#fiera scozzese
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avvocatoreale · 1 year ago
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Torna Sara Boringhieri con le sue recensioni letterarie; per il mese di Novembre ha scelto un'atmosfera british: "La Signora in tweed" di Charles Exbrayat
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di Sara Boringhieri
“LA SIGNORA IN TWEED” di Charles Exbrayat
Londra, anni Cinquanta. L’Ammiragliato è un mondo di soli uomini, che indossano sobrie uniformi scure. Ma c’è una macchia di colore in quelle cupe stanze, una donna dalla folta chioma fulva che veste un caratteristico tailleur di tweed, corredato da una sciarpa tartan rossa e verde. Si chiama Imogene McCarthery. Da vent’anni lavora come dattilografa in quell’ambiente declinato al maschile, fiera e caparbia come le Highlands della sua lontana patria, la Scozia. Ad averle infuso tale sicurezza è stato il padre, che le ha raccontato la storia della sua terra raccomandandole di difenderla a ogni costo. Un giorno, finalmente, Imogene può mettere in pratica i suoi insegnamenti. Il suo capo, David Woolish, ha una missione per lei: dovrà recarsi a Callander, il paese in cui è nata, e consegnare dei documenti segreti a un funzionario del governo. Imogene non esita un secondo e sale sul treno con la busta sottobraccio, ma non sa che ci sono persone che vogliono approfittarsi della sua presunta ingenuità. Eppure, grazie a intuito, destrezza e un pizzico di fortuna, Imogene difenderà l’onore della croce di sant’Andrea, tornando a casa trionfante.
Imogene McCarthery rappresenta l’archetipo della “protagonista controversa”. È un personaggio che nel bene e nel male non lascia indifferenti, la sua presenza e la sua personalità sono ben delineate fin dalle prime pagine e permangono ben caratterizzate nel corso dell’intero romanzo.
Legatissima alle proprie origini scozzesi, non fa nulla per nascondere il suo attaccamento al proprio Paese natale. E’ una donna energica, determinata, schietta e sincera prima di tutto (non manda a dire alcunché) ma al contempo anche una protagonista che dà spazio alle emozioni e che nella sua determinazione è irruente e istintiva, ironica e irascibile: attraverso i suoi occhi e il suo particolare modo di agire, il lettore viene catapultato nell’Inghilterra e nella Scozia degli anni Cinquanta del secolo scorso con tutte le contraddizioni, i pregiudizi e le difficoltà dell’epoca e della società di quel momento storico.
Charles Exbrayat, francese d’origine, crea un personaggio femminile difficile da dimenticare: Imogene o la si ama o la si odia.
Le avventure di Imogene Mc Carthery (da cui nel 2010 è stata tratta anche una versione cinematografica che vede l’attrice Catherine Frot interpretare la beniamina scozzese) vengono pubblicate per la prima volta nella collana “Le Masque” tra il 1959 e il 1975,  mentre sono di recente pubblicazione nel resto del mondo.
“La signora in tweed” è la prima opera pubblicata in Italia nel 2023.
Degna di nota è la prefazione del libro a cura di Alice Basso, nota scrittrice che vive nel torinese e che presenta il romanzo incuriosendo il potenziale lettore.
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ilarywilson · 5 years ago
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Highlands Games -  Piana di Braemar - Scotland
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«Diciamo che ora incendiario e zucca è ufficialmente servito da qualche parte» evasiva. Lo sguardo a roteare nei dintorni prima di tornare con un piccolo broncetto su di lui. Un adorabile modo di esprimere la preoccupazione per quello che lui potrebbe dire adesso, non c`è che dire.
«Oh andiamo, hai paura che vada a mangiarmi lui invece della zucca sul menu? Non pare molto polposo» e un altro sorrisino sghembo viene sparato, nel lasciare intendere che anche senza essere Auror si può fare due più due, data la compagnia portata al processo. «Facciamo così, una mela per una notizia, ci stai?»
«Ovviamente no!» le guance gonfie, ormai rosse, appena imbronciata ma visibilmente tentata dal deal che lo scozzese mette sul tavolo e che gli fa guadagnare un`occhiata attenta e prolungata. Una mela per una notizia. «Ci sto» allungando persino una mano per siglare, solenne, l`accordo.
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[ Una sfida ad azzannare mele (caramellate?) coi denti, mani dietro la schiena e “occhio ai falli di lingua”, più tardi... ]
Gli angoli della bocca si curvano in alto, sempre più in alto, fino a dargli un sorriso da Stregatto, pungolando con un dito le guance rosse. 
«E' bello vederti felice» così, semplice e diretto, tanto per farla sprofondare nell'imbarazzo.
Gli occhioni appena più liquidi a sgranarsi, nell'apprendere dallo specchio che lui le offre come si sente. Classic Wilson. «Non sono felice!» protesta, ti pareva. A Seb hanno appena spezzato la bacchetta (peccato fosse quella sbagliata), sarebbe da insensibili! «Sono solo ragionevolmente tranquilla» gli eufemismi, quelli belli. 
«A sproposito» non sia mai lasciamo in pace Illy, oggi.  «Tra poco comincia la gara di ballo a cui ci ho iscritti» a sgamo, esattamente. «C'è un cesto strapieno come premio, quindi nessuna pietà per gli avversari». Si gareggia per partecipare e non per vincere, really?
«Sì, ho in mente qualcuna» anche se non può mostrare la stessa serenità di Illy nel parlare della sua qualcuna, perché si sa che si va cercando le situazioni difficili.
«Prima mangio la mia mela caramellata. Se sarai bravo la dividerò con te» solenne, il tentativo di fargli l'occhiolino, scegliendo di non tirare troppo la corda per scucirgli il nome. Piuttosto si limita ad assicurargli che «sono nata merciless» che fa un sacco ridere, mentre addenta il caramello croccante e si concede il sorriso spensierato di qualcuno di felice, in barba a tutto e tutti.  
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«E' bello vederti ridere» che vuole essere un po' un "altrettanto", come da tradizione, proferito quando meno se lo aspetta. A bocca piena, mentre lo segue verso la pista e gli sorride con uno sputacchio a colarle proprio lì, a lato del mento. Principesco.
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merrowloghain · 4 years ago
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03.01.77 - Allevamento di Abraxas McReady - Veranda
«Appena torno a scuola comincerà il torneo dei Duellanti. Sono un po` agitata a dire il vero.» sospira, provandosi subito i guanti prima di indicare la busta con il suo regalo, a terra, vicino a Robert «Aprilo, coraggio!» ed attenderebbe quindi con i suoi nuovi regalini alle mani e gli occhi carichi d`aspettativa. E solo se lo scozzese seguisse il suo dire, troverebbe dentro la borsa in pelle dal fiocco argento, quella che si rivela essere un`ampia coperta calda e morbidosissima, divisa in quadratoni grandi circa quindici centimetri per quindici. Il primo quadratone è ricamato in diversi colori a rappresentare una sorta di paesaggio bucolico in fiera sullo sfondo, mentre in primo piano ci sta la sagoma d`un porcellino dorato dentro la quale stanno due figure di spalle, rese con del filo nero, con varie borse in mano: un ragazzo ed una ragazza, a vederne bene i contorni. Il secondo quadratone invece ha ricamato sopra un tavolino con della burrobirra sopra, e dei tortini di carne apparentemente fumanti, il terzo quadratone invece ha il libro "L`albero degli Augurey", e sullo sfondo pare esserci qualcosa che ricorda un salottino dal camino bello acceso e dalle poltrone rosse. Gli altri quadratoni sono vuoti invece. Lei rimane ad osservare il volto dello scozzese, con un`espressione quasi di timorosa aspettativa «Sono tutto ciò che abbiamo vissuto assieme...fino ad ora. E questa giornata andrebbe immortalata su un altro quadrato» lo indica anche, il successivo «ma spetta a te decidere che ricordi nostri finiranno lì sopra. Così non ti dimenticherai che ti voglio bene, anche quando non ci sono. Che io sia al castello o altrove.» le labbra si premono un poco tra loro con fare nervosetto, nonostante lei rimanga apparentemente calma nella postura «L`ho fatta io...cioè.. ci ho messo un pochino, ma il Vèstis è un incantesimo versatile...» si stringe tra le spalle e poi tace. Che te ne pare?
«Ah davvero?», toh, guarda caso inizia il torneo dei Duellanti. Possibile che lo sapesse, possibile che stia solo mettendo su lo sguardo che sembra conoscere tante cose, molte di più della realtà. Ma poi la curiosità ha la meglio e con un po` di pazienza riesce a far spostare di qualche centimetro la testa del cane, per avere spazio non solo di aprire la borsa ma anche di dispiegare quella coperta. La apre con aria curiosa, dapprima, che poi muta in una sorpresa tale da fargli dischiudere anche la bocca. Indice e medio sfiorano i fili sui quadratoni tessuti, riportando alla memoria quei ricordi fino al libro che le ha regalato. Sembra persino dare l`impressione di non ascoltarla, tanto è assorto a guardare quei ricordi filati, immagina, in un bel po` di tempo. Alla fine dalle labbra dischiuse emerge un verso tenue, come un raschiare di gola secca che non è facile da identificare. Richiude la bocca, guarda distante, inclina la testa e solo alla fine guarda Merrow col petto che si solleva e il naso che insuffla forte l`aria. In realtà non la fa davvero finire di spiegare, perchè scosta un lembo della coperta con uno sventolio e allarga l`altro braccio, quasi in un comando, non fosse che in caso di ritardo sarà lui a spingersi in avanti per tirarla in quella stessa coperta e abbracciarla, avvolgendoli in ricordi felici che talvolta fa fatica a mettere insieme, di questi tempi.
«Grazie» a mezza voce dopo quell`aria che assume lui da papà castoro che ne sa una più di Morgana. Ed infine... la coperta. Lo osserva aprirla davanti a sè, e non si perde nemmeno una sfumatura di quell`espressione sorpresa, della sua bocca che si schiude, del modo in cui accarezza il tessuto e del suo essere assorto. C`è un secondo di dubbio in lei, quando lo Scozzese guarda altrove, ma è il suo tornare su di lei con lo sguardo, con il petto che si solleva ampio, a disciogliere ogni pensiero negativo come neve al sole. E no, non se lo fa ripetere, perchè appena l`altro allarga il braccio, lei s`alza disaccavallando le gambe ed avvicinandosi lesta a lui, forse non aspettando davvero altro. E` felice come un crup, ed a quell`abbraccio si scalda, sedendoglisi sulle gambe in mancanza d`altro sostegno, lasciando che lui li avvolga entrambi in una sensazione di felicità che così raramente riesce a provare a tali livelli. Gli getterebbe le braccia al collo, poggiando la tempia sinistra sul tricipite destro del McReady, come se fosse una bimba e volesse solo dormire, sussurrandogli piano piano qualcosa che passa quasi come un segreto, che invece non è «Buon anno nuovo, Robbie.» dolcissima, rimanendo così con lui per quanto tempo vorranno, perchè al momento, non c`è altro posto al mondo dove vorrebbe essere, se non sotto quella coperta con lui, che sente volerle bene incondizionatamente.
