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Gli Hobbit
Gli Hobbit sono una razza umanoide che vive nella Terra di Mezzo, principalmente nell'Eriador (vasta regione situata ad Ovest tra le Montagne Azzurre e le Montagne Nebbiose), in un paese che loro chiamano Contea, dove vivono in pace e ignari di ciò che accade nel resto del mondo.
Il terreno della Contea fu donato loro da Argeleb II (vecchio re del regno di Arnor) nel 1601 TE.
Sono un popolo sereno e gioviale, amano godersi la vita, il buon cibo e fumare l'erba pipa.
Il nome Hobbit
Gli Hobbit vengono chiamati in diverso modo, anche se pochi possono dire di averli conosciuti di persona (tra cui i Nani e i Raminghi). Hobbit è il termine hobbittish (loro dialetto nella lingua corrente) con il quale chiamano loro stessi "abitanti dei buchi". A Rohan vengono chiamati holbytla, nome che ha lo stesso significato di hobbit. I Dunedain invece si riferiscono a loro col termine "mezzuomini", per via del loro aspetto.
Aspetto
Gli Hobbit sono una razza umanoide di bassa statura (tra i 90 e i 120 cm) dai grossi piedi pelosi e dalla pianta così dura da rendere superflue le scarpe. Non hanno la barba ma possono avere lunghe basette e capelli folti, castani e bruni per la maggior parte. Quando nasce un hobbit biondo viene visto come un ottimo presagio.
Gli hobbit arrivano alla maggiore età a 33 anni, ma vengono considerati adulti raggiunti i 50. La loro prospettiva di vita è di 100 anni, i più longevi che vengono ricordati sono Il Vecchio Tuc e suo nipote Bilbo Beggins (130 e 131 anni rispettivamente).
Razze
Esistono 3 razze principali di hobbit e queste sono : I Pelopiedi (più scuri e bassi, non hanno la barba, hanno le mani piccole e agili e preferiscono la montagna alla pianura. Furono tra i primi a giungere nella Contea e si dice fossero grandi amici dei nani. Sono i più numerosi e vissero in caverne scavate nella terra), Gli Sturoi (con mani e piedi più grandi, preferiscono le pianure e le sponde dei fiumi. Si stabilirono sulle rive dell'Anduin per poi seguire i Pelopiedi verso ovest. Alcuni di loro hanno la barba) e i Paloidi (i più alti e chiari di pelle e di capelli. Amano i boschi e le foreste e sono i meno numerosi. Amano il canto, la poesia e l'artigianato, preferiscono la caccia. I più spericolati e avventurieri delle 3 razze.
Cultura
Gli Hobbit sono un popolo di antica origine, discreto e modesto, meno numerosi che in passato. Amano la pace , la tranquillità e la terra per coltivata. Sono ottimi artigiani e lavoratori. Sono un popolo estremamente timido infatti non hanno rapporti con gli altri abitanti della Terra di Mezzo. In passato erano amici dei nani, sono molto bravi a nascondersi dalla "gente alta". Tendono ad essere grassocci e pigri. Non indossano scarpe per via di una pianta del piede molto spessa e callosa. Hanno piedi grandi con una folta peluria ma in compenso hanno un viso più grazioso.
Amano bere e far festa. Sono tra i popoli coloro che si avvicinano di più agli uomini, e da loro hanno ereditato l'abilità nel costruire case (imparata a loro volta dagli elfi), ma a differenza loro tendono a costruire porte e finestre circolari in case costruite dentro la terra.
Il mondo ha quasi sempre ignorato la loro esistenza, cosa che li rende assai felici dato che non si interessano di ciò che non li tocca direttamente. Vivono in famiglia, Frodo e Bilbo con la loro vita solitaria sono delle eccezioni.
Origini
Le origini degli hobbit sono perlopiù sconosciute. Gli elfi sono gli unici che conservano registri di epoche così lontane e in questi registri loro parlano unicamente della loro storia. Si presuppone che fossero un popolo nomade, civilizzati grazie al contatto con gli uomini del nord. Vivevano nei pressi del Bosco Atro e per via delle continue incursioni di altri popoli decisero di andare ad ovest superando le Montagne Nebbiose. Tuttavia a causa delle lotte tra le forze di Angmar e i Dunedain, si spostarono ancora di più ad ovest passando da Le Colline Del Vento alla Terra di Brea. Qui, l'ultimo re del regno del nord (Argeleb II) concesse agli Hobbit il terreno in cui, dopo la fine di Arnor, prese il nome di Contea (poiché gli hobbit misero a capo un conte).
La Battaglia di Terreverdi
Negli anni successivi alla nascita della Contea ci fu un periodo di pace, anche perchè gli hobbit erano protetti a nord dai Raminghi che li difendevano dalle incursioni degli orchi. Tuttavia nel 2740 TE, un gruppo di orchi sfuggì dalla guardia dei raminghi e giunse sulla Contea. A salvare la situazione ci pensò l'hobbit Bandobras Ruggitoro Tuc (che si dice fosse abbastanza alto da cavalcare un cavallo adulto) che grazie ad un esercito di Hobbit scacciò gli orchi e di loro non vi fu più traccia. I racconti dicono che Bandobras staccò la testa dal corpo di Golfinbur (capo degli orchi) con una mazza, e che la testa andò a finire nella tana di un coniglio. Così nacque il gioco del golf, che gli hobbit tanto amano.
Il Crudele Inverno
Dieci anni dopo la Battaglia di Terreverdi ci fu un lungo inverno che mise ad dura prova gli hobbit. Il popolo fu decimato a causa del gelo e dalla fame. Si salvarono però grazie all'aiuto dei raminghi e di Gandalf. Proprio in questo periodo Gandalf prese a cuore gli hobbit, colpito dal loro coraggio e dalla loro forza.
Calendario della Contea
Spesso abbreviato con CC o SR (in inglese), è il calendario degli hobbit. Questo calendario differisce dagli altri della Terza Era di 1600 anni, poichè gli hobbit cominciarono a contare da quando si insediarono nella Contea ( nel 1601 TE). E' composto da 12 mesi da 30 giorni, a questi si aggiungono i 2 giorni di Yule (che cadono nei nostri 21/22 Dicembre, ovvero nel solstizio d'inverno) e 3 giorni festivi a metà anno (primo e terzo chiamati Lithe e il secondo Giorno di Mezzo Anno). Negli anni bisestili si aggiunge un giorno di festa chiamato Superlithe.
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L’AMORE E IGIENE NEL 1600 1700 😱
Visitando il palazzo di Versailles a Parigi, si nota che il sontuoso palazzo non ha bagni.
In quel periodo non c'erano spazzolini da denti, profumi, deodoranti, figuriamoci la carta igienica. Gli escrementi umani venivano lanciati dalle finestre del palazzo.
In un giorno di festa, la cucina del palazzo poteva preparare un banchetto per 1500 persone, senza la minima igiene.
Nei film attuali vediamo le persone di quell'epoca sventolarsi con il ventaglio...
La spiegazione non è per il caldo, ma per il cattivo odore che emettevano sotto le gonne (che tra l’altro sono state fatte apposta per contenere l'odore delle parti intime, visto che non c'era igiene).
Non era abitudine fare la doccia a causa del freddo e della quasi mancanza di acqua corrente.
Solo i nobili avevano dei lacchè per ventagli, per dissipare il cattivo odore che emettevano il corpo e la bocca, oltre a scacciare gli insetti.
Coloro che sono stati a Versailles hanno ammirato gli enormi e bellissimi giardini che all'epoca non solo erano contemplati, ma erano usati come gabinetti nelle famose ballate promosse dalla monarchia, perché appunto non c'erano bagni.
In quel periodo la maggior parte dei matrimoni si svolgevano in giugno (per loro l'inizio dell'estate). Il motivo è semplice: il primo bagno dell'anno si faceva a maggio; quindi a giugno l'odore della gente era ancora tollerabile.
Tuttavia, poiché alcuni odori iniziavano già a disturbare, le spose portavano mazzi di fiori vicino al loro corpo per coprire la puzza. Da qui la spiegazione dell'origine del bouquet da sposa.
I bagni erano fatti in una sola vasca enorme piena di acqua calda. Il capo della famiglia aveva il privilegio del primo bagno in acqua pulita. Poi, senza cambiare l'acqua, arrivavano gli altri in casa, in ordine di età, donne, anche per età e infine bambini.
I bambini erano gli ultimi a fare il bagno. Quando arrivava il suo turno, l'acqua nella vasca era così sporca che era possibile uccidere un bambino all'interno.
Le persone più ricche avevano i piatti di lattina. Alcuni tipi di cibo arrugginivano il materiale, causando la morte a molte persone per avvelenamento.
Ricordiamoci che le abitudini igieniche dell'epoca erano terribili.
I pomodori, essendo acidi, sono stati considerati velenosi per molto tempo, le tazze di latta venivano usate per bere birra o whisky; questa combinazione, a volte, lasciava l'individuo "a terra" (in una sorta di narcolessia indotta dalla miscela di bevanda alcolica con ossido di stagno).
Qualcuno che passava per strada avrebbe pensato che fosse morto, quindi raccoglievano il corpo per prepararlo per il funerale.
Poi il corpo veniva messo sul tavolo della cucina per alcuni giorni e la famiglia continuava a guardare, mangiare, bere e aspettare di vedere se il morto si svegliava o no. Da qui nasce la veglia ai morti che sarebbe la veglia accanto alla bara.
Non c'era sempre posto per seppellire tutti i morti. Poi si aprivano le bare, si rimuovevano le ossa, si mettevano in ossari e la tomba veniva usata per un altro cadavere.
A volte, aprendo le bare, si notava che c'erano dei graffi sui coperchi all'interno, il che indicava che l'uomo morto in realtà era stato sepolto vivo.
Così, chiudendo la bara, è nata l'idea di legare una striscia del polso del defunto, passarla attraverso un buco fatto nella bara e legarla a una campana.
Dopo il funerale, qualcuno era rimasto in servizio vicino alla tomba per alcuni giorni. Se l'individuo si fosse svegliato, il movimento del suo braccio avrebbe suonato la campana. E sarebbe "salvato dalla campana", che è popolare espressione usata da noi fino ad oggi.
Quello che facciamo oggi per tradizione, lo facciamo senza sapere.
E seguiamo le tradizioni solo per sentito dire.
Come carnevale, Halloween, etc…
A volte il miglior alleato per uscire dall'ignoranza è la lettura.
