#film e copertina
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🍁🍂 È autunno, sta piovendo ed è tempo di comfort movies e plaid... 🍂🍁
Ecco i miei quattro film del cuore, che non mi stancherò mai di rivedere:
✨ Piccole Donne (1994): ho sempre trovato Jo March il mio alter ego letterario in tutto e per tutto e questa versione cinematografica è quella che mi emoziona di più, rinsaldando il legame viscerale che ho con i romanzi. Lo riguardo ogni dicembre, la sera del giorno in cui ho addobbato l'albero di Natale.
✨ Jane Eyre (1996): sarà per la regia di Zeffirelli, la colonna sonora meravigliosa, le atmosfere gotiche fedeli al romanzo ottocentesco, gli attori perfetti nei loro ruoli (William Hurt come Marchese di Rochester è in stato di grazia e mi fa innamorare ogni volta); sta di fatto che questo film è un'esplosione di emozioni potenti, come solo un'opera figlia del Romanticismo sa essere.
✨ Il Signore degli Anelli (tutti e tre e in versione estesa): ogni parola in più sarebbe superflua, sono dei capolavori insuperabili, esattamente come l'opera letteraria. Data la notevole durata, mi capita di rivederli (non tutti lo stesso giorno, ovviamente) quando voglio prendermi interi pomeriggi liberi e dimenticare la realtà. La Terra di Mezzo è da sempre il mio rifugio.
✨ Orgoglio e Pregiudizio (2005): la fotografia e la colonna sonora sono a dir poco ipnotici e quando ho voglia di sognare e rilassarmi, questo film è una garanzia. Dopotutto, c'è chi aspetta un Mr. Darcy pronto a dichiarare il suo amore facendosi strada tra la foschia del primo mattino, e chi mente.
Quali sono i vostri quattro film del cuore? Vi va di condividerli e riempire la dash di emozioni (senza necessariamente dare motivazioni)? ✨
Nomino @der-papero, fedele lettore e amico virtuale, che sicuramente accetterà l'invito ❤️
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Danda lancia il suo nuovo singolo "Flowers": Un viaggio nei sentimenti tra magia e disincanto
A un anno dal suo debutto musicale, Alessandra Greco alias Danda torna con una canzone intima e potente che esplora l'effimera illusione dell'amore e la consapevolezza di una relazione perduta.
A un anno dal suo debutto musicale, Alessandra Greco alias Danda torna con una canzone intima e potente che esplora l’effimera illusione dell’amore e la consapevolezza di una relazione perduta. L’artista napoletana Alessandra Greco, conosciuta come Danda, ha pubblicato il suo nuovo singolo “Flowers”, disponibile su tutte le piattaforme digitali. Dopo il successo di “Mostro”, il suo esordio…
#Alessandra Greco#amore e disincanto#apple music#Artista emergente#cantattrice#canzoni d&039;amore#canzoni emozionali#copertina musicale.#Cortometraggi#Crescita Personale#Danda#Flowers#Giorgio Serafini#Hammond School University#illusione dell’amore#introspezione#iTunes#Lo psicologo#Maria Gravino#Miami#More#Mostro Danda#Musica italiana#musica pop#Musical theatre#Napoli#New York Film Academy#nuovo brano musicale#nuovo singolo Danda#Performing arts
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ho finito la quarta stagione di Prison Break e non posso credere che Michael sia m0rto 😭
#che poi salvando le puntate su tv time nella copertina della quinta lui c'è e pure nel film BOH#che poi so che la quinta è uscita anni dopo la quarta e quindi potrebbe essere un finale alternativo con lui presente#ma fa comunque stranissimo#mio fratello l'ha già vista e mi ha detto che secondo lui il vero finale è quello della quarta#in ogni caso da aggiungere alle m0rti peggiori delle serie tv come marissa di the oc e jennifer di dawson's creek#però immagino chi la seguisse anni fa nel vedere il finale della quarta e la serie si pensava conclusa 💔#prison break
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Ci sono attori che nei loro film muoiono diverse volte. Fuori dal set, pero', la finzione rimane nei camerini e tutto quello che succede e' reale. Non e' come nel film "Il ribelle di Algeri", dove un "dissoluto" Alain Delon alla fine si arrende e muore. Frame di film ripreso, venti anni dopo da Morrissey, voce degli Smith, per la copertina del loro terzo LP..
e ieri, come per la regina Elisabetta, è arrivato il sonno eterno anche per l'attore francese dopo una vita vissuta intensamente in nome dell’amore. @ilpianistasultetto
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Malena Morgan
Malena Morgan, pseudonimo di Carly Morrison (23 giugno 1991), è un'ex attrice pornografica statunitense.
Cresciuta nel Midwest della costa della Florida, ha lavorato come hostess al ristorante Cracker Barrel. Ha frequentato la scuola superiore conseguendo il diploma nel 2008.
Nel 2011 si trasferisce a Los Angeles, in California, per intraprendere la carriera nel settore per adulti. Dopo aver inizialmente posato come modella di nudo per webcam, ha iniziato a recitare in film hardcore.
Ha posato per Twistys Magazine del settembre 2011 e per il numero di novembre 2011 di Penthouse, di cui è stata ragazza copertina.
Altre pubblicazioni per adulti per cui ha posato e di cui è stata ragazza copertina sono Chéri, Swank, Barely Legal e International Club.
Risiede in California, USA.
Nel 2014 ha annunciato il ritiro dalle scene pornografiche, ma l'anno successivo è tornata a girare nuove scene.
Malena Morgan ha girato film , ma la sua filmografia è in realtà composta principalmente da scene pornografiche.
Malena Morgan ha avuto principalmente e rapidamente successo su Internet posando nuda davanti a una webcam. Ha accumulato un totale di oltre dieci milioni di visualizzazioni su tutti i siti Web (inclusi X siti come YouPorn o PornHub ) messi insieme, il che la rende una vera star su Internet .
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Pierre Le-Tan Album
Dirécteur ouvrage : Frank Maubert
Aubier, Paris 1990, 158 pages, 23,5x31cm, ISBN 2-7007-2838-6
euro 520,00
email if you want to buy [email protected]
“I suoi disegni devono essere letti e le sue parole devono essere viste“, dice di Pierre l’amico e scrittore Umberto Pasti. E’ un privilegio entrare, seppur virtualmente, nella casa studio parigina – un tempo pied-a-terre di Jean Cocteau – di Pierre Le-Tan (1950-2019), illustratore e artista, nato a Parigi da padre vietnamita e madre francese.
