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Milano: Mahmood e Omar Pedrini e il Premio Rosa Camuna per la musica
Milano: Mahmood e Omar Pedrini e il Premio Rosa Camuna per la musica. Anche la musica è protagonista del 'Premio Rosa Camuna', la più alta onorificenza istituita dalla Regione Lombardia. Tra i premiati dell'edizione 2024, il bresciano Omar Pedrini, già storico leader dei Timoria (su iniziativa del Consiglio regionale) e il milanese Alessandro Mahmood, uno dei nomi più importanti della scena musicale contemporanea e già vincitore del Festival di Sanremo (su indicazione del presidente della Regione Lombardia). I prestigiosi riconoscimenti vengono assegnati a persone fisiche, imprese, enti, associazioni, fondazioni e realtà residenti, con sede o operanti in Lombardia, che grazie al loro impegno, operosità, creatività ed ingegno hanno contribuito allo sviluppo economico, sociale, culturale e sportivo della Lombardia. Nelle motivazioni del conferimento del premio 'Rosa Camuna', per Omar Pedrini si legge: "Le sue produzioni artistiche e musicali lo hanno reso un protagonista indiscusso della scena rock italiana dagli anni '90 ad oggi. La Lombardia, la terra a cui sente profondamente di appartenere, è un punto di forza e di riferimento in tutta la sua produzione artistica". In quelle per Mahmood si spiega che "i suoi album hanno registrato milioni di copie vendute e innumerevoli riconoscimenti artistici. Non fa mancare il suo sostegno a progetti a favore di chi è difficoltà". OMAR PEDRINI, DA BRESCIA 35 ANNI DI CARRIERA PIENA DI SUCCESSI - Bresciano classe '67 Omar, mastica pane e musica fin da piccolo. La musica è di casa a casa sua: il bisnonno materno era un liutaio, la nonna materna suonava la chitarra e la madre, vicina al movimento hippy, si portava dietro i figli quando andava ai concerti di artisti come Guccini, Vecchioni e De Gregori. Durante gli anni del Liceo Classico Pedrini conosce Carlo Alberto Pellegrini, Diego Galeri ed Enrico Ghedi, con cui nel 1985 fonda la band rock alternative dei Timoria. Dopo il diploma, Omar si iscrive all'Università di Milano alla facoltà di Scienze Politiche, che abbandona qualche anno dopo per dedicarsi alla musica a tempo pieno. Con i Timoria, a cui nel frattempo si aggiunge anche Francesco Renga, raggiunge il successo e pubblica 13 album. Nel 2003 prende una pausa a tempo indeterminato dalla band e si dedica unicamente alla carriera solista, intrapresa già a partire dal 1996. L'amore per le arti figurative, la letteratura e le contaminazioni, lo porta a esplorare molte altre strade, a partire dalla direzione artistica dal 1997 del 'Brescia Music Art', festival della contaminazione tra le arti, alla direzione del festival 'Valtrompia MUSIC Art', all'esperienza di autore televisivo e di docente al Master in Comunicazione Musicale dell'Università Cattolica. Nel 2009 firma la colonna sonora del film di Pupi Avati 'Il figlio più piccolo' in cui interpreta anche un cameo. Nel 2016 vince il Premio Lunezia per il valore letterario dei testi delle canzoni con l'album 'Che ci vado a fare a Londra?'. Nel 2014 collabora con Regione Lombardia e con il presidente Roberto Maroni al 'Lombardia Unesco Tour' per promuovere l'area archeologica del Capitolium, in vista di Expo. Pedrini è ambasciatore Expo del Patrimonio dell'umanità bresciano. Il progetto istituzionale organizzato da Regione Lombardia, nato con l'obiettivo di valorizzare i nove siti Unesco presenti nella regione e il 'Saper fare liutario' di Cremona. Dal 2003 al 2021 subisce tre interventi cardiaci, per un aneurisma all'aorta. Nonostante l'annuncio del ritiro dalle scene per i ricorrenti problemi di salute, prosegue con le sue attività e nel 2023 si esibisce come ospite alla finale della diciassettesima edizione di X Factor, con il brano 'Sole spento', pubblicato dai Timoria nel 2001. ALESSANDRO MAHMOOD - Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood, nasce Milano nel 1992, da madre sarda e padre egiziano. Dopo l'abbandono del padre, cresce a Milano nel quartiere periferico di Gratosoglio con la madre e inizia a studiare canto e chitarra a 12 anni. Muove i primi passi sotto i riflettori a X Factor 6, nel 2012, dove entra nel gruppo Under Uomini. La passione per la musica lo porta a iscriversi a una scuola dove studia pianoforte, teoria e solfeggio. Si mantiene agli studi lavorando in un bar, rimanendo molto legato alla sua Sardegna e alle sue origini. Tre anni dopo X-Factor, vince nel 2015 'Area Sanremo' con il brano 'Dimentica', che gli varrà anche un quarto posto nella categoria 'Nuove proposte' del Festival nel 2016. Da quel momento pubblica i singoli 'Pesos' e 'Uramaki', presentato al 'Wind Summer Festival', e inizia a collaborare con grandi artisti della scena italiana. Scrive tre pezzi per Marco Mengoni, tra cui il brano 'Hola (I say)' in duetto con Tom Walker, canta con Fabri Fibra nel 2017 il brano 'Luna', pubblicato in 'Fenomeno'. Scrive per Elodie e Michele Bravi, a fianco di Dario Faini, il pezzo 'Nero Bali' diventato Disco di Platino. La sua carriera decolla, fino alla vittoria della 69ª edizione del Festival di Sanremo nel 2019 con il brano 'Soldi', Disco di Platino a meno di un mese dalla sua uscita. Nel febbraio del 2022 partecipa per la seconda volta al Festival di Sanremo, in duetto con Blanco, con il brano 'Brividi' e vince nuovamente, rappresentando di diritto l'Italia insieme a Blanco all' 'Eurovision Song Contest' 2022. Il 2024 è un grande anno per l'artista: torna a suonare sul palco dell'Ariston per la 74ª edizione del Festival di Sanremo con il brano 'Tuta gold', e tra aprile e maggio è impegnato per il terzo European Tour:16 date in 10 paesi europei, tra cui Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, e Italia.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Wangari Muta Maathai
Wangari Muta Maathai, biologa, ambientalista e attivista politica, è stata la prima africana a ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 2004 per «il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace».
Voce simbolo della lotta per promuovere la pace e il benessere nel continente, è stata insignita di numerosi premi internazionali tra cui il Global 550 dell’ONU e il Goldman Environmental Award.
Nata il primo aprile 1940, a Ihithe, un villaggio nella zona degli altipiani centrali del Kenya, apparteneva all’etnia kikuyu.
È stata una delle rarissime bambine ad andare a scuola e poi a frequentare il college. Si è laureata in biologia all’università di Pittsburgh, grazie a borse di studio di fondazioni statunitensi.
Dopo la specializzazione, nel 1966, era stata nominata assistente di ricerca al Dipartimento di zoologia dello University College di Nairobi ma, rientrata in patria, aveva scoperto che il posto era stato assegnato a un uomo che stava ancora studiando in Canada. Successivamente, ha ottenuto la stessa posizione alla Scuola di veterinaria e svolto ricerche alle università di Giessen e di Monaco, in Germania, per terminare il suo dottorato.
Nel 1969 ha sposato Mwangi Mathai con cui ha avuto tre figli.
Nel 1971 è stata la prima keniota a ricevere un dottorato e diventare professoressa assistente.
Ha dovuto sgomitare per farsi accettare da studenti e colleghi, tutti maschi e per ottenere gli stessi benefit, come l’alloggio, l’assicurazione, i contributi pensionistici. All’interno dell’università, ha organizzato la lotta delle lavoratrici per un salario decente, ha militato nella Croce Rossa e nel Consiglio Nazionale delle Donne.
Ha fatto parte dell’Environmental Liaison Centre che promuove la partecipazione delle organizzazioni non governative al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
Durante la giornata mondiale per l’ambiente del 1977, con altre donne ha piantato sette alberi che hanno formato la prima “cintura verde” che ha dato il nome al Green Belt Movement, punto di riferimento dell’ambientalismo africano e delle battaglie contro la desertificazione del continente.
Con una capillare azione di sensibilizzazione, insieme a centinaia di donne ha piantato moltissime specie autoctone contrastando le politiche dell’autoritario presidente Daniel Toroitich arap Moi che svendeva le risorse naturali e consentiva l’abbattimento di parti di foreste pluviali.
La sua azione ha fortemente contribuito a sollevare l’attenzione nazionale e internazionale sull’oppressione politica in Kenya, incoraggiando le donne a battersi per una vita migliore.
Per la sua critica alla corruzione del regime, insieme alle altre attiviste, è stata picchiata, incarcerata e minacciata di morte, ma non si è lasciata intimidire.
Ha lottato per la democrazia, per una giustizia uguale per tutti e tutte, per la libertà di espressione e la cancellazione del debito estero dei paesi più poveri.
Ha occupato terre pubbliche cedute illegalmente a società straniere, campi da golf costruiti per gli amici del presidente e persino il parco al centro di Nairobi dove c’era il progetto costruire un grattacielo per farne la sede del partito al governo.
Nel 1985, durante il terzo vertice delle Nazioni Unite sulle donne tenutosi a Nairobi, ha contribuito a far nascere il Pan African Green Belt Network che, in quindici paesi, combatte la desertificazione, la siccità e la fame.
Mentre collezionava premi internazionali, il marito ha chiesto il divorzio accusandola di non occuparsi abbastanza della casa e dei figli.
Nel 2002, Wangari Maathai – con una “a” in più perché l’ex le aveva vietato di usare il cognome da sposata – si è presentata alle elezioni con la Coalizione arcobaleno. Nella sua circoscrizione aveva avuto il 98% dei voti. Entrata in Parlamento col governo del presidente Mwai Kibaki, è stata Ministra aggiunta dell’Ambiente, Fauna e Risorse Naturali, carica ricoperta fino al 2007.
Quando, nel 2004 le è stato assegnato il Premio Nobel per la pace, lo ha festeggiato piantando un albero.
Come Presidente del Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione Africana, ha rappresentato il continente in consessi internazionali.
Nel 2006 è stata pubblica la sua autobiografia, Unbowed, tradotta in italiano col titolo Solo il vento mi piegherà.
Insieme a celebri attiviste ecologiste come Jody Williams, Shirin Ebadi, Rigoberta Menchù, Betty Williams e Mairead Corrigan Maguire, ha fondato la Nobel Women’s Initiative per connettere i temi ambientali a quelli sulla parità di genere in tutti i campi, contro la violenza e per i diritti delle donne.
Malata di tumore alle ovaie, ha continuato le sue battaglie fino alla fine, è morta a Nairobi il 25 settembre 2011.
Attraverso una strategia fatta di educazione, pianificazione familiare, alimentazione consapevole e lotta alla corruzione, il Green Belt Movement ha aperto la strada allo sviluppo.
Dalla sua fondazione, l’organizzazione, che conta oltre quattromila gruppi composti al settanta per cento da donne, ha piantato circa 50 milioni di alberi.
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A Livorno quasi 35mila euro per i giovani volontari del Terzo settore da Cesvot e Regione Toscana-Giovanisì
Livorno, 27 aprile 2023 Quasi 35mila euro (per la precisione 34.947) di finanziamenti per i 7 progetti dell’area di Livorno vincitori del bando “Siete presente. Con i giovani per ripartire”, realizzato da Cesvot e finanziato da Regione Toscana-Giovanisì in accordo con il Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale, con il contributo delle 11 Fondazioni bancarie della…
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La differenza tra votare Bonaccini o Schlein è più o meno la differenza tra votare PD o Italia Viva.
Se Schlein si farà promotrice di qualche cosa che odori un po' più di sinistra saranno tutte iniziative a costo zero per il padrone.
Non che la gente che abbia bisogno di una sinistra in Italia sia poca, è la maggioranza, ma la gente di sinistra in Italia è rimasta poca e anche quella che si "sente" di sinistra, dal punto di vista economico e sociale ha le idee molto confuse. Si illude che migliori condizioni di lavoro si ottengano con la "meritocrazia" anzichè con le lotte sindacali, è per il welfare ma pensa che non funzioni perchè è lo stato che ruba ed è inefficiente etc...
In queste condizioni non c'è bisogno di un segretario del PD che faccia politiche di sinistra, perchè la gente che si sente di sinistra non sa nemmeno più lei quali siano le politiche di sinistra.
E l'offerta seguirà la domanda e la domanda rimarrà puntualmente delusa, perchè se anche il PD dovesse portare a casa qualche cosa di quello che promette sarà inutile, perchè se non investi risorse in un movimento, le mettono i padroni e farà gli interessi dei padroni e il PD è irriformabile dall'interno ed è inutile investirci risorse.
E la gente non investe risorse in un movimento, perchè è stanca della politica, non ha fiducia negli altri, se lo fa, lo fa per tornaconto personale, non ha tempo o pensa che il tempo sia meglio investito in altro, vede le sue condizioni peggiorare e non vede più nell'azione collettiva una speranza, la vede nella magia di "grandi leader" e investe ancora più del suo tempo a stare a galla o illudersi che stia bene con un'identità virtuale.
Chi è sopravvissuto ai meetup grillini è perchè o li vedeva come sedute di psicoterapia o perchè pensava di farci carriera. La fiducia nell'altro è ormai patrimonio di pochi.
Se la morte del PD potrebbe forse non dare più alibi all'inefficacia delle politiche di destra (che non è da sottovalutare, visto che la destra è passata da "chi non salta comunista è" a "enorme emergenza sostituzione etnica per colpa della teoria gender" e quindi ai più non ha nient'altro da vendere che un nemico inesistente che una volta sconfitto aprirà le porte dell'eldorado), finchè la gente non capisce che cazzo vuole e che per averlo è necessaria un'azione collettiva, non cambierà una sega, salvo fattori esterni che potrebbero rilevarsi piuttosto traumatici (tipo non saremo più competitivi su un cazzo e finiremo a lavorare come i cinesi di 10 anni fa).
D'altronde oggi chi fa politica attiva oltre a quella finanziata dalle "fondazioni"? "i centri sociali" e l'associazionismo che è stato sempre più represso e i fasci che vanno a menare la gente fuori dalle superiori. E i fasci lo fanno per "egoismo" effimero, per "gloria", lo stesso egoismo che spinge la gente a postare i cazzi suoi su facebook.
Si è perso quel rapporto tra azione collettiva e risultati concreti, pratici (salari, orario di lavoro, welfare...) e dove questo rapporto è ancora messo in pratica (gli scioperi della logistica dove ancora si riesce a strappare qualche contratto) viene fortemente represso.
Anche a sinistra molta gente crede alla "concertazione", ha sostituito "classi sociali" con "parti sociali". Non c'è domanda per un partito di sinistra, al massimo per un partito di "sinistra" che è quello che continueremo ad avere, forse.
Il mio intervento di 12 ore fa è invecchiato particolarmente male, a ennesima conferma che forse dovrei smettere di parlare di politica e darmi alla canasta.
Ammetterò un certo stupore, resto comunque dell’idea che il fatto che il PD (tramite una persona che meno di tre mesi fa non era tesserata, e tramite un’elezione aperta a non tesserati) abbia intercettato una serie di malumori a sinistra riavvicinandoli a sé sia sostanzialmente dannoso. Poi probabilmente sono io che sono pessimista: l’idea di spostare l’asse di un partito dall’interno è un piano che ad altri è riuscito benino (tipo a quelli dell’ex DC confluiti nel PD) ma è una dinamica che ho sempre associato più alle infezioni virali che alle riscosse sociali.
C’è di bello che ho ormai una vasto curriculum di previsioni fatte a cazzo e spero vivamente di sbagliarmi (di nuovo).
Nel frattempo in queste fredde e uggiose giornate ci riscalderà come una coperta calda il pensiero della mestizia di Bonaccini.
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L'italia è ormai un trofeo che i fondi di investimento di tutto il mondo, si contendono alla luce del sole e con la complicità manifesta del governo e di tutte le forze politiche.
Anzi, i nostri "eroi", da buoni mercenari, si fanno anche la guerra: una parte tifa per gli yankee di KKR (con la regia di tal Colao, prossimo presidente del consiglio in pectore); l'altra, con la legion d'onore in tasca, spalleggia i francesi di Vivendi, caldeggiando una contro cordata di marca transalpina.
Standard & Poor's, regista immancabile, venerdì scorso abbassa opportunamente il rating di TIM e la tonnara ha inizio.
Con il beneplacito dei nostri, ognuno d'accordo con il suo magnaccia di riferimento, a cui dare in pasto la propria madre, o meglio quello che né rimane, dopo trent'anni di saccheggio istituzionalizzato e criminale, che ci ha ridotto a latrina d'Europa e del mondo, grazie a tutti i partiti e partitini, che ci hanno svenduto a tranci , promettendo eldorado mai arrivati, se non nelle loro fondazioni private e voraci.
Banche, aziende, compagnie aeree e asset assortiti.
Siamo il paese degli spezzatini, gestiti dai ben pagati capitani coraggiosi, che si sono fatti d'oro, grazie a questo abominio senza fine.
Ora poi, che sul pulpito c'è l'amico degli amici, stanno letteralmente in una botte di ferro, mentre voi siete impegnati a farvi "salvare" da questa gente, con la stessa eccitazione dei tonni che entrano nella rete.
Niente di più ributtante e idiota sotto questo cielo.
Italia delenda est.
