#Monte pania
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FOCE DI VALLI • Alpi Apuane
FOCE DI VALLI • Alpi Apuane
ITINERARIO: La Foce di Valli e’ un importante punto di comunicazione: tra la Media Valle del Serchio e la Versilia infatti collega Fornovolasco con Cardoso. Inoltre si possono raggiungere il Monte Forato e la Pania della Croce. È un luogo incantato, sembra di trovarsi dentro ad una cartolina.Si arriva alla Foce di Valli: da Fornovolasco salendo il sentiero n. 130. Foce di Valli
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le alpi apuane viste dalla corsica.
in ordine di apparizione, da sx verso dx: grondilice, pizzo d'uccello, pisanino, contrario, cavallo, tambura, sella, alto di sella, altissimo, sumbra, penna di sumbra, massiccio del corchia, gruppo delle panie in fondo con la vetta più bella (pania della croce) e in fondissimo a destra si intravede il matanna.
qua ne mancano un po' di cime (mancano le catene ovest, nord, quelle garfagnine e le varie diramazioni centrali) ma possiamo dire che, oggettivamente, è uno spettacolo assurdo. e io ci abito sotto praticamente.
(massa è sotto il monte cavallo e il monte tambura, che sono i due monti che nella foto appaiono più innevati sulla sinistra)
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#Buongiorno con questo #tramonto dal Monte Pania di qualche giorno fa, foto di Paolo Fanani da Meteo Nord-ovest Toscana #nature #love #travel #photography #beautiful #photooftheday #summer #instagood #sky #photo #landscape #sun #picoftheday #beauty #amazing #instagram #travelphotography #life #naturephotography #bestoftheday #travelgram #night #art #clouds https://www.instagram.com/p/CSgMZkMs55n/?utm_medium=tumblr
#buongiorno#tramonto#nature#love#travel#photography#beautiful#photooftheday#summer#instagood#sky#photo#landscape#sun#picoftheday#beauty#amazing#instagram#travelphotography#life#naturephotography#bestoftheday#travelgram#night#art#clouds
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Monte Corchia and Monte Pania della Croce diving in clouds - Toscana, Italy [OC] [1280x960] via /r/EarthPorn https://ift.tt/2GlLthu
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🇮🇹🏠❤️ (at Vetta Monte Pania della Croce) https://www.instagram.com/p/B1D4aR8BM91/?igshid=ipmmgrrnkrl9
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Con la sorpresa di incontrare un piccolo gruppo (al femminile) di mugellani. Questa notte, come sappiamo, c’è stata l’eclissi lunare più importante della nostra storia. La nostra redazione ha preparato un liveblogging e una diretta per permettere la visione dal punto di osservazione che avevamo scelto, ovvero la vetta della “Regine delle Apuane” il monte Pania alla Croce.
Non siamo stati soli a scegliere tale postazione, in quanto alle ore 21 eravamo in cima alla vetta con altre 100 persone. Chi organizzato in tenda, chi in sacco a pelo e con molte macchine fotografiche appostate per cogliere gli attimi più belli dell’eclisse e dell’alba il mattino seguente.
Alessio Orlandini, di professione infermiere, ma con un passato di fotografo e videomaker, ci regala questi scatti che testimoniano l’esperienza vissuta ed in parte raccontata da Saverio Zeni nelle dirette Facebook realizzate.
Certo, di fotografie della Luna Rossa in rete se ne troveranno anche di più belle, ma quelle di Alessio hanno un qualcosa in più: sono scattate dalla cima di una montagna che sovrasta la costa tirrenica con uno scenario spettacolare.
Un’altra galleria fotografica testimonia i vari momenti prima dell’eclisse e dell’alba successiva. Piccola nota curiosa, nel sentiero per la vetta abbiamo incontrato delle camminatrici di Barberino di Mugello per cui non poteva mancare la classica foto di gruppo.
Le sorelle Dimichino, Giulia Gianassi e Saverio Zeni in cammino per raggiungere la vetta
La Pania Secca vista dalla vetta della Pania alla Croce
l’accampamento dei tanti in attesa dell’eclisse
il tramonto
L’alba
L?ombra della montagna che si staglia sul mare e sulla costa tirrenica
nel vallone dell’inferno la foto di rito
La Luna Rossa e l’alba in Apuane. Dall’obiettivo di Alessio Orlandini e Saverio Zeni Con la sorpresa di incontrare un piccolo gruppo (al femminile) di mugellani. Questa notte, come sappiamo, c'è stata l'eclissi lunare più importante della nostra storia.
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Questa settimana il #betuscan, progetto che vede collaborare @iltirreno e @igerstoscana, torna a #Lucca e sarò io, Luca Tesconi (@__lucatesconi__ su Instagram), a parlarvi della mia provincia attraverso alcuni sentieri CAI che attraversano le sue montagne. In questa prima foto ho ritratto Marta Pagnini, olimpionica nella ginnastica ritmica (bronzo Londra 2012), nel bosco sotto la località di Campanice. Da questo luogo parte il sentiero CAI che porta alla suggestiva conca di Puntato con le sue baite in pietra da cui è possibile vedere le vette della Pania, del Corchia e del monte Freddone. Nonostante il netto contrasto dell'abito rosso con il verde incantato del sottobosco tutto si amalgama perfettamente in questa selva delle Apuane. Foto e testo di @__lucatesconi__ per #betuscan http://ift.tt/2tU4eft
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On top of the world =)
( 16 - 07 - 2011 Pania della Croce I859 metri)
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Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze
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Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze
Basta alzare gli occhi verso le montagne per rendersi conto di vivere dentro una culla. Del resto questa è la Garfagnana, uno scrigno racchiuso: da una parte gli Appennini e dall’altra le Alpi Apuane, un territorio appartato e orgoglioso, quasi isolato dal resto della Toscana, abitato da gente fiera delle sue millenarie tradizioni, fiera della propria storia e fiera sopratutto dei suoi monti: le Apuane. La loro bellezza ed unicità ha ispirato leggende, storie fantastiche, scritti e meravigliosi poemi, tramandati nei secoli nelle parole di nobili poeti, scienziati o semplici narratori, più o meno noti. La loro descrizione più alta la da il poeta e scrittore Tommaso Landolfi che le ha definite
“I più bei monti formati da Dio”.
Il sommo poeta Dante Alighieri invece le nomina facendo riferimento agli inferi e nel XXXII canto dell’inferno de “La Divina Commedia”(1321) così dice:
32° canto dell’inferno
“E sotto i piedi un lago che, per gielo, avea di vetro e non d’acqua sembiante, Che se Tambernicchi vi fosse sù caduto o Pietrapana non avria pur dall’orlo fatto cricchi”.
Qui, in questo verso si parla del Cocito, un lago ghiacciato situato sul fondo dell’inferno, luogo dove vengono puniti i traditori. Si dice che lo spessore del ghiaccio di questo lago sia talmente alto che non avrebbe fatto nemmeno una crepa se sopra vi fossero crollate la Pania (Pietrapana) e la Tambura (Tambernicchi). Anche un suo contemporaneo Giovanni Boccaccio parla della Pania in una sua opera minore:
Giovanni Boccaccio
“De montibus, silvis, fontibus, stagnis seu paludis et de nominibus maris liber”.
Siamo nel 1360 e l’opera non ha la bellezza dei danteschi versi, poichè vi vengono citate in un repertorio ordinato alfabeticamente, nomi geografici ricorrenti in opere
latine:
“Petra Appuana mons est olim Gallorum Frimenatum ab initio Apoenini in agrum Lucensium protensus, hinc Ligustinum Tuscumque mare et veterem Lunam civitatem, indi Pistoriensium et Florentinorum campos aspiciens et procurrentia in euroaustrum Apoenini iuga, rigens fere nive perpetua, et a quo quondam Apuani nominati sunt Galli”,
ossia:
“il monte Pietra Apuana è proteso dall’inizio dell’Appennino dei già Liguri Friniati verso la pianura lucchese e da qua verso il mare Ligure e Tirreno e la vecchia città di Luni, quindi guarda verso la piana pistoiese e quella fiorentina e si avanza verso i gioghi dell’Appennino sud-orientale, è fredda quasi per neve perpetua e dal suo nome i Galli furono chiamati Apuani”. I
l passare dei secoli ci porta bensì in pieno rinascimento e a lui, il Governatore della Garfagnana per eccellenza, l’autore del “L’Orlando Furioso”, Ludovico Ariosto:
“La nuda Pania tra l’Aurora e il noto, da altre parti il giogo mi circonda che fa d’un pellegrin la gloria noto”
così nella IV Satira. E’ il 1523 e qui la Pania è descritta come se fosse un giogo sulle spalle del poeta, costretto a vivere confinato in una regione a lui ostile. Le sue inquietudini si riflettono anche su un monte della Apuane in particolare: il Procinto, tanto da definirlo
Procinto
“la dimora del sospetto”
“Lo scoglio, ove ‘l sospetto fa soggiorno e dal mar alto da seicento braccia di rovinose balze cinto intorno e da ogni canto di cader minaccia il più stretto sentier che vada al Forno la dove il Garfagnino il ferro caccia, la via Flaminia o l’Appia nomar voglio verso quel che dal mar in cima al scoglio”.
Sempre nel medesimo periodo storico Michelangelo Buonarroti sta facendo “faville”. Nel 1501 ha già creato opere d’arte di sublime bellezza: La Pietà e il David. Il marmo con cui vengono fatte queste immortali sculture viene dalle Apuane (Monte Altissimo), dove lì si dannerà l’anima per circa due anni a
“domesticare i monti e ammaestrare gli uomini”.
