#era il momento di chiara poteva benissimo farsi da parte
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voi mi dovete dare del gossip e dirmi cos’e successo a fedez dopo sabato e perche’ non ha postato nemmeno una foto con la ferry e perche’ ha messo quelle ig story e quel post con tutti tranne che con lei e perche lei era solo con le sorelle e con i bambini dopo la finale e tornata a casa, e perche---
#problemi del terzo mondo veramente#voglio sapere#e in ogni caso avrebbe ragione lei perche lui ha passato tutta la settimana a scartavetrare le palle#per farsi mettere sotto i riflettori#il podcast le ospitate i duetti le esibizioni la polemica anche meno#era il momento di chiara poteva benissimo farsi da parte#se lei si e' incazzata davvero al di la dei gravi problemi di narcisismo che entrambi hanno ha fatto bene
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Since you're on the roll.. What about a metamoro soulmate au? (You wrote it yourself in the tags) one when maybe is involved a particular mark on their backs somewhere that links them?
Hey you
You wanted a soulmates au?
And that’s what you’re gonna get
Prima di tutto, mettiamo delle linee guida base
E cioè come funziona questo mondo
Tutti nascono con una strana voglia sulla parte destra del petto
(Si ad altezza della tasca destra in alto)
Questa strana voglia rimane informe fin quando non incontri la tua soulmate
Which is all fun and games ma essendo un punto piuttosto coperto in genere e si incontrano millemila persone ogni giorno diventa problematico se magari è qualcuno con cui hai scambiato un “buongiorno” al supermercato
Which is why la gente che si cosa con le proprie vere soulmate non dico che è rara ma non sono neanche così tanti
Anche perché molti avvertono un formicolio sulla pelle, quando la voglia assume un significato preciso, ma that’s not necessarily true e dipende dalla sensibilità della persona quindi, metti che succede davvero una mattina mentre sei di turno al supermercato, come fai a ricordare e capire chi sia la tua soulmates?
A onor del vero, se sono soulmates di solito le ribecchi in altre occasioni, ma non è scontato e insomma si tiene in considerazione anche della capacità e della volontà individuale
e sopratutto, se è la tua soulmates davvero -eccetto in alcuni casi- la ribecchi in giro
veniamo a Ermal e Bizio
Fabrizio aveva rinunciato alla cosa dell’anima gemella da quando aveva circa 25 anni ed era già molto se ci voleva stare lui con se stesso, figuriamoci dover costringere un altra persona che magari poteva vivere una vita meno incasinata senza un peso simile
ora, a 43, ha una considerazione un po’ migliore di se stesso, ma rimane il fatto che per se non vuole manco considerare l’ipotesi
Con Giada era andata come era andata e okay, alcune cose potrebbero essere gestite meglio, ma aveva due figli bellissimi e una famiglia che funzionava a modo suo, quindi chi era per lamentarsi?
Ermal credeva alle anime gemelle…… ma per gli altri. Non del tipo “ah non troverò mai la mia oh no” (nonostante abbia passato un periodo così)(da hipsterino edgy nsomm), però non era neanche la sua preoccupazione massima
I mean, se non era Silvia - per cui era stato disposto a mandare al diavolo tutto quel sistema di credenze - chi altri avrebbe potuto?
quindi no, si occupava del suo lavoro, della sua musica, e stava benissimo così
jump to Sanremo 2017
e tutto il teatrino con Fabrizio che è antipatico eccetera eccetera
certo è che se lo becchi appena finisce le prove e sta spompato tipo dopo una maratona la colpa è anche un po’ tua, Ermalì
però a difesa di Ermal, lui stava tutto emozio-eccitato di incontrare uno degli artisti che seguiva da una vita figherrimo che solo gesù lo sa quanto ha rotto i coglioni a tutti e lui è—-kttv.
però va beh non è che ha il tempo mo’ per mettersi a vedere cose ha un festival a cui arrivare terzo, un Albano da cui farsi fregare i fiori e sopratutto il TOUR
il bello del tour, dei tour con gente che conosci e a cui vuoi bene, è che pare sempre di essere in gita di quinto
e lui amava da morire i suoi compagni di viaggio
sopratutto quando lo appoggiavano nelle puttanate
come fare i turni per dare fastidio a Marco ogni volta che la notte la passava a russare
o decidere di rubare lo spazzolino a Vige a ogni tappa, così che debba ricomprarselo ogni santa volta
e i cappellini di Emiliano. SU COSA SONO STATI QUEI CAPPELLINI.
O fermarsi vicino alla costa a fare i tuffi incuranti del fatto che potesse spezzarsi l’osso del collo
e esattamente in quella situazione i nostri magici amycy e in particolare Ermal hanno finalmente notato che la voglia sul petto di Ermal aveva smesso di essere un blob informe e !!!!!!!!!!!!! era qualcosa
“è una mela” “una spazzola” “un ragno” “SEH, SUPERMAN”
la forma poteva anche essere chiara ma in realtà non lo era manco per il cazzo
però di base è una cosa uguale per i due membri della coppia, quindi nel loro caso saranno confusi in due
EH MA CHI SARA’ MAI si domandano in coro i nostri ometti
“qualcuno che hai conosciuto di recente, no?” “Grazie al cazzo, Ma’, sai quanti cristiani ho conosciuto in stì mesi?” “ma scusa quando è l’ultima volta che ci hai fatto caso” “…” “marzo?” “…” “febbraio?” “..” “..”
Pure Vige ha un po’ pietà per lui. Deeno se la rideva
Ermal non rideva popo pe’ niente che cazzo
quindi con un tacito accordo tutti decisero ovviamente di non far uscire la roba da là che già così era un macello, immagina se la gente si fosse fatta prendere dal fanatismo
“vuoi dire, di più?” commenta saggiamente Emiliano, mentre Roberto era impegnato ad aiutare Paolino negli spergiuri e le preghiere perché già così stavano messi male
quindi la vita fluisce tra i soliti casini, i concerti e le canzoni da inserire nel nuovo album e ora pure quest’altra roba
che si Ermal poteva pure dire che non gliene fregava niente e gne gne gne
ma in realtà gliene fregava a s s a i
almeno abbastanza da passare le notti con Macco, che tanto la sleep schedule era andata a farsi benedire da quando Anna era a NY
e manco le ragazzine nei peggio teendrama americani anuwanawei si mettono a vagliare le possibilità tra la gente che Ermal potrebbe aver incrociato
“ma possibile che non hai sentito proprio niente?” “none” “ma manco un bruciore? un solletico? un fricciorio?” “seh, so’ fatto Nino Manfredi”
“oh, io stavo per avere un infarto quando ho conosciuto Anna” “quello era il colpo di calore nel girare a Bologna a luglio a mezzogiorno”
E a Marco era venuto il pensiero di Bizio, si insomma, scorrendo i nomi della gente a Sanremo, sperando che non fosse l’assistente dell’assistente
però lui ci stava quando Ermal c’era rimasto male, e je dispiaceva ad aumentare il carico
però, però, PERO’
quando una sera Ermal si ritira sulla group chat #guessthatpockemon tutto gnegnino perché “no raga non indovinerete mai chi è vento stasera a parlare, roba da non crederci, pazzesco” perché Fabrizio Moro proprio lui proprio Bizio si era avvicinato a scambiare due chiacchiere, a Marco il dubbio gli ritorna
ma per bene placido se sta zitto che campa 100 anni
nel frattempo Ermal gestisce il fatto che nella sua già bella che incasinata vita si è aggiunto Fabrizio Moro che, a quanto pare, voleva a tutti i costi diventare suo amiketto
(mo’, cì, ci sono problemi più gravi da avere suvvia)
mentre i suoi amici se ne escono ogni giorno con spiegazioni più fantasiose al simbolo perché in teoria è legato a qualcosa di importante per le persone
ma il destino è stronzo quindi è “iMpOrTaNtE” a cazzi suoi, tipo per Marco e Anna era l'ombrellino del cocktail che Marco le ha regalato dal suo drink per fare il dolcino e nessuno dei due se ne sarebbe mai reso conto se non fosse stato iper ovvio
dicevo, il destino è stronzo
così stronzo che non solo Fabrizio vuole essere amiketto suo, ma deve pure essere BELLO DIVERTENTE SIMPATICO AFFASCINANTE SENSUALE TALENTUOSO E DEVE PURE SAPER CANTARE nello spazio vitale di Ermal
il disrispetto purissimo
ma a Fabrizio frega un cazzo di essere cortese buon giorno e per favore, visto che si stava insinuando nella vita del più piccolo sempre di più
e non è che Ermal “è chiuso, fa il calabrese di testa” E’ CHE GLI PIACE FINGERE DI AVERE UN CONTEGNO e non fare la scolaretta alla prima cotta che “prendimi, sono tua”
ma te faccio vedè come il contegno passa in settordicesimo piano quando Fabri gli propone la canzone assieme e “ah e pensavo di chiedere anche a —” “NON SERVE BASTIAMO NOI”
da scolaretta delle medie a ragazzina di quarto liceo che SA di dover sfruttare tutte le occasioni per stare con la sua crush è n'attimo eh
quindi via il contegno e indossiamo i nostri abiti più vulnerabili che vuoi che sia una canzone che tratta le ferite di entrambi e la loro vittoria su di esse per spiegarle al mondo, un giro di giostra proprio
e raga, Ermal davvero se potesse evitarlo lo farebbe, chiuderebbe baracca e burattini e andrebbe a Honolulu a vendere noci di cocco, tutto pur di non affrontare il fatto di starsi invaghendo per Fabrizio
Fabrizio così paziente e dolce, ma anche stronzissimo quando vuole
Fabrizio che gli ha aperto casa e vita come se non fosse manco la sua (beh, considerando che ci era appena andato ad abitare, quasi quasi manco lo era)
Fabrizio che era tantissime cose, ma sicuro non ne era due: innamorato di lui, ad esempio. E la sua anima gemella sorella vitasnella, per dirne un'altra.
