacious celebration of life.Īs a result of my creation of a comics adaptation of an English translation of “Veglia” by Marco Sonzogni and Ross Woods of the New Zealand Centre for Literary Translation, I was recently contacted by Mario Colombo, a native of Borsano (Busto Arsizio) in Northern Italy, who, after much in-depth investigation, believes he has discovered the identity of the dead soldier next to whom Ungaretti held his macabre vigil.
#Mycomics gr full
The 27-year-old poet had spent the previous night in a trench atop Monte San Michele (near the present-day Italian-Slovenian border), under a full moon, next to the body of a recently killed comrade. One hundred years ago today, on the 23rd of December, 1915, Giuseppe Ungaretti wrote what would become one of the most famous Italian poems of the First World War, the very short but infinitely moving “Veglia” (“Vigil”).
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Alessandrina Massini Ravizza
https://www.unadonnalgiorno.it/alessandrina-ravizza/
Filantropa, emancipazionista, pioniera di tante battaglie civili, una vita spesa per il sociale, questo e tanto altro è stata Alessandrina Ravizza. Fu protagonista di quella nuova corrente di filantropia laica, che si differenziava dalla beneficenza perché finalizzata al riscatto materiale della popolazione.
Nacque nel 1846 col nome di Alessandra Massini a Gatčina, in Russia, da padre milanese e madre tedesca. Cresciuta in un ambiente cosmopolita, arrivò a conoscere otto lingue. Visse in Belgio e poi a Locarno, prima di trasferirsi a Milano nel 1863. Qui conobbe l’ingegnere Giuseppe Ravizza che sposò quando aveva vent’anni e da cui prese il cognome con cui è passata alla storia.
Ereditò la visione politica e i metodi di lavoro dalla conoscenza e collaborazione con donne straordinarie come Laura Solera Mantegazza e Ersilia Bronzini Majno, organizzatrici infaticabili di iniziative umanitarie, patriote e filantrope emancipazionista. Intraprendenti realizzatrici di opere assistenziali che avevano il fine di trasformare le coscienze per rigenerare la società intera, su basi di giustizia e uguaglianza sociale.
Colta, generosa, comunicativa, Alessandrina Ravizza seppe coinvolgere nelle sue imprese persone di ogni ambiente e classe.
Aderì alla Lega femminile milanese e poi alla Società pro suffragio, che si batteva per il voto alle donne. Fu tra le organizzatrici dell’Unione Femminile Nazionale, collaborando anche al periodico dell’associazione Unione femminile.
Attivando la partecipazione collettiva, riuscì a trasformare iniziative nate con fondi irrisori in imprese modello e spesso prospere. Sostenne numerose iniziative riformiste e vari istituti pionieristici nel campo dell’assistenza, come la Scuola professionale femminile, che consentì a molte giovani della piccola borghesia l’accesso a lavori qualificati; la Scuola laboratorio per adulti e bambini sifilitici dove le prostitute potevano studiare e apprendere un lavoro e i bambini ricevere le cure di maestri sensibili, in un clima affettuoso e rilassato; la Cucina per ammalati poveri, punto di riferimento di emarginati ma soprattutto di adolescenti sbandati e delinquenti, che trovarono in lei una confidente e una protettrice; il Magazzino cooperativo benefico e l’Ambulatorio medico gratuito, che offriva anche assistenza ginecologica alle donne più povere, nel quale prestarono la loro collaborazione le prime mediche italiane come Anna Kuliscioff e Emma Modena.
Nel 1901 fu tra le fondatrici dell’Università popolare, sorta per diffondere la cultura tra le classi più povere.
Nel 1906 venne assunta dalla Società Umanitaria con l’incarico di direttrice della Casa di lavoro, un istituto che aveva il compito di offrire a persone bisognose e disoccupate la possibilità di migliorarsi attraverso l’istruzione e il lavoro. Questa fu l’attività a cui si dedicò con maggiore intensità occupandosi praticamente di tutto, organizzare i corsi, selezionare il personale, procurare i finanziamenti, dirimere le liti interne, e soprattutto difendere l’istituto dagli attacchi di coloro che, in nome del profitto, avrebbero voluto chiuderlo.
