#escapisti
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la sensibilità deforma, la fantasia è realistica
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Poiché il nostro orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo essere colpire ed essere colpiti) e l'orizzonte dei nostri effetti è ormai illimitato, siamo tenuti, anche se questo tentativo contraddice alla "naturale ottusità" della nostra immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua naturale insufficienza, è solo l'immaginazione che può fungere da organo della verità. In ogni caso, non è certo la percezione. Che è una "falsa testimone": molto, ma molto più falsa di quanto avesse inteso ammonire la filosofia greca. Poiché la sensibilità è - per principio - miope e limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto.
La terra promessa degli "escapisti" di oggi non è la fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri normali (dipinti, cioè, secondo la prospettiva normale): benché realistici in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perché sono in contrasto con la realtà del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente dilatati.
-Günter Anders (diario di Hiroshima e Nagasaki)
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Questa l'ultima Escape Room di ieri. #escapeberlin #escapisti #www.facebook.com/escapisti #escapisti.blogspot.com #quest #berlino #berlin #enigmi #puzzle #escaperoom #escape #room #sherlockholmes #sherlock #holmes #bigbangtheory #big #bang #theory (presso Live Escape Berlin)
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Escape
L'escapismo è una forma estrema di svago, spesso attraverso metodi ricreativi, il cui scopo è estraniarsi da una realtà nei confronti della quale si prova disagio.
Ci sono persone che erroneamente identificano ciò come bisogno di evadere dallo stress della vita quotidiana ed altre che altrettanto erroneamente si definiscono escapisti unicamente su convinzione personale senza conoscerne il significato.
Secondo alcuni studiosi, i fenomeni di escapismo (cui viene generalmente attribuita connotazione negativa di incapacità a relazionarsi con la realtà) hanno subito un considerevole incremento nello scorso secolo a causa di un generale mutamento dello stile di vita verso contesti, ambienti e lavori sempre più estranei alla condizione naturale dell'uomo, nonché più alienanti.
Tra i sintomi di questo crescente straniamento, vengono normalmente indicati canali ricreativi il cui uso distorto può portare ad un allontanamento della realtà, quali: la letteratura, la musica, lo sport, il cinema e la televisione, i giochi di ruolo, la pornografia, Internet e i videogiochi, oltre alla droga e all'alcool.
I sociologi che studiano questi fenomeni tendono inoltre a sottolineare la pericolosità di una società in cui il governo o i vertici del potere si impegnano a fornire canali di svago di fronte a sintomi di disagio sociale, inserendosi nel solco di Karl Marx secondo il quale numerosi elementi sociali, tra cui la religione, hanno il solo scopo di illudere il popolo con la promessa di un rifugio da un presente insoddisfacente.
Alla luce del XXI secolo, e ancora di più dello scorso anno e di quello corrente, possiamo scorgere come l'escapismo sia un fenomeno più e più in aumento conseguentemente all'ondata di pandemia che viene affliggendo e della quale al momento non siamo liberi.
Qui possiamo trovare la familiarità con i cosiddetti escape games, o con le escape rooms, poiché attraverso queste due attività l'individuo deve cercare di evadere, figurativamente e fisicamente parlando da un luogo fisico o di fantasia attraverso l'utilizzo di doti quali l'ingegno, l'acutezza mentale, l'intuito, la logica e la creatività.
Questi giochi, rappresentano bene l'attività che il soggetto escapista tenta di compiere nella propria vita; egli tramite ogni sorta di mezzo lecito o illecito cerca di modificare o rompere gli schemi, evadendo, uscendo fuori dai contorni predisegnati; ciò per fuggire da problemi più o meno concreti, da condizioni di salute deleterie, da problemi economici pressanti, da disturbi di carattere psichico ecc.