Preso da Juan Jaime Montoya ( correzioni , traduzione,sistemazioni da Monya)
🌿Pietre: Bosco e Magia
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Verona, al Monumento Officine Manutenzione Locomotive la cerimonia per il 79° anniversario della Festa della Liberazione
Verona, al Monumento Officine Manutenzione Locomotive la cerimonia per il 79° anniversario della Festa della Liberazione. Nel 1943 i binari dei treni sono stati il teatro della più grande operazione di rastrellamento di esseri umani. Milioni di ebrei, così come tutti gli altri deportati, vennero trasportati nei campi di concentramento in condizioni disumane all'interno di carri merci, un viaggio estenuante fino a diciotto giorni senza acqua e cibo. Per la maggior parte purtroppo senza ritorno. Per questo motivo Verona ha ieri celebrato il 79° anniversario della Festa della Liberazione al Monumento Officine Manutenzione Locomotive alla stazione di Porta Vescovo. Una cerimonia promossa da Rappresentanza Sindacale Unitaria RSU e dalla Commissione Biblioteca dello Stabilimento Trenitalia di Verona che ha visto sfilare un corteo dalla portineria dell'Officina di Porta Vescovo fino al monumento dove si è celebrata la cerimonia con la presenza del Sindaco, dell'assessore alla memoria e il Presidente del Consiglio Comunale. "È un onore iniziare da questo luogo indossando il tricolore, in rappresentanza della mia città che è medaglia d'oro al valore militare. Da oggi diamo il via ai tanti eventi che ricordano un momento storico del nostro paese. Ricorderemo per sempre quanto è accaduto nelle Officine veronesi, ricorderemo quella resistenza messa in campo nella quotidianità e quel marcare la differenza ogni giorno, rischiando la vita per dei valori dei quali beneficiamo. Oggi c'è ancora paura a chiamare l'antifascismo con il suo nome. Celebrare oggi la resistenza, e portare simboli come il tricolore, è una grande responsabilità collettiva. L'esempio di chi ha sacrificato la propria vita ci dà la forza di rappresentare valori che ricordiamo con fierezza. Essere figli della Resistenza, dell'antifascismo, di una Repubblica nata su valori forti e essere dalla parte giusta è un orgoglio che va ritrovato. È un impegno che dobbiamo prendere soprattutto nei confronti dei giovani, per il loro presente e futuro, affinché sappiano che questi sono i principi fondanti della nostra comunità". Alla cermonia erano inoltre presenti il capo impianto dell'Officina Manutenzione Ciclica OMC Verona Porta Vescovo Gaetano Compagnone, lo storico della Shoah e rappresentante dell' Istituto Veronese Resistenza ed Età Contemporanea Carlo Saletti, don Vincenzo Zambello, il presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Verona Andrea Castagna, il Coro "Voci della Ferrata" con il maestro Raffaello Benedetti rappresentanti di Ivres Associazione veronese di documentazione, studio e ricerca, Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra Aned, Alpini, pensionati dell'Officina Grandi Riparazioni, ex combattenti, Protezione Civile, Dopolavoro ferroviario, Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti ANPPIA e i donatori sangue ferrovieri. "L'impegno che noi associazioni manteniamo costante è quello della Memoria, accompagnata da una rigorosa ricerca storica di ciò che è successo nel nostro Paese – ha sottolineato il presidente provinciale Anpi Andrea Castagna -. Non è soltanto un aspetto rituale, ma il compito di mantenerlo nella vita democratica, perché è da episodi come quello che ricordiamo che è nata la libertà che conosciamo. Mantenere questo filo che unisce la Resistenza, la guerra di liberazione a quello che oggi abbiamo è un fattore importante, anche di fronte a quanto sta succedendo nel mondo, nelle guerre, nei conflitti, nelle forme in cui i popoli sono privi della loro libertà, un elemento fortemente collegato alla resitenza. I sedimenti del nostro Paese sono molto profondi, quindi il rischio del ritorno del fascismo non c'è. Piuttosto c'è il rischio di introdurre qualcos'altro modificando la storia, modificando alcune norme o la Costituzione. Tutti elementi che potrebbero rendere difficile l'applicazione della Costituzione stessa". Lo storico Carlo Saletti è intervenuto ricordando quelle che furono le "Ferrovie del terrore". "Per rimanere in tema di ferrovie è importante ragionare sugli ingranaggi che hanno reso possibile quello che chiamiamo sterminio degli ebrei d'Europa. Le cifre sono altissime, ma quello che c'è dietro è il grande dolore. Ottomila deportati per motivi razziali, venticinquemila per motivi politici, basti pensare agli scioperi del '44 e tutto quel tessuto di resistenza quotidiana che poteva essere nel sabotaggio sul lavoro, per quanto potrebbe riguardare la categoria dei ferrovieri, e circa seicentocinquantamila internati. Numeri vasti che sono possibili perché in Europa c'è una rete ferroviaria vasta ed imponente. Nel 1939 era di centomila chilometri, di cui quarantaduemila nel paese più evoluto, cioè la Germania. Si dovrebbe ragionare sul rapporto barbarie, cultura e tecnologia, perché la Germania è forse il paese con maggior tasso di cultura al mondo, che produce la barbarie con la quale, molto probabilmente, in determinate fasi storiche ha dei legami insidiosi. In Germania c'erano 12.500 grosse locomotive in grado di trasportare fino a cinquanta vagoni merci ognuna. I tedeschi avevano la tecnologia e la logistica per poter concepire la più grande operazione di rastrellamento di esseri umani in Europa. Tutto questo è reso possibile dalla modernizzazione. Il treno è il simbolo della modernizzazione, e non è un caso che uno dei cliché che passano a tutti i livelli riguardo alla deportazione è il vagone ferroviario, e non c'è memoriale nel mondo in cui non ce ne sia uno".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Visitando il Palazzo di Versailles a Parigi, si osserva che il sontuoso castello non ha bagni. A quel tempo non c'erano spazzolini da denti, profumi, deodoranti e tantomeno carta igienica. Gli escrementi umani venivano gettati dalle finestre del palazzo. In una festa, la cucina reale poteva preparare un banchetto per 1.500 persone, senza la minima igiene.
Nei film ambientati all'epoca vediamo le dame di quel periodo scuotersi o sventagliarsi. La spiegazione non è nel caldo, ma nel cattivo odore che emettevano sotto le gonne - fatte apposta per contenere le esalazioni delle parti intime, poiché non c'era igiene. Non era nemmeno abitudine fare la doccia a causa del freddo e della quasi totale assenza di acqua corrente. Solo i nobili avevano i lacchè affinché li sventagliassero, per dissipare il cattivo odore che emanavano il corpo e la bocca, oltre ad allontanare gli insetti, mentre la cipria bianca tipica del tempo aveva lo scopo di far apparire la pelle pulita, anche se non lo era realmente.
Chi è stato a Versailles ha ammirato gli enormi e bellissimi giardini che, in quel tempo, non solo non erano contemplati, ma che venivano addirittura usati come latrine nelle famose ballate promosse dalla monarchia, perché, come già detto, non c'erano bagni.
Nel settecento la maggior parte dei matrimoni si svolgeva a giugno - per loro l'inizio dell'estate. La ragione è semplice: il primo bagno dell'anno era fatto a maggio, quindi a giugno l'odore della gente era ancora tollerabile. Tuttavia, poiché alcuni odori iniziavano a disturbare, le spose portavano mazzi di fiori vicino ai loro corpi per coprirne l'odore naturale. Da qui l'origine del bouquet da sposa.
I bagni si facevano in una sola vasca enorme piena di acqua calda. Il capofamiglia aveva il privilegio del primo bagno in acqua pulita. Poi, senza cambiarla, arrivavano gli altri in casa, in ordine di età, donne e, infine, bambini. Quando arrivava il loro turno, l'acqua nella vasca era così molto sporca.
I ricchi possedevano piatti di latta, ma alcuni tipi di alimenti ne ossidavano il metallo, provocando la morte per avvelenamento. I pomodori, ad esempio, essendo acidi, sono stati considerati velenosi per molto tempo; le tazze di latta erano usate per bere birra o whisky; questa combinazione talvolta lasciava l'individuo steso sul pavimento, in una sorta di narcolessia indotta dalla miscela di bevanda alcolica ed ossido di stagno. Spesso venivano creduti morti, quindi raccoglievano il corpo e lo si preparava per il funerale. Poi si metteva il feretro sul tavolo della cucina per alcuni giorni e la famiglia stava a guardare, mangiare e bere, aspettando di vedere se il morto si svegliava o no. Da qui l'origine della veglia funebre.
L'Inghilterra era un paese piccolo, dove non c'era sempre posto per seppellire tutti i defunti. Così si aprivano le bare, si estraevano le ossa, le si mettevano in ossari e la sepoltura veniva usata per un altro corpo. A volte, aprendo le bare, si notavano graffi al loro interno, il che indicava che l'uomo morto, in realtà, era stato sepolto involontariamente vivo. Così, col tempo, è nata l'idea di legare un filo al polso del defunto e di farlo passare attraverso un foro fatto nella bara e di collegarlo, infine, ad una campanella posta all'esterno. Dopo la sepoltura, qualcuno rimaneva in servizio vicino alla tomba per i primi giorni. Se il redivivo si fosse svegliato, il movimento del suo braccio avrebbe suonato la campanella e sarebbe quindi stato prontamente ′′salvato", tornando indisturbato alla sua vita di tutti i giorni.
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DESTROYED DEAR DIARY “DDD”
Sto valutando il titolo per il mio libro. avevo pensato a “diario di un ragazzo interrotto” oppure “mio caro diario distrutto” forse opterò per il secondo.
Questo capitolo lo chiamerò i bulli. ormai ci sono tantissimi film e serie TV che trattano di bulli e diciamo che in tutti o gran parte sono presenti.
ma avete mai avuto un bullo in famiglia?
Questo capitolo sarà un workinprogress, si estenderà per tutto il libro. Vi racconto qualche piccolo aneddoto di come mi hanno bullizzato la vita.
Il primo bullo della mia vita è stato mio fratello, maggiore: forse non ha mai accettato il fatto che io sia nato, forse voleva rimanere figlio unico, fatto sta che non mi ha reso la vita facile, ha contribuito a rendermi il casino che sono oggi, e fortuna che esisto ancora😂.