E’ dal padre, pittore e figlio di un nobile tonkinese, che Le-Tan impara a disegnare, appassionandosi presto all’amore per i libri antichi e le stampe giapponesi e cinesi. Tanto che – ancora adolescente – Le-Tan è incaricato dal New Yorker Magazine di creare una copertina, opera che segna l’inizio di una lunga e fruttuosa collaborazione editoriale anche con molte altre pubblicazioni, da Vogue e Harper’s Bazaar. Per il New Yorker Pierre realizza 18 copertine.
In oltre 50 anni di lavoro la creatività di Le-Tan si arricchisce, spaziando dalla scenografia per il cinema e il teatro, alla collaborazione con la casa di moda parigina di sua figlia Olympia, ma soprattutto eccelle nella invenzione di oltre 100 copertine di libri e poster di film. Il lavoro di Le-Tan è stato esposto nelle gallerie di tutto il mondo; nel 2004 è stato oggetto di una retrospettiva al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid. Ha realizzato copertine per libri di scrittori noti, come il romanziere premio Nobel Patrick Modiano.
La prosa malinconica di Modiano è perfetta per le riflessioni di Le-Tan spesso rivolte ad una Parigi dimenticata, piena di personaggi strani e fascinosi. Una delle pubblicazioni di Le-Tan, “Album” (1990), traduce al meglio il suo stile intimo e insieme eclettico: un “album” pieno di ricordi, di Greta Garbo, Christian Lacroix, Mick Jagger, foto di vecchi amici, centinaia di disegni che raccontano della gita a casa di Cecil Beaton, a un portasigarette realizzato da Picasso, alle scarpe di Cardin, a una sedia che proviene dalla Reggia di Versailles.
30/05/24
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Storia Di Musica #326 - Tame Impala, Lonerism, 2012
L’edificio in copertina del disco di oggi (che ricordo è il fil rouge dei dischi di Maggio per questa rubrica) è un particolare di uno degli edifici dei Giardini di Lussemburgo di Parigi. È mostrato sovraesposto alla luce, un po' sfocato in una giornata soleggiata estiva, come potevano farlo le decine di migliaia di turisti in quel luogo quel giorno, ed è opera di Leif Podhajsky, grafico e artista visuale australiano, che decise di editarla proprio come se fosse una foto fatta quasi per caso, mancando il fuoco del soggetto. Con questa copertina, l’artista di oggi voleva esprimere la sottigliezza e spesso l’indifferenza dell’isolarsi contemporaneo, come simboleggia il cancello più a fuoco dell’edificio e del giardino di sfondo. Kevin Parker è stato sin da subito un tipo dalla fervente immaginazione e creatività. Australiano di Perth, sin da giovanissimo inizia a suonare in gruppi rock amatoriali, fin quando non ha un piccolo successo con i Dee Dee Dums, un rock duo dove lui canta e suona la chitarra e Luke Epstein la batteria. È quasi per scherzo che registra in maniera casalinga delle canzoni che pubblica su una pagina di MySpace (ode al leggendario social network), dando a questa idea il nome Tame Impala, in omaggio alla grande antilope africana. Sorprendentemente ottengono un successo per passaparola sulla piattaforma, tanto che una piccola casa editrice australiana, la Modular Recordings, lo scrittura. Parker è “costretto” a ingaggiare altri due musicisti per suonare dal vivo i brani, Dominic Simper (basso) e Jay Watson (batteria). Il 2008 è l’anno del loro lancio: firmano un Ep a nome Tame Impala (sebben la copertina con la scritta la scritta di tre stelle lo fa diventare famoso come Antares, Mira And The Sun) una loro canzone, Half Full Glass Of Wine diviene una piccola hit, suonano come supporter band ai The Black Keys e in numerosi festival, dove il loro suono proto-psichedelico ha un grande successo. Che perdura nel 2009: nuova canzone di successo, Sundown Syndrome, che addirittura è inserita nella colonna sonora del film pluricandidato agli Oscar I ragazzi stanno bene, ancora festival, concerti, critica innamorata di questo suono vintage-moderno peculiare. Nel frattempo Epstein se ne va, e Parker da solo scrive testi e musica del primo (tranne una canzone con Jay Watson), attesissimo, disco dei Tame Impala: nel 2010 viene alla luce Innespeaker, apoteosi di questo gusto del nostro per il rock psichedelico degli anni d’oro (metà anni 60) ma con tocchi pop spiazzanti, ma che funzionano a meraviglia. Disco acclamato dalla critica e dal pubblico, Parker è con il nome di una band una delle nuove sensazioni della musica.
È con curiosità che quando esce nel 2012 Lonerism ci si approccia a questo nuovo lavoro: c’è già chi lo aspetta alla prova del secondo disco modesto dopo un grande inizio. Ma quasi tutti vengono smentiti da un lavoro che prosegue in questo binomio creativo quanto meno singolare tra psichedelia e pop music, ma stavolta lo fa abbandonando le chitarre e il rock per spingersi molto di più sull’elettronica, echi di new wave, accentuando la spinta psichedelica con cascate di tastiere e effetti di sampling. Parker non si nasconde e vuole creare una musica che “sia psichedelica ma che abbia la grazia pop di Britney Spears”. Registrato tra Perth e Parigi, spesso in totale solitudine, solo con il fido ingegnere del suono Dave Fridmann al mixing, il disco si apre con il gioco di campionamenti di Be Above It (quasi un mantra pop), che si ripetono in Endors Toi, in una atmosfera solare, quasi da serie Tv californiana. La stupenda Apocalypse Dreams, primo singolo estratto e una delle canzoni più belle dell’intero repertorio Tame Impala, ha echi lennoniani e un finale che in più punti sembra un omaggio a David Bowie e alle sue esplorazioni spazial-musicali di qualche decennio precedente. La parte centrale del disco è invece quella più marcatamente psichedelica. Nel trittico Mind Mischief, Music To Walk Home By e Why Won't They Talk to Me? si sente il lavoro dietro il mixer di Dave Fridmann, già produttore dell'esordio, ma soprattutto collaboratore fisso di quei pazzerelli dei Flaming Lips. Elephant sfoggia un riff sporco e quasi funk e un determinato assolo di tastiere acide, bellissime sono l'onirica ballata Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control e la quasi marcetta pianistica di marcetta Sun's Coming Up. Discorso a parte merita l’ultimo singolo, Feels Like We Only Go Backwards, che lo stesso Parker ammetterà di aver scritto pensando a Walk In The Park dei Beach House: una sognante ballata power dream pop, che diventerà una delle canzoni dell’anno, usata in film (Divergent del 2011), serie Tv (The Imperfects su Netflix), e spingerà il disco ai posti più alti delle classifiche redatte dalle riviste specializzate come miglior lavoro dell’anno. Anche le vendite sono sbalorditive: solo Feels Like We Only Go Backwards vende un milione di copie tra fisiche e digitali. Nonostante per alcuni sia un divertissement, il secondo lavoro è portentoso per l’accuratezza di certi particolari, per il lavoro di produzione certosino e per la freschezza generale delle musiche, caratterizzate dall'uso spectoresco degli arrangiamenti, dalla stratificazione degli effetti e da una pomposità e magniloquenza che faranno scuola.