Dopo il periodo degli artisti e dei poeti arrivò il momento di naturalisti e scienziati. E’ la fine del 1600 quando Pier Antonio Micheli (botanico italiano, la cui statua è situata fuori dagli Uffizi) arriva alle pendici della Pania e di li comincia la salita nei suoi versanti scoscesi alla ricerca dell’Elleboro, pianta considerata ottima come rimedio alla follia:
“Colse adunque la congiuntura di tre giorni festivi di seguito nel mese d’agosto, e si portò velocissimamente a piedi, con solo cinque paoli in tasca, e pochi quaderni di carta sugante, fino alla più alta cima della scoscesa Pietra Pana, appena accessibile alle capre, ed ivi gli riuscì trovare in abbondanza il desiderato Elleboro”.
Nel 1743 è Lazzaro Spallanzani (colui a cui è stato dedicato il famoso ospedale di Roma, celebre per le note vicende del Coronavirus) ad arrivare sulle Apuane, lo scienziato è venuto a studiare la conformazione dei monti, per lui sembrano “delle ossa spolpate”. Ma è il geografo Emanuele Repetti nel 1845 che ne da la similitudine più suggestiva definendole: “un mare in tempesta immediatamente pietrificato”.
Arriva poi il XIX secolo, il secolo degli alpinisti, delle prime risalite, il secolo della nascita del C.A.I (Club Alpino Italiano). Nel 1883 il celebre alpinista scozzese Francis Fox Tuckett sale sulla Pania e al riguardo scrive un articolo:
Pania della Croce (foto Daniele Saisi)
“La descrizione molto affascinante di W. D. Freshfield riguardo alle “Alpi Apuane”, e alla scalata che egli ha compiuto sulla Pania della Croce… mi ha reso impaziente di curiosare su e giù per questo amabile massiccio..”.
Gustavo Dalgas ricorda in questo modo una delle sue cinque salite verso il medesimo monte:
Pania della Croce (foto di Maxzina)
“…basta pensare che questo pizzo, unico fra i suoi anche un poco più elevati confratelli, si scorge contemporaneamente da Viareggio, da Lucca, da Pisa, da Livorno, da Volterra, da Siena, da Firenze, dalla valle inferiore dell’Arno e dalle pianure di Maremma fino al monte Argentaro, per farsi idea della vastità del panorama terrestre che esso domina, mentre gli si apre dinanzi vastissima distesa di mare, in cui si scorgono disseminate le isole dell’arcipelago Toscano fino alla Corsica, e l’osservatore mira ai suoi piedi, come una mappa dispiegata, il golfo della Spezia…”.
Fra corsi e ricorsi storici ritornò poi anche il tempo dei poeti…e che poeti !!!
“Occhio l’amor delle Apuane cime Natie libere: ardea nobile augello, in tra le folgori a vol tender su’ nembi”.
Il verso è tratto dalla raccolta di poesie “Levia Gravia” (1868) di Giosuè Carducci, d’altra parte il poeta quello che vede dalla sua finestra di casa (Valdicastello) sono proprio le Apuane. Carducci dunque vi nacque all’ombra di questi monti, lo studente e poi amico Giovanni Pascoli invece vi si trasferisce (Castelvecchio), scrivendo poi una poesia dal titolo “La Pania”(1907):
“Su la nebbia che fuma dal sonoro/Serchio, leva la Pania alto la fronte/nel sereno: un aguzzo blocco d’oro, /su cui piovano petali di rose/appassite. Io che l’amo, il vecchio monte,/gli parlo ogni alba, e molte dolci cose/gli dico:/O monte, che regni tra il fumo/del nembo, e tra il lume degli astri,/tu nutri nei poggi il profumo/di timi, di mente e mentastri…”.
La Pania dal giardino di casa Pascoli
Nel suo villeggiare per la Versilia nemmeno il Vate,Gabriele D’Annunzio è potuto sfuggire alla loro bellezza. Diverse sono le citazioni che gli ha riservato, ma fra le più belle rimane questa:
“Marmorea colonna di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte” (Meriggio 1903).
In conclusione bisogna dire che furono in molti fra i personaggi illustri a scrivere di Alpi Apuane, impossibile citarli tutti, ma le ultime righe di questo articolo sono per Fosco Maraini, scrittore insigne, viaggiatore e profondo conoscitore delle culture di tutto il mondo. Era nato a Firenze, ma le sue estati le passava a Pasquigliora, quattro case nel comune di Molazzana. Li, nonostante che i suoi occhi avessero visto tutto il mondo, tornava sempre a contemplare quei magnifici monti e ricordava sempre la prima volta che li conobbe, ed al suo accompagnatore così domandò: “Che sono quei monti?” chiesi molto incuriosito, quasi impaurito. “Sono le Alpi Apuane”, mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perché, alla creazione del mondo, terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color dell’incendio”.
#aneddotica magazine#Apuane letterarie#dante Alighieri#Giovanni Boccaccio#Monte pania#monte procinto#Pania della Croce#toscana#W. D. Freshfield
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Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze
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Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze
Basta alzare gli occhi verso le montagne per rendersi conto di vivere dentro una culla. Del resto questa è la Garfagnana, uno scrigno racchiuso: da una parte gli Appennini e dall’altra le Alpi Apuane, un territorio appartato e orgoglioso, quasi isolato dal resto della Toscana, abitato da gente fiera delle sue millenarie tradizioni, fiera della propria storia e fiera sopratutto dei suoi monti: le Apuane. La loro bellezza ed unicità ha ispirato leggende, storie fantastiche, scritti e meravigliosi poemi, tramandati nei secoli nelle parole di nobili poeti, scienziati o semplici narratori, più o meno noti. La loro descrizione più alta la da il poeta e scrittore Tommaso Landolfi che le ha definite
“I più bei monti formati da Dio”.
Il sommo poeta Dante Alighieri invece le nomina facendo riferimento agli inferi e nel XXXII canto dell’inferno de “La Divina Commedia”(1321) così dice:
32° canto dell’inferno
“E sotto i piedi un lago che, per gielo, avea di vetro e non d’acqua sembiante, Che se Tambernicchi vi fosse sù caduto o Pietrapana non avria pur dall’orlo fatto cricchi”.
Qui, in questo verso si parla del Cocito, un lago ghiacciato situato sul fondo dell’inferno, luogo dove vengono puniti i traditori. Si dice che lo spessore del ghiaccio di questo lago sia talmente alto che non avrebbe fatto nemmeno una crepa se sopra vi fossero crollate la Pania (Pietrapana) e la Tambura (Tambernicchi). Anche un suo contemporaneo Giovanni Boccaccio parla della Pania in una sua opera minore:
Giovanni Boccaccio
“De montibus, silvis, fontibus, stagnis seu paludis et de nominibus maris liber”.
Siamo nel 1360 e l’opera non ha la bellezza dei danteschi versi, poichè vi vengono citate in un repertorio ordinato alfabeticamente, nomi geografici ricorrenti in opere
latine:
“Petra Appuana mons est olim Gallorum Frimenatum ab initio Apoenini in agrum Lucensium protensus, hinc Ligustinum Tuscumque mare et veterem Lunam civitatem, indi Pistoriensium et Florentinorum campos aspiciens et procurrentia in euroaustrum Apoenini iuga, rigens fere nive perpetua, et a quo quondam Apuani nominati sunt Galli”,
ossia:
“il monte Pietra Apuana è proteso dall’inizio dell’Appennino dei già Liguri Friniati verso la pianura lucchese e da qua verso il mare Ligure e Tirreno e la vecchia città di Luni, quindi guarda verso la piana pistoiese e quella fiorentina e si avanza verso i gioghi dell’Appennino sud-orientale, è fredda quasi per neve perpetua e dal suo nome i Galli furono chiamati Apuani”. I
l passare dei secoli ci porta bensì in pieno rinascimento e a lui, il Governatore della Garfagnana per eccellenza, l’autore del “L’Orlando Furioso”, Ludovico Ariosto:
“La nuda Pania tra l’Aurora e il noto, da altre parti il giogo mi circonda che fa d’un pellegrin la gloria noto”
così nella IV Satira. E’ il 1523 e qui la Pania è descritta come se fosse un giogo sulle spalle del poeta, costretto a vivere confinato in una regione a lui ostile. Le sue inquietudini si riflettono anche su un monte della Apuane in particolare: il Procinto, tanto da definirlo
Procinto
“la dimora del sospetto”
“Lo scoglio, ove ‘l sospetto fa soggiorno e dal mar alto da seicento braccia di rovinose balze cinto intorno e da ogni canto di cader minaccia il più stretto sentier che vada al Forno la dove il Garfagnino il ferro caccia, la via Flaminia o l’Appia nomar voglio verso quel che dal mar in cima al scoglio”.
Sempre nel medesimo periodo storico Michelangelo Buonarroti sta facendo “faville”. Nel 1501 ha già creato opere d’arte di sublime bellezza: La Pietà e il David. Il marmo con cui vengono fatte queste immortali sculture viene dalle Apuane (Monte Altissimo), dove lì si dannerà l’anima per circa due anni a
“domesticare i monti e ammaestrare gli uomini”.
Dopo il periodo degli artisti e dei poeti arrivò il momento di naturalisti e scienziati. E’ la fine del 1600 quando Pier Antonio Micheli (botanico italiano, la cui statua è situata fuori dagli Uffizi) arriva alle pendici della Pania e di li comincia la salita nei suoi versanti scoscesi alla ricerca dell’Elleboro, pianta considerata ottima come rimedio alla follia:
“Colse adunque la congiuntura di tre giorni festivi di seguito nel mese d’agosto, e si portò velocissimamente a piedi, con solo cinque paoli in tasca, e pochi quaderni di carta sugante, fino alla più alta cima della scoscesa Pietra Pana, appena accessibile alle capre, ed ivi gli riuscì trovare in abbondanza il desiderato Elleboro”.
