#genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza
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marcogiovenale · 19 hours ago
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oggi, 4 febbraio, webinar di amnesty international sull'ultimo rapporto dedicato al genocidio a gaza
* PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO SUL GENOCIDIO DI ISRAELE A GAZA webinar OGGI, martedì 4 febbraio alle ore 19:00 Il lavoro di ricerca di Amnesty International nel Territorio palestinese occupato e Israele non si è mai fermato. Dal rapporto sul crimine di apartheid contro la popolazione palestinese, alle indagini e ricerche dal 7 ottobre 2023 in poi. Nel nostro ultimo rapporto “Ti senti come se fossi…
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soldan56 · 1 year ago
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Mercoledì scorso e oggi pomeriggio, si sono svolte due partecipate iniziative per per la Palestina!
Sono ormai due settimane che la città palestinese di Gaza è assediata dall’esercito israeliano.
Mentre si attende l’avvio di un’offensiva di terra, giorno e notte continuano i bombardamenti.
Sono stati colpiti ospedali, università, luoghi di culto ed edifici residenziali.
Si tratta di un lembo di terra dove vivono più di due milioni di persone, la metà delle quali al momento ha dovuto spostarsi più a sud per cercare riparo.
Non c’è possibilità di un’operazione militare senza colpire indiscriminatamente i civili.
Al momento si contano più di 5.000 morti e il triplo di feriti, un bilancio purtroppo destinato a crescere nei prossimi giorni.
Nel frattempo, sono state bloccate le forniture di elettricità, carburante e cibo perché, è bene ricordarlo, a Gaza tutto quello che entra ed esce – comprese le persone – viene deciso da Israele.
Le conseguenze di questo assedio sono catastrofiche, un’emergenza umanitaria riconosciuta anche dall’ONU.
Questo Israele lo sa, come lo sanno anche i governi occidentali che stanno avallando quella che è a tutti gli effetti una rappresaglia contro il popolo palestinese.
In molti, già rifugiati espulsi dalle loro terre, temono di perdere anche questa casa e non vogliono essere dislocati in Egitto.
Crediamo sia importante prendere parola per fermare questo massacro di civili.
Diciamo no all’attacco israeliano nella Striscia di Gaza perché crediamo che solo una soluzione politica possa essere utile a gettare le basi per una pacifica convivenza fra palestinesi e israeliani.
Troppo a lungo la voce dei primi è stata ignorata, troppo a lungo abbiamo taciuto davanti al colonialismo dei secondi.
Per questo, come cittadin* come umani che si sono mobilitati in queste ultime settimane anche nella città di Rimini, lanciamo una manifestazione pubblica per Sabato 28 ottobre 2023 con ritrovo alle ore 15 alla Stazione FS per chiedere la fine immediata dei bombardamenti su Gaza e l’apertura incondizionata dei valichi di accesso alla Striscia per il transito di tutti i beni necessari alla popolazione.
Ci vediamo Sabato!
“Guardando alla genesi dello Stato di Israele, le 𝙖𝙣𝙖𝙡𝙞𝙨𝙞 𝙞𝙣𝙩𝙚𝙧𝙨𝙚𝙯𝙞𝙤𝙣𝙖𝙡𝙞 da tempo ci permettono di comprendere come chi subisce un’oppressione non sia per questo estraneo all’agire a sua volta oppressione verso altri.
Facciamo tesoro del bagaglio di concetti critici che il 𝙛𝙚𝙢𝙢𝙞𝙣𝙞𝙨𝙢𝙤 𝙙𝙚𝙘𝙤𝙡𝙤𝙣𝙞𝙖𝙡𝙚, 𝙘𝙤𝙢𝙪𝙣𝙞𝙩𝙖𝙧𝙞𝙤 e 𝙖𝙣𝙩𝙞𝙧𝙖𝙯𝙯𝙞𝙨𝙩𝙖 ci mette a disposizione per prendere posizione contro il genocidio in atto in queste ore, e ci uniamo alla forza del movimento femminista internazionale per schierarci al fianco della comunità e della diaspora palestinese sotto attacco.
Siamo corpi-territori: un’altra ��arte» di abitare la terra è possibile e non c’è comunità umana e non umana per cui questo non debba essere un diritto.”
Da @capovolteedizioni
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anchesetuttinoino · 9 months ago
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Su Linkiesta Carlo Panella scrive: «I media ne fanno appena cenno, ma in realtà è enorme lo sforzo messo in atto dall’esercito israeliano per dislocare la popolazione di Rafah dai quartieri che intende colpire perché sovrastano la rete di tunnel in cui si trovano quattro brigate di Hamas armate di tutto punto e i superstiti tra i centotrenta ostaggi israeliani ancora detenuti in spregio a tutte le leggi umanitarie e di guerra. È questo impegno capillare e organizzato la prova che Israele a Gaza non solo non commette un genocidio contro i palestinesi, ma anche che non commette crimini di guerra. Mai nessun altro esercito ha avuto questo impegno a favore della popolazione civile durante un’operazione militare. Men che meno la coalizione, di cui facevano parte gli Stati Uniti, il Canada e i paesi europei e arabi, che nel 2014 e 2015 assieme alla Russia, per sconfiggere l’Isis, ha bombardato Mosul e le altre città irachene e siriane con seimila bombardamenti aerei facendo ottantamila vittime di cui nessuno oggi si ricorda. Allora nessuna protesta dell’Onu, nessuna università occupata per fermare il "genocidio" della popolazione civile irachena e siriana massacrata dall’aria e da terra dalla Coalizione anti Califfato. La ragione della mancata indignazione internazionale per l’anteprima di quanto oggi è costretto a fare Israele per contrastare la ferocia di Hamas è chiara. A bombardare e a produrre enormi "danni collaterali" tra la popolazione civile in Siria e Iraq non erano israeliani, non erano ebrei».
La posizione di Joe Biden sul conflitto in corso a Gaza non è chiara: da una parte sostiene che sia necessario un vero stato palestinese, dall’altra spiega come questo nuovo stato sia impossibile finché Hamas domina su Gaza, poi chiede a Israele di rinunciare all’obiettivo di combattere Hamas affidandosi alle trattative che Washington è in grado di organizzare per emarginare i terroristi protagonisti del 7 ottobre. Il problema è che questa amministrazione Biden ha già chiesto a iracheni anti-Teheran, siriani anti-Assad, ai curdi, agli afghani anti-talebani e innanzi tutto agli ucraini di affidarsi alla deterrenza americana per evitare esiti tragici, e i risultati sono di queste promesse sono ben evidenti a tutti. Alla fine questa Casa Bianca di fatto ha finito per usare il suo potere di deterrenza quasi più verso i propri alleati, che verso i nemici. Naturalmente è ben presente a tutti il carattere particolarmente pericoloso della guerra a Gaza, ma dai pericoli si esce solo guardandoli in faccia non con imbrogli conditi da promesse farlocche che finiscono solo per danneggiare chi “si affida” a Biden.
via tempi.it
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archivio-disattivato · 1 year ago
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Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese: perché non possiamo commemorarla
Scritto il 29/11/2023
29 novembre: Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese. Quest’anno non possiamo commemorare questa data internazionale, a causa della situazione in atto in Palestina: i 49 giorni di ininterrotti bombardamenti israeliani hanno portato alla distruzione della Striscia di Gaza e provocato 20.031 morti, tra cui 8.176 bambini (bilancio, non definitivo, dati Euro-Med monitor). In Cisgiordania, la continua aggressione di esercito e coloni israeliani ha ucciso 237 palestinesi, e ne ha feriti più di 2.950.
Non possiamo commemorarla perché non c’è solidarietà per i palestinesi, neanche di fronte a dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e un genocidio così efferato. O meglio, la solidarietà c’è stata, ma solo da parte dei popoli. E purtroppo, non sono i popoli a poter porre fine a questo genocidio, ma i governi. E i regimi occidentali sono stati deludenti poiché, mentre Netanyahu bombardava la Striscia, ripetevano, senza alcuna logica e alcun riferimento alla legge internazionale, la frase “Israele ha diritto a difendersi”.
Noi sappiamo che una difesa per essere considerata tale deve essere sempre proporzionale all’offesa e mai ledere i civili o attaccare strutture sanitarie, medici, ambulanze. Al contrario, in questi 49 giorni l’entità sionista ha portato avanti una vera e propria guerra agli ospedali di Gaza e ai bambini di Gaza.
Ogni 29 novembre, in tutto il mondo, si celebra la Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese, a ricordo della risoluzione 181, emanata il 29 novembre del 1947 dall’Onu, che sancì la spartizione della Palestina storica, ponendo le basi per la creazione dello Stato israeliano e per la Nakba, la tragedia e pulizia etnica della popolazione palestinese ad opera degli squadroni del terrorismo sionista prima, e delle forze militari israeliane dopo.
Nel 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì per il 29 novembre la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese (risoluzione 32/40 B). Nella risoluzione 60/37 del 1° dicembre 2005, l’Assemblea generale chiese al Comitato per l’Esercizio degli inalienabili diritti del popolo palestinese e alla Divisione per i diritti palestinesi, in quanto parti per l’osservanza della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, stabilita il 29 novembre, di continuare a organizzare celebrazioni ed eventi annuali sui diritti palestinesi, in collaborazione con la “Permanent Observer Mission of Palestine” dell’Onu.
Se la comunità internazionale vuole dare senso a questa giornata ed essere coerente con le giornate a tema che istituisce, chiediamo un maggiore impegno nel tutelare i diritti del popolo palestinese, condannando con parole, ma sopratutto con fatti le atrocità sioniste attraverso un processo che porti i crimini israeliani davanti al Tribunale dell’Aja.
Mercoledì, 29 novembre 2023 Associazione dei palestinesi in Italia
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toscanoirriverente · 1 year ago
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(...) io accuso i terroristi di Hamas di atti genocidari contro la popolazione palestinese a Gaza e precisamente di uccisioni e torture sugli omosessuali e sugli oppositori politici; di gravi attentati all’integrità fisica e mentale dei Gazawi, quando utilizzano la popolazione, donne e bambini, come scudi umani, così come le scuole, le università, gli ospedali e le ambulanze a fini terroristici; di sottomissione intenzionale dei Gazawi a condizioni di esistenza che comportano la loro parziale distruzione, stornando gli aiuti internazionali a favore di sviluppo di armamenti e di finanziamento del terrorismo, confiscando gli aiuti umanitari ai civili e tenendo in ostaggio la popolazione nonostante i preavvisi israeliani di bombardamento; di misure che pregiudicano le nascite, privando le donne palestinesi di Gaza di cure di qualità, negli ospedali largamente usati come depositi di armi.
Io accuso Hamas di attacchi incessanti, tesi a minacciare la sicurezza territoriale israeliana, e di crimini di guerra e presa di ostaggi che hanno condotto lo Stato di Israele ad avviare una risposta militare di legittima difesa.
Io accuso Hamas di essere il solo responsabile della drammatica situazione dei Palestinesi a Gaza, fin dalla sua presa di potere nella Striscia, e della guerra che vi è condotta da Israele.
Io accuso Hamas, Hezbollah, gli Houti e l’Iran di intenzioni genocide contro la comunità ebraica, Israele, gli Stati Uniti e le nazioni occidentali
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di farsi portavoce di Hamas e della sua propaganda di fronte alle più alte istanze mondiali. Io li accuso di colpevole silenzio quando era necessario condannare la Siria, l’Afghanistan, lo Yemen, il Sudan, l’Iraq e l’Iran per genocidio contro le loro popolazioni e per crimini di guerra.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di rifiutarsi di prevenire e punire i propositi genocidari rivendicati direttamente e pubblicamente contro Israele.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di tacere sui massacri del 7 ottobre, che essi non considerano nel quadro della risposta israeliana
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori, per le ragioni sopra esposte, di portare di fronte alla Corte internazionale di Giustizia una causa infondata, politicamente motivata dal rifiuto del diritto dello Stato di Israele di esistere e di godere di una salda sicurezza territoriale.
Io accuso Jean-Luc Mélenchon e Jeremy Corbyn di essere gli intermediari politici dell’antisionismo propugnato da Hamas, rifiutando di riconoscere l’organizzazione come terrorista e attribuendogli attività di resistenza.
Io accuso l’Onu di mancanza di imparzialità nei confronti di Israele, fatta oggetto di diciassette risoluzioni di condanna nel 2020 contro sette per il resto del mondo (delle quali una contro l’Iran e una contro la Siria).
Io accuso l’Onu di un’incomprensibile cecità, fino all’8 gennaio 2024, di fronte agli stupri e alle mutilazioni sessuali inflitti il 7 ottobre 2023 in Israele.
Io accuso l’Onu di mancanza di obiettività di fronte alle informazioni diffuse da Hamas, concernenti le morti e gli attacchi attribuiti agli Israeliani. La penosa eco data dall’Onu alle false informazioni di Hamas sull’Ospedale Al-Shifa avrebbe dovuto metterci sull’avviso.
Io accuso l’UNRWA di complicità con i terroristi di Hamas a danno della popolazione civile. Condanno con la più grande fermezza il dirottamento da parte di Hamas dei fondi europei e internazionali verso il finanziamento di libri scolastici antisemiti, di armi e di infrastrutture belliche e il controllo del gruppo terrorista sul razionamento alimentare.
A più di cento giorni dal più grande pogrom subito da Israele e dal tentativo genocidario che si è trovato a combattere, io condanno l’indegna chiamata di Israele a rispondere all’accusa di atti genocidari, e porto il mio sostegno alla democrazia israeliana in questa insopportabile guerra politica di cui essa è bersaglio. Mi unisco agli israeliani che piangono i loro morti e condivido il loro terrore nel sapere che nel momento in cui Israele è giudicato per genocidio, 120 Israeliani sono ancora ostaggi dei gruppi terroristi nella Striscia di Gaza, vittime delle sevizie di cui quei gruppi sappiamo essere capaci.
Mi aspetto da parte della Francia lo stesso impegno della Germania a fianco degli Israeliani, un impegno chiaro e totale, e una condanna inequivocabile dell’iniziativa del Sudafrica.
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che-de-di-co · 6 days ago
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“Armi e rassicurazioni su mancato arresto a Netanyahu, l’Italia complice del genocidio a Gaza”: la denuncia della rete di giuristi.
Dal flusso di armi verso Israele mai interrotto, al di là delle dichiarazioni di diversi ministri del governo Meloni, poi costretti a rettificare di fronte alle evidenze giornalistiche, fino alle recenti rassicurazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani verso il premier israeliano Benjamin Netanyahu, rispetto al suo mancato arresto, nel caso decidesse di visitare il nostro Paese. Di fatto, snobbando lo stesso mandato di cattura emesso a novembre dalla Corte penale internazionale “per crimini contro l’umanità e crimini di guerra”. Sono diverse le ragioni che hanno spinto nel maggio dello scorso anno una rete di giuristi e avvocati a denunciare l’Italia con l’accusa di “complicità con Israele in genocidio e crimini contro l’umanità” a Gaza. Ora rilanciata.
“Abbiamo chiesto alla Procura di Roma di accertare questa situazione da diversi mesi, ma non abbiamo ancora ottenuto alcuna risposta. Insisteremo, per questo a febbraio aggiorneremo il nostro dossier con nuove evidenze rispetto alle complicità italiane, non soltanto rispetto alle esportazioni di armi”, ha spiegato nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei deputati Fabio Marcelli, giurista del Cred (Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia).
All’iniziativa hanno partecipato anche la deputata M5s Stefania Ascari e Nicola Fratoianni (Avs), costretti poco dopo a rientrare in Aula per la concomitanza dei lavori. Proprio dall’Aula è stato il segretario di Sinistra italiana ad attaccare il governo rispetto alla sua posizione su Israele: “Se nel giorno in cui viene finalmente annunciata la tregua dopo il continuo massacro della popolazione palestinese a Gaza, il ministro degli esteri Tajani non trova di meglio che dichiarare che se Netanyahu, un criminale di guerra, vuole venire in Italia non ci sono problemi, allora avete già scelto da che parte stare. State con chi delegittima la Corte penale internazionale“.
“L’Italia avrebbe dovuto interrompere ogni fornitura di armi e ogni accordo di sicurezza e cooperazione scientifica, avrebbe dovuto smettere di dare copertura politica e mediatica alle azioni genocidiarie di Israele. Ora facciamo appello anche ai parlamentari delle opposizioni affinché facciano tutto quanto è in loro potere per fare piena luce e pretendere il rispetto del diritto internazionale“, è stato l’appello rivolto dalla rete di giuristi.
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kneedeepincynade · 1 year ago
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While the battle for Gaza is raging on another battle is raging on,a battle for a true ceasefire and the securing of civilian life and the extraction of the wounded
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
巴勒斯坦万岁 | LAVORARE CONGIUNTAMENTE PER UN "CESSATE IL FUOCO" E PER L'APERTURA DI UN VERO CORRIDOIO UMANITARIO A GAZA 🇵🇸
😭 Più di 10.000 Palestinesi sono stati assassinati dall'Esercito d'Israele, e gli USA - in Sede ONU, continuano a bloccare le giuste risoluzioni che chiedono un "Cessate il Fuoco" e l'apertura di un reale Corridoio Umanitario a Gaza 😡
🇺🇸 Come principale Paese irresponsabile, gli USA continuano a sostenere sotto ogni punto di vista il Governo d'Israele nel massacro del Popolo Palestinese 😡
🇨🇳 Il 10 novembre, il Compagno Zhang Jun - Rappresentante Permanente della Cina alle Nazioni Unite, ha nuovamente invitato i Paesi a compiere sforzi congiunti per arrivare ad un "Cessate il Fuoco", e ad una risoluzione reale dell'enorme crisi umanitaria prodotta dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza 🇵🇸
😡 Soltanto gli USA e la potenza occupante, Israele, chiudono tutte le porte ad un "Cessate il Fuoco" e ad una risoluzione del Conflitto. Il Mondo può vedere con chiarezza chi desidera la Pace e un futuro per il Popolo Palestinese, e chi - invece, sogna costantemente il genocidio 🌐
🇨🇳 La situazione attuale a Gaza, ha dichiarato Zhang Jun, non è solo una crisi umanitaria, ma anche una crisi umana, e il Consiglio di Sicurezza dovrebbe eliminare ogni ostruzione e interferenza dei singoli Paesi, per intrapredere azioni responsabili, significative e soprattutto immediate:
💬 «Un "Cessate il Fuoco" non è affatto una dichiarazione diplomatica, è l'unica speranza di sopravvivenza per la Popolazione di Gaza. Invitiamo tutte le parti, in particolare i principali Paesi che hanno un'influenza unica sulle parti interessate, ad abbandonare le considerazioni geopolitiche e i doppi standard, e a concentrare tutti gli sforzi sull'obbiettivo di un "Cessate il Fuoco" per porre fine alla guerra» 🕊
🇮🇱 I bombardamenti costanti di Israele, potenza occupante, e sempre in continua espansione illegale, rappresentano un'evidente violazione del Diritto Umanitario. La Cina si oppone a ciò, e chiede di porre fine alla punizione collettiva contro i civili 🇵🇸
🇨🇳 La Cina chiede l'apertura di un vero canale che consenta alle istituzioni sanitarie e ai professionisti del settore di entrare a Gaza per evacuare feriti, donne incinte, e condurre operazioni di ricerca e salvataggio 🏥
🇨🇳 Dal Discorso del 7 novembre all'ONU del Compagno Geng Shuang - Vice-Rappresentante Permanente della Cina alle Nazioni Unite:
«Chiediamo a Israele, in quanto potenza occupante, di adempiere i suoi obblighi ai senso del Diritto Internazionale, e di:
一 Ripristinare rapidamente le forniture di sussistenza di base a Gaza.
二 Garantire la consegna, senza ostacoli, degli aiuti umanitari.
三 Porre fine alla punizione collettiva del Popolo di Gaza.
🇨🇳 La Cina rifiuta lo sfollamento forzato e il trasferimento forzato dei Palestinesi» ❌
🔍 Approfondimenti:
一 Risoluzione "A/C.4/78/L.15 Israeli settlements in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, and the occupied Syrian Golan" dell'11 novembre, 145 Paesi votano a favore, tra cui Cina, Corea del Nord e gli altri Paesi Socialisti. Solo 7 contrari, tra cui USA e Israele 🇺🇳
二 120 Paesi, tra cui la Cina, chiedono una tregua umanitaria a Gaza - solo 14 voti contrari, tra cui quelli di USA e Israele 🇺🇳
三 L'Agenzia Cinese per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo fornisce assistenza umanitaria all'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e all'Autorità Nazionale Palestinese, per far fronte alle urgenti necessità di cibo, cure mediche e alloggi, e Israele bombarda i magazzini dell'Agenzia 😡
四 Zhang Jun: «Fermare la Crisi Umanitaria, promuovere l'Istituzione di uno Stato di Palestina che sia indipendente e sovrano» 🇵🇸
五 La Cina ha sempre sostenuto, sostiene e sosterrà l'Istituzione di uno Stato di Palestina 🇵🇸
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巴勒斯坦万岁 | WORKING JOINTLY FOR A "CEASEFIRE" AND FOR THE OPENING OF A TRUE HUMANITARIAN CORRIDOR IN GAZA 🇵🇸
😭 More than 10,000 Palestinians have been murdered by the Israeli Army, and the USA - at the UN, continues to block the right resolutions calling for a "Ceasefire" and the opening of a real Humanitarian Corridor in Gaza 😡
🇺🇸 As the main irresponsible country, the USA continues to support the Government of Israel in every way in the massacre of the Palestinian people 😡
🇨🇳 On November 10, Comrade Zhang Jun - Permanent Representative of China to the United Nations, once again invited the countries to make joint efforts to arrive at a "Ceasefire", and a real resolution of the enormous humanitarian crisis produced by the Israeli bombings in the Gaza Strip 🇵🇸
😡 Only the USA and the occupying power, Israel, close all doors to a "Ceasefire" and a resolution of the conflict. The World can clearly see who desires Peace and a future for the Palestinian People, and who - instead, constantly dreams of genocide 🌐
🇨🇳 The current situation in Gaza, declared Zhang Jun, is not only a humanitarian crisis, but also a human crisis, and the Security Council should eliminate any obstruction and interference from individual countries, to take responsible, significant and above all immediate actions :
💬 «A "Ceasefire" is not a diplomatic declaration at all, it is the only hope of survival for the population of Gaza. We call on all parties, especially major countries that have unique influence on the parties concerned, to abandon geopolitical considerations and double standards, and focus all efforts on the goal of a "Ceasefire" to end the war." 🕊
🇮🇱 The constant bombings of Israel, an occupying power, and always in continuous illegal expansion, represent a clear violation of Humanitarian Law. China opposes this, and calls for an end to collective punishment against civilians 🇵🇸
🇨🇳 China calls for the opening of a real channel that would allow health institutions and healthcare professionals to enter Gaza to evacuate the injured, pregnant women, and conduct search and rescue operations 🏥
🇨🇳 From the November 7 speech at the UN by Comrade Geng Shuang - Vice-Permanent Representative of China to the United Nations:
«We call on Israel, as an occupying power, to fulfill its obligations under International Law, and to:
一 Rapidly restore basic subsistence supplies to Gaza.
二 Ensure the unhindered delivery of humanitarian aid.
三 End the collective punishment of the People of Gaza.
🇨🇳 China rejects forced displacement and forced relocation of Palestinians" ❌
🔍 Further information:
一 Resolution "A/C.4/78/L.15 Israeli settlements in the Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, and the occupied Syrian Golan" of 11 November, 145 countries vote in favor, including China, North Korea and the other Socialist countries. Only 7 against, including USA and Israel 🇺🇳
二 120 countries, including China, call for a humanitarian truce in Gaza - only 14 votes against, including those of the USA and Israel 🇺🇳
三 The Chinese Agency for International Development Cooperation provides humanitarian assistance to the United Nations Relief and Works Agency and the Palestinian National Authority to meet urgent needs for food, medical care and shelter, and Israel bombs the warehouses of 'Agency 😡
四 Zhang Jun: «Stop the Humanitarian Crisis, promote the establishment of an independent and sovereign State of Palestine» 🇵🇸
五 China has always supported, supports and will support the establishment of a State of Palestine 🇵🇸
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pettirosso1959 · 11 months ago
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È da un paio di mesi che, sempre più spesso, si sente parlare - a proposito di ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza - di GENOCIDIO.
Cos’è, esattamente un “genocidio”?
Si può parlare di “Genocidio” quando un Popolo venga sterminato deliberatamente, senza che sussista alcun valido motivo, ma solo in ragione della sua religione, o dell’etnia cui i suoi componenti appartengano.
In ogni caso, come indica lo stesso termine, occorre che lo sterminio abbia portata e dimensioni tali da essere chiaramente finalizzato alla eliminazione dalla faccia della Terra di quel certo Popolo: ciò, anche se lo sciagurato “progetto” non venga poi, per qualsiasi ragione, portato a termine.
La Storia dell’umanità è piena di “Genocidi”: se si vuol sottilizzare, il primo genocidio di cui si abbia una certa conoscenza fu quello perpetrato - molte migliaia di anni addietro - dagli appartenenti alla specie “Homo Sapiens” ai danni dei “Neandertaliani”.
Per restare in periodi a noi più vicini, possiamo ricordare lo sterminio delle popolazioni centro e sud americane (Maya, Aztechi, Incas), di quello dei Pellerossa del Nord America e, nel XX Secolo, quello dagli Armeni (un milione e mezzo di morti su poco più di due milioni di persone), e quello degli Ebrei (sei milioni di morti su tredici milioni di Ebrei residenti in Europa).
Tutte le guerre hanno causato centinaia di migliaia di vittime civili: si verifichi quanti morti provocarono la “Guerra Civile Spagnola”, nonché la “Prima” e la “Seconda Guerra Mondiale”; si faccia il conteggio di quante persone morirono a Hiroshima e Nagasaki (quelle non erano solo “vittime civili”: erano proprio “vittime inconsapevoli ed innocenti”), eppure mai nessuno si è sognato di parlare, in tutti questi casi, di “Genocidio”.
Le guerre sono TUTTE orribili; non esistono “Guerre buone” e “Guerre cattive”: le guerre dovrebbero essere TUTTE evitate, perché ogni guerra uccide una parte di “Umanità”.
Ma, da ciò, a finire con l’appioppare termini errati a qualcosa che, per una qualsiasi ragione, vogliamo supportare ed a cui desideriamo dare la nostra adesione……il passo è lungo e, a voler insistere, si rischia di estrinsecare la propria “faziosità”.
Ciò che sta accadendo nella “Striscia di Gaza” è orribile, ma I COMBATTIMENTI potrebbero avere FINE IMMEDIATA: basterebbe che gli ostaggi israeliani fossero subito LIBERATI.
A quel punto si potrebbero trarre le opportune conclusioni: se Israele dovesse continuare le ostilità contro Gaza, allora l’accusa di “genocidio” potrebbe cominciare a prendere forma.
Se, invece, la guerra cessasse, allora davvero qualcuno dovrebbe ammettere di aver utilizzato i termini sbagliati.
L’aspetto più rilevante (addirittura, determinante), in questa fattispecie di “presunto genocidio” è che - nella Storia dell’umanità - sarebbe la prima volta che il Popolo vittima di un “genocidio” abbia lui stesso il potere di farlo cessare immediatamente!
Il genocidio degli Armeni cessò con la disfatta dell’Impero Ottomano nella Prima Guerra Mondiale; il genocidio degli Ebrei cessò con la disfatta del Terzo Reich nella Seconda Guerra Mondiale: entrambi cessarono per EVENTI ESTERNI e nè gli Armeni, né gli Ebrei ebbero mai alcuna possibilità di fermare il loro genocidio.
Il Popolo palestinese, SI.
Basterebbe che la popolazione di Gaza isolasse i miliziani di Ḥamās e li obbligasse a liberare gli ostaggi.
I casi sono due: o il numero dei “miliziani di Ḥamās” coincide con quello della popolazione palestinese (ed allora tutti i palestinesi dovrebbero essere definiti “terroristi”), oppure i “miliziani di Ḥamās” presenti a Gaza sono poche centinaia (ed allora non dovrebbe essere difficile per gli oltre DUE MILIONI di Palestinesi ivi residenti isolarli e costringerli a liberare gli ostaggi).
I Palestinesi lo potrebbero fare: non lo fanno perché la loro quasi totalità, seppur non sia militante attiva di Ḥamās, è convinta che tale organizzazione tuteli davvero la gente palestinese: tale convincimento (intimo e consapevole, seppure errato), spinge la gente di Gaza a condividere lo spirito e le motivazioni politiche e religiose di Ḥamās ed a subirne l’infausto influsso.
Se c’è in corso un “genocidio”, dunque, i Palestinesi potrebbero fermarlo: c’è qualcuno che si sia mai chiesto come avrebbero potuto i Pellerossa, i Maya, gli Incas, gli Aztechi, gli gli Armeni e gli Ebrei, a porre termine allo sterminio che stavano subendo?
Non potevano: in tutti quei casi, infatti, trattavasi di vero GENOCIDIO. Gius. Trip.
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Brava gente 😶
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paoloxl · 4 years ago
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L’apartheid del vaccino per i palestinesi | Global Project
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"Andrà tutto bene e questa pandemia renderà migliore l’umanità”. Non era forse questo il mantra che abbiamo sentito fino alla nausea durante i primi mesi del 2020, quando il virus che causa il Covid-19 dall’Asia è giunto prima in Europa e poi nel resto del modo, cambiando per sempre le nostre vite?
E quante volte ancora abbiamo sentito che il vaccino sarebbe stato “democratico” e che gli sforzi a livello globale per ottenerlo a tempo di record siano stati un esempio incredibile di come la scienza contribuisca ad abbattere le barriere ed unire l’umanità sotto l’egida di un obiettivo comune?
Israele, gennaio 2021: il piano vaccinale di somministrazione del siero Pfizer-BioNTech contro il Covid-19 è talmente efficiente che, al ritmo di 150 mila dosi inoculate al giorno, ha consentito la copertura del 10% della popolazione in un tempo brevissimo, tanto che il “modello israeliano” viene ormai elogiato come “eccellenza” e citato come termine di paragone dai notiziari di tutto il mondo. Il primo ministro Netanyahu, suo malgrado ormai in campagna elettorale perenne, ha dichiarato che il suo potrebbe essere il primo paese al mondo ad uscire dalla pandemia.
Israele è stato colpito duramente dalla pandemia: ha segnalato, infatti, più di 366 mila casi, di cui almeno tremila morti su una popolazione di nove milioni di persone.
Israele, però, non è un paese come tutti gli altri. La sua storia recente è una storia di colonialismo d’insediamento, land-grabbing ed espropriazione delle terre e dei diritti che prosegue quotidianamente da oltre settant’anni. 
Così, accanto ai suoi nove milioni di cittadini vivono – o forse sarebbe meglio dire “tentano di sopravvivere” -, sotto occupazione militare e in regime di apartheid, circa 2,7 milioni di palestinesi della Cisgiordania e circa due milioni della Striscia di Gaza. La situazione di questi cinque milioni di persone era drammatica già in epoca pre-pandemica in Cisgiordania a causa dell’indebolimento politico dell’ANP, delle restrizioni della libertà di movimento, dell’espropriazione delle risorse e dello sfruttamento della forza lavoro a basso costo e a Gaza a causa della dittatura religiosa di Hamas e dell’assedio che perdura dal 2007, che hanno generato una tragedia umanitaria senza precedenti.
La campagna di vaccinazione di Israele include anche i coloni ebrei che vivono occupando illegalmente buona parte della Cisgiordania, che sono cittadini israeliani.
Cosa accadrà a queste persone, che vedono vaccinarsi a ritmi record i loro “vicini di casa”, coloro che hanno saccheggiato e continuano ad usurpare con la forza e spesso con violenza inaudita e del tutto gratuita le terre abitate e coltivate dai loro antenati?
Sarebbe forse troppo pretendere che Israele, potenza occupante, si faccia carico della vaccinazione dei palestinesi, se non come parziale indennizzo per il genocidio perpetrato nell’ultimo secolo, almeno come dimostrazione di umana compassione?
Non solo è una pretesa eccessiva, ma addirittura dobbiamo aspettarci che sia l’ennesima arma per isolare, rinchiudere, assediare i palestinesi (o almeno quelli che non possono essere sfruttati come forza lavoro dai coloni) e distruggerne definitivamente l’economia. Si prevede un lockdown ancora lungo per i palestinesi. Se gli israeliani raggiungeranno presto l’immunità di gregge, loro saranno ancora di più “gli appestati”; “gli intoccabili” e per loro potrebbe diventare ancora più complesso non solo muoversi in Cisgiordania attraversando i territori occupati, ma anche all’estero attraverso la Giordania e l’Egitto.
L’OMS ed il suo piano covax (il piano che mira a fornire vaccini gratuiti al 20% della popolazione dei paesi più poveri del mondo) sono in ritardo ed a corto di liquidità; davvero immobili se paragonati alla solerzia dei paesi ricchi che hanno opzionato i vaccini a pagamento e l’ANP non ha ancora formalmente chiesto aiuto ad Israele. D’altronde i rapporti diplomatici si sono praticamente interrotti dopo l’accordo del secolo e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con i paesi arabi.
L’unica dichiarazione, davvero troppo ottimista, dei funzionari di governo è che potrebbe arrivare per i palestinesi qualche dose del vaccino russo Sputnik V a fine gennaio.
Secondo Al Jazeera, l'Autorità Palestinese ha segnalato più di 85 mila casi nella Cisgiordania occupata, inclusi più di 800 morti, e l'epidemia si è intensificata nelle ultime settimane.
La situazione è ancora più grave a Gaza, dove le autorità hanno segnalato più di 30 mila casi (quasi sicuramente sono molti di più, ma i kit per la diagnosi sono insufficienti), di cui 220 decessi.
Non sta andando tutto bene per i palestinesi. Non vanno bene l’andamento dei contagi e la situazione nelle strutture sanitarie, soprattutto a Gaza, e siamo ben lontani dall’intravedere una luce alla fine di questo tunnel.
Scrive il giornalista Roberto Prinzi su un post Facebook proprio su questo argomento, «ripetere in modo noiosamente retorico che “la scienza è progresso” non ha alcun senso se non si aggiunge una piccola condizione: se "solo se tutti realmente possono goderne i suoi frutti". Insomma, solo se c'è giustizia. Altrimenti per molte donne e uomini si traduce solo nell'ennesima faglia che lacera ancora di più l'umanità». 
Nel frattempo, la violenza non si ferma: ad Al-Tuwanah, sulle colline attorno ad Hebron, il ventiquattrenne Haroun Rasmi Abu Aram, ferito al collo da un colpo sparato da militari israeliani mentre cercava di sottrarre alla confisca il suo generatore di elettricità, è rimasto tetraplegico.
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marcogiovenale · 3 days ago
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importante: 4 febbraio, webinar di amnesty international sull'ultimo rapporto dedicato al genocidio a gaza
* PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO SUL GENOCIDIO DI ISRAELE A GAZA webinar Martedì 4 febbraio alle ore 19:00 Il lavoro di ricerca di Amnesty International nel Territorio palestinese occupato e Israele non si è mai fermato. Dal rapporto sul crimine di apartheid contro la popolazione palestinese, alle indagini e ricerche dal 7 ottobre 2023 in poi. Nel nostro ultimo rapporto “Ti senti come se fossi un…
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marcogiovenale · 12 days ago
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importante: 4 febbraio, webinar di amnesty international sull'ultimo rapporto dedicato al genocidio a gaza
* PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO SUL GENOCIDIO DI ISRAELE A GAZA webinar Martedì 4 febbraio alle ore 19:00 Il lavoro di ricerca di Amnesty International nel Territorio palestinese occupato e Israele non si è mai fermato. Dal rapporto sul crimine di apartheid contro la popolazione palestinese, alle indagini e ricerche dal 7 ottobre 2023 in poi. Nel nostro ultimo rapporto “Ti senti come se fossi un…
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curiositasmundi · 1 year ago
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[...] Come giornaliste, giornalisti, video e fotoreporter siamo sconvolti dal massacro dei nostri colleghi, delle nostre colleghe e delle loro famiglie da parte dell'esercito israeliano. Siamo al fianco dei nostri colleghi e delle nostre colleghe di Gaza. Senza di loro, molti degli orrori sul campo rimarrebbero invisibili. Ci uniamo alle nostre colleghe e ai nostri colleghi statunitensi e francesi nel sollecitare la fine delle violenze contro i e le professioniste dell’informazione a Gaza e in Cisgiordania, e per invitare i responsabili delle redazioni italiane ad avere un occhio di riguardo per le ripetute atrocità di Israele contro i palestinesi. Le nostre redazioni, senza il lavoro di chi ora è sul campo, non sarebbero in grado di informare il pubblico italiano rispetto a ciò che sta accadendo nella Striscia. Eppure, la narrazione quasi totalitaria della nostra stampa sembra essere poco oggettiva nel riportare le notizie. Molteplici redazioni italiane e occidentali stanno continuando a disumanizzare la popolazione palestinese e questa retorica giustifica la pulizia etnica in corso. Negli anni sono state diverse le accuse di doppio standard. Tra le più eclatanti il caso della BBC, analizzato dalla Syracuse University nel 2011 e lo studio di come, negli ultimi 50 anni, la stampa statunitense ha coperto le notizie relative alla questione palestinese con una predilezione per il punto di vista israeliano. Nel 2021 più di 500 giornalisti hanno firmato una lettera aperta in cui esprimevano preoccupazione per la narrazione dei fatti di Sheikh Jarrah. Nelle stesse settimane, diversi accademici italiani hanno inviato una lettera aperta alla Rai in merito alla copertura delle stesse notizie. Le nostre redazioni hanno in troppi casi annullato le prospettive palestinesi e arabe, definendole spesso inaffidabili e invocando troppo spesso un linguaggio genocida che rafforza gli stereotipi razzisti. Sulla carta stampata e nei programmi di informazione, la voce palestinese è troppo spesso silenziata. Non è stato dato abbastanza spazio a giornalisti e giornaliste arabofone esperti ed esperte sul tema, che sarebbero in grado di dare anche il punto di vista dei Paesi della regione. La copertura giornalistica ha posizionato il deprecabile attacco del 7 ottobre come il punto di partenza del conflitto senza offrire il necessario contesto storico - che Gaza è una prigione de facto di rifugiati dalla Palestina storica, che l'occupazione di Israele dei territori della Cisgiordania è illegale secondo il diritto internazionale, che i palestinesi sono bombardati e attaccati regolarmente dal governo israeliano, che i palestinesi vivono in un sistema coloniale che usa l’apartheid e che in Cisgiordania continuano i pogrom dei coloni israeliani contro la popolazione indigena palestinese. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di essere "convinti che il popolo palestinese sia a grave rischio di genocidio", eppure diversi organi di informazione non solo esitano a citare gli esperti, ma hanno iniziato una campagna denigratoria contro esperti indipendenti delle Nazioni Unite, come Francesca Albanese, Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Il nostro compito, però, è fare informazione, fare domande scomode e riportare i fatti. L’omissione delle informazioni e il linguaggio che incita alla violenza, come la richiesta della bomba atomica su Gaza, sono comportamenti che rischiano di diventare complicità di genocidio, ai sensi dell’art. II.c della Convenzione di Ginevra del 1948 sul genocidio. [...]
Via - Lettera aperta: Condanna della strage di giornalisti a Gaza e richiesta di una corretta copertura mediatica della pulizia etnica e del rischio genocidio in corso.
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paoloxl · 6 years ago
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Palestine Chronicle Di Ramzy Baroud (Da Zeitun.info). La partita è in corso. Israele, che ci si creda o no, sta chiedendo che sette Paesi arabi e l’Iran paghino 250 miliardi di dollari come risarcimento per ciò che sostiene essere stata l’espulsione forzata di ebrei dai Paesi arabi alla fine degli anni ’40. Gli eventi citati da Israele sarebbero avvenuti nel periodo in cui le milizie ebree sioniste stavano espellendo attivamente circa un milione di arabi palestinesi e distruggendo sistematicamente le loro case, villaggi e città in tutta la Palestina.
L’annuncio di Israele, che avrebbe fatto seguito a “18 mesi di indagini segrete” condotte dal ministro per l’Uguaglianza Sociale, non deve essere registrato nel dossier in continua espansione delle vergognose falsificazioni israeliane della storia. In realtà fa parte di un calcolato tentativo da parte del governo israeliano, in particolare della ministra (per l’Uguaglianza Sociale) Gila Gamliel, di creare una narrazione alternativa alla legittima richiesta di applicazione del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi che subirono una pulizia etnica da parte delle milizie ebraiche tra il 1947 e il 1948.
C’è una ragione dietro l’urgenza di Israele di rivelare una simile discutibile indagine: l’incessante tentativo di Stati Uniti ed Israele negli ultimi due anni di liquidare i diritti dei rifugiati palestinesi, di mettere in discussione il loro numero ridefinendo chi essi siano o meno e di rendere marginali le loro denunce. Fa tutto parte del pacchetto del disegno in atto camuffato da “Accordo del secolo”, col chiaro scopo di rimuovere tutte le importanti questioni che sono al centro della lotta palestinese per la libertà.
“È venuto il momento di correggere la storica ingiustizia dei pogrom (contro gli ebrei) in sette Paesi arabi e in Iran, e di restituire alle centinaia di migliaia di ebrei che persero le loro proprietà ciò che legittimamente gli appartiene”, ha detto Gamliel.
La frase “…correggere la storica ingiustizia” non è diversa da quella usata dai palestinesi che da oltre 70 anni chiedono la restituzione dei loro diritti in base alla Risoluzione 194 dell’ONU. La voluta sovrapposizione della narrazione palestinese e di quella sionista ha lo scopo di creare paralleli, nella speranza che un futuro accordo politico si concluda con rivendicazioni che si annullino a vicenda.
Tuttavia, contrariamente a quanto vogliono farci credere gli storici israeliani, non vi fu un esodo di massa forzato di ebrei dai Paesi arabi e dall’Iran. Ciò che avvenne fu una massiccia campagna organizzata all’epoca dai capi sionisti per sostituire la popolazione araba indigena in Palestina con immigrati ebrei da tutto il mondo. Le modalità con cui venne portata a termine questa operazione spesso implicarono azioni violente dei sionisti, soprattutto in Iraq.
Di fatto, l’appello agli ebrei a confluire in Israele da tutti gli angoli del mondo resta il grido di battaglia dei leader israeliani e dei loro sostenitori cristiano-evangelici. I primi vogliono assicurare una maggioranza ebraica nello Stato, mentre i secondi cercano di adempiere ad un requisito biblico per le loro a lungo attese Apocalisse e Ascensione in cielo. Attribuire ad arabi e iraniani la responsabilità di questo strano ed irresponsabile comportamento è una violazione della vera narrazione storica alla quale né Gamliel né il suo ministero sono interessati.
Dall’altro lato, e diversamente da quanto gli storici militari israeliani spesso sostengono, l’espulsione dei palestinesi dalla Palestina nel 1947-48 (e le successive epurazioni della popolazione nativa che seguirono alla guerra del 1967) fu un’azione premeditata di pulizia etnica e genocidio. Fu (ed è ancora) parte di una annosa e attentamente progettata campagna che, fin dal suo inizio, ha costituito la principale strategia al centro della “visione” del movimento sionista riguardo al popolo palestinese.
“Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto”, scrisse il fondatore di Israele, comandante militare e primo capo del governo, David Ben Gurion, in una lettera a suo figlio Amos nell’ottobre del 1937. Era più di 10 anni prima che fosse messo in atto il Piano D (per Dalet) – che ha visto la distruzione della patria palestinese per mano delle milizie di Ben Gurion e dei gruppi terroristi sionisti.
“La Palestina ha un grande potenziale per la colonizzazione”, scrisse inoltre Ben Gurion, “di cui gli arabi non hanno bisogno né sono in grado di sfruttare.” Questa esplicita dichiarazione di un progetto coloniale in Palestina, espressa con lo stesso tipo di inconfondibile linguaggio e insinuazioni razziste che hanno accompagnato tutte le altre esperienze coloniali occidentali per molti secoli, non apparteneva solo a Ben Gurion. Era una mera parafrasi di ciò che allora si percepiva essere la sostanza dell’impresa sionista in Palestina in quel momento.
Come ha concluso il professore palestinese Nur Masalha nel suo libro, Expulsion of the Palestinians [‘Espulsione dei palestinesi’], l’idea del “trasferimento” – il termine sionista per pulizia etnica – del popolo palestinese era e resta fondamentale per la realizzazione delle ambizioni sioniste in Palestina. “I villaggi arabi palestinesi all’interno dello Stato ebraico che resistono ‘devono essere distrutti…e i loro abitanti espulsi al di là dei confini dello Stato ebraico’”, ha scritto Masalha, citando la “History of the Haganah”  [‘Storia dell’Haganah’] di Yehuda Slutsky. L’Haganah era la principale milizia sionista che sarebbe diventata l’esercito israeliano (IDF, Israel Defence Force), insieme a ciò che rimaneva dei gruppi terroristici Irgun e Banda Stern.
Ciò che questo significava nella pratica, come descritto dallo storico palestinese Walid Khalidi, fu che le varie milizie ebraiche presero congiuntamente di mira tutti i centri abitati in Palestina, in modo sistematico e senza eccezioni. “Alla fine di aprile del 1948 l’offensiva congiunta di Haganah e Irgun aveva circondato completamente la città palestinese di Giaffa, costringendo la maggior parte dei civili rimasti alla fuga per mare verso Gaza o l’Egitto; molti annegarono nel tragitto”, ha scritto Khalidi in “Before Their Diaspora” [Prima della loro diaspora’].
Questa tragedia arrivò a colpire tutti i palestinesi dovunque all’interno dei confini della loro patria storica. Decine di migliaia di rifugiati si unirono ad altre centinaia di migliaia in tanti sentieri polverosi in tutto il Paese, crescendo di numero man mano che procedevano, prima di piantare finalmente le loro tende in zone che dovevano essere provvisori campi per rifugiati. Ahimè, rimangono campi per rifugiati palestinesi ancor oggi, disseminati nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza, in Giordania, Siria e Libano.
Nulla di ciò fu accidentale. La determinazione dei primi sionisti a stabilire un “focolare nazionale” per gli ebrei a spese della popolazione araba palestinese del Paese fu comunicata apertamente, chiaramente e ripetutamente attraverso la formazione del primo pensiero sionista e la trasformazione di quelle ben articolate idee in realtà.
Sono passati 70 anni dalla Nakba – la catastrofe del 1948 – e Israele non si è mai assunto la responsabilità delle proprie azioni né i rifugiati palestinesi hanno ricevuto alcuna misura di giustizia, per quanto piccola o simbolica. Perciò, per Israele chiedere delle compensazioni dai Paesi arabi e dall’Iran è una parodia morale, specialmente dato che i rifugiati palestinesi continuano a sopravvivere in campi profughi in tutta la Palestina e il Medio Oriente.
Sì, certamente “è arrivato il momento di correggere l’ingiustizia storica”, ma non per quelli che Israele ora sostiene essere stati “pogrom” condotti da arabi e iraniani. La vera ingiustizia storica è la continua e terribile distruzione della Palestina e del suo popolo.
Ramzy Baroud è giornalista, scrittore e redattore di Palestine Chronicle. Il suo prossimo libro è The Last Earth: A Palestinian Story [L’ultima terra: una storia palestinese] (Pluto Press, Londra). Baroud ha un dottorato di ricerca in Studi Palestinesi presso l’Università di Exeter ed è ricercatore non residente presso il Centro Orfalea di Studi Globali e Internazionali, Università della California a Santa Barbara.
Traduzione per Zeitun.info di Cristiana Cavagna
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paoloxl · 8 years ago
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Bush jr addirittura nelle ore seguenti agli sconvolgenti attacchi alle Torri gemelle e al Pentagono, l’Afghanistan è stato il laboratorio principe. Dopo sedici anni e dopo il ritiro da quel territorio di gran parte delle truppe Nato di terra, il laboratorio è sempre aperto. Il conflitto prosegue con altri mezzi, soprattutto i decantati droni, per i quali Washington ha approntato otto basi aeree attrezzate (Kabul, Bagram, Kandahar, Camp Marmal, Herat, Mazar-e Sharif, Jalalabad, Khost) e spende cifre astronomiche. E’ stato il premio Nobel alla pace 2009 Barack Obama a lanciare con decisione la nuova frontiera del conflitto, mentre ipocritamente divulgava la linea dell’exit-strategy. L’ultimo lavoro di un network di ricercatori sulle vicende afghane, rifacendosi anche a notizie diffuse sul Military Times, riferisce che gli stessi dispacci del Pentagono non rivelano il numero dei voli effettuati in questi anni, si parla solo di veicoli impiegati e ordigni sganciati. Per il 2016 utilizziamo i dati offerti dall’Unama: rivelano come gli attacchi tramite droni siano stati 615 su 1017 assalti complessivi che comprendono anche i caccia. I droni usati sono i MQ-1Predator XP e Reaper, mentre il modello MQ-1 Gray Eagles, è impiegato nelle perlustrazioni, ma non è tuttora dotato di missili.  A gestire i gioiellini dell’industria bellica General Atomic di San Diego, è naturalmente l’Us Air Force, assieme alla Joint Special Operations Command, l’organismo pianificatore delle operazioni speciali statunitensi, simili per intenderci alla cosiddetta ‘Neptune Spear’ che nel maggio 2011 ha eliminato Osama Bin Laden. La Cia ha uno stretto rapporto con questa struttura, si può ben dire che le liste di killeraggio vengano compilate direttamente a Langley. Tali operazioni, tuttora massicce nelle aree tribali verso il confine pakistano (Fata) nonostante il governo di Islamabad si lamenti delle distruzioni che producono fra la popolazione civile, risultano anche ad occhi esperti solo parzialmente mirate. Lo conferma un ex collaboratore di pubblicazioni militari statunitensi negli ultimi tempi passato alla Reuters. In base a quanto appreso, o direttamente constatato, i “piloti” nelle basi afghane presiedono le operazioni di decollo e atterraggio, gli attacchi e i colpi mirati delle esecuzioni vengono decisi ed esplosi a decine di migliaia di chilometri di distanza, nei centri operativi statunitensi. La ‘gola profonda’ rivela che il principale hub è la base di Creech Air Force, in Nevada, cui s’appoggiano altre stazioni locali. Mentre quella storica di Clovis (New Mexico), Cannon Air Force Base, che ha nutrito bombardieri dalla Seconda guerra mondiale, passando per il Vietnam, s’interessa delle missioni di Air Force Special.  Di esplosivo nella notizia ci sono i missili che stracciano vite di inermi civili, i famosi “danni collaterali”, citati negli annunci paramortuari dei portavoce del Dipartimento della difesa statunitense. Per mancanza di dati certi, secretati dall’Aviazione Usa, è difficile distinguere le morti civili provocate da droni da quelle causate da aerei da combattimento. Esperti affermano che la capacità del drone di restare a lungo in volo può favorire la ricerca dell’obiettivo mirato, escludendo altri bersagli. Eppure uno studio compiuto fra il 2010 e il 2011 dall’Unama ha mostrato che i droni provocano più feriti di altri attacchi. Anche recentemente l’aumento delle attività di controllo dal cielo, da parte americana e governativa, non ha diminuito il numero dei civili uccisi, anzi. Proprio l’anno scorso si è registrato un sensibile aumento dei “danni collaterali” dal 2009, il 40% dei ferimenti è attribuito ad azioni congiunte di droni più aerei (la fonte è sempre l’Agenzia Onu). Analisti militari sostengono che gli errori stanno crescendo per scarsità di lavoro di Intelligence, ma c’è chi pensa che questo sia solo un alibi. Lo dimostrerebbero episodi come l’attacco all’ospedale di Medici senza frontiere nell’area di Kunduz, dell’ottobre 2015. I terribili bombardieri americani sapevano chi colpivano, e hanno continuato a farlo.  Un’altra ricerca, stavolta dell’Università di Durham, che ha inviato a proprio rischio e pericolo propri addetti in due distretti della provincia di Nangahar, ha invece riscontrato una voluta tolleranza alla presenza di droni. Infatti la locale etnìa pashtun è vicina alle posizioni del governo Ghani e vede di buon occhio il tiro a segno dall’aria contro talebani, Daesh ed elementi filopakistani. Peccato che nell’enfasi della battaglia gli abitanti dei villaggi possono diventare essi stessi bersagli. Quest’ultimi si trovano fra il fuoco statunitense dal cielo e quello taliban da terra, visto che i resistenti cercano di sradicare dal territorio la popolazione impaurendola con attentati. La zona attorno a Jalalabad (centrorientale) riscontra attualmente una situazione simile a quella delle aree tribali pakistane, collocate appena più a sud. C’è un’ampia frammentazione dell’opposizione armata, diversi clan sono in contrasto fra loro, e questa situazione ha fatto sorgere sigle che si richiamano all’Isis. Ma proprio l’ampliamento del programma dell’attacco coi droni, che lì esordì nel 2004 contro la componente qaedista, mostra un contradditorio esito: parecchi miliziani e leader sono stati colpiti, però fra la popolazione giovanile è anche cresciuta l’adesione al combattentismo. E quest’ultimo s’è fortemente radicalizzato, come mostra la storia dei Tehreek Taliban. Questione già trattata, ma torneremo sul tema.  15 marzo 2017  articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.it Enrico Campofreda
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