Marco Palladino fb
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“Gravissimo, Renzi querela senza aver neanche risposto ai giornalisti” A poco più di un mese dalla contestata missione a Riad, Matteo Renzi torna dagli sceicchi: questa volta a Dubai, negli Emirati Arabi. Abbiamo chiesto un commento al leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, che sui conflitti d’interesse del Senatore fiorentino ha anche presentato un’interrogazione parlamentare. Siamo appena stati querelati insieme a La Stampa per aver riportato un fatto e cioè che Renzi si trova a Dubai (notizia mai smentita finora). Cosa ne pensa del nuovo viaggio del Senatore? “Non sappiamo ancora il vero motivo del suo viaggio a Dubai. Quel che colpisce e che è gravissimo è la reazione fondata sulla querela, prima ancora di rispondere alle domande che la stampa legittimamente pone. Renzi farebbe meglio a chiarire, visto che è una personalità pubblica. Voi giornalisti cercate di informare, di fare domande, come è giusto che sia. Domande a cui Renzi non risponde alle domande, salvo poi farsele da solo in un monologo. Non è un fulgido esempio di trasparenza”. I rapporti opachi con altri Stati sono dunque un tema? “C’è un problema che riguarda Matteo Renzi, ma non solo. Ed ha a che fare con il rapporto tra la politica, i prestiti privati e i finanziamenti vari. In un Paese in cui, dopo la fine del finanziamento pubblico ai partiti, c’è stata un’esplosione di intrecci e rapporti non regolamentati. Ora è troppo faticoso decifrare la mescolanza tra interessi particolari e interessi pubblici e questo non deve succedere. Presenterò anche una proposta di legge su questo”. Chiedendo cosa, nello specifico? “Chiederemo una cosa molto semplice: esplicitare il divieto per personalità politiche e fondazioni legate alla politica (sempre più presenti!) di ricevere finanziamenti da aziende private e privati che abbiamo legami con la pubblica amministrazione. Ma anche, e a questo punto si tratta di un’integrazione fondamentale, di ricevere finanziamenti da enti, fondazioni o Paesi stranieri. Io credo che sia arrivato il momento di affrontare politicamente questa vicenda. Servono norme che dicano chiaramente ciò che si può fare ciò che non si può fare”. La partecipazione alla conferenza di Riad per la Davos del deserto era già abbastanza ambigua. Ma recentemente l’intelligence americana ha ritenuto Bin Salman il mandante dell’omicidio Khashoggi. Cosa dovrebbe fare secondo lei Renzi a questo punto? “Intanto avrebbe dovuto evitare di partecipare in quel modo e indicando l’Arabia come ‘Nuovo rinascimento’. Lui ha ricordato di aver condannato l’omicidio Khashoggi, ma questo nessuno lo mette in dubbio”. Quello che Renzi risponde sempre è che non ha fatto nulla di illegale… “Nessuno ha mai alluso che ci siano elementi di illegalità. Lui sostiene che paga le tasse in Italia…E ci mancherebbe! Il problema è l’opportunità politica delle scelte che si fanno quando si rivestono alcuni ruoli. E nel caso di Matteo Renzi sono di ex premier, di senatore della Repubblica, e di personaggio politico che è stato al centro della caduta del governo Conte. Come si vede è in piena attività, dunque non può avere rapporti economici con altri Stati. Per questo sono intenzionato a proporre una legge: vediamo cosa faranno le altre forze politiche. Da che parte staranno. Questa è un’occasione per mettere i puntini sulle i sui conflitti di interesse”. Di Veronica Di Benedetto Montaccini
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CARO KOMPAGNO TU LAVORA IO MAGNO ✊🥴
Sparso ovunque e gelosamente custodito in forzieri, fondazioni e strutture territoriali, Bersani può contare su un patrimonio immobiliare che vale quasi 1 miliardo di euro. Gran parte è intestato ancora al Partito democratico della sinistra e alle sue strutture territoriali (unità di base, federazioni regionali, comunali e territoriali di varia natura), nonché alle immobiliari che risultano ancora di sua proprietà. L’emergere di tante proprietà immobiliari fa comprendere meglio di ogni altra cosa come il Pd sia il partito che ha alle sue spalle la forza economica più impressionante della politica.
Forse non lo sanno nemmeno loro, ma al catasto non hanno dubbi. La più grande immobiliare di Italia è quella della politica. E il palazzinaro per eccellenza di Palazzo è Pierluigi Bersani. Incrociando come dovrebbe Attilio Befera i dati dei registri delle Camere di commercio con quelli di Sister dell’Agenzia del Territorio, Libero è stato in grado di disegnare la prima vera e completa mappa immobiliare della politica italiana. I partiti politici, le loro organizzazioni territoriali, i circoli, le società immobiliari controllate direttamente e indirettamente hanno in mano oggi 3.805 fabbricati sparsi in tutta Italia e 928 terreni.
Le loro rendite catastali, agrarie e dominicali sommate ammontano a circa 2,8 milioni di euro, che ai fini della nuova Imu di Mario Monti indicherebbero un valore fiscale di circa 500 milioni di euro. In media per avere un valore reale di mercato bisognerebbe più che raddoppiare questa cifra, arrivando quindi a circa 1,2 miliardi di euro.
Di questa somma l’80% circa riguarda proprietà immobiliari che risultano ancora in capo alle forze politiche in cui pianta le sue radici il Pd. Significa che sparso ovunque e gelosamente custodito in forzieri, fondazioni e strutture territoriali, Bersani può contare su un patrimonio immobiliare che vale quasi 1 miliardo di euro in caso di valorizzazione. Gran parte è intestato ancora al Partito democratico della sinistra e alle sue strutture territoriali (unità di base, federazioni regionali, comunali e territoriali di varia natura), nonché alle immobiliari che risultano ancora di sua proprietà.
Solo nell’area Pci-Pds-Ds-Margherita-Ppi-Pd sono 831 i diversi codici fiscali che risultano intestatari di fabbricati. Vecchie sezioni - Fra questi ci sono sicuramente le sezioni del vecchio PCI, che risulta ancora intestatario al catasto di ben 178 fabbricati e 15 terreni. Ma vedendo numeri di vani e caratteristiche di ciascun immobile, è difficile che proprietà accatastate come abitazioni di 12 o 14 vani o uffici di metrature ancora più ampie possano corrispondere al classico identikit delle vecchie sezioni territoriali.
I democratici di sinistra controllano gran parte del patrimonio immobiliare attraverso le nuove fondazioni che ha costituito con pazienza il tesoriere Ugo Sposetti. Particolarmente ricche quelle umbre e quella di Livorno. Fra Pds, Pd, Ds e vecchio Pci sono ben più di 3 mila i fabbricati di proprietà. E non è manco detto che ci sia una mappatura completa, e che le varie federazioni di sigle ormai in disarmo ne abbiano l’esatto controllo.
Non è escluso che qualche vecchio amministratore locale non ne abbia nemmeno fatta menzione al partito. La mappa immobiliare è comunque l’unica che rende in qualche modo tangibile il fantasma più classico di ogni partito politico: quello del bilancio consolidato. Per capire quanti soldi sono girati e girano, e quale è la forza economica bisognerebbe infatti mettere insieme i conti nazionali che vengono resi pubblici con i rendiconti delle centinaia di strutture territoriali che invece sono nascosti.
Forza economica - L’emergere di tante proprietà immobiliari fa comprendere meglio di ogni altra cosa come il Pd sia il partito che ha alle sue spalle la forza economica più impressionante della politica. L’unica cosa che non si capisce è come gli amministratori locali di Bersani continuino ad impiegare fondi che il partito gira alle strutture territoriali nell’acquisto di nuovi immobili.
A Genova, dove non mancano certo proprietà delle varie sigle che stanno alle spalle del Pd, è stato comprato un appartamento da 5 vani nel 2010. A Crespino, in provincia di Rovigo, quattro fabbricati. A Montecchio, provincia di Reggio Emilia, acquistati nell’aprile 2011 addirittura due terreni erbosi. Acquistati immobili e terreni nel piacentino. Così nello spezzino, dove esisteva una celebre immobiliare del pds.
Sarà forse un buon investimento in momento di crisi, perché certo il mattone dà più soddisfazione e sicurezza dei fondi in Tanzania.
Resta difficile comprendere perché nella sinistra italiana faccia tanto ribrezzo potere prendere una sede di partito o un ufficio per i propri dirigenti in banale affitto come accade a molte altre forze politiche.
Il papa laico - Re Bersani a parte, dalla banca dati della Agenzia del Territorio emergono molte sorprese: tutti i partiti ufficialmente morti e sepolti hanno ancora appartamenti e perfino palazzine di un certo valore. Dalla Dc al partito socialista. Ne posseggono anche partiti che certo non hanno invaso le cronache politiche, come quello del Papa laico o quello dell’armonia.
Ma la sorpresa delle sorprese viene dal partito nazionale fascista, che non solo è morto, ma è stato sciolto per legge. Tutti i suoi beni sono passati al demanio pubblico, ma l’operazione non è riuscita per quattro fabbricati e due terreni. Uno di questi risulta ancora di proprietà del Pnf e dato un uso ad Anagni, nel frusinate, al Fondo edifici di culto del ministero dell’Economia.
Franco Bechis
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"Ho provato a licenziare Matteo Salvini per due volte" ha raccontato l'ex direttore de "La Padania" Gigi Moncalvo, nell'intervista di lunedì a Report. "La prima volta - racconta - fu a cavallo delle feste di fine anno. Durante quei giorni, chi veniva a lavoro, riceveva il triplo della paga. Salvini in quei giorni non c'era a lavoro. Non era nemmeno reperibile dove avrebbe dovuto. Ma quando a fine mese arrivò il foglio delle presenze lui lo firmò lo stesso". "La seconda volta fu quando scoprì che aveva falsificato quattro note per i rimborsi spesa. Quando glielo feci presente, a muso duro, lui mi rispose: tu passi, io resto. E credimi: diventerò sempre più potente". E aveva ragione. Quello che Report rivela nell'ora successiva a questa intervista, con tanto di documenti e dichiarazioni dei diretti interessati (russi e americani), avrebbe dovuto portare alla fuga di Salvini dall'Italia nascosto nel vano di una macchina, per evitare la ferocia della folla (la sua folla, quella patriota e col tricolore). Ma per fortuna del Capitano, ai suoi italiani, a quelli che sventolano il tricolore e parlano di "Patria", dell'Italia e della Patria non è mai fregato un cazzo. E se gliene frega davvero, non hanno capito nulla di ciò che sta accadendo. Proviamo a riassumerlo allora, per quanto sia vano. Ciò che in breve viene a galla dalla puntata di Report (e dalle inchieste de L'Espresso), è che in Russia e negli USA operano uomini e gruppi estremamente potenti e ricchi, che hanno (per procura?) un unico grande obiettivo: dissolvere l'Unione Europea, perché d'ostacolo agli interessi globali delle due Super Potenze Straniere. Come? La soluzione è semplice. Sostenere in Europa gruppi e forze politiche che - spacciandosi per "nazionaliste" e "patriottiche" - facciano in realtà gli interessi delle due potenze straniere: denigrare e indebolire l'Europa dall'interno. Il tutto facendo presa su ben determinate fasce della popolazione da manovrare con frasi semplici, foto, slogan, fake news, e alimentando sentimenti quali la paura, il vittimismo, la paranoia della minaccia esterna, il complottismo, la nostalgia, il tradizionalismo religioso, il nazionalismo. E' il 2013. Fino a quell'anno Matteo Salvini tiene ancora comizi contro l'Italia, per l'indipendenza della Padania, scrive sui social "Italia Paese di merda", insulta ancora i meridionali. Poi, all'improvviso, in quell'anno, nel 2013, inizia la sua "strana" conversione. Da storico anti-italiano diventa il più grande patriota italiano. Così, all'improvviso. E, guarda caso, l'anno successivo candida il suo partito alle Europee col nome di "Basta Euro". Il 2013 è l'anno della sua elezione a segretario della Lega. E quel giorno, sul palco, sale a parlare un tizio che nessuno aveva mai visto prima: un russo, un certo Alexei Komov. Che ci fa quel russo lì? Perché è lì? A spiegarlo alle telecamere di Report è un altro russo, l'uomo che fu invitato (al posto di Komov) al congresso della Lega: il potentissimo Konstantin Malofeev, meglio noto come "l'Oligarca di Dio", miliardario e ultraconservarvore cristiano: "Avrei dovuto esserci io quel giorno - dice - Ma ebbi degli impegni e mandai in mia sostituzione Alexei Komov". E perché, in Italia, avrebbe dovuto esserci al congresso della Lega lui, Malofeev, l'"Oligarca di Dio", il finanziatore di partiti di estrema destra anti-europei come il Fronte Nazionale di Le Pen in Francia (a cui, prima delle sanzioni, ammette di aver dato 2 milioni di euro)? Il giornalista di Report lo chiede a Salvini. Che prima finge di non ricordare chi sia Kostantin Malofeev (meravigliosa l'espressione che fa), poi ammette di conoscerlo, ma rinvia l'intervista: alla quale, ovviamente, non si presenterà più. Malofeev invece risponde, e racconta di aver incontrato l'ultima volta Salvini poco prima della sua nomina a vicepremier, lo scorso anno. Durante l'intervista Malofeev esplicita il suo pensiero. Degli omosessuali dice: "E' la Lobby dei Sodomiti e dei Pederasta. E' colpa dei gay pride se sempre a più maschi piacciono altri maschi". E delle donne cosa ne pensa? "Il loro ruolo è essere amate dai mariti. Non dovrebbero lavorare e restare a casa. Il loro ruolo deve essere di casalinghe e madri. Solo donne non amate e infelici diventano femministe". Ma Salvini condivide i suoi valori? "Certo - risponde Malofeev - il suo discorso a Verona è stato magnifico". E cosa disse Salvini a Verona un anno fa, durante il congresso mondiale sulle famiglie? "Mi incuriosiscono queste cosiddette femministe che se io fossi donna mi metterebbero in difficoltà". Che strana questa improvvisa avversione per le femministe. Ma c'è un'altra coincidenza. Malofeev è un ultra-conservatore cristiano, principale finanziatore (per decine di milioni di euro ogni anno) della "Fondazione San Basilio il Grande". Quell'anno, il 2013, Malofeev vola negli USA, dove crea con altri ricchi gruppi fanatici-cristiani americani una "Santa Alleanza" cristiana. E dagli USA ecco che arrivano finanziamenti alle fondazioni "cristiane" europee, per centinaia di milioni di euro. Le quali, politicamente, si schierano in Europa con i partiti anti-europei. In Italia, all'improvviso, sui palchi e sui social del Capitano Matteo Salvini, iniziano a comparire sempre più spesso Vangeli, Madonne, appelli ai Santi, al Cuore di Maria, crocefissi, rosari. Sarà un caso, ma dal 2013 in poi, tutto ciò che Malofeev vuole, lo vuole anche Matteo Salvini. Tutto ciò che a Malofeev interessa (distruggere la comunità gay, ridimensionare il ruolo della donna, distruggere l'Europa, eliminare le sanzioni contro la Russia, il ritorno dei nazionalismi in Europa, la promozione di una propaganda cristiana e fanatica basata sul culto degli oggetti e non del messaggio cristiano, la critica a Papa Francesco, la mitizzazione di Putin, l'avvicinamento dell'Italia alla Russia), trova in Salvini e/o nella Lega una propaggine completamente in sintonia. Salvini potrebbe chiarire, smentire, correggere. Magari rispondere sul perché il suo braccio destro in Russia Savoini trattasse con i russi affari da milioni di euro. Perché avesse detto di non sapere che Savoini fosse con lui, quando poi foto e video lo hanno smentito. Non lo ha mai fatto: né in Parlamento né coi giornalisti. Liquida le domande con battute, ma non risponde mai. Consapevole di aver ormai plasmato e anestetizzato il suo elettorato, tanto da poter fare e non fare quel che gli pare, senza doverne più rispondere. Emiliano Mola
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L’aggressione alla credibilità democratica
Craxi, Berlusconi, Renzi. E la libido delendi, il desiderio di trovare un modo per eliminare una stagione dall’opinione pubblica. Controindagine sul modo in cui viene aggredita la libertà della politica in una repubblica democratica e liberale
Ora di Renzi si può pensare tutto quello che si vuole, opposizione politica e opposizione estetica, e il renzismo può essere giudicato come un vizio esibizionistico, parolaio, un percorso politico insincero e sleale. D’accordo, io non la penso così, ma ci sta. Nessuno però può negare che il cv di Renzi è in chiaro. Vuole il potere prima a Firenze e poi a Roma, organizza la sua cordata con mezzi aperti e leciti, partecipa a elezioni municipali e poi a primarie che perde e vince, diventa segretario del primo partito, poi capo del governo, e governa per tre anni facendo cose che aveva promesso di fare nel quadro di un programma di innovazione, di riforma e modernizzazione di una società aperta. I suoi errori, i suoi difetti, le sue curvature tattiche sono la sua fierezza e la sua dannazione, nella visione di sostenitori e avversari, e anche questo ci sta, dal 40 per cento alla sconfitta in un referendum di riforma costituzionale.
Ma qui è un altro discorso. Qui, come per Craxi prima e per Berlusconi poi, c’è altro. C’è la libido delendi, il desiderio spasmodico di trovare comunque un modo di cancellare anche solo dal ricordo dell’opinione pubblica un tipo politico che ha scommesso sulla propria leadership, sulle proprie idee, su metodi di potere e di governo sotto gli occhi di tutti, e che per questo è stato prima imputato di piduismo, perché era andato bene alle primarie di Arezzo, poi di chissà quant’altro, uomo solo al comando, guru di un inner circle di cui diffidare, politico disinvolto e responsabile di quello che non va nel rapporto tra classi dirigenti e pancia del paese. Il suo status di incensurato è uno scandalo. E’ o deve essere presentato come il capo di una banda di profittatori. Un intruso. Un usurpatore. Uno da eliminare. Come prima di lui, in altre situazioni, altri due titolari di cv e di progetti intrattabili e scorretti che si chiamavano appunto Craxi o Berlusconi.
Non solo non è una cosa sensata, è un attentato alle libertà democratiche e civili del paese. Accusare di gravi reati criminali una fondazione che si chiama Open in richiamo allo stile culturale del giro politico che intende sostenere, che era composta da amici e collaboratori di Renzi, e finanziata da gente di denari e di impresa ora sotto scacco giudiziario e inquisitorio per aver fatto un passo tipico delle democrazie moderne, i versamenti per il finanziamento di attività politiche, e tutto questo sulla base di una interpretazione insinuante della sua funzione, intesa come “un’articolazione del Pd”, ovvero una cosca familista che si fa gli affari suoi, è semplicemente aberrante. I magistrati inquirenti non affermano, tantomeno provano anche solo indiziariamente o incidentalmente, che i fondi sono stati stornati a fini di arricchimento personale o che azioni politiche illegali hanno fatto da riscontro ai contributi privati che la fondazione ha accolto e canalizzato, si limitano a indagare su “un’articolazione del Pd” che ha raccolto quattrini impiegati per gli eventi pubblici e politici di un gruppo che con quel partito si è legalmente e apertamente identificato. Questa materia dell’indagine, con la ovvia campagna mediatica d’accompagno, è in sé un modo per aggredire la libertà della politica e della sua concreta organizzazione in una repubblica democratica e liberale.
(...) So poco o niente delle ambizioni del dottor Creazzo per la procura di Roma e delle mene dei renziani per frustrarle; non so dello scandalo Consip e delle fatture di casa Renzi altro che quanto basta a capire che cosa è l’accanimento; non conosco e non voglio conoscere la legge sulle fondazioni, mi limito a constatare che l’esercizio dell’attività pubblica essendo costoso o lo si finanzia a carico della fiscalità generale o si costruisce e si benedice un sistema di finanziamenti privati nelle forme possibili, e Bloomberg è una vivente e opulenta Fondazione Open, come ItalianiEuropei o la Casaleggio per non sbagliarsi (salvo dettagli e dissimulazioni ulteriori), e se contribuisci per un milione alla campagna elettorale il presidente eletto ti fa ambasciatore a Kiev, se di più becchi Londra o Roma o Parigi, sedi altrimenti confortevoli, e questo a proposito di traffico di influenze, che con l’autoriciclaggio e altre diavolerie come il voto di scambio è uno dei grimaldelli per le inchieste politicizzate e per il dilagare dell’ipocrisia sul potere e sulla sua natura. Ora vabbè, abbiamo fiducia nella magistratura, si dice così e così sia. Amen.E siamo tutti garantiti e presunti innocenti, compresi gli amministratori della fondazione che ha finanziato e organizzato i congressi della Leopolda e le primarie e altro di natura politica, e viviamo nella certezza che ci sarà un giudice a Berlino e i media ridaranno la reputazione perduta in un’orgia di pettegolezzi e insinuazioni al giglio magico cosiddetto e a Renzi e agli imprenditori e finanzieri indagati perquisiti e sputtanati come potenziali delinquenti perché hanno versato quattrini per la politica in forma legale e tracciabile allo scopo di costituire un blocco sociale e di influenza capace di realizzare certe cose in Italia, ricavandone uno svantaggio (versamenti, rischi) e un vantaggio (essere dalle parti di una battaglia vinta in nome di obiettivi comuni). Perquisiscono Davide Serra, uno che ha fatto i soldi e i versamenti, e da tempo mette in rete un milione di tuìt al giorno per significare che a lui piacciono politici e programmi ispirati alla competenza e alla gestione sana dell’economia e dispiacciono, e quanto, gli incompetenti aggressivi parolai e nazipop che hanno rovinato quel progetto e rischiavano di rovinare il paese e danneggiare l’Europa."
#magistratura#Politica#matteo renzi#bettino craxi#craxi#silvio berlusconi#berlusconi#macchina del fango#democrazia
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Io non ho risposte, e voi ?
Ci sono, ben 153 "Fondazioni " in Italia che,tranne 7 0 8,diciamo trasparenti,non pubblicano i loro bilanci,e chi li finanzia,nonostante la legge cosidetta "Spazzacorrotti" lo richieda,usufruendo come solitamente accade in questo paese,di quelle opacita' legislative e burocratiche,che favoriscono di fatto tutti quelli che preferiscono agire nell'ombra.La denuncia di Report,su questo status quo,mette i brividi,ma come accade da un bel po', qui in Italia, queste "organizzazioni occulte"restano ben mimetizzate, su quello sfondo indistinto e sfumato, che ancora ci ostiniamo a definire Democrazia. Ed e' questa, la cosa piu' grave; l'incapacita' totale degli italiani, nel non comprendere, quello che accade attorno a loro, e come, queste vere e proprie sette massoniche, condizionino la loro vita.153 Fondazioni, tutte per cosi' dire,che si avvalgono di una etichetta politica , che va dalla Destra sovranista,estrema,"liberale",alla Sinistra fucsia,e sinistra destra,che fanno parte del parlamento italiano.Ma queste cosidette fondazioni,non nascono nell'interesse del popolo,e gestite secondo la filosofie politiche di provenienza,sempre che, potremmo ancora dare alla parola politica,un alto significato etico e morale,ma dalla esigenza, di gente senza scrupoli,che come il puparo che muove i fili delle marionette,cosi' giocano con la vita e l'esistenza del popolo italiano.E tra questi "signori" in guanti bianchi,troviamo di tutto, e di piu'.Quelli che stanno ancora sotto la luce dei riflettori, e quelli che preferiscono muoversi col favore delle tenebre.E allora ecco che vengono fuori, i piu' disparati personaggi,che vanno da Fassino ad Orlando,da Renzi a Quagliariello,da D'Urso, ai Benetton,da Di Stefano di Casapound, agli AD delle fabbriche che producono armi.Una marea di persone,un esercito,formato per lo piu', da quelli che appaiano ai miei sprovveduti connazionale,come mezze calzette della politica ( chi si ricordava per esempio D'Urso di Alleanza Nazionale, o di Quagliariello di F.I. ? )Questi, per citarne alcuni,in combutta con pezzi grossi dell'economia e dell'informazione,con tutto un seguito di faccendieri e ruffiani, capaci di mettere persone di loro gradimento, nei posti chiave delle imprese pubbliche,condizionare il voto politico, e quindi di fatto,incidere pesantemente sul livello qualitativo della societa'.Report parlava di piu' di tremila "personaggi" direttamente connessi a queste fondazioni.Fondazioni, che non agiscono su ideologie collegate alla politica (nel senso nobile della parola) ma bene interconnesse tra di loro,per trarne vantaggi economici, ed instaurare un regime oligarchico, che permetta sempre piu',ad un minore numero di persone,di decidere le sorti di un paese.Le fondamenta, di un nuovo ordine nazionale,che progetti di fatto, la creazione di un nuovo sistema feudale,che releghi il popolo, al ruolo di nuovi servi della gleba.Chi porra' un argine a tutto questo marasma ? Report,la nostra generazione,ormai troppo vecchia per imbracciare le armi, o le nuove generazioni, sempre e solo occupata, con le chat, e le prossime movide nei weekends ? Chi ci salvera' ? Chi ci salvera',da questo declino culturale,etico, e morale,che giorno dopo giorno, appare sempre piu' inarrestabile ? Io non ho la risposta, e voi ?
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Livorno, bando "Siete presente. Con i giovani per ripartire". Oltre 34mila euro per i volontari del Terzo settore
Livorno, bando "Siete presente. Con i giovani per ripartire". Oltre 34mila euro per i volontari del Terzo settore: finanziati 7 progetti che qualificano il ruolo dei giovani. Oltre 34 mila euro (per la precisione 34.402,28 euro) di finanziamenti per i 7 progetti dell'area di Livorno vincitori del bando "Siete presente. Con i giovani per ripartire", realizzato da Cesvot e finanziato da Regione Toscana-Giovanisì in accordo con il Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale, con il contributo delle 11 Fondazioni bancarie della Toscana. Il bando "Siete presente. Con i giovani per ripartire" punta a promuovere e qualificare il ruolo dei giovani nell'associazionismo toscano, dare forza e ruolo a una generazione nuova perché sia capace di rinnovare la proposta del Terzo settore, la sua capacità di radicamento sul territorio nonché di facilitare il ricambio generazionale all'interno delle organizzazioni. "I giovani sono una risorsa per il volontariato e il mondo del volontariato è un'opportunità per i giovani: il bando Siete Presente si pone quindi come una ricchezza per tutti. I progetti che vengono premiati e sostenuti offrono spunti nuovi e idee innovative per Terzo Settore e hanno ricadute positive per l'intera comunità" afferma Luigi Paccosi, presidente di Cesvot. "La partecipazione al bando conferma che quello toscano è un tessuto associativo vivace, capace di coinvolgere le nuove generazioni e quindi di rinnovare la sua proposta, la sua capacità di radicamento sul territorio, facilitando allo stesso tempo il ricambio generazionale all'interno delle associazioni". "Giovanisì vuole promuovere e valorizzare il ruolo dei giovani nella nostra società, sotto ogni punto di vista, fornendo gli strumenti per realizzare le loro idee, le loro aspirazioni, i loro talenti. Il bando Siete Presente avvicina i giovani e il mondo dell'associazionismo, prevedendo percorsi di crescita e qualificazione di giovani già inseriti nelle organizzazioni e incentivando il coinvolgimento attivo di altri ragazzi" afferma Bernard Dika, portavoce del presidente della Regione Toscana. "I giovani diventano protagonisti del cambiamento, non sono spettatori". Per l'assessorato al Sociale del Comune di Livorno Livorno può contare su una fitta rete di associazioni, animate da volontari che quotidianamente regalano una parte delle loro vite a cause diverse ma tutte importanti. Questa rete di impegno e solidarietà svolge un ruolo fondamentale per la tenuta della coesione sociale della nostra città e per la riproduzione dei valori che stanno alla base della nostra vita di comunità. Il coinvolgimento dei giovani è una sfida cruciale, sia perché l'esperienza del volontariato ha un grande valore formativo e orientativo, sia perché il mondo del volontariato ha bisogno dei giovani, delle loro energie e della loro forza innovativa. Opportunità come quella offerta dal bando del Cesvot sono preziose e meritano di essere sostenute. "Per promuovere una cittadinanza attiva dei giovani e sensibilizzare alla solidarietà e al mondo del volontariato, Fondazione Livorno, insieme alle altre Fondazioni di origine bancaria della Toscana, sostiene il bando Siete presente, strumento prezioso per valorizzare il protagonismo giovanile nel Terzo Settore. Questi progetti infatti hanno non solo il merito di arricchire il tessuto associazionistico del nostro territorio, ma anche di contribuire alla costruzione di nuove reti di cooperazione e di favorire lo scambio di competenze tra diverse generazioni" dichiara Luciano Barsotti, presidente di Fondazione Livorno. Sette i progetti vincitori: "Growing into the future", ente capofila Associazione Nesi Corea Odv, ente gruppo proponente Vip Viviamoinpositivo Libecciati Livorno Odv, partner Aeroc Odv, Arci Comitato Territoriale Livorno Aps - Ets, Diecidicembre Arciragazzi Livorno Asd Aps, Uni Info News. Il progetto ha ottenuto un finanziamento di 4.910 euro. "Cambiamente Festival", ente capofila Arci Comitato Territoriale Livorno Aps - Ets, ente gruppo proponente Circolo Arci Collinaia, partner Associazione Nesi Corea Odv, Uni Info News. Il progetto ha ottenuto un finanziamento di 5.000 euro. "Generazione Donatori: Giovani per la Vita", ente capofila Avis Comunale Livorno OdV, enti gruppo proponente Avis Comunale di Cecina Odv, Avis Comunale di Piombino Organizzazione di Volontariato Odv, Avis Comunale di Portoferraio Odv, Avis Comunale di Rosignano Marittimo Odv, Avis Intercomunale di Collesalvetti-Crespina Lorenzana-Fauglia-Orciano Pisano Odv, partner A.V.I.S. Comunale di Grosseto Odv, Avis Comunale di Carrara Odv, Avis Comunale di Castelfiorentino Odv, Avis Comunale Pistoia Odv. Il progetto ha ottenuto un finanziamento di 5.000 euro. "Music without borders, musique sans frontières", ente capofila Associazione Vestigo Ets, ente gruppo proponente Circolo Interculturale Samarcanda Odv, partner Ospita Accoglienza e Integrazione. Il progetto ha ottenuto un finanziamento di 4.992,28 euro. "Germinazioni", ente capofila Il Sestante Solidarietà Aps, ente gruppo proponente Associazione Progetto Strada Aps, partner Ass. Culturale The Cage. Il progetto ha ottenuto un finanziamento di 5.000 euro. "Metropolis - Giovani per il territorio", ente capofila Arci Bassa Val di Cecina Comitato Territoriale A.P.S. - Ets, ente gruppo proponente Arci Servizio Civile Bassa Val di Cecina Aps, Arcisolidarietà Bassa Val di Cecina Odv partner Arci Pacchione, Associazione Culturale Musicale Ritmi Aps, Associazione Sport e Cultura Santa Luce. Il progetto ha ottenuto un finanziamento di 5.000 euro. "Raccontare il futuro", ente capofila Teatro dell'Aglio Aps, ente gruppo proponente Arci Comitato Territoriale Piombino Val di Cornia Elba Aps, partner Istituto Superiore Luigi Einaudi Alberto Ceccherelli. Il progetto ha ottenuto un finanziamento di 4.500 euro.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Non c’è proprio nessuna «svolta», non c’è davvero nessun segnale di «coraggio e ambizione» nel ritorno al ministero per i Beni e le attività culturali di Franceschini, l’artefice della peggiore riforma dei beni culturali e del cinema che si ricordi, colui che ha decretato ufficialmente la mercificazione della produzione artistica e del patrimonio culturale.
Ed infatti la prima mossa del ministro renziano – a dissipare ogni dubbio sulle sue intenzioni programmatiche – è stata quella di riaccorpare il turismo al Mibac, cioè la cultura al mercato.
Per segnare davvero una svolta nelle politiche per i beni e la produzione culturale, occorre invece – e per iniziare – portare l’Italia a livello di tutti gli altri paesi europei negli investimenti per la cultura.
Occorre avere il coraggio di cancellare la legge sul cinema che porta il nome di Franceschini per tornare a sostenere le opere e gli autori e non le imprese; per ribaltare i criteri di finanziamento pubblico portando all’85 percento quelli «selettivi» – cioè ai film d’autore, all’associazionismo culturale, alla formazione, ai festival, all’editoria cinematografica, eccetera – e solo il resto ai cosiddetti «automatici», cioè al mercato.
Una legge che faccia i conti con le nuove tecnologie ma che metta al centro le sale cinematografiche e le opere per le sale.
Ancora: occorre aprire un confronto con il mondo del teatro e della musica per elaborare finalmente una legge quadro di riforma dello spettacolo dal vivo degna di questo nome.
Occorre far tornare istituzioni realmente pubbliche le fondazioni lirico-sinfoniche eliminando la mostruosità del pareggio di bilancio.
Occorre una legge che riconosca finalmente la dignità e i diritti dei lavoratori della produzione artistica e dei beni culturali.
Occorre proteggere, promuovere e rendere accessibili a tutti i luoghi della cultura e i luoghi della partecipazione: i musei, le biblioteche, i teatri, le sale cinematografiche, le librerie, le sale per i concerti, i luoghi di sperimentazione.
Occorre promuovere e sostenere l’associazionismo culturale e il lavoro sui territori, la formazione professionale e quella culturale.
E ancora: cancellare la riforma Franceschini e la sua mercificazione del patrimonio culturale, separando i beni culturali dal turismo e promuovendo in modo serio la loro tutela e valorizzazione.
In pochissime parole: per segnare davvero una svolta occorre riportare al centro il ruolo dello Stato anche nella cultura, nella consapevolezza che l’unico utile da ricercare è l’utile sociale; occorre che la cultura, la sua produzione e la sua fruizione, diventi realmente un diritto di tutti, come sancito dalla Costituzione. Che la si consideri un valore in sé, uno degli strumenti più importanti per la crescita individuale e collettiva, per la formazione di una coscienza critica. Cioè per la democrazia.
* Responsabile nazionale cultura Partito della Rifondazione Comunista
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Vertici Italianieuropei, tra le new entry molti di Art. 1-Mdp Molti cambi nell’advisory board e comitato di indirizzo della fondazione guidata da Massimo D’Alema. Tutti i politici che subentrano fanno parte di Articolo 1, …
#partecipazione#In evidenza#Massimo D&039;Alema#Open data#data driven journalism#InParlamento#fondazioni politiche#italianieuropei#Articolo 1 - Mdp#Carlo Galli#Alfredo D&039;Attore#massimo paolucci#roberto speranza#Associazione Openpolis#Openpolis
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Estratto di un paragrafo del libro di Marcello Foa. In 5 minuti lo si legge.
Il sistema (in)visibile. Perché non siamo più padroni del nostro destino.
Lo strano partenariato pubblico-privato.
Il caso dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Essenziale è il concetto di partenariato globale pubblico-privato (Global Public-Private Partnership, Gppp).