Nel 1743 è Lazzaro Spallanzani (colui a cui è stato dedicato il famoso ospedale di Roma, celebre per le note vicende del Coronavirus) ad arrivare sulle Apuane, lo scienziato è venuto a studiare la conformazione dei monti, per lui sembrano “delle ossa spolpate”. Ma è il geografo Emanuele Repetti nel 1845 che ne da la similitudine più suggestiva definendole: “un mare in tempesta immediatamente pietrificato”.
Arriva poi il XIX secolo, il secolo degli alpinisti, delle prime risalite, il secolo della nascita del C.A.I (Club Alpino Italiano). Nel 1883 il celebre alpinista scozzese Francis Fox Tuckett sale sulla Pania e al riguardo scrive un articolo:
Pania della Croce (foto Daniele Saisi)
“La descrizione molto affascinante di W. D. Freshfield riguardo alle “Alpi Apuane”, e alla scalata che egli ha compiuto sulla Pania della Croce… mi ha reso impaziente di curiosare su e giù per questo amabile massiccio..”.
Gustavo Dalgas ricorda in questo modo una delle sue cinque salite verso il medesimo monte:
Pania della Croce (foto di Maxzina)
“…basta pensare che questo pizzo, unico fra i suoi anche un poco più elevati confratelli, si scorge contemporaneamente da Viareggio, da Lucca, da Pisa, da Livorno, da Volterra, da Siena, da Firenze, dalla valle inferiore dell’Arno e dalle pianure di Maremma fino al monte Argentaro, per farsi idea della vastità del panorama terrestre che esso domina, mentre gli si apre dinanzi vastissima distesa di mare, in cui si scorgono disseminate le isole dell’arcipelago Toscano fino alla Corsica, e l’osservatore mira ai suoi piedi, come una mappa dispiegata, il golfo della Spezia…”.
Fra corsi e ricorsi storici ritornò poi anche il tempo dei poeti…e che poeti !!!
“Occhio l’amor delle Apuane cime Natie libere: ardea nobile augello, in tra le folgori a vol tender su’ nembi”.
Il verso è tratto dalla raccolta di poesie “Levia Gravia” (1868) di Giosuè Carducci, d’altra parte il poeta quello che vede dalla sua finestra di casa (Valdicastello) sono proprio le Apuane. Carducci dunque vi nacque all’ombra di questi monti, lo studente e poi amico Giovanni Pascoli invece vi si trasferisce (Castelvecchio), scrivendo poi una poesia dal titolo “La Pania”(1907):
“Su la nebbia che fuma dal sonoro/Serchio, leva la Pania alto la fronte/nel sereno: un aguzzo blocco d’oro, /su cui piovano petali di rose/appassite. Io che l’amo, il vecchio monte,/gli parlo ogni alba, e molte dolci cose/gli dico:/O monte, che regni tra il fumo/del nembo, e tra il lume degli astri,/tu nutri nei poggi il profumo/di timi, di mente e mentastri…”.
La Pania dal giardino di casa Pascoli
Nel suo villeggiare per la Versilia nemmeno il Vate,Gabriele D’Annunzio è potuto sfuggire alla loro bellezza. Diverse sono le citazioni che gli ha riservato, ma fra le più belle rimane questa:
“Marmorea colonna di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte” (Meriggio 1903).
In conclusione bisogna dire che furono in molti fra i personaggi illustri a scrivere di Alpi Apuane, impossibile citarli tutti, ma le ultime righe di questo articolo sono per Fosco Maraini, scrittore insigne, viaggiatore e profondo conoscitore delle culture di tutto il mondo. Era nato a Firenze, ma le sue estati le passava a Pasquigliora, quattro case nel comune di Molazzana. Li, nonostante che i suoi occhi avessero visto tutto il mondo, tornava sempre a contemplare quei magnifici monti e ricordava sempre la prima volta che li conobbe, ed al suo accompagnatore così domandò: “Che sono quei monti?” chiesi molto incuriosito, quasi impaurito. “Sono le Alpi Apuane”, mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perché, alla creazione del mondo, terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color dell’incendio”.
#aneddotica magazine#Apuane letterarie#dante Alighieri#Giovanni Boccaccio#Monte pania#monte procinto#Pania della Croce#toscana#W. D. Freshfield
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Venti anni fa la tragedia. L''alluvione a Fornovolasco
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Venti anni fa la tragedia. L''alluvione a Fornovolasco
Sono già passati venti anni da quel 19 giugno del 1996.Le previsioni meteo in Garfagnana avevano dato cielo sereno e terso…niente di più falso.In verità si stava formando sulle creste delle Alpi Apuane uno scontro di aria fredda proveniente dal nord Italia,con aria calda umida proveniente dalle coste, creando così una rapidissima evoluzione meteorologica,ed infatti violentissimi temporali si scatenarono a partire dal primo mattino sulle Apuane a cavallo fra la Garfagnana e la Versilia e precisamente nella “striscia” di terra compresa fra i paesi di Cardoso di Stazzema e Fornovolasco. La mattinata passò quasi indenne a Fornovolasco,pioveva forte si, la Turrite si era ingrossata, ma niente lasciava presagire a quello che sarebbe successo di lì a poco.Verso le ore tredici il disastro si compì,la pioggia si trasformò in vero e proprio diluvio, in poche ore il pluviometro delle Apuane registrò un valore cumulativo di precipitazioni da record pari a 440 mm in otto ore con una punta massima di 157 mm in un ora.Fatto sta che dalla montagna scese acqua mista a fango e detriti che distrusse i ponti di Fornovolasco e le case.
Fornovolasco, qualche mesedopo l’alluvione (foto tratta da facebook Laura Giannini)
Dal Monte Forato che sta ad ovest del paese,ma sopratutto dalla Pania Secca e dalla Pania della Croce insieme all’acqua, questi monti “vomitarono” migliaia di metri cubi di terra dalla profondità delle loro viscere.Purtroppo la tragedia ebbe il suo apice con la morte della povera signora Isola Frati,la sua casa fu travolta dalla furia dell’acqua e dei massi.Il paese di Fornovolasco quel giorno rischiò veramente di sparire dalla faccia della terra.Ben più grave in fatto di vittime fu il bilancio versiliese. Cardoso contò quel maledetto 19 giugno ben 12 vittime. Lo stesso Gallicano è bene precisare a detta degli esperti rischiò seriamente quel giorno,fortuna volle che pi�� a valle la diga di Trombacco fosse completamente vuota perchè in manutenzione e fu così in grado di accogliere l’impeto della gran parte della piena.A tragedia avvenuta ancora in molti non si spiegano la tanta acqua precipitata in così poco tempo,mai era successa una cosa simile,mai da archivi storici locali risulta almeno in tempi moderatamente recenti una catastrofe simile.
Oggi Fornovolasco
Comunque il paese si rimboccò le maniche e trovò l’immediata reazione dei suoi abitanti e degli enti locali e Fornovolasco un anno dopo poté già inaugurare i due ponti e la ricostruita Piazza Pascoli,nonché il ripristino della chiesa di San Francesco di nuovo agibile e affrescata dal maestro Paolo Maiani.Ad oggi Fornovolasco è ancora lì;grazie a Dio più bello che prima.
di Paolo Marzi
http://paolomarzi.blogspot.de
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La misteriosa origine del nome delle 33 vette delle Apuane
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La misteriosa origine del nome delle 33 vette delle Apuane
“Da essi monti si diramano vari contrafforti, che portano sui loro ciglioni acute prominenze ed una criniera dentellata e discoscesa tanto, che un uomo che non abbia le ali di Dedalo o di Gerione difficilmente può su quelle balze passeggiare. Essendo che simili creste, dove solo allignano piante alpine e annidiano aquile, sono fiancheggiate da profondi burroni pietrosi di color grigio, i quali si succedono gli uni appresso gli altri in direzione quasi uniforme, in guisa che visti dall’alto offrono all’immagine la figura di un mare tempestoso istantaneamente pietrificato”.
Nel 1883 lo storico e geografo Emanuele Repetti descriveva le Apuane con una similitudine fra le più belle ed espressive che siano mai state scritte su queste montagne, eppure di questi luoghi avevano scritto letterati sublimi come Dante, Ariosto e Boccaccio, tuttavia la definizione “di un mare in tempesta istantaneamente pietrificato”, rende chiara l’immagine e la natura delle Apuane.
“un mare in tempesta pietrificato” Borra Canala (Foto Paolo Marzi)
D’altronde le Apuane sono sempre state montagne quasi magiche, a partire proprio dal loro aspetto, dalla loro storia, dalle leggende e dalle “fole” che una volta si raccontavano la sera a “veglio“. Erano narrazioni che vedevano un intrecciarsi di vicende sacre e profane: diavoli, santi, streghi, buffardelli, “omini” selvatici, erano i protagonisti di queste leggende, trame che avevano radici antichissime e che si rifacevano a coloro che dettero il nome a queste antiche vette: gli Apuani. Erano loro gli antichi abitanti di questi monti, fieri, indomiti e cocciuti, proprio come sono oggi quelli che vivono da queste parti. La denominazione Alpi Apuane compare, forse, la prima volta nel 1804 al nuovo dipartimento del Regno italico: “L’aspetto frastagliato delle creste montuose, che ricordano quelle delle Dolomiti, e il biancheggiare quasi niveo dei detriti marmorei delle celebri cave, giustifica il nome di Alpi”. A proposito di nomi ci siamo mai chiesti il significato del toponimo delle trentatrè maggiori cime delle Apuane?
(Foto Paolo Marzi)
Chi è appassionato di passeggiate o scalate sarà salito su quelle cime decine e decine di volte… e fra sè e sè non si sarà mai chiesto… ma perchè il Monte Cavallo si chiama così?…e la Pania Secca?… e il Sagro? Una buona parte di questi nomi si rifà proprio a quelle leggende narrate al caldo di un camino, o anche alle millenarie tradizioni di popoli remoti, altre ancora alla conformazione del monte stesso…Proviamo allora, a fare un viaggio nel misterioso mondo dei loro toponimi.
