#estasiproject
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Ciao!
Andiamo subito nel dettaglio: sei trans e scrivi? Questo è uno spazio per te. Da tempo sogno di creare qualcosa del genere, una piattaforma in cui persone trans possano creare un archivio di storie scritte bene, con personaggi trans ben definiti e sopratutto non definiti dal loro essere trans.
Come funziona?
Se hai una storia, una poesia, un racconto, una sceneggiatura, qualsiasi cosa prodotta da te, persona trans, che tratti di persone trans come individui e non come fetish, puoi mandare una mail a [email protected]
Puoi addirittura decidere di scrivere qualcosa proprio per questo blog, in questo momento. Incredibile. La tua storia verrà pubblicata dopo essere stata letta e ritenuta accettabile. Puoi scegliere se essere anonim* o meno. Puoi mandare ciò che preferisci.
Questo progetto è letteralmente nato oggi, non ci sono ancora linee guida precise. Confido nel bisogno della nostra comunità di avere uno spazio artistico online, sopratutto vista la quantità di persone cisgender che ci usa come personaggi accattivanti nelle proprie storie banali. Abbiamo bisogno di prendere in mano la nostra narrativa e creare storie con persone trans vere, che esistano e che siano decenti. Ogni tipo di storia va bene, di ogni genere (che ridere).
Quindi, essendo un work in progress, la askbox è aperta per ogni dubbio (che immagino possano essere molti) e chiarimento, magari possiamo aiutarci a vicenda nel capire cosa ne uscirà da questo progetto. Per il momento pubblicherò (se mai qualcuno manderà qualcosa) una volta a settimana, il Venerdì sera. Così, a caso.
Ricordate di essere fieri di essere trans e di scrivere anche solo per il gusto di farlo.
Addio!
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Scritto da: Michela
C'è l'aria, ci sono le montagne, e ci sei tu C'è la terra, ci sono i falchi, e ci sei tu Hai sempre creduto di avere un posto per te In una realtà integrata e quotidiana Un sogno, più che altro Ma ora lo sai. Questo basta? Certo, c'è il brivido freddo di quando ti chiamano "signorina", c'è la confusione momentanea, e ci sei tu C'è la violenza ovunque, c'è il dolore, e ci sei tu Questo basta? Mai. Esistere è rivoluzionario, Amarsi è un affronto alla pubblica moralità, Un'offesa che devi imparare a coltivare Districandoti nel labirinto di rappresentazioni sofferenti, spezzate, piegate Perchè tu non sei reale Perdendoti tra gli articoli scientifici di cinquant'anni fa che ti impediscono di fare scelte personali senza che un pubblico le giudichi. C'è il deadname, c'è il chosen name, e ci sei tu Tu sei tutto e al di fuori di tutto E semplicemente ti chiedi quanto odio per te stesso devi dimostrare perchè la giuria ti permetta di esistere Questo non è mai bastato. C'è l'amore, c'è la serenità, e ci sei tu C'è la comprensione, c'è l'amicizia, e ci sei tu Puoi avere tutto e al di fuori di tutto Perchè quello che non sanno è che la tua vita non è marchiata solo dal dolore C'è la disforia, c'è l'euforia, e ci sei tu Con tutto o niente Non ha veramente importanza Perchè la tua gioia è un atto politico Un cambiamento radicale Ci sono personaggi distrutti, ci sono esistenze soffocate, e ci sei tu Non sei nulla di ciò che ti hanno attribuito Sei più di tutto e al di fuori di tutto E imparerai che puoi plasmare la tua realtà personale con saggezza Non perderti, non incatenarti per recitare il copione Ogni emozione positiva ti appartiene intrinsecamente C'è la pace, c'è la conoscenza, e ci sei tu. Creerai le tue rappresentazioni E saranno la verità Allora saprai che l'intero mondo ti appartiene.
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Asterisco.
Scritto da: Nuées
IG: @euforia_degenere
“*”
Davanti alla Legge sta un guardiano.
Sono chius* nella mia camera, sedut* a terra, in silenzio. Rifletto. Ho chiamato un avvocato. Io, un avvocato. Non ho mai infranto la legge, mai. Mai passat* col rosso, mai rubato niente, mai fatto male a nessuno, credo.