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opheliablackmoon · 3 years ago
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ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ  ㅤㅤ           ʟɪғᴇ ʙɪᴛᴇs  ❚  florence, it        new update  ﹫  opheliagrimaldi           h. 00.58, may 16th, 2022             ❪      🌑      ❫ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Silenzio accolse la venere scura quando varcò l'ingresso di quell'hotel così tanto sfarzoso che una parte di lei, seppur profonda, si sentiva quasi a disagio. Era, tuttavia, una forma di disagio che affondava le sue radici con il nome dell'hotel che aveva scelto, l'unico che avrebbe potuto scegliere in verità e che l'aveva accolta come la futura regina. Una futura regina, però, che non era altro che una principessa ribelle con il temperamento di una combattente. Era così che si vedeva, o almeno era così che pensava di vedersi, in totale contrasto con le parole dello scozzese che, ancora una volta, sibilavano nella di lei mente. Combattere, reagire, lottare con le unghie e con i denti, e perfino urlare erano comportamenti che avrebbe dovuto mettere in atto fin da subito, eppure non s'era forse adagiata nella autocommiserazione? Quanta verità vi era nelle parole dell'uomo? Pia illusione s'affacciò nella mente della monegasca quando giunse alla reception dell'hotel. Tappeti che attutivano il ticchettio delle sue scarpe, lampadari così luminosi che facevano così male agli occhi da doverli socchiudere, ed immagini riflesse che mostravano una principessa sazia di una cena che mai si sarebbe aspettata così sorprendente. Allegra per la sua nuova amicizia, beata della convinzione che forse non era stato poi così male volare in Italia, e coscia che da lì a poche ore tutto sarebbe ritornato alla quotidianità di sempre.   ᴄᴏɴᴄɪᴇʀɢᴇ  « Vostra Grazia? » Erano semplici quelle due parole, chiunque avrebbe potuto dirle per fermarla o anche solamente per salutarla, ma dal tono di voce che l'uomo le rivolse, era qualcosa di importante. Leggera come una libellula, ella si voltò, a pochi passi dall'ascensore che l'avrebbe portata nella sua suite imperiale, così simile a quelle che aveva visto a New York. Un debole sorriso fu quello che si aprì sulle labbra scure, su quel volto che portava i lineamenti regali ad un altro livello.   ᴄᴏɴᴄɪᴇʀɢᴇ  « Mi dispiace averla bloccata, Vostra Grazia. Spero che la sua serata sia andata bene e che il suo soggiorno qui al St. Regis sia stato di suo gradimento. »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « E' stato tutto perfetto, siete stati tutti molto accoglienti. » Aveva rivelato un sorriso più ampio per quel comportamento così educato che l'uomo le aveva rivolto. L'accoglienza italiana, il calore che traspariva dalle loro parole, dai loro gesti era qualcosa che aveva sempre affascinato la donna, fin dall'infanzia quando desiderava così tanto oltrepassare il confine. In fondo, quanti chilometri la dividevano dalla terra italiana?   ᴄᴏɴᴄɪᴇʀɢᴇ  « E' arrivato qualcosa per lei. »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Per me? »   ᴄᴏɴᴄɪᴇʀɢᴇ  « Il corriere ha detto che avrei dovuto lasciarlo solamente a lei in persona, e che le istruzioni fornite erano state piuttosto chiare. »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Aaron... » Mormorò tra sé immaginando il tono maschile, così deciso, così perentorio, e quel suo temperamento dominante che metteva in atto con chiunque venisse a contatto con lui. Era impossibile non drizzare la schiena quando lo scozzese parlava, ma quando si trattava di lavoro o di qualche suo sottoposto, chissà come, era impossibile non notare come tutti si affrettassero per compiacerlo.   ᴄᴏɴᴄɪᴇʀɢᴇ  « Come dice? »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Nulla, non si preoccupi. Va bene, grazie mille. Li porto direttamente nelle mie stanze, grazie. » Le passò l'immensa scatola bianca, il coperchio che ancora le nascondeva il dono che era certa contenesse con quella leggerezza che quasi stonava. Poteva essere una scatola così ingombrante ma al tempo stesso così leggera? Congedò il concierge, il sorriso che gli rivolse gli fece imporporare maggiormente le gote, con quel suo atteggiamento regale che la portò lentamente verso l'ascensore. Era stanca, sfinita dopo quelle quarantotto ore in giro per la città, ma era fiera di come il dialogo con lo scozzese si stesse lentamente evolvendo. Non mancavano le discussioni, sempre più accese certo, ma vi erano momenti in cui sia l'uno che l'altra porgevano l'altra guancia con qualche regalo o semplicemente nell'esserci. Il bip dell'ascensore la portò direttamente nella suite che l'aveva accolta come una principessa, il giorno precedente, il letto immenso era coperto dal cotone più raffinato, gli inserti oro e blu erano i migliori che avesse mai trovato in un albergo, e solamente quando si sedette sul lato sinistro del letto, si concesse un bel respiro e un sorriso per il gesto inaspettato. Era un sorriso sincero quello che aleggiava sulle labbra della dea corvina quando aprì la scatola, e come era sbocciato per il pensiero del mittente che ancora una vola la colse di sorpresa, così il sorriso morì quando lo sguardo si posò sull'interno della scatola. Un'espressione di disgusto, di paura, ma anche di profondo rancore si annidò nell'anima della venere che osservava ciò che rimaneva dei peggiori fiori morti che potesse vedere. Gambi spezzati, boccioli di rosa appassiti e così tanto scuri da fa venire i brividi, ma era la sensazione che ne scaturì a farle allontanare la scatola con un moto di stizza. Così giovane e così ingenua, così dannatamente candida da credere che l'uomo che avrebbe dovuto sposare potesse porgere l'altra guancia in uno scontro con lei. E perché, poi? Perché quel regalo così angusto, così macabro da farle rimettere in discussione tutte le decisioni che aveva preso fino a quel momento? Era certa che avrebbe sbagliato ancora e ancora, in fondo era nella sua natura, ma quello scherzo era così di cattivo gusto che difficilmente avrebbe trovato una sorta di perdono. Solamente quando vide alcuni petali muoversi, mostrando un segno di vita che proveniva da esseri così viscidi, così minuscoli e striscianti, che avrebbero animato i suoi peggior incubi, ella si concesse un urlo che rimbombò nel cuore della notte.
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tmnotizie · 5 years ago
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PIOBBICO – Una sagra antichissima, caratterizzata da un salto nella tradizione gastronomica popolare, condita con una festa divertente, associata a un momento musicale imperdibile.E cco servita la ricetta per il ‘Polentone‘ o meglio per la Sagra nazionale del polentone alla carbonara, che animerà il borgo di Piobbico (PU) sabato 31 agosto e domenica 1 settembre 2019.
Due giorni all’insegna di una tradizione lunga cinque secoli, rispettando l’antica usanza della cottura lenta della polenta nel paiolo di rame, posto sul fuoco, con la legna che arde sotto.
A Piobbico è tradizione che la polenta venga tirata rigorosamente a mano con un bastone di legno. Poi questa viene tagliata a fette e condita con un sugo dalla ricetta particolare che, ogni anno, attira curiosi che cercano di carpirne l’ingrediente segreto: il fungo sufrangolo, ingrediente non in commercio, reperibile esclusivamente nei boschi intorno al Monte Nerone.
MODENA CITY RAMBLERS – A rendere ancora più succulenta la proposta gastronomica domenica 1 settembre a Piobbico, a partire dalle ore 17, in piazza S. Antonio, l’esibizione dei Modena City Ramblers, storico gruppo musicale italiano, nato nel 1991 dall’amore per il folk irlandese, che utilizza brani strumentali della tradizione irlandese, scozzese, celtica, balcanica, italiana. I Modena City Ramblers si esibiranno all’interno del punk e folk acoustic tour ‘Riaccolti’.
Ad aprire la loro performance sarà il gruppo folk Ultimo Binario, band marchigiana che, da nove anni, suona in giro per l’Italia, proponendo principalmente musica propria.
FESTIVAL DEI BRUTTI – Folklore, goliardia, degustazioni, buon cibo, musica e spettacoli saranno gli ingredienti principali del weekend di Piobbico, durante il quale si rinnova l’appuntamento col tradizionale ‘Festival dei Brutti’, che ha il suo fulcro organizzatore nel Club dei Brutti, fondato nel lontano 1879, con lo scopo di trovare marito alle giovani piobbichesi.
Col passare del tempo, il club ha cambiato obiettivo al grido di “La bruttezza è una virtù, la bellezza schiavitù”. In occasione della festa verrà decretato anche quest’anno il presidente mondiale del Club dei Brutti, titolo al momento detenuto da Giannino ‘La belva’ Aluigi.
PROGRAMMA – Sabato 31 agosto si parte alle 18.30 in piazza S. Antonio con l’apertura della sede del Club dei Brutti, tesseramento dei nuovi soci e inizio della campagna elettorale, mentre alle 19 è prevista l’apertura della Cantina della piazza, che decreta l’inizio dei festeggiamenti pre-polentone, con menu tipico e buona musica e danze, in compagnia della Alex Lunardi Band (menu e spettacolo 20 €, prenotazioni 339/6514753 o 339/7788687).
Domenica 1 settembre dalle ore 9 in viale dei Caduti l’apertura della Fiera della Natività, mentre alle 11 e alle 16 sono in programma della visite guidate al castello Brancaleoni (per prenotazioni 333/3886193). La sagra nazionale prenderà il via ufficialmente alle ore 11 nel borgo storico, in piazza S. Antonio e in viale Marconi con l’apertura degli stand gastronomici. Alle ore 15 in piazza lo show comico dei 7 Cervelli, esilarante duo umbro.
Alle ore 16 in via S. Maria e in via Roma il corteo festante targato Club mondiale dei brutti sfilerà per il centro di Piobbico, accompagnato dal CurvyPride e dalla Large Street Band.
Intorno alle 16.15 partirà l’esibizione della folk band Ultimo Binario, alla quale seguirà quella dei Modena City Ramblers, che alle 18.15 assisteranno alla proclamazione del presidente mondiale del Club dei Brutti e al conferimento del premio No-Bel.
Alle 20 sempre in piazza S. Antonio l’orchestra Mangani si esibirà in concerto, in attesa dello spettacolo pirotecnico che prenderà il via alle 22 e chiuderà due giorni all’insegna del folklore e del gusto.
Per maggiori informazioni: pagina Facebook Pro loco Piobbico
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sauolasa · 7 years ago
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Una partita a golf per Trump in Scozia ma Edimburgo è contro di lui
Neanche la premier scozzese Nicole Sturgeon, grande sua detrattrice nonchè fiera antagonista di Brexit, ha voluto incontrarlo. Così il presidente USA si è dedicato al golf nel suo resort scozzese in attesa di incontrare Putin lunedì ad Helsinki
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renzanandsinghramananda · 7 years ago
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Consumiamo troppe troppe troppe cannucce di plastica!
In discarica ci vogliono 500 anni per smaltirle. Proprio da Londra è partita una campagna per metterle al bando e chiedere ai produttori alternative più sostenibili per l’ambiente. In Italia la campagna è portata avanti da Marevivo.
“La plastica usa e getta negli ultimi anni ci ha invaso, è ovunque, è entrata a far parte della nostra vita quotidiana. Si è trasformata in un mostro invisibile – spiega Rosalba Giugni, presidente di Marevivo – e non ci siamo resi conto dei danni devastanti che stava causando alla fauna marina e al suo habitat. Le cannucce entrano nelle narici delle tartarughe e nell’esofago degli animali. Abbiamo così deciso di lanciare questa campagna perché le abitudini dell’uomo non possono sempre avere ripercussioni sugli animali e l’ambiente, soprattutto quando esistono valide alternative per evitarle”. Scrive l’AdnKronos: “Già nel Regno Unito tantissime catene di pub, bar e ristoranti hanno rinunciato alla cannucce tradizionali in plastica preferendo quelle ecologiche. Marriott International, l’aeroporto di London City, Eurostar sono tra le ultime aziende che hanno aderito. E per volere della Regina Elisabetta, le cannucce in plastica saranno bandite dalle proprietà reali, nei ristoratori interni di Buckingham Palace, del Castello di Windsor e del Palazzo di Holyroodhouse. Lo stesso nei caffè, bar e mensa del Parlamento scozzese e anche il Museo di storia naturale di Londra ha deciso di eliminarne l’uso.”
Una possibile soluzione: le cannucce biodegradabili e commestibili Alla fiera “Fa la cosa giusta Umbria 2017” abbiamo conosciuto Sorbos, azienda italiana che ha inventato la prima cannuccia 100% biodegradabile e commestibile del mondo. E’ fatta con zucchero glassato (solo 23 calorie), amido di mais e acqua, mantiene la sua rigidità all’interno della bevanda per circa 40 minuti. Disponibile in 7 diversi aromi. Ed è buonissima!