Prima di cominciare però, se mi consentite vorrei chiedere il vostro aiuto, nonostante le mie varie ricerche non sono riuscito a dare un significato ed un perchè a tutti i nomi delle vette apuane, chiedo per questo la vostra assistenza per completare la definizione delle otto cime che mancano all’appello. L’elenco non sarà alfabetico, ma andremo per ordine di altezza, dalla cima più alta a quella più bassa.
Il Pisanino (foto di Emanuele Lotti)
Il Pisanino La vetta più alta di tutte le Apuane, che nome curioso…il rimando va subito alla città di Pisa…e così in effetti è. Eravamo ai tempi delle confederazioni etrusche e i centri urbani più ricchi come Pisa venivano regolarmente depredati. In una di queste scorribande il popolo spaventato per sfuggire alle persecuzioni scappò verso nord e uno di questi spaventati soldati arrivò fino in alta Garfagnana. Trovò rifugio presso un pastore che aveva il suo gregge su questo alto monte. Lo sventurato per paura però non rivelò mai il suo vero nome a nessuno e per gli abitanti del luogo era conosciuto semplicemente con l’appellativo di “Pisanino”, al momento della sua morte quel monte dove aveva trovato riparo prese il suo nomignolo. (Per saperne di più clicca qui: http://paolomarzi.blogspot.com/2014/05/una-leggenda-struggentela-leggenda-del.html)
Monte Cavallo L’etimologia del Monte Cavallo prende l’appellativo dalla sua conformazione, quattro sono le sue gobbe tondeggianti.
La Tambura
La Tambura Il geologo Carlo De Stefani nel 1881 così scriveva: “…la chiamano la Tambura o le Tambure, sebbene poi il nome di Tambura sia dato in special modo alla regione situata a nord del passo omonimo, comprendente anche il Monte Prispole, che, siccome dicevo, viene spesso chiamato, sebbene un poco impropriamente, Tambura. Si chiama Fosso Tambura il canale che scorre nella Valle di Arnetola e raccoglie le acque del versante est della Tambura e dalla Roccandagia e dalle pendici sud del Monte Fiocca e, probabilmente, il nome al fosso precede l’attribuzione del nome al monte”
La Pania della Croce
Pania della Croce La regina delle Apuane, conosciuta in antichità come “Pietrapana” , ovvero Monte degli Apuani. Agli inizi del 1800 si pensò però di fare di questa vetta l’altare delle Apuane. Dalla sua sommità si poteva ammirare, quasi toccare i tre elementi di vita terrena: acqua (il mare della Versilia), la terra (i monti garfagnini) e il cielo. Tale era la magnificenza che lassù ci si sentiva a stretto contatto con Dio e in segno di devozione fu eretta la sua prima croce che era in legno.(Per saperne di più clicca qui:http://paolomarzi.blogspot.com/2014/04/la-pania-della-crocee-la-problematica.html)
Monte Contrario Veramente bizzarro il nome di questo monte. Questo appellativo fu usato per la prima volta in un documento ufficiale nel 1899 da Axel Chun (noto industriale ed appassionato di montagna). Già così era comunque chiamato dai pastori locali, poichè tale denominazione ha origine dal fatto di essere inserito nella linea di spartiacque apuana con andamento diverso da quello delle altre montagne, ma, naturalmente, anche per l’aspetto completamente diverso che offre all’osservatore se visto dall’Orto di Donna o dalle valli massesi.
Pizzo d’Uccello (Foto Daniele Saisi)
Pizzo d’Uccello La presenza dei corvi che li nidificano e in passato la maestosa aquila reale che su quella cima aveva la sua casa gli attribuirono il nome
Monte Sumbra Molte leggende ci sono su questa montagna nella zona di Vagli, dove il Sumbra incombe con la sua imponente mole. Il nome a quanto pare deriva dall’aspetto di un animale accovacciato sulla sua ombra.
Monte Sagro I Liguri Apuani raccontavano che sulla cima vivesse un Dio pietoso elargitore di piogge, un monte sacro quindi, legato proprio al culto delle vette.
Monte Sella Il toponimo nasce dalla sua forma a schienale d’asino
Pizzo delle Saette Proprio lì, cadono tutti lì: lampi, fulmini e folgori. Sarà perchè il monte ha vene minerarie ferrose? Probabile.
Pania Secca (foto Paolo Marzi)
Pania Secca Verrà forse chiamata così per il suo aspetto brullo e spoglio? Ma anche altre montagne apuane hanno il solito aspetto..Infatti la sua storia, o meglio il perchè di questo nome affonda le radici nella tradizione popolare e racconta che Gesù venne a far visita ad un pastore che li abitava. Il Signore bisognoso d’acqua la chiese all’uomo che malamente gliela rifiutò. Il gesto richiamò la collera di Dio su quel luogo e quando le nubi si addensarono sul monte e cominciò a piovere ogni goccia che cadeva si trasformò in una pietra, rendendo il monte spoglio e arido così come oggi lo conosciamo.(Per saperne di più clicca qui: http://paolomarzi.blogspot.com/2014/07/la-leggenda-della-pania-seccavoluta.html)
Monte Corchia
Monte Corchia Per Corchia si può intendere conchiglia, riferito alla caratteristica del monte che vede il suo interno vuoto e dove esistono numerose cavità.
Monte Altissimo Il suo aspetto inganna, visto che altissimo non è, ma se visto dal mare la sua imponenza fa impressione.
Monte Croce Più che altro famoso per la fioritura delle giunchiglie, sulla sommità c’è una croce da tempo immemore.
Monte Freddone Nel suo nome c’è il suo perchè… Il luogo deve il suo appellativo all’ambiente umido di torbiera che lo contraddistingue.
Monte Borla Probabilmente dal greco bothros, che significa fosso, cavità, buca. Da lì anche il nome Borra Canala, zona situata ai piedi delle Panie.
Monte Maggiore Visto da Carrara è il più grande, inevitabile che si chiamasse così
Monte Matanna Qui facciamo nuovamente riferimento alle antiche divinità apuane: Thana, era la dea della luce lunare.
Monte Forato (foto Daniele Saisi)
Monte Forato Credo che il suo toponimo non abbia bisogno di spiegazioni. L’arco naturale si è formato per l’erosione di acqua e vento. Ha una campata di 32 metri e una altezza massima di 25 m, lo spessore della roccia che forma l’arco è circa 8 metri mentre l’altezza è circa 12 metri, queste misure ne fanno uno dei più grandi archi naturali italiani.
Monte Gabberi In tempi lontani detto anche monte Gabbaro, da gabbro, glabro: liscio, pelato.
Monte Lieto Che bel nome questo. In questo luogo sono stati trovati reperti dell’età del ferro che documentano l’occupazione da parte dei Liguri Apuani tra il 300 e il 200 a.C. Probabilmente anche questa era una montagna sacra a queste antiche popolazioni. Il suo toponimo è possibile che derivi da Leto parola legata al passaggio dalla vita terrena all’aldilà.
Montalto La sua altezza era sfruttata dai Liguri Apuani, dove li insediarono torri di vedetta. L’ampia visuale sulla vallata e sul Mar Tirreno faceva si, che si potessero avvistare i nemici in lontananza.
Foto di Paolo Marzi
Questa era l’ultima montagna da me studiata e analizzata. Come avete letto all’appello mancano alcune cime a cui non sono riuscito a trovare il certo significato etimologico. A questo elenco mancano: il Grondilice, Roccandagia, Fiocca, Macina, Nona, Piglione, Prana e Procinto. Questo articolo perciò rimane incompiuto… Chiunque volesse darmi una mano a completare questo pezzo ne sarò ben lieto.
Spero comunque di aver fatto cosa gradita a tutti i miei lettori, agli amanti della montagna e ai suoi abitanti.
Bibliografia:
http://www.escursioniapuane.com/
#Alpi Apuane#Apuane#Montalto#Monte Altissimo#Monte Borla#Monte Cavallo#Monte Contrario#Monte Corchia#Monte Croce#Monte Forato#Monte Freddone#Monte Gabberi#Monte Lieto#Monte Maggiore#monte matanna#monte Pisanino#Monte Sagro#Monte Sella#Monte Sumbra#Monte Tambura#Pania della Croce#Pania Secca#Pizzo d'Uccello#Pizzo delle Saette#toscana
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La misteriosa origine del nome delle 33 vette delle Apuane
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La misteriosa origine del nome delle 33 vette delle Apuane
“Da essi monti si diramano vari contrafforti, che portano sui loro ciglioni acute prominenze ed una criniera dentellata e discoscesa tanto, che un uomo che non abbia le ali di Dedalo o di Gerione difficilmente può su quelle balze passeggiare. Essendo che simili creste, dove solo allignano piante alpine e annidiano aquile, sono fiancheggiate da profondi burroni pietrosi di color grigio, i quali si succedono gli uni appresso gli altri in direzione quasi uniforme, in guisa che visti dall’alto offrono all’immagine la figura di un mare tempestoso istantaneamente pietrificato”.
Nel 1883 lo storico e geografo Emanuele Repetti descriveva le Apuane con una similitudine fra le più belle ed espressive che siano mai state scritte su queste montagne, eppure di questi luoghi avevano scritto letterati sublimi come Dante, Ariosto e Boccaccio, tuttavia la definizione “di un mare in tempesta istantaneamente pietrificato”, rende chiara l’immagine e la natura delle Apuane.