e questa cosa sarebbe bello usarla per farsi passare la cotta, no? per stare bene
e invece ogni volta che si incontrano Ermal deve fare training mentale per non sospirare grandemente come la dramaqueen che è nell'anima
quella sciocchissima cotta non andava da nessuna parte ed avevano ancora tutto Sanremo davanti, e “oh il 16 canto all'Olimpico” “fantastico mettimi da parte un biglietto” “ma scusa a sto’ punto sali a cantare”
e le serate passate a parlare e scambiarsi idee su quel mondo così pazzesco e incasinato, ma che sembrava meno spaventoso con Fabrizio affianco
Ermal non era mai stato una persona particolarmente fisica, ma stava riscoprendo il piacere di essere stretti al punto che quando non succedeva per giorni di seguito cominciava a sentirne la mancanza
Però stava tenendo botta bene.
Se per bene intendiamo il momento più awkward della storia stile Rossana con la neve che scendeva e loro due che si salutano sulla porta di casa di Ermal a Roma e l'aria fredda che fa arrossare le guance e nessuno dei due che vuole tornare a casa
“Ermal te sei.. insostituibile” “insostituibile?” “Si. Perché non è che solo sei unico, o necessario, o importante, ma proprio che o sei tu o non se ne fa niente” “io… grazie.”
Macco and Vige singing kiss the girl in the background
Ermal vorrebbe dirgli quanto è anche lui insostituibile. Miracoloso. Vero. Tutte le cose belle del mondo e dell'universo.
“sai cos'è la galassia di Hoag?” dice invece, perché le cose semplici ci fanno schifo e no, Ermal, nessuno lo sa. “è un corpo celeste visto da questo tipo, Hoag, assolutamente assurdo, con un anello attorno, un centro luminoso e pulsante e il buio nel mezzo. Nessuno sa cosa ci sia dentro. Ecco, tu sei così - spettacolare, fuori. E hai permesso di far vedere al mondo parte del tuo io interiore, che è luminosissimo. Ma per sapere cosa ci sia tra le due cose uno deve stare con te, deve viverci, deve essere così fortunato che tu glielo permetta. Ma sono convinto ne valga la pena”
e dopo una dichiarazione del genere, chi ha la forza di biasimare Fabrizio se decide di baciarlo e far collassare tutti i sistemi e il cosmo di Ermal, roba che tutte le sue stelle sono diventate cadenti e i desideri se li era fregati tutti quel bucchino di Bizio
Ermal torna a casa quella sera che grazie al cielo erano due scale da salire che se avesse dovuto guidare sarebbe sicuro andato a sbattere
Fabrizio Moro!!!! aveva baciato!!! lui!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
“ma quindi ora state assieme?” chiede una assonnato Marco al telefono. Erano le tre del pomeriggio.
“figurati, chi si mette assieme dopo un bacio. Anzi, probabilmente per lui non ha avuto neanche tutta sta importanza, insomma”
come volevasi dimostrare, Ermal ha torto marcio perché Fabrizio gli scrive quella sera per cenare assieme e “ma guarda che è un appuntamento, capito?” “si si, capito”
si guarda lo strano simbolino sul petto, e pensa che il destino possa allegramente andarsene a importunare altri se proprio ci tiene
Una parte di lui, che suona stramaledettamente come Paolino, lo avverte di non far scoppiare casini prima o durante Sanremo e loro sono iper mega bravi a non far trasparire niente
così niente che al party pre-robe metà della gente aveva capito che gatta ci covava ma hey, è lo showbiz, tutti se la fanno con tutti and all your faves are gay
ma almeno non fanno gli infami e bisogna dare qualche credito a entrambi, nei primi tempi sono quasi professionali
poi, la COSAtm succede: pochi giorni prima di Sanremo, vanno a fare quella specie di intervista a Radio Italia (da cui sono uscite foto di esibizioni ad oggi mai viste grrrrrrr ma che sono così soft che mi sento a disagio a guardarle) e li becca una degli speaker con le solite domande di routine e Fabrizio dice una cosa MARIA MANDA L’RVM
#ATUPERTU
e appena l’intervistatrice sparì, Ermal capì. Capì la strana forma sul suo petto, capì perché con Fabrizio era tutto giusto come doveva essere, capì TUTTO.
BEH tutto, capì quello che doveva capire e fu abbastanza da prendere Fabrizio per infilarsi nel primo bagno disponibile a domandare spiegazioni
spiegazioni che a quanto pare Fabrizio non voleva dare visto che aveva cominciato a levarsi la maglia e ora si vedeva giusto la canotta e oh mucho calor vero Ermal? perché non ti spogli pure tu e maga—AH E’ PER VEDERE LA VOGLIA SCUSA FABBRì QUA SIAMO MENTI DEBOLI
“quindi.. tu lo sapevi?” “l’avevo capito dar primo momento” “dall’inizio?” “dar giorno in cui ce siamo conosciuti, dal momento stesso proprio” “e perché non mi hai detto niente scusa potevamo risparmiare un sacco di tempo”
“è che, cè, io ‘nme ce so voluto buttà subbito perché volevo prima capì se ce stavamo a amà perché sì o pe sta cosa de quattro segnacci su'a pelle, capito?” (cit. @chiamatemefla grazie amò)
E Ermal non gli poteva dar torto eh, cioè di base è pure il suo pensiero
però una cosa è sapere la roba IN POTENZA e magari pensare a come sarebbe andata la sua storia con Fabrizio, un conto è sapere che quella persona meravigliosa era stata messa al mondo solo per te
roba da rimanerci secchi
e ora guardava il simbolino gemello al suo, un trapezio con delle striscette sotto ed era perfettamente consapevole di cosa fosse, e si sentiva un enorme cretino a non aver riconosciuto la versione stilizzata di un diffusore
ma poi il suo sguardo si perse nel resto del petto dell’uomo davanti a se, le braccia, la barba e le labbra dolcissime, i capelli scombinati e gli occhi che lo scrutavano per capire se fosse arrabbiato o meno
e forse avrebbe dovuto, forse non gli sarebbe dovuta andare a genio la cosa tanto facilmente
ma quel bucchino birbante di Fabrizio ormai era tanto così al centro del suo cuore che l’unica cosa che sentiva era il bisogno impellente di stringerlo e ribadire ancora una volta che si erano trovati e amati e perché volevano, non perché qualcuno aveva deciso per loro, e un amore libero è un amore condannato a durare.
