#dialetto salentino
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mchiti · 1 year ago
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Una cosa che personalmente odio sono i meridionali che rinnegano le proprie origini o che cercano di parlare con accenti del nord cioè ma parla comu manceeee (parla come mangi, non so se si capisca il senso), mentre poi ci sono io che invece cerco in tutti i modi di mantenere il mio accento salentino più strong possibile nonostante mi sposti da una parte all’altra del nord da tipo un decennio
:( guarda io non giudico mai queste cose, sono d'accordo con te che come si dice "il mio accento/dialetto è politico" e lo è anche la mia lingua, che non vedo che fastidio debba dare agli altri, ma so bene anche che tante persone cercano di integrarsi anche a discapito delle proprie origini per tanti motivi, lo vedo anche con tanti marocchini che si sentono in dovere di prendere le distanze e di criticare continuamente la comunità perché sai, a milano siamo diventati i nemici numero uno ormai. Mi toglie veramente il fiato però quando si mettono a fare i razzisti con me figli di meridionali, o gli stessi meridionali che però sono emigrati quando milano era ancora "bellissima" eh tutta l'italia era bella e funzionava negli anni '60 e la gente andava in pensione a 40 anni non so, forse ma forse è anche questo il problema 😭😭
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tempi-dispari · 2 years ago
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Giulio Spagnolo, il ritmo dei pensieri
Ritmo, ritmo, e ancora ritmo. Questa la caratteristica principale del disco di esordio di Giulio Spagnolo, Beato chi. Ritmo latino (non reggaetone, ovviamente), cubano, mariachi quasi anche nelle ballate. Otto tracce che hanno la capacità di far ballare con la mente pensante. I testi, in italiano, toccano temi contemporanei che vanno dalla cronaca al senso della vita.
Mai banali, ricercati anche da un punto di vista ritmico. La lezione potrebbe essere quella di Gaber o Capossela o, andando più indietro, di un Buscaglione. Ma non finisce qui. Si inseriscono venature manouche, zingare che danno ancora più movimento alle canzoni. Anche con parti di cantato in francese. Nei testi fa capolino, quasi inevitabilmente, l’ombra del Tom Waits meno malinconico e più ironico. Molto azzeccati gli arrangiamenti, orchestrali per la maggior parte.
Ottimamente dosati gli inserti di fiati mixati a parti dominate dalla chitarra acustica. Un disco arioso, colorato, solare che vede un ottimo crossover di ritmi coinvolgendo anche lo ska. Easy listening, non per questo non impegnato. Tutt’altro. Le parole, una volta appresi anche solo i ritornelli, fanno breccia nell’anima portando alla luce nervi scoperti sia della società sia personali.
Azzeccata la scelta di lasciare la chiusura del disco ad un brano in dialetto salentino supportato da un mix strumentale tra chitarre distorte, ritmi di tarantella e fiati. Senza dimenticare i cori perfetti per le esibizioni dal vivo.
Scegliere un brano rispetto ad un altro è difficile. Ogni canzone ha una storia a sé. Dovendone segnalare uno, Dio e l’uomo. Col suo andamento lento, tragicamente in minore, il cantato recitato più che melodico, il climax corale del ritornello, l’accompagnamento dei fiati caratterizzato da note diluite, lunghe, seppur ritmate, l’alternarsi di parti piene a frammenti con accompagnamento essenziale, non può non colpire.
In conclusione: quello di Giulio Spagnolo è un disco di cantautorato come non se ne sentono tanti. Non ha come tema centrale rapporti finiti male, nostalgiche gite in barca mano nella mano. O notti stellate trascorse a pensare alla storia appena terminata con gli astri che richiamano gli occhi del partner.
Un disco per chi ama il ritmo, non importa a quale genere musicale appartenga. La buona musica sincera, che pensa che le note non siano solo intrattenimento ma abbiano un ruolo più importante a livello sociale. Un disco ad appannaggio di tutti, non solo di chi ama il mondo del cantautorato. Consigliato anche ai cultori della musica estrema che possono trovare spunti interessanti.