Tuttavia, fantascienza e fantasy vengono ritenute un mezzo per l’escapismo di massa, che spesso si rivela positivo. Pensiamo per esempio a Jules Verne. Quando ha scritto i suoi libri i sottomarini non esistevano, ma vengono immaginate prospettive che poi diventano vere come appunto il Nautilus.
Come ogni medaglia l'escapismo presenta i propri pro e contro, la società, così come il singolo devono fare fronte ad entrambi, in linea di massima però l'escapismo, se non diventa prettamente patologico e distruttivo, può anche comportare un ritrovato benessere per chi evade,quindi se sentite il bisogno di estraniarvi dalla vostra vita quotidiana per ritrovare voi stessi, per risolvere un problema ecc. non dovete preoccuparvi potreste ritrovarvi più forti di prima.
-umi-no-onnanoko (@umi-no-onnanoko )
#umi-no-onnanoko#writing#scrittura#escapismo#escape#21.06.21#psicologia#psicology#escape room#evasione#go away#scrivere
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Tufenkian Gallery to Present ‘Crossroads, Crossing, and Convergence’ Exhibition
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Tufenkian Gallery to Present ‘Crossroads, Crossing, and Convergence’ Exhibition
LOS ANGELES—Tufenkian Fine Arts will present “Crossroads, Crossing, and Convergence,” a group exhibition featuring a selection of first-generation immigrant female artists. The exhibition will run from Wednesday, July 21 and will be on view through Saturday, August 21.
The exhibition uses the word crossroads as a unifying principle – the artists, though varied in their approaches, are united under a shared identity of multiple cultural experiences. In a world filled with variety of unfamiliar thoughts, practices, racial, economic, social, and political divides; these artists are connected by a common thread of acceptance and tolerance which female immigrants have faced around the globe. The nine featured artists in the exhibition are women of diverse backgrounds making history, while ensuring that the vital pulse of LA’s art scene continues to beat in an ever-changing society between the “Crossroads Crossing and Convergence.”
For years, Andrea Aragon has employed Los Angeles’s distinct urban landscape, an environment saturated with graffiti and street vendors which is so familiar to native Angelinos like the artist herself, to stimulate her artistic practice. The artist aims to emulate the aura of her subject matter, using an impregnation of hues, shapes, and disorder in order to emphasize the rawness in each of her pieces.
Fatemeh Burnes is a pictorial, conceptual artist, as well as an artist-activist. Her current body of work has taken an autobiographical turn in the context of her experince as an immigrant and as a woman. Burnes is preoccupied with the nature around us and within us and the history we have made and that we make, a history defined not by time but by energy – as is nature, and as is art. She makes art not just to produce objects, but also to explore phenomena, whether they occur in the world or in her dreams, as thoughts in her mind or as rocks on the ground.
Andrea Aragon, “Bus Stop”, Oil on wooden panel, 18 1/8″ x 14 3/8″
Born and raised in Angola before migrating to California over twenty years ago, Nzuji De Magalhaes synthesizes both Angolan and American art forms to convey issues of stereotypes, myths, ethnicity, and politics. De Magalhaes utlizes a variety of artistic mediums – sand, beads, yarn, and glitter – to capture traditional Angolan art forms while serving as commentary on the ravaging effects of tourism and unfettered captalism from foreign escapistis which contribuite to her country’s domestic turmoil.
Gudrun Gotschke’s photographs are, like all photographs, still and stationary, yet they evoke movement and change. Gudrun was always deeply affected by her environment and her surroundings. The photographs in this exhibition similarly are in a relationship with each other, subtly and powerfully affecting each others’ moods and shifting the understanding of the moments captured within their frames.
Working across several media, including film, video, neon light, installation art, and photography, Miriam Kruishoop seeks to capture the disparity and the deliberate suppresion of minorities in our society by way of police brutality and institutional racism. The selected works come from Kruishoop’s LIVING IN AMERICA series in which highly charged portaits act as an instrument for navigating the complexities of the black experience in America.