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gameofthronesitaly · 7 years ago
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[LO SPIEGONE] Jorah Mormont: il cavaliere esiliato tra libri e serie tv
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Ser Jorah Mormont, erede dell’Isola dell’Orso, è un personaggio su cui ben pochi avrebbero scommesso, probabilmente, sia nei libri, sia nella serie TV.
Invece si è rivelato multisfaccettato come tanti personaggi di Martin, costretto a prendere decisioni difficili e spesso opinabili, e in altre circostanze rivelandosi invece un alleato affidabile e un vero eroe, nel senso più lato e “classico” del termine.
Proviamo a conoscerlo meglio, facendo un po’ di luce su cosa la saga cartacea e quella televisiva hanno messo in evidenza di Jorah l’Andalo.
Partiamo anzitutto dal suo passato, ovvero da quanto gli è capitato prima dell’inizio della storia.
In questo frangente ci viene in soccorso A Wiki of Ice and Fire.
“Quando Jorah diventa un uomo, suo padre Jeor Mormont si unisce ai Guardiani della Notte, al fine di lasciare al figlio l’eredità della Casa Mormont. Jorah combatte nella Ribellione dei Greyjoy, durante la quale si distingue, mostrando coraggio esemplare sul campo di battaglia. Jorah è infatti uno dei primi uomini ad attraversare le mura di Pyke, capitale delle Isole di Ferro, posta sotto assedio e per il suo coraggio, riceve il cavalierato.
A differenza del successo della sua carriera militare, Jorah è stato però sfortunato in amore.
Il suo primo matrimonio è afflitto dall’infertilità. Sua moglie, una Lady della Casa Glover, in dieci anni subisce tre aborti, l’ultimo dei quali le è fatale. Durante il torneo a Lannisport, per celebrare la vittoria sui ribelli Greyjoy, egli conosce la donna che sarebbe diventata poi la sua seconda moglie: Lynesse Hightower. Gli Hightower sono i Lord di Vecchia Città. Tra loro era celebre Lord Gerold Hightower, detto “Il Toro Bianco”, talentuoso spadaccino tra i fedelissimi di Rhaegar Targaryen. Lo troviamo infatti a difendere la Torre della Gioia assieme ad Oswel Whent ed all’ancora più celebre Arthur Dayne “Spada dell’Alba”, quando Ned Stark e i suoi arrivano in cerca di Lyanna (e di guai).
Tornando a Jorah: egli è immediatamente colpito dalla bellezza di Lynesse, tanto che chiede ed ottiene il suo favore durante il torneo.
Jorah combatte molto bene, conquistando un’improbabile vittoria su tutti gli sfidanti e nomina Lynesse sua Regina d’Amore e di Bellezza, com’era costume fare. Quella stessa notte chiede al padre di Lynesse, Lord Leyton, di poterla sposare e il Lord acconsente. Anche se entrambi si sposano per amore, il loro matrimonio diventa presto infelice. Dopo aver passato la maggior parte dei suoi anni tra gli sfarzi e la vita prospera della sua famiglia, nel densamente popolato Altopiano, Lynesse è impreparata alla vita aspra e per nulla mondana dell’Isola dell’Orso. E così, rapidamente, cresce la sua infelicità. Jorah tenta vanamente di farla felice, cercando di riprodurre lo stile di vita della moglie attraverso regali costosi, ma finisce solo col rovinare le proprie finanze.
Nel disperato tentativo di pagare i suoi debiti va contro uno dei più antichi divieti presenti nei Sette Regni: vende degli schiavi.
Quando Eddard Stark viene a sapere che egli ha venduto schiavi ad un Tyroshi, lo condanna alla pena di morte, ma quando Eddard giunge sull’Isola dell’Orso per giustiziarlo, scopre che Jorah è già fuggito. Invece di raggiungere il padre e prendere il nero, Jorah va con Lynesse a Lys, dove tenta di vivere come un mercenario. Con il rapporto già teso dal loro esilio e Jorah che non è ancora in grado di permettersi lo stile di vita che la moglie desidera, e mentre Jorah combatte i Braavosiani sul Rhoyne, scopre che Lynesse ha un amante. Quando torna a Lys, l’amante di sua moglie gli dice che sarebbe stato fatto schiavo per i suoi debiti se non avesse rinunciato a lei e lasciato la città. Con il cuore spezzato, esiliato dalla sua patria, Jorah si reca a Volantis, dove rimane fino alla fine dell’anno. Nelle Città Libere continua a lavorare come mercenario non affiliato, vendendo la sua spada al miglior offerente.”
Infine giunge al matrimonio di Daenerys Targaryen e Khal Drogo a Pentos, Viserys Targaryen prende Ser Jorah al suo servizio. Sperando di guadagnare un perdono reale, Jorah riferisce segretamente i movimenti di tutti i Targaryen a Varys. E poi sappiamo tutti com’è andata avanti…
Ma vediamo quali sono le differenze tra il Cavaliere Esiliato dei libri e quello della serie tv.
1- Tali differenze anzitutto riguardano l’aspetto fisico del personaggio.
Il Jorah dei libri è “un grosso uomo di mezza età, ha la carnagione scura ed è molto villoso. I suoi capelli iniziano a cadere, ma è ancora un uomo forte (“fit”) e in salute. Daenerys non lo considera particolarmente bello. (Wiki)”. Ne possiamo avere un’idea tramite questo disegno di Caroline Hirbec.
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Artwork di Grimhel
  E la HBO invece ci ha regalato il fascinoso scozzese Iain Glen: un metro e ottantacinque di occhi chiari e voce profonda. Non che ci si lamenti della scelta, invero. Naturalmente le esigenze “estetiche” di scena hanno avuto la loro parte nella scelta. Ma, nela serie, questo non è l’unico caso di attore avvenente scelto per un ruolo che di partenza avrebbe indicato il contrario. Ad ogni modo, aspetto piacevole a parte, Glen si è dimostrato perfettamente all’altezza della situazione dal punto di vista recitativo.
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2- Il secondo elemento che dobbiamo considerare è la famiglia da cui proviene.
Nella serie noi conosciamo l’eroico padre di Jorah, Jeor Mormont, amato Comandante dei Guardiani della Notte, e la cugina, la fiera Lyanna Mormont, una ragazzina non più che dodicenne o tredicenne inaspettato capo della famiglia con gli attributi del caso.
Nei libri la presenza di Jeor è massiccia forse più che nella serie. Lyanna è, invece, solo una scritta su una pergamenta inneggiante al Re del Nord. Null’altro sappiamo di lei. Conosciamo invece la sorella di Jeor, Maege Mormont, che segue Robb Stark nelle sue spedizioni. Nonché la figlia di Maege, Dacey Mormont, sorella maggiore di Lyanna, che balla (e purtroppo muore) con lui alle Nozze Rosse e probabilmente ne è anche invaghita. Sia Maege, sia Dacey sono guerriere, com’è consuetudine nella stirpe dell’Isola dell’Orso.
3- Il terzo elemento da considerare è, naturalmente, la storia e le vicende di cui il nostro cavaliere è protagonista.
Come sappiamo la progressione della serie tv è ben oltre la storia dei libri. Pertanto non possiamo essere certi che quanto accaduto nella sesta e settima stagione non debba accadere negli ultimi due tomi delle Cronache che attendiamo (da anni).
Ma, al momento, possiamo affermare anzitutto che ci sono delle differenze nel rapporto tra Jorah e Daenerys.
Il loro legame nasce dall’inizio e prosegue sia che lui sia presente al suo fianco, sia dopo che viene esiliato quando Dany scopre il suo tradimento iniziale. Ma se nei libri Daenerys condivide un momento di intimità con Jorah, pur pentendosene subito dopo, e si chiede ad un certo punto se non le convenga sposare sia lui sia Daario Naharis, nella serie tv il loro rapporto non si evolve mai dal punto di vista sensuale. D’altro canto Jorah nei libri appare in generale più fastidioso e appiccicoso, a volte. Meno piacevole, spesso per gelosia. La scena in cui viene scacciato lo vede gestire la cosa malissimo nei confronti di una Daenerys che inizia la discussione con l’intenzione di perdonarlo e riaccoglierlo. Jorah infatti pone l’accento su quanto Dany dovrebbe perdonarlo per la fedeltà e l’amore che le ha dimostrato negli anni. Fa anche leva sul fatto che ha smesso di vendere informazioni a Westeros una volta accortosi di essersi innamorato di lei.
Nella serie TV Jorah sembra in generale meno possessivo.
Sintomatico anche il fatto che non mostri acredine nei riguardi di Jon anche quando capisce che Daenerys è attratta da lui. Ci sono alcuni che addirittura sostengono che ci sia del valore simbolico dietro al gesto di Jorah di lasciare a Jon Lungo Artiglio (la spada di Valyria dei Mormont che Jeor aveva regalato a Jon tempo addietro). Un “passaggio del testimone”, si sostiene, per l’amore della regina Targaryen.
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Nei libri Jorah e Daenerys non si sono ancora ritrovati. In compenso, Jorah ha trovato Tyrion e insieme si sono recati da Daenerys.
Inoltre, nei libri non è Jorah a contrarre il morbo grigio (per quel che sappiamo potrebbe non ancora averlo contratto, ma le vicende che lo portano alla malattia non si verificano), che invece è caratteristica di un altro personaggio non esistente nella serie. Si tratta di Jon Connington, fedelissimo di Raeghar, con un ruolo che non riveleremo qui perché potrebbe essere spoiler per chi non ha letto i libri.
Nei libri Jorah non è con Daenerys quando Drogon la porta via dalle Fosse di Combattimento. Ed è lì che siamo rimasti: a lei che, allo stremo delle forze, viene ritrovata da un khalazar. Di tutto ciò che potrebbe accadere non sappiamo nulla.
Ma, insomma, speriamo di saperlo presto.
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Fonte: Wiki
Immagini di copertina: Jorah/libri by Caroline Hirbec e Jorah/TV by Liu Yan. Composizione: Aranel&ILa Editing: Aranel/Mariacristina M.
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cosplayhubit-blog · 8 years ago
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Lorna Mary Ciani: "Amo i personaggi secondari" published on Cosplay Hub
Lorna Mary Ciani: "Amo i personaggi secondari"
Scheda cosplayer
Nome: Lorna Mary Ciani Nazionalità: Italiana Cosplayer dal: 2006
Vai alla pagina Instagram di Lorna
Italo-britannica, Lorna Mary Ciani studia Interpretariato e Traduzione e vive a Roma. Si racconta così: 
“Nella vita non faccio granché a parte studiare, lavorare e mangiare dolci, e il poco tempo libero che prima dedicavo allo sport e al disegno da un paio d’anni lo dedico al cosplay.”
Non è sicuramente una cosplay “social”. Non ha una pagina dedicata al cosplay e pubblica pochi contenuti riguardanti il suo hobby. Chi ha avuto la fortuna di incontrarla in fiera ha sicuramente apprezzato la qualità dei suoi costumi, la cura dell’interpretazione e lo stile, elegante e sofisticato, davanti all’obiettivo. Chi invece ha avuto modo di scambiarci due parole in uno dei gruppi dedicati al cosplay su Facebook sa anche che Lorna è una ragazza che parla chiaro. Due aspetti per cui abbiamo voluto conoscere il suo punto di vista sul cosplay.
Quando (e perché) hai iniziato a fare cosplay?
Il mio primissimo cosplay risale al 2006, dopodiché lasciai perdere fino al 2013, quando ripresi a frequentare saltuariamente il Romics. Solo di recente ho deciso di dedicarmi al cosplay con più impegno. Per me è un’alternativa al disegno: mi è sempre piaciuto disegnare i miei personaggi preferiti, e il cosplay mi da la possibilità di dar loro vita in un modo nuovo.