a few things:
-ho cercato di renderla più light possibile perché con me le soulmates!au sono sempre un peso micidiale boh roba epocale ed impossibile da racchiudere in un bullet point
-also sono pienamente consapevole di essere meno divertente del solito ma boh, oggi va così
-l’oggetto di Hoag (non galassia, Ermal, lo so che volevi fare il carino ma no.) esiste davvero ed è bellissimo
- nel caso qualcuno non ci fosse arrivato, è esattamente questo il simbolo sul petto di Ermal e Bizio ed è tutta la notte che ridacchio per sta cosa perdonatemi tutti (ovviamente nel mio fantastico mondo immaginario è disegnato meglio ma come la metti e come la volgi rimane un: diffusore)
(capirò se nessuno mi vorrà più promptare nulla e direi che me lo meriterei anche sorry)(ma non ho davvero resistito scusate il destino è stronzo ma io di più)
#metamoro#ermal meta#fabrizio moro#ask anon#soulmate!ask#diffusore!au#i am so sorry#lo giuro una volta ero normale#ora alle tre di notte ridacchio per sta cosa#mi disp
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[2 di 3] La Storia di Rudi
Aveva sedici anni e aveva già un passato di cui doveva liberarsi. Era seduto su di una sedia e non solo era il meno sorridente, sembrava anche il più incazzato. Scrutava. Non si fidava. Si guardava in giro e chiedeva “e mò questo chi cazzo è?”. Da quelle parti, il colore bianco del viso e del corpo è associato al veleno dei serpenti. Vilma mi raccontava che la nonna le diceva sempre di guardarsi dai bianchi che portavano solo distruzione e problemi. Gli anni in cui i loro antenati erano stati trasportati in grosse imbarcazioni transoceaniche e poi venduti in lotti per lavorare nelle miniere e nelle piantagioni di canna da zucchero o di tabacco erano ormai lontani, ma in quelle loro terre li facevano ancora sentire in prestito. Nel Barrio il bianco aveva diverse tonalità. Non era netto come quello della nonna di Vilma. Era associato alla parola “paisa”, che significava sí “bianco”, ma delle zone di Medellin o di quella caffetera, oppure della Polizia. C’erano delle sfumature. Non tutto il bianco era dello stesso bianco. Rudi tutto questo lo sapeva bene e voleva chiarire subito le appartenenze, senza troppi giri di parole e giochetti strani. Non era interessato ai colori o alla geografia. Calcolava utilità e possibili vantaggi o pericoli.
Lo aveva imparato dal padre che di mestiere aveva sempre fatto il barcaiolo fino a quando si trovò a vivere lontano dal mare, senza barca e senza lavoro. Lo chiamavano Panamá, perché una volta era arrivato da solo con un’imbarcazione nel Darièn in mezzo a una tempesta che quando lo videro arrivare credettero che lui non fosse Panamá ma un'incarnazione di Changó, divinità guerriera Yoruba, la cui forza e il cui coraggio erano essenziali per la liberazione da ogni schiavitù. La sua fu l’unica barca che arrivò a destinazione per molti giorni, così la sua fama iniziò a circolare nel Puerto. Raccontano che a Panamá non importava cosa ci fosse sulla sua barca. Quando lo mettevano a bordo, diventava un computer perfettamente sincronizzato con l’oceano. Anzi, c’erano momenti in cui Panamá era l’oceano.
Conobbe la moglie, Mati, proprio dopo uno dei suoi viaggi verso l’ignoto. Un amico gliela presentò una sera in un bar del molo turistico: una bellissima donna, di dieci anni più giovane che per qualche combinazione famigliare era legata ai Niches, i barcaioli dei Rodriguez-Orejuela e poi degli Scissionisti del Norte del Valle. Se ne innamorò subito, tanto che ne fece la sua unica ragione di vita. Per qualche anno furono felici, ma dopo la nascita di Rudi, le cose iniziarono a complicarsi. Il Puerto si era trasformato in un campo privilegiato delle guerre tra clan. Per muoversi in mare bisognava essere sempre più armati, così Panamá smise di lavorare in barca e cercò lavoro dal cugino di Mati, Ronny, che in quel momento, con i suoi, sembrava stesse vincendo la guerra.
Ronny era stato affiliato tramite una gang di Cali al Bloque Calima di cui racconterò meglio. Aveva scontato qualche anno in carcere come parte degli accordi per lasciare le armi. Era uscito prima di altri ed aveva ricominciato a dedicarsi al narcotraffico da Buenaventura. Panamá allestiva le case di alcuni dei suoi clienti. Intagliava ed intrecciava il bambù. Costruiva pianali per cucine, panchine, sedie e quando non riusciva a stare fuori dai guai perché aveva bisogno di qualche soldo in più, si trasformava nel Changó del Grande Oceano e pilotava ancora barche verso l’ignoto. Solo che non era più come prima.
Tra un espediente e l’altro, Rudi aveva trovato un po' di serenità nella casa di José, che lo aveva ospitato in quello strano Barrio ai confini con la Selva dove tutto sembrava lontano e pareva che ci si potesse riposare e pensare ad altro. Forse nel suo sguardo, in quella calda giornata di ottobre, c’era tutto questo. O forse non gliene fregava niente di vedermi. In ogni caso la sua domanda “e mò questo chi cazzo è?” catturò da subito i miei favori. Mi era piaciuto fin dall'inizio. Non temeva le verità della sua terra.
Passammo quella serata a bere Viche (acquavite estratto dalla canna da zucchero) nella cantina di Maria, salsa in sotto fondo, balli e risate miste alle stesse ondate improvvise di disperazione e malinconia di sempre, quelle che arrivano quando l’alcol fa saltare fuori storie di cui si parla solo in certi momenti, con gli amici di una vita. Rudi parlò dei tempi in cui aveva lavorato con il cugino della madre a Cali, di come aveva visto cose indicibili e di come voleva con tutta la sua forza trovare una via di fuga. Finii a trascorrere molto tempo assieme a lui. I nostri incontri si perdevano dentro dialoghi improbabili animati dalla marijuana e dai suoi racconti sul mondo che viveva. Lunghe ore passavano mentre inscenava scontri a fuoco tra bande rivali o descriveva le donne mozzafiato che un giorno avrebbe voluto possedere. Giorni interi scorrevano tra racconti improvvisati, lavori nella “Riserva” e nell'attesa di qualcosa che non arrivava mai.
Quando non era con me o alle prese con la “Riserva”, insieme agli altri ragazzi se la passava nell'esquina (angolo) della strada che collegava il Barrio alla via principale, l'Avenida Bolivar, che spaccava Buenaventura da est a ovest in due parti quasi simmetriche, il lato Nord e il lato Sud. Pareva che fossero tutti iscritti ad una qualche immaginaria lista di collocamento di un Capo che, prima o poi, sarebbe apparso per una commissione o per un lavoretto di qualche giorno. Il tempo passava raccattando spiccioli alla buona: a volte proponendo servigi alle vecchie del Barrio o avventurandosi in perquisizioni improvvisate di passanti o di giovani malcapitati, altre volte semplicemente chiedendo “una cosa di soldi” (dame algo pues) a qualcuno. I pochi quattrini messi in saccoccia venivano prontamente spesi per acquistare un grammo o due di marijuana che serviva per mantenere vive le conversazioni ed alto il morale. Improvvisavano ritmi rap e danze per catturare l'attenzione delle giovani che sondavano ammiccanti l'ambiente della esquina e lasciavano immaginare giochi amorosi da consumarsi nella “Riserva”.
L'adrenalina era vissuta a distanza, attraverso i racconti di gente come l’Altro Josè, che nella sua vita aveva attraversato tutto lo spettro belligerante di Buenaventura ed era sopravvissuto. Si era fatto le ossa insieme agli amici di una vita rubando cibo dai camion che rifocillavano i ristoranti “Michelin” del Puerto. Aveva poi avuto l’idea di “mettere ordine” in città prima opponendosi e poi tassando il passaggio di mercanzia di contrabbando dalle acque del suo Barrio che era lo stesso di Panamà. Per questo pare lo avessero fatto capitano Guerrigliero e che Panamà fosse uno dei suoi e, come lui, quando la guerra si intensificò anche l’Altro Josè finì nelle mani dei clan. Nei tempi in cui lo conobbi era uno dei junky del quartiere, sempre senza soldi ma pieno di racconti. Era soprattutto lui che parlava di quello che accadeva in città, delle faide, dei trasporti andati male, delle rese di conti. Proprio per via della sua storia personale, un pò tutti lo ascoltavano. Spesso era difficile credergli ma le sue parole costruivano, comunque, immagini di un mondo in guerra che stava là fuori eppure per niente lontano. Alimentava così un senso di protezione che il Barrio invece offriva.
– Qui nessuno ci tocca. Quelli di fuori hanno paura di mettersi con noi. Lo sanno benissimo che se vengono da queste parti noi siamo in tanti e facciamo suonare i ferri.
Frasi così, in una lingua imparata sulla calle, sancivano in maniera chiara un senso di dentro-fuori su cui si articolavano le giornate. Rimanere nella esquina era un modo per affacciarsi alla città e insieme definire un confine tra tutti i mondi di Buenaventura. Costruiva un senso precario di ''noi'' che poteva durare un giorno o il tempo di rimanere nella esquina fino a quando qualche evento della città non costringeva vecchi amici a farsi nemici e a scegliere nuove alleanze e altre esquinas. Per il resto, era baldoria continua.