“un mare in tempesta pietrificato” Borra Canala (Foto Paolo Marzi)
D’altronde le Apuane sono sempre state montagne quasi magiche, a partire proprio dal loro aspetto, dalla loro storia, dalle leggende e dalle “fole” che una volta si raccontavano la sera a “veglio“. Erano narrazioni che vedevano un intrecciarsi di vicende sacre e profane: diavoli, santi, streghi, buffardelli, “omini” selvatici, erano i protagonisti di queste leggende, trame che avevano radici antichissime e che si rifacevano a coloro che dettero il nome a queste antiche vette: gli Apuani. Erano loro gli antichi abitanti di questi monti, fieri, indomiti e cocciuti, proprio come sono oggi quelli che vivono da queste parti. La denominazione Alpi Apuane compare, forse, la prima volta nel 1804 al nuovo dipartimento del Regno italico: “L’aspetto frastagliato delle creste montuose, che ricordano quelle delle Dolomiti, e il biancheggiare quasi niveo dei detriti marmorei delle celebri cave, giustifica il nome di Alpi”. A proposito di nomi ci siamo mai chiesti il significato del toponimo delle trentatrè maggiori cime delle Apuane?
(Foto Paolo Marzi)
Chi è appassionato di passeggiate o scalate sarà salito su quelle cime decine e decine di volte… e fra sè e sè non si sarà mai chiesto… ma perchè il Monte Cavallo si chiama così?…e la Pania Secca?… e il Sagro? Una buona parte di questi nomi si rifà proprio a quelle leggende narrate al caldo di un camino, o anche alle millenarie tradizioni di popoli remoti, altre ancora alla conformazione del monte stesso…Proviamo allora, a fare un viaggio nel misterioso mondo dei loro toponimi.
Prima di cominciare però, se mi consentite vorrei chiedere il vostro aiuto, nonostante le mie varie ricerche non sono riuscito a dare un significato ed un perchè a tutti i nomi delle vette apuane, chiedo per questo la vostra assistenza per completare la definizione delle otto cime che mancano all’appello. L’elenco non sarà alfabetico, ma andremo per ordine di altezza, dalla cima più alta a quella più bassa.
Il Pisanino (foto di Emanuele Lotti)
Il Pisanino La vetta più alta di tutte le Apuane, che nome curioso…il rimando va subito alla città di Pisa…e così in effetti è. Eravamo ai tempi delle confederazioni etrusche e i centri urbani più ricchi come Pisa venivano regolarmente depredati. In una di queste scorribande il popolo spaventato per sfuggire alle persecuzioni scappò verso nord e uno di questi spaventati soldati arrivò fino in alta Garfagnana. Trovò rifugio presso un pastore che aveva il suo gregge su questo alto monte. Lo sventurato per paura però non rivelò mai il suo vero nome a nessuno e per gli abitanti del luogo era conosciuto semplicemente con l’appellativo di “Pisanino”, al momento della sua morte quel monte dove aveva trovato riparo prese il suo nomignolo. (Per saperne di più clicca qui: http://paolomarzi.blogspot.com/2014/05/una-leggenda-struggentela-leggenda-del.html)
Monte Cavallo L’etimologia del Monte Cavallo prende l’appellativo dalla sua conformazione, quattro sono le sue gobbe tondeggianti.
La Tambura
La Tambura Il geologo Carlo De Stefani nel 1881 così scriveva: “…la chiamano la Tambura o le Tambure, sebbene poi il nome di Tambura sia dato in special modo alla regione situata a nord del passo omonimo, comprendente anche il Monte Prispole, che, siccome dicevo, viene spesso chiamato, sebbene un poco impropriamente, Tambura. Si chiama Fosso Tambura il canale che scorre nella Valle di Arnetola e raccoglie le acque del versante est della Tambura e dalla Roccandagia e dalle pendici sud del Monte Fiocca e, probabilmente, il nome al fosso precede l’attribuzione del nome al monte”
La Pania della Croce
Pania della Croce La regina delle Apuane, conosciuta in antichità come “Pietrapana” , ovvero Monte degli Apuani. Agli inizi del 1800 si pensò però di fare di questa vetta l’altare delle Apuane. Dalla sua sommità si poteva ammirare, quasi toccare i tre elementi di vita terrena: acqua (il mare della Versilia), la terra (i monti garfagnini) e il cielo. Tale era la magnificenza che lassù ci si sentiva a stretto contatto con Dio e in segno di devozione fu eretta la sua prima croce che era in legno.(Per saperne di più clicca qui:http://paolomarzi.blogspot.com/2014/04/la-pania-della-crocee-la-problematica.html)
Monte Contrario Veramente bizzarro il nome di questo monte. Questo appellativo fu usato per la prima volta in un documento ufficiale nel 1899 da Axel Chun (noto industriale ed appassionato di montagna). Già così era comunque chiamato dai pastori locali, poichè tale denominazione ha origine dal fatto di essere inserito nella linea di spartiacque apuana con andamento diverso da quello delle altre montagne, ma, naturalmente, anche per l’aspetto completamente diverso che offre all’osservatore se visto dall’Orto di Donna o dalle valli massesi.
Pizzo d’Uccello (Foto Daniele Saisi)
Pizzo d’Uccello La presenza dei corvi che li nidificano e in passato la maestosa aquila reale che su quella cima aveva la sua casa gli attribuirono il nome
Monte Sumbra Molte leggende ci sono su questa montagna nella zona di Vagli, dove il Sumbra incombe con la sua imponente mole. Il nome a quanto pare deriva dall’aspetto di un animale accovacciato sulla sua ombra.
Monte Sagro I Liguri Apuani raccontavano che sulla cima vivesse un Dio pietoso elargitore di piogge, un monte sacro quindi, legato proprio al culto delle vette.
Monte Sella Il toponimo nasce dalla sua forma a schienale d’asino
Pizzo delle Saette Proprio lì, cadono tutti lì: lampi, fulmini e folgori. Sarà perchè il monte ha vene minerarie ferrose? Probabile.
Pania Secca (foto Paolo Marzi)
Pania Secca Verrà forse chiamata così per il suo aspetto brullo e spoglio? Ma anche altre montagne apuane hanno il solito aspetto..Infatti la sua storia, o meglio il perchè di questo nome affonda le radici nella tradizione popolare e racconta che Gesù venne a far visita ad un pastore che li abitava. Il Signore bisognoso d’acqua la chiese all’uomo che malamente gliela rifiutò. Il gesto richiamò la collera di Dio su quel luogo e quando le nubi si addensarono sul monte e cominciò a piovere ogni goccia che cadeva si trasformò in una pietra, rendendo il monte spoglio e arido così come oggi lo conosciamo.(Per saperne di più clicca qui: http://paolomarzi.blogspot.com/2014/07/la-leggenda-della-pania-seccavoluta.html)
Monte Corchia
Monte Corchia Per Corchia si può intendere conchiglia, riferito alla caratteristica del monte che vede il suo interno vuoto e dove esistono numerose cavità.
Monte Altissimo Il suo aspetto inganna, visto che altissimo non è, ma se visto dal mare la sua imponenza fa impressione.
Monte Croce Più che altro famoso per la fioritura delle giunchiglie, sulla sommità c’è una croce da tempo immemore.
Monte Freddone Nel suo nome c’è il suo perchè… Il luogo deve il suo appellativo all’ambiente umido di torbiera che lo contraddistingue.
Monte Borla Probabilmente dal greco bothros, che significa fosso, cavità, buca. Da lì anche il nome Borra Canala, zona situata ai piedi delle Panie.
Monte Maggiore Visto da Carrara è il più grande, inevitabile che si chiamasse così
Monte Matanna Qui facciamo nuovamente riferimento alle antiche divinità apuane: Thana, era la dea della luce lunare.
Monte Forato (foto Daniele Saisi)
Monte Forato Credo che il suo toponimo non abbia bisogno di spiegazioni. L’arco naturale si è formato per l’erosione di acqua e vento. Ha una campata di 32 metri e una altezza massima di 25 m, lo spessore della roccia che forma l’arco è circa 8 metri mentre l’altezza è circa 12 metri, queste misure ne fanno uno dei più grandi archi naturali italiani.
Monte Gabberi In tempi lontani detto anche monte Gabbaro, da gabbro, glabro: liscio, pelato.
Monte Lieto Che bel nome questo. In questo luogo sono stati trovati reperti dell’età del ferro che documentano l’occupazione da parte dei Liguri Apuani tra il 300 e il 200 a.C. Probabilmente anche questa era una montagna sacra a queste antiche popolazioni. Il suo toponimo è possibile che derivi da Leto parola legata al passaggio dalla vita terrena all’aldilà.
Montalto La sua altezza era sfruttata dai Liguri Apuani, dove li insediarono torri di vedetta. L’ampia visuale sulla vallata e sul Mar Tirreno faceva si, che si potessero avvistare i nemici in lontananza.
Foto di Paolo Marzi
Questa era l’ultima montagna da me studiata e analizzata. Come avete letto all’appello mancano alcune cime a cui non sono riuscito a trovare il certo significato etimologico. A questo elenco mancano: il Grondilice, Roccandagia, Fiocca, Macina, Nona, Piglione, Prana e Procinto. Questo articolo perciò rimane incompiuto… Chiunque volesse darmi una mano a completare questo pezzo ne sarò ben lieto.
Spero comunque di aver fatto cosa gradita a tutti i miei lettori, agli amanti della montagna e ai suoi abitanti.