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sinapsimagazine · 2 years ago
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SUD SOUND SYSTEM: esce oggi il nuovo singolo “Frise Toste” (One Love Records)
Fuori oggi, lunedì 19 dicembre, il nuovo atteso singolo dei SUD SOUND SYSTEM, intitolato FRISE TOSTE. Lo storico gruppo del panorama reggae italiano, che ha fatto dell’uso del dialetto salentino una caratteristica fondamentale delle sue produzioni, ci regala un brano che affonda le radici nella tradizione per diventare un inno universale, dedicato all’intraprendenza e alla perseveranza.   FRISE…
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catastrofeanotherme · 2 years ago
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Aria Caddhipulina
Te la dedico 👀
Come potrei non conoscerla...
'Nu verpe lu da tampagnu e 'nu corpu alla padella
'Nu corpu alla uzzedha, nui ballamu la tarantella
Mannaggia la marea, la marea dellu mare 🌊
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Vocalismo e consonantismo nel dialetto salentino
di Gianmarco Simone
Il dialetto salentino conosciuto e parlato al giorno d’oggi ha avuto un secolare  processo di nascita e di affermazione durante il quale ha assorbito nella sua struttura linguistica i tratti tipici delle parlate e delle lingue delle diverse popolazioni che hanno abitato ed occupato la penisola salentina. Da madrelingua salentino, alcune delle domande che mi sono sempre posto erano pure curiosità: da dove nasce la mia lingua? Perché la pronuncia leccese non è uguale a quella brindisina o gallipolina? Quali sono i tratti tipici del dialetto salentino e come si sono originati? A queste domande cercheremo di dare una risposta lungo l’arco di questo articolo e per farlo bisogna iniziare a guardare un po’ indietro nel tempo.
Un dato certo è che il dialetto salentino deriva dal latino volgare, ovvero quella variante latina parlata dalla gente (vulgus) che si contrapponeva al latino classico utilizzato dai grandi oratori e poeti nella sua forma puramente scritta. Per intenderci, il latino classico era la lingua dei dotti utilizzata per la scrittura a cui si affiancavano le numerose lingue volgari del vastissimo Impero Romano utilizzate soprattutto dalla plebe per lo più analfabeta per parlare.
Il processo di romanizzazione e latinizzazione[1] della penisola salentina inizia nel 90 a.C, anno della Guerra Sociale tra i Messapi[2] e Taranto che ne sancì la loro sconfitta e la conquista del Salento da parte dei Romani. Come per qualsiasi altra lingua volgare, anche nel Salento il processo di latinizzazione dovette far fronte a forti resistenze dal punto di vista fonetico e fonologico dovute alle influenze dalle parlate pre-esistenti, quali quelle dei Messapi di base greca, e quelle che invece si erano già diffuse prima dell’arrivo dei Romani, ovvero le parlate osche[3]. La latinizzazione durò molti secoli ma è partire dalla caduta dell’Impero Romano nel 476 d.C che il sistema fonetico-fonologico del dialetto salentino comincia a mutare e ad assumere le caratteristiche che lo compongono. Infatti, dapprima con i Bizantini e successivamente con i Normanni, il sistema vocalico della penisola salentina subisce un imbarbarimento dovuto alle innovazioni linguistiche portate dalle genti provenienti dalle terre straniere.
  Vocalismo tonico
Le innovazioni a cui faccio riferimento prendono il nome di “metafonia” e “dittongazione”. La prima è un fenomeno linguistico che modifica il suono di una parola per l’influenza della vocale postonica su quella tonica, invece la dittongazione è un fenomeno simile alla metafonia ma che si manifesta attraverso i dittonghi ié,ué, in base alla vocale postonica. In seguito vedremo gli esempi. Pertanto, questi due fenomeni linguistici che subentrarono in un’epoca post-romana sono, per così dire, i responsabili della tripartizione del sistema vocalico tonico del dialetto salentino come noi oggi lo conosciamo. Ci siamo mai chiesti perché si pronuncino sia oce che uce (it. voce) sia nuéu che nou (it. nuovo), sia ucca che occa (it. bocca)? La risposta risiede proprio nel mutamento metafonetico e nel fenomeno della dittongazione.