Poi accadde che una notte Rudi tentò di ammazzare Panamá. Fu più o meno un anno dopo il nostro primo incontro. Panamá e Mati da un pò di tempo non riuscivano più a passare insieme una normale nottata alcolica senza arrivare alle mani e a pianti strazianti. Panamá non aveva lavoro in quel periodo e Mati si era fatta assumere come donna delle pulizie nella casa di un riccone della città. In poco tempo iniziarono a circolare voci sui suoi tradimenti che non tardarono ad arrivare alle orecchie di Panamá. Da sobrio le credeva e la appoggiava anche perchè era lei che portava i soldi a casa. Da ubriaco invece qualcosa cambiava e iniziavano i diverbi e poi la violenza. L’altro José aveva addirittura sviluppato teorie Zen su come insegnare a Rudi ad affrontare la situazione evitando di diventare un assasino. Un pomeriggio, dopo l'ultima grande tragedia familiare, più o meno gli disse queste parole:
– Rudi, se tuo padre picchia tua madre, tu allora devi aiutarlo a picchiarla. In questo modo tu sei sicuro che tuo padre non la ammazzerà e forse c'è anche qualche possibilità che Panamá si risvegli. Comunque, se non si risveglia, tu la mattina dopo prendi tua madre e la porti in un posto sicuro. La vai a nascondere. Ti porti tua sorella e ve ne andate da qui. Poi torni da tuo padre e gli dici semplicemente che non lo rispetti più perché ti ha insegnato a picchiare tua madre.
Ci lasciava sempre basiti, l’altro José, quando tirava fuori queste perle di etica dell'altro mondo. Bisognava essere di ferro per seguire i suoi consigli, aver superato i normali limiti del cinismo da Barrio per sfondare da dentro la consapevolezza di essere immischiati in una sorta di lento e inesorabile nichilismo quotidiano. E la lunga storia dell’altro José forse un giorno qualcuno potrà raccontarla.
Per il momento, il tentato omicidio di Panamá rappresentò uno di quegli eventi che sancirono una sorta di prima e dopo nelle dinamiche del Barrio. All'improvviso, si misero in moto tutte le reti di significazione e tutti gli apparati narrativi disponibili iniziarono a produrre rumore su di una scampata tragedia familiare che aveva acceso in ognuno degli abitanti una sorta di necessità di riflessione. Rudi aveva svelato un qualche segreto nascosto condiviso però da molti. Panamá e Mati non erano due persone qualsiasi, erano a tutti gli effetti figli di Buenaventura, prodotti degli ultimi venti anni di guerre per il Puerto. Le loro discendenze non si radicavano in nessun mito fondativo della città, ma il loro legame che si spegneva giorno dopo giorno sotto i colpi di una quotidianità impietosa, sanciva una sorta di impossibilità di ricostruzione: lei figlia di Narcos, lui un ex guerrigliero. Panamá, il perdente della storia, Mati, vincitrice sfigurata e senza alcuna parte nella vittoria degli altri, e Rudi, il frutto dell'impossibilità di ogni tentata rivoluzione, producevano ogni giorno uno scontro senza soluzione.
Ci vollero quattro persone per fermarlo quella notte. Sembrava posseduto da uno spirito bestiale che gli aveva conferito una forza sovrannaturale, come se pulsioni castrate da secoli di catene fossero riemerse improvvise e volessero fuoriuscire tutte attraverso un unico e blasfemo gesto che avrebbe ristabilito l'ordine del cosmo. Rudi, con i suoi fantasmi, si trasformò in un Anti-Amleto che senza corona, né regno, formulò un verdetto definitivo. Forse in quegli occhi ormai ciechi, privi di ogni ripensamento e indecisione, si nascondeva la credenza che il sangue versato avrebbepotuto risolvere magicamente tutti i conti sospesi della città. Imbracciò allora il machete di suo padre, pronto, senza esitazioni, per sferrare il colpo mortale, ma quelli del combo intervennero e salvarono Panamá. La rabbia di Rudi fu fermata, però quel tentato parricidio produsse un disgusto profondo che materializzò la guerra al di là di ogni negazione o fuga. Rudi aveva mostrato senza schermi e illusioni un dramma esistenziale che toccava molti. Svelò con un semplice gesto la natura della guerra civile che si stava combattendo. Forse anche per questo atto di verità, la sua vita fu costretta verso nuovi cammini. Lui e la sua famiglia divennero ospiti sgraditi, sempre più emarginati. Dopo pochi mesi si rifugiarono altrove, nella zona di Bajamar, da dove dovettero scappare qualche anno prima e dove tre anni più tardi Rudi avrebbe trovato la morte. Già nel 2011 però i clan avevano iniziato ad osservarlo con un occhio di riguardo, probabilmente interessati alla sua rabbia, al suo passato e a quel tentato omicidio di un ex guerrigliero. Iniziarono un'altra volta brevi viaggi, piccole commissioni e i primi debiti da ripagare. Mi svegliava di soprassalto nella notte in preda al panico, bussando nervosamente alla porta metallica del vecchio magazzino in cui avevo messo un letto per dormire con la disperata richiesta di qualche soldo.
– Fumiamocene una. Ti devo raccontare questa storia. È pura follia là fuori. Qui sono tutti matti. Non si salva più niente. L'unica soluzione è comprarsi un bazuca e sterminare tutti.
Mi parlava dei grandi capi, di quelli che laggiù al Puerto gestivano affari multimilionari ma che volevano fregarlo per pochi dollari.
– Dammi dieci dollari, hermano, quando sarò diventato qualcuno ti restituisco tutto con gli interessi. Ti riempirò d'oro, hermano. Mi bastano dieci dollari per pagare quello stronzo. Sennò ha minacciato di violentare mia sorella. Capisci? Mia sorella ha 13 anni.
Di riprendere a dormire non se ne parlava. Si rullava uno spinello e si iniziavano grandi discorsi su Buenaventura, sul Puerto, sui Capi che come fantasmi onniscienti gestivano tutto, controllavano tutto e organizzavano le vite di quelli come Rudi che poco alla volta, un giorno, forse avrebbero potuto mettere le mani anche loro su una piazza, raccogliere qualche soldo e sfamare le loro famiglie. E fu proprio in quelle notti trascorse a sedare la follia che saltò fuori il nome, il presunto Capo dei Capi.
– Non dire niente a nessuno che sennò ammazzano me e tutta la mia famiglia mentre tu ci guardi con un palo di bambù che ti cresce dentro il culo.
– Rudi, non mi interessa, non dirmi niente.
– Segnati questo nome: Willy. È di Willy che ti devo parlare.