Immagino lo sconcerto del lettore. Nel 99% dei casi risulta, ne sono certo, non pervenuto. Comprensibilmente, in coerenza con la logica della dissimulazione, non ne parla quasi nessuno.
Ma è l'idea che sancisce e legittima la collaborazione tra organizzazioni internazionali e le aziende private a livello globale.
Intendiamoci, l'idea di un partenariato fra pubblico e privato può essere sensata e risultare virtuosa se gestita nel rispetto delle reciproche pertinenze.
Il settore pubblico può permettersi investimenti importanti e su un arco di tempo che di solito i privati non riescono a sostenere, ma la mano dello Stato è lenta, burocratica, mentre i privati, in un contesto di concorrenza, sono efficienti, rapidi e dinamici nell'esecuzione.
La storia dimostra che certe scoperte finanziate dallo Stato, una volta rese pubbliche, possono generare indotti considerevoli e aprire interi mercati.
Ben vengano.
Ma quando privato e pubblico si confondono fino a coincidere, le acque si intorbidiscono e con esse i principi virtuosi della democrazia, del liberalismo e persino del socialismo.
È quel che sta accadendo proprio con lo sdoganamento del concetto di Gppp, che fu battezzato alla fine degli anni Novanta dall'allora segretario generale dell'Onu Kofi Annan, con queste parole:
Le ideologie mutevoli e le tendenze della globalizzazione hanno evidenziato la necessità di una più stretta governance globale, un problema sia per il settore privato sia per quello pubblico.
Ipotizziamo che almeno una quota del sostegno alle Global Public-Private Partnerships derivi da questo riconoscimento e dal desiderio del settore privato privato di far parte dei processi decisionali di regolamentazione globale.
Come sempre le parole sono ben calibrate, si parla di "ideologie mutevoli", di "desiderio" e di "necessità", come a indicare un destino ineluttabile.
E contro il destino, si sa, non ci si può ribellare.
Infatti l'idea è passata tranquillamente, quasi inosservata, sebbene fosse rivoluzionaria perché da allora i privati determinano assieme alle organizzazioni pubbliche regole valide in tutto il mondo, ma secondo modalità non trasparenti e che non prevedono contropoteri.
Anzi, quell'idea è resa seducente dal principio della stakeholder society, ossia una società che rappresenta tutti i "portatori di interesse".
Nei Paesi democratici non dovremmo averne bisogno, perché il nostro sistema è già di rappresentanza popolare, ma su scala globale - non essendoci democrazia e non potendo rappresentare tutte le voci e tutti gli interessi - la stakeholder society implica che solo le voci che contano siano rappresentate; dunque, per i privati, grandi azionisti, le grandi multinazionali; nel sociale soprattutto le organizzazioni non governative, i think tank, le fondazioni filantropiche, che però sotto un' apparente neutralita sono finanziati dagli stessi privati o dai governi, e dunque sovente tutt'altro che indipendenti.
"Secondo il nostro attuale modello di sovranità nazionale westfaliana, il governo di una nazione non può legiferare per un'altra. Tuttavia, nell'ambito della governance globale, il partenariato pubblico-privato crea iniziative politiche a livello globale che poi si riversano a cascata sulle popolazioni di ogni nazione", scrive lo studioso Iain Davis.
Schematizzando, il processo si declina così: in consessi internazionali, quale per esempio il World Economic Forum, le élite pubbliche e private riflettono sui destini del mondo, ma al contempo individuano le possibili soluzioni.
Poi passano all'azione.
Preparano l'opinione pubblica con un'adeguata campagna di comunicazione (solitamente ammantata di buone intenzioni, di cause nobili e di altruismo, ovvero facendo passare il messaggio che si agisce per il bene dell'umanità o per porre rimedio a un'incombente tragedia).
Successivamente, si attiva la governance internazionale, secondo Davis "tipicamente attraverso un distributore di politiche che funge da intermediario, come il Fmi o l'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) che ha il potere di indurre i governi nazionali a uniformarsi alle decisioni prese".
Quindi sulla scena appaiono partner privati, top manager e grandi aziende che dichiarano la volontà di contribuire al successo di questa buona e onorevole causa, che in realtà essi stessi hanno contribuito a ideare e offrono la loro collaborazione ottenendone - ovviamente - anche un ritorno economico, oltre che strategico e di sistema.
I media, stante l'importanza delle fonti, rilanciano questi temi, creando consapevolezza nelle masse.
In sintesi: le organizzazioni internazionali, i governi nazionali, i grandi gruppi economici, l'opinione pubblica convergono nella stessa direzione. E le decisioni ricadono sui Popoli, che restano inconsapevoli del processo.
"Questo è il tanto citato 'sistema internazionale basato sulle regole'. In questo modo il partenariato globale pubblico-privato controlla contemporaneamente molte nazioni senza dover ricorrere a veri e propri atti legislativi. Ciò ha l'ulteriore vantaggio di rendere estremamente difficile qualsiasi sfida legale alle decisioni prese", chiosa Davis.
Il progetto di decarbonizzazione promosso da molti anni risponde esattamente a queste logiche: è una pressione di sistema convergente e ineludibile. Il concetto di partenariato pubblico-privato viene citato frequentemente fino a trasformarsi in un mantra dalle implicazioni inquietanti, perché la neutralità di organizzazioni che dovrebbero essere di garanzia, oggettive e al riparo da influenze esterne risulta sempre più fragile, se non apertamente
contaminata.
Per esempio, in ambito sanitario, I'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nell'immaginario collettivo è pubblica e rigorosamente neutrale.
La realtà, però, è alquanto diversa, innanzitutto per il modo in cui è finanziata. Il budget annuale è di 7 miliardi, coperti per il 14% dai contributi annuali versati dagli Stati membri (calcolati in base al prodotto interno lordo di ognuno), ma per l'86% da contributi finanziari da parte degli stessi Stati e anche, attenzione, di privati, organizzazioni intergovernative, fondazioni filantropiche.
L'Oms dipende pertanto da "benefattori" che devono condividere e apprezzare il suo operato, pena la revoca del sostegno. In totale il maggiore contribuente è il governo statunitense con circa 890 milioni di dollari (15%), il secondo è la Fondazione "Bill e Melinda Gates" con 550 milioni (quasi il 10%), ma Gates è anche uno dei principali sostenitori di Gavi Alliance, l'organizzazione internazionale dei vaccini, che è al quinto posto tra i finanziatori dell'Oms con 246 milioni di dollari; dunque Bill Gates esercita un'influenza pari a quella degli Stati Uniti. Eppure costui non è neutrale, la sua fondazione investe nelle case farmaceutiche e sviluppa progetti insieme a esse.
L'ex patron di Microsoft ha un'agenda che è "politica" e globale e interpreta le logiche di partnership pubblico-privato: è un filantropo in costante relazione con il mondo industriale, con i governi e le istituzioni. Le sue intenzioni sono nobili e umanitarie, ma assorbono piu interessi. E' una potenza, ma risponde solo a se stesso, non agli elettori. Alcuni lo adorano, altri lo odiano, il punto però non è questo.
Occorre chiedersi se, per il bene della collettività, è giusto che una sola persona possa esercitare un'influenza finanziaria decisiva, pari a circa il 15%
del budget, in un'organizazione planetaria e fondamentale in un'epoca di crisi sanitarie e ricorrenti pandemie. Perché è la stessa persona che preme per i vaccini, i quali, come sappiamo, hanno decuplicato gli utili delle case farmaceutiche grazie agli accordi segreti firmati con i governi, che implicavano l'obbligo di acquistare dosi fino a 6-7 volte il numero degli abitanti, in un contesto che inibiva il rigoroso monitoraggio degli effetti avversi. Il tutto con il plauso e l'incoraggiamento innanzitutto dell'Oms.
Davvero si è svolto tutto e sempre esclusivamente nell' interesse pubblico?
La perplessità, ne converrete, è non solo legittima ma doverosa, tanto più sapendo che I'Oms ha adottato il principio del partenariato globale pubblico-privato. Durante l'assemblea generale del 2018 il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus esaltò
"il ruolo del settore privato"
evidenziando la necessità di impegnarsi in "qualunque partnership si apra, in ogni modo possibile, per raggiungere il nostro obiettivo".
Dichiarazioni non a caso subito accolte entusiasticamente dalla International Federation of Pharmaceutical Manufacturers & Associations (Ifpma, I'associazione internazionale dei produttori farmaceutici), che reagì "offrendo supporto all'Oms in questa nuova era di partnership sanitarie globali".
Eppure gli statuti dell' organizzazione sanciscono la sua indipendenza e il suo rigore scientifico, che però appare perlomeno poroso.
Qual è il confine fra virtuosa collaborazione e indebita ingerenza?
L'Oms è davvero indipendente dagli "azionisti" che lo finanziano?
La vicenda, per esempio ma non solo, di Francesco Zambon, il bravissimo esperto italiano che ha lavorato a lungo all'Oms e che nel 2020 si è visto annullare un rapporto sulla gestione italiana dell'emergenza Covid poche ore dopo la sua pubblicazione sul sito istituzionale, in seguito alle pressioni delle autorità di Roma, fa sorgere più di un legittimo dubbio.