A questo punto, vediamo la suddivisione del sistema vocalico tonico del dialetto salentino nelle sue varianti linguistiche (Mancarella,1974: 10)[4]:
Sistema napoletano: zona del Salento settentrionale
Ī > i ; Ĭ,Ē > e,i ; Ĕ > e,ié ; Ā,Ă > a ; Ŏ > o,ué ; Ō,Ŭ > o,u ; Ū > u
 Cerchiamo di rispondere a delle domande che inevitabilmente possono sorgere. Partendo dalla denominazione, perché si definisce sistema napoletano quando, effettivamente, stiamo parlando del dialetto salentino? Il nome si deve al fatto che questo sistema vocalico si ritrova anche nel napoletano. In generale, quando si studiano i fenomeni linguistici di una lingua o un dialetto, un alleato molto utile per capire alcuni fenomeni è proprio la storia. Infatti, anche Napoli, come tutto il Meridione, è stato dominato per molti secoli sia dai Bizantini sia dai Normanni, i quali si imposero nei territori e inevitabilmente diffusero le loro parlate lasciando tracce nella tradizione linguistica. Continuiamo. Quali sono i limiti geografici del salentino settentrionale? Su questo punto potremmo dire che i territori dove si utilizza questo sistema sono: i territori del brindisino, Oria e Nardò. Dove troviamo nello schema i fenomeni linguistici? La metafonia si ha in Ĭ,Ē > e,i[5] ed in Ō,Ŭ > o,u[6] mentre la dittongazione condizionata si ha in Ĕ > e,ié[7] ed in Ŏ > o,ué[8]. Vediamo alcuni esempi: HĪLU > filu, PĬLUS > pilu, PĬRA > pera, TĒLA > tela, SĒRA > sera, STĒLLA > stedda, PĔDEM > pete, MĔRUM > miéru, APIS > apu, RŎTA > rota, FŎCUS > fuécu, CŎRIUS > cuéru, NŎVUS > nuéu, BŎNUS > buénu, CŌDA > cota, VŌCEM > oce, SŌL > sole, SŌLUS > sulu, BŬCCA > occa, VŬLPE > orpe, CRŪDUM > crutu.
Sistema di compromesso: zona del Salento centrale
Ī,Ĭ,Ē > i ; Ĕ > e,ié ; Ā,Ă > a ; Ŏ > o,ué ; Ō,Ŭ,Ū > u
 Anche qui cerchiamo di dare delle risposte. Innanzitutto, questo sistema viene definito di “compromesso” in quanto trovandosi nel mezzo tra quello settentrionale e quello meridionale prende tratti vocalici sia da uno sia dall’altro sistema. Il sistema vocalico centrale si può incontrare nel leccese e a differenza di quello settentrionale non presenta casi di metafonia, bensì casi di dittongazione condizionata in Ĕ[9] ed in Ŏ[10]. Alcuni esempi sono: HĪLUM > filu, PĬLUS > pilu, PĬRA > pira, TĒLA > tila, SĒRA > sira, STĒLLA > stidda, PĔDEM > pete, MĔRUM > miéru, APIS > ape, RŎTA > rota, FŎCUS > fuécu, CŎRIUS > cuéru, NŎVUS > nuéu, BŎNUS > buénu, CŌDA > cuta, VŌCEM > uce, SŌL > sule, SŌLUS > sulu, BŬCCA > ucca, VŬLPE > urpe, CRŪDUM > crutu.
Sistema siciliano: zona del Salento meridionale
Ī,Ĭ,Ē > i ;  Ĕ > e ; Ā,Ă > a ; Ŏ > o ;  Ō,Ŭ,Ū > u
La zona del salentino meridionale comprende tutti i territori all’interno della linea immaginaria che va da Gallipoli-Maglie-Otranto fino al capo di Santa Maria di Leuca. Questo sistema si definisce di tipo “siciliano” per la sua vicinanza al dialetto siciliano, anch’esso costituