#fabio sironi
Explore tagged Tumblr posts
Text
Arte: F. Sironi, Si prega di non lanciare coriandoli
Venerdi 14 giugno alle ore 18 si inaugura la nuova mostra dell’amico Fabio Sironi presso The Art Company in via Borgovico 163 a Como. La mostra sarà visitabile fino a venerdì 28 giugno 2024 dal lunedì al venerdì 15.00 – 18.30; sabato solo su appuntamento. [email protected] | 338.7793082 Questo il comunicato stampa della mostra. Nel giugno del 2016 presso la Fondazione Renzo Cortina di…

View On WordPress
0 notes
Photo

Fabio Sironi - Il signor B
61 notes
·
View notes
Photo

(via Mostre in Calendario [150] – 28/09/2018)
Cosa troverete: Mario Sironi a Pordenone; Francesco Vaccaro a Napoli; Paolo Grassino a Firenze; Fabio Modica a Palermo; Maria Mulas a Roma; Paolo Bini a Palermo; Franco Fasoli JAZ a Milano; Francesco Barocco a Torino; Mercanteinfiera a Parma; Stand Up For Africa a Pratovecchio; i vincitori e finalisti del Sony World Photography Awards a Monza; i 50 anni dello Studio d’arte Cannaviello a Milano & more…
Clicca per vedere la lista: https://barbarapicci.com/2018/09/28/mostre-calendario-150/
11 notes
·
View notes
Text
Domosofia, il festival della conoscenza torna a Domodossola
Torna a Domodossola dal 14 al 19 settembre 2022, per la sua quarta edizione, Domosofia, il festival della conoscenza organizzato dal Comune di Domodossola, con la direzione artistica di Maria Fiorenza Coppari. Un luogo di incontro, dove studiosi e pubblico possono confrontarsi e condividere il piacere della cultura. Una manifestazione accessibile a tutti, dove il sapere vuole essere percepito come collante sociale e patrimonio comune. Domosofia e la luccicanza dell’attualità Una parte del Festival sarà dedicata ai temi di più stretta attualità, con conferenze e incontri con autori che approfondiranno diversi argomenti, spaziando dalla guerra alla cronaca nera, dal sistema giudiziario ai temi legati alle risorse del nostro pianeta. Nicola Saldutti parlerà dei nuovi orizzonti economici, focalizzandosi sulla risorsa Terra, l’oro di domani. Domenico Quirico racconterà invece di storie di guerra e di umanità. Lucia Bellaspiga indagherà su alcune storie di rinascita. Fabrizio Pregliasco approfondirà il tema dell’Infodemia ai tempi del Covid. Luciano Garofano ci trasporterà invece sulla scena del crimine, parlando delle illuminazioni della scienza. Dominic Salsarola approfondirà le scoperte dell’archeologia forense. E ancora Valerio De Gioia e Adriana Pannitteri parleranno del rapporto tra alcuni casi di cronaca noti all’opinione pubblica e il mezzo televisivo. Tra gli ospiti anche Luca Palamara, Alessandro Sallusti e il direttore de La Repubblica Maurizio Molinari. L’uomo, la scienza e l’universo E ancora, largo spazio sarà dato alla scienza, con interessanti interventi come quello di Luca Baraldi e Pietro Monari che parleranno di come interpretare, comprendere, inventare nell’era dei dati; o quello di Andrea Accomazzo e Giacomo Prina, che trasporteranno il pubblico nel grande universo raccontando di missioni spaziali e nuove scoperte. E poi Sergio Cacciatori e Pierpaolo Mastrolia che si addentreranno nell’astrofisica spaziando dalle particelle elementari ai buchi neri. La luccicanza delle idee E poi numerose conferenze e incontri saranno dedicati al tema delle idee, alla luccicanza che sprigiona l’intelletto in ogni sua forma. Elena Pontiggia e Antonio D’Amico parleranno ad esempio di Mario Sironi e della luce della sua figura femminile. Massimiliano Valerii approfondirà invece il rapporto tra la ragione e la libertà nel disincanto del mondo. Gaia De Vecchi, Alberto Mattioli, Milena Santerini indagheranno il rapporto tra la coscienza religiosa e quella civile. Marco Benadì racconterà intuizioni di luccicanza nonostante le nuvole che s’addensano attraversano l’orizzonte esistenziale. Luigi Maria Epicoco approfondirà la scelta di Enea, per una fenomenologia del presente. Gianfranco De Turris parlerà invece di esorcismo della fantasia ai tempi del lockdown. Fabio Minazzi ci trasporterà nella mente di Einstein parlando di immaginazione e scienza. Alessandro Bertirotti racconterà di alcune “intuizioni luminose”. Michele Oldani, poi, approfondirà il significato del tempo del non più e del non ancora. Ilaria Gaspari che parlerà di intuizioni e luccicanza. Read the full article
0 notes
Photo

La strage dei bimbi di Gorla Gorla è un quartiere di Milano, posto nella periferia nord - orientale della città. La data della strage è nella memoria di molte persone, purtroppo non tutte: 20 ottobre 1944. Quella mattina dall’aeroporto di Castelluccio dei Sauri, nei pressi della città di Foggia in Puglia, decollarono 36 bombardieri B-24 della 451 Bomb Group, al comando del colonnello James B. Knapp. Il compito assegnato alla compagnia 451 Bomb Group? Distruggere gli stabilimenti della Breda a Sesto San Giovanni. In contemporanea i bombardieri della 461 Bomb Group e della 484 erano diretti su Milano, con l’obiettivo di radere al suolo gli stabilimenti dell’Isotta Fraschini e dell’Alfa Romeo. Una pioggia di bombe attendeva il cielo di Milano, e la sua gente. L’operazione iniziò poco prima delle 8,00 in Puglia. Gli aerei si alzarono in volo per raggiungere gli obiettivi. La fine arriva dal cielo. Splendido cielo azzurro. Le officine della Breda devono essere distrutte. L’attacco è ripartito in due ondate, per non essere facili bersagli per la contraerea. La prima ondata non centrò l’obiettivo prefissato a causa d’errori nella procedura di lancio del materiale bellico: le bombe sganciate in anticipo colpiscono l’aperta campagna. La seconda ondata – a causa di probabili errori di trascrizione delle coordinate – si trova fuori posizione rispetto all'obiettivo. Non è possibile tornare alla base con le bombe innescate. Devono essere lanciate. Il comandante decise di liberarsi immediatamente del carico. I resoconti ci narrano la possibilità di cui disponeva chi guidava l’attacco: sganciare la morte che arriva dal cielo in aperta campagna, sulla rotta per Cremona. Questo non avvenne nonostante le favorevoli condizioni atmosferiche permettessero una chiara distinzione tra obiettivi militari ed abitazioni civili. Alle 11,27 i bombardieri americani vomitano morte dal cielo. Alle 11,29 gli abitati di Gorla e Precotto sono investiti da un quantitativo enorme d’esplosivo. L’inferno sulla terra di Milano. Case, negozi, officine e scuole diventano bersagli. Urla. Lacerazioni. Morte. Dolore. Milano non sarà più la stessa. Le bombe investono la scuola elementare Francesco Crispi uccidendo 184 scolari, 20 insegnanti ed altri 18 piccoli bimbi, portati in braccio dalle madri accorse sul luogo di morte al primo allarme con l’obiettivo di portare in salvo i figli che frequentavano la scuola. Un’intera generazione scomparsa. Quel giorno Milano contò oltre 600 vittime dei bombardamenti. Dalle macerie furono estratte diverse centinaia, se non migliaia, di feriti. "Sono Ambrogina Sironi, sorella di Ambrogio, nata nel 1946. Dai miei genitori ho saputo che quel mattino per mio fratello sarebbe stato il primo giorno di scuola. Aveva 7 anni ed avrebbe frequentato la seconda elementare. Era appena tornato dalla Valtellina, dove era sfollato presso una zia. Quel mattino però, Ambrogio non ne voleva proprio sapere di andare a scuola! La mamma l'aveva preparato e visto che abitavamo proprio di fronte alla scuola all'orario di inizio delle lezioni l'aveva mandato da solo.Nel frattempo il papà era intento ad effettuare le consegne con il suo carro e cavallo. Arrivato a Turro un signore l'ha avvertito che aveva un bambino nella cesta del fieno sotto il carro. Era il piccolo Ambrogio, deciso a bigiare la scuola. Il papà la pensava diversamente. Girato il carro e tornato a Gorla ha accompagnato mio fratello a scuola. Per sempre. Ora anche lui riposa nella cripta ossario, sotto il monumento. Io porto il suo nome, il nome di un piccolo martire!". Nessuno fu chiamato sul banco degli imputati, malgrado si conoscano i responsabili. La storia dovrebbe insegnare. Francesco De Gregori cantava:"la Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano, la Storia siamo noi." Dovremmo essere pronti a riscrivere la storia. Ci hanno liberato ma questo non significa perdonare l'orrore. Fabio Casalini
17 notes
·
View notes
Text
Milano, Futurismo e Novecento alla Fondazione Prada (1918-43): la forbice
Scrivere su una mostra del genere è pericoloso: si rischia il ridicolo a volersi occupare di qualcosa che a colpo d’occhio è più grande di te. A parte la direzione di un uomo di indiscussa 1 autorità e competenza come organizzatore, all’enorme dispiego di mezzi e di esperti al suo servizio (una vera e propria industria culturale), alla struttura museale che eclissa qualsiasi concorrenza pubblica, almeno a Milano, c’è da chiedersi cosa ci sia ancora da dire di più o di diverso da quanto non sia stato detto in modo esaustivo in questa mostra su un periodo così importante dell’arte italiana. Il taglio dato alla ricostruzione degli ambienti originali è il basamento sul quale poggia quella che a buon diritto si candida a essere un’opera d’arte ambientale più che un’esposizione didattica. In conseguenza della scelta di ricostruire fedelmente gli ambienti in cui videro la luce per la prima volta le opere, veniamo calati un secolo indietro, e ci stiamo bene, avvolti in un’ atmosfera di entusiasmo postbellico. In un’Italia vincitrice di un conflitto atroce (sei milioni di morti), ringalluzzita, finalmente accolta nel novero delle grandi nazioni europee e rispettata culturalmente, l’alta borghesia aveva trovato in Marinetti un indiscusso vate (aveva denaro, aggressività e quello che un po’ affrettatamente si è voluto definire genio). Il fascismo è stato la conseguenza di un preciso disegno politico, il grimardello innestato da Mussolini sul fermento socialista generato dalla tragedia sofferta dai superstiti del conflitto.