“Non si va in tribunale solo per questioni penali”, mi fa notare qualcuno. Lo so. Eppure, sono sotto accusa.
“Sei chi dici di essere?” Dipende. “Dimostralo.” Come?
“Sei uomo abbastanza?”
Rido. No, certo che no. Cosa vuol dire poi, essere uomo abbastanza? Non sono niente, non ho intenzione di uscire da una gabbia per chiudermi in un’altra. La mia identità non si può restringere in una visione binaria che non ho mai sentito mia. Eppure, fingo, mi cucio addosso una narrativa che non mi appartiene. Sarò il vostro ometto modello, integrato, assimilato, eteronormativo, mutilato. Sostituite i miei asterischi con delle o, fate quello che volete. Non c’è altro modo, tanto, no?
Davanti alla legge sta un guardiano, scrive Kafka, e oltre quel guardiano ne sta un altro, e poi un terzo, ancora più spaventoso. Io, invece, vedo un Giudice, gigantesco sul suo trono, sepolto sotto la sua parrucca e la sua mantella scura. “Non sono così, in Italia.” Che importa? Il Giudice, con la sua faccia grinzosa, plastica, mi guarda con occhietti scuri, lucidi, infossati. “Sei uomo abbastanza?” Mi chiede di nuovo. “Dimostramelo.” E l’Accusa si volta verso di me. Non ci sarà davvero l’accusa, quando sarò veramente davanti a un giudice, ma so che me l’immaginerò comunque. Un volto vuoto, bucato, che conterrà al suo interno centinaia di piccoli uomini e donne, ognuno con qualcosa da dire. Chi odia, chi non capisce e ci tiene a fartelo sapere, chi pensa che qualsiasi cosa io faccia, non sarà mai abbastanza. L’Accusa muove le sue dita lunghe e ossute, fremendo. La voragine del suo volto in mostra, pronta a divorarmi qualora dovessi fare un passo falso.
Condisco la mia storia col dolore, un dolore che ho sicuramente provato, ma che con gli anni ho imparato a tenere a bada, a non renderlo una parte attiva della mia identità. E invece lo rivitalizzo, come un mostro di Frankenstein fatto di pezzi di me che avrei preferito dimenticare. Eccolo, il mio dolore, siete soddisfatti? Prendetelo, rendetelo tutto ciò che conta. Espongo la mia carne viva, fatene ciò che volete. Il tribunale è un tempio, adesso, il martello del Giudice (ma ce l’hanno un martello i giudici, in Italia?) si trasforma in un coltello. Il banco dell’imputato un altare sacrificale. Sono abbastanza? Ditemelo voi, non m’importa. Estraggono il mio dolore dalle mie costole e lo osservano, attentamente. L’Accusa se lo rigira tra le mani, avvicinando la sua voragine ad esso, inglobandone un po’. E mentre lo ingoia, sento dei sospiri provenire dal suo interno. Sono sospiri di sollievo: alcuni di loro hanno compreso. Perché è più facile fare capire la mia sofferenza che la mia gioia? Il Giudice si sporge dal suo banco, prende il dolore dalle mani dell’Accusa e lo pesa su una bilancia. Mi guarda, mentre la bilancia si inclina. Mi giudica idone*, o meglio, idoneo, ho lasciato perdere gli asterischi, a loro non sarebbero piaciuti.
Davanti alla Legge c’è un guardiano, e il passaggio è solo mio. Posso attendere mesi, anni, tutta la vita, ma la porta sarà sempre qui ad attendermi. E allora entro, per quanto questo mi faccia sentire inadeguat*, per quanto vorrei che non fosse necessario. Sto entrando, a fatica, con la rabbia contenuta, i pugni tesi. Lascio da parte una parte di me (perché qualsiasi cosa faccia devo sempre lasciare da parte una parte di me?) per ottenerne un’altra. È un compromesso, io mi piego ad esso per sopravvivere, ma mi batterò affinché nessun altro debba farlo, questo compromesso. E so che alla fine, non sarà l’Accusa ad avere l’ultima parola. Non sarà il Giudice, non sarà il Guardiano, non sarà la Legge. Dico al mio asterisco di aspettarmi, di non preoccuparsi. Tornerò a riprenderl*.
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