Luigia Gio Martelloni’s artistic practice centers on uncovering hidden layers of truth, exploring dimensions of collective unconscious and subjective interpretation, and capturing the ephemeral and transient. Martelloni’s work pays particular attention to the natural world and its relation to humanity, transforming and reinterpreting everday realities: traces from nature, isolated fragments, geography, urban spaces, and diverse cultures.
Lilli Mueller’s current work focuses on new labor-intensive, multi-media, interactive performace projects both locally and internationally that address global issues and the state of humanity worldwide. Her inspirations are drawn from the colors of life, human experiences, and the puzzle pieces of emotional states of mind, weaving like a red thread through layering visuals, hidden messages and symbols, assuming obvious perceptions and surprise reveals.
She Loves Collective is a collection of female artists who share a strong belief in the power of creating social change by testing our conceptions of artistic medium, expression, and practice. The group aims to inspire and awaken the inner creative in us all and to promote love in all its myriad manifestations.
The Los Angeles-based artist Mei Xian Qiu was born to a third-generation Chinese family in the town of Pekalongan, on the island of Java, Indonesia, where as a child she was subject to cyclical violence and prejudice. Harnessing her upbringing and cultural heritage as inspiration for her unique visual language, Xian Qiu juxtaposes assumptions about ethnicity and customs with Pan-Asian, Chinese, and Western motifs in photographs which are designed to appear candid.
Tufenkian Fine Arts, a gallery located in Glendale, California, is dedicated to the advancement of modern and contemporary artists. We present and connect audiences to events and exhibitions fostering excellence in contemporary fine art.
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RECENSIONI 4IN1: Kehlani, Flume, Deerhunter, Better Oblivion Community Center
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In questa istallazione di Recensioni 4in1 parliamo in breve di quattro dischi, tra album e mixtape, usciti durante il primo quadrimestre dell’anno. E’ una buona occasione per recensire musica che, per questioni di tempo, non ha trovato spazio in un articolo prima di ora, ma anche si merita almeno qualche parola. E’ il turno di due dei mixtape più in evidenza dell’inverno: l’atmosferico While We Wait della cantante rnb Kehlani ed il bizzarro Hi This Is Flume del noto producer australiano Flume. Poi è la volta di due piccoli album che non devono essere passati inosservati a chi piace controllare cosa transita appena sotto il radar del mainstream: Why Hasn’t Everything Already Disappeared? dei Deerhunter e l’inaspettata collaborazione tra Conor Oberst e Phoebe Bridgers con Better Oblivion Community Center.
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Kehlani - While We Wait (TSNMI / Atlantic, 2019)
La cantante californiana Kehlani Ashley Parrish, nota solo come Kehlani, ritorna a distanza di due anni dal fortunato disco d’esordio SweetSexySavage con il mixtape While We Wait. Nell’attesa, come suggerisce il titolo, di portare a termine la sua prima gravidanza, il nuovo progetto - formato da nove tracce per una durata di trenta minuti - sembra il copione di un romanzo su quanto possa essere complessa la coesistenza funzionale tra amore e comunicazione in un presente iper-mediatico come il nostro. La sua storia, quindi, non presenta colpi di scena eclatanti e non segue traiettorie affatto imprevedibili, in realtà, non attribuisce poi così tanto peso alla narrazione che diventa, come ormai è comune nell’rnb, un pretesto per creare l’atmosfera romantica, flirtante e nostalgica che va di pari passo col genere. Kehlani incontra stilisticamente SZA, H.E.R. e Drake per illustrare queste realtà confuse, talvolta ripercorrendo traumi del passato, sentimenti repressi, incomunicabilità delle parole e costrizioni della mascolinità per come viene comunemente intesa. I suoi personaggi sono, dunque, persone emotivamente provate che cercano di capirsi a vicenda. Comunque sia, i brani rimangono in linea generale molto gradevoli e pop. La produzione è pulita e di qualità, sebbene non sia nulla di speciale, così come le strumentali sono sempre molto colorate e moderne, ma raramente sopra la media, a metà strada tra trap ed alternative hip-hop, urban ed rnb con ammicchi vagamente funk e soul - come in Morning Glory che potrebbe benissimo trovarsi nel prossimo album di Ariana Grande. Il vero punto di forza è perciò la voce della cantante, lucida e balsamica, seducente ma non forzatamente zuccherata.
Si inizia benissimo con Footsteps che rimane probabilmente imbattuta dagli altri brani in quanto ad intensità, scorrendo fluidissima grazie ad una composizione molto tranquilla ma intrigante che sovrappone cori, un giro di chitarra nello sfondo immerso nel riverbero, bassi e hi-hats sintetici di matrice trap ed una collaborazione azzeccatissima con Musiq Soulchild. Molto più elettronica è la successiva Too Deep, uno degli improbabili momenti più divertenti, in cui i synth sono bollicine caramellate ovattate da una patina che li rende in qualche modo più sinistri; ancora grandissimo uso delle sovrapposizioni vocali che qui diventano fondamentali per costruire la spirale dentro cui viene incanalato il testo, animato dal momento in cui si ci rende conto del risvolto soffocante del sentirsi improvvisamente e pericolosamente con la testa tra le nuvole. “We was candy crushin’ / But this shit gettin’ to deep”. Il vocabolario di Kehlani non è per nulla ricercato e per questo l’intera problematica da lei presentata rimane irrisolta, analizzata soltanto in superficie. Gli altri highlight sono le trap-peggianti Night Like This con Ty Dolla $ign e la più notturna RPG con 6lack. Per la scelta piuttosto ristretta delle tematiche - ed il modo in cui sono state sviluppate - il sound ed il ritmo, While We Wait risulta leggermente tirato per le lunghe. E’ il classico esempio della musica bella finché dura, ma che una volta finita passa velocemente nel dimenticatoio.
TRACCE MIGLIORI: Footsteps; Nights Like This; RPG
TRACCE PEGGIORI: Morning Glory; Butterfly
VOTO: 65/100
di Viviana Bonura
Flume - Hi This Is Flume (Future Classic, 2019)
Tre anni sono passati da Skin, il secondo disco del producer australiano Flume che lo ha annoverato tra i nomi più noti del filone EDM della musica elettronica, pur conservando un’integrità artistica dati alcuni aspetti peculiari del suo stile, quali le influenze glitch pop, future bass ed hip-hop incorporate in maniera eccentrica, sbilenca e sempre bizzarra. A fargli da controparte ci sono stati i due EP della serie Skin Companion che hanno ampliato il contesto in cui l’artista voleva collocarsi, ovvero, mostrandosi intenzionato a presentare un sound lucido ed espansivo per far presa sulla situazione attuale della musica elettronica, ma ancora personale ed aggiornato sulle sperimentazioni. La mossa successiva di Flume conferma questa voglia di essere appetibile senza rinunciare a fare di testa sua, pubblicando il mixtape Hi This Is Flume, in cui ha potuto dare sfogo ai suoi estri più creativi ed anticonvenzionali.