Sto riassumendo cose risapute e che si capiscono meglio e più speditamente con un giro in mostra di quanto non si possa dalla lettura di tomi e tomi sull’argomento. Tenterò di liberarmi in altro modo dal senso di annichilimento avuto già da dall’ingresso: quel fascismo che, per procurare all’Italia un posto fra le potenze europee, l’aveva trascinata in un conflitto ancora più atroce del primo, cambiata casacca un secolo esatto dopo, rialza la testa. Voglio comunicare una sensazione molto netta: nel lussuosissimo bar annesso alla hall della biglietteria una jeunesse dorée esibisce senza pudore la propria distinzione di classe agiata, replicando il fascino subìto da Stendhal due secoli fa, quando viveva la Scala e la noblesse milanese cui l’esercito napoleoniche aveva rinfocolato le speranze egemoniche e nazionaliste. Piccoli particolari insignificanti, che fanno però capire come va il mondo e i famosi corsi e ricorsi della Storia.
Entrati nel cuore dell’esposizione già dalle prime sale ti aggredisce una domanda, questa sì urgente: cosa è successo da allora, cosa è successo perché una tale ricchezza di soluzioni visive andasse persa e perché tante voci ammonitrici risultassero ignorate o fraintese? Inoltre perché oggi, a cent’anni di distanza e a dispetto dell’ ideologia che spesso condividevano, queste voci si fanno ancora sentire? Alludo proprio a quanto aveva previsto quel fascistone di Sironi (più di cinquanta suoi quadri in mostra, ciascuno di un’evidenza premonitrice eccezionale), quanto sentivano nel profondo il cupo Scipione e gli intimisti De Pisis, Mafai e consorte, quanto si rifiutava caparbiamente di affrontare, chiudendosi nella propria “cameretta”2 , il più casalingo di tutti i pittori mai esistito da Chardin in poi, Giorgio Morandi, che, a finestre chiuse, si concentrava ossessivamente su una decina di bottiglie e, a quelle aperte, guardava la triste opacità della campagna appenninica sperando che almeno quel paesaggio non mutasse (la realtà attuale le ha cassate). I Castelli in aria si sarebbero fissati per sempre sul cielo marchigiano delle Amalasunte e degli Angeli ribelli, ma “Le magnifiche sorti e progressive” si spegnevano con la morte di Antonio Gramsci in un carcere fascista (1936, nove anni esatti prima della catastrofe finale). C’è veramente da riflettere sulla dicotomia fra l’ideologia e l’arte: un genio come quello di Arturo Martini non scompare malgrado la sua adesione al fascismo, malgrado il suo ignorare il presente per volgersi al trecento senese, mentre, a mio modesto avviso, gli ultimi seguaci di Marinetti, i Prampolini e i Depero, per quanto buoni pittori, oggi non hanno più nulla da insegnarci. I futuristi non sospettavano nemmeno che sarebbe finita come poi è finita: una solenne batosta dalla quale l’Italia per salvarsi avrebbe allargato le braccia ad accogliere l’ultima delle invasioni barbariche della storia europea: cioccolata e sigarette del Piano Marshall: la marcia della corruzione attraverso l’elemosina del pane del vincitore agli affamati era stata innestata.
Mi rendo conto che è un po’ forte questa affermazione, visto il pericolo annidato dall’altra parte della cortina. La mia domanda però vuole concentrare l’attenzione sulla vecchia prassi: panem et circenses. Era circense quanto si presenta ai miei occhi ancora autentico è circense un’esposizione come quella alla Prada? A giudicare dalle folle che la frequentano, alla gioia dello spettacolo, senz’altro
Alla fine del conflitto, l’Europa divisa e semidistrutta, chinata la testa alle potenze straniere sia sul suolo che oltrecortina, almeno in Italia sparigliava le carte in modo brutale. Era iniziata una nuova era e l’eco dell’ un po’ ridicolo tumb tuum marinettiano, sfrigolando come il ferro rovente nel fuoco, si perdeva nei meandri di una memoria gloriosa. Boccioni era morto al fronte, come Serra, come Sant’Elia, come tanti altri (compresi l’Alberto Sordi e il Vittorio Gassman de La Grande Guerra di Monicelli), Carrà se l’era scampata, anche Ungaretti , miracolosamente rimasto attaccato all’albero autunnale; il secolo appena aperto poteva piegare verso un Novecento dimesso, casalingo e intimista. Il segno moderno dell’ architettura di Terragni e Lingeri, di Sant’Elia e Nervi non ha lasciato eredi dopo la disfatta, ma allora non se la passava male: un regime dittatoriale ha sempre bisogno di architetture di qualità e non solo dell’opportunismo retorico dei Piacentini, a dimostrazione ancora una volta che certe idee valide possono essere applicate a prescindere dalla politica che servono. la Ricostruzione postbellica non ha saputo accogliere la loro lezione, quando il fascismo invece aveva saputo sfruttarlo. Così va il mondo.