A casa mia ogni cosa che succedeva era per causa mia, e lui non perdeva occasione per rincarare la dose e picchiarmi o farmi picchiare dei miei genitori. Fin qui tutto normale direte, in tutte le famiglie tra fratelli ci si picchia ci si fa gli scherzi ci si odia. Ma la verità è che anche se a casa poteva sembrare una situazione normale, quando ci spostavamo in un contesto fuori casa, mio fratello non mi ha mai considerato come un fratello, mi ignorava, mi odiava.
POV: 🏖️estate. casa al mare. Ci andavamo lì tutti gli anni tutte le estati da quando eravamo piccoli perché i miei nonni avevano comprato questa villetta a schiera.
Nella via dove abitavamo noi conoscevamo praticamente tutti quanti, eravamo diventati una grande famiglia. Tutti gli anni a Ferragosto facevamo una grande festa tutti insieme e allestivamo questa tavolata grandissima, ognuno preparava qualcosa da mangiare e dopo pranzo i ragazzi si dividevano in 2 squadre: squadra dei maschi e squadra delle femmine.
Facevamo un gioco a premi a squadre: ogni squadra doveva creare delle scenette teatrali o ricreare scene di film e metterle in atto davanti al pubblico formato dagli adulti, i quali dovevano poi votare e decretare la squadra vincitrice. durante questo gioco anche gli adulti si esibivano goliardicamente in scenette, gag, canzoni e karaoke. le squadre quindi erano divise per genere, non erano divise invece per età.
Secondo voi io in che squadra ero? io ero sempre nella squadra delle femmine! ma non per mia scelta, anche perché non ci andavo d’accordo, ma perché i maschi non mi volevano con loro. Non c’era un perché, o forse si, ma la cosa più grave è che tra i maschi c’era anche mio fratello che non si è mai degnato di difendermi o di dire agli altri -“facciamolo giocare con noi, facciamolo stare in squadra con noi!”- no! anzi è sempre stato dalla loro parte e mi ha sempre denigrato non accettandomi e lasciandomi sempre da solo. Quindi io praticamente giocavo, quando volevano loro, solo con le femmine. Il più delle volte restavo da solo perché nemmeno loro volevano giocare con me, in quanto non ero una femmina e poiché ero stato scaricato dai maschi non volevano accollarsi il me rifiutato.
Esibizione dei maschi, scenetta di un film mafioso;
esibizione delle femmine: poiché io non ne facevo ufficialmente parte, loro fanno una esibizione tra di loro senza di me, per tenermi in ballo preparano una scenetta tra me e una ragazzina tipo “marito e moglie” che si chiamava ARTURO E EUFEMIA, in cui la moglie è un po’ con la testa fra le nuvole e il marito stanco della moglie che non sa fare nulla, finisce con lo strozzare la moglie.
A fine scena tanti applausi (sono un attore nato, lo so😅) il presentatore della Festa dice -“Danilo perché tu non hai fatto la scenetta con i maschi?”- io senza emettere un suono rimango in silenzio. Avevo 7 anni e non avevo la più pallida idea di cosa rispondere. Le ragazze intervengono prontamente e rispondono -“perché i maschi non non lo vogliono mai con loro e ce lo dobbiamo tenere noi.”-
La festa continuò come se nulla fosse e io feci finta di nulla.
io a 7 anni mi sono sentito dire che i maschi non mi vogliono e le femmine sono costrette a stare con me.
Dopo tempo la situazione diventò proprio ingestibile tant’è che io iniziavo a non uscire più di casa per giocare, ero sempre alla tv, non facevo più nulla, rimanevo sempre da solo perché non voleva più giocare nessuno con me. Alcuni ragazzi andarono addirittura a cercare altri bambini nelle altre strade limitrofe che venissero a giocare con me, ma la cosa non ebbe molto successo.
Inizi ad apprezzare la solitudine, perché ti viene imposta. Nessuno vuole sentirsi solo, figurati esserlo.
Così Sono diventato trasparente, ho iniziato solo ad osservare il mondo, senza creare ombre, e ci sono riuscito!
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Festa Fantasy e Notte Rosa 2023 a Ornavasso
Sabato 5 agosto torna presso il Lago delle Rose di Ornavasso la quarta edizione della Festa Fantasy, con i personaggi più amati e alla sera la Festa dei Lumi, ricca di centinaia di luci sul piccolo lago e possibilità di notte in tenda nel Parco. Inoltre domenica 6 agosto chi lo desidera potrà partecipare alle Crociere Family sul Lago Maggiore, con partenza alle 11 da Stresa , poi le ultime date 2023 delle crociere saranno il 26 e il 27 agosto con partenza alle 10. Per tutto il mese di agosto inoltre la Grotta di Babbo Natale invita tutti i giorni a scoprire la Montagna per i bambini, ad Alagna Valsesia, con la salita in telecabina, i percorsi per le famiglie e le discese in tubing, i rifugi e all’Alpe di Mera a Scopello in Valsesia con i parchi gioco in quota, la seggiovia, la caccia al tesoro ed il cestino Pic-nic e a Domobianca, all’Alpe Lusentino, a 15 minuti da Domodossola, con il Parco Avventura inclusivo adatto a tutte le età, l’area giochi con tappeto elastico, gonfiabile a tema e giochi vari, anche con la sabbia, i punti pic-nic, i rifugi, i percorsi con noleggio delle e-bike e la salita in seggiovia. Ornavasso è un paese della provincia del Verbano Cusio Ossola ed è uno dei primi borghi che s’incontrano risalendo il Toce, dopo Gravellona Toce ed a pochi chilometri di Mergozzo. All’interno del suo territorio sono state scoperte due necropoli importantissime per lo studio della civiltà preromana sulle Alpi, datate tra il II secolo a.C. e il I d.C., che sembrano appartenere sia alla cultura celtica che a quella italica. Il paese come si presenta attualmente è certamente il risultato dell’arrivo del popolo Walser dal XV secolo, che si stabilì in questa zona bonificando la pianura, infatti Ornavasso rappresenta l’insediamento Walser più meridionale della loro colonizzazione dell’Ossola. La presenza dei Walser crebbe e Ornavasso divenne un’isola linguistica, con le sue tipiche origini germaniche, ma la lingua Walser, un dialetto tedesco vallese, iniziò a scomparire verso la fine del 1800, anche se il dialetto attuale conserva ancora molti termini del lessico tedesco. Ornavasso ospita numerose chiese, interessanti dal punto di vista artistico, come il Santuario della Madonna del Boden, risalente al XVI secolo, la Chiesa di San Nicola, che ospita un museo dedicato al popolo Walser, e il Santuario della Beata Vergine della Guardia, che deriva il suo nome dalla presenza, sulla stessa altura, di un’antica Torre Medievale, la Torre della Guardia, risalente al XIV secolo ed utilizzata come torre di segnalazione. Lungo la zona ci sono numerosi itinerari ideali per escursioni e passeggiate all’aria aperta. Read the full article
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Feste di 18 anni a Roma: scopri le location più belle e rinomate
La maggiore età è vissuta dai giovani adolescenti come un vero e proprio sogno ma quando arriva il momento di organizzare l'evento sorgono spesso dubbi ed incertezze. Come fare per rendere l'evento assolutamente unico e indimenticabile? Il consiglio è quello di scegliere una bella location all’interno della quale accogliere i propri ospiti. Come scegliere la location ideale per 18esimi compleanni a Roma Sta finalmente per arrivare il vostro diciottesimo compleanno e desiderate organizzare l’evento nel migliore dei modi? Se la risposta a tale domanda è si ecco che allora siete capitati nel posto giusto. Proprio qui di seguito potrete infatti scoprire quali sono le migliori location per eventi presenti nella Capitale. Se il desiderio è quello di organizzare un grande evento all'aperto, a bordo piscina, ecco che una bella idea potrebbe essere quella di farlo all'interno di una grande villa. E tra le più belle presenti a Roma è possibile ad esempio menzionare Vigna dei Casali. Stiamo di preciso parlando di una bellissima location ubicata in zona Tuscolana ideale per qualsiasi tipo di evento, anche per la festa dei 18 anni che avete sempre sognato. L'ambiente esterno è molto bello ed accogliente oltre che ospitale, inoltre non mancano nemmeno le zone ombreggiate. Anche la parte interna è molto particolare, arricchita da antichi mobili, pavimento in cotto, ornamenti e quadri, bellissimi mosaici e molto altro. Una location in grado di garantire ottimi servizi e allo stesso tempo una magica atmosfera. Altra bellissima location per eventi a Roma è Villa Parco della Vittoria presente in zona Camilluccia. Questa bellissima location si trova nel Parco della zona Monte Mario ed è una struttura fantastica all'interno della quale poter respirare eleganza e allo stesso tempo divertimento. L'interno è impreziosito da bellissime opere d'arte appartenenti all'artista Bernardi. Sono presenti inoltre grandi stanzoni con bellissime rifiniture ed eleganti elementi. A rendere davvero unico ed elegante il giardino sono invece i lampioni in stile ottocentesco. Le più belle location per 18esimi nella Capitale Se invece il desiderio è quello di organizzare l’evento all'interno di una bellissima terrazza ecco che la soluzione ideale potrebbe essere quella di scegliere Terrazza Exedra presente in zona Repubblica oppure Hub Space presente invece in zona Tiburtina. La prima si presenta come una sala moderna e raffinata all'interno della quale vari elementi si fondono tra di loro creando la giusta atmosfera. Questa può essere considerata la location ideale per eventi durante le ore diurne quando ogni angolo è illuminato dai raggi del sole. Oppure durante le ore serali sotto il cielo stellato. In ogni caso è in grado di garantire un'atmosfera pura e trasparente. La seconda location precedentemente menzionata ovvero Hub Space si trova invece in zona Tiburtina ed è da considerare il posto ideale per coloro che desiderano un 18esimo compleanno alternativo. La caratteristica principale che contraddistingue tale location è la presenza di vari tessuti sia all'interno sia all'esterno. E poi ancora la presenza di bellissimi tappeti provenienti da paesi lontani, e incantevoli pouf e cuscini collocati proprio su tali tappeti. Al suo interno sarà possibile respirare un'atmosfera informale e libera, in grado di coinvolgere davvero tutti. Tante altre bellissime location per feste ed eventi a Roma sono presenti anche su https://www.feste18anniroma.org/ . Read the full article
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LUNEDI 23 GENNAIO 2023 - ♦️🔸♦️SANT'EMERENZIANA ♦️🔸♦️ Emerenziana (... – Roma, 304 circa) è stata una vergine e martire cristiana, vissuta tra la fine del III secolo e l'inizio del IV secolo e ricordata come sorella di latte di sant'Agnese. Ritenuta santa da tutte le chiese cristiane, spesso viene rappresentata come una giovane fanciulla con delle pietre sul suo grembo, o reggente una palma o un giglio. Le poche notizie biografiche sul conto di Emerenziana si devono in gran parte ad un racconto agiografico della passio latina di sant'Agnese, opera di un ignoto autore del V secolo, che narra le vicende successive alla morte della santa. Secondo questo racconto, Emerenziana era una giovinetta avente la stessa età di Agnese, di cui era "sorella di latte", il che non farebbe comunque pensare ad un vero e proprio legame parentale con la santa. Attestando che la morte di Agnese si collochi all'incirca nel 304, la nascita di Emerenziana sarebbe dunque da collocare intorno al 291-292. Al contrario della coetanea, la santa, pur essendo cristiana, era ancora catecumena poiché non aveva ancora ricevuto il sacramento del battesimo. Secondo l'agiografia cristiana fu lapidata da pagani presenti lungo la Via Nomentana a Roma presso il sepolcro della sorella il giorno del suo funerale, all'epoca delle persecuzioni di Diocleziano. Emerenziana, che appare costantemente in gruppo con gli altri martiri nelle raffigurazioni più antiche, è raffigurata in un affresco del IV secolo al Coemeterium maius di Roma. Il culto per sant'Emerenziana inizia intorno all'VIII secolo a seguito dell'istituzione di una speciale commemorazione liturgica in suo onore il 23 gennaio, due giorni dopo la festa di sant'Agnese. In seguito la sua commemorazione passò nel Messale e nel Martirologio Romano. Le reliquie della santa furono trasferite intorno all'XI secolo nella basilica di Sant'Agnese fuori le mura a Roma insieme alle spoglie mortali della sorella. Nel 1615, su volere di papa Paolo V, sono state sistemate all'interno di una cassa d'argento e sistemate sotto l'altare maggiore della basilica. Molti altari le sono stati dedicati in altre chiese di Roma, e una chiesa a lei intitolata, del Novecento (presso Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia) https://www.instagram.com/p/CnwczBHo6C5/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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. « Ciao. Ehm. Vado, se … devi… » Deglutisce forzatamente. Il rossore tremendo avvolge le guance che cominciano a surriscaldarsi. « Usare il bagno.» Lo sguardo scivola sulle forme delicate della ragazza, per poi puntarsi unicamente verso la pavimentazione del bagno, quantomeno per non fare figuracce.
« No, stavo cercando te » Un sorriso tenero si delinea tra le labbra carnose, accentuando il più possibile il riguardo sia nei gesti che nella voce, nel tentativo stremo di evitargli ulteriori imbarazzi.
« Dovresti » deglutisce decisamente, piegando lo sguardo verso di lei « festeggiare con tutti gli invitati, inutile startene rinchiusa in un bagno »
« Sopravviveranno senza di me il tempo di una sigaretta » Un gesto della mano a scacciare questo fantasma degli altri invitati in un sorriso morbido « E poi, volevo accertarmi che fosse tutto ok »
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Lettera a mia madre
Cara mamma,
Quattro anni fa ascoltai per la prima volta una canzone, che mi fece subito pensare a te. Ricordo ancora quel momento: stavamo tornando da una giornata al lago, io guardavo il tuo viso addormentato grazie allo specchietto retrovisore, dal sedile posteriore. Avevo le cuffie nelle orecchie, volevo scoprire qualcosa di nuovo, e per puro caso mi imbattei in quel brano: il titolo era piuttosto esplicito, il testo ancor di più, e forse fu per quello che vidi così chiaramente il tuo volto, fra quelle note e fra quelle parole.
Quel giorno mi chiesi se avrei dovuto fartela ascoltare, ma decisi di rimandare, perché volevo che quell'ascolto venisse riservato ad un momento esclusivamente nostro. Inoltre, come ben sai, ho sempre avuto difficoltà a gestire la tua sensibilità e la tua lacrima estremamente facile, perciò non trovai mai il momento giusto.
Quell'anno, lo sai, in quel dannato 2019 toccai il fondo. Di quella sera ho immagini sfocate - e forse è meglio così, poiché non voglio ricordare -, ma il tuo viso pallido, le tue lacrime, lo sguardo terrorizzato, sono marchiati a fuoco nella mia memoria. I tanti abbandoni subiti, le mancanze di affetto e gli scherni ricevuti a scuola, di cui non ti ho mai parlato, mi hanno spinta a credere per tanti anni che nessuno mi amasse, che fossi tanto indegna di stare al mondo, che nemmeno mia madre mi volesse bene. Per diciotto anni mi sono sbagliata di grosso, e quella sera lo capii. Lo capii, ma nel modo peggiore possibile, lo capii portandoti sull'orlo del baratro, lo capii vedendo su di te il volto della sofferenza.
Lo capii facendoti del male. Quel giorno mi giurai che non ti avrei più fatta soffrire.
Sono passati tre anni, sono riuscita nel mio intento e so che continuerò a rispettare quel giuramento. Ad oggi non posso dire di averti resa fiera di me, mamma. Sono debole, rincorro ancora delle ideologie fiabesche nella speranza di poter essere felice, pur sapendo che un giorno quel castello di cartonato crollerà. Mi sto consumando. La vedo nei tuoi occhi, la preoccupazione, di quando mi chiedi se va tutto bene, che tu sei lì per lasciarmi sfogare, eppure io preferisco mostrarti un sorriso fasullo, o nei casi più estremi, rifugiarmi in un indiscutibile "non voglio parlarne, non me la sento".
So che vorresti vedermi spiegare il volo, proprio tu che mi hai sempre dimostrato quanto sia pura e meravigliosa l'indipendenza, il gusto di bastare a noi stessi. Chi meglio di te dovrebbe saperlo? Tu, che alla mia età già lavoravi a tempo pieno. Tu, che a ventitré anni avevi già in braccio una bambina, la tua, io. Tu, che alle riunioni scolastiche venivi sempre scambiata per una sorella maggiore, o ripudiata - probabilmente per invidia - dagli altri genitori per il tuo essere una giovane mamma single. Tu, che anche quando volevo spedire il mio biglietto per la festa del papà non ti mostravi né imbarazzata né mortificata, ma anzi, mi aiutavi a portare a termine la mia missione.
So che vorresti che fossi forte, forse anche più di te. Ma non lo sono, mamma. Forse in questo ho preso da papà. Un giorno lo sarò, almeno lo spero. Forse, quando avrò finalmente compreso come uscire dalla gabbia, lo sarò, e volerò via con delle ali talmente tanto robuste da poterti portare in Canada - una delle mete dei tuoi sogni.
Per ora, mi basta guardarti da lontano, e prendere appunti. Sei una donna meravigliosa, sei il mio supereroe.
La tua "piccola" per sempre.
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- Che caldo. - Eh? - Dico, che caldo. Tanto caldo. - Sì. - Poi è marzo. Uno magari si immagina che a marzo… - Invece. - Invece caldo. Poi lavorare con sto caldo… - Sì, credo che il concetto sia stato adeguatamente sviscerato. - Eh ma la fai facile tu. - In che senso? - Nel senso che per voi il problema non si pone. - Che problema? - Il problema del caldo. Diobuono, voi potete andarvene in giro mezze nude, mettervi una gonna… - Ma voi chi? - Come? - Hai detto voi. Voi chi? - Voi donne. - Ah. - E poi potete entrare in tutti quei bei negozi con l'aria condizionata a palla piazzati strategicamente nella cerchia urbana. Io se entro da H&M da solo sembro un predatore sessuale. L'unico posto in cui posso entrare in centro senza destare sospetti è la Feltrinelli, e quella c'ha l'aria condizionata coi sensi di colpa borghesi che pare l'alito di un Rottweiler. E allora dove vado io, eh? Me lo dici dove vado? - Un posto in mente ce l'avrei. - Eh? - Posso essere sincera per un secondo? - Amore mio, ma tu devi esser sincera sempre con me. - No. - Come no? - No, non sono sincera sempre. Posso esserlo adesso? - Certo. Ma perché… - Allora, ti spiego un attimo come funziona per noi donne. Se io decido, in un momento di lucida follia, di mettermi una di quelle gonne a cui accennavi poc'anzi, devo pure far pace col fatto che passerò il resto della giornata a tenere sotto controllo una parte del mio abbigliamento come se fossi una cazzo di domatrice del circo. Inoltre per godere del lusso di portare un capo con cui essere a mio agio, devo fare i conti con un lungo, doloroso processo di epilazione che mi accompagnerà per il resto della mia vita insieme a un'infinita serie di insicurezze riguardarti il mio corpo e alcuni spietati standard di bellezza che il mondo si aspetta io mantenga se voglio mettere il naso fuori di casa. Standard la cui modifica quotidiana è alla base di un'intera, costosa economia di scala della quale ciascuna di noi, in modo più o meno riluttante, è ancella. Così la mia femminilità e la mia autostima finiscono per dipendere, almeno in parte, da realtà che non hanno nessun interesse a farmi sentire bella per più di un trimestre. Ma andiamo avanti, ora sono fuori con la mia gonna svolazzante, non resta che andarsene in giro cercando di ignorare il più possibile gli sguardi sudaticci di alcuni uomini che non mi piacciono, ma che hanno deciso di farmi sapere che vorrebbero scoparmi. È da quando avevo quindici anni che mi guardano così. E hanno tutte le età, anche quelle che vorrei non avessero. Nonostante me li senta addosso quegli sguardi, ho imparato a ignorarli o a decidere di farmeli piacere. E a questo punto, sinceramente, non so cos'è peggio. Ora, così acconciata, dove potrei andare di bello? Beh, la scelta è abbastanza limitata. Ci sono parti della città in cui è meglio che io non vada. Cazzo, ci sono parti del mondo in cui è meglio che io non vada. E ci sono parti del giorno durante le quali è il caso che io non mi faccia trovare da sola. I tuoi ti davano il coprifuoco perché volevano che tornassi a casa a un'ora decente, i miei perché volevano che tornassi a casa. Però è una bella serata e io decido di andare a una festa, ma devo stare attenta a quanto bevo, con chi e a chi rivolgo la parola, perché ho scoperto abbastanza presto che essere gentile con un uomo in condizioni di non totale sobrietà può avere risultati dal fuorviante al pericoloso. Sono fisicamente più debole, certe volte mi viene in mente nei momenti più assurdi. Penso che non importa, che è una sciocchezza e vado avanti. Ma sono anche economicamente più debole. Vengo pagata di meno, per lavori di minor responsabilità, all'interno di organigrammi dove tutte le caselle con potere decisionale sono occupate da un paio di pelosi testicoli coi quali devo essere più gentile rispetto ai miei colleghi maschi. Se faccio carriera per meriti o capacità personali sono costretta quantomeno a simulare di avere anch'io un pene, sperando di non finire col dimenticarmi che si tratta di un travestimento temporaneo. Salire la scala sociale consiste, la maggior parte delle volte, nel capire che la mia indipendenza dipende da quante cose sono disposta a sacrificare. Se ottengo il successo troppo in fretta, sono una troia. Adesso che mi ci fai pensare, sono spessissimo una troia. Sono una troia quando sono affabile con l'altro sesso e sono troia quando non lo sono. Sono troia quando dico di sì e quando dico no. Sono troia a letto perché, cazzo, stiamo scopando, no? È per giocare. Il sesso in sé è complicato. Per voi raggiungere un orgasmo è svitare un bullone, per noi è vincere a Mastermind. E sono più le volte che vengo scopata delle volte che scopo. Ed è davvero strano far parte di un genere che viene penetrato. Non dico che non sia bello certe volte, ma... insomma... sei sempre tu che ospiti. E per noi non ci sono porno decenti. Solo cose sciape, evidentemente girate da uomini che credono basti aumentare la saturazione in post produzione per farci godere. E di queste cose non ne parlo con nessuno, certo non con le mie amiche. Perché ci sono cose che non ci diciamo mai e cose per cui non possiamo rifiutarci di parlare, se no passi per algida stronza. E chi vuole essere un'algida stronza? Non ho migliori amici, perché prima o poi tutti mi si vogliono scopare e inizio a pensare seriamente che nessun uomo sia interessato a sapere come sto se prima, dopo o durante non gliela do, così finisco per farci sesso col solo scopo di poter avere una conversazione normale. Se faccio sesso occasionale devo stare attenta a chi lo dico e a come lo dico, perché da quest'altro lato del cielo ci sono più specchi e più competizione che in tutte le vostre palestre messe insieme. Non posso essere sciatta o volgare, e quando lo sono devo essere in grado comunque di mantenermi entro certi limiti di decenza, pena una classificazione rapida e spietata. E mi si richiede di essere quantomeno attraente anche quando vado a comprare il deodorante per il wc. Di imparare a sedermi in un certo modo. Di tenermi i dettagli più intimi per me. Di non parlare delle mie evacuazioni. E, sorpresa delle sorprese, dalla giovane età e per la maggior parte della mia vita, al fine di ricordarmi la mia missione su questo pianeta, un essere invisibile, il diavolo probabilmente, afferra a cadenza regolare un grosso coltellaccio da pane e me lo pianta nell'utero, obbligandomi a considerare in ogni mio piano, progetto o ambizione, una ciclica dose di sangue e agonia. Come se non bastasse, affinché non mi dimentichi dei miei doveri biologici, per quindici giorni al mese desidero piacere a tutti e per i successivi quindici vorrei solo chiudermi in una stanza buia e farmi crescere addosso il muschio. Tutto questo ci porta ovviamente alla grande P di parto, da cui nessuna di noi pare poter sfuggire a meno che non voglia diventare l'equivalente femminile del tizio che s'è tatuato tutta la faccia. Se succede troppo presto abbiamo, fortunatamente, la possibilità di scegliere se tenere un figlio che non abbiamo voluto e convivere con la cosa oppure far decidere ad altri, di solito uomini, scongiurandoli di darci il permesso di fare una delle scelte più difficili della nostra vita. E convivere con la cosa. Convivere diventa un verbo ricorrente se sei una donna. Io ho convissuto parecchio ancor prima di uscire da casa dei miei. Infine, visto che non sono stata benedetta né dalla vocazione claustrale né da un sano lesbismo, ho dovuto aver a che fare con gli uomini. Uomini poco interessanti, che mi hanno rubato tempo costringendomi all'inutile esercizio di riconsiderare di volta in volta la mia intelligenza e uomini molto interessanti, che mi hanno fatto vincere per diversi anni consecutivi il premio come attrice non protagonista. E poi ci sei tu. Tu che mi ami, per carità, sei dolce e comprensivo e tutto quanto. Tu che ci sei, ma in qualche modo, allo stesso tempo, non ci sei. Che non capisci. Che non ascolti. Forse perché io ho perso la voglia di farti capire tanto tempo fa, prima ancora di conoscerti. O forse perché tu non ce l'hai mai avuta questa voglia di capire. Forse perché non ti interessa sapere com'è essere me. E forse non ti interessa perché, in fondo, in fondo, lo sai com'è essere me. - Che hai detto amore? … … - Ho detto che fa caldo. - Vero. Ma non è strano per essere marzo? (Non è successo niente)
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MAG 042 - Caso 0131103 - Grifter’s Bone
[Episodio precedente]
[pdf con testo inglese a fianco / pdf with english text on the side]
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ARCHIVISTA
Dichiarazione di Jennifer Ling, riguardo una performance musicale dal vivo alla quale ha assistito a Soho. Dichiarazione originale rilasciata il 3 novembre 2013. Registrazione audio di Jonathan Sims, Capo Archivista dell’Istituto Magnus, Londra.
Inizio della dichiarazione.
ARCHIVISTA
Chiunque abbia scritto di musica abbastanza a lungo ha sentito parlare di Grifter’s Bone. Una leggenda metropolitana, non del tutto uno scherzo, non del tutto qualcosa di vero. A volte sono un gruppo, a volte solo una persona. Se la storia li presenta come un gruppo, allora l’unico di cui i vecchietti conoscono il nome - perchè sono sempre i vecchietti a raccontare queste storie - è un tipo chiamato Alfred Grifter. Alcuni giureranno solennemente che sia il suo vero nome, altri ti daranno solo uno sguardo d’intesa e chiederanno se ti sembra vero. Il fatto è che nessuno sa un accidenti di lui tranne il nome con cui si fa chiamare, quindi sono tutte storie e chiacchiere, ma ce n’è in abbondanza per tutti.
La storia racconta di un musicista mediocre che brama di più, che si dà alle arti oscure, di solito adorazione del diavolo o stregoneria, ma fa un errore. Ne ho sentito parlare come di una maledizione, di un desiderio formulato male o persino di un diavolo che semplicemente si arrabbia per essere stato evocato e lo picchia fino a che le sue mani non funzionano più. Il finale però è sempre lo stesso: la sua musica è così stridente, così orribile da far rivoltare le budella, che lui, o a volte la sua band, sono costretti a imbucarsi ai concerti per suonare non annunciati a qualsiasi pubblico possano trovare. E la musica è tremenda, una cupa cacofonia di disaccordo e rumore, troppo da sopportare. Puoi sempre capire quando i Grifter’s Bone hanno suonato, ti diranno, a causa di tutte le orecchie strappate. Non si sbagliano completamente.
È da un po’ che scrivo per Earful. Prima ero solo io che scrivevo i miei pensieri sulla musica su un blog, ma qualche anno fa il mio allora-amico, adesso-capo Tommy Moncreef mi disse che stava mettendo su un sito musicale e mi chiese se volessi scrivere per esso. Ovviamente dissi di sì, ed eccomi ora a gestire i suoi contenuti video. Earful.com esiste da soli tre anni circa ma a essere sinceri nel mondo dei siti musicali ciò ci dà un pedigree abbastanza decente. Tommy viene dalla vecchia scuola - ha scritto per dozzine di riviste musicali, ai tempi degli alberi morti, prima che la stampa diventasse un imbarazzante parente sempre più vecchio che proprio non si decide a morire. Il punto è che conosceva molti vecchi contatti e scrittori, la maggior parte dei quali ha coinvolto per Earful. Il che vuol dire che sono stata rapidamente aggiornata su decenni di chiacchiere sulla scena musicale di Londra da uomini bianchi di mezza età che indossano solamente magliette di gruppi finiti tragicamente. Ed è stato allora che ho iniziato a sentire parlare di Grifter’s Bone.
Ogni volta che qualcuno stava ascoltando qualche proposta sotto la media, o anche qualche loro musica non ben vista, uno dei vecchietti, di solito Mike Baker, gli gridava “Vedo che hai il nuovo album di Grifter’s Bone!” o “Non sapevo che i Grifter’s Bone fossero tornati insieme!” o qualcosa del genere. Era seccante da morire, ma non l’ho mai veramente menzionato. E dopo aver sentito ogni possibile variazione della storia da una mezza dozzina di scrittori ubriachi alla nostra festa di Natale, ho più o meno deciso di lasciar stare.
Non ci ho più pensato molto fino all’inizio di quest’anno. C’è un tipo che lavora per Earful di nome Lee Kipple. Il suo titolo ufficiale è ‘Editore delle proposte’, anche se noi lo chiamiamo in modo un po’ più volgare, e il suo lavoro è ascoltare tutta la musica che ci viene mandata spontaneamente. CD, MP3; recentemente c’è stata una strana moda di mandarci musica su chiavette USB gadget. Lui la ascolta tutta. Come potete immaginare, la maggior parte di essa è tremenda. Comunque, Lee è praticamente il tipo più gentile che io abbia mai conosciuto, e non penso di averlo mai sentito lamentarsi. È alto, un po’ allampanato, con capelli lunghi e biondi che gli coprono le orecchie. E gli occhi se non sta attento.
A causa del suo lavoro, Lee ovviamente riceve molti commenti riguardo l’ascoltare musica schifosa, e se è uno dei vecchietti potete scommettere che menzionerà Grifter’s Bone. Mi ci è voluto un po’ a notare quanto la sua reazione fosse strana quando questo succedeva. Mentre la maggior parte dello staff fingeva di ridere, sospirava o imprecava un po’, Lee si irrigidiva. Annuiva delicatamente e allungava la mano a grattarsi le orecchie, ancora per la maggior parte coperte dai capelli. Nessuno sembrava notarlo.
Ho continuato a guardarlo e il comportamento ricorrente si ripeteva ogni volta che il gruppo veniva menzionato. Non so quando mi sono convinta che doveva aver visto Grifter’s Bone esibirsi dal vivo, ma l’ho fatto. E oltre a quello, ho deciso che doveva avere orecchie finte, essendosi strappato le sue quando aveva visto il concerto, ed era per questo che teneva i capelli lunghi per coprirle. Non ci credevo davvero, ovviamente. Era solo una piccola teoria divertente con la quale mi piaceva giocare. Ma più guardavo Lee, più sembrava che davvero cercasse di tenere le sue orecchie coperte intenzionalmente.
Alla fine, circa un mese fa, ho deciso semplicemente di chiederglielo. Eravamo tutti usciti a bere qualcosa, e ammetto che potrei avere bevuto qualche vodka tonic in più di quanto sarebbe stato saggio, ma quando tutti gli altri se ne erano andati a casa ed era rimasto solo Lee, ho deciso che era il momento. Gli ho chiesto se fosse terribile come tutti dicevano. Lui è sembrato confuso, e io mi sono avvicinata. “Grifter’s Bone”, ho detto. Lui si è immobilizzato, completamente fermo. Ho aspettato che si toccasse le orecchie, ma invece mi fissava soltanto, senza muoversi. Ha cominciato a balbettare qualcosa riguardo non sapere di cosa parlassi, ma io l’ho interrotto. Ce l’aveva scritto su tutta la sua faccia terrorizzata; l’aveva visto.
L’ho guardato mentre decideva se cercare di scappare o no. C’è stato un momento in cui sono stata sicura che sarebbe letteralmente sfrecciato verso la porta, ma invece ha sospirato e annuito. Era stato quattro anni prima, mi ha detto, al The Good Ship a Kilburn. Lee aveva guardato un gruppo metal emergente il cui nome non si ricordava più - erano stati discreti, un po’ deludenti, quindi era dell’umore di finire il suo drink e andarsene. Il resto del pubblico sembrava pensarla allo stesso modo, quindi nessuno ha notato quando un uomo è salito sul palco e ha montato una piccola tastiera.
L’uomo era basso, così ha detto Lee, e spiacevolmente magro, con indosso un logoro completo marrone che gli stava addosso come, nelle parole di Lee, “lembi di pelle mal calzante”. I suoi capelli neri radi erano tirati indietro, e la sua faccia aveva una strana aria di crudeltà. Quando posava le dita sul suo strumento lasciava macchie rosso scuro sui tasti bianchi. Lee ha detto che non aveva mai sentito parlare di Grifter's Bone prima di quel momento, ma in qualche modo sapeva cosa stava guardando. E poi la musica era cominciata.
Dopo aver detto questo, Lee si è zittito. Era chiaro che si stava concentrando molto. Ho aspettato, non volendo interromperlo, ma alla fine ha solo scosso la testa. Ha detto di non riuscire a ricordare la musica. Ha provato, ma c’era solo il vuoto. Quando era tornato in sé stava vagando per le strade di Kilburn quasi due ore dopo, la sua maglietta inzuppata di sangue. Per la maggior parte di sangue suo. Detto questo Lee si è sbottonato la camicia e mi ha mostrato una serie di vivide cicatrici tagliate sul suo petto. L’ospedale gli ha detto che era probabilmente stato un taglierino di qualche tipo, ma lui non ne aveva memoria.
A questo punto sembrava sull’orlo delle lacrime, ma io non potevo lasciare stare. Gli ho chiesto delle sue orecchie. A questo in realtà ha riso e ha detto che no, non se le era strappate. Portando su la mano, Lee ha tirato indietro i suoi lunghi capelli biondi, scoprendo un orecchio che a prima vista sembrava normale. Guardando più da vicino però ho visto che indossava dei tappi per le orecchie color carne in modo che non fossero evidenti, e incrostato ai loro bordi c’era un anello di sangue secco. Ha detto che era l’unico modo che aveva trovato per farlo smettere di colare e rovinargli le camicie.
A questo sono rimasta un po’ sconvolta. Comprensibilmente, immagino, anche se era completamente colpa mia, e gli ho detto che doveva vedere un dottore se le sue orecchie non smettevano di sanguinare. Lee ha solo scosso la testa, dicendo che aveva visto abbastanza dottori da sapere che non lo potevano aiutare e che aveva imparato a conviverci. Abbiamo bevuto il resto della notte in silenzio prima di andare per le nostre rispettive strade.
Lo so che avrei dovuto lasciare stare dopo ciò, e di sicuro non ho più seccato Lee. Ma ho scoperto che io, io proprio non potevo lasciar perdere. O Lee era pazzo, o i Grifter’s Bone esistevano davvero. Ho cominciato a fare ricerche online. C’erano un po’ di siti che ne parlavano come di una leggenda metropolitana. C’era un duo punk in Oregon che annunciava orgogliosamente di essersi dato il nome Grifter’s Bone come “il Jack lo Squartatore della musica del Regno Unito”. C’erano molti post su blog musicali da novellini dell’ambiente che chiedevano cosa fosse Grifter’s Bone. Ma da nessuna parte c’era niente di minimamente simile alla storia di Lee.
Alla fine, avendo più o meno esaurito le forze, ho messo insieme le mie scoperte in un piccolo articolo di approfondimento e l’ho mandato a Tommy, che lo ha approvato come richiesto. Ho pensato che avevo speso abbastanza tempo sull’argomento da poterlo almeno utilizzare per qualcosa di decente per il sito. È andato abbastanza bene, anche se non ha avuto abbastanza successo da giustificare il tempo perso su di esso. Lee non lo ha menzionato quando ne abbiamo parlato la volta dopo - gli avevo chiesto se potevo scrivere della sua esperienza dopo averla resa scrupolosamente anonima, e lui aveva fatto spallucce e detto va bene. Tutto sommato, sembrava che qualsiasi cosa mi avesse presa all’amo fosse finito e io non ci stavo troppo male.
Poi qualcuno ha lasciato un commento sul mio articolo. Diceva solo “Stasera. Soho.” Non ci avrei prestato molta attenzione se non fosse stato per la seconda riga: “Non sono necessari tappi per le orecchie”. I tappi per le orecchie di Lee, e la ragione dietro a essi, erano stati l’unica cosa che lui aveva richiesto di tralasciare nell’articolo. L’ho menzionato a Tommy, e lui ha detto solo qualcosa riguardo ai perditempo, e a come io avessi di meglio da fare che passare una serata a vagare per Soho ed entrare in sale concerto a caso.
Probabilmente dice qualcosa di veramente deprimente sulla mia vita personale il fatto che davvero non avessi niente di meglio da fare. Quindi quel pomeriggio ho fatto precisamente quello. Vagare per le strade di Soho, prendere nota di tutti i musicisti in scaletta per suonare quella sera. Come mi aspettavo, nessuno di essi aveva in lista che avrebbe suonato Grifter’s Bone, ma ne ho preso nota comunque. Non era molto tardi ma era già buio, il mondo illuminato dal bagliore colorato delle insegne e dalle vetrine di Soho. Il vento era debole nelle strette strade, ma attraversava comunque il mio sottile cappotto di lana mentre vagavo, cercando un piccolo uomo dall’aria crudele con un logoro completo marrone.
Ho continuato la mia osservazione per forse un’ora quando ho visto qualcuno che mi fissava dall’entrata di un piccolo negozio. L’insegna al di sopra non aveva un nome chiaro, diceva solo “Cristalli. Libri. Tarocchi.” Era alto, scuro e segnato, con profonde linee di preoccupazione impresse su un altrimenti attraente viso. Quando ha visto che lo guardavo, ha cominciato ad avvicinarsi a me, ancora con quello sguardo intenso. Ho fatto qualche passo indietro e chiesto se lo potevo aiutare. Lui ha scosso la testa come se non fosse sicuro di cosa dire, poi mi ha chiesto che cosa stessi ascoltando. Un brivido mi ha attraversata quando mi sono resa conto che stava fissando le mie orecchie.
Io gli ho detto che non stavo ascoltando niente, e che non indossavo cuffie, e gli ho chiesto che cosa volesse. Lui ha scosso la testa di nuovo, e ha borbottato qualcosa riguardo il proteggere il mio udito. Si è poi girato e ha cominciato a dirigersi di nuovo nel negozio. Stavo per seguirlo quando ho visto un piccolo gruppo di persone girare l’angolo.
Era difficile essere sicuri dei loro lineamenti nel buio, ma a camminare davanti, trascinando una custodia per tastiera su ruote, era un uomo basso e magro in un completo marrone troppo largo. Le tre figure dietro di lui erano tutte molto più alte di lui, ma ognuno era magro come uno stecchino e si muoveva con un’andatura a scatti. Ho guardato di nuovo verso dove era stato lo strano uomo che mi fissava, ma si era ritirato nel suo negozio, e le luci erano spente adesso, perciò ho cominciato a seguire l’uomo che pensavo essere Alfred Grifter mentre lui e i suoi compagni si muovevano lungo la strada. Anche tutti gli altri portavano custodie da strumenti, e nessun altro per strada sembrava prestar loro alcuna attenzione, neppure quando il più alto ha letteralmente spinto via un uomo dal suo tragitto.
Alla fine hanno girato giù da una rampa di scale, in un jazz bar seminterrato che non ho riconosciuto. Dopo qualche secondo li ho seguiti. Il bar era poco illuminato e silenzioso, con luci rosse e arancioni che gli davano un’atmosfera calda e fumosa. Gli avventori stavano lì bevendo e chiacchierando. Ne ho contati undici in tutto. Ricordo che ho notato il numero a causa di quanto vuoto fosse il posto. La maggior parte sembravano vestiti per una serata di jazz, ma ho notato che alcuni di loro sembravano indossare pesanti cappotti o giacche e uno, un uomo anziano con una massa di capelli argentati, sembrava indossare un accappatoio di seta. Dietro di loro, sul palco, i Grifter’s Bone stavano preparando i loro strumenti.
Ora, nonostante tutto ciò che è successo fino a ora sembri mostrare il contrario, io non sono un’idiota. Mi ricordavo della storia di Lee chiaramente infatti, e non avevo intenzione di rimanere per lo spettacolo. Invece, ho tirato fuori il mio cellulare, ho fatto partire una registrazione video e l’ho posizionato in una piccola nicchia vicino all’entrata con una buona vista del palco. Ho controllato che il microfono funzionasse, e poi me ne sono andata. Sono stata in piedi in cima alle scale di quello squallido jazz club e ho aspettato.
Dopo qualche minuto a rabbrividire nel freddo, ho pensato di aver fatto un errore. Le strade erano deserte, e la notte di novembre prima mite aveva assunto un gelo da entrare nelle ossa. Poi l’ho sentita. Smorzata dai muri, ma chiaramente crescente fino a dove stavo, una nota. Una singola, chiara nota, da quel che sembrava un violoncello. Le se ne sono unite altre, una tastiera, una chitarra, e al di sopra di tutte il puro squillante suono di un flauto. Era bellissimo. Era una delle musiche più struggentemente bellissime che io abbia mai sentito. Poi sono cominciate le urla.
Non c’è stato nessun crescendo fino alle urla; nessuna crescita graduale che spieghi l’improvviso scoppio di suoni di agonia. Ci sono stati anche schianti, suoni di urti e, una o due volte, qualcosa che suonava come lacerazioni. Durante tutto ciò, di sottofondo, suonava quella bellissima musica. Io stavo lì in piedi, pietrificata sul posto, non volendo scendere laggiù ma incapace di fuggire, mentre di sotto tutto quello che riuscivo a sentire era musica inquietante e massacro.
Ho fatto per tirare fuori il mio cellulare per telefonare alla polizia, ma ho realizzato che lo avevo lasciato laggiù a registrare il jazz club. Avevo finalmente preso la decisione di correre a cercare aiuto quando i rumori sono cessati bruscamente, e c’è stato silenzio. Mi sono guardata intorno cercando chiunque potesse aver sentito le urla di dolore e panico, e che potesse star venendo in soccorso, ma non c’era nessuno. Solo io. Ho cominciato lentamente e con cautela a farmi strada verso il seminterrato. Se chiunque fosse stato lì sotto avesse voluto uccidermi, sarebbe stato piuttosto facile trovarmi con le informazioni sul mio telefono. In un modo o nell’altro ero alla loro mercè.
Quando ho aperto la porta è stato difficile capire esattamente cosa stavo vedendo. Nella fioca luce rossa, i resti lacerati e straziati delle persone che avevo visto vive meno di mezz’ora prima erano quasi indistinguibili dal tappeto e dall’arredamento. Sul palco, i musicisti stavano rimettendo via con calma i loro strumenti. Non avevano la minima macchia di sangue su di loro. Quello con il completo marrone, che immaginavo essere Alfred Grifter, ha guardato su. Ha guardato dritto nei miei occhi e ha detto, “Un bis?”. Ho afferrato il mio cellulare e sono scappata.
Non ho telefonato alla polizia. Avevo troppa paura di cosa potesse succedere. Ho guardato le notizie ossessivamente, aspettandomi di vedere qualsiasi cosa sul massacro, ma non c’era niente. È passata quasi una settimana, e non ho sentito niente. Non sono riuscita ad accedere al video di quella sera. Il mio telefono dice che è formattato male per qualche motivo, ma continuerò a provare. Sono tornata al jazz club, ma non ho trovato nessun segno di violenza, nessun segno dei Grifter’s Bone, e nessun segno delle undici persone morte quella notte.
ARCHIVISTA
Fine della dichiarazione.
Le nostre investigazioni personali sul gruppo “Grifter’s Bone” hanno ricavato poco che la signorina Ling non abbia già incluso nel suo notevolmente esaustivo articolo “Spaventi e assoli: racconto pizzicato di Grifter’s Bone”. La sua dichiarazione sembra di sicuro essere il resoconto più dettagliato di un incontro con il gruppo, supponendo che le si possa credere. Il jazz club di Dean Street nega energicamente che qualsivoglia violenza si sia svolta nel suo locale durante le date in questione, e non ci sono verbali della polizia che sembrino coincidere con la descrizione della signorina Ling.
Beh, immagino che non sia completamente vero. Secondo i verbali della polizia, durante il mese di Ottobre 2013, ci sono state un totale di undici morti violente nell’area metropolitana di Londra. Non è possibile far corrispondere i dettagli di tutte in base alle informazioni nella dichiarazione della signora Ling, tranne di una delle vittime, il signor Albert Sands, 67 anni, picchiato a morte in casa sua. Anche se è successo due settimane prima degli eventi in questa dichiarazione, secondo la polizia stava indossando una vestaglia di seta quando è stato brutalmente ucciso.
Sfortunatamente non siamo in grado di ottenere un seguito dalla signorina Ling; sembra che circa due settimane dopo aver dato questa dichiarazione abbia attaccato Agatha Norrell, la sua anziana vicina, con un martello da carpentiere. La signorina Norrell è rimasta in un coma dal quale non si è ripresa, mentre la signorina Ling ha rivolto il martello contro se stessa. Nel tempo che la polizia ha impiegato ad arrivare, aveva danneggiato la sua testa così tanto che… non c’è stata nessuna speranza di salvarla. Ho la sgradevole sensazione che possa aver finalmente fatto funzionare quel video.
Fine della registrazione.
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Supplemento. Ho osservato Martin. È stato molto attento ai miei bisogni e alla mia ripresa da quando sono tornato al lavoro, quasi al punto di trascurare i suoi compiti. Precedentemente avrei potuto attribuire tali cure alla sua etica lavorativa alquanto permissiva, ma nello stress dell’attacco di Prentiss, sono sicuro di aver notato momenti di competenza, o addirittura di astuzia, che sono al di là di quanto le sue azioni precedenti indicherebbero. Sta facendo il finto tonto? Sta venendo meno ai suoi compiti di proposito per ritardare od ostacolare le mie investigazioni? È possibile. Ha anche mostrato notevole interesse nelle mie teorie su chi abbia ucciso Gertrude. Per adesso l’ho sviato dicendogli che credo sia stato qualsiasi cosa si aggiri nei tunnel di sotto, ma sembra… non soddisfatto da questa risposta.
Sono felice che si sia trasferito fuori dagli Archivi, visto che ciò mi dà la possibilità di lavorare senza la sua presenza costante. Anche perché è riuscito a lasciarsi dietro alcune delle sue cose, per la maggior parte solo qualche libro di poesie relativamente tremende. Ce ne sono alcune che potrebbero quasi essere emozionanti se il suo stile non fosse così palesemente influenzato da Keats, ma c’è una lettera non finita indirizzata a sua madre nel Devon, nella quale menziona di essere preoccupato “che gli altri scoprano che ho mentito”.
Potrebbe non essere nulla, qualche irrilevante raggiro o altro - dopotutto, è palesemente indirizzata a sua madre - ma se avesse in realtà intenzione di inviarla a qualcun altro… Terrò d’occhio Martin.
Fine del supplemento.
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[Traduzione di: Cate]
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Consapevole del fatto che non sarò mai la figlia che immaginavi d’avere per via della complessità della personalità che posseggo e che il più delle volte a fatica riesci a comprendere e a sopportare, e che molto spesso ci porta a discutere senza concludere niente, so per certa del bene che nonostante tutto dimostri di provare più con i Tuoi gesti e le Tue raccomandazioni, che con le carezze e le parole. Nonostante la Mia età mi tratti ancora da bambina, da proteggere e difendere in ogni occasione e ciò lo sai mi pesa parecchio, poiché il Tuo essere chioccia delle volte mi fa mancare perfino il fiato. Io ho bisogno di camminare sulle Mie gambe, ho bisogno anche di sbagliare e Tu me lo devi concedere, perché non sono perfetta, perché anch’io ho diritto di crescere, e gli errori servono a questo, ecco perché non mi devo sentire in colpa quando capita che ne commetto uno. Non voglio mai leggere nei Tuoi occhi la spietata espressione che dice: “da Te non me lo aspettavo!”. Sono umana anch’io cerca di non dimenticarlo, ricordandoti inoltre di quanto sia importante per Me essere accettata da Te! Ogni giorno tento, provo a non deluderti e mi spiace tantissimo quando fallisco in questo Mio Nobile intento. Ricorda pure che nemmeno Tu sei perfetta e che come tutti puoi sbagliare anche Tu. L’Amore che proviamo l’una per l’altra ci aiuta in questo, a superare qualsiasi ostacolo, basta semplicemente volerlo, mettendo da parte orgoglio e pregiudizio. Per il resto, sappi che Ti ammiro per tutte le difficoltà che hai dovuto affrontare nella Tua vita e non sono poche. La maggior parte della gente Ti vede come una sorta di attaccabrighe sempre pronta a scagliarti contro chiunque in nome della Tua verità, non sapendo che hai patito tanto e tutta questa sofferenza non ha fatto altro che renderti stanca e arrabbiata. Hai il difetto di non stare mai zitta, usando la provocazione per difenderti. Inoltre sei molto presuntuosa e poco umile dunque, però hai un grande cuore emotivo che Ti porta a fare di tutto per aiutare chi ne ha bisogno, e questo nessuno potrà mai negarlo. Ti commuovi moltissimo, anche di fronte ad un cane che soffre, e hai paura della solitudine. Contraddizioni per un maresciallo come Te, così forte e autoritario, eppure Tu sei anche questo per fortuna e mi piacerebbe che le persone potessero prendere visione anche di questo Tuo aspetto positivo. Della passione che impieghi per il Tuo lavoro che non ha eguali e che secondo me può insegnare moltissimo, soprattutto a coloro i quali si lamentano di continuo, dando ogni cosa per scontata. Sappi che sei un Esempio. Nonostante le Nostre differenze di vedute, Io sono e resto fiera di Te, del Tuo particolare modo di non arrenderti mai, continuando a combattere anche alla soglia dei 66 anni che stai per compiere fra 3 giorni esatti. Spero che un giorno non troppo lontano, anche Tu possa esserlo di Me! Sei un Portento sappilo. Buona Festa della Mamma allora, auguri di cuore e in ogni caso GRAZIE di tutto!
@elenascrive
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Dal ghost writing a Life in Hell: tutte le paure di Groening
Nasce nel 1954 a Portland, in Oregon, terzo di cinque figli. Fin dalla più tenera età, ha una passione per il disegno in cui però non si rivela poi così bravo, tanto da essere scoraggiato dai suoi stessi insegnanti. Complice forse il padre, anch’egli scrittore e disegnatore, e la sua stessa forza di volontà, il giovane Matt Groening non si arrende e porta avanti questa passione.
Tuttavia, sceglie un percorso di studi ben diverso da questo suo interesse: si laurea in Matematica e Fisica all’Evergreen State College di Olympia, a Washington, anche se più per dovere che per reale interesse. Una volta uscito dal sistema scolastico, fa i lavori più disparati, passando per un impianto di trattamento dei rifiuti fognari, un negozio di dischi e finendo per fare il ghost writer per un regista hollywoodiano.