Il mixtape dura ben quaranta minuti, ma la durata media delle tracce è di circa due minuti, ciascuna perfettamente incasellata davanti e dietro l’altra tramite transizioni disinvolte, permettendo così al progetto di essere un’opera intera e fluida, un’esperienza olistica e connessa. Per esempio, la tastiera intrepidamente acuta e caramellata ed il beat industriale pesante, insieme alla collaborazione del rapper grime slowthai nella traccia High Beams creano un sound vibrante, rovente e ghiacciato allo stesso tempo, da cui si genera la successiva Jewel, una traccia altrettanto bella dalla melodia glitchy che ci traspone nel tipico mondo etereo e robotico di Flume, una pulsante e vaporosa visione ultra-futuristica nel bel mezzo di una flora rigogliosa. Lo stesso discorso vale per i droni distopici di Dreamtime, in cui i synth sembrano i battiti cardiaci di una strana creatura sottomarina ed il campionamento di una voce femminile distorta serve come tavolozza per creare la successiva Is It Cold In The Water?, remix di un brano di SOPHIE in cui Flume fa squadra col producer Eprom per rivisitare la traccia con più variazione e struttura ritmica rispetto all’originale, malgrado a tratti possa essere troppo rigida, rimane apprezzabile la sua nuova abrasione noise. Verso la fine il minutaggio per brano si restringe ed il mixtape diventa una vera e propria traccia unica, schizzi di beat e sovrapposizioni sintetiche elaborate in cui si susseguono altre strane manipolazioni e distorsioni, ancora accenni magnetici allo stile industrial, ma anche alle virtualità vaporwave coi tagli laser di Vitality, campionamenti di voci tra cui ritorna l’apprezzata Kučka in Voices. Saltano all’orecchio la frizzantissma MUD e la vertiginosa Upgrade che creano muri di suoni da club per nulla prevedibili che non hanno paura a diventare rumorosi e scatenati. Ma la vera perla del progetto è l’affamatissima collaborazione con JPEGMAFIA in How To Build A Relationship, una traccia fantastica, eccitante ed esplosiva sotto tutti i punti di vista in cui si palesa la brillantezza di entrambi.
Sì, ci sono dei momenti che appaiono fini a se stessi, quei brani di qualche secondo che sembrano non aggiungere nulla, ma alla fine Hi This Is Flume è fatto proprio di quei piccoli pezzi che insieme si danno spinta e senso. Probabilmente è proprio questo che rende il mixtape del produttore australiano una boccata d’aria fresca sia nel più generale panorama musicale della musica elettronica - in cui si vedono troppo spesso personaggi stampati in serie capaci solo di appostarsi dietro la consolle per premere play - sia nella sua stessa discografia che per quanto differente può anche risultare troppo confezionata ed addolcita. Hi This Is Flume è effettivamente qualcosa di sperimentale e ci porge un lato promettente dell’artista, non può fare di certo compagnia alle cose più inaudite e rivoluzionarie della musica elettronica, ma può stare sicuramente ai livelli di Bonobo, Jamie xx o Sbtrkt. Se veramente questo è Flume a noi piace parecchio.
TRACCE MIGLIORI: High Beams; Jewel; How To Build A Relationship
TRACCE PEGGIORI: Hi This Is Flume; ╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§°⌂ ▌
VOTO: 70/100
di Viviana Bonura
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Deerhunter - Why Hasn’t Everything Already Disappeared? (4AD, 2019)
Per oltre un decennio i Deerhunter, band capitanata da Bradford Cox, si sono fatti conoscere per il loro approccio neo-psichedelico, punk e surreale all’indie rock e pop. Come in un quadro metafisico la loro musica è stata generalmente caratterizzata da una tensione latente contenuta un involucro placido, pulito e definito, dentro cui si celano tracce o espressioni dirette di orrore ed oscurità. L’impressione è che esistano, inchiodati sotto la superficie delle dinamiche socio-politiche quotidiane, una miriade di sentimenti ed esperienze negative che influenzano la nostra prospettiva sul mondo. Solitamente, la superficie placida è quella sonora, mentre l’oscurità è celata nei testi. Il loro ottavo disco, Why Hasn’t Everything Already Disappeared? lotta contro gli impulsi escapisti e conflittuali del caso, continuando l’esplorazione delle diverse sfaccettature sonore della band, purtroppo senza riuscire ad evitare alcuni importanti errori, come il finire per incarnare quello stesso limbo anestetizzante che tanto compiangono nel mondo esterno.
Già nel 2015 Cox si era dichiarato stanco della nostalgia soffusa dei primi dischi dei Deerhunter, quella nebbia affascinante della giovinezza, volendo avvicinarsi al mondo degli adulti. Nel loro ottavo album questa sensazione si è percettibilmente intensificata e l’impressione è di una band che inizia ad essere insofferente. La nostalgia, dopotutto, alimenta alcune delle più pericolose correnti di pensiero reazionarie degli Stati Uniti, richiamando un'immagine nazionale perfettamente omogenea che mai è veramente esistita. Le canzoni di Why Hasn't Everything Already Disappeared? considerano visceralmente le ricadute postume del capitalismo, facendo i conti con le conseguenze della vita in un paese che si sta reiterando fino alla morte. L’apertura Death in Midsummer racconta di memorie di amici defunti tra rintocchi di clavicembalo e batteria che sembrano registrati dentro un frigorifero; entrambi colpiscono bruschi, tirando il brano verso l’interno. Al di sotto di essi, tuttavia, un pianoforte squilla come se si disperdesse all’infinito in uno spazio aperto. Un assolo di chitarra dai sapori psichedelici rinforza l’illusione che la canzone stia avendo luogo contemporaneamente sia un’arena che in una bara. La combinazione vertiginosa di queste due atmosfere la rende perfetta per il testo: “They were in hills / They were in factories / They are in graves now”.
Ci sono preoccupazioni che rimango implicite, scelta che suggerisce che l’intera tematica sia una questione artistica piuttosto che una dichiarazione di una certa posizione politica, più un’esplorazione del posto in cui potremmo finire se scegliamo la strada della distruzione. E’ come se gran parte del disco suonasse come una pellicola sottoesposta, sviluppata con sonorità analogiche e granulose. Dall’inizio alla fine Cox avvista una distante apocalisse osservandola attraverso un vetro scuro, offuscato, e mentre progredisce si lascia andare ad affermazioni nichiliste per ricordarci della sua presenza. “In the country / there's much duress / violence has taken hold / follow me / the golden void” canta fermamente in No One’s Sleeping, brano che sembra una canzone indie rock suonata col clavicembalo. I cambiamenti di temperamento del disco gli attribuiscono un effetto freddo e distanziante - forse è proprio questo il suo più grande difetto - poiché incorpora sonorità davvero insolite. A volte però, si apre uno spiraglio, quell’incisività che li incornicia nel pop, ad esempio nella strumentale Greenpoint Gothic. Esistono anche altri punti salienti, come What Happens to People che dimostra la prodezza della band nel generare consonanze, la loro abilità nel mettere insieme una trama sonora vivida fatta di chitarre splendenti e sintetizzatori spessi. Eppure, persino questa traccia ha la sfortuna di essere seguita da Detournement, un brano dalle strane modulazioni vocali da sorpassare immediatamente in quanto indugia nelle peggiori inclinazioni della personalità appuntita di Cox.
TRACCE MIGLIORI: Death In Midsummer; Greenpoint Gothic; What Happens To People?
TRACCE PEGGIORI: Détournement; Tarnung
VOTO: 60/100
di Viviana Bonura
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Better Oblivion Community Center - Better Oblivion Community Center (Dead Oceans, 2019)
In una fredda giornata di gennaio, il cantautore Conor Oberst - meglio conosciuto come il leader dei Bright Eyes - e la cantautrice Phoebe Bridgers decidono di formalizzare la loro ammirazione reciproca e di dare un seguito ad una collaborazione iniziata nell’album d’esordio di lei con Better Oblivion Community Center, un inaspettato nuovo progetto musicale che si propone di unire il sensibile e malinconico indie folk di entrambi. Bridgers è da poco reduce dall’esperienza con un altro nuovo super-gruppo, quello delle boygenius, ma è proprio con Oberst che ha dimostrato di avere una naturale armonia, una simbiosi priva di qualsiasi egocentrismo che faceva sperare benissimo per una collaborazione a lungo termine. Il loro omonimo Better Oblivion Community Center è un disco molto semplice che non si discosta assolutamente dalle sonorità, già molto simili tra di loro, di ciascun solista - e probabilmente, questo si rivela il problema di fondo. Per quasi l’ottanta percento dei trentasette minuti complessivi i due cantano insieme, narrando secondo il loro stile canonico dei malfunzionamenti quotidiani dell’essere umano e tirando fuori, qualche volta, riminiscenze del passato e quella strana sensazione di aver sempre sentito un’ambivalenza tra felicità e tristezza anche nei momenti più belli della vita.