E allora cerchiamo di capire dove va adesso, dove è andata a finire quella ricchezza di soluzioni in tutti i campi del visibile, quella che il buon (si fa per dire) Germano Celant ci ha regalato in mostra. L’evidenza di quella cultura è testimoniata senza ombra da tutto quanto l’arte visiva ha saputo produrre: dalla grafica al manifesto, dalla pittura e scultura alla fotografia, dalla scenografia all’architettura e la quantità e varietà di esempi ne sono testimoni. Ma quale è stata la sua efficacia ? A giudicare da quanto ha invaso le nostre città, le nostre coste e le nostre montagne, in una parola il paesaggio del nostro paese prima e più chiaramente che altrove, a giudicare dall’insieme di quanto ci circonda, dallo strapotere della Pubblicità, dal caos e degrado urbanistico, dall’infiltrarsi nei meandri della psiche di ognuno, anche i meglio intenzionati, di un’indifferenza generale per il bene comune, il visibile non privato, quello che appartiene a tutti, c’è da mettersi le mani nei capelli. Non ci basta la convinzione che comunque niente va perso, che l’arte è come un fiume carsico, a un certo punto (1945) finisce sotto terra, ma in qualche modo, altrove, in un tempo successivo è destinato a riaffiorare. Parlo di visivo, intendiamoci, di visibile, toccabile, palpabile o anche solo proiettabile. Certo ancora oggi c’è gente che non ha dimenticato quel messaggio e col contributo della propria “eresia” lo ha portarlo avanti e penso per tutti ad artisti del calibro di Joseph Beuys e Fabio Mauri, e penso anche a molti altri che non è il caso di citare qui. Ma invito a riflettere seriamente:
Milano, la stessa città che è stata protagonista allora di quell’exploit culturale, oggi, con un’iniziativa privata non priva certo di mezzi come invece quella pubblica, si candida alla guida culturale del paese. E questo senza il provincialismo di cent’anni fa, inevitabile conseguenza della giovinezza dell’unità nazionale conquistata col sangue dei contadini nella Grande Guerra: le architetture urbane che hanno cambiato il suo skyline sono a firma di archistar stranieri e la stessa Fondazione Prada è di uno studio olandese, l’OMA di Rem Koolhaas. Oltrepassata la soglia della biglietteria, dove un esercito di giovani precari più o meno tutti studenti o aspiranti artisti (almeno una cinquantina di “anime morte”) ti vende o ti convalida il biglietto, la ricchezza del popolo visitatore, la sua mise costosissima con abiti da 2/3000 Euro (firmati appunto Prada) e scarpe, occhiali, coiffure ecc all’altezza, l’esibizione della sua performance sociale in un ambiente lussuosissimo per la preziosità e la spaziosità delle soluzioni architettoniche, non fanno che confermare una sensazione: un secolo dopo nessuna delle contraddizioni che hanno inaugurato l’avvento del futurismo, grande protagonista della mostra, sono state risolte: il “geniale” Marinetti (pessimo poeta,) con l’indice puntato su di un piatto di dessert, continua (da una foto manifesto) a dare istruzioni alla sua cameriera con la crestina d’obbligo fra i capelli, ma di lì a poco, con l’unica automobile allora in circolazione nella città della velocità futurista, finirà nel Naviglio Grande!3 Faremo la stessa fine?
FDL
1. Se Germano Celant dimostra di essere un ottimo organizzatore, non riesce altrettanto come critico, a giudicare anche solo dalle esposizioni permanenti che lui ha firmato nelle altre zone espositive della Fondazione (la Slight Agitation 3/4 del gruppo viennese dei Gelitin, il Processo grottesco di Thomas Demand e la Haunted House di Robert Gober): un postmodernismo addirittura da bettola goliardica per il primo, ma con un furbissimo sfruttamento dei mezzi messi a sua disposizione e, naturalmente, il solito simbolismo d’accatto che le scelte formali disinibite non fanno dimenticare; la banalità e insignificanza dell’idea del secondo; un migliore impiego del simbolismo nel terzo che cade però nei particolari chiaramente falsi; facile però per lui, il critico, cavarsela con la potenza espressiva di una come la Bourgeois (Cell -Clothes), un lavoro non a caso di venticinque anni fa
2. Queste e le successive antipaticissime virgolette sono sempre solo furti letterari
3. Per la verità lui non ci rimise la pellaccia, forse chi non si è salvato siamo noi
1 note
·
View note
Text
,,~(2020) regarder,,~ Sole Film Streaming VF HD en Complet Et VOSTFR
⭐⭐⭐⭐ ⭐⭐⭐ .#Streaming vf .#Sole .#Vostfr
REGARDEZ,] Sole (2020) Film Streaming Online VF Complet HD, Regarder Regarder Sole (2020) film complet en ligne MOVIES gratuit,Télécharger Sole Torrent Film Françaais, REGARDER Sole streaming vF(2020) film complet HD , Regarder Sole (2020) film complet en ligne,
REGARDER ░░▒▓██► Sole (2020) Film Streaming Online VF Complet HD
TELECHARGER ░░▒▓██► Sole (2020) Film Streaming Online VF Complet HD

Lena est enceinte de sept mois et elle est prête à vendre le bébé dans son ventre. Ermanno accepte de prétendre être le père. Fabio, l'oncle d'Ermanno, la paiera pour acheter l'enfant que lui et sa femme Bianca ne peuvent pas avoir. Une fausse adoption entre parents, une échappatoire permettant de contourner la loi, car en Italie la maternité de substitution est interdite. Un monde dans lequel l’argent est la seule norme de valeur, la seule chose qui compte. Ermanno et Lena sont deux étrangers qui doivent prétendre en public être un couple et vivre ensemble jusqu'à l'accouchement. Ils ont l'habitude de ne penser qu'à eux-mêmes et ils se battent tout le temps. Mais vivant côte à côte, ils commencent à devenir ce qu’ils prétendaient être. Genre: Drame
Etoiles: Sandra Drzymalska, Claudio Segaluscio, Bruno Buzzi, Barbara Ronchi, Vitaliano Trevisan, Marco Felli
Équipage: Gergely Pohárnok (Director of Photography), Carlo Sironi (Director), Carlo Sironi (Writer), Giulia Moriggi (Writer), Antonio Manca (Writer), Teoniki Rożynek (Original Music Composer)
Pays: Italy, Poland
Langue: PolskiItaliano
Studio: Kino Produzioni, Lava Films, Rai Cinema
Sole Streaming,
Sole Streaming vf,
Sole Streaming Vostfr,
Sole Streaming vf gratuit,
Sole Streaming You,
Sole Telecharger,
Sole en streaming,
Sole Uptobox,
Sole en français,
Sole Streaming vf gratuit complet, " "
SYNOPSIS ET DÉTAILS
E1-A visite l'île de Nabu où ils peuvent enfin faire un vrai trEffacer l’historiqueil de héros. L'endroit est si paisible qu'il ressemble plus à des vacances… jusqu'à ce qu'ils soient attaqués par un méchant avec un insolent Quirk! Son pouvoir est étrangement familier, et il semble que Shigaraki ait joué un rôle dans le plan. Mais avec All Might à la retraite et la vie des citoyens en jeu, il n'y a pas de temps pour les questions. Deku et ses amis sont la prochaine génération de héros, et ils sont le seul espoir de l'île.
Combien de temps as-tu dormi pendant le film Regarder Ad Astra? La mRegarder Terminator: Dark Fateique, l’histoire et le message étaient phénoménaux chez Regarder Ad Astra. Je ne pourrais jaTerminator: Dark Fateis voir un autre film cinq fois comme je l’ai fait celui-ci. Retournez voir une seconde fois et faites attention. Regarder Regarder Ad Astra Movie WEB-DL Il s’agit d’un fichier extrait sans erreur d’un serveur telRegarder Ad Astra, tel que Netflix, ATerminator: Dark Fatezon Video, Hulu, Crunchyroll, DiscoveryGO, BBC iPlayer, etc. Il s’agit également d’un film ou d’une émission télévisée téléchargé via…
Combien de temps as-tu dormi pendant le film Sole (2020)? La mEffacer l’historique (2020)ique, l'histoire et le message étaient phénoménaux chez Sole (2020). Je ne pourrais jaEffacer l’historique (2020)is voir un autre film cinq fois comme je l'ai fait celui-ci. Retournez voir une seconde fois et faites attention. Regarder Sole (2020) Movie WEB-DL Il s'agit d'un fichier extrait sans erreur d'un serveur telEffacer l’historique (2020), tel que Netflix, AEffacer l’historique (2020)zon Video, Hulu, Crunchyroll, DiscoveryGO, BBC iPlayer, etc. Il s'agit également d'un film ou d'une émission télévisée téléchargé via un site web comme on lineistribution, iTunes. La qualité est assez bonne car ils ne sont pas ré-encodés. Les flux vidéo (H.264 ou H.265) et audio (AC3 / Sole (2020) C) sont généralement extraits de iTunes ou d'AEffacer l’historique (2020)zon Video, puis redistribués dans un conteneur MKV sans sacrifier la qualité. DownloadMovie Sole (2020) L'un des impacts les plEffacer l’historique (2020) importants de l'indEffacer l’historique (2020)trie du streaming vidéo L’indEffacer l’historique (2020)trie du DVD a connu un véritable succès grâce à la vulgarisation en Sole (2020)sse du contenu en ligne. La montée en puissance de la diffEffacer l’historique (2020)ion multimédia a provoqué la chute de nombreEffacer l’historique (2020)es sociétés de location de DVD telles que BlockbEffacer l’historique (2020)ter. En juillet 2020, un article du New York Times a publié un article sur les SerEffacer l’historique (2020)s de DVD-Video de Netflix. Il a déclaré que Netflix continue ses DVD serEffacer l’historique (2020)s avec 5,3 millions d’abonnés, ce qui représente une baisse importante par rapport à l’année précédente. D'autre part, leurs serEffacer l’historique (2020)s en streaming comptent 65 millions de membres. Dans une étude de Sole (2020)rs 2016 évaluant «l'impact de la lecture de film en continu sur un DVD traditionnel MovieRental», il a été constaté que les répondants n'achetaient pas des films sur DVD aEffacer l’historique (2020)si gros que le mien, voire jaEffacer l’historique (2020)is, comme la diffEffacer l’historique (2020)ion en continu a conquis le Sole (2020)rché. Regarder le film Sole (2020), les téléspectateurs n'ont pas trouvé la qualité du film très différente entre le DVD et le streaming en ligne. Les questions qui, de l'avis des répondants, nécessitaient d'être améliorées avec la lecture en continu de films incluaient des fonctions d'Effacer l’historiquence rapide ou de rembobinage, ainsi que des fonctions de recherche. L'article souligne que la qualité de la diffEffacer l’historique (2020)ion de films en continu en tant que secteur ne fera qu'augmenter avec le temps, alors que les revenEffacer l’historique (2020) publicitaires augmentent chaque année dans l'ensemble du secteur, ce qui incite à la production de contenEffacer l’historique (2020) de qualité.
0 notes
Text
New from Robert Daniels on 812 Film Reviews: CIFF Reviews: Sole, Once Upon a River, Jojo Rabbit, and La Llorona
My second dispatched from the 55th annual Chicago International Film Festivals finds a lot of coming-of-age and encompasses multiple countries from Italy to America to Germany and Guatemala: ranging from in subject matter from teen pregnancy to Nazism to ghost stories. My reviews for Sole, Once Upon a River, Jojo Rabbit, and La Llorona follow below.

Dead ends don’t just happen down the road, sometimes they’re put up at birth. In Carlo Sironi’s feature debut Sole two people come together who’ve known the street name of that dead end for decades. They’re the detached Ermanno (Claudio Segaluscio) and equally as dispirited Lena (Sandra Drzymalska). From Poland, and three weeks from giving birth, Lena has arrived in Italy to sell her unborn baby to a sterile couple Fabio (Bruno Buzzi) and Bianca (Barbara Ronchi). To facilitate the exchange, Fabio enlists his nephew Ermanno to look after the pregnant Lena. Each will be paid a tidy fee for their work. Seems simple.
However, the two are ever changing. Water marks one of Sole’s significant visual cues. In fact, Ermanno’s simple apartment, where Lena stays, is surrounded by its image. Rarely stagnant, water carries a cyclical effect, forever morphing yet remaining the same. Both Ermanno and Lena go under a change over the course of 90 minutes. The young man, who’s resigned himself to gambling and petty crime, begins to think of others. His expressionless glazed face becomes enraptured with the thought of a family, of holding a steady job, of his love for the woman he’s watching and the baby she carries. On the other hand, Lena also dissolves. She comes to care for a child she proclaimed so willing to give up. Throughout, Segaluscio and Drzymalska provide an incredible emotional tango of suppression, while tussling with their downtrodden characters.
Ermanno and Lena’s interwoven evolution anchors each successive avoidance of their true feelings, giving the first act a tension lacking in the second and third. Nevertheless, Sironi’s paired character study leaves one imaginative of the life the two could lead if they only had the ability to seize it.

Rivers in storytelling: especially fairy tales, have always served as magical avenues, where odd people and creatures unexplainably appear. While odd creatures don’t exist in Chicago filmmaker Haroula Rose’s feature debut Once Upon a River, a plethora of characters do appear to Margo Crane (Kenadi DelaCerna) in a coming-of-age period piece that offers magical moments during troubling events.
Opening in Michigan 1977, Margo narrates over images of her scouring the woods with a rifle and a copy of Annie Oakley. She’s a hunter, trained by her single father (Tatanka Means) who’s still reeling from her mother abandoning the two a year prior. In this town, her father’s half-brother Cal Murray (Coburn Goss) controls everything and he’s taken an uneasy shining to his 15-year old niece. Through grooming, much of which is done in plain view of his prejudiced sons Junior (Arie Thompson) and Billy (Sam Straley)—he dangles the promise of hunting with him to gain her trust, ultimately luring her into a shed to rape her. Later, Margo tries to shoot her uncle but in the melee her father is killed by Billy, causing her to she flees in a boat down river to search for her mother.
Over the span of the film’s 92 minutes, Rose charts a path where Margo discovers a litany of characters. There’s Will (Ajuawak Kapashesit), a traveling loner Margo falls for. She also enlists the help of Paul (Evan Linder) and Brian (Dominic Bogart), poachers who buy deer meat from her. And later, she meets Smoke (John Ashton): an aging dying musician who cares for her as a daughter and his friend Fishbone (Kenn E. Hedd). The milieu acts as the background to Margo finding her mother (Lindsay Pulsipher), her grappling with an unplanned pregnancy, and instances of racism: she’s partly Native American.
Rose provides a trimmed narrative. And though there are instances of unbelievable coincidences, maybe adding a hint of magical realism, Once Upon a River—with a tremendous performance from Kenadi DelaCerna as Margo—enchants us in this simple but evocative coming-of-age tale.

Hitler is boring. Well, if it’s Taika Waititi’s Adolph Hitler. His Jojo Rabbit—a coming-of-age story set during the tail end of World War II—sees Jojo (Roman Griffin Davis): a young fanatic of the Hitler Youth Core, question his allegiances even as the fuhrer accompanies him as an imaginary friend in a cheeky but all too safe narrative.
Waititi cleverly paints the normalization of Nazism and Antisemitism, first through the opening sequence playing a German dubbed version of the Beatles hit “I Want to Hold Your Hand,” comparing the wave of fascism to Beatlemania, then by displaying the myriad of ways Jojo attempts to prove the doctrine bandied by the Third Reich. All the while, the boy’s ole’ pal Adolph serves as his imaginary life coach and guru. Even so, the first act labors. Waititi’s Hitler isn’t all that interesting. Certainly he’s been sanitized because he exists in the mind of a child, but there’s only so much wink wink baiting that can happen before the expedition makes one weary of its odd safeness. Especially because each time Hitler appears, he snatches us off the narrative’s trail of Jojo’s personal journey.
Jojo Rabbit rarely remains on path, speeding ahead, until the film expresses his relationship with his subversive mother Rosei (Scarlett Johansson) and reveals the existence of Elsa (Thomasin McKenzie). Rosei, a single mother, deeply cares for Jojo but also realizes the depths of his fanaticism. Her independence, in thought and action, and her kindly courage carries the first act of the film. That bravery supports Elsa’s sheltering, a young Jewish girl hiding in the attic of Jojo’s home. The young boy discovers her one day and spends much of the second act questioning her. He’s heard many theories detailing how dangerous and vile Jewish people supposedly are, yet now he’s confronted with a real person. Waititi bases many of Jojo’s questions to her on actual Nazi propangada, such as prodding if she hangs from ceilings.
While Roman Griffin Davis offers a tremendous performance as the psychologically lost but lonely boy, Thomasin McKenzie as Elsa is just as spectacular. The film’s firmest grounding sits with its women characters, like the affectionate but valiant Rosei. Elsa serves as another brilliant example. In one scene, Jojo brags about his Aryian blood making him the superior master race, to which Elsa sharply defenses by cupping his mouth and pinning him. She asks who’s the stronger, in a sure handed test of will. McKenzie, after her head-turning performance in Debra Granik’s spectacular Leave No Trace delivers another immaculate reason to believe she’s fated for stardom.
Waititi also furnishes Jojo Rabbit with a number of intriguing supporting characters like Finkel (Alfie Allen), the assistant to the Youth Commander Captain Klenzendorf (Sam Rockwell, returning for your racist pleasures). The two possess an intriguing relationship that Waititi delicately develops, yet seems a scene short to fully flush out. Still, Rockwell covers any shortcomings with his usual top-tier work. Rebel Wilson as Fraulein Rahm finds herself with less to do than her cameo moments would seem to command, while Stephen Merchant as a gestapo officer quietly terrorizes in one of the more suspenseful instances of the comedy. However, Archie Yates as Yorki: Jojo’s jolly and enthusiastic best friend—charms in every second he’s on the screen.