Per trovare fondi, nel 1911 con la collaborazione di alcuni giovani artisti futuristi (Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo) organizzò l’Esposizione d’arte libera, una grande mostra dal formato insolito, non una vetrina di artisti famosi, ma una manifestazione che aveva lo scopo di «mostrare che il senso artistico, ritenuto privilegio di pochi, è innato nella natura umana. L’esposizione raccolse oltre 800 opere di circa 400 autori: accanto ad artisti di fama, c’erano illustratori e cartellonisti, ma anche operai (scalpellini e decoratori) e perfino qualche bambino.
Negli ultimi anni della sua vita si confrontò con il disagio per l’avvento di un’epoca dominata dal denaro, dall’antagonismo sociale, dalla fine della solidarietà umana. Nel 1913 la Casa di lavoro dovette chiudere i battenti e per la donna, già malata da tempo, questo fu un colpo di grazia.
Negli ultimi anni della sua vita pubblicò racconti ambientati nei bassifondi di Milano, dando prova di una scrittura efficace e toccante.
Morì il 22 gennaio 1915.
La scomparsa della donna più popolare di Milano fu commemorata solennemente al Teatro del Popolo della Società Umanitaria il 21 marzo dello stesso anno, presero la parola numerose personalità del mondo della cultura, tra cui l’amica di tutta una vita, la scrittrice e poetessa Ada Negri che disse: L’umanità le fu croce da portare sulle spalle: portò questa croce cantando, con la splendente serenità delle vocazioni altruistiche. “Non c’è nulla di impossibile” era il suo motto.
Alessandrina Ravizza per tutta la vita ha combattuto la retorica, la filantropia dell’elemosina e il culto della propria eccezionalità.
Nella sua intensa vita non ebbe paura di nulla, nemmeno di scontrarsi con la disperazione più nera, di accovacciarsi tra prostitute e ammalate di sifilide e di prendere sotto la sua protezione i piccoli manigoldi che preferivano il coltello al gioco della palla. Manteneva le sue promesse e gli impegni presi a costo di mettere in gioco la propria salute, in nome dei diritti naturali universali, propri di ogni essere umano.
È stata una figura antesignana della moderna concezione della politica sociale.Il Comune di Milano le ha intitolato un parco pubblico nella zona sud della città, vicino all’Università Bocconi.Così la ricordava l’amica Sibilla Aleramo, su L’Unità l’1 agosto 1946: “La sua anima aveva un vigore, una tenacia, una passione, un’originalità non inferiori a quelle adoperate da un Michelangelo nel lungo esercizio del proprio genio. (…) Venne subito assalita dalla necessità imperiosa di agire, di non passare oltre: un senso di responsabilità s’era destato nella sua coscienza e non cessò mai più di tormentarla”.
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Poi le «difese passive» come «porte blindate e antifurti». Non fornire «indicazioni su viaggi e vacanze serve di certo» e in caso di partenze «è importante chiedere a familiari e persone di fiducia di passare a casa, dando l'impressione che non sia vuota».
Per il questore resta però decisiva la chiamata al 112 in caso di sospetti: «In quest'indagine sono stati importanti i controlli attivati dopo che in un palazzo ci hanno detto del passaggio insolito di gente mai vista».
10 feb 2021 10:43
MOLTI FURTI, MOLTO ONORE - RAID, SEGRETI, REGOLE MILITARI DELLA BANDA DI GEORGIANI CHE SVALIGIAVANO LE CASE DEL NORD ITALIA - LA LORO BASE ERA A REGGIO EMILIA - RIUSCIVANO A SCASSINARE LE SERRATURE IN MODO "INVISIBILE" E PER CAPIRE SE GLI APPARTAMENTI ERANO INCUSTODITI METTEVANO SOTTILI FILI DI COLLA ALL'USCIO - UNO DEI CAPI RIMPROVERO' UN SOTTOPOSTO PER AVER RUBATO IL SALVADANAIO DI UN BIMBO: "DOBBIAMO ESSERE AUTOREVOLI"
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Alessandro Fulloni per il "Corriere della Sera"
Banditi georgiani con uno strano «dna» plasmato tra le ruvidezze dell'ex Unione Sovietica e composto da metodicità e persino una specie di rigore (criminale), con codici comportamentali che ruotavano attorno a questa parola - «autorevolezza» - ascoltata spesso nelle intercettazioni. Come base operativa, la città di Reggio Emilia, definita più volte - sempre nell'ascolto fatto dagli investigatori - «la nostra patria».
Tutti erano dediti a un'unica attività criminale: quella del furto in casa. Ma condotto con serialità e maniacale scrupolosità, badando a non lasciare tracce, a partire dalla serratura dell'uscio spesso scassinata senza che nemmeno il proprietario dell'abitazione se ne accorgesse.
È il quadro che emerge da una monumentale indagine condotta dalla Squadra mobile di Reggio che ha portato all' arresto di 62 persone, tra cui cinque donne. I fermi (quasi tutti per associazione a delinquere finalizzata al furto) sono stati condotti anche in Francia e Spagna in collaborazione con l'Interpol.
Nelle carte giudiziarie si racconta di razzie avvenute soprattutto nell'Italia del nord, Modena, Piacenza, Ravenna, Padova, Genova, Bologna. Oltre cento i colpi messi a segno a partire dal 2016 da ladri «criminologicamente unici nel loro genere».
Così li definisce il procuratore di Reggio Marco Mescolini, parlando di «clan verticistici strutturati nelle prigioni staliniane ed esplosi dopo il crollo dell'Unione Sovietica. In avversione alle pene pesantissime inflitte per reati minori hanno dato vita a un codice d'onore tutto loro nel quale primeggia il furto, attività di culto».
Nelle intercettazioni compare spesso la frase «dobbiamo essere autorevoli» e c'è uno dei capi che rimprovera un sottoposto per aver rubato anche il salvadanaio di un bimbo. E ancora: vietato sposarsi per non mettere a repentaglio i segreti della banda e meglio evitare, in caso di controversie, di «picchiarsi dando nell'occhio davanti a persone o telecamere».
L'imperativo per tutti era quello di tenere un «basso profilo», mimetizzandosi - con impieghi stabili, lavorando per esempio come operai, colf, badanti - tra i circa mille georgiani della comunità che vive nella cittadina emiliana.
I corsi di aggiornamento erano continui. Come insegnanti c'erano i ladri più esperti che, manuali e schede alla mano, «spiegavano come clonare chiavi e aprire casseforti senza lasciare tracce» raccontano Giuseppe Ferrari e Guglielmo Battisti, questore e capo della squadra mobile di Reggio Emilia.
Un clan di sette ucraini, anche loro in manette, provvedeva a fornire i canali per il riciclaggio del bottino - «impossibile da stimare, è come se fosse sparita un'immensa gioielleria» dicono gli investigatori - che in genere finiva all'Est. Molti della banda avevano doppie identità con cui da tempo vivevano in Italia usando passaporti, patenti e documenti falsi nelle normali pratiche amministrative e persino nelle assunzioni.
Gli appartamenti da svaligiare erano scelti con cura, dopo accurati sopralluoghi condotti tramite la «tecnica della colla», quella mostrata dai filmati allegati agli atti dell'inchiesta. Si vedono i ladri fissare sulle porte d'ingresso sottili fili di colla o delle cartine. «In questo modo, tornando sul posto e trovando il filo intatto, potevano esser certi che i proprietari dell'appartamento fossero via, in vacanza» spiegano Ferrari e Battisti.
I due poliziotti ora suggeriscono anche alcuni consigli utili per trincerarsi davanti a questi furti. Il primo è appunto quello di controllare l'uscio, prima di entrare in casa. «Se dallo stipite cadono cartine mai viste o se sullo zerbino si vedono gomme da masticare, polveri, filamenti collosi è il segno che un malintenzionato può aver fatto una verifica».
Poi le «difese passive» come «porte blindate e antifurti». Non fornire «indicazioni su viaggi e vacanze serve di certo» e in caso di partenze «è importante chiedere a familiari e persone di fiducia di passare a casa, dando l'impressione che non sia vuota».
Per il questore resta però decisiva la chiamata al 112 in caso di sospetti: «In quest'indagine sono stati importanti i controlli attivati dopo che in un palazzo ci hanno detto del passaggio insolito di gente mai vista».
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"Mi chiamo Margherita e scrivo". C'è una parte del cuore che tu, noi celiamo a chiunque, forse per custodirlo, preservarlo e che si manifesta nel silenzio della preghiera interiore con Dio. Credo ti sia accorto che quando nessuno al mondo ti vede, ti sente, il tuo dialogo con nostro Signore è diverso. Persino ciò che chiedi viene formulato con parole diverse da come magari precedentemente avevi fatto a voce alta. Nell'attimo in cui ti ritrovi totalmente immerso in quella preghiera silenziosa, neppure ti vengono in mente dubbi o domande. Mentre percepisci una piacevole sensazione di risposta che riempie il tuo vuoto, con un insolito silenzio che sembra dire tutto, inebriando la tua persona. Sia dentro che fuori. Dio ti e ci parla anche in questo modo. A Dio puoi invocare qualsiasi tipo di preghiera, anche d'insoddisfazione personale, di dolore, d'incomprensione. Lui è il tuo, il mio Papà. Ma è esattamente nel passaggio successivo durante questa invocazione di preghiera, che capisci chi sei realmente; laddove continuando a pregare, riesci a lasciarti andare ritrovando la tua pace. Quella carezza di Dio che placa ogni tormento e che è l'origine di te. "Chiedi e ti sarà dato". Allora chiedi. Che la santità cammini con te. Dio ti benedica ✨. Margherita - - - - - #artiste #catholicworld #instacatholic #bestsong #recording #musically #musica #musical #music #musician #musicbox #musicals #musiclovers #musicproducer #musicproduction #christianmusic #christianmusician #christianmusicians #musicvideo #catholicquotes #songs🎶 #songssonglove #countrysongwriter ##MargheritaCoralluzzo #instacatholic #bestsong #igrejacatólica #catolica #ChristianSoul #amomúsicacatólica (presso Parrocchia Santi Giuseppe e Vito) https://www.instagram.com/p/BzclZmmo0Z6/?igshid=1iyshc78nk1ca
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Sarà banale chiamarli 'ricordi di scuola'?
Sarà banale chiamarli ‘ricordi di scuola’?
di Elena Tamborrino
Giuseppe de Nittis: Testa femminile di profilo, con cappellino, (olio su tela)
La mia prof di Lettere del Ginnasio aveva il nome di un fiore. Non i soliti Rosa o Margherita. Un nome, al contrario, insolito. Non so se le somigliasse, in genere somigliamo ai nomi che portiamo. Ma lei la chiamavamo con il cognome, che poi era il cognome dell’ex marito, cognome che le calzava a…
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/07/03/ricordare-rivivere-bozzetti-storie-dalla-culla/
Ricordare per rivivere: bozzetti di storie dalla culla
di Rocco Boccadamo
Doverosa premessa.
Come sono solito fare ogni volta che scrivo, ho brevemente pensato, in semplice autonomia da comune osservatore di strada e narrastorie, al titolo da attribuire alle presenti note.
Sennonché, immediatamente dopo, mi sono accorto che la prima parte del cappello s’identifica niente poco di meno che con un’espressione del grande maestro della psicanalisi Sigmund Freud, recitante, esattamente, “il ricordare è un rivivere”. Non me ne voglia, l’esimio personaggio, per l’involontaria e inconsapevole invasione di campo.
° ° °
Sin dalla tenera età, vado avvertendo d’essere sfiorato da una sorta di speciale buona ventura, cioè a dire di sentirmi, in senso vasto, un tutt’uno con il mio paese di nascita, i suoi luoghi, la sua storia, fatta di piccole e svariate vicende, e, soprattutto, i volti e le figure della sua gente, che, a onore del vero, ho sempre considerato alla stregua di mia seconda famiglia, allargata, a fianco del nucleo di mera appartenenza per ragioni di sangue, con correlato ovvio primario legame affettivo.
Così che, negli anni – ormai sfioranti un arco di quattro lustri – della mia “seconda esistenza” sotto l’aspetto dell’impegno lavorativo e degli interessi d’elezione, mi è stato, a più riprese, dato d’evocare situazioni e spaccati di ricordi, riconducibili alla minuscola località natia e, in maggior dettaglio, una lunga sequenza di vicende e di determinati compaesani, con le loro caratteristiche, abitudini, doti, virtù e vezzi.
In questo odierno caso, lo spunto ispiratore mi è casualmente arrivato dalla necessità di eseguire una riparazione al timone della mia barchetta a vela, incombenza che mi ha condotto a una bottega artigiana posta alla periferia del paese, in direzione di Capo Lupo.
E però, avanti di raggiungere tale destinazione e lasciar espletare il lavoretto dianzi accennato, ho dovuto attraversare una zona del paese, a cominciare dal Largo Campurra, ora denominato Piazza della Vittoria, e, quindi, proseguendo più avanti verso la meta.
In detto percorso, idealmente uscio per uscio, quasi fossero ritagli di una pellicola di celluloide, si sono affastellate numerose, da sembrare interminabili, scene, che, sebbene in maggioranza ormai datate, mi si sono snodate davanti come se ancora intrise di vitalità e attualità.
A cominciare dalla menzionata “Campurra” di per sé, nel senso di slargo, il maggiore dell’intero paese, una volta delimitata, a nord, dalla cappella di S. Giuseppe, recante al centro un pozzo animato e arricchito sul fondo da risorse d’acqua sorgiva, declinante a scivolo verso sud est, sì da consentire il naturale deflusso indotto e guidato delle acque piovane in confluenza di un’adiacente voragine, conosciuta, in dialetto, con il sintetico appellativo di “ora”.
E mi sono sfilate alla vista le serie di greggi ovine che, sortendo di buon mattino dai rustici rifugi al coperto e dirette al pascolo, proprio sul prato della “Campurra”, avevano agio di prendere confidenza con i primi assaggi di erbe.
Transitavano, tali armenti, senza lasciare tracce o postumi di odori, giacché, forse, a quei tempi, le stesse campagne e, quindi, le distese di pascoli, non conoscendo né tantomeno subendo processi d’inquinamento, emanavano effluvi genuini e gradevoli.
Rocco, Saverio, Tommaso, i nomi di alcuni dei pastori di pecore di quelle stagioni lontane.
Ancora, il largo “Campurra”, in mancanza, nel paese, di un campo sportivo, era utilizzato dai ragazzi e giovani per partite di calcio alla buona, con, per rendere l’idea, due coppie di pietre a segnare le porte.
Vi giocavano parimenti, reminiscenza straordinaria, magari fronteggiandosi con squadre di marittimesi, gruppi dei soldati polacchi che, intorno alla fine del secondo conflitto mondiale, furono di stanza, per un breve periodo, a Marittima.
E, affacciato imponente sulla Campurra (c’è ancora adesso, ma vuoto), quasi a voler vigilare bonariamente sulle sottostanti azioni di vita e di attività quotidiane, il palazzo cosiddetto dell’arciprete vecchio, già abitato, precisamente, dal medesimo prelato e da una nobildonna sua nipote.
Attigua, l’abitazione della “Richetta ‘e l’ortu ‘u puzzu” (Enrichetta, proprietaria dell’orto con il pozzo/voragine), maritata con Vitale, quattro figlie femmine.
Appena più giù, il vicolo dove aveva casa, fra gli altri, una vecchia parente di mio zio Guglielmo Bianchi, anziana che, nell’anno 1945, rammento con precisione, fu prescelta, come segno di rispetto, per condurre al battesimo in chiesa, tenendoli fra le braccia, due neonati gemelli del mio ricordato zio, piccoli, i quali, purtroppo, in breve volgere di tempo, se ne ritornarono in cielo.
Oltre, la casa di Rosaria ‘u tatameu, in cui, in una sera stellata, la figlia Concettina, rimasta gravida antecedentemente al matrimonio, diede alla luce il suo primogenito, con gli inevitabili lamenti da parto e mamma Rosaria, saggiamente, a consolarla, esortandola nel contempo a darsi pace, giacché, le faceva osservare, ciò che stava vivendo l’aveva in fondo voluto tutto da sé.
Quindi, la residenza di una famiglia portante il mio cognome, cugini di primo grado di mio nonno Cosimo, e la casa di un altro nucleo, dal soprannome “Pisca”, nel cui ambito, una delle figlie, P., era stata temporaneamente la “zita” del mio zio materno T.
Adiacente, il piccolo spazio con il monumento ai caduti e, dirimpetto, i palazzotti di donna Uccia Russi e della famiglia Spagnolo, il secondo contraddistinto da un caratteristico aggraziato arco, menante in un portico e in un cortile padronale.
A succedersi, i locali terranei, ormai da lungo tempo chiusi, noti come “u trappitu ‘a nutara” (frantoio oleario e palmento per la trasformazione dell��uva) e, fra i restanti diversi fabbricati, i due stabili a piano terra e primo piano occupati dalle famiglie dei cugini Frassanito.
A dividere detti immobili, due vicoletti, il primo dei quali corrispondente alla ex dimora del mio prozio materno Michele, pure lui Frassanito e parente dei predetti, adesso di proprietà e svolgente funzione di ritiro, per riposo, relax e bagni marini all’Acquaviva e Porticelli, della nota artista televisiva e teatrale, oltre che scrittrice, Serena Dandini.
I Frassanito cugini, in origine, espletavano il mestiere di muratore, al pari di altri parenti col medesimo cognome (Giacomo, Luigi, Cosimo, Calogero, Donato).
In un dato momento, ritennero però opportuno di mutare la loro attività, accostandosi, sino a divenire esperti e specializzati, al lavoro di costruzione, soprattutto, ma anche di riparazione, di barche in legno (gozzi piccoli, medi e grandi e lancette) prevalentemente adibite alla pesca, ma utilizzate pure, man mano che prendevano piede il turismo e le attività hobbistiche, per fini di svago e di diporto.
I medesimi Frassanito, specie il nucleo famigliare di Vitale, agli inizi, poi di Salvatore, suo figlio, e di Vitale, Nino e Antonio, a loro volta discendenti di Salvatore, diedero gradualmente luogo a un interessante sviluppo della nuova attività, arrivando, almeno a livello artigianale e di correlata apprezzata qualità dei manufatti, a collocarsi fra i primi del Salento, spaziando, quanto a campo di azione, da Porto Cesareo, a Gallipoli, Leuca, Tricase, Castro (la totalità dei battelli o schifi dei pescatori locali era opera loro), Otranto, S. Cataldo.
Giovani marittimesi negli anni ’70
Purtroppo, con l’avanzare degli anni e il cambiamento di usi e di scelte, ad oggi, è ancora attivo unicamente il più giovane dei varcaluri, Antonio, e, addirittura, avendo il medesimo unicamente figlie femmine, v’è da ritenere che quando egli deciderà di appendere l’ascia al muro, avrà inevitabilmente termine una bella tradizione, anzi una saga, di un mestiere di qualità, dignitoso, che ha accompagnato svariate generazioni di addetti alle attività marittime e pescherecce o, semplicemente, di appassionati di barche, lenze e ami.
Come riferimento agli amici Frassanito in questione, è rimasto un fondo, detto “Schettu” (boschetto), piantumato a querce secolari, già appartenente a un benestante del paese, don Eugenio Russi, un sito dove, anticamente, aveva sede anche un frantoio sotterraneo, poi crollato e finito in abbandono e distruzione.
Riguardo al boschetto di che trattasi, conservo il dolce e nostalgico ricordo delle lunghe parentesi di svago e gioco che, ogni domenica mattina, trascorrevo lì con gli amici, dopo aver partecipato, non a caso bensì appositamente per restare libero, alla prima Messa presso il santuario della Madonna di Costantinopoli.
Ritornando per un attimo ai compaesani Frassanito, prima muratori e poi costruttori di barche, tengo a rimarcare due particolari, in apparenza secondari, ma, a loro modo, indicativi.
Della seconda famiglia di cugini (a capo, Mosè), facevano parte due figli maschi, Vitale e Tommaso, e due femmine, Ttetta (Concetta) e Damiana.
Anche Tommaso, in proprio, costruiva gozzi e lancette in legno e, adesso che lui non esiste più, il segreto del mestiere è custodito da suo figlio Vitale, ufficialmente docente di matematica e fisica, ma capace di realizzate barche, come, saltuariamente, in effetti, fa.
Delle sorelle Frassanito, invece, mi è rimasta impressa l’attività svolta dalla più grande, Ttetta, fino a quando non andò in sposa nella vicina località di Andrano (non so se ella sia ancora viva). Si occupava, infatti, di un lavoro normalmente insolito per una donna, ovvero faceva la calzolaia.
A esercitare tale mestiere, nel paesello c’erano già i mesci Tore, Leriu e Roccu, tuttavia pure Ttetta operava nel settore. A voler essere precisi, non realizzava calzature di pelle e cuoio, bensì, soprattutto, accessori fatti di materiali meno pregiati, cioè gomma, stoffe e tele, per lo più in forma di sandali, ma a volte anche chiusi.
Nella casa dei miei genitori, sei figli e un unico stipendio da impiegato comunale, non si navigava nell’oro, sicché, sovente, noi ragazzini indossavamo scarpe realizzate dalla Ttetta.
Leggermente oltre l’abitazione e la bottega dei barcaioli Frassanito più affermati, viveva un contadino del paese, tale Giuseppe, piccolo di statura e mingherlino, alla buona, cui era stato attribuito il nomignolo di Titeppe.
Ovviamente povero, il predetto, del resto come la grande maggioranza dei concittadini, e tuttavia, la domenica, probabilmente credendo di imitare qualcuno degli sparuti signori del paese (catena e orologio nel taschino del panciotto), aveva preso l’abitudine di presentarsi in piazza munito di una catena, da una parte fissata alla cintura e dall’altra infilata in una tasca dei pantaloni.
Al che, gli amici, per celiare, si compiacevano con lui chiedendogli di mostrar loro l’orologio che si poteva supporre fosse legato a quella catena, ma, alla curiosità dei compaesani, il buon uomo, onesto e sincero, non poteva far altro che rispondere: “No, guardate che tengo appeso semplicemente un coltello”. Ed erano, ovviamente, risate allegre, senza ombra di malizia, sfottò o derisione.
Lì accanto, in un vicoletto dove dimorava la famiglia di F.A., quattro figli fra cui due belle ragazze, all’interno di un giardinetto si apriva una modesta grotta sotterranea presentante, su tratti della volta, tracce di stalattiti e noi ragazzi, incuriositi, non esitavamo a cercare di calarci dentro tale cavità, invero servendoci di attrezzatture precarie se non pericolose.
Il centro abitato, a quel punto, va esaurendosi, ma destano curiosità e rappresentano tappe di egualmente vividi e intensi ricordi, i vari fondi agricoli che si susseguono, taluni dalle denominazioni strane o stravaganti, altri collegati ai particolari personaggi degli antichi proprietari, così da aver lasciato un segno nella memoria del narrastorie.