Nei primi lavori coi Bright Eyes, la scrittura di Oberst era particolarmente vivida perché tutto ciò di cui parlava sembrava una questione di vita o di morte. Col tempo il suo istrionismo è andato perdendosi, ma stavolta, a fianco della penna empatica e cristallina di Bridgers anche Oberst sembra ringiovanito. Il punto di forza del disco è proprio nei testi, ma il suo più grande punto debole è il non essere voluto uscire dalla zona di comfort. La produzione, quindi, risulta molto elementare, pulita e senza nulla di originale, per la maggior parte acustica e sobria, tranne per la più briosa Dylan Thomas che fa da sorta di cavallo di battaglia coi suoi ritmi rock più vivi ed una band di supporto. Exeption To The Rule è proprio come dice il titolo, una traccia che improvvisamente sembra darci proprio quello che vogliamo, ovvero, una formula con altri ingredienti, delle sonorità più speziate, ma piuttosto, coi suoi synth retrò che quasi sovrastano le voci, risulta più una sbandata rigida, sterile ed insapore.
Le altre tracce sono decisamente mediocri, ma possiamo essere d’accordo sul fatto che Service Road e Chesapeake riescono a distinguersi positivamente all’interno di una tracklist fin troppo piatta. La prima rivela Oberst in un momento particolarmente delicato ed onesto, ricordando un giovane fratello che non c’è più, mentre la voce calda e crepuscolare di Bridgers è come una mano di conforto sulla sua spalla. La seconda è la pura e nostalgica poesia di un artista acclamato su un palco, osservato dal punto di vista di Bridgers che nel pubblico si trova schiacciata tra la folla, desiderando che finisca presto di suonare, parallelamente, ricorda una persona a lei cara abituata a suonare per nessuno e questo scatena in lei un senso di colpa che, sistematicamente, la distrae dal presente per rimuginare sul passato. Quella tridimensionalità in più la si intravede proprio negli ultimi sessanta secondi della conclusiva Dominos, cover di Taylor Hollingsworth, includendo un assolo di chitarra elettrica distorta che prosegue rumorosa su un basso pieno. Soddisfazione troppo breve, ma se non altro chiude il disco su una nota positiva. Oberst e Bridgers sono indubbiamente fatti l’uno per l’altra, tuttavia, il loro primo album condiviso non è nulla di speciale. Sicuramente è bello da ascoltare finché dura, ma non vanta nessun momento riconoscibile o memorabile una volta finito.
TRACCE MIGLIORI: Dylan Thomas; Service Road; Chesapeake
TRACCE PEGGIORI: Sleepwalkin’; Exeption To The Rule; Big Black Heart
VOTO: 55/100
di Viviana Bonura
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Dopo aver salvato il mondo del 2213 da un'epidemia di zombite acuta, Escapisti sono riusciti, per il rotto della cuffia, a superare l'esame finale della scuola di magia di Hogwards presso Questerland http://escapisti.blogspot.com http://www.facebook.com/escapisti #escapisti #escapististoriedifuga #storiedifuga #escaperoom #escape #room #roomescape #enigma #enigmi #quest #giochidilogica #giochi #logica #indovinello #indovinelli #rompicapo #rompicapi #rebus #quiz #avventura #gdr #rpg #praga #prague #praha #Questerland #zombie #zombi #2213 #scifi #fantascienza #horror #orrore #paura #harrypotter #harry #potter #hogwards #magia #magic #fantasy (presso Questerland)
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