Still, Jojo Rabbit is at its strongest when it serves as a Moonrise Kingdom flick—following Jojo and Elsa from their meeting to the waning days of the war. Their burgeoning relationship, and the young boy’s introspection of his anti-simentic thoughts in the face of a person he comes to care for marks a trying emotional punch, especially as the film peaks in an outrageous but deftly executed battle scene. Waititi easily balances grim and heavy material to make a lighter than thought comedy, even if his Hitler doesn’t add much to the equation other than a couple punchlines. Jojo Rabbit is deeply flawed, the narrative sags too often through its 108 minutes, but in its final forty-five Waititi discovers a deeply endearing relationship that makes the whole journey worth it.

A common Latin American folktale, La Llorona (The Weeping Woman) describes a woman who drowned her children only for her ghost to wander the earth looking for their bodies and bringing despair to anyone near her. That folklore is repurposed toward political ends in Jayro Bustamante’s somber but haunting picture detailing the genocide of indigenous people in his native Guatemala, La Llorona.
His film centers Don Enrique (Julio Diaz) a former general now on trial for genocide and rape while hunting for guerrilla forces. Enrique occupies a lavish mansion with his wife Carmen (Margarita Kenéfic), daughter Natalia (Sabrina De La Hoz), and granddaughter Sara (Ayla-Elea Hurtado). The Spanish-language picture watches as the superstitious and fearful indigenous servants flee from Enrique and his family. The only one who remains is Valeriana (María Telón). That is, until the mysterious Alma (María Mercedes Coroy) appears on their doorstep to help around the home.
Bustamante’s La Llorona has real-world roots, grounding itself in the historical events of the Silent Holocaust of Mayan civilians in Guatemala during the early 90’s. Those events, like any instance of genocide, predicated itself upon the normalizing of violence and disappearance, the willful ignorance to the ends of survival by the populace, and the moral compartmentalizing of brutal leaders. Enrique’s family fall to the same trappings. There’s Natalie, whose leftist husband recently disappeared yet she shows little urge to find the truth. Carmen, Enrique’s wife, also relies on self-perpetuated lies; claiming the women accusing her husband of rape are whores. Still, no matter what repression they devolve into the ghosts of the slain still surround them.
La Llorona culminates with the visceral haunting and reckoning brought on by these ghosts, which in turn, actualizes the legacy left behind. And while Carmen exasperatedly exclaims that the country needs to move on, Bustamante thoughtfully takes the phantasmagorical to inform the myriad of ways we shouldn’t just forget, for fear of letting down the victims who came before.
from 812filmReviews https://ift.tt/368cigU via IFTTT
from WordPress https://ift.tt/32TyidK via IFTTT
1 note
·
View note
Text
Blog: la nuova mostra di Fabio Sironi
Dall’amico Fabio Sironi riceviamo l’invito e la notizia della sua nuova mostra. Domani 22 Febbraio alle ore 18 ci sarà l’inaugurazione della nuova mostra di Fabio Sironi, pittore e storico illustratore per il Corriere della Sera. La mostra si terrà presso l’Archivio Galleria Lazzaro by Corsi in via Cenisio 50 a Milano. Presentazione di Matteo Collura. La mostra rimarrà aperta fimo al 9 Marzo.

View On WordPress
0 notes
Link
Genre: Drama
Language: Italian (Eng-Sub)
IMDb Ratings: 5.1/10
Quality: WEBRip
Movie Size: 720p (938MB), 1080p (1.88GB) (5.1)
Director: Carlo Sironi
Movie Cast: Bruno Buzzi, Sandra Drzymalska, Marco Felli
Download Here -
Sypnosis: Lena is seven months pregnant and she's ready to sell the baby in her belly. Ermanno agrees to pretend to be the father. Fabio, the uncle of Ermanno, will pay them to buy the child that he and his wife Bianca cannot have. A fake adoption between relatives, a loophole to bypass the law cause in Italy the surrogate motherhood is forbidden. A world in which money is the only standard of value, the only thing that matter. Ermanno and Lena are two strangers that must pretend in public to be a couple and live together until the delivery. They are used to only think about themselves and they fight all the time. But living side by side they start becoming what they were only pretending to be.
Note - Report Dead Or Broken Link With URL 'HERE' (Links Will ReUp Soon) Watch Trailer
Screenshot
0 notes
Video
youtube
Film completi italiano: Sole (2019) DRAMMATICO – DURATA 102′ – ITALIA Trama Ermanno passa i suoi giorni tra piccoli furti e lunghe sedute davanti alle slot machine, in attesa di una svolta nella sua vita. Lena invece arriva in Italia per vendere la bambina che porta in grembo e poter così iniziare una nuova vita. I due fingono di essere una coppia in modo che Fabio, lo zio di Ermanno, sterile e disposto a pagare per avere la figlia che lui e sua moglie Bianca non possono avere, possa ottenere l'affidamento della bambina in maniera veloce attraverso un'adozione tra parenti. Per procedere con l'adozione però, Ermanno e Lena devono essere convincenti agli occhi di tutti. Sole, la bambina, nasce prematura e deve essere allattata al seno prima di essere consegnata a Fabio e Bianca. Lena è in difficoltà e cerca di restare fredda e negare il legame con la figlia. Un muro di silenzio si alza tra lei ed Ermanno, che inizia a prendersi cura della bambina come se fosse sua. Approfondimento SOLE: COSA SIGNIFICA ESSERE PADRE Diretto da Carlo Sironi e sceneggiato dallo stesso con Giulia Moriggi e Antonio Manca, Sole racconta la storia dell'incontro tra due giovani, Ermanno e Lena, e del loro diverso modo di affrontare la genitorialità. Ermanno è un ragazzo che passa i suoi giorni fra slot machine e piccoli furti. Lena arriva in Italia per vendere la bambina che porta in grembo e poter iniziare così una nuova vita. Ermanno deve fingere di essere il padre della bambina per permettere a suo zio e alla moglie, che non possono avere figli, di ottenere l'affidamento in maniera veloce, attraverso un'adozione tra parenti. Sole, però, nasce prematura, e deve essere allattata al seno: mentre Lena cerca di negare il legame con sua figlia, Ermanno inizia a prendersi cura di loro come se fosse il vero padre. Italia, 2019 Genere: Drammatico durata 102' Regia di Carlo Sironi Con Sandra Drzymalska, Claudio Segaluscio, Bruno Buzzi, Barbara Ronchi, Vitaliano Trevisan, Marco Felli ---------------------------------- Thanks for watching! ----------------------------------
0 notes
Text
Otto giorni di grande cinema nel 60esimo anniversario della fondazione del festival Laceno d’oro nel segno di Pier Paolo Pasolini
AVELLINO – Otto giorni di grande cinema d’autore, di sperimentazione e di ricerca, con oltre ottanta proiezioni, più di trenta ospiti internazionali e italiani, tre concorsi con opere da tutto il mondo, retrospettive, masterclass, mostre e convegni: Avellino torna a essere al centro della scena cinematografica indipendente e del nuovo “cinema del reale” con la 44esima edizione del festival internazionale Laceno d’oro in da domenia 1 e fino all’8 dicembre.
Quest’anno si celebra il sessantesimo anniversario dalla prima edizione del festival: nel 1959 nacque dalla felice intuizione di Pier Paolo Pasolini per valorizzare il territorio irpino con una rassegna di ispirazione neorealista.
Un anno importante quindi per la manifestazione organizzata dal Circolo ImmaginAzione con la direzione artistica di Antonio Spagnuolo in collaborazione con Aldo Spiniello, Sergio Sozzo, Leonardo Lardieri della rivista cinematografica Sentieri Selvaggi e Maria Vittoria Pellecchia, e con il contributo di Regione Campania e MIBACT – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, che porterà in città molti ospiti di prestigio internazionale insieme a grandi autori del panorama culturale italiano.
Quartier generale il Cinema Partenio con eventi anche al Complesso Monumentale Carcere Borbonico e al Cinema Comunale di Bagnoli Irpino, sede storica della manifestazione al tempo di Pasolini.
Tra i protagonisti più attesi il regista portoghese João Botelho, che presiederà la giuria del concorso di lungometraggi “Laceno d’oro 44” e presenterà il suo film Pilgrimage (2017), sui viaggi dei marinai portoghesi verso l’Oriente, tra narrazione letteraria, racconti familiari, teatro e musica (Mercoledì 4 dicembre ore 21 Cinema Partenio).
Saranno premiati alla carriera i registi Franco Maresco, autore di La mafia non è più quella di una volta, un viaggio dentro la mafia e l’antimafia nella Palermo di oggi, Premio speciale della giuria a Venezia ’76 e Pedro Costa, sontuoso regista portoghese che presenterà il suo ultimo film Vitalina Varela, Pardo d’oro a Locarno 2019 per il miglior film e miglior interpretazione femminile, potente opera sull’emigrazione capoverdiana a Lisbona.
Maresco e Costa, a cui saranno dedicate due retrospettive con una selezione dei film più significativi, terranno anche due masterclass per approfondire i temi delle loro cinematografie.
Tra gli ospiti italiani il regista Mimmo Calopresti con il suo ultimo lavoro Aspromonte – La terra degli . Nel cast Valeria Bruni Tedeschi, Sergio Rubini e Marcello Fonte.
Ambientato in un paesino della Calabria, il film è un western atipico sulla fine di un mondo e sul sogno di cambiare il corso degli eventi grazie alla voglia di riscatto di un popolo.
La regista e sceneggiatrice friulana Katja Colja presenta invece il suo esordio di successo Rosa, con protagonista Lunetta Savino. Racconta la storia di una donna sessantenne che affronta il dolore della perdita della figlia insieme al marito ma che reagisce, al contrario dell’uomo, facendo nuove esperienze fino alla rinascita.
Cuore del festival i tre concorsi internazionali con opere pervenute da tutto il mondo: in gara sette lungometraggi, dodici documentari e diciotto cortometraggi.
La cerimonia di premiazione dei film vincitori, che si aggiudicheranno un premio di 3000 euro per i lunghi e di 1.500 euro per doc e corti, si svolgerà domenica 8 dicembre alle ore 21 al Cinema Partenio.
Numerosi gli omaggi a grandi autori del cinema a partire dal nume tutelare del festival Pier Paolo Pasolini con la proiezione del film 12 dicembre (1971) sulla strage di Piazza Fontana del 1969, un film non ufficialmente attribuito al regista per non subire conseguenze legali ma che lui stesso dichiarò successivamente come suo.
Al film seguirà un dibattito con Roberto Chiesi della Fondazione Pasolini.
Il festival organizza inoltre il convegno Da Piazza Fontana ad oggi: terroristi, vittime, riscatto e riconciliazione. Intervengono Ciriaco De Mita, il prefetto Carlo De Stefano, ex capo dell’antiterrorismo, il sociologo Antonello Petrillo, l’ex deputato Nicodemo Oliviero e lo scrittore e giornalista Angelo Picariello che presenta il suo libro Un’azalea in via Fani.
Il Laceno d’oro ricorda, ancora, Cesare Zavattini, il “poeta del Neorealismo”, anch’egli fortemente legato all’Irpinia e illustre sostenitore del Laceno d’oro, con la proiezione di La lunga calza verde di Roberto Gavioli, tratto da un soggetto di Zavattini.
Inoltre, a trent’anni dalla scomparsa, omaggio al regista e attore americano John Cassavetes con la proiezione di Una moglie e La sera della prima.
Infine, sarà dedicata una retrospettiva a Luigi Di Gianni, regista napoletano e maestro del documentario antropologico, con quattro lavori: Magia Lucana, La potenza degli spiriti, Il male di San Donato, Vajont (Natale 1963).
Per la sezione Spazio Campania, vetrina per le produzioni del territorio, saranno in visione venti opere tra cui Never Forever di Fabio Massa, La Gita di Salvatore Allocca, Veronica non sa fumare di Chiara Marotta, V†M – Vita e morti a due passi dalla scuola di Cyop&Kaf.
Sugli schermi del Laceno d’oro nelle sale del Cinema Partenio si alterneranno, fuori concorso, opere che hanno avuto già una distribuzione nazionale e produzioni indipendenti italiane:
I diari di Angela – Noi due cineasti diAngela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, l’archivio di immagini della storica coppia di cineasti;
Soledi Carlo Sironi, sul tema della maternità surrogata, Storia dal qui di Eleonora Mastropietro, sul ritorno dell’autrice nel suo paese d’origine in provincia di Foggia;
La città che cura di Erika Rossi, storia di una periferia e le sue difficoltà, dove un gruppo di persone cerca la condivisione per “curare” la solitudine;
Albero, nostrodi Federica Ravera, film-documentario che celebra l’opera di Ermanno Olmi;
Sono innamorato di Pippa Baccadi Simone Manetti, storia della giovane artista violentata e uccisa in Turchia nel corso del suo viaggio per la pace tra i popoli.
Il festival conferma anche la sua attenzione per la storia del cinema con due mostre fotografiche al Carcere Borbonico: CINEMA | 1936-1956, il lungo viaggio del cinema italiano a cura di Orio Caldiron e Matilde Hochkofle. Interverranno Orio Caldiron, il critico cinematografico Valerio Caprara e lo storico del cinema Paolo Speranza. La mostra ripercorre alcuni dei momenti più importanti del lungo viaggio del cinema italiano attraverso le pagine della rivista Cinema che, nata nel 1936, diventa la sede privilegiata delle inquietudini e delle aspirazioni di un gruppo di giovani critici che si battono per un cinema in grado di rappresentare la realtà italiana e insieme il loro radicale rifiuto del clima opprimente del regime fascista. La rivista chiude i battenti nel luglio 1956, in tempo per interrogarsi sul panorama dei giovani registi e sulla rinnovata vitalità del cinema popolare.
Un’altra mostra in programma: Il giudice sceneggiatore. Dante Troisi e il cinema, sul giudice e scrittore irpino a cura di Paolo Speranza.
I lungometraggi stranieri in corsa per il Premio Laceno d’oro 44 sono:
dalla Spagna Zumiriki di Oskar Alegria,
dalla Francia Thunder from the Seadi Yotam Ben-David
dal Venezuela La Imagen del Tiempodi Jeissy Trompiz.
Ancore, quattro titoli dall’Italia:
Padrone dove seidi Carlo Michele Schirinzi,
America di Giacomo Abbruzzese,
Giù dal vivo di Nazareno Nicoletti,
Fortezzadi Ludovica Andò e Emiliano Aiello.
Il film vincitore sarà scelto da una giuria di qualità, presieduta da João Botelho, con il critico cinematografico Cecilia Ermini e dal regista Simone Manetti.
I documentari in gara per il premio Laceno d’oro doc arrivano da Giappone, Olanda, Belgio, Portogallo e Italia. I lavori saranno giudicati dai registi Erika Rossi e Lo Thivolle, e dal critico cinematografico Matteo Berardini.
In corsa per il premio Gli occhi sulla città, diciotto cortometraggi internazionali, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dal Perù alla Russia.
Il vincitore dei corti sarà scelto da una giuria composta dal direttore della fotografia Ferran Paredes Rubio, dallo scrittore e filmmaker Daniele Ietri Pitton e Vincenzo Madaro, direttore artistico di “Vicoli Corti”.
Il Laceno d’oro, organizzato dal Circolo ImmaginAzione con la direzione artistica di Antonio Spagnuolo in collaborazione con Aldo Spiniello, Sergio Sozzo, Leonardo Lardieri della rivista cinematografica Sentieri Selvaggi e Maria Vittoria Pellecchia, con il contributo di Regione Campania e MIBACT – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo. Con il patrocinio della Provincia di Avellino, Comune di Avellino, Comune di Bagnoli Irpino, Ordine dei giornalisti della Campania. In partenariato con Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Salerno e Avellino. In collaborazione con Sentieri Selvaggi, Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini, Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, Quaderni di Cinemasud, Cactus Film Produzione, Eikon associazione culturale, Coordinamento Festival Cinematografici Campania, Roulette Agency e Godot Art Bistrot, Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino.
Di seguito il programma in dettaglio, l’elenco opere in concorso e Spazio Campania.
Programma giornaliero
Elenco opere concorsi
Elenco opere Spazio Campania
This slideshow requires JavaScript.