Non pubblichi molte foto dei tuoi cosplay.
Vero! Pensandoci, non ho nemmeno una mia pagina Facebook… e non metto quasi mai mie foto sui vari gruppi cosplay. Credo sia un misto di pigrizia e di complessi sul mio aspetto che mi porta a farmi i fatti miei. Però a mia discolpa ogni tanto capita che condivida le mie foto in qualche gruppo per chiedere consiglio o per scherzare con gli altri iscritti… ancora non sono del tutto asociale! Ma forse dovrei impegnarmi di più a inserirmi, anche perché si conoscono un sacco di persone simpatiche.
Con qualche rarissima eccezione, interpreti spesso personaggi “minori”. È una casualità o ti piace prendere “strade meno battute”?
Ci riflettevo di recente. Interpreto i miei personaggi preferiti, ed effettivamente non è una casualità che mi piacciano sempre personaggi secondari, lasciano molto più spazio all’immaginazione rispetto ai personaggi principali! C’entra anche il fatto che non mi piace vedere sempre gli stessi personaggi in fiera, anche se credo che ognuno sia libero di realizzare il cosplay che preferisce. Ma quando mi capita di incontrare cosplay di personaggi secondari impazzisco di felicità: ogni serie è piena di fantastici personaggi che nessuno ricorda o interpreta, riuscire a vederli in carne e ossa è un privilegio per me! Spero di dare le stesse emozioni ai pochi che in fiera riconoscono i miei personaggi.
Lorna interpreta Andrea Beaumont, il Fantasma del film Batman: la maschera del fantasma
Qual è il tuo cosplay più riuscito o quello a cui sei maggiormente legata?
In entrambe i casi è Anko Mitarashi di Naruto. Complice la scarsità epocale di cosplayer che interpretano Anko, anche i selfie allo specchio nei suoi panni attirano molta più attenzione su Instagram di qualsiasi altro mio cosplay completo e ben fotografato (triste ma vero!). È anche il mio personaggio preferito in assoluto, quindi portarla è veramente una gioia – sorvolando sul fatto che il coprifronte mi fa venire il mal di testa, le scarpe mi distruggono i piedi e la tuta a rete mi crea un sacco di problemi. Ma si sopporta tutto. Il divertimento si paga anche così.
Hai interpretato un original “Mamma Romics” e Darth Talon, entrambi in body painting. Quanto tempo richiede la preparazione di un cosplay del genere?
Per quanto possa essere estenuante mi diverte molto prestarmi al body painting. Non contando la pianificazione del colore e la realizzazione di eventuali accessori, sempre a opera di Stefania Raneri e Michele Santini di BOOM Makeup, solamente la colorazione impiega sulle 5-6 ore. Ma non mi pesano, la compagnia di Stefania e Michele è ottima e il risultato delle loro fatiche è sempre fantastico! Con Darth Talon le ore sono passate in un baleno. All’edizione precedente con Mamma Romics invece faceva molto più freddo e tirava vento: tremavo come un agnellino e il tempo sembrava scorrere a rilento. Qualche giorno dopo mi venne anche un raffreddore tremendo. Come ho già detto… il divertimento si paga.
Darth Talon da Star Wars nelle foto di Annalisa Cicchetti (sinistra) e Lorenzo Giorgieri
Crei da sola i tuoi cosplay o li commissioni?
Dipende, a volte li faccio da me, ma il più delle volte ne commissiono una parte. Con le parrucche me la cavo, col sartoriale non molto e comunque mi tocca fare tutto a mano, quindi anche quello che creo da me mi ruba tantissimo tempo. Per gli abiti oltre le mie capacità mi rivolgo alle mie sarte e cosmakers di fiducia, Periwinkle Corner e Bias Dreams – anzi, mi spiace non essere ricca per poterle finanziare a tempo pieno, amo i loro lavori.
Per il mio ultimo compleanno sono arrivata a regalarmi un cosplay firmato Piece of Cake. Non avevo mai commissionato un cosplay completo, in realtà quasi mi sento in colpa… ma non sono neanche lontanamente pentita.
La comunità dei cosplayer sembra più vibrante che mai. Quali sono i cambiamenti che hai notato in questi ultimi anni?
Il livello dei costumi è aumentato vertiginosamente. Alle due fiere che mi capitò di frequentare anni e anni fa i cosplay notevoli si contavano sulle dita di una mano. Adesso mi sembra quasi più difficile trovare cosplay fatti male che fatti bene! Allo stesso tempo, però, credo sia diventato più difficile inserirsi per i cosplayer esordienti. Dieci anni fa quasi tutti avevano costumi mediocri, non ci si faceva nemmeno caso.
Cosa ti piace di meno?
L’aria di competizione e di gara all’ultimo like che si respira sia in fiera che online, e il veleno che genera la competizione.
Bulma da Dragon Ball. Foto di Simone Greco
Molte cosplayer si sono affacciate su Patreon, Twitch e simili. Credi che il cosplay possa davvero diventare un lavoro?
Certo, come ogni altra cosa! Se si hanno l’interesse e le capacità, e anche la fortuna di riuscirci. Naturalmente credo che solo in pochi riusciranno davvero a rendere il loro hobby un lavoro, ma non biasimo chi ci prova.
Bullismo nel cosplay. Ti è mai successo? Esiste davvero o è semplicemente un’estensione di un fenomeno più generale?
Fortunatamente mi è capitato in un’unica occasione, un simpaticone che mi vide in fiera e mi cercò poi sui social esclusivamente per insultarmi. Ma il bullismo è un fenomeno pervasivo nella comunità cosplay, e di solito è a opera di altri cosplayer. Per definizione i cosplayer sono persone che almeno un minimo si mettono in mostra, e questo può generare reazioni negative anche nei nostri stessi ‘colleghi’. Si può essere presi di mira se si è troppo magri, troppo grassi, troppo scollate, non abbastanza belli per il personaggio, quando si porta una versione semi-originale, quando il costume non è fatto bene o è stato commissionato, la lista è infinita. Ormai è facile venire attaccati persino per la semplice scelta del personaggio. Poi che sia un’estensione di un fenomeno generale probabilmente è vero, ma essendo la nostra comunità abbastanza ristretta si avverte con più facilità.
Ti ispiri a qualche cosplayer in particolare?
No, sono molto “fuori dal giro”. Non seguo e non credo di avere nemmeno presente i cosplayer più bravi o più famosi o più belli, quelli più popolari che molti imitano. Ecco, ho presente Jessica Nigri, sento dire che molte si ispirano al suo stile. Personalmente non prendo ispirazione da nessuno e seguo esclusivamente chi interpreta personaggi che amo, anche se si tratta di cosplayer alle prime armi.
Ora, la fotografia. Che genere di fotografia cosplay preferisci? Sei per il realismo o per la post-produzione pesante?
Credo che la post-produzione ci voglia, sia per eliminare i difettucci che abbiamo tutti sia per rendere il cosplayer più simile possibile al personaggio che interpreta, anche se, come per tutte le cose, il troppo storpia. Dobbiamo pur sembrare persone, non bamboline! Anche gli sfondi a volte meriterebbero un upgrade, soprattutto se le foto sono state scattate in fiera con background poco adatti al personaggio.
Kagura da Inuyasha. Foto di Carlo Franchi (sinistra e foto di copertina) e Sara Poli
Quale sarà la prossima fiera a cui parteciperai?
Grazie a una mia amica che si è offerta di ospitarmi per un paio di giorni -cosa farei senza le amiche cosplayer- potrei riuscire a presenziare al mio primo Rimini Comix. Anche se sono un po’ in ansia, soffro molto il caldo e al sole mi brucio subito, non sono certa sia la fiera ideale per una scozzese!
Stai lavorando a un nuovo progetto?
Errr… infinite versioni di Anko Mitarashi! Per l’anno prossimo invece sto valutando Eskara/Mars di Ultimate Muscle, Ravager dei Teen Titans e Ahmanet del nuovo film La Mummia. Il prossimo cosplay che porterò però sarà quello commissionato dai Piece of Cake della nuova protagonista di Star Wars, Rey.
Anko da Naruto nelle foto di Martina Brui (sinistra) e Carlo Caputo
Quali sono i tuoi interessi oltre al cosplay?
Il disegno, ma da circa un anno non ho più tempo da dedicarci. Il cosplay ha preso del tutto il sopravvento, e di tempo libero non ne ho molto!
Quali sono le tue serie preferite?
Prediligo gli shonen come Naruto, Shaman King, Megaman, Kinnikuman, Inuyasha, Detective Conan… anche se ogni tanto ci scappa qualche shojo, ad esempio Rossana e Tokyo MewMew.
Un consiglio per chi si affaccia su questo mondo per la prima volta?
Molto banalmente, il mondo del cosplay è come ogni altro ambito della vita, c’è del bello e del brutto. Fatevi coraggio e non rinunciate alle prime critiche che ricevete.