“Sciancateddri”, “Lamelogne”, “Cantine”, “Vigna ‘e l’api”, “Pizzeddri”, “Aria”, “Munti”, l’infilata di appellativi di questi fazzoletti di terra rossa, sui quali, da ragazzino, mi è capitato di familiarizzare, vuoi per la loro appartenenza a miei parenti, vuoi frequentandoli in compagnia di amici coetanei, figli dei proprietari.
Da notare, specialmente, che il terreno “Vigna ‘e l’api”, già di Vitale e Palma ‘u tunzi, adesso fa capo ed è condotto direttamente da un nipote, omonimo, un altro Vitale, il quale vi ha impiantato un moderno alveare dei preziosi insetti, un apiario utilizzato anche per finalità didattiche, a beneficio di scolaresche e, in genere, di persone interessate che vi convengono dal Salento e non solo.
Ritornando sui passi iniziali dell’escursione agricola, in zona “Aria”, è situato uno spazioso locale, già agricolo e in una seconda fase destinato ad attività artigianali.
In decenni distanti, vi s’infilavano e, all’esterno, si essiccavano sotto il sole, le foglie di tabacco e io stesso, scolaro e studente delle medie, mi sono più volte trovato lì seduto sul pavimento, per aiutare in tale fatica i miei zii Guglielmo e Nina.
Dopo, vi ebbe sede un’attività di confezionamento di capi e accessori tessili, per conto terzi.
Da alcuni anni, infine, è il sito di lavoro di Simone Fersino, un bravo giovane, artigiano o meglio dire artista dalle mani duttili e dotato di estro e inventiva, che si è specializzato, attraverso una lunga e seria preparazione, nella lavorazione del ferro battuto e in abbinate produzioni di pregio, attività che gli reca ordini non soltanto da committenti salentini, di Lecce in particolar modo, ma anche di altre località italiane.
Simone è, insomma, molto apprezzato per la sua opera; personalmente, in aggiunta a ciò, lo ammiro anche per aver rilevato una piccola vicina tenuta agricola, la “Vija”, con una costruzione padronale originariamente dipinta di un gradevole rosso e col tempo divenuta cadente, e aver fatto rinascere il tutto, con sacrifici e investimenti mirati, davvero a nuova vita.
E’ bello, per me, infine, annotare che Simone ha per nonna paterna la cara Maria, da bambina, ragazza e giovane, oltreché prima cugina, anche stretta amica di mia madre: a lei, che, tutte le volte che ci incontriamo, mi fa grande festa, voglio dedicare un saluto e un fervido augurio inusuale da queste righe, al pensiero, fra l’altro, che nel dicembre dell’ormai prossimo 2018, compirà il suo centesimo compleanno.
Ecco, è proprio nella bottega di Simone che, come anticipato all’inizio delle presenti note, mi sono recato per la riparazione al timone della mia barchetta a vela. E, uscendomene a lavoro compiuto, non ho potuto fare a meno di volgere lo sguardo, come accade ogni volta che passo da quelle parti, su un lato del piazzale: precisamente, sullo scafo, tinteggiato di blu, di un’altra barca a vela, lì posto e conservato gelosamente da Simone, in memoria del fratello Andrea che, amante come pochi del mare e delle barche, appena ventenne, se ne andò per un’accidentale disgrazia mentre cercare di tutelare quel natante dagli effetti di una violenta burrasca.
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Swept Away...by an Unusual Destiny in the Blue Sea of August [Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto]
Swept Away…by an Unusual Destiny in the Blue Sea of August [Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto]
(Italy 1974)
���Oh, Madonna! This nightmare is finally over. God, do I want some coffee. Fresh, of course.”
— Raffaella Pavone Lanzetti
More than 40 years after the fact, Lina Wertmüller is still an audacious filmmaker. Not only does she incorporate sociopolitical commentary, satire, and crazy sex into her work, but her ’70s films are inherently interesting because they push buttons. She’s the…
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