Forse non tutti sono a conoscenza del fatto che ben prima de I Simpson, Matt Groening disegnava un’altra piccola famiglia disfunzionale. Se all’inizio erano brevi strisce fotocopiate e distribuite in un angolo del negozio di dischi in cui lavorava, divenne ben presto popolare tra gli amanti della cultura underground. Fu proprio grazie a questa fama che riuscì a convincere il Los Angeles Reader a fargli pubblicare una striscia con cadenza settimanale, fino ad arrivare a essere pubblicata anche a livello mondiale.
Life in Hell, questo il titolo dell’opera, ha come protagonisti dei conigli antropomorfi e una strana coppia di gemelli amanti. In queste vignette, Matt Groening infonde tutta la preoccupazione, le ansie e il senso di inquietudine che lo attanagliavano negli anni ’70, quando ancora non riusciva ad avere un lavoro stabile. Il protagonista Binky è affiancato dalla sua ragazza, Sheba, e dal figlio illegittimo del primo, Bongo, con un solo orecchio. I tre dividono la scena con Akbar e Jeff, una coppia di amanti pressoché identici.
La nascita de I Simpson
Fu grazie alla popolarità sempre crescente di Life in Hell che Matt Groening venne contattato dal produttore James L. Brooks per ingaggiarlo per creare un adattamento televisivo sul canale Fox. Forse però, non tutti sanno che i Simpson nacquero proprio in quell’occasione, totalmente per caso e sul momento. Groening infatti stava aspettando di fare il suo ingresso nell’ufficio di Brooks per parlare di Life in Hell. Il creatore dei gialli però, fu colto dal dubbio che avrebbe dovuto cedere tutti i diritti d’autore delle strisce e decise quindi di proporre un’idea nuova e totalmente diversa dalla sua prima creazione.
Fece un veloce schizzo di questa famiglia disfunzionale dandogli i nomi dei propri famigliari. Come ammesso da lui stesso successivamente, non si sentiva poi così creativo in quel momento. Fatta eccezione per Bart, tutti i personaggi principali de I Simpson prendono il nome da persone realmente esistite. Abbiamo quindi Marge e Homer dagli stessi genitori di Matt Groening, Lisa e Maggie dalle sorelle minori dell’autore e Patty, la sorella maggiore. Lo stesso sergente Wincester, nella versione originale vanta il cognome da nubile della madre di Groening, Wiggum.
Non volendo però inserire altri nomi di famigliari, decise di non utilizzare il suo nome o quello del fratello, optando quindi per Bart, che non è altro che un anagramma di brat, monello. Inoltre, uscì anche dalla stanza quando venne deciso il nome del nonno Simpson, ma per uno scherzo del destino, quello che venne scelto, Abrahm, era anche quello di suo nonno.
La perfetta famiglia disfunzionale venne così creata. Matt Groening li riempì di così tanti difetti, allontanandoli totalmente dalle perfette famiglie delle serie televisive di quel tempo. Questa particolarità però, non fece che aumentare l’interesse di James L. Brooks, che decise di affidargli la produzione dei cortometraggi da inserire nel suo programma.
Nonostante la famiglia dei Simpson fosse disegnata in un modo alquanto rozzo, dato che gli animatori avevano solo ricalcato i bozzetti di Groening, la serie di corti ebbe abbastanza successo da far pensare a Brooks di poterli sfruttare in modo diverso. Secondo una delle innumerevoli leggende che gravitano attorno a I Simpson, fu durante una festa di Natale che Brooks si convinse cavalcare il successo dei cortometraggi, trasformandoli in una vera e propria serie. La sua intenzione era risollevare l’animazione televisiva, persuadendo la Fox a mandare in prima serata i Simpson.
Tuttavia, i responsabili di Fox non erano totalmente certi che una serie di questo tipo potesse reggere per mezz’ora, ma Brooks riuscì a convincerli a lasciargli la totale autonomia nello sviluppo della serie. Un accordo che ha fruttato al canale un grande successo, tanto da meritarsi un Emmy e il titolo di serie animata più longeva della televisione.
Gialle curiosità e ispirazioni
Una delle curiosità che più affascinano dei Simpson è senza dubbio quella inerente al colore della pelle degli abitanti di Springfield. Ci sono diverse dicerie a riguardo e una tra queste è che Matt Groening volesse un colore che spiccasse subito all’occhio dello spettatore e che, trovandolo inusuale, si sarebbe quindi fermato sul canale per capire se fosse un problema di sintonizzazione della propria televisione. L’ipotesi più accreditata però, è quella di renderli estremamente riconoscibili e d’impatto per chiunque facesse zapping tra i vari canali. Sapevate inoltre che tutti i personaggi hanno quattro dita, tranne Dio e Gesù?
Un’altra delle curiosità che riguardano la nascita dei Simpson e della loro caratterizzazione come li conosciamo noi oggi, riguarda una delle frasi anzi, dei versi più celebri di uno dei protagonisti: Homer. Lo stesso storico doppiatore del capofamiglia, Dan Castellaneta, racconta come sia nata l’esclamazione di frustrazione “D’oh!”. Dato che sul copione questo suono era definito solo come annoyed grunt (un verso infastidito), Castellaneta chiese spiegazioni a Groening, che però gli diede carta bianca su come realizzarlo.
Il doppiatore quindi, decise di ispirarsi all’esclamazione tipica di uno dei personaggi ricorrenti dei film di Stanlio e Ollio che guardava da bambino. Lo scozzese Jimmy Finlayson, l’attore che lo interpretava, aveva dovuto sostituire l’esclamazione damn (dannazione) quando il proprio personaggio veniva infastidito, con un d’oooh prolungato, dato che all’epoca era impensabile pronunciare quella parola. A Groening l’idea piacque, ma per renderla ancora più efficace in termini televisivi, suggerì di accorciarla.
Come predire il futuro con I Simpson, gli anni ’90 e Futurama
Se c’è un alone di assurdità e mistero che permea la serie animata più longeva della televisione, è grazie a questa improbabile quanto accurata capacità di predire il futuro. Molte sono le “profezie” azzeccate da Matt Groening e dai suoi autori, e molti non riescono effettivamente come sia possibile.
Il creatore dei gialli però, ha svelato che in realtà non c’è un vero e proprio sforzo per azzardare le ipotesi sul futuro. Come anche confermato dall’autore Al Jean, si tratta per lo più di un nutrito gruppo di persone intelligenti e molto attente a ciò che succede, che affidano alcuni avvenimenti della storia a quelli più improbabili ed imprevedibili che potrebbero mai accadere nella realtà, finendo così per azzeccarne qualcuna! Ma come specificato, non tutto è un salto nel vuoto: ad esempio, riguardo alla presidenza di Trump, basta ricordare che già nel 1999 ne parlava lui stesso della possibilità di correre come potus.
I Simpson però non sono l’unica serie animata di successo di Matt Groening. Infatti, verso la metà degli anni ’90, l’emittente Fox decise che era giunto il momento di creare un’altra serie animata, affidandosi ancora una volta all’autore. Assieme a David X. Cohen, il produttore decise di puntare questa volta su una serie futuristica, nonostante questo richiedesse delle competenze in campo fantascientifico per realizzarla.
Cominciò quindi la ricerca di informazioni, che consisteva prevalentemente nel passare una grande quantità di tempo tra libri, film e serie tv di fantascienza. Questa viene definita da Groening stesso come la peggiore esperienza della sua vita da adulto. E come successe per I Simpson, la Fox non ne fu subito entusiasta, trovando i temi trattati non adatti per la rete. Matt decise quindi di autoprodursi il primo episodio, Pilota spaziale 3000, che convinse il canale televisivo ad approvarla, seppur con qualche remora. Fu solo con la creazione dell’episodio Io, coinquilino e dopo alcune trattative, che Groening ottenne l’indipendenza anche per Futurama.
L’avvento di Netflix e Disincanto
Se I Simpson e Futurama hanno conquistato il pubblico e la critica, non si può dire la stessa cosa di Disincanto, l’ultima delle opere di Matt Groening. La serie è la sua prima produzione ad apparire direttamente su un servizio streaming, Netflix. Il colosso americano, nel 2017 aveva chiesto a Groening di creare un nuovo serial, affidandosi totalmente al suo stile di animazione, per mandarlo poi in onda un anno più tardi. A differenza delle altre due produzioni, Disincanto ha un punto di vista prettamente femminile e più che a far ridere, cerca di far riflettere lo spettatore su importanti temi di vita quotidiana affrontati dalla protagonista Tiabeanie.
Ambientato in un medioevo fantasy, Disincanto è riuscito a far parlare di sé anche grazie a molti easter egg in riferimento a Futurama che Groening ha inserito. Forse però, queste piccole chicche nascoste si sono rivelate un po’ troppe, per essere considerate da tutti un mero omaggio all’altra opera. Pur non essendoci alcuna conferma da parte degli autori, alcuni fan infatti hanno ipotizzato che Futurama e Disincanto siano parte dello stesso universo. Gli avvenimenti della nuova serie potrebbero avere luogo sia prima delle avventure di Philip J. Fry e dei suoi amici, sia in un futuro ancora più lontano e subito dopo un’ipotetica distruzione mondiale che ha riportato al medioevo il globo.
L’epoca dei Rock-Bottom Remainders
Staccandoci dalle creazioni fumettistiche e disegnate di Matt Groening, vi lasciamo un’ultima chicca sul creatore de I Simpson e Futurama. Forse non tutti sanno che l’autore fa parte di un gruppo musicale rock composto da famosi autori di libri e scrittori di quotidiani in lingua inglese: i Rock-Bottom Remainders. La band vanta tra i suoi componenti nomi illustri come ad esempio Stephen King e Maya Angelou, e furono fondati da Kathi Kamen Goldmarkall’inizio degli anni ’90.
La Goldmark era una musicista che di giorno lavorava in un’editoria e l’idea le venne quando, accompagnando uno scrittore in giro, pensò di creare un gruppo musicale letterario. Il progetto andò in porto nel 1992, quando i Rock-Bottom Remainders suonarono alla convention dell’American Booksellers Association ad Anaheim, in California, e prendono il loro nome da quelle copie rimaste invendute che vengono cedute a prezzi ridotti.
Dopo aver ripercorso i punti salienti della sua carriera, possiamo dire che Matt Groening è stato uno dei personaggi più influenti nell’animazione della televisione americana e mondiale, sdoganando così i cartoni irriverenti e politicamente scorretti, spianando un po’ la strada a creazioni come I Griffin e Bob’s Burgers.
Non ci resta quindi che augurargli un giallissimo buon compleanno!
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