Ancora meglio farà Currents nel 2015: scritto, suonato e registrato tutto da solo, molto più dance, virando ancora di più sul pop psichedelico e sul synth-pop, venderà milioni di copie e vincerà il Grammy come Miglior Disco Rock e miglior Disco dell’anno nel 2016, decine di altri premi e scaraventa canzoni come Let It Happen, ‘Cause I'm A Man, Eventually e The Less I Know The Better a miliardi di visualizzazioni sui siti di streaming facendo di un ragazzo di Perth il nuovo Re Mida del pop internazionale.
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Sì è vero, da casa me ne sono andata dal giorno alla notte. Non che i segnali non ci fossero (tanto che lui mi disse "A volte avevo come l' impressione di starti sul cazzo..." No non era un'impressione, era vero). Avevo riempito casa di ogni cosa possibile: cibo, saponi, detergenti, affinché lui non dovesse preoccuparsene per un po', anche se ero seriamente senza un soldo. Ma dopo quindici anni e innumerevoli ed infiniti tentativi di sistemare le cose, per me non c'era altro modo di farlo. Sì, lui si trovò a dover sostenere da solo il costo di affitto e bollette, ma ha un buono stipendio e da lì a qualche mese il contratto d'affitto sarebbe scaduto, avrebbe avuto il tempo di trovare una sistemazione più economica se fosse stato necessario. O decidere di prendere un altro inquilino: avevo scelto questa casa anche perché era strutturata in modo tale che avrebbe potuto dividere l'affitto con qualcun altro senza problemi (sì già allora sapevo che prima o poi, salvo miracoli, me ne sarei andata). Quando venni a prendere i libri e i miei (non molti) vinili, non trovai più i dischi. "I tuoi dischi non so dove sono finiti, mi dispiace" e in effetti nella libreria era rimasta solo la sua collezione. La maggior parte erano vinili che mi aveva dato mio padre, qualcosa di buono c'era, soprattutto ero affezionata a "La buona novella" in edizione originale e alla colonna sonora del film "Phantom of the paradise" che per me era un ricordo d'infanzia, perché la copertina da piccola mi terrorizzava. Ora so dove sono questi vinili e potrei portarmeli via senza nessun problema, tuttavia mi chiedo se sarebbe giusto... Mi sembrerebbe di rubarli, pur essendo miei. E soprattutto devo mantenere buoni i rapporti, siamo "genitori divorziati" di una bassotta che normalmente vive con lui: lavora da casa 4 giorni su 5, io invece con i turni passo almeno 8 ore al giorno fuori casa, quando non tutta la notte. E nel giorno in cui lavora dall' ufficio io mi organizzo per occuparmi della cagnolina, che entrambi adoriamo.
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Cose che mi piacciono in maniera random:
I tizi che escono con un cartone di pizza dal treno; i film di Bay; l'Audi TT; le scarpe da skate della Globe e della Osiris; chi parla in dialetto stretto; le fette di culo che escono dagli shorts; la storia dello Yemen, ma in generale tutto di quella nazione; provocare random chi è gatekeeper di un qualunque argomento; i taralli alla cipolla; chi mi contraddice; i documentari sui fotografi; Luis Sal; Blur; chi mette in mostra le tette; le strisce gialle delle stazioni dei treni.
Cose che non mi piacciono in maniera random:
Le magliette nere di una band; il metal e chi lo ascolta; chi segue la Lucarelli; i racconti superficiali; i report di viaggio approssimativi; chi mi contraddice; i libri con la copertina blu; le macchine in generale; le Gazzelle e le Samba; l'hype per qualcosa; avere aspettative alte nei miei confronti;
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ho 22 anni e il pomeriggio devo assolutamente bere il mio the verde caldo il sabato sera preferisco copertina e film alle serate in discoteca amo fare la spesa alle 21:00 ho già sonno e mi sono eccitata a comprare un tostapane
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Ok… prima vado a letto voglio praticare il mio Italiano perché non mai faccio pratica salvo in class ogni giovedì. Non ho tempo per guardare i film o perfino ascoltare la musica. Sono impegnato. Ugh. Ho avuto un giorno lungo, ho fatto le cose che ho dovuto fare, non posso dormire invece guardo il sito di Sephora 🙈 alle due mattina. Sto pensando troppo a quest’ora e mangio molto il popcorn ;) con succo di mirtillo (ho avuto bisogno di cercare su Google quella parola….mirtillo…..)…Amo l’estate generalmente ma in Toronto sembra strana, non lo so come dire, ma l’aria è come zuppo, è pesante….Devo fare un po’ di shopping per vestiti nuovi….non solo vestiti anche, forse trucci e profumo e libri e voglio nuovo bagaglio… qualcosa carina e rosa. Vorrei un copertina per il mio passport per quando vado in viaggiare. È quasi tempo. I desideri piccoli della donna semplice. Hehehe questo era facile perché ho scelto le parole che so. Ignorate la grammatica sono livello A3, una bambinaaaaa
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Domande a cui rispondere
Ringrazio @pianetatschai che mi tagga in questa simpatica catena.
1. Are you named after anyone?
Mi chiamo come mio nonno paterno, Vincenzo. Non vi dico le volte che mi hanno fatto la battuta di Miseria e Nobiltà con Totò "Vincenzo m'è padre a me". Io rispondevo che a me era nonno.