Bibliografia:
http://www.escursioniapuane.com/
#Alpi Apuane#Apuane#Montalto#Monte Altissimo#Monte Borla#Monte Cavallo#Monte Contrario#Monte Corchia#Monte Croce#Monte Forato#Monte Freddone#Monte Gabberi#Monte Lieto#Monte Maggiore#monte matanna#monte Pisanino#Monte Sagro#Monte Sella#Monte Sumbra#Monte Tambura#Pania della Croce#Pania Secca#Pizzo d'Uccello#Pizzo delle Saette#toscana
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Le leggende di Natale in Toscana
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Le leggende di Natale in Toscana
Non voglio essere irriverente, ne tanto blasfemo, ma l’elettrizzante magia che coinvolge buona parte degli aspetti del Natale è legata al mito, alla tradizione e in molti, moltissimi casi alla leggenda. Già la stessa data in cui si festeggia la venuta al mondo del Salvatore, rientra proprio in quest’ottica; la Bibbia non dice nulla di specifico circa il mese o il giorno in cui nacque Gesù. Nella scelta del 25 dicembre come giorno di Natale, influi il calendario civile romano, che alla fine del III° secolo celebrava in quel giorno il solstizio invernale, il cosiddetto “sole invitto”. Da quella data, le giornate si facevano più lunghe e metaforicamente parlando, in questo contesto, alla nascita del Cristo gli venne attribuito medesimo significato, il significato della Luce che nasce per sconfiggere le tenebre, un nuovo sole di giustizia e verità.
Babbo Natale e San Nicola
Questo è l’esempio più alto, più significativo, ma ne possiamo citare altri, meno sintomatici, ma utili per capire il concetto. E se, come nella circostanza della nascita di Gesù, il paganesimo si è fatto cristianesimo, nel caso di Babbo Natale è il fatto contrario, è il cristianesimo che si è trasformato in paganesimo. Si, perchè Babbo Natale vide origine in San Nicola, santo vissuto nel IV secolo e festeggiato il 6 dicembre. Secondo la tradizione, San Nicola regalò una dote a tre fanciulle povere, perchè potessero andare in sposa, invece di darsi alla prostituzione, in un’altra occasione salvò tre bambini. Fu così, che nel Medioevo prese usanza, nel giorno in cui si festeggia il santo di commemorare tutti questi episodi, facendo piccoli regali ai bimbi. Con il passare dei secoli, in special modo nel Nord Europa, si appropriarono di questo commemorazione, trasformando San Nicola in Samiklaus, Sinterclaus o nel nome a noi più conosciuto di Santa Claus. Di li, il passo fu breve, i festeggiamenti si spostarono alla festa più vicina e più importante: il Natale. Si potrebbe continuare ancora e osservare che anche l’albero di Natale nasce dalle credenze popolari nordiche, così come le palline con cui viene decorato videro la loro genesi nella leggenda. Insomma, tutto quello che è legato al Natale è ammantato di leggenda, favola e allegoria e a tutto questo non si poteva sottrarre la Garfagnana, una delle culle di questi tradizionali racconti e allora seguitemi faremo un viaggio in alcune delle leggende di Natale della Garfagnana.
LO ZINEBRO
Ginepro
In Garfagnana c’è l’usanza di fare l’albero di Natale con il Ginepro, mai con l’abate, nemmeno con il pino, solamente con lo zinepro (come si dice in dialetto). E sapete il perche? Perchè quando San Giuseppe e la Madonna scapparono per andare in Egitto e il perfido Erode dava la caccia a tutti i bambini, fu proprio lo zinepro che salvò Gesù, comportandosi meglio delle altre piante. Era una notte buia e tempestosa, pioveva a più non posso, e dopo la pioggia anche la neve. Il povero San Giuseppe non sapeva come fare a riparare dal maltempo se stesso e Maria, non c’era l’ombra di una capanna, nemmanco di un metato, di fronte a se aveva solamente selve. Videro allora una ginestra e gli chiesero riparo, la ginestra stizzita le mandò via. Gambe in spalla allora, finchè non videro una bella scopa (n.d.r: un’erica), alta e frondosa, all’ennesima pietosa richiesta di riparo la scopa ebbe a dire:– Surtitimi di torno, io nun ne vo’ sapè di voialtri. E poi se per disgrazia passa Erode e vi trova qui sotto mi brugia anco me. Surtitimi di torno v’ho ditto!- Intanto continuava a nevicare copiosamente e ai due poveri sposi non rimaneva altro che cercare un albero benevolo. La stanchezza però oramai le stava vincendo, fino a che non scorsero uno zinepro, anche a lui chiesero riparo:- Vinite, vinite pure– gli rispose e per ripararli meglio e perchè Erode non li trovasse protese i suoi aghi in avanti – Cusì se viene Erode si punge tutto-. Il malvagio tiranno passò, ma non le trovò. Il mattino dopo aveva smesso di nevicare e finalmente San Giuseppe e la Madonna ripresero la strada per l’Egitto. Da quel giorno per i garfagnini lo zinepro diventò il loro albero di Natale.
I RE MAGI SULLA PANIA
L’impronta dei cammelli sulla Pania
Credeteci pure, c’è una notte, fra Natale e la Befana che i Re Magi passano sopra la Pania, sui loro cammelli alati. Veleggiando sui nostri monti si dirigono verso Betlemme, guidati da una stella maestra. Quello che è certo che la strada è lunga da fare, il percorso è improbo e le Apuane sono uno scoglio duro da superare. Quello è proprio il periodo del maltempo, pioggia e bufere di neve sono all’ordine del giorno e i venti che spirano dal mare creano un muro di nebbia invalicabile, infatti quando i tre Re passano proprio sulla vetta della Pania della Croce i cammelli repentinamente si abbassano dirigendosi verso il monte, prendendo da li lo slancio verso il mare. Nel punto esatto dove gli zoccoli dei quadrupedi toccano la cima, lasciano l’impronta dei loro zoccoli e nel cielo uno sfavillio di scintille, che vengono giù come luccicanti stelle cadenti.
SAN PELLEGRINO E BERTONE: IL MUGNAIO CHE NON VOLEVA FESTEGGIARE IL NATALE
C’è una località vicino a Castiglione che è detta “Il Mulinaccio”,
questo dispregiativo ha un perchè. All’epoca, in questa località sorgeva un mulino che prendeva le acque dal vicino torrente chiamato “Butrion”. Il padrone era il mugnaio Bertone, uomo infido, antipatico e pure cattivo, dal momento che ad ogni piè sospinto bestemmiava Nostro Signore. Dal cielo l’arcangelo Gabriele chiedeva vendetta, ma il Signore visto l’intercedere di San Pellegrino chiudeva sempre un occhio, chiedendo però in cambio un’opera buona del mugnaio irrispettoso. L’occasione di redenzione l’ebbe la notte di Natale. Tutti i paesani si stavano preparando per andare alla messa, le campane stavano suonando, ma Bertone non ne voleva sapere di andare a messa e per dispetto e per avidità dette il via alle rumorose macine del mulino e cominciò a lavorare. All’improvviso un sinistro rumore echeggiò da sopra il suo mulino, dalla montagna si staccò un grosso masso, che sollecitato dalle ali dell’arcangelo precipitò sulla costruzione, schiacciando Bertone. Si racconta che da quei tempi, proprio la notte di Natale chi passa da quelle parti, sente ancora strani rumori, come lo strepitio di catene e il girar di macine.
IL CEPPO DI NATALE
In Garfagnana dove il retaggio contadino è ancora sentito, le tradizioni natalizie vengono tenute vive affinchè non venga dimenticato l’insegnamento degli avi. Questo è il caso del “ceppo di Natale”, che di leggenda non ha niente, ma rientra nelle nostre care, vecchie e dimenticate tradizioni. Il ceppo, non è altro che un grosso ciocco di legno messo ad ardere nei camini alla vigilia di Natale. Il grosso pezzo di legno, alcuni mesi prima veniva già adocchiato dal contadino, una volta scelto accuratamente era messo ad asciugare, pronto per quella sera ad essere arso davanti alla famiglia riunita. La particolarità era che questo grosso ciocco (talvolta talmente grande da essere trasportato da due persone), doveva ardere fino alla sera di Santo Stefano, in alcune famiglie addirittura fino alla sera del capodanno. Per durare così a lungo venivano usati alcuni stratagemmi, come ungerlo con il grasso di maiale o coprirlo di cenere perchè la brace non lo bruciasse completamente. Di solito veniva chiamato pure il prete a benedire il ceppo, dato che il suo significato rientrava nella sfera religiosa, dal momento che il suo calore doveva servire per accogliere e riscaldare la venuta di Gesù Bambino nella casa.
Ma quest’usanza vide la sua origine in tempi lontanissimi e si rifaceva probabilmente al significato puramente pagano che si dava al solstizio d’inverno: un fuoco sacro, in collegamento diretto con il sole. Tant’è che proprio San Bernardino da Siena deplorava questa tradizione. Siamo a Firenze nel 1424 e queste furono le sue parole: “Per la natività di nostro Signore Gesù Cristo in molti luoghi si fa tanto onore al ceppo. Dalli ben bere! Dalli mangiare! El maggiore della casa il pone suso e falli dare denari e frasche. Perché è così in Natale rinnegata la fede e perché so’ convertite le feste di Dio in quelle del diavolo? Si vuole mettere el ceppo nel fuoco et che sia l’uomo della casa quello che vel mette, coloro i quali pongono il ceppo al fuoco la vigilia di Natale, conservano poi del carbone alcuni contro il cattivo tempo pongono fuori della propria casa l’avanzo del ceppo bruciato a Natale”. Si, perchè esiste ancora l’usanza di conservare le sue ceneri, a quanto pare hanno proprietà magiche e di buon augurio: possono essere sparse nei campi per avere un buon raccolto, favoriscono la fertilità degli animali e proteggono dai fulmini.
San Bernardino, il predicatore
Leggende e usanze queste, che fanno parte di un bagaglio culturale antico, che si intreccia in un singolare mix di sacro e profano, ricordandoci che non è importante cosa trovi sotto l’albero di Natale, ma chi trovi intorno. Buon Natale a tutti !!!