La foto in copertina è di Damiano Coraci
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diotifaboca-blog · 8 years ago
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State entrando a ̶L̶o̶n̶d̶o̶n̶derry.. 'Adesso stammi bene a sentire piccolo patetico e schifoso tossico di quartiere. Ho deciso di darti due giorni, due fottuti giorni del cazzo per prendere le tue poche cose che possiedi è che non hai ancora barattato per una qualche squallida dose di eroina, alzare il tuo scheletrico culo pieno di buchi da quel letto infestato di scarafaggi e ricordi delle tue seghe adolescenziali, prendere un treno, un traghetto, un cane volante del cazzo di nome Falkor magari insieme al tuo amichetto Atreiu oppure qualunque altra minima cosa il tuo misero e patetico portafoglio di pelle sia in grado di permettersi, e raggiungerci qua, su questa isola. In questa terra onirica, verde magnifica dove finalmente riescono ad esaltare la mia infinita bellezza. La mia grandezza. Dove finalmente non sono costretto a scatenare miserabili risse da saloon o tirare bicchierate dai soppalchi traballanti di Edimburgo per dimostrare la mia supremazia, la mia leadership innata e indiscussa un po' come se fossi la reincarnazione di Marlon Brando. Lo capiscono al volo questi, mica sono stupidi come noi scozzesi. Come quei cretini degli inglesi. Qua, dove finalmente le donne hanno capito chi sia l'unico stallone britannico che valga la pena di essere cavalcato dai tempi di William Wallace ad oggi. Adesso capisci piccolo coglioncello? Ecco, allora cerca di muoverti cazzetto moscio, fare il pieno di wiskhy e contanti e catapultarti il più velocemente possibile qui da noi, altrimenti, io, il grande e supremo Francis Begbie da Leith, giuro su quello che ho di più caro a mondo, non mia madre ma lo scotch con ghiaccio, che ti affetterò non appena il mio coltello incontrerà la tua moribonda carcassa sulla sua strada. E come se lo farò maledetto tossico del cazzo, fosse l'ultima cosa che faccio su questa sudicia terra'. Fine. Questa era la telefonata d'amore che io, Mark Renton, un tranquillo e pacifico venticinquenne tossicodipendente di Edimburgo, ricevetti nel bel mezzo della notte da chissà quale cabina telefonica sperduta in chissà qualche angolo buio della Gran Bretagna da uno dei miei migliori amici, pensate un po'. Che rapporto. Ripensandoci bene, due giorni dopo, mentre cercavo disperatamente di arrivare in tempo a quell'appuntamento che valeva molto di più che un'amicizia in gioco, beh ecco, ripensandoci bene credo che in fondo in fondo quella sottospecie di telefonata minatoria e piena di 'cazzi' 'stronzo' altro non era che il modo con cui quel pazzo di Begbie dimostrava il suo affetto ai propri amici. Un po' strano, ma in fondo originale. Era così il buon Francis. Prendere o lasciare. Non ci si annoiava mai con Begbie. Neanche alla messa di mezzanotte il giorno di Natale. Avrebbe trovato il modo di movimentarla. Renderla indimenticabile. Dannatamente unica, magari pisciando nell'acqua santa come fece all'età di diciannove anni, oppure sostituendo il vino da messa travasando nella bottiglia sacra un'intera boccia di Jameson irlandese del 1986 che suo padre custodiva come una reliquia sottochiave nell'armadietto dei liquori e che degustava giusto una volta l'anno, a piccolissimi sorsi, per il giorno di Pasqua. No. Non ci si annoiava mai con Begbie. Più guardavo fuori il finestrino di quel carretto che doveva in realtà essere un pullman che da Belfast si inoltrava giù per la brughiera nordirlandese dove perfino il cielo che non si trova in Irlanda del Nord è geloso per non poter startene sopra quell'immensa distesa magnifica, fino a portarmi lá, lontano, dove già da qualche settimana avevano deciso di andarsene Francis il pazzo, Spud il paranoico e compagnia cantante, ecco proprio non riuscivo a non pensare ad altro che a quella mia vera e propria assoluta ossessione che per anni mi ha sconvolto e accompagnato' Ma come cazzo hanno fatto a sciogliersi le Spice Girls? Come? Come cazzo!!? Dico, non gli è bastato l'esempio del popolo irlandese? Non gli sono bastati tutti i milioni di sterline che hanno guadagnato? Avessi guadagnato anche solo un ottavo di quello che hanno guadagnato loro col cazzo che avrei cercato la gloria da solista! Sai quante pere puoi comprarti con tutti quei soldi?' 'Ma come diavolo ha fatto uno come Irvine Welsh a non nascere nell'Irlanda del Nord?' pensavo ogni volta che riuscivo ad intravedere qualche viso poco raccomandabile dal finestrino appannato. Però non a Belfast. No. Almeno non lì. Per carità. La città del Diavolo. Altro che Rio, Il Cairo, Mosca o Buenos Aires. Già. No no. Sì perché appena ho messo piede in quella capitale, che più che una capitale in realtà sembra una polveriera in bilico su un fiammifero acceso, non vedevo già l'ora di andarmene. Non c'è molto spazio per un piccolo tossichetto cattolico scozzese, a Belfast. 'Alla Regina non devono piacere molto i tossici cattolici, per lo più se sono scozzesi' ho capito immediatamentenon appena ho respirato l'aria di Belfast. Strana la Gran Bretagna: può trovare città cosmopolite come Londra e città da incubo come la capitale che fu di un certo George Best, ma questa è un'altra storia. 'Ma tu guarda se questa banda di stronzi per scappare dai debiti deve essere fuggita fin qua, nel buco del culo del mondo' mi ripetevo nella mia testa ogni cinque secondi. 'Perché non Leith? Perché non Leith!!?? Che cosa cazzo c'è di più sicuro di Leith se sei di Leith? Cosa c'è di meglio di casa propria? Delle tue mura? Della tua gente? Che cosa?'. Ma stavolta era diverso, in fondo lo capivo. C'era da avere paura, questa volta. Si. Sul serio. Mai pestare i piedi a chi li ha direttamente collegati con le mani. Non avevano rotto il cazzo al solito spacciatore di periferia. No. Stavolta il pesce era più grosso della palla di vetro in cui i miei amici amavamo giocare. Stavolta bisognava scappare. Meglio andarsene. Correre. Fuggire. Già. Ecco che allora quei quattro stronzi di Begbie, Sick Boy, Tommy e Spud se ne sono scappati via. Lontano, lontanissimo, prima che chi non dovesse trovarli, li trovasse sul serio. Svegliandoli magari dai loro sogni mediocri e senza ambizioni. È come se tutto ad un tratto, quell'adrenalina che tanto cercavano di sconfiggere a suon di eroina, si fosse riversata nel loro corpo tutt'a insieme. Nello stesso momento. È come se gli avesse svegliati definitivamente. Dai loro sogni da scozzesi tossicodipendenti. Nel cuore della notte, senza avvertire. O meglio, avrebbero voluto farlo, se solo io non avessi venduto il suo ultimo cellulare da quattro soldi a chissà quale spacciatore di cui non ricordo neanche la faccia giusto per qualche ora di felicità in più. 'E adesso che che non ci siamo più, che ne sarà di Leith? Dei bambini di Leith? Delle nostre famiglie? Delle nostre case? Che ne sarà dell'Hibernian e della sua magia? E se adesso gli Hibs iniziassero a vincere, dopo che ce ne siamo andati, che ne sarà della nostra fantastica storia da sfigati del cazzo?'. Il pullman correva spedito tagliando l'Ulster in due. Trasversalmente. Come se fosse una lama calda nel burro la mattina per colazione al tavolo regale della signora Elisabetta II. Più aumentavano i chilometri percorsi e più pensavo che quella fosse un'assoluta follia. 'Scappare dalla Scozia per venire in Irlanda de Nord è un po' come scappare da un tornado buttandosi in un incendio. Maledetto Begbie e le sue idee del cazzo'. Il pullman non si fermò mai. Correva e correva, come se capisse che era meglio fuggire dal passato. Come un fedele amico che vuol solo portarti lontano, senza chiederti il perchè. Entrò in città accolto da un cartello dove c'era su una scritta che recitava più o meno così 'Welcome to Londonderry' dove la parola London era stata cancellata volutamente con una passata di bomboletta nera. Le sei lettere più silenziose della storia, almeno così dicono qua. Sicuramente le più silenziose di tutta la Gran Bretagna. Lo scontro tra unionisti, a favore dell’unione con la Regina, e i nazionalisti che invece credono e vorrebbero un'unica Irlanda, sola e libera, fiera e spensierata, è il motivo per il quale la città ha due nomi: Londonderry per i primi e Derry per i secondi, anche se nella quotidianità è più facile sentir pronunciare quest’ultimo, indipendentemente dalla fede politica. Perché questa per tutti sarà sempre e solo Derry. Dove lo scontro tra buoni e cattivi lo si sente ancora di più. A Derry, di Londra e degli inglesi, meglio non parlare. Figuriamoci di Glasgow oppure di Edimburgo. Non frega un cazzo a questi della Regina e del the delle cinque. Della Union Jack o se il Chelsea vince la Coppa Campioni grazie ai gol di Drogba. Questi potessero chiederebbero al Mar della Manica di inghiottirsela quella merda Inghilterra. Appena arrivato alla stazione degli autobus ad aspettarmi c'erano tutti e quattro. Li vedevo già dal finestrino. Tutti vestiti con giacchetti scuri, jeans stretti e scarpe bianche, tanto che sembravano più un gruppo politico vicino ai deliri di Hitler piuttosto che un gruppo di scappati di casa. Scesi gli scalini del pullman con gli occhi chiusi e prendendo un gran respiro, consapevole che niente, da quel momento in poi, sarebbe stato più come prima. Begbie non appena mi vide, mi venne incontro con una sigaretta in bocca, un braccio aperto e una bottiglia di Bushmills dall'altra parte 'Vieni qua cazzetto moscio', iniziando a cantare a squarciagola, e facendo girare praticamente tutti, la più famosa ballata irlandese di sempre. 'Oh piccolo Danny, le cornamuse stanno suonando, di valle in valle e dal fianco della montagna. L'estate se n'è andata e tutti i fiori stanno morendo, e così tu devi andare e io devo aspettare. Ma torna indietro quando l'estate sarà nei campi o quando la valle sarà bianca e ricoperta di neve e io sarò qui, nel sole o nell'ombra ad aspettarti oh piccolo Danny, oh piccolo Danny ti amo tanto. E se tu verrai, quando tutti i fiori staranno appassendo e io sarò morta, perchè morta potrei ben essere, verrai e troverai il posto dove giaccio, inginocchiati e dì un preghiera lì per me. E io ti sentirò, anche se ti muoverai con passo leggero sopra di me e tutti i miei sogni si scalderanno e si faranno dolci. Se non dimenticherai di dirmi che mi ami dormirò semplicemente in pace finchè non mi raggiungerai, oh mio piccolo Danny'. Riecheggia per tutto l'Ulster la canzone del piccolo Danny, specialmente se cantata a squarciagola da quel pazzo figlio di puttana di Begbie. Anche a Belfast. E molto oltre. È forse l'unico vero collante rimasto che riesca ad unire tutto questo popolo di dannati. L'unica vera cosa che davvero, forse, perché il forse è sempre d'obbligo nell'Ulster, ricordatevelo sempre, unisce anche solo per un attimo tutti i nordirlandesi che esistono e che sono esistiti. Che respirano. Che la notte, tra le lenzuola, si odiano e pensano a come odiarsi ancora di più il giorno dopo. Non per niente viene usato come inno non uffciale quando i ragazzi in maglia verde incontrano, in una partita tra nazionali, una tra Inghilterra, Scozia e Galles. Tolte queste rare eccezioni, però, sentirete sempre e solo 'God Save The King'. Ecco allora che se mai, l'Irlanda del Nord, questa sconfinata brughiera verde, terra di pascoli, birre e bombaroli, un giorno mai sarà davvero e finalmente unita, così bella e forte da potersi per una volta, almeno una, sentire e considerare 'una nazione', così fantastica da sdraiarsi nei prati a guardare il cielo senza paura che vi arrivi a dosso una bimba o una qualche lama, ecco che allora, e solo allora, il tutto, o almeno molto, sarà merito della canzone del piccolo Danny. E di nient'altro. Si perché quando lei riecheggia nelle valli dell'Ulster, non chiede permesso nelle orecchie di chi la ascolta, non domanda se chi la sente è protestante o cattolico, se odia l'IRA oppure ne fa parte, se colui che la ode crede e spera in un'Irlanda finalmente unita e repubblicana, o se invece spera in un'egemonia inglese con tanto di 'Union Jack' con sopra il bel faccione della sorridente Elisabetta. Non domanda se teniate ai Rangers oppure al Celtic. Non ha bisogno di chiedere permesso. Non ha bisogno di tirare fuori la carta di identità. Lei c'era prima del conflitto. Prima che il diavolo si instaurasse in questa isola, e ci sarà dopo, quando tutto finirà. Perché prima o poi finirà. Tutto ciò che è un processo storico ha un inizio, un evolversi e poi una fine. È l'unica traccia rimasta di un passato lontano. Lei suona e basta. E tutti la ascoltano. Anche a Derry. Sopratutto a Derry. Lei suona perfino nel bocca di Begbie. Ta quel fiato che è un misto di alcool e tabacco. Era già uno di loro. Si sentiva già un irlandese del Nord. Tipico di Begbie. Forte con i deboli, debole con i forti. In realtà della nostra comitiva era quello con meno personalità il caro Begbie, anche se poteva sembrare il contrario dall'esterno. Altroché. Si faceva influenzare subito. Prendeva delle cotte allucinanti che neanche i quattordicenni alla vista della più bella fighetta della scuola. Non aveva spina dorsale. Il cazzo duro. Le palle sode. Mentre mi abbracciava e mi teneva stretto al collo, si voltò e vide tutta quella gente che lo osservava come se avessero visto un pazzo furioso nudo correre per strada con la proboscide in movimento. Come dargli torto. 'Che cazzo avete da guardare brutti rotti in culo' urlò Francis con gli occhi a matto, piegando le ginocchia e tirando fuori il coltello, come da prassi. Come da contratto tra lui e Dio. Era cambiato e allo stesso tempo era sempre lui. Mentre Sick Boy si scagliò su di lui per calmarlo, Spud si avvicinò furtivo vicino a me, mi portò qualche passo più indietro e mi sussurrò nell'orecchio con la sua tipica voce tremolante e piena di indecisione 'Mark. Questo è impazzito. Ha completamente perso qualunque lume della ragione. Ti ricordi il Begbie di Edimburgo? Peggio. Non c'è proprio paragone. Non ci sta proprio più con la testa. Ha perso perfino quelle tre o quattro leggi morali che lo fermavano. È come se da italiano si fosse trasformato in argentino. Qua è ancora più pazzo, perché non lo conosce nessuno e si sente in dovere di spaccare tutto, fare il cazzo che gli pare. Picchiare tutti. È fuori. Fuori ti dico. Ti dico. L'altro giorno si è tirato fuori il pisello e ha pisciato sugli sgabelli di un pub usando quella sua miccetta che si ritrova tra le gambe come se fosse un idrante. Pazzo. Pazzo ti dico. Oh si. Oh si'. Guardavo Sick Boy fare una fatica del diavolo nel tentativo vano di calmare Begbie, già sbronzo da buttare neanche alle dieci di mattina. 'Vedi quel ragazzo lá? Lo vedi Mark? Eh Mark? Quell'armadio a quattro ante, rasato, grosso quanto un pulmino. Eh, lo vedi quello Mark? Lo vedi?'. 'Si, lo vedo Spud, calmati. Lo vedo. E allora?'. 'Quello, quello lá. Quel grosso essere lá è diventato il culo della camicia di Francis. Lo abbiamo conosciuto il primo giorno in cui abbiamo messo piede qua, in pub qui vicino. Noi tre manco volevamo uscire, ma Begbie ci ha quasi costretti. Siamo entrati, giusto il tempo di mettersi a sedere e quel coglione si stava già picchiando con due nel bagno solo perché a suo avviso lo avevano guardato male. Si è trasformata in una mega rissa. Dopo che è finita, quello lá ci ha offerto una pinta e amici come prima. Si chiama Paul ma Begbie lo chiama 'Elefantello'. Quello è completamente innamorato di Begbie, del suo carisma, e domani ha deciso di portarci tutti allo stadio. A vedere il Derry. Capisci? Il Derry! Ma io non voglio vedere il Derry, Mark! Per me era già troppo l'Hibernian e quel suo velo di sfigataggine che lo circonda. A me del Derry e del calcio in generale non frega un cazzo, Mark. Ma Begbie ci costringerà a farlo. A seguirli. È gia uno di loro ti dico, Mark. Già. Già. Già'. Mentre Spud mi stava martellando quel poco di cervello che posso ancora vantare di avere, quel Paul, tale Elefantello, mi si avvicinò tendendomi la mano. 'Tu devi essere Mark. Ho sentito parlare molto di te in questi giorni. Grandi cose. Piacere Paul. Dalla descrizione di Francis però ti immaginavo diverso. Secco, scheletriforme, quasi uno zombie che cammina con giusto due occhiaie profonde come crateri e un braccio pieno di buchi manco fosse un campo da golf, con i pantaloni a sfigato, bassi e lisi e le scarpe da 50 pounds del mercatino delle pulci'. 'Beh, Begbie è molto pittoresco nei suoi racconti, penso tu abbia già avuto modo di capirlo'. 'Certo. Certo. Quello è pazzo. Troppo anche per noi. Per questo domani ho deciso di portarlo al Brandywell insieme agli altri. Se vuoi favorire, sai sono il Sindaco lá sugli spalti'. 'Perché no! Penso di non avere scelta, in fondo. Dopo aver tifato Hibernian non può succedermi niente'. 'Oh, ma tu non conosci il Derry City Football Club. Noi siamo una storia a parte. Non c'entriamo niente neanche con il mondo che ci circonda. Il calcio è quasi un contorno per noi'. 'Lo immagino'. 'Andiamo a casa a spararci un paio di bbbirre Elefantello' urlò Begbie dalla parte opposta del piazzale trattenuto a fatica da Sick Boy. Così Paul, mentre noi circondavamo Begbie, impedendogli quasi di vedere il mondo attorno, un po' come si fa con i cavalli imbizzarriti, andò a prendere la sua auto e ci caricò tutti: io, Spud, Tom, Sick Boy e Francis, più lui alla guida, ovviamente. In sei su un auto che a malapena avrebbe potuto contenerle tre di persone, e come se non bastasse tutti e sei ci accendemmo contemporaneamente una sigaretta durante il tragitto, facendo sembrare quella povera macchina un incendio su quattro ruote. Dopo una decina di minuti abbondanti arrivammo a Bogside, il quartiere più rivoluzionario e indipendente della città, accolti da una gigantesca scritta su di un muro che recitava 'You are now entering Free Derry'. Stavamo entrando in un pezzo di storia. Bogside appunto. Dove il 30 gennaio del 1972 avvenne la tristemente e famosa 'Bloody Sunday', quando cioè l’esercito britannico aprì il fuoco, durante una manifestazione per i diritti civili, uccidendo quattordici persone. Da quel giorno l’IRA dichiarò guerra alla Gran Bretagna e niente sarebbe stato più come prima, anche perché la Regina, la fantastica e simpaticissima Regina inglese, Queen Elizabeth Two, anziché punire i responsabili di quell'atrocità, decorò con una bella medaglia all'onore il comandante dell’operazione, il colonnello Derek Wilford. Beh, direi niente in fondo. L'inizio della fine. La fine di tutto. Arrivammo in una strada secondaria con l'asfalto disconnesso. Paul fermò l'auto di fronte ad una casa fatta con mattoncini rossi e la porta principale spalancata. Montammo una rampa di scale che conduceva al primo piano. Arrivammo davanti una porta di legno quasi marcio che Begbie aprì con un sonoro calcio urlando 'Sbaaaam'. 'Quello, quello è pazzo. Te lo dico io' mi disse Paul ridendo. 'Sai cosa ha fatto altro giorno Mark!? Avevamo appena finito di attraversare “The Peace Bridge”, il Ponte della Pace sul fiume Foley inaugurato nel 2011, nuovo simbolo di speranza e rinascita della città, costruito per avvicinare la comunità cattolica a quella protestante, e ci stavamo incamminando nel cuore del quartiere protestante di Waterside, in cui negli anni dei Troubles si trasferirono molti protestanti che vivevano nel Bogside per sfuggire al clima di violenza. Ecco stavamo camminando tranquillamente e senza troppi pensieri quando Francis nota un tipo, un coglione che sta attraversando il ponte con la maglia del Linfield, la squadra di Belfast protestante per eccellenza, roba che i Glasgow Rangers diventano improvvisamente la squadra che ogni domenica gioca tra i portici di Piazza San Pietro, tanto per intenderci. Niente è come il Linfield e odiato come il Linfield in Irlanda del Nord se non tifi Linfield. Ecco, Francis, capendo a pieno proprio lo spirito di pace e armonia che dovrebbe ispirare il ponte, non ci pensa su due volte. Si avvicina a questo coglione da dietro con quella sua camminata da guascone e gli urla 'Hey fottuto rotto in culo'. Il ragazzo fa per girarsi, ma non ne ha il tempo materiale. Begbie lo prende da dietro come un rugbista da quattro soldi, lo gira, gli mette un gomito sotto il mento, lo posiziona sulla spalletta del ponte e lo getta nel fiume, senza avere neanche l'accortezza di guardare giù per vedere se c'erano delle pietre sporgenti o poca acqua a fare da ammortizzante. Questo fa un volo di una decina di metri e cade di pancia piena. Il suono sordo del suo tuffo disconnesso penso sia riecheggiato per tutto l'Ulster. Tutti noi guardavamo giù increduli, pensando che questo fosse morto e che da lì a poco sarebbero riemersi vari pezzi del suo corpo. Invece, era ancora vivo e ancora tutto intero questo coglione. Ecco allora che, come se non bastasse, appena il tipo torna miracolosamente a galla e inspiegabilmente illeso, Begbie prende la bottiglia di whisky che aveva in mano e cerca di colpirlo scagliandogliela alla stessa velocità della luce. Il tizio si china e la schiva guardandolo incredulo con quei suoi capelli rossi e le lentiggini che lo facevano tanto sembrare Wayne Rooney. Poi, per paura che Begbie si gettasse, perché lo avrebbe fatto, e come se lo avrebbe fatto, ha iniziato a nuotare verso la valle. Quello è pazzo. È pazzo ti dico.' 'Purtroppo lo conosco bene'. Mi girai e ovunque intorno c'erano foto, poster e gagliardetti del Derry City. Perfino le lenzuola era rosse e bianche in onore del Derry. 'È così che ci si dimentica dell'Hibernian! Giusto Begbie?' lo provocai. 'Tu non capisci niente cazzetto moscio' mi disse lui accendendosi un fiammifero sulla nuca di Spud per poi fumarsi sigaretta, la quindicisemina come minimo da quando ero arrivato in città 'Questa squadra è leggendaria. Mitologica. Credimi. Non ha niente a che vedere con le scaramucce da femminucce di noi scozzesi. Con le stronzate della Scozia e di quei rotti in culo di Celtic o Rangers. Con quelli stronzi di Glasgow o di Edimburgo che tifano Hearts, dove non appena tiri fuori un coltello corrono a chiamare la mammina. Questi sono eroi. Questi vivono per il sangue. Non scappano. Sono eroi, ti dico. Eroi. Non noi'. Si versò un bicchiere di scotch e lo buttò giù tutto d'un fiato. Io lo guardavo incredulo. 'Oh cazzo, devo proprio spiegarti tutto!' Fece un lungo tiro di sigaretta, si preparò ad iniziare il discorso, ma fu in quel preciso momento che gli si girarono gli occhi, gli cedettero le ginocchia e collassò all'indietro sul divano in pieno coma etilico. Lo guardammo cadere come una pera cotta, mentre rantolava nel suo delirio onirico. Nessuno, ovviamente, tentò minimamente di soccorrerlo. 