2. Quando è stata l'ultima volta che hai pianto?
Quando è morto mio padre, ormai due anni fa.
3. Hai figli?
Ho un figlio maschio che chiamo Tigrotto.
4. Fai largo uso del sarcasmo?
Solo perché l'omicidio è illegale.
5. Quali sport pratichi o hai praticato?
Ho giocato a calcio ma a livello amatoriale dilettantistico e in squadre da 5 o 8 non certo a 11. Però ho fatto l'arbitro, vale? Ho praticato tennis con scarsi risultati.
Ora faccio camminate. Cioè non ora ora perché fa troppo caldo. Se ne riparlerà a settembre. Nell'attesa farò nuoto al mare.
6. Qual è la prima cosa che noti in una persona?
Fisicamente devono colpirmi gli occhi. Mi piacciono le persone intelligenti, non invadenti e generalmente ho scoperto di preferire persone riservate.
7. Qual è il colore dei tuoi occhi?
Castano scuro. Una volta mi dissero che sono "profondi"... non ho mai ben capito cosa significhi.
8. Scary movies o happy endings?
Mi piacciono i film di spavento anche se finiscono male. Va pur detto che se almeno al cinema non c’è l’happy ending ci resto male, un po’ come nel primo Nightmare che finisce… no vabbè dai niente spoiler.
9. Qualche talento particolare?
A parte disegnare, conosco a memoria i nomi e numeri di maglia della nazionale italiana campione del mondo 1982. Pure quella del 2006. Anche quella dell’Argentina 1986. Sono campione mondiale di procrastinazione e faccio pure una discreta pizza.
10. Dove sei nata?
Nella città di Gabriele D’Annunzio e di Ennio Flaiano, nella terra famosa più per gli arrosticini che per le sue montagne. Benché molti credano che Pescara sia nelle Marche sono nato in Abruzzo. A Pescara, per l’appunto.
11. Quali sono i tuoi hobby?
Modellismo ferroviario (che però non pratico non avendo sufficiente spazio e soldi), disegnare, leggere.
12. Hai animali domestici?
No nessun animale domestico. In generale pur amando molto gli animali preferisco non tenerli in casa perché mi sembrerebbe di tenerli sempre un po’ prigionieri.
13. Quanto sei alto?
Circa 1.77 m da disteso.
14. Materia preferita a scuola?
Disegno, italiano e storia. Ma alla fine molto poco italiano e storia e molto disegno. Ho imbrattato tutti i libri nelle seconde e terze di copertina con i miei disegni. Pure i libri di italiano e storia, ovviamente.
15. Dream job?
Disegnatore di fumetti.
A questo punto dovrei taggare qualcuno e scelgo @mybittersweet @crisigenerica @surfer-osa @labluesky e chiunque si senta di farlo.
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Unrestrained summer fun: Boku no Natsuyasumi 2: Umi no Bouken-hen e Summer Vacation 1999
L’estate è la mia stagione preferita! Mi rendo conto che l’incessante aumento delle temperature potrebbe contribuire in un immediato futuro ad un rimescolamento della classifica, ma per ora i gelati, le cicale e la possibilità di adagiarmi settimanalmente sul fondo di un fiume le permettono di guadagnarsi il primo posto senza troppa fatica; mi sembrava dunque interessante segnalare in questo periodo un paio di cosine interessanti per chi ha un debole per l’atmosfera calda, inebriante e statica di certe giornate estive cittadine ma non solo. Anzi, in realtà la mia idea originaria sarebbe stata di confinare il tema del consiglio di oggi all’affascinante microgenere dei summer timeloops, del quale l’iconico Kagerou Daze è un esempio perfetto, ma alla fine mi sono presentate nel corso di questi mesi due esperienze così radicate nella stagione in cui si ambientano le loro rispettive narrative – e soprattutto così belle! – che non ho potuto fare a meno di raccoglierle in questo post.
Ma di quali esperienze sto parlando esattamente [domanda retorica che mi permette di spezzare un paragrafo vicino ad acquisire lo status di wall of text]? Beh, intanto di un videogioco per Playstation 2 che può vantare un’importante fanbase giapponese e una piccola fetta di appassionati occidentali (nonché giuoco apparso regolarmente sul mio blog principale per i Veri Fan che mi seguono anche lì), ma anche di un film ambientato in un futuro alternativo degli anni ottanta in cui tutti i protagonisti sono interpretati da ragazze e scrivere molto velocemente su un computer a schermo verde è considerato C Y B E R P U N K. Che cosa state aspettando? Iniziamo!
Boku no Natsuyasumi 2: Umi no Bouken-hen
Nel 1975 Boku ha nove anni e sua madre decide di spedirlo dai suoi zii per tutto il mese di agosto in previsione del suo parto imminente per non avere pargoli tra i piedi; la destinazione è la campagna della prefettura di Yamanashi, ricca di possibilità per un bambino appassionato di battaglie tra insetti, esplorazione e soprattutto la proficua attività dell’immischiarsi negli affari degli adulti che è com'è giusto e sacrosanto tanto cara a tutti i più piccoli
Solo che la destinazione non è davvero la prefettura di Yamanashi, bensì un villaggio di mare sulla costa ovest del Giappone, perché questo non è il primo Boku no Natsuyasumi, ma uno dei quattro sequel spirituali che l’hanno succeduto dopo il suo significativo successo in Giappone (e oltreoceano, almeno per i pochi appassionati in grado di masticare un po’ di giapponese): per la precisione il secondo, Umi no Bouken-hen, salito alla ribalta nel mondo dell’emulazione occidentale grazie alla minuziosa traduzione di Hilltop Works, resa pubblica alla fine dell’anno scorso, che ha permesso anche a chi parla soltanto l’inglese di provare per la prima volta un titolo di questa saga discretamente popolare nella sua terra natale. Saga abbastanza conservatrice, considerando che tra tutti i titoli le variazioni sono minime e consistono nella scelta dell’area del Giappone in cui Boku passerà l’agosto del ‘75, alcuni cambiamenti nei personaggi ricorrenti e nelle migliorie tecniche dovute alla console di uscita di ciascun titolo. Insomma, una saga peculiare già a partire dalla sua direzione artistica, che rimane tale anche quando si considera il tipo di gameplay che propone e che ha contribuito a renderla abbastanza unica nel suo genere.
La copertina del videogioco. Trovo lo stile cartoon 2d del materiale promozionale adorabile.
Infatti una volta approdati nella cittadina marittima in compagnia di Yasuko, una ragazza di quattordici anni che torna a casa per le vacanze, per Boku si spalancheranno le porte di un intero mese di completa libertà: i suoi zii si assicureranno che mangi due volte al giorno e che non affoghi scandagliando i fondali marittimi, ma tutto il resto del suo tempo potrà essere speso come meglio gli aggrada. Durante l’intera giornata di Boku infatti il giocatore potrà scegliere in completa libertà quale zona della mappa esplorare, con quali personaggi interagire e in che attività impiegare il proprio tempo – attività di cui non c’è certo penuria, considerando che avrete a disposizione una canna da pesca, dell’acqua zuccherata per attrarre giganteschi scarafaggi da utilizzare nei combattimenti contro quelli dei vostri cuginetti, e l’intero fondale marittimo da esplorare alla ricerca di tesori e passaggi segreti! Senza considerare l’ingente quantità di persone che faranno avanti e indietro dalla casa dei vostri zii, che funge anche da B&B per i turisti; dal pacato turista americano Simon fino allo schivo Taniguchi, prono ad alzare il gomito anche di prima mattina. Ma sarà possibile conoscere bene anche le sorelle Yasuko e Hikari, un po’ sole e con una famiglia particolare alle spalle… Insomma, la vera domanda non è che cosa mai potrete fare per i trentun giorni di agosto in cui sarete lontani dai vostri genitori, ma se riuscirete a sfruttare al meglio tutto ciò che la città ha da offrire prima di essere costretti a tornare a casa.
Piano piano, mentre vi acclimatate alla routine della giornata tipo della vacanza estiva di Boku, scoprirete almeno un paio di cose che vi sorprenderanno assai in positivo. La prima è che Boku no Natsuyasumi non è solo una bella esperienza, ma è anche un bel gioco. Sì ok, storia e gameplay non sono elementi narrativi distinti, un gioco è un’esperienza a tutto tondo in cui ciascun singolo elemento è inestricabilmente coinvolto nella formazione del suo senso ultimo, la dissonanza ludonarrativa è vera e può farti del male ecc. ecc., ma è innegabile che chiunque sia abituato a fare del retrogaming spesso e volentieri per accedere ad una storia affascinante si debba abituare ad un’esperienza legnosa, ad un’interfaccia confusa e a delle convenzioni di gioco obsolete che possono rendere le sessioni di gioco complessive decisamente meno appassionanti di quello che potrebbero essere. Non è però il caso di Boku no Natsuyasumi, che nonostante faccia la scelta poco felice di far muovere il personaggio con una strana combinazione di tasto x per avanzare e le quattro frecce per direzionare (… sì, è fastidioso come state pensando), costruisce ciascuna attività di ciascuna giornata con la massima attenzione a renderla meno intrusiva e faticosa possibile per il giocatore. Non c’è il rischio che gli eventi diventino troppo dispersivi grazie ad un efficace guida giornaliera sugli eventi più salienti che prende forma grazie alle predizioni di Hikari, la luce ci farà sempre capire a che punto della giornata siamo e quanto tempo ci rimane, la pesca è un semplicissimo minigioco d’attesa in cui si preme un solo tasto e la maggior parte delle attività, anche in virtù della loro semplicità, sono godibili senza risultare del tutto casuali; un ottimo esempio è la lotta degli scarafaggi, determinata dalle caratteristiche degli stessi, da quanto abbiamo dosato la loro aggressività e dalla fortuna, elementi che premiano un certo coinvolgimento emotivo senza suscitare troppa frustrazione.
Davanti al B&B degli zii di Boku, nonché un ottimo punto per tuffarsi a scandagliare il fondale in cerca di tappi di bottiglia.
Il gameplay di Boku no Natsuyasumi però ha meritato una menzione speciale solo per la sua abilità di mettersi al servizio dell’esperienza chiave del titolo, che non fa certo perno sulla complessità dei suoi sistemi. Il gioco propone un’esperienza marcatamente nostalgica, se non altro per via della minuzia con cui ricostruisce ciascuna interazione che un bambino di otto anni può avere con l’ambiente, gli adulti e i coetanei attorno a lui; esperienza ulteriormente calata in uno specifico contesto culturale di cui non mi sento di giudicare l’”accuratezza storica”, ma che di sicuro fa un ottimo lavoro nel vendere al giocatore perlomeno un’ottima illusione di come poteva essere il mese di agosto del 1975 in una cittadina marittima del Giappone. La malinconia di cui è impregnata ogni giornata di cui si ha esperienza nel gioco è ben sostenuta nella sua profondità e autenticità anche dalla complessità dei dialoghi che si hanno con gli adulti nel gioco; sebbene il paragone più ovvio che possa venire in mente dalla mia descrizione finora per questa saga possa essere Animal Crossing, il gioco non potrebbe essere più distante da quello specifico e melenso filone del cozy gaming che costruisce una fantasia zuccherosa dietro la quale si cela poca carne al fuoco nel senso narrativo del termine (conflitto, evoluzione e così via), ma si tratta chiaramente di un gioco da adulti per adulti. Nel corso dei giorni Boku potrà parlare con un anziano che si sente spaesato e inutile dopo la morte della moglie e del figlio, con una madre che fugge dai suoi figli perché si sente soffocare dal villaggio in cui è cresciuta e con un uomo che passa il tempo sulle montagne piuttosto che stare con il figlio appena quattordicenne – e ciascuno di questi incontri non ci permetterà di aprire il menù delle quest per risolvere la vita dell'NPC di turno che ci ha appena aperto il cuore, ma si risolverà in dialoghi fugaci che lasceranno il protagonista spesso confuso, e il giocatore più conscio della complessità delle dinamiche del villaggio in cui Boku è stato catapultato.
Quello che rimane al momento di salire sul traghetto del ritorno è proprio la sicurezza di aver parlato con persone con una vita più grande, misteriosa e complessa degli scorci che Boku ha visto e sentito, proprio come succedeva spesso a noi da bambini e come certamente capita anche agli adulti; e questa esperienza formativa per Boku ben si riflette nel corso delle giornate che passano, in cui il nostro protagonista imparerà a fare considerazioni un po' più complesse di prima sulle persone che lo circondano. Insomma, quello che davvero Boku no Natsuyasumi 2 è capace di regalare ad un giocatore adulto è proprio il ritorno a quella scoperta totalizzante e straordinaria che si provava sia di fronte alle scoperte provenienti dal mondo adulto che all’esplorazione della natura e dell’ambiente attorno a noi. Il mio consiglio è di provare sulla vostra pelle almeno un paio di queste giornate di agosto, per scoprire se è l’esperienza che state cercando.