Bibliografia:
“La Pania” dicembre 1990 “Il zinebro” professor Gastone Venturelli
“Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane” Paolo Fantozzi. Edizioni le lettere
“Predica XXIV” San Bernardino da Siena
#Babbo Natale#Ginepro#Natale#paolo marzi#Samiklaus#San Bernardino#San Nicola#Santa Claus#Sinterclaus#toscana
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Le leggende di Natale in Toscana
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Le leggende di Natale in Toscana
Non voglio essere irriverente, ne tanto blasfemo, ma l’elettrizzante magia che coinvolge buona parte degli aspetti del Natale è legata al mito, alla tradizione e in molti, moltissimi casi alla leggenda. Già la stessa data in cui si festeggia la venuta al mondo del Salvatore, rientra proprio in quest’ottica; la Bibbia non dice nulla di specifico circa il mese o il giorno in cui nacque Gesù. Nella scelta del 25 dicembre come giorno di Natale, influi il calendario civile romano, che alla fine del III° secolo celebrava in quel giorno il solstizio invernale, il cosiddetto “sole invitto”. Da quella data, le giornate si facevano più lunghe e metaforicamente parlando, in questo contesto, alla nascita del Cristo gli venne attribuito medesimo significato, il significato della Luce che nasce per sconfiggere le tenebre, un nuovo sole di giustizia e verità.
Babbo Natale e San Nicola
Questo è l’esempio più alto, più significativo, ma ne possiamo citare altri, meno sintomatici, ma utili per capire il concetto. E se, come nella circostanza della nascita di Gesù, il paganesimo si è fatto cristianesimo, nel caso di Babbo Natale è il fatto contrario, è il cristianesimo che si è trasformato in paganesimo. Si, perchè Babbo Natale vide origine in San Nicola, santo vissuto nel IV secolo e festeggiato il 6 dicembre. Secondo la tradizione, San Nicola regalò una dote a tre fanciulle povere, perchè potessero andare in sposa, invece di darsi alla prostituzione, in un’altra occasione salvò tre bambini. Fu così, che nel Medioevo prese usanza, nel giorno in cui si festeggia il santo di commemorare tutti questi episodi, facendo piccoli regali ai bimbi. Con il passare dei secoli, in special modo nel Nord Europa, si appropriarono di questo commemorazione, trasformando San Nicola in Samiklaus, Sinterclaus o nel nome a noi più conosciuto di Santa Claus. Di li, il passo fu breve, i festeggiamenti si spostarono alla festa più vicina e più importante: il Natale. Si potrebbe continuare ancora e osservare che anche l’albero di Natale nasce dalle credenze popolari nordiche, così come le palline con cui viene decorato videro la loro genesi nella leggenda. Insomma, tutto quello che è legato al Natale è ammantato di leggenda, favola e allegoria e a tutto questo non si poteva sottrarre la Garfagnana, una delle culle di questi tradizionali racconti e allora seguitemi faremo un viaggio in alcune delle leggende di Natale della Garfagnana.
LO ZINEBRO
Ginepro
In Garfagnana c’è l’usanza di fare l’albero di Natale con il Ginepro, mai con l’abate, nemmeno con il pino, solamente con lo zinepro (come si dice in dialetto). E sapete il perche? Perchè quando San Giuseppe e la Madonna scapparono per andare in Egitto e il perfido Erode dava la caccia a tutti i bambini, fu proprio lo zinepro che salvò Gesù, comportandosi meglio delle altre piante. Era una notte buia e tempestosa, pioveva a più non posso, e dopo la pioggia anche la neve. Il povero San Giuseppe non sapeva come fare a riparare dal maltempo se stesso e Maria, non c’era l’ombra di una capanna, nemmanco di un metato, di fronte a se aveva solamente selve. Videro allora una ginestra e gli chiesero riparo, la ginestra stizzita le mandò via. Gambe in spalla allora, finchè non videro una bella scopa (n.d.r: un’erica), alta e frondosa, all’ennesima pietosa richiesta di riparo la scopa ebbe a dire:– Surtitimi di torno, io nun ne vo’ sapè di voialtri. E poi se per disgrazia passa Erode e vi trova qui sotto mi brugia anco me. Surtitimi di torno v’ho ditto!- Intanto continuava a nevicare copiosamente e ai due poveri sposi non rimaneva altro che cercare un albero benevolo. La stanchezza però oramai le stava vincendo, fino a che non scorsero uno zinepro, anche a lui chiesero riparo:- Vinite, vinite pure– gli rispose e per ripararli meglio e perchè Erode non li trovasse protese i suoi aghi in avanti – Cusì se viene Erode si punge tutto-. Il malvagio tiranno passò, ma non le trovò. Il mattino dopo aveva smesso di nevicare e finalmente San Giuseppe e la Madonna ripresero la strada per l’Egitto. Da quel giorno per i garfagnini lo zinepro diventò il loro albero di Natale.
I RE MAGI SULLA PANIA
L’impronta dei cammelli sulla Pania
Credeteci pure, c’è una notte, fra Natale e la Befana che i Re Magi passano sopra la Pania, sui loro cammelli alati. Veleggiando sui nostri monti si dirigono verso Betlemme, guidati da una stella maestra. Quello che è certo che la strada è lunga da fare, il percorso è improbo e le Apuane sono uno scoglio duro da superare. Quello è proprio il periodo del maltempo, pioggia e bufere di neve sono all’ordine del giorno e i venti che spirano dal mare creano un muro di nebbia invalicabile, infatti quando i tre Re passano proprio sulla vetta della Pania della Croce i cammelli repentinamente si abbassano dirigendosi verso il monte, prendendo da li lo slancio verso il mare. Nel punto esatto dove gli zoccoli dei quadrupedi toccano la cima, lasciano l’impronta dei loro zoccoli e nel cielo uno sfavillio di scintille, che vengono giù come luccicanti stelle cadenti.
SAN PELLEGRINO E BERTONE: IL MUGNAIO CHE NON VOLEVA FESTEGGIARE IL NATALE
C’è una località vicino a Castiglione che è detta “Il Mulinaccio”,
questo dispregiativo ha un perchè. All’epoca, in questa località sorgeva un mulino che prendeva le acque dal vicino torrente chiamato “Butrion”. Il padrone era il mugnaio Bertone, uomo infido, antipatico e pure cattivo, dal momento che ad ogni piè sospinto bestemmiava Nostro Signore. Dal cielo l’arcangelo Gabriele chiedeva vendetta, ma il Signore visto l’intercedere di San Pellegrino chiudeva sempre un occhio, chiedendo però in cambio un’opera buona del mugnaio irrispettoso. L’occasione di redenzione l’ebbe la notte di Natale. Tutti i paesani si stavano preparando per andare alla messa, le campane stavano suonando, ma Bertone non ne voleva sapere di andare a messa e per dispetto e per avidità dette il via alle rumorose macine del mulino e cominciò a lavorare. All’improvviso un sinistro rumore echeggiò da sopra il suo mulino, dalla montagna si staccò un grosso masso, che sollecitato dalle ali dell’arcangelo precipitò sulla costruzione, schiacciando Bertone. Si racconta che da quei tempi, proprio la notte di Natale chi passa da quelle parti, sente ancora strani rumori, come lo strepitio di catene e il girar di macine.
IL CEPPO DI NATALE
In Garfagnana dove il retaggio contadino è ancora sentito, le tradizioni natalizie vengono tenute vive affinchè non venga dimenticato l’insegnamento degli avi. Questo è il caso del “ceppo di Natale”, che di leggenda non ha niente, ma rientra nelle nostre care, vecchie e dimenticate tradizioni. Il ceppo, non è altro che un grosso ciocco di legno messo ad ardere nei camini alla vigilia di Natale. Il grosso pezzo di legno, alcuni mesi prima veniva già adocchiato dal contadino, una volta scelto accuratamente era messo ad asciugare, pronto per quella sera ad essere arso davanti alla famiglia riunita. La particolarità era che questo grosso ciocco (talvolta talmente grande da essere trasportato da due persone), doveva ardere fino alla sera di Santo Stefano, in alcune famiglie addirittura fino alla sera del capodanno. Per durare così a lungo venivano usati alcuni stratagemmi, come ungerlo con il grasso di maiale o coprirlo di cenere perchè la brace non lo bruciasse completamente. Di solito veniva chiamato pure il prete a benedire il ceppo, dato che il suo significato rientrava nella sfera religiosa, dal momento che il suo calore doveva servire per accogliere e riscaldare la venuta di Gesù Bambino nella casa.
Ma quest’usanza vide la sua origine in tempi lontanissimi e si rifaceva probabilmente al significato puramente pagano che si dava al solstizio d’inverno: un fuoco sacro, in collegamento diretto con il sole. Tant’è che proprio San Bernardino da Siena deplorava questa tradizione. Siamo a Firenze nel 1424 e queste furono le sue parole: “Per la natività di nostro Signore Gesù Cristo in molti luoghi si fa tanto onore al ceppo. Dalli ben bere! Dalli mangiare! El maggiore della casa il pone suso e falli dare denari e frasche. Perché è così in Natale rinnegata la fede e perché so’ convertite le feste di Dio in quelle del diavolo? Si vuole mettere el ceppo nel fuoco et che sia l’uomo della casa quello che vel mette, coloro i quali pongono il ceppo al fuoco la vigilia di Natale, conservano poi del carbone alcuni contro il cattivo tempo pongono fuori della propria casa l’avanzo del ceppo bruciato a Natale”. Si, perchè esiste ancora l’usanza di conservare le sue ceneri, a quanto pare hanno proprietà magiche e di buon augurio: possono essere sparse nei campi per avere un buon raccolto, favoriscono la fertilità degli animali e proteggono dai fulmini.
San Bernardino, il predicatore
Leggende e usanze queste, che fanno parte di un bagaglio culturale antico, che si intreccia in un singolare mix di sacro e profano, ricordandoci che non è importante cosa trovi sotto l’albero di Natale, ma chi trovi intorno. Buon Natale a tutti !!!