'Finalmente' esclamò Spud quasi sollevato. Solo in quel preciso istante ci rilassammo tutti. Era ora. Begbie era adrenalina pura, e non fermarlo. Non potevi mai stare tranquillo con lui. Sembra impossibile per uno one me che sceglie l'eroina giusto per starsene in pace, avere un amico del genere. Ma è così. Paul si avvicinò al frigo, lo aprì, prese quattro lattine di birra e ce le tirò una ad una. Poi ne prese una per se, la aprì e mi guardò 'Siamo stati fondati nel 1928 e il nostro è il percorso che forse meno si avvicina alla normalità in tutta la storia del football, sai Mark? Difficile la vita nell'Ulster se sei un piccolo insignificante cattolico e la Regina ti sta così dannatamente sulle palle da farti schifo perfino la sua immagine trasmessa in Tv il giorno di Natale, dove dovresti invece essere più buono. No, non c'è rimedio, sai? La nostra è la storia di una mosca bianca nel cammino dell'Irlanda del Nord. L'80% dei nostri abitanti sono per una Repubblica Iralndese Unita e Libera e odiano con tutto loro stessi gli inglesi, la corona, quei cazzo di biscotti al burro e il the delle cinque. Non ci chiamiamo 'Sir' tra di noi, i nostri figli non tifano Chelsea, Manchester United oppure Liverpool, e la nostra bandiera non sarà mai la loro. Mai. Ma siamo soli tra questi confini. Gli unionisti ci cancellerebbero da ogni cartina geografica esistente se solo potessero. Se solo poi non arrivasse qualche intellettuale benpensante a condannarli per il loro gesto. Non avrebbero pietà di noi, delle nostre famiglie, delle nostre tradizioni, dei nostri figli, dei nostri cimiteri. Esattamente come noi non l'avremmo per loro. E noi, di conseguenza, facciamo uguale. Non ci sarà mai amore qua nel Nord dell'Irlanda, sai!? Fa male, ma è così. E questo, ahimè, si riflette anche e sopratutto nel calcio. È un po' come se questo sport, qua, in terra a voi così vicina, ma in realtà così lontana, non fosse altro che una valvola di sfogo con la quale il Diavolo si diverte a manifestarsi e giocare con noi, povero popolo nordiralndese. Qua, in questo paesaggio da sogno che non troverà pace fino all'ultimo respiro dei suoi giorni. Finchè anche in solo uomo calpesterà questo suolo, e sarà solo. E anche se solo, non avendo più nessuno da odiare, lui odierà uguale. È impregnato in questa terra ormai. A Derry, però, di più. Al Bradywell maggiormente. Abbiamo vinto tre coppe dell'Irlanda del Nord.1949, 1954, 1964. Poi, finalmente, il campionato del 1965 con una festa storica per le vie della città. E l'anno dopo la Coppa Campioni, dove iniziarono gli atti intimidatori contro di noi. Al primo turno sconfiggiamo per un complessivo di 8-6 il Lyn Oslo, mentre al secondo turno, magicamente, la federazione calcistica nazionale dichiarò non agibile la nostra struttura. Dichiarò che lo stadio di Brandywell non possedeva i requisiti minimi di sicurezza. Una decisione politica che ci destabilizzò, ci annientò definitivamente e che ci portò a perdere per 9-0 l'andata contro l'Andeelecht, mentre il ritorno non si giocò neanche, visto che la federazione si rifiutò di assegnarci uno stadio. Dato che il nostro impianto si trova a Bogside, il fortino del cattolicesimo nell'Ulster, quasi tutte le squadre filounioniste si rifiutavano di venire a giocare qua. E non aveva torto. C'era da rischiare e non poco a mettere piede qua, a Free Derry. La situazione precipitò definitivamente il 12 settembre del 1971, sai Mark? Derry City - Ballymena United. Al termine dell'incontro gli abitanti del quartiere si scagliano contro i tifosi ospiti, noti sostenitori protestanti di una squadra protestante di una città protestante, mentre il pullman della squadra venne letteralmente dato alle fiamme e non esisteva mai più. Diventò per sempre un mucchio di cenere e ferraglia. Da quel giorno quasi tutte le squadre del paese si rifiutano di venire qua, sopratutto quei codardi bastardi del Linfield, forti in casa, conigli ovunque altro. Che Dio benedica Begbie e il suo gesto eroico contro quel coglione del ponte. La polizia dichiarò così il Brandywell non sicuro, Bogside non sicuro. e ci costrinse a giocare a Coleraine, una cittadina a una trentina di chilometri da qua e a maggioranza ovviamente unionista. Ma per poco. Alla fine la federazione decise di cacciarci per sempre dal campionato dell'Irlanda del Nord. Immaginati la scena: soli, abbandonati, senza uno stadio e una squadra che non un torneo a cui iscriversi. Ci ritroviamo così senza impianto dove giocare e senza un campionato in cui giocare. Almeno fino al 1985, quando i fratelli della Federazione calcistica dell'Eire accettarono la nostra richiesta e ci permisero di prendere parte al loro campionato. Quattro anni dopo vinceremo il nostro primo campionato, con un fantastico treble tra FA Cup e Coppa di Lega e nel 1997 il secondo e ultimo campionato. Poi altre 4 FA Cup irlandesi: 1995, 2002, 2006, 2012. Capisci Mark, capisci perché noi siamo diversi? Capisci? Perché per noi il calcio è in realtà un contorno del settarismo. Perché noi nel 1997 eravamo in 2.000 al Parco dei Principi. Perché noi nel 2006 viaggiamo in 3.000 alla volta di Motherweel, in Scozia, dove affrontavamo il Gretna in Coppa UEFA. No Mark. Non puoi capire. Non puoi. Nessuno può se non è nato qua. Neanche Begbie che oggi sembra il nostro primo tifoso può capire davvero. Si perché qui a Derry, tanto per non farsi mancare niente, non siamo d'accordo su niente. Neanche sul nome della nostra città. Belfast, almeno questo problema non ce l'ha. Belfast, almeno Belfast, con i suoi infiniti problemi, è lontana anni luce da qua. A confronto sembra un parco giochi dove andare con la famiglia ed i bambini la domenica. Sembra Disneyland. Derry non dimentica. Derry non dimenticherà mai. Non può. Derry non dimenticherà mai un cazzo Mark. Lo deve alla sua gente. Ai suoi figli. Si narra che se qualcuno ancora ha la brillante idea di chinarsi per terra per accarezzare con due dita l'asfalto, queste si colorano di rosso. Rosso come il sangue di quel giorno. Dei suoi abitanti. Non puoi capire cosa significhi giocare per noi la Setanta Cup, chiamata così in onore del maggior eroe della mitologia celtica. La Coppa Campioni dell'Irlanda, dove le due migliori del Nord incontrano quelle dell'Eire e ogni anno ce le suoniamo di santissima ragione. No Mark, voi non potete capire. Non si scappa da Derry'. Lo guardai tutto il tempo senza battere ciglio. Non fossi una parola. Avrei voluto in realtà dirgli tante cose. Avrei voluto dirgli che mi sentivo già uno di loro. Che nonostante tutto i problemi sono tanti anche in altri posti del mondo. Che a Leith se non tiri fuori le palle ti mangiano ancor già dentro la culla. Avrei voluto dirgli che ci deve essere un collegamento tra farsi di eroina e tifare Hibernian. Che dopo essere stato un tifoso degli Hibs non può farti paura niente perché non hai una cazzo di gioia mai, neanche per sbaglio. Avrei voluto dirgli che forse ho iniziato con la droga proprio per fuggire da questo mondo infame, bastardo. Di merda. Dove le ingiustizie arano i giusti. Che ho dovuto crearmi un paradiso tutto mio in cui vivere e in cui credere, per sopravvivere. Avrei voluto dirgli tante cose, ma vista anche la sua assurda corporatura mi vidi bene dal farlo. Mi limitai a bere un sorso di birra e a guardare Begbie spensierato e collassato sul divano, senza pensieri, senza pesi, senza paure, senza problemi su come pagare le bollette o come procurarsi da mangiare, ed un po' lo invidiavo, lo ammetto, pensando che forse, tra tutti noi, era l'unico che della vita e del suo non prenderla mai veramente sul serio, che sia in Scozia o nel Nord delle Irlande, che sia a Edimburgo oppure nella città delle lettere silenziose, dove Londra sembra addirittura in un altro continente, Francis, si proprio lui, era l'unico di nostri che ci aveva capito realmente qualcosa.
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aneddoticamagazinestuff · 5 years ago
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Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze
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Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze
Basta alzare gli occhi verso le montagne per rendersi conto di vivere dentro una culla. Del resto questa è la Garfagnana, uno scrigno racchiuso: da una parte gli Appennini e dall’altra le Alpi Apuane, un territorio appartato e orgoglioso, quasi isolato dal resto della Toscana, abitato da gente fiera delle sue millenarie tradizioni, fiera della propria storia e fiera sopratutto dei suoi monti: le Apuane. La loro bellezza ed unicità ha ispirato leggende, storie fantastiche, scritti e meravigliosi poemi, tramandati nei secoli nelle parole di nobili poeti, scienziati o semplici narratori, più o meno noti. La loro descrizione più alta la da il poeta e scrittore Tommaso Landolfi che le ha definite 
“I più bei monti formati da Dio”. 
Il sommo poeta Dante Alighieri invece le nomina facendo riferimento agli inferi e nel XXXII canto dell’inferno de “La Divina Commedia”(1321) così dice:
32° canto dell’inferno
“E sotto i piedi un lago che, per gielo, avea di vetro e non d’acqua sembiante, Che se Tambernicchi vi fosse sù caduto o Pietrapana non avria pur dall’orlo fatto cricchi”.
Qui, in questo verso si parla del Cocito, un lago ghiacciato situato sul fondo dell’inferno, luogo dove vengono puniti i traditori. Si dice che lo spessore del ghiaccio di questo lago sia talmente alto che non avrebbe fatto nemmeno una crepa se sopra vi fossero crollate la Pania (Pietrapana) e la Tambura (Tambernicchi). Anche un suo contemporaneo Giovanni Boccaccio parla della Pania in una sua opera minore:
Giovanni Boccaccio
“De montibus, silvis, fontibus, stagnis seu paludis et de nominibus maris liber”.
Siamo nel 1360 e l’opera non ha la bellezza dei danteschi versi, poichè vi vengono citate in un repertorio ordinato alfabeticamente, nomi geografici ricorrenti in opere
latine:
“Petra Appuana mons est olim Gallorum Frimenatum ab initio Apoenini in agrum Lucensium protensus, hinc Ligustinum Tuscumque mare et veterem Lunam civitatem, indi Pistoriensium et Florentinorum campos aspiciens et procurrentia in euroaustrum Apoenini iuga, rigens fere nive perpetua, et a quo quondam Apuani nominati sunt Galli”,
ossia:
“il monte Pietra Apuana è proteso dall’inizio dell’Appennino dei già Liguri Friniati verso la pianura lucchese e da qua verso il mare Ligure e Tirreno e la vecchia città di Luni, quindi guarda verso la piana pistoiese e quella fiorentina e si avanza verso i gioghi dell’Appennino sud-orientale, è fredda quasi per neve perpetua e dal suo nome i Galli furono chiamati Apuani”. I
l passare dei secoli ci porta bensì in pieno rinascimento e a lui, il Governatore della Garfagnana per eccellenza, l’autore del “L’Orlando Furioso”, Ludovico Ariosto:
“La nuda Pania tra l’Aurora e il noto, da altre parti il giogo mi circonda che fa d’un pellegrin la gloria noto”
così nella IV Satira. E’ il 1523 e qui la Pania è descritta come se fosse un giogo sulle spalle del poeta, costretto a vivere confinato in una regione a lui ostile. Le sue inquietudini si riflettono anche su un monte della Apuane in particolare: il Procinto, tanto da definirlo
Procinto
“la dimora del sospetto”
“Lo scoglio, ove ‘l sospetto fa soggiorno e dal mar alto da seicento braccia di rovinose balze cinto intorno e da ogni canto di cader minaccia il più stretto sentier che vada al Forno la dove il Garfagnino il ferro caccia, la via Flaminia o l’Appia nomar voglio verso quel che dal mar in cima al scoglio”.
Sempre nel medesimo periodo storico Michelangelo Buonarroti sta facendo “faville”. Nel 1501 ha già creato opere d’arte di sublime bellezza: La Pietà e il David. Il marmo con cui vengono fatte queste immortali sculture viene dalle Apuane (Monte Altissimo), dove lì si dannerà l’anima per circa due anni a
“domesticare i monti e ammaestrare gli uomini”.
Dopo il periodo degli artisti e dei poeti arrivò il momento di naturalisti e scienziati. E’ la fine del 1600 quando Pier Antonio Micheli (botanico italiano, la cui statua è situata fuori dagli Uffizi) arriva alle pendici della Pania e di li comincia la salita nei suoi versanti scoscesi alla ricerca dell’Elleboro, pianta considerata ottima come rimedio alla follia:
“Colse adunque la congiuntura di tre giorni festivi di seguito nel mese d’agosto, e si portò velocissimamente a piedi, con solo cinque paoli in tasca, e pochi quaderni di carta sugante, fino alla più alta cima della scoscesa Pietra Pana, appena accessibile alle capre, ed ivi gli riuscì trovare in abbondanza il desiderato Elleboro”. 
Nel 1743 è Lazzaro Spallanzani (colui a cui è stato dedicato il famoso  ospedale di Roma, celebre per le note vicende del Coronavirus) ad arrivare sulle Apuane, lo scienziato è venuto a studiare la conformazione dei monti, per lui sembrano “delle ossa spolpate”. Ma è il geografo Emanuele Repetti nel 1845 che ne da la similitudine più suggestiva definendole: “un mare in tempesta immediatamente pietrificato”.
Arriva poi il XIX secolo, il secolo degli alpinisti, delle prime risalite, il secolo della nascita del C.A.I (Club Alpino Italiano). Nel 1883 il celebre alpinista scozzese Francis Fox Tuckett sale sulla Pania e al riguardo scrive un articolo: 
Pania della Croce (foto Daniele Saisi)
“La descrizione molto affascinante di W. D. Freshfield riguardo alle “Alpi Apuane”, e alla scalata che egli ha compiuto sulla Pania della Croce… mi ha reso impaziente di curiosare su e giù per questo amabile massiccio..”. 
Gustavo Dalgas ricorda in questo modo una delle sue cinque salite verso il medesimo monte:
Pania della Croce (foto di Maxzina)
“…basta pensare che questo pizzo, unico fra i suoi anche un poco più elevati confratelli, si scorge contemporaneamente da Viareggio, da Lucca, da Pisa, da Livorno, da Volterra, da Siena, da Firenze, dalla valle inferiore dell’Arno e dalle pianure di Maremma fino al monte Argentaro, per farsi idea della vastità del panorama terrestre che esso domina, mentre gli si apre dinanzi vastissima distesa di mare, in cui si scorgono disseminate le isole dell’arcipelago Toscano fino alla Corsica, e l’osservatore mira ai suoi piedi, come una mappa dispiegata, il golfo della Spezia…”.
Fra corsi e ricorsi storici ritornò poi anche il tempo dei poeti…e che poeti !!!
“Occhio l’amor delle Apuane cime Natie libere: ardea nobile augello, in tra le folgori a vol tender su’ nembi”. 
Il verso è tratto dalla raccolta di poesie “Levia Gravia” (1868) di Giosuè Carducci, d’altra parte il poeta quello che vede dalla sua finestra di casa (Valdicastello) sono proprio le Apuane. Carducci dunque vi nacque all’ombra di questi monti, lo studente e poi amico Giovanni Pascoli invece vi si trasferisce (Castelvecchio), scrivendo poi una poesia dal titolo “La Pania”(1907):
“Su la nebbia che fuma dal sonoro/Serchio, leva la Pania alto la fronte/nel sereno: un aguzzo blocco d’oro, /su cui piovano petali di rose/appassite. Io che l’amo, il vecchio monte,/gli parlo ogni alba, e molte dolci cose/gli dico:/O monte, che regni tra il fumo/del nembo, e tra il lume degli astri,/tu nutri nei poggi il profumo/di timi, di mente e mentastri…”. 
La Pania dal giardino di casa Pascoli
Nel suo villeggiare per la Versilia nemmeno il Vate,Gabriele D’Annunzio è potuto sfuggire alla loro bellezza. Diverse sono le citazioni che gli ha riservato, ma fra le più belle rimane questa:
“Marmorea colonna di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte” (Meriggio 1903).
In conclusione bisogna dire che furono in molti fra i personaggi illustri a scrivere di Alpi Apuane, impossibile citarli tutti, ma le ultime righe di questo articolo sono per Fosco Maraini, scrittore insigne, viaggiatore e profondo conoscitore delle culture di tutto il mondo. Era nato a Firenze, ma le sue estati le passava a Pasquigliora, quattro case nel comune di Molazzana. Li, nonostante che i suoi occhi avessero visto tutto il mondo, tornava sempre a contemplare quei magnifici monti e ricordava sempre la prima volta che li conobbe, ed al suo accompagnatore così domandò: “Che sono quei monti?” chiesi molto incuriosito, quasi impaurito. “Sono le Alpi Apuane”, mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perché, alla creazione del mondo, terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color dell’incendio”.
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Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze
Basta alzare gli occhi verso le montagne per rendersi conto di vivere dentro una culla. Del resto questa è la Garfagnana, uno scrigno racchiuso: da una parte gli Appennini e dall’altra le Alpi Apuane, un territorio appartato e orgoglioso, quasi isolato dal resto della Toscana, abitato da gente fiera delle sue millenarie tradizioni, fiera della propria storia e fiera sopratutto dei suoi monti: le Apuane. La loro bellezza ed unicità ha ispirato leggende, storie fantastiche, scritti e meravigliosi poemi, tramandati nei secoli nelle parole di nobili poeti, scienziati o semplici narratori, più o meno noti. La loro descrizione più alta la da il poeta e scrittore Tommaso Landolfi che le ha definite 
“I più bei monti formati da Dio”. 
Il sommo poeta Dante Alighieri invece le nomina facendo riferimento agli inferi e nel XXXII canto dell’inferno de “La Divina Commedia”(1321) così dice:
32° canto dell’inferno
“E sotto i piedi un lago che, per gielo, avea di vetro e non d’acqua sembiante, Che se Tambernicchi vi fosse sù caduto o Pietrapana non avria pur dall’orlo fatto cricchi”.
Qui, in questo verso si parla del Cocito, un lago ghiacciato situato sul fondo dell’inferno, luogo dove vengono puniti i traditori. Si dice che lo spessore del ghiaccio di questo lago sia talmente alto che non avrebbe fatto nemmeno una crepa se sopra vi fossero crollate la Pania (Pietrapana) e la Tambura (Tambernicchi). Anche un suo contemporaneo Giovanni Boccaccio parla della Pania in una sua opera minore:
Giovanni Boccaccio
“De montibus, silvis, fontibus, stagnis seu paludis et de nominibus maris liber”.
Siamo nel 1360 e l’opera non ha la bellezza dei danteschi versi, poichè vi vengono citate in un repertorio ordinato alfabeticamente, nomi geografici ricorrenti in opere
latine:
“Petra Appuana mons est olim Gallorum Frimenatum ab initio Apoenini in agrum Lucensium protensus, hinc Ligustinum Tuscumque mare et veterem Lunam civitatem, indi Pistoriensium et Florentinorum campos aspiciens et procurrentia in euroaustrum Apoenini iuga, rigens fere nive perpetua, et a quo quondam Apuani nominati sunt Galli”,
ossia:
“il monte Pietra Apuana è proteso dall’inizio dell’Appennino dei già Liguri Friniati verso la pianura lucchese e da qua verso il mare Ligure e Tirreno e la vecchia città di Luni, quindi guarda verso la piana pistoiese e quella fiorentina e si avanza verso i gioghi dell’Appennino sud-orientale, è fredda quasi per neve perpetua e dal suo nome i Galli furono chiamati Apuani”. I
l passare dei secoli ci porta bensì in pieno rinascimento e a lui, il Governatore della Garfagnana per eccellenza, l’autore del “L’Orlando Furioso”, Ludovico Ariosto:
“La nuda Pania tra l’Aurora e il noto, da altre parti il giogo mi circonda che fa d’un pellegrin la gloria noto”
così nella IV Satira. E’ il 1523 e qui la Pania è descritta come se fosse un giogo sulle spalle del poeta, costretto a vivere confinato in una regione a lui ostile. Le sue inquietudini si riflettono anche su un monte della Apuane in particolare: il Procinto, tanto da definirlo
Procinto
“la dimora del sospetto”
“Lo scoglio, ove ‘l sospetto fa soggiorno e dal mar alto da seicento braccia di rovinose balze cinto intorno e da ogni canto di cader minaccia il più stretto sentier che vada al Forno la dove il Garfagnino il ferro caccia, la via Flaminia o l’Appia nomar voglio verso quel che dal mar in cima al scoglio”.
Sempre nel medesimo periodo storico Michelangelo Buonarroti sta facendo “faville”. Nel 1501 ha già creato opere d’arte di sublime bellezza: La Pietà e il David. Il marmo con cui vengono fatte queste immortali sculture viene dalle Apuane (Monte Altissimo), dove lì si dannerà l’anima per circa due anni a
“domesticare i monti e ammaestrare gli uomini”.
Dopo il periodo degli artisti e dei poeti arrivò il momento di naturalisti e scienziati. E’ la fine del 1600 quando Pier Antonio Micheli (botanico italiano, la cui statua è situata fuori dagli Uffizi) arriva alle pendici della Pania e di li comincia la salita nei suoi versanti scoscesi alla ricerca dell’Elleboro, pianta considerata ottima come rimedio alla follia:
“Colse adunque la congiuntura di tre giorni festivi di seguito nel mese d’agosto, e si portò velocissimamente a piedi, con solo cinque paoli in tasca, e pochi quaderni di carta sugante, fino alla più alta cima della scoscesa Pietra Pana, appena accessibile alle capre, ed ivi gli riuscì trovare in abbondanza il desiderato Elleboro”. 
Nel 1743 è Lazzaro Spallanzani (colui a cui è stato dedicato il famoso  ospedale di Roma, celebre per le note vicende del Coronavirus) ad arrivare sulle Apuane, lo scienziato è venuto a studiare la conformazione dei monti, per lui sembrano “delle ossa spolpate”. Ma è il geografo Emanuele Repetti nel 1845 che ne da la similitudine più suggestiva definendole: “un mare in tempesta immediatamente pietrificato”.
Arriva poi il XIX secolo, il secolo degli alpinisti, delle prime risalite, il secolo della nascita del C.A.I (Club Alpino Italiano). Nel 1883 il celebre alpinista scozzese Francis Fox Tuckett sale sulla Pania e al riguardo scrive un articolo: 
Pania della Croce (foto Daniele Saisi)
“La descrizione molto affascinante di W. D. Freshfield riguardo alle “Alpi Apuane”, e alla scalata che egli ha compiuto sulla Pania della Croce… mi ha reso impaziente di curiosare su e giù per questo amabile massiccio..”. 
Gustavo Dalgas ricorda in questo modo una delle sue cinque salite verso il medesimo monte:
Pania della Croce (foto di Maxzina)
“…basta pensare che questo pizzo, unico fra i suoi anche un poco più elevati confratelli, si scorge contemporaneamente da Viareggio, da Lucca, da Pisa, da Livorno, da Volterra, da Siena, da Firenze, dalla valle inferiore dell’Arno e dalle pianure di Maremma fino al monte Argentaro, per farsi idea della vastità del panorama terrestre che esso domina, mentre gli si apre dinanzi vastissima distesa di mare, in cui si scorgono disseminate le isole dell’arcipelago Toscano fino alla Corsica, e l’osservatore mira ai suoi piedi, come una mappa dispiegata, il golfo della Spezia…”.
Fra corsi e ricorsi storici ritornò poi anche il tempo dei poeti…e che poeti !!!
“Occhio l’amor delle Apuane cime Natie libere: ardea nobile augello, in tra le folgori a vol tender su’ nembi”. 
Il verso è tratto dalla raccolta di poesie “Levia Gravia” (1868) di Giosuè Carducci, d’altra parte il poeta quello che vede dalla sua finestra di casa (Valdicastello) sono proprio le Apuane. Carducci dunque vi nacque all’ombra di questi monti, lo studente e poi amico Giovanni Pascoli invece vi si trasferisce (Castelvecchio), scrivendo poi una poesia dal titolo “La Pania”(1907):
“Su la nebbia che fuma dal sonoro/Serchio, leva la Pania alto la fronte/nel sereno: un aguzzo blocco d’oro, /su cui piovano petali di rose/appassite. Io che l’amo, il vecchio monte,/gli parlo ogni alba, e molte dolci cose/gli dico:/O monte, che regni tra il fumo/del nembo, e tra il lume degli astri,/tu nutri nei poggi il profumo/di timi, di mente e mentastri…”. 
La Pania dal giardino di casa Pascoli
Nel suo villeggiare per la Versilia nemmeno il Vate,Gabriele D’Annunzio è potuto sfuggire alla loro bellezza. Diverse sono le citazioni che gli ha riservato, ma fra le più belle rimane questa:
“Marmorea colonna di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte” (Meriggio 1903).
In conclusione bisogna dire che furono in molti fra i personaggi illustri a scrivere di Alpi Apuane, impossibile citarli tutti, ma le ultime righe di questo articolo sono per Fosco Maraini, scrittore insigne, viaggiatore e profondo conoscitore delle culture di tutto il mondo. Era nato a Firenze, ma le sue estati le passava a Pasquigliora, quattro case nel comune di Molazzana. Li, nonostante che i suoi occhi avessero visto tutto il mondo, tornava sempre a contemplare quei magnifici monti e ricordava sempre la prima volta che li conobbe, ed al suo accompagnatore così domandò: “Che sono quei monti?” chiesi molto incuriosito, quasi impaurito. “Sono le Alpi Apuane”, mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perché, alla creazione del mondo, terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color dell’incendio”.
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