Al via il 44esimo Laceno d’oro Otto giorni di grande cinema nel 60esimo anniversario della fondazione del festival Laceno d’oro nel segno di Pier Paolo Pasolini…
0 notes
Link
12 VOLTE LA CARTA
“QUESTO NON E’ UN LAVORO MA UNA LAVORAZIONE”
Mercoledì 29 novembre dalle ore 18:00 alle ore 21:00
Archivio Fotografico Parisio
Piazza Plebiscito, Napoli

Sono stata invitata dalla casa editrice artigiana Il Filo di Partenope a partecipare al progetto “Questo non è un lavoro ma una lavorazione” che parte da “12 volte la carta” di Valerio Magrelli, piccolo libro d’artista pubblicato nel 2014 nella collana Ex-voto, in cui l’autore racconta appunta la carta attraverso dodici frammenti di scrittura propri e presi in prestito da altri. Il libro si presta a sua volta ad essere tradotto dagli artisti attraverso il proprio linguaggio che dialogando con il testo traduce ma sopratutto spovrappone e contamina.
Dal mio intervento è venuta fuori l’opera “Quando la carta…” Ragionando sui diversi utilizzi della carta, mi sono soffermata a pensare a quando la carta era l’unico modo per comunicare a distanza. Il mio intervento è stato quello di inserire 12 fotografie d’epoca e cartoline postali applicandole sulle pagine in modo che se ne possa vedere solo il retro. Le frasi scritte sul retro di ognuna di queste immagini dialogano con il testo di Magrelli, alcune sono di saluto, altre descrivono l’immagine stessa che noi però non possiamo vedere. In un momento in cui la comunicazione è basata sul bombardamento di immagini ho deciso invece di far parlare la carta.
Verrà presentato il flusso nomade e creativo di artisti che sono stati coinvolti nella costruzione del progetto di un ARAZZO LIBRESCO accompagnato da un’interpretazione musicale di 12 volte la carta a cura di Antonio Onorato Partecipano al progetto: Ilaria Abbiento, Marisa Albanese, Fulvio Ambrosio, Andrea Aquilanti, Chiara Arturo, Michele Attianese, Luigi Auriemma, Pasquale Autiero, Mario Avallone, Vittorio Avella, Mathelda Balatresi, Clarissa Baldassarri, Cristina Balsotti, Aniello Barone, Andrea Bove, Giuliana Calomino, Gerardo Cibelli, Chiara Coccorese, Cristina Cusani, Nunzio De Martino, Valentina De Rosa, Pina Della Rossa, Elisabetta Diamanti, Enzo Distinto, Danilo Donzelli, Susy D’Urzo, Maurizio Esposito, Ivana Fabbricino, Marina Falco, Paolo Fiorellini, Lino Fiorito, Anna Fusco, Claudia Guastini, Stefano Lanzardo, Christian Leperino, Lucrezia Longobardi, Fabrizio Monsellato, Claudia Mozzillo, Antonio Onorato, Vincenzo Pagliuca, Renata Petti, Caroline Peyron, Felix Policastro, Agostino Rampino, Vincenzo Rusciano, Vincenzo Russo, Antonello Scotti, Lucia Sforza, Fabio Sironi, Mario Spada, Donatella Spaziani, Giovanni Timpani, Giuliano Tomaino, Salvatore Vitagliano, Francesco Vizioli, Angelo Volpe, Andreas Zampella, Angela Zurlo
0 notes
Text
La collezione Agrati
E’ Ferragosto, che pacchia! Nella settimana di metà mese Milano torna ad assomigliare a certe pitture del grande Sironi, le cupe strade deserte, le periferie con le ciminiere senza fumo, un ciclista solitario (il sottoscritto) che se ne va da qualche parte. ”Tutti al mare”, diceva Alberto Sordi intendendo casa, e io me la godo: “Via dalla pazza folla!” Quindi mi infilo in un portone dei grandi palazzi ottocenteschi di Piazza della Scala, soffitti altissimi, marmi pregiati, un’esibizione di lusso edilizio degno di una grande città e di un paese che fa sempre finta di essere povero: non a caso la sede centrale di una banca che espone la collezione di due milanesi, meglio brianzoli, due che ne hanno amplificato la fama di città industriosa e civile: gli Agrati
A parte i soliti luoghi comuni, tipo che per farsene una, a differenza per esempio di una collezione di farfalle, occorrono molti soldi e quindi un’attività o un reddito che lo consenta (e non è vero, perché c’è gente che è riuscita semplicemente comprando e vendendo opere d’arte, evidentemente con molto occhio per il mercato), dopo la visita alle Gallerie d’Italia (Intesa S. Paolo) voglio esprimere il mio senso di sollievo, devo essere sincero, inaspettato. Adesso le mie osservazioni:
1. Otto anni fa, quando mi sono messo in testa di occupare uno spazio critico che mi pareva negletto dagli artisti (cui in linea di massima si presume non competere, da quando sono diventati legione e c’è bisogno della frusta di un cocchiere, alias il critico), riferendomi al mondo dell’arte, lo figuravo a piramide: al suo vertice stanno i collezionisti e alla base gli artisti, la classe dei paria; a salire ponevo nell’ordine i critici e i curatori e più su i galleristi. Le grandi latitanti, almeno in Italia, sono le istituzioni pubbliche, che dovrebbero avere il peso maggiore nel determinare le scelte dell’eccellenza. La ragione del mio sollievo è che almeno esistono le private e le Gallerie d’Italia sono fra queste.
2. Le presenze. Il collezionista ha saputo scegliere dalla produzione il meglio degli artisti selezionati, se non sempre, spesso, comunque ciò che non fa disonore all’artista medesimo. E’ noto infatti che la produzione di quasi tutti ha momenti di defaillance, non per sempre è di altissimo livello: un’opera d’arte richiede molta energia e consuma: il successo, la stanchezza, la vecchiaia e soprattutto il mercato inducono a volte anche i grandi alla marchetta. A questo proposito sono particolarmente significativi i lavori di Castellani: un artista così rigido (non si prenda questo aggettivo in senso detrattivo) nelle tre opere della collezione dimostra l’ampiezza della sua ricerca sulla tensione della luce. Altrettanto significativa della cultura visiva, credo di Peppino, la scelta di un’opera del primo periodo di Claudio Olivieri, già altamente rappresentativa del suo senso dello spazio, prima ancora di averlo dimostrato in quello successivo, in cui ha abbandonato ogni riferimento al segno, per dedicarsi solo alla spazialità del colore. Tancredi, Tano Festa, Schifano, Boetti e perfino un minore come De Maria o un casinista di genio come Rauschemberg sono rappresentati, sia pur con una sola opera, al meglio della loro produzione (dico in generale perché non è vero per es. per Fabro e Kounellis). Comunque le opere scelte, detto con molta discrezione e alla distanza che mi consente il mio tempo, rivelano un gusto preciso, un occhio molto esercitato: c’è un’unità evidente in tutta la collezione. Si prendano per es. le tre opere di Agnetti: illustrano in maniera inequivocabile il valore retinico dei suoi “concetti”. Stona la presenza di Basquiat e malignamente questo parrebbe confermare una caratteristica comune a tutti i collezionisti: la sensibilità per le sirene del mercato. Comunque, con questa riserva, anche il paio di tele di lui scelte da Peppino emergono dal mucchio della sua paccottiglia egocentrica.
3. Una collezione parla sempre anche del collezionista: nel caso degli Agrati oltre che della loro cultura visiva, del loro gusto per il coraggio in sé. Nasce addirittura il sospetto che abbiano influenzato l’arte Italiana del periodo. Infatti quasi tutte le opere della collezione esibiscono il coraggio formale degli artisti selezionati, la decisione delle loro scelte, ed è noto che uno dei difetti dei minori anche bravi, anche attenti, è quello di non sostenere con decisione la propria originalità, l’unicità della propria ricerca. Comunque si può essere critici su certe scelte, ma la loro ampiezza, dal concettualismo di Agnetti, Paolini, Isgrò, o Kossuth, al poverismo di Kounellis o Merz, alla ricerca sulla luce di Castellani o Yves Klein, al Minimalismo di Serra o Andre, al pop di Schifano, Festa o Warhol ecc (e uso i termini concettualismo, poverismo ecc solo per comodità, perché ogni artista serio non può esser incasellato in un movimento), è un pregio indiscutibile della collezione, perché rende evidente che gli artisti che vi sono rappresentati hanno veramente allargato il concetto di visibilità.