Bibliografia:
“La Pania” dicembre 1990 “Il zinebro” professor Gastone Venturelli
“Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane” Paolo Fantozzi. Edizioni le lettere
“Predica XXIV” San Bernardino da Siena
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Il cammino della storia: sentieri di guerra, oggi sentieri di pace
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Il cammino della storia: sentieri di guerra, oggi sentieri di pace
La seconda guerra mondiale le oltraggiò, le sfregiò e ne deturpò la sua candida bellezza. Le Alpi Apuane fino a quel momento erano un oasi di pura natura incontaminata, una concordia di elementi: i suoi boschi, le sue aguzze vette e la sua umile gente, quei contadini e quei pastori garfagnini che su queste montagne trovavano il sostentamento per vivere. Da molti era definito l’Eden in terra. Di queste montagne se ne accorse la poesia per bocca di poeti come D’Annunzio:
Panchina Monte Rovaio (Daniele Saisi Foto)
“…ecco s’indora d’una soavità che il cor dilania. Mai fosti bella ahime, come in quest’ora ultima, o Pania”
e prima ancora Ludovico Ariosto che affermava: ”
La nuda Pania tra l’Aurora e il Noto, da l’altre parti il giogo mi circonda che fa d’un pellegrin la gloria noto” .
Ma finì anche il tempo della poesia, del bello, del buono, ma finì sopratutto il tempo della pace. Le acque dei torrenti apuani si cominciarono a tingere di rosso sangue in quel fine estate 1944, il rumore pacifico delle foglie scricchiolanti sotto i piedi fu sostituito dal crepitio dei mitra MP 40 tedeschi, il soave vento fu rimpiazzato dai roboanti Thunderbolt americani, vere e proprie fortezze volanti. Il fronte si attestò proprio li, sulle Alpi Apuane per ben nove mesi, in quel tratto di terra che diventerà conosciuta a tutti come Linea Gotica . Un fronte di guerra che toccava la sponda di due mari, il Mar Tirreno e il Mar Adriatico. Teatro di guerra, di battaglie cruente e di morte, questo era diventata la nostra terra. Ma nonostante tutto, qualcuno in quei terribili mesi seppe guardare oltre; era l’inverno del 1945 e un corrispondente di guerra americano scrisse così: – Sono nel posto più bello del mondo-; i suoi connazionali avevano fallito da poco un incursione per sfondare la linea, eppure malgrado il tentativo fallito, la sconfitta, la sofferenza per le vite perdute, la penna sensibile di quel giornalista trovò una consolazione che solo la bellezza di un paesaggio come le Alpi Apuane poteva restituire davanti a –quell’arco di stupende montagne-. Fu per questo tragico evento che per la prima volta in assoluto le Panie si mostrarono al mondo intero.
92a Divisione Buffalo
Fu un crogiuolo di persone di ogni razza e nazione a presentarsi di fronte all’imponenza delle nostre montagne: i brasiliani della F.E.B, gli afro-americani della 92a Divisione Buffalo, i Gurka nepalesi dell’8a divisione britannica e alle truppe di montagna tedesche della 148a. Questo primo incontro fu l’occasione per questi soldati di svelare questi monti alla conoscenza dell’intero pianeta e sebbene la morte, il dolore e la sofferenza regnasse, rese comunque consapevoli tutti del valore estetico delle Alpi Apuane, non importava da che parte si fosse, non importava essere nazisti o americani, la bellezza in questo caso rimaneva un valore universale.
Ed era proprio su questi fitti sentieri di queste montagne, nati per collegare i paesi, i casolari e di li ancora ad altri tratturi, ad altre mulattiere che portavano nei boschi e nei luoghi di pascolo, che questi percorsi divennero improvvisamente la via privilegiata per attacchi, ripiegamenti, divennero luoghi di difesa in un connubio di morte e di vita. Oggi questi sentieri esistono ancora e fanno parte della nostra memoria storica: viottoli, stradine, trincee e bunker sono ancora visibili sulle cime delle Apuane che si aprono a panorami mozzafiato, ma non occorre nemmeno arrampicarsi tanto per sublimarsi davanti a tanta bellezza. Ecco allora che questo articolo vuol far conoscere questi sentieri che sono tornati ad essere percorsi di pace, vuole portare il lettore a fare una passeggiata nella memoria. Oggi questi percorsi sono chiamati “Sentieri di Pace”, una bella pubblicazione del Parco regionale delle Apuane ne identifica ben sette in tutto il comprensorio apuano, io mi occuperò in questo articolo di farvene conoscere due, e cioè di quelli che ho conoscenza personale e quelli che sono legati maggiormente al territorio della Valle del Serchio.
Sentiero della Libertà
Qui siamo sui passi del Gruppo Valanga, la famosa formazione partigiana garfagnina, e già il nome di questo percorso ad anello ci spiega di cosa stiamo parlando:”il sentiero della libertà”. Questi luoghi furono testimoni dello scontro impari fra partigiani e truppe da montagna tedesche superiori in numero ed armi. Il punto di partenza di questa passeggiata è il Piglionico (raggiungibile da Molazzana), appena si arriva a ricordare gli eventi c’è una cappellina dedicata al comandante del Valanga Leandro Puccetti, caduto insieme ad altri partigiani nella famosa battaglia del Monte Rovaio: era il 29 agosto 1944 la formazione partigiana difendeva e presidiava la zona delle Panie, strategicamente importante per i lanci di armi e viveri da parte degli alleati.
Colle Panestra (Daniele Saisi Foto)
Per percorrere i sentieri e visitare i luoghi della battaglia bisogna imboccare il sentiero C.A.I n 138 e di li salire fino Colle Panestra (qui siamo 998 metri S.L.M), lo storico villaggio al tempo rappresentava l’insediamento più popolato intorno al Monte Rovaio, le case che ci sono ancora oggi sono tipiche degli alpeggi e usate saltuariamente dai proprietari, lo spigolo roccioso dov’è situata la località è chiamato Nome del Gesù. Di qui il percorso esce dalla sentieristica del C.A.I, bisogna quindi proseguire verso sinistra e fiancheggiare la sponda occidentale del monte. Il percorso è agevole fino ad arrivare a Trescola, luogo dove abitava “Mamma Viola”, la donna accolse e accudì i ragazzi del Gruppo Valanga mettendo a disposizione casa, stalla e i viveri, consapevole del pericolo che stava passando nel caso in cui fosse stata scoperta dalle forze germaniche. Oggi una lapide sulla parete della casa ricorda le vicende drammatiche di quel tempo.
Lapide sulla casa di Mamma Viola (foto Quelli che…la montagna)
Da qui il percorso si fa un po’ più arduo e in alcuni tratti franoso, occhi aperti quindi. Riprendiamo dunque il cammino seguendo la propria destra cominciando così a risalire il monte Rovaio, intraprendiamo l’ultimo tratto che terminerà poi sulla panoramica cima del monte (1060 m), qui si apre un panorama strabiliante sul gruppo delle Panie e sul profilo dell’Omo Morto. La bellezza del posto,facendo un po’ di attenzione, ci riporta alla cruda realtà della guerra che fu: le postazioni delle mitragliatrici ne sono testimonianza tangibile, ecco allora che sulla cresta sommitale c’è una delle quattro postazioni di difesa dei partigiani, una al centro e le restanti agli estremi nord-ovest e sud -est, un altro avamposto di mitragliatrice si trova anche poco sotto la prima, sul fianco della montagna.
Sommità del Rovaio Daniele Saisi Foto
Di qui si torna indietro per un breve tratto per il sentiero già percorso, si devia poi verso sinistra in direzione Casa Bovaio, arrivati qui sembra di fare un salto indietro nel tempo, una capanna con il tetto di paglia è silenziosa testimone del tempo che passa. Siamo adesso nel versante orientale del monte, dove i partigiani tentarono la ritirata verso l’Alpe di Sant’Antonio con gravi perdite, di qui si prosegue verso Pasquigliora, di li non resta che risalire fino a Colle Panestra prendendo il sentiero C.A.I 133 e completare così l’anello. Ritornando poi in auto a Molazzana consiglio di fermarsi in paese, visitate “Il museo della II guerra mondiale”.
Arriviamo poi a Borgo a Mozzano, qui a differenza del “Sentiero della libertà” la natura lascia spazio all’ingegneria e all’immane lavoro degli operai della TODT. Ci troviamo davanti a delle vere e proprie opere fortificate conservate perfettamente: bunker, piazzole, camminamenti sono ancora attestazione concreta della guerra.
Bunker Borgo a Mozzano Paolo Marzi foto
L’itinerario consigliabile consente prima la visita al museo della memoria e di conseguenza alle fortificazioni di Borgo a Mozzano e Anchiano. Infatti dopo aver visitato il museo, discendendo la strada Lodovica in direzione Lucca , si possono osservare alcuni siti del fondovalle. Lato strada sono visibili muri anticarro alti due metri e mezzo e a chiudere la valle c’erano e ci sono ancora due casematte sulla sponda destra e sinistra del Serchio. Con un accompagnatore del museo si possono visitare i bunker proprio della località Madonna di Mao e Pozzori. Di li in auto, ci si può dirigere verso Anchiano, dall’altra parte del fiume per percorrere le altre postazioni.
Ancora oggi forse non ci rendiamo conto di quello che successe nella nostra valle; la frenesia dei tempi moderni spesso ci offusca la mente su quello che è il nostro passato, ma basta fare una passeggiata attraverso verso questi percorsi per pensare che se oggi siamo quello che siamo lo dobbiamo in buona parte agli eventi che accaddero proprio su questi cammini.
Bibliografia:
“Linea gotica e sentieri di Pace nelle Api Apuane” brochure Parco delle Apuane, Apuan Alps Global Geopark e UNESCO. DICEMBRE 2018
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