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Ieri. Un pomeriggio passato nei ricordi, nel vedere quanto il tempo sia passato troppo, davvero troppo velocemente. Un addio, un arrivederci, non so bene cosa sia stato, me ne renderò conto, ce ne renderemo conto tutti quanti nei prossimi giorni, a mente fresca e liberi dalle emozioni che ancora comandano sulla ragione. La bilancia dell'equilibrio tende ancora troppo verso il sentimento, Elinor è stata chiusa in cantina e Marianne emula l'omonima francese liberandosi di inutili orpelli e, mettendosi comoda, in pieno Comfort, decanta le sue gioie. Ah, e c'è stata anche l'ultima partita di Totti. Vedevo Irene stranamente attiva su Whattsup, lei che prende il telefonino solo per qualche gioco, mi chiedeva come usare l'ultimo aggiornamento e per quale diamine di motivo suggerisse sempre parolacce già alla seconda pressione dei tasti. "Era il mio, tesoro." "Ora mi spiego tante cose" - indica una parola - "questa, cosa dovrebbe significare?" "Così da sola, poco, fa parte di un discorso più ampio, legato a un moto a luogo, verbi all'infinito e termini medici riconducibili ad anatomie fantasiose." Alza un sopracciglio pervasa da vulcanica perplessità. "Ok, meglio non sapere" Sapevo di una festa di compleanno organizzata per ieri ma non aveva saputo dirmi nessun tipo di dettaglio relativo a orario e luogo, mi aveva chiesto tempo e fiducia a riguardo. Merita ampiamente entrambe, quindi aspetto. Finalmente, ieri mi comunica l'indirizzo dove accompagnarla. "Scusa se non ti ho detto nulla ma abbiamo avuto conferma della disponibilità della sala solo ieri." "A Versailles non sono più precisi come una volta, capisco" "Non mi toccare la corte di Francia" - le ultime quattro parole non le pronuncia. Le canta. In maniera quasi automatica e inconsapevole. Avrei potuto fargliela passare. Avrei potuto. Ma, almeno in questo momento, non ho voluto. Sfodero il mio miglior sorriso alla Norman. Sgrana gli occhi. "...c'è nel regno una bimba in più..." "Ti odio" "...biondi capelli e rosa di guancia... dai che non puoi resistere, è peggio di i will survive a un Pride, su..." Gonfia il petto. E canta. L'inevitabile lacrima ne sancisce la fine. "Ti odio. Non dovevi farmelo vedere" "Ti sarebbero mancate le basi. Dove vuoi che ti porti, mia Lady?" "All'oratorio, è il compleanno di Milena e lei non poteva festeggiare, così le abbiamo organizzato tutto noi" "Scusa?" Si guarda le scarpe, imbarazzata e quasi colpevole. "Non volevo tenertelo nascosto, è che fino all'ultimo momento non eravamo sicuri..." "Ma di cosa? Di un compleanno?" "Papo, è di Milena. Sappiamo benissimo quanto nessuno dei genitori sopporti la mamma, a volte anche a ragione, ma non era giusto ci rimettesse Milena. Lei ci aveva detto che non avrebbe fatto la festa proprio per non mettere in imbarazzo la mamma e non creare altre tensioni. Ognuno della classe ha fatto comprare delle cose ai propri genitori senza ve ne accorgeste e..." E rivedo le due buste di patatine nel carrello, la cassa di Fanta "in offerta" quando non avevo letto la cosa da nessuna parte, salatini laddove so che li odia ma "Chiara li adora e non li ha mai perchè a me non piacciono, prendiamoglieli, dai", rivedo tutte queste cose e capisco il suo guardarsi le scarpe. "... ma io nemmeno la conosco la mamma. Potevi tranquillamente dirmelo, sai che non ci sarebbe stato nessun problema" "Lo so. Ma non potevo rischiare, lo avevo anche detto agli altri e fatto presente che tu e mamma ci avreste aiutato, ma la paura che anche altri potessero fare lo stesso e la cosa arrivasse alle orecchie di tutti, mandando tutto a monte, era troppa" - adesso mi guarda e prego tutti i santi visibili e invisibili di avere la forza e l'astuzia di sapere sempre cosa le passa per la testa o questa piccola tredicenne mi rigirerà sempre come un pedalino - "quello che so per certo è che voi avreste capito e non vi arrabbierete, vi conosco e voi conoscete bene me" Ci sono stati altri tre momenti in cui il cuore ha rischiato di esplodermi in petto per merito di Irene, ieri è stato il quarto. "Quindi avete organizzato tutto voi" "Tutto!" - e qui parla il giusto orgoglio - "fino all'ultimo l'oratorio era occupato ma, per fortuna, Don ha saputo per cosa era e ha detto agli sposi che lo volevano per tutto il giorno di farsi da parte. Milena è già lì, ha detto alla mamma che ci saremmo viste solo in tre. In fondo, se casualmente si presentano altri amici, e altrettanto casualmente hanno anche cibo e regali, non è certo un problema, vero?" "Direi davvero di no" "Andiamo?" Aveva anche impacchettato il regalo e disegnato il biglietto. Arrivati a destinazione c'è stato imbarazzo tra i genitori, alcuni erano scuri in volto ma molto meno di quanti mi sarei aspettato. Solo due assenti. L'aria era troppo serena perché fosse solo una tregua olimpica, la mamma di Milena non faceva che piangere, quindi non so dire della sua insopportabilità. "Salve, io sono..." "Bwaaaaaaaahhh non dovevate..." "No, io non ho fatto nulla, io sono...." "Bwaaaaaahhhh bwaaahhhhhh cazzo me cola tutto er trucco... che bello però, guarda che bello..." "Sì, è davvero bellissimo... volevo presentarmi, io..." "BWAAAAAAAAAHHHHHH Mortacci mia e de mi nonno me sta a pià no sturbo daa felicità, grazie! Grazie!" "Io non ho fatto nu..." "BWWWWAAAAAAAAAAAAAAAHHH" Mi si avvicina Aldo, un papà amico. "Dille Prego o non se ne esce più, a me ha tenuto mezz'ora" I primi discorsi erano su come siamo stati ingannati. I secondi su quanto fossimo orgogliosi di esserlo stati. I terzi, su quanto ce ne fregasse davvero poco, vedendo Milena e gli altri felici. È stata una bella festa. Anche quella di Totti, mi hanno detto. Fidatevi, non c'era confronto.
Via Servitevi da soli
questo nuove generazioni ci stanno bagnando il naso...
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“Tessa, Tessa, Tessa.” ❖ Partecipanti: Theresa Gray & William Herondale. ❖ Tipologia role: Role libera. ❖ Piccola trama: Tessa e Will si scontrano casualmente in corridoio, mentre la ragazza sembra lamentarsi dell’allenamento che le ha provocato dei dolori un po’ dovunque. In un primo momento, Will – innamorato di lei – sembra convincerla ad aiutarla, ma poi cambiano idea non appena Tessa parla della biblioteca.
“Tessa, Tessa, Tessa.
Questa è solo una delle mie tante—“
Will strappò in mille pezzi quel dannato foglio di carta, lasciandolo cadere a terra senza preoccuparsene troppo. Aveva il cuore che gli stava per scoppiare. Continuava a pensare al bacio che si erano scambiati, alle sue mani sul proprio corpo, al suo profumo, al suo calore, al suo sapore… Non c’era giorno in cui non ci pensasse. E ancor peggio, non c’era giorno in cui non pensava a come l’aveva respinta. Più continuava a ripetersi che l’aveva fatto per il bene di Tessa, più si rendeva conto di quanto male ci fosse rimasta. La evitava un po’ per i corridoi, o più semplicemente la stuzzicava com’era abituato a fare. Se da un lato voleva che lei capisse quanto Will l’amasse, dall’altro aveva paura. Non poteva morire, non /lei/. Theresa Gray si era impossessato del suo cuore ancor prima che l’Herondale se ne accorgesse. Non sapeva come fosse stato possibile, ma dal primo momento in cui l’aveva vista, tutto era cambiato.
Ora sapeva che cosa voleva dire amare così profondamente, come nei romanzi che leggeva. Ora sapeva che cosa voleva dire avere un’anima gemella. Ma, soprattutto, sapeva che cosa voleva dire soffrire per amore. Lui non poteva averla… E poi aveva notato come Tessa guardava Jem. Li osservava sempre, lui. Si scambiavano occhiate, sorrisi, battute… Cose che lui non poteva fare o qualcuno sarebbe morto. Dentro di sé, egoisticamente, sperava che lei lo amasse, ma allo stesso tempo… era conscio del fatto che Jem fosse più qualificato per stare con lei. Anche se stava morendo…
Lui era dolce, era romantico e non aveva una maledizione addosso. Niente poteva fermarlo nell’amarla come Will l’amava. L’amore che provava per lei era così grande, anche se Tessa era entrata nella sua vita da così poco tempo. Non sapeva spiegarlo. Era l’amore da romanzi, quell’amore che lui tanto leggeva, l’amore che tanto amava. Ed il fatto che non potesse esprimerlo, lo distruggeva così tanto che era costretto a chiudersi nella propria stanza e scrivere lettere per lei. Lettere che lei non avrebbe mai letto, perché a quel punto avrebbe scoperto ogni cosa. Servivano per sfogarsi, per sentirsi meglio, per esprimere quello che sentiva, anche se nessuno lo avrebbe mai saputo.
Poi c’erano lettere per i suoi genitori, anche quelle nessuno le avrebbe mai lette, ma il pensiero di scriverle, di farlo, di tenerle nascoste e sapere che, in qualche modo, ciò che provava era lì, tutto scritto… lo faceva sentire giusto un po’ meglio. Non troppo, ma un po’.
Buttò a terra gli altri fogli e si portò le mani fra i capelli, stringendoli quasi disperato. Non sapeva cosa fare, cosa pensare—aveva bisogno che quella maledizione scomparisse all’istante ed aveva bisogno di dire tutto a Tessa, di baciarla ancora, di lasciarsi andare… di dirle quanto l’amasse. Sospirò, si alzò, quasi ci fosse uno spillo sulla sedia e si avvicinò alla porta. Forse un allenamento l’avrebbe aiutato, forse lo avrebbe fatto stare meglio. Non poteva chiedere a Jem: aveva avuto una crisi da poco e al momento stava riposando. Will si tirò su le maniche della camicia, ed uscì dalla propria stanza, diretto verso la sala degli allenamenti.
Bastò giusto qualche passo ed incontrò il corpo di Tessa dietro l’angolo. Le andò completamente addosso, convinto che non ci fosse nessuno dopo l’angolo. L’Herondale rimase fermo, immobile e, soprattutto, in silenzio. Vide che si massaggiava un polso e così partì all’attacco. «Immagino che l’allenamento con Gabriel ti abbia dato del filo da torcere. Ma non hai imparato nulla: non è bravo come me!» Poteva puntare solo su quello, sull’essere un bravo cacciatore. Cos’altro poteva fare? «Come se quel tipo potesse insegnare a cacciare…» aggiunse, gli occhi socchiusi e quasi di sfida.
*Charlotte ci aveva comunicato sia a me che a Sophie che, benchè non fossimo dei Cacciatori, dovevamo allenarci per fronteggiare eventuali minacce future, visto che le circostanze attuali non erano delle più rosee. In principio, anche Jessamine doveva allenarsi con noi, ma in un modo o nell'altro riusciva sempre ad scamparsela. Ed anche oggi ci eravamo allenate, i miei muscoli indolenziti ne erano la prova. Ogni singola fibra muscolare del mio corpo gridava aiuto e riposo, eppure l'indomani ci sarebbe stato un nuovo allenamento. Non sapevo per quanto questa sottospecie di tortura sarebbe durata, e questo mi angosciava internamente. Durante la cena svoltasi dopo l'allenamento, Jem aveva proposta di prestarmi una pomata per i muscoli doloranti prodotta dagli stessi Fratelli Silenti, e avrei accettato di buon grado se non fosse stato per il fatto che entrare di notte nella stanza di un uomo sarebbe stato davvero troppo disdicevole per una signorina come me. Quindi, avevo reclinato l'offerta usando una scusa, ma ero più che certa che Jem lo avesse capito. Dopo avermi fatto la proposta, infatti, sia io che lui eravamo divenuti paonazzi in volto, consci della situazione. Ed erano proprio i dolori muscolari a impedirmi di prendere sonno, costringendomi a rigirare e rigirare nel letto senza trovare pace. Così decisi di alzarmi, mettendomi dapprima seduta sul letto e poi cercando di alzarmi da esso senza stressare troppo i muscoli. Dire che mi sentivo indolenzita dappertutto, non rendeva minimamente l'idea. Mi avvicinai al mobilio, che stava accanto allo specchio, per prendere una vestaglietta da indossare sopra la camicia da notte. Passai qualche minuto davanti lo specchio per esaminare le occhiaie scure che contrastavano con la mia pelle chiara e mi sistemai i capelli per rendermi più presentabile, anche se ero certa che a quest'ora della notte non avrei incontrato anima viva. Conoscevo solo un rimedio per rilassarmi: leggere. Nella biblioteca dell'Istituto di Londra ve ne erano abbastanza di libri, ero dunque certa di trovarne uno che mi aiutasse a riposare. In punta dei piedi, cercando di far scricchiolare le asse di legno del pavimento il meno possibile, mi diressi in biblioteca. I corridoi erano così silenziosi che un poco mi inquietavo, sebbene erano diversi mesi che mi trovavo nell'edificio e a poco a poco avevo imparato a conoscerli e apprezzarli. Camminavo verso la mia destinazione, massaggiandomi a tratti il collo o i polsi, gli unici punti in cui riuscivo ad arrivare; e proprio mentre cercavo di sciogliere i muscoli dell'avambraccio, mi ritrovai a scontrarmi contro qualcosa. Anzi, qualcuno. Davanti ai miei occhi si manifestò Gwilym.* Giuro sul vostro Angelo che se questo dolore risulterà vano, userò i miei poteri per trasformarmi in Gabriel e girare in gonnella per tutto l'Istituto.. *Risposi usando un tono sarcastico, per poi sollevare un angolo della bocca ed abbozzare un lieve sorriso. I rapporti con il giovane cacciatore erano particolari: c'erano le volte in cui sembrava fossi amici, altri che mi respingeva come fossi un'estranea; ci eravamo anche baciati, due volte, ed in entrambe le occasioni il giovane era passato da un'impeto passionale a un'atteggiamento distaccato in un battito di ciglia. Ero più che convinta che questo atteggiamento lunatico fosse una maschera o un muro per proteggersi da qualcosa, ma avevo pochi elementi e lo conoscevo da poco tempo per poterlo affermare con certezza. Una ciocca di capelli, ribelle, si era palesata difronte ai miei occhi, così istintivamente la sistemai dietro all'orecchio.* Ad ogni modo, anche tu non riesci a prendere sonno? *Chiesi, osservando che anche il ragazzo aveva lo sguardo stanco, lo stesso di chi vorrebbe dormire ma non vi riesce.*
« Giuro sul vostro Angelo che se questo dolore risulterà vano, userò i miei poteri per trasformarmi in Gabriel e girare in gonnella per tutto l'Istituto…» Un grosso sorriso si dipinse sulle labbra di Will. Un sorriso malizioso che non poteva avere niente di buono, no, ma questo, Tessa, doveva averlo capito benissimo da quando aveva fatto amicizia con Will. Che poi non si poteva dire che avessero davvero fatto amicizia, considerato che si erano baciati già due volte… La prima volta era stato lui ad allontanarla e la seconda era stato Magnus a trovarli su un bancone. Entrambi avevano dato colpa ai drink che avevano bevuto, o forse a qualcos’altro – Will non era sicuro di ricordare – ma il Nephilim sapeva, dal canto suo, che non era dettato solo da quello. Lui la desiderava Tessa, ma la maledizione non gli permetteva di fare molto. Non gli permetteva di farsi avanti, di dirle quanto in realtà l’amasse, quante lettere le stava scrivendo… E quanto avrebbe voluto baciarla e baciarla ancora, stringerla a sé e farla propria. Erano pensieri che non avrebbe dovuto avere nei riguardi di una donzella, ma Will immaginava. La sua testa vagava—sapeva essere un nobile cavaliere, ma chiunque sapeva che anche i nobili cavalieri avevano i loro bisogni.
Deglutì e lasciò da parte quei pensieri. «Dovresti farlo» suggerì divertito, guardandola direttamente negli occhi. «Non ne sarebbe felice. Ma renderebbe felice me!» aggiunse, passandosi una mano fra i ricci, leggermente nervoso. Erano da soli, per il corridoio, che parlavano di Gabriel in gonnella. Avrebbe davvero fatto ridere tanto Will e forse si sarebbe distratto, ma Tessa non lo avrebbe mai fatto. Lei era gentile—ed anche se si trattava di uno scherzo, l’avrebbe constatato come uno scherzo di brutto gusto. Will sospirò: anche se non stavano insieme e non parlavano mai davvero, aveva imparato a conoscerla dai suoi gesti e da quello che si erano detti nei vari incontri.
“Oh, Tessa, perché non posso dirti quanto ti amo? E tu, tu ami?” chiese dentro di sé. Fu così intenso che per un attimo ebbe paura che la ragazza si accorgesse di quello che aveva appena pensato. Ma non era possibile. Lei era brava con il suo potere, ma non era ancora in grado di leggere nella mente di qualcun altro, non se non era trasformata nella persona in questione. “Vorrei amarti senza ostacoli… Mia Tessa…”
«Ad ogni modo, anche tu non riesci a prendere sonno?» Quando avevano cominciato a darsi del tu, Will ne era rimasto felice e soprattutto sorpreso allo stesso tempo. Ormai, però, non voleva tornare al voi. Gli avrebbe letteralmente spezzato il cuore. «Cosa preme sul tuo cuore, Tessa, da non farti dormire?» chiese divertito. Quella dannata maschera che doveva indossare lo faceva uscire letteralmente fuori di testa, ma non poteva fare altrimenti. «Sarà davvero solo il dolore dell’allenamento? Ah, se ti allenassi con me, saresti distrutta da capo a piedi. Quello che ti fa fare lui non è niente in confronto.» L’unica cosa che poteva fare era vantarsi del suo essere cacciatore. Non avrebbe mai smesso: era bravissimo a farlo.
«Potresti prendere in considerazione l’idea di allenarti con me, così forse vedresti davvero cosa significa combattere là fuori» disse serio e con tono sicuro, acido quasi, senza però volerlo fare davvero. Doveva, continuava a ripetersi. Doveva per forza. «Io stavo solo facendo un giro.» Ma in realtà poteva tentare… «In realtà stavo andando nella sala degli allenamenti. Anche i migliori, a volte, ne hanno bisogno!»
*Ero perfettamente consapevole che l'immagine che avevo dato di Gabriel in gonnella aveva divertito Will, solleticando le sue più bizzarre fantasie sul giovane Lightwood. Benchè in diverse occasione, tante oserei aggiungere, il Cacciatore era stato arrogante, scortese e privo di qualsiasi forma di delicatezza nelle parole, non avrei mai potuto trasformarmi in lui e deriderlo, essendo comunque una cosa disdicevole e di cattivo gusto. Dovevo però ammettere che mi piaceva vedere Will sorridere; il sorriso lo rendeva ancora più bello di quello che già non era. 'Tessa, ma che dici!', mi rimproverai mentalmente, cercando di togliermi dalla mente quel pensiero. «Cosa preme sul tuo cuore, Tessa, da non farti dormire? Sarà davvero solo il dolore dell’allenamento?» A quelle parole, canzoniere, alzai un sopracciglio, non riuscendo a capire se mi stesse prendendo in giro o in qualche strano modo si stava realmente interessando a me, chiedendomi perchè non riuscissi a dormire.* I miei muscoli gridano vendetta e sono le loro grida a tenermi sveglia. *I dolori dell'allenamento erano tali, infatti, che impedivano ai miei occhi di chiudersi e alla mia mente di raggiungere Morfeo. Non che non dormire fosse per me una cosa insolita, ma in questi ultimi tempi ero davvero /troppo/ esausta che l'unico modo di riprendermi era riposare il più a lungo possibile. Non riuscivo ad immaginare quanto effettivamente i Cacciatori di allenavano, avendo letto sul Codice che fin da piccoli venivano addestrati al combattimento.* Potrei prenderlo in considerazione ma non so .... Dopotutto Gabriel è stato davvero molto paziente con me, e anche gentile, per quanto strano può sembrare dirlo ... Non credo che tu avresti la stessa pazienza... *Insinuai un dubbio nelle capacità di Will, cercando di fargli ridimensionare quel suo ego spropositato. Sapevo che 'elogiare' Gabriel lo avrebbe irritato però le mie parole erano sincere: era stato davvero molto paziente nell'indicarmi le giuste posizioni; anche se durante il lancio del coltello mi aveva toccato in un modo a mio avviso 'disdicevole' e mi ero un po' messa sulle difensive, ma era durato poco visto che le sue intenzioni non avevano secondi fini. Anche se nessuno mi toglieva dalla mente che Gabriel aveva scelto di seguire me e non Sophie per fare un 'dispetto' a Will, come se a quest'ultimo interessasse davvero di me... *
«Addirittura le grida dei muscoli? Deve averti fatto affaticare per bene…» Un moto di gelosia e di rabbia si fece strada nel cuore di Will, ma rimase impassibile, come se non ci fosse nessun tipo di problema. Ormai era diventato bravo in questo. Non c’era niente che lo facesse sussultare abbastanza da esprimere sorpresa, o gelosia, o rabbia, o qualsiasi altra cosa. Era un attore da ben cinque anni: sapeva gestire le emozioni meglio di chiunque altro, anche se, purtroppo, non sempre. C’erano volte in cui aveva paura che Tessa sapesse leggergli dentro, o nella mente, o attraverso lo sguardo. Doveva imparare a mantenere lo sguardo lontano da lei o allenarsi a non far passare niente attraverso questo questi. Non voleva che Tessa scoprisse qualcosa, né tanto meno della sua maledizione. Sarebbe successa una catastrofe… Le parole successive di Tessa, lo fecero arrabbiare ancora di più. La sua mascella si indurì, mentre la vena nel collo si fece più evidente. «Sono paziente ed anche un cacciatore ed un allenatore migliore di Gabriel» disse tutto d’un fiato, stringendo i pugni davanti a sé. Fu impossibile nascondere l’irritazione, questa volta. Fu impossibile davvero. «Dovremmo provare, così, forse, riuscirai a capire che avevo ragione e tu torto. Io ho sempre ragione, Tessa Gray. Ormai dovresti averlo capito.» No, non aveva sempre ragione, ma quella era una messinscena, ancora per colpa della maledizione. Non poteva essere dolce, o gentile o qualsiasi altra cosa il suo animo gli dicesse, perché una vocina dentro di lui continuava ad urlargli che se solo lo fosse stato, lei sarebbe morta. E Will Herondale voleva tutt’altro che la sua morte. Voleva amarla, voleva che fosse sua… e sperava solo che lei, in qualche modo, lo avesse capito dai baci che si erano scambiati. Era stato scorbutico uno, e l’altro—beh, a quanto pare era stato per colpa di quei drink. Ma dentro di sé, una piccola parte di sé, sperava che Tessa avesse capito… «Dunque, affare fatto? O pensi che i miei allenamenti ti farebbero urlare ancor di più i muscoli? Non temerai mica questo, Tessa... Non dopo ciò che abbiamo passato fino ad ora!»
*Era difficile trattenermi dal ridere per quella sua reazione. Sapevo di aver fatto centro nel suo orgoglio così spropositato, ovviamente senza alcuna cattiveria. Non sapevo come definire bene il rapporto che c'era tra di noi due, perchè era così scostante e turbolento ma anche intenso, che nessun aggettivo rendeva perfettamente l'idea. Sebbene la risata fossi riuscita a trattenerla, un angolo della bocca si alzò verso l'alto, abbozzando un mezzo sorriso.* Hai ragione proprio come quella volta che dicesti che l'Inferno è caldo... *Commentai ironicamente, per sottolineare quanto lui NON avesse sempre ragione. Quando poi il ragazzo si entusiasmava per qualcosa, era praticamente quasi impossibile fermarlo. Forse, l'unico a cui dava retta era Jem, ma anche quest'ultimo nonostante fossero parabatai riusciva a stento a frenare la sua indole movimentata. Sbattei le palpebre quando mi chiese 'Affare fatto?', cercando di capire se volesse dimostrarmelo ora.* M--- ma adesso?! *Chiesi facendo trasparire l'incertezza e la meraviglia del momento nel mio tono di voce. Sicuramente stavo fraintendendo ... Non poteva fare sul serio, 'allenarsi' a questa ora della notte, con il rischio di svegliare qualcuno dei residenti dell'Istituto con rumori 'molesti'. Per non parlare del fatto che non ero vestita a dovere, essendo .... oddio stavo in vestaglia da notte! Me ne ero completamente dimentica. Prima ancora che Will potesse proferire parola, avvampai sulle guance, che divennero più rosa del normale, per la disdicevole situazione in cui mi trovavo. Speravo vivamente che nessuno ci incontrasse, non volevo che si pensasse male della mia persona e della mia educazione.... Mi succedeva sempre così, quando Will mi stava accanto, nonostante tutto, perdevo il senso della realtà. Il senso di ogni cosa. Quei suo occhi, e labbra ... quel suo viso, aveva davvero uno strano effetto su di me, mente e cuore compresi.*
«E ti ricordi cosa ti dissi?» domandò divertito, prima di schiarirsi la voce e socchiudere gli occhi, quasi stesse recitando. L’unico problema è che stava recitando il se stesso di settimane prima. «Quanto alla temperatura dell'Inferno, signorina Gray, lasciate che vi dia un consiglio: il bel giovanotto che sta cercando di salvarvi da un destino spaventoso non sbaglia mai. Nemmeno se dice che il cielo è viola e fatto di porcospini.» Scoppiò a ridere, lasciando da parte il vocione che aveva usato per immedesimarsi. «Non sono sicuro fossero le stesse parole, ma qualcosa del genere. Quindi, beh… Non sbaglio mai. Chi lo dice che il cielo non sia viola e fatto di porcospini?» domandò con un sopracciglio alzato, come se stesse dicendo una cosa del tutto ovvia. Will era fatto così, per la maggior parte del tempo: malizia e stuzzicamenti. Non poteva fare altro—e a volte era divertente, se significava non ferire qualcuno. Inesorabilmente, però, doveva succedere. Non poteva prendersi troppe confidenze, perché significava farsi amare e farsi amare significava uccidere qualcuno. Non poteva accadere una cosa del genere… Non lo avrebbe mai permesso. Non a Tessa. Quando la ragazza parlò in quel modo, Will sorrise divertito. «Non pensavo ad ora, ma mi hai fatto venire una splendida idea. Perché no? D’altronde non stiamo facendo niente di male. Ci stiamo solo allenando…» mormorò lascivo, notando le guance della ragazza completamente rosse. Quanto avrebbe voluto avvicinarsi ed accarezzarle. Quanto avrebbe voluto stringerla, dirle di avvicinarsi alla propria stanza e leggere qualche libro insieme. L’unica cosa che lo fermava era l’amore che provava per lei. Poteva essere contradditorio, ma se non avesse avuto quella maledizione addosso… «Quindi andiamo» disse, passandole di fianco. Il suo odore, per un attimo, lo mise fuori gioco. Ed il fatto che lei fosse in camicia da notte, non lo aiutava affatto. Avrebbe voluto stringerla com’era successo alla festa, baciarla ancora in quel modo ed assaporare ancora quel buon sapore. Non era possibile—ma avrebbe tanto voluto. Sarebbe stata così la sua vita? Desiderare qualcuno e non averlo? Era dannato così, per l’eternità? Eccome se lo era. Strinse i denti ed i suoi occhi si socchiusero per un attimo, ma questo, Tessa, non poteva vederlo: Will le stava dando le spalle e stava camminando verso la sala degli allenamenti. «Se ti senti scomodo con quella, puoi sempre toglierla» le disse, facendole un occhiolino. Almeno poteva lasciarsi andare a qualche battuta con un fondo di verità, no?