Il diario che Boku compila a fine giornata con gli avvenimenti più rilevanti è credo nella mia top ten di cose belle che ho visto quest'anno.
Summer Vacation 1999
Sarebbe l’estate più noiosa di sempre nella scuola di Kazuhiko, Naoto e Norio, visto che sono loro gli unici tre ragazzi che hanno scelto di non tornare a casa per le vacanze e invece di passare le giornate a fare i compiti al computer, a cucinare e a giocare nei campi che circondano l’edificio deserto; se non fosse che la tensione nell’aria si taglia con un coltello e ogni scusa è buona per litigare, perché pochi mesi prima l’intera scuola è stata scossa dal suicidio di Yu, un ragazzo dello stesso anno di Kazuhiko e Naoto che si è lanciato dalla scogliera a due passi dall’edificio scolastico. Norio è convinto che la causa della sua infelicità fosse Kazuhiko, che dal canto suo passa le giornate in compagnia di Naoto, l’unico ragazzo che sembra in grado di rasserenarlo e di fargli allontanare dalla mente quel tragico evento… Almeno finché alla fermata del treno non scende Kaoru, copia perfetta di Yu che si presenta come un nuovo studente che condividerà le settimane successive con i tre; e nel tentativo di comprendere che cosa si cela dietro questo ritorno fantasma, ciascuno dei tre ragazzi aprirà la porta a tutte le pulsioni inconsce che fino a quel momento erano rimaste saldamente chiuse dietro un lucchetto a diverse mandate. E sì, sto naturalmente parlando del sesso gay.
Le uniformi hanno ovviamente lanciato una moda, e ci mancherebbe altro.
Ora che l’elefante nella stanza è stato finalmente svelato, mi pare giusto notare le due peculiarità del film che me l’hanno fatto immediatamente guardare la sera stessa in cui sono capitata sulla pagina del suo regista, Shusuke Kaneko. In primo luogo, se la trama di questo film vi sembra anche solo vagamente familiare, c’è una buona possibilità che abbiate letto Il cuore di Thomas, il manga di Moto Hagio da cui il film è liberamente ispirato; per quanto le differenze siano moltissime, dall’ambientazione fino al destino di molti personaggi, i temi trattati sono simili – fatto che non dovrebbe sorprendere nessuno che già conosce Hagio, di cui io ho letto solo l’etereo Il clan dei Poe, pioniera e maestra dei boys’ love. La seconda cosa che ha immediatamente fatto rizzare le mie antennine sensibili al bizzarro è che in questo film non c’è un solo ragazzo: ciascuno degli adolescenti è interpretato da giovani attrici, fatto che in nessun modo viene mai rimarcato all’interno della narrativa stessa ma che sicuramente dona un ulteriore fascino ad una storia che ruota attorno alle pulsioni proibite, dirompenti e totalizzanti dell’adolescenza, esasperate dalla solitudine estiva e dal quieto scorrere di giorni sempre uguali.
Purtroppo la scelta di interpreti così giovani si fa sentire: nessuna di loro era all’epoca particolarmente talentuosa nell’arte della recitazione e la mancanza di esperienza è molto evidente. Moltissime scene sono legnose, recitate da attrici che imbastiscono monologhi esitanti e spesso poco convinti, tanto che è molto facile immaginarsele con il copione in mano che cercano di mandarsi a mente il discorso che dovranno recitare di fronte ad una telecamera. Non sono una persona che soffre particolarmente attori mediocri o scadenti – altro vero marchio che sancisce la mia esclusione dalla cinefilia dura e pura – ma è innegabile che il film a tratti ne soffra parecchio; ad essere però particolarmente generosi, mi sento di notare che questa recitazione così artificiosa s’incastra piuttosto bene con il resto dell’ambiente che i personaggi navigano.
In questa scena viene citato Demian con i suoi pulcini nel guscio, riprova del fatto che Ikuhara si sarà visto questo film più e più volte.
Infatti la scuola semideserta è costruita con grande maestria per indurre un fortissimo senso di straniamento nello spettatore, che si trova ad osservare un ambiente a volte ai limiti del plausibile e dal look plasticoso e retrofuturistico (che la pagina Wikipedia italiana insiste a definire cyberpunk). Dai monitor verdi che i quattro studenti fissano ogni mattina, digitando una serie di parole inintelligibili ad altissima velocità, presumibilmente per completare improbabili esercizi, fino agli strani giochi presenti in camera di Norio, ciascun elemento dell’ambientazione e ciascuna scelta di regia aiutano a sottolineare il carattere artificioso e favolistico dello spazio in cui i ragazzi interagiscono, come a puntare il dito sul fatto che si tratta di una storia universale, trascendente qualsiasi specificità poiché incentrata su pulsioni ed emozioni che ciascun adolescente prova nel corso della vita. L’effetto complessivo non è dissimile da quello della strana scuola che frequenta Utena, anche se l’ispirazione estetica è piuttosto diversa: un ambiente dominato dalla routine, dal lento incedere di giorni sempre uguali, che lentamente soffoca chi vive al suo interno finché qualcosa non appare a cambiare le carte in tavola.
Ed è questa cura minuziosa per l’atmosfera in cui il film ci deve immergere che mi ha fatto apprezzare Summer Vacation 1999 così tanto. Al netto delle performance meno che brillanti e di una narrazione lineare fino alla banalità che segue lo scombussolamento che Kaoru provoca nella psiche di tutti gli altri, si tratta di un film che ben cattura quelle estati topiche dell’adolescenza in cui avvengono ogni sorta di rimescolamenti emotivi, in cui ciascuna emozione è volatile, esplosiva e pronta a prendere il sopravvento; Kaneko preme a fondo il pedale sulla repressione che l’ambiente instilla in ciascuno dei ragazzi, e lo fa senza mai mostrare nessun elemento apertamente coercitivo, fatto che di certo fa onore alla sua abilità registica e che permette di mantere un filo di non detto in un film che è tutto tranne che sottile nella messa in scena dei turbamenti adolescenziali di fronte al taboo. Che ok, è il desiderio omosessuale ma anche l’attaccamento morboso, l’isolamento, la paura dell’apertura all’altro e tutta una serie di altre emozioni complicate che facilmente portano a ferire gli altri, sia in senso puramente psicologico ma anche e soprattutto in quello fisico, pericolo ben presentato nel film dalla scogliera dalla quale Yu si è buttato, che ricompare ancora e ancora nel corso delle scene fino al finale carico di tensione che la vede indubbia protagonista, in cui ogni frame di ogni inquadratura suggerisce ai quattro ragazzi un modo semplice e rapido per porre fine ai loro tormenti.
Tutti assieme in una scena senza alcun significato allegorico legato allo strumento suonato. Boys will be boys no homo <3
Non si tratta di un film che piacerà a tutti, vuoi per l’artificiosità della messa in scena, vuoi per la recitazione poco ispirata, o vuoi perché dalla prima scena del film è tutto sommato assai semplice dipanare la matassa della narrativa e leggere in anticipo ciascun movimento di trama, come in qualunque boys’ love degli anni ottanta che si rispetti; ma se anche solo una delle cose che questo film fa bene vi ha catturato vi consiglio caldamente di prendervi una sera per guardarlo e scoprire se l’atmosfera estiva (nel senso più opprimente del termine) di questo film fa per voi.
Detto ciò, questo consiglietto giunge al termine! Anzi, consiglio a pieno titolo, vista la lunghezza – in qualche modo dovevo farmi perdonare l’assenza prolungata. Va detto che all'inizio avevo pensato di imbastire un post fatto come si deve su qualche perla del cinema coreano, ma la seduzione del clima estivo ha ben presto preso il sopravvento e mi sono ritrovata a scartabellare nei miei cassetti mentali per poter parlare di qualcosa adatto al periodo; sono convinta di aver trovato proprio le cose giuste di cui parlare e spero che queste mie essenziali considerazioni possano aver stuzzicato la curiosità di qualcuno. Adesso torno a riascoltarmi tutto Kagerou Project però.
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Scelti per voi
Fonte: pixabay.com
Una piccola scelta di libri “certificati” dai bibliotecari per distrarvi nel migliore dei modi durante le vacanze. Si tratta di novità, di titoli non recentissimi ma che magari vi sono sfuggiti e meritano attenzione, e di opere da cui sono stati tratti ottimi film.
Se non l’avete ancora letto vi consigliamo L’animale più pericoloso di Luca D’Andrea, del 2020. Ma qual è l’animale più pericoloso? Se non ci si lascia sviare dall’immagine di copertina, si può intuirlo fin dalle prime righe di questo avvincente giallo che ha come tema (argomento di scottante attualità) la salvaguardia dell’ambiente. A parte l’idea di fondo dell’adolescente rapita che ricorda il pregevole La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, la storia si dipana in maniera diversa, dalla location (le montagne della Val Pusteria), ai moventi dei crimini, allo stile, agile, moderno, mai banale. Anche il finale diverge, ma su questo, naturalmente, non sveliamo nient’altro. Rispettata in pieno l’unica regola cui i gialli dovrebbero essere sottoposti: quella di inchiodare il lettore alle pagine, fino alla conclusione.
Pare che le case di ringhiera della vecchia Milano siano una continua fonte di ispirazione per scrittori e assassini: dopo i gialli di Francesco Recami orientati sulla figura dell’ex tappezziere in pensione Amedeo Consonni, è il vice-commissario Enea Zottìa che deve occuparsi di una serie di crimini in un vecchio stabile malandato nel cuore di Milano nell’ultimo libro di Marco Polillo I delitti di corso Garibaldi. Ma le indagini ci porteranno anche a Viboldone, frazione di San Giuliano Milanese e sede di un’antica Abbazia, e all’isola di San Giulio sul lago d’Orta (ebbene sì, proprio nel luogo in cui C’era due volte il barone Lamberto!), dove le vicende, soprattutto sentimentali, dei protagonisti troveranno il loro più naturale scioglimento.
Ambientato sul lago di Como è I milanesi si innamorano il sabato di Gino Vignali, il cui titolo si ispira al famosissimo I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco (da cui è stato tratto anche un film per la regia di Duccio Tessari). “Dopo la fortunata tetralogia riminese con protagonista Costanza Confalonieri Bonnet, Gino Vignali cambia atmosfere e personaggi ma mantiene intatti il tono scanzonato e il ritmo incalzante che contraddistinguono i suoi fortunati gialli. Suspense, erotismo, umorismo sono gli ingredienti vincenti di un romanzo che, giocando abilmente con dubbi e ossessioni, incertezze e desideri, incanta il lettore in un riverbero di luci e ombre. Come l’acqua del lago, quando sembra calma ma non lo è”.
Non intendiamo certo tralasciare l’ultimo Simenon, L’orsacchiotto, anche questa opera di introspezione, di scavo profondo nella psiche umana aperto a più interpretazioni, una delle quali può essere che non è possibile mantenere sempre il controllo su tutto, anche ad altissimi livelli professionali: dopo una intera esistenza trascorsa all’insegna del più assoluto dominio di sé, una sola deroga al perfetto meccanismo esistenziale che il protagonista si è imposto può costare un prezzo inestimabile.
Torna nell’ultimo romanzo di Fabio Stassi, Notturno francese, il simpatico counselor della rigenerazione esistenziale Vince Corso, ma in questo caso, come per Simenon, l’indagine è introspettiva: un viaggio parallelo nei ricordi dell’infanzia e in treno, lungo la Costa Azzurra, terra d’origine del nostro detective-bibliofilo, trapiantato in Via Merulana. Finalmente sarà svelato il mistero del padre mai conosciuto a cui Vince indirizza cartoline nell’unico luogo che di sicuro aveva frequentato, almeno per una memorabile notte, ovvero il mitico Hotel Negresco.
Folgorante fin dall’incipit, la lettura di Perle ai porci (il titolo originale suona: God Bless You, Mr. Rosewater, or Pearls Before Swine) rende pienamente ragione a Umberto Eco che annoverava Kurt Vonnegut tra i suoi scrittori preferiti:
Uno dei protagonisti di questa storia, storia di uomini e donne, è una grossa somma di denaro, proprio come una grossa quantità di miele potrebbe essere, correttamente, uno dei protagonisti di una storia di api.
Ironico, dissacrante, politicamente scorretto, bizzarro, surreale, a metà strada fra America di Kafka e i racconti di Carver; uno stile veloce, tagliente; un lessico moderno e spiazzante. Se poi vi affezionate a questo autore, allora vi consigliamo Ghiaccio-nove, anche questo composto in una forma originalissima che sconcerta il lettore con la sua imprevedibile fantasia che scardina completamente gli schemi narrativi tradizionali. Strutturato a brevi capitoli sullo stile del Tristram Shandy di Sterne è un libro trasgressivo, esilarante fino al demenziale, davvero “uno dei tre migliori romanzi dell’anno scritto dal più grande scrittore vivente” come lo accolse Graham Greene nel 1963, anno della pubblicazione. Una potente satira della società contemporanea, che punta in particolare alla condanna della guerra, argomento quanto mai tristemente attuale.
Lo spaccone di Walter Tevis è un romanzo di formazione in cui il protagonista svolge il suo “apprendistato” (come lo definisce Fabio Stassi nella prefazione all’edizione minimum fax) nelle sale da biliardo dove sbarca il lunario spennando ‘polli’ grazie al suo non comune talento. Ma la conquista della consapevolezza comporta un prezzo molto alto: la coscienza del proprio valore si paga con la perdita della libertà. Un libro con i fiocchi che non poteva non ispirare un capolavoro come il film di Robert Rossen del 1961 con un Paul Newman perfettamente incarnato nella parte di Eddie Felson, The Fast, ‘lo svelto’. A voi il piacere di scoprire le differenze (che ci sono, e anche notevoli) tra il libro e il film. Newman rivestirà lo stesso ruolo nel 1986 come mentore del giovane Tom Cruise in Il colore dei soldi, per la regia di Scorsese, sempre dal sequel di Tevis.
Da La morte corre sul fiume di Davis Grubb è stato tratto nel 1955 per la regia di Charles Laughton un film talmente bello e originale proprio dal punto di vista tecnico da far rimpiangere che si tratti dell’unico exploit come regista da parte del celeberrimo attore britannico. Tratto da una drammatica storia vera, il romanzo si dispiega su più piani narrativi: il tema fiabesco, reso da Laughton con splendide immagini dello sfondo naturale notturno, il noir e la denuncia del fanatismo religioso. “La storia è qualcosa di più, se possibile, dei fatti che la compongono, è un’omelia nera, una lunga e cupa ballata atroce almeno quanto le filastrocche infantili che di tanto in tanto la interrompono, risuonando nel vuoto”.
Non è una storia dell’orrore, come il precedente Dracula, che tanta popolarità diede al suo creatore, Bram Stoker: Il gioiello dalle sette stelle è soprattutto un racconto d’avventura, i cui protagonisti, sorta di Indiana Jones tra le mummie, sono morbosamente infatuati dalla passione per la storia egizia. A metà tra il romanzo gotico di stampo ottocentesco e l’egittomania molto diffusa all’epoca, tanto da influenzare anche Conan Doyle e Poe, è un romanzo piacevole e adatto come lettura per le vacanze. Tra culto della reincarnazione, sarcofagi, ricerche archeologiche, luoghi affascinanti come il misterioso Egitto e la nebbiosa Londra, abbiamo anche la possibilità di scegliere tra due finali, perché il pubblico non gradì il primo e costrinse l’autore, pare, a riscriverne uno nuovo nella seconda edizione uscita nel 1912, anno della sua morte. In questa ristampa di ABEditore del 2022 sono presenti entrambe le varianti.
#luca d'andrea#francesco recami#marco polillo#gianni rodari#gino vignali#Georges Simenon#fabio stassi#kurt vonnegut#walter tevis#paul newman#martin scorsese#davis grubb#charles laughton#Robert Mitchum#bram stoker
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Aspesi Ideas
Photo : Robert Frank Assistant : Marianne Müller
Technical Assistant : Roberto Gecarelli
Graphic Design : Armando Chitolina Project : Soncini
Aspesi, 1997, 76 pagine, 24,4x30,5cm, ISBN 978-3039390380 Copertina rigida, fotografie in b/n e a colori, Edizione di 2000 esemplari. A few minor marks to the boards
euro 50,00
email if you want to buy [email protected]
Un aspetto meno noto di Robert Frank impegnato in questo volume nella realizzazione di immagini “commerciali” per conto del marchio italiano Aspesi
Shirts, New York 1989 - Jackets Mabou, Nova Scotia 1995 - Collages, Zurich 1997
A beautifully designed collection of Robert Frank's subtle advertising images for the Milan-based clothing firm, Aspesi.
The catalog called Ideas was published in 1999 and it combines three of the campaigns including one of collages made in 1997. Where as the others were not publicly available, this one had a much larger printing and seemed made for more public consumption as a Robert Frank item of interest beyond the fashion aim.
The first section "Shirts" features photographs of shirt designs from Aspesi in 1989. Photographed in Polaroid positive/negative in the streets around his home near the Bowery he catches the models in states somewhere between posing and spontaneous interaction. The blurry urban backdrop and rough Polaroid edges provides a nice moody atmosphere of fashion meeting lower east side reality.
The second section "Jackets" is a catalog of photographs of jackets offered from Aspesi's Fall/Winter line of 1995-96. This time around Robert has hauled everyone up to Mabou, Nova Scotia where jackets would be put to good use. Here he mixes the obvious models with locals and even June Leaf shows up in a few photos. Since much of Robert's "art" with the Polaroid has been done up in Mabou several elements within the landscape that he re-uses in these photos will be familiar. A local man in flannel jacket and trucker's cap holds up a piece of glass upon which Robert has etched the word 'Jackets' (scratched into the negative) while in the foreground the clothesline from his famous 'words' photograph now holds up jackets and not photographic prints blowing in the winter wind. In other photos he uses newspapers and people holding up found objects as props to infuse the pictures with the sense of an added beyond the clothing.
The third section "Collages" are the collages made in Zurich in which the featured products are light jackets. The collages include photographs in both black and white and color and other elements of film frames and scratched Polaroid negatives.
22/12/23
#Aspesi#Robert Frank#Shirts#Jackets#Collages#Armando Chitolina#fashion photography#fashion books#fashionbooksmilano
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