4. Ed ora passiamo ai miei distinguo. Succede spesso, e questo è vero almeno dal Rinascimento in poi, che la dimensione fisica dell’opera aspiri a dimostrarne la grandezza. Per certe idee visive la grande dimensione può essere fondamentale: provate a immaginare Le Nozze di Cana in piccolo senza la scenografia del refettorio di S. Giorgio 1 o l’Elvis Presley di Andy Warhol ridotto alla dimensione di un quarto o il tessuto di Boetti non ripetuto sei volte. Questa tendenza è evidente nella maggior parte degli artisti della collezione e direi che è molto significativa non tanto di essa, quanto degli artisti del periodo che copre (emblematiche a questo proposito le due opere di Kounellis e quella di Fabro: enormi). Esaminiamola più da vicino guardando i lavori di un artista molto rappresentato nella collezione, Fausto Melotti: a parte che l’appartenenza al “Novecento” in lui si rivela soprattutto in vecchiaia, si ha il sospetto che la tendenza generale lo abbia influenzato all’ingigantimento dei suoi lavori, al punto che possono sembrare dei falsi. Le sue invenzioni, non solo quelle più originali, le musicali, sposano preferibilmente la piccola dimensione. Naturalmente parlo in generale. Non si riscontra per es. in uno come Agnetti e nemmeno in Paolini e ciò conferma la supremazia dell’idea sulla dimensione: questa è solo uno dei fattori di quella: bisogna sempre saper fare un’opera originale anche sotto la sedia sulla quale state seduti. La tendenza al gigantismo per la verità continua anche ai nostri giorni e dipende dal fatto che tutti sono costretti a lavorare nel mondo del grande capitale e ne subiscono i condizionamenti, ma nel caso della seconda metà del secolo scorso si ha il sospetto che si tratti di una scelta tendenzialmente solo formale e ciò significa ingenuità, rapporto acritico col denaro, col grande denaro, adesione senza esitazioni ai modi d’essere dell’Occidente, del primo mondo, anzi di quella parte del primo mondo di cui gli Agrati stessi facevano certamente parte.
5. Fra i pregi di una collezione vanno considerati la chiarezza e l’omogeneità delle scelte e fra i difetti le esclusioni. In sé una collezione, di qualsiasi tipo si tratti, tende sempre a imitare la completezza e varietà delle opere di Dio e più estesa è, più ci si avvicina, ma solo il Grande Demiurgo è onnivoro e se lo può permettere. Visto che ho già parlato di collezioni di farfalle, perfino uno scienziato come Vladimir Nabokov lo aveva capito benissimo, forse perché era soprattutto un grande artista. Per quanto riguarda la Agrati, circa la chiarezza e l’omogeneità non c’è nulla da eccepire; quanto ai difetti, ho notato l’assenza di Josef Beuys, Roman Opalka, Christian Boltanski, Piero Fogliati, Giovanni Anselmo, Fabio Mauri, Gordon Matta Clark, Robert Smithson, James Turrell, Stanislav Kolibal (quello almeno della prima produzione) e di alcuni altri meno noti o più giovani, dei quali non faccio i nomi perché amici. E’ evidente che quest’elenco è soggettivo, ma ne rivendico il diritto. Comunque gli assenti, tutti coevi ai presenti, non sono pochi e ciò non mi sembra senza significato.
6. Mi sento comunque di raccomandare la visita ai giovani artisti che passano oggi un periodo di ignoranza condivisa con la massa: la collezione può almeno indurli a rivedere la loro presunzione: il valore didattico della Agrati è indubbio, la chiarezza più che la completezza è la sua qualità indiscussa (e a proposito di quest’ultima penso alla collezione Gulbenkian di Lisbona, per me un caso limite che tutti coloro che sono interessati alla’arte dovrebbero conoscere). In definitiva però è mia opinione che non li possa incoraggiare più di tanto ad affrontare il presente.
7. La visita a una collezione è comunque l’occasione per dire qualcosa sul collezionismo d’arte in genere e in questo caso la Agrati, malgrado le assenze, può costituire un punto di riferimento. L’arte purtroppo vive di collezionismo e non è un caso che io abbia collocato ai vertici della sua piramide proprio coloro che lo esercitano: in mancanza di un investimento pubblico, senza quel vertice la piramide crollerebbe, lasciando a terra la rovina dei blocchi che la sostengono dal basso. Voglio dire che l’arte continuerebbe a vivere lo stesso e forse sarebbe anche un bene, perché dal fuggi fuggi generale rimarrebbero quei pochi che ci credono comunque, mentre oggi la facilità di trovare ascolto e la grande quantità di denaro circolante aprono il campo a una moltitudine di spetasciatori (uso un termine lericino, ma comprensibilissimo) che ne hanno addirittura decretato la morte.
Naturalmente anche il campo del collezionismo è notevolmente inquinato e sono pochi coloro che lo coltivano per passione e per crescita spirituale e senza condizionamenti del mercato. Spesso questi ultimi beneficiano della generosità degli artisti veri, cui interessa principalmente la diffusione del proprio messaggio a prescindere dal proprio interesse economico (anche se dovendo vivere e produrre, anche loro pagano il verduraio e il panettiere). Il gioco si fa allora possibile, e direi addirittura appassionante, da ambo i lati ed è con questa considerazione di speranza che abbandono l’argomento.
FDL
Nota 1 L’originale è a Parigi (rubato da Napoleone), ma una copia, sostengo perfetta (fatta in due anni di lavoro e con ingenti spese da un’equipe inglese servendosi di tecniche computerizzate che riproducevano perfino il rilievo della tela originale), è stata ricollocata nel refettorio: site specific!
0 notes
Link
Sono molto felice che la mia opera “Quando la carta…” sarà esposta a Torino durante The Others, la fiera italiana sperimentale dedicata all’arte contemporanea internazionale che si terrà dal 2 al 5 novembre 2017 negli spazi dell’Ex Ospedale Regina Maria Adelaide, stand n° 17 piano terra.

Sono stata invitata dalla casa editrice artigiana Il Filo di Partenope a partecipare al progetto “Questo non è un lavoro ma una lavorazione” che parte da “12 volte la carta” di Valerio Magrelli, piccolo libro d’artista pubblicato nel 2014 nella collana Ex-voto, in cui l’autore racconta appunta la carta attraverso dodici frammenti di scrittura propri e presi in prestito da altri. Il libro si presta a sua volta ad essere tradotto dagli artisti attraverso il proprio linguaggio che dialogando con il testo traduce ma sopratutto spovrappone e contamina.

Ragionando sui diversi utilizzi della carta, mi sono soffermata a pensare a quando la carta era l’unico modo per comunicare a distanza e il mio intervento è stato quello di inserire 12 fotografie d’epoca e cartoline postali applicate sulle pagine in modo che si possa vedere solo il retro. Le frasi riportate sul retro delle immagini dialogano con il testo di Magrelli, alcune sono di saluto, altre descrivono l’immagine che noi però non possiamo vedere. In un momento in cui la comunicazione è basata sul bombardamento di immagini ho deciso invece di far parlare la carta.
Il progetto ha visto la partecipazione di molti artisti: Ilaria Abbiento, Marisa Albanese, Fulvio Ambrosio, Andrea Aquilanti, Chiara Arturo, Michele Attianese, Luigi Auriemma, Pasquale Autiero, Mario Avallone, Vittorio Avella, Mathelda Balatresi, Cristina Balsotti, Aniello Barone, Andrea Bove, Giuliana Calomino, Gerardo Cibelli, Chiara Coccorese, Cristina Cusani, Nunzio De Martino, Valentina De Rosa, Pina Della Rossa, Elisabetta Diamanti, Enzo Distinto, Danilo Donzelli, Assunta D’Urzo, Maurizio Esposito, Ivana Fabbricino, Marina Falco, Paolo Fiorellini, Lino Fiorito, Anna Fusco, Claudia Guastini, Stefano Lanzardo, Christian Leperino, Lucrezia Longobardi, Fabrizio Monsellato, Claudia Mozzillo, Antonio Onorato, Vincenzo Pagliuca, Renata Petti, Caroline Peyron, Felix Policastro, Valerio Polici, Agostino Rampino, Vincenzo Rusciano, Vincenzo Russo, Antonello Scotti, Lucia Sforza, Fabio Sironi, Mario Spada, Giovanni Timpani, Giuliano Tomaino, Salvatore Vitagliano, Angelo Volpe, Andreas Zampella, Angela Zurlo.
Affinchè tutta l’operazione diventi un flusso nomade e creativo saranno coinvolti artisti presenti al progetto The Others per poi riproporre questo progetto a Napoli, luogo di partenza dell’iniziativa stessa.
0 notes