*Mi maledissi per avergli trasmesso un'idea tanto malsana, ricordandomi quante volte zia Harriett mi aveva raccomandato di pensare prima di parlare. Quella donna continuava ad avere ragione anche a distanza di mesi, e anche senza aver conosciuto Will. Lo vidi elettrizzato all'idea di allenarsi con me, più che altro per dimostrare al suo ego quanto fosse più bravo di Gabriel Lightwood. Le gote continuavano ad arrossarsi alle sue battute, conscia del fatto che lo stesse facendo apposta. A Will divertiva molto stuzzicarmi, o più in generale stuzzicare chi potesse. Mi domandavo solo se quel divertimento fosse davvero vero e non qualcosa di costruito. Ovviamente lui si mosse in direzione della palestra, io ero fermamente decisa di non farmi trascinare in quella situazione disdicevole.* E se invece di allenarci, potessimo leggere? Non mi dispiacerebbe, sai .. A quest'ora questo silenzio è davvero ottimale per immergersi in una sana ed eccitante lettura... *Speravo vivamente che acconsentisse alla richiesta; oltre i muscoli indolenziti, di certo non mi sarei denudata come una cortigiana solo per nutrire il suo orgoglio. Non ero come tutte quelle che cadevano ai suoi piedi solo perchè sapeva fare delle moine conquistanti. Ero diversa dalle altre donne, ormai doveva saperlo con certezza.*
Quando Tessa si fermò e gli chiese di leggere, Will alzò un sopracciglio. In realtà non sapeva bene che cosa fare: concederglielo, oppure no? Fare finta di niente, oppure andare con lei e leggere? Che cosa ne sarebbe stato della sua maledizione? Avrebbe potuto peggiorare le cose. Dopotutto, Will cercava sempre di tenere lontano Tessa, ma a volte era davvero impossibile. L'amava, l'amava come non aveva amato nessun altro in vita sua. Come poteva pretendere di riuscire / sempre / a tenerla lontana da sé? E poi, Raziel, gli aveva appena chiesto di leggere insieme, nel silenzio della biblioteca dell'Istituto, con qualche luce soffusa... Will avrebbe voluto saltare di gioia, prenderla per i fianchi e baciarla, ma erano cose che, purtroppo, non poteva proprio fare. Per fortuna le stava dando ancora le spalle, e quindi si morse il labbro più volte, indeciso. «Ti pensavo più intrepida, Theresa Gray» disse divertito, prima di far spallucce e girarsi finalmente verso di lei come se niente fosse. «Una sana ed eccitante lettura? Non sono sicuro che questi due aggettivi possano stare così vicini» aggiunse, oltrepassandola di nuovo per andare verso la biblioteca. Preferiva di gran lunga questo cambio di programma, ma non poteva far sì che si notasse troppo. Era fuori discussione. «E cosa mai vorresti leggere? Come rimorchiare Will Herondale? Quello posso insegnartelo io. Non ci sarà bisogno di un libro...» Si girò per un istante e le fece un occhiolino, divertito, arrivando poi alla porta della grande biblioteca. In effetti era in silenzio, quasi al buio. Will accese qualche piccola lanterna, così da poter illuminare almeno un po' quel luogo tanto grande. Si guardò intorno, estasiato: ogni volta che entrava lì dentro, era come se fosse la prima. Non era mai pronto a vedere tutta quella bellezza.
Se esistesse un manuale su 'Come zittire William Herondale', quello si .. lo leggerei volentieri! *Dissi, scherzandoci su per poi lasciarmi sfuggire una mezza risata alla sua ultima battuta, accompagnata da un rapido occhiolino. Non avevo conosciuto molti uomini nella mia vita, ma potevo tranquillamente affermare che Will era diverso da tutti. E probabilmente, se non fosse esistito, lo avrebbero dovuto inventare. Ad ogni modo, e fortunatamente, riuscii a convincerlo a lasciar perdere l'allenamento, per dedicarsi a un'attività meno stressante e sicuramente più piacevole, e coinvolgente.* E comunque, possono affiancarsi tranquillamente i due aggettivi! Le avventure che ti offrono i libri sono qualcosa di unico, puro ed eccitante! *Puntualizzai. Non avevo girato il mondo, fisicamente parlando, ma con la fantasia era andata ovunque, conoscendo culture e personalità così diverse eppure in ciascuna di esse vi ho sempre trovato una parte di me. I libri erano vita, per me. Qualcosa mi diceva che anche per Will, in parte, era così. Contrariamente dagli altri cacciatori, mi era capitato di sentire dalle sue labbra qualche citazione letteraria, segno che anche lui era un lettore. Appena la porta della biblioteca venne aperta, fui investita dall'aroma dei libri, un'essenza che a mio parere valeva molto di più dei profumi usati da noi donne per la vanità personale. Inspirai profondamente quell'essenza e poi espirai. Le biblioteche mi facevano sentire sempre a casa e protetta dal mondo esterno. Mia zia Harriett si lamentava infatti di questa mia attitudine, ma era così radicata in me che nessuno mi avrebbe cambiata, su questo aspetto. Dentro l'ambiente c'era un silenzio così sacro e quasi religioso, che il rumore dei tacchi delle mie scarpe sul pavimento sembravano quasi degli insulti ad esso. Fu inevitabile per me guardarmi attorno, benchè ci fosse una luce debolissima, come se magicamente mi aspettassi che qualche libro prendesse 'vita'. Ero così presa dai libri che mi isolai al punto di dimenticare che con me in stanza c'era Will.*
«Niente e nessuno potrà mai zittire William Herondale, su questo ne sono più che certo! E dovresti esserne certa anche tu» mormorò, guardandola da dietro. C'erano volte in cui Will rimaneva senza parole, ma erano poche quelle volte. La prima volta volta che aveva rivisto Tessa dopo la notte passata, ad esempio, gli era salito il cuore in gola da tanta bellezza. Ed era così tutte le volte che i loro occhi si incrociavano, eppure, in qualche modo, era riuscito a farsi più audace e parlare anche in quei momenti. Non poteva permettersi neanche un minuto di debolezza e questo lo aveva portato ad imparare molte cose nel corso della sua vita. «Non sempre sano» aggiunse Will, facendo girare gli ingranaggi nella sua testa per trovare qualche citazione che potesse essere adatta per quel momento. Alla fine, però, decise di lasciar perdere: forse non era il momento adatto per tirare fuori una delle sue citazioni da romanzo. Non era la prima volta che lui e Tessa parlavano a citazioni, ma era successo / prima / del bacio. Non ne avevano più parlato e la cosa metteva un po' in agitazione Will. Avrebbe voluto stringerla ancora a sé e baciarla, forse con più vigore, ma le cose non potevano andare diversamente da come stavano procedendo. Si lasciò alle spalle quei pensieri ed anche la porta della biblioteca, osservando Tessa ormai già in un altro mondo. Will si ritrovò a sospirare più volte: in quel luogo sarebbe stato difficile non essere se stesso e far finta di non amarla. Forse poteva lasciar perdere per una volta e continuare per la sua strada. Poteva far uscire dalle sue labbra qualche scusa che reggesse. «Dovrò lasciarti da sola, cara Tessa. Devo controllare come... Sta Jem. Domani ci aspetta una giornata piena di impegni!» commentò e, dopotutto, non era una bugia. Le ricerche dovevano continuare ed arrivare fino infondo. Avrebbe fatto di tutto per salvare Tessa e trovare il Magister. «Non perderti in mondi dai quali non potrai più risorgere» le suggerì, anche se lui stesso lo avrebbe fatto molto volentieri. Era impossibile non farlo quando si leggeva le pagine di un libro tanto bello ed emozionante. «Buonanotte... Tess» sussurrò con un filo di voce, lanciandole un'occhiata, probabilmente la più sincera che la ragazza potesse vedere. Uno sguardo privo di maledizione, paura o esitazione. Dopo qualche secondo, Will si decise a deviare lo sguardo e a lasciare la biblioteca.
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