E' un problema che, peraltro, riguarda tutte le agenzie di controllo sanitario L'Agenzia europea per i Medicinali (Ema), la statunitense Food and Drug
Administration (Fda), in Italia I'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) dipendono dai contributi versati dalle aziende che sono chiamate a controllare.
E non si può non restare perplessi apprendendo che Emer Cooke, importante manager dal 1991 al 1998 della European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (Efpia), che negli anni ha
esercitato pressioni per le più rilevanti società farmaceutiche europee, è diventata direttrice dell' Ema proprio in piena pandemia.
E che nei comitati di queste organizzazioni siedono, in qualità di esperti indipendenti, medici e specialisti che hanno lavorato per (o i cui istituti sono stati finanziati da) aziende private del settore.
Emergono sempre le stesse logiche, che diventano preoccupanti considerando quanto avvenuto in occasione dell'assemblea Oms del 2022 allo scopo di avanzare rapidamente verso un'unica sanità globale.
L'amministrazione Biden ha tentato di far approvare con un blitz procedurale tenuto nascosto fino all'ultimo minuto utile, d'intesa con i vertici dell'Organizzazione
- 12 emendamenti che avrebbero conferito
all'Oms stessa poteri molto più ampi degli attuali sui singoli Paesi (inclusa la modifica della definizione di pandemia).
Il tutto nel silenzio dei media.
La riforma avrebbe attribuito maggiori poteri a esperti esterni, i quali avrebbero potuto proclamare un'emergenza sanitaria in un Paese anche senza coordinamento e verifica con le autorità sanitarie locali. Di fatto avrebbe permesso di esautorare lo Stato-nazione, conferendo un ruolo spropositato e arbitrario alle "terze parti", tra cui governi stranieri e agenzie di intelligence, multinazionali, Ong; think tank e organizzazioni internazionali, tra cui
ovviamente la stessa Oms.
La riforma era prodromica a un trattato pandemico globale, nell'intenzione - come affermato dal presidente francese Macron nel discorso di saluto all'Assemblea di
"rinforzare l'Oms nel suo ruolo di coordinatore scientifico e di istanza normativa nell'approccio volto a una sola sanità",
che richiederà l'elargizione di più fondi, e ricordando che
"i Paesi hanno la responsabilità di applicare le direttive".
Ovvero Macron auspicava che l'organizzazione venisse trasformata in un vero e proprio governo mondiale della salute dotato di potere normativo, sovrastante qualunque legge o decisione nazionale.
La riforma è stata sospesa grazie all'opposizione degli Stati africani, che hanno indotto gli Stati Uniti a posticipare il voto al 2024.
Un intoppo davvero sorprendente, ma occasionale.
L'episodio resta emblematico dei metodi e delle logiche con cui vengono portati avanti, non solo in ambito sanitario, i processi di delega di poteri e competenze dagli Stati alle organizzazioni sovranazionali, aggirando ed eludendo la consapevolezza dei cittadini, nel silenzio, purtroppo non sorprendente, della stampa mainstream.
E coinvolgendo le grandi aziende, sempre più grandi, sempre più influenti.
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Divo greco ortodosso ... IL GRANDE RESET - LEGGETE ATTENTAMENTE Questo che stiamo per dirvi non sono farneticazioni “complottiste” e non le abbiamo inventate noi, se cercate con pazienza lo ritroverete negli atti di grandi consessi e istituti come il Forum di Davos, relazioni al Bildberger, politiche del Fondo Monetario e della BCE, “suggerimenti” di grandi Fondazioni e via dicendo, il tutto dietro un linguaggio travisato, edulcorato e rassicurante. Ma chi ha una certa cultura sa come queste cose erano già presenti nelle letture esoteriche di ataviche logge da sempre finalizzate alla “conoscenza” e al dominio di tutti gli esseri umani. «“Che lo si voglia o no, noi avremo un governo mondiale. La sola questione che si pone è di sapere se questo governo mondiale sarà stabilito col consenso o con la forza” ». [il banchiere Paul Warburg, 1950]. Sono atavici sogni di dominio mondiale che tuttavia sono molto complicati ad attuarsi per via della Eterogenesi dei fini che nella Storia produce una reazione ogni volta che si progetta e si pratica una certo progetto. Tutto questo, comunque, dovrebbe obbligatoriamente passare attraverso un “GREAT RESET” il mezzo con cui l’ideologia dei globalisti e il potere dell’Alta Finanza vogliono realizzare i loro fini. IL GRANDE RESET chiamato anche “ripartenza” era pensato per il 2030, ma ha avuto una anticipazione, grazie al Covid che ha accelerato il processo e introdotto le emergenze “sanitarie”, dimostrando che i popoli del mondo sono “già in grado” di accettare tutto. Uno degli slogan che fu lanciato, per adescare tutti è stato quello che in futuro “non avrai nulla e sarai felice”, ovviamente lasciandoti gestire tutta la tua vita da “chi di dovere”. ECCO QUELLO CHE, PASSETTO DOPO PASSETTO, CI SPETTEREBBE – E NON E’ “COMPLOTTISMO” - PERCHE' HANNO GIA' INIZIATO A PRATICARLO. • DIGITALIZZAZIONE DELLE IDENTITA’. Ogni individuo avrà una sua identità digitale, solo con la quale sarà riconosciuto come cittadino, potrà ricevere e fare pagamenti, curarsi, accedete ad uffici e servizi. In Italia il ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale nel Governo Draghi, Vittorio Colao Copia su instagram https://www.instagram.com/p/Cf6bxRnM14C/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Le ingenti risorse per la spesa militare sarebbero preziose se destinate altrove di Giovanni Casciaro L’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri, www.sipri.org.) nel suo rapporto annuale riporta: nel 2020 la spesa militare totale nel mondo è salita a 1.981 miliardi di dollari, con un aumento del 2,6% rispetto al 2019, malgrado una diminuzione del Pil globale del 4,4%. E per il 2021 è previsto un ulteriore aumento con il superamento della cifra di 2.000 miliardi di dollari. Questo avviene mentre la pandemia e la crisi climatica condannano milioni di persone alla povertà: non è un uso scellerato delle risorse pubbliche? In particolare, dal rapporto risulta che gli Stati Uniti, al primo posto nel mondo per spese militari, hanno investito nel 2020 circa 778 miliardi di dollari, con un aumento del 4,4% rispetto al 2019, arrivando al 39% della spesa militare totale; la Cina, al secondo posto, ha impegnato circa 252 miliardi di dollari, con un aumento dell’1,9%; e la spesa militare della Russia si aggira intorno a 61,7 miliardi di dollari, con un aumento del 2,5%. Significative sono state le spese militari della Nato, che hanno raggiunto la cifra di 1.100 miliardi di dollari, con un aumento del 13,6% rispetto al 2019, rappresentando quasi il 56% del totale della spesa militare mondiale. Si tratta di risorse pubbliche ingenti: sarebbero preziose se fossero utilizzate nella lotta alla povertà, nel potenziamento della sanità e della scuola. Tali enormi spese a favore dell’apparato bellico, con Stati Uniti e Nato in testa, decise dai governanti dei Paesi per “assicurare sicurezza e stabilità”, in realtà aggravano le contrapposizioni e la pericolosa escalation al riarmo. E, se si considerano anche le mega esercitazioni militari, la “guerra dei dazi”, le sanzioni economiche, le espulsioni, le ritorsioni, si avverte la dimensione della crescente tensione internazionale. (...) Per quanto riguarda l’Italia, l’istituto Sipri riporta per il 2020 una spesa di 28,9 miliardi di dollari, con un aumento del 7,5% rispetto al 2019. E per il 2021 è previsto un ulteriore aumento, superiore all’8%, a cui aggiungere le rilevanti ricadute del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a favore del settore militare. Quindi sono ingenti le risorse impegnate dai governanti italiani per le spese militari, malgrado l’enorme debito pubblico e i tanti bisogni disattesi dei cittadini. Mentre la maggioranza degli italiani, secondo un recente sondaggio condotto da YouGov per conto di Greenpeace, è favorevole alla loro riduzione e contraria all’esportazioni delle armi soprattutto verso i paesi dittatoriali. Intanto l’apparato industriale e finanziario del settore bellico, forte degli enormi profitti realizzati, continua a influenzare pesantemente i decisori politici attraverso azioni di pressione, “porte girevoli”, finanziamento dei partiti e delle loro fondazioni. Per questo è necessario opporsi alle scelte politiche in atto, garantendo un forte sostegno alle iniziative a favore della Pace realizzate dalle organizzazioni della società civile. Bisogna pretendere la soluzione delle controversie internazionali, non con minacce e guerre, ma attraverso trattative nelle sedi internazionali preposte. È importante affermare quanto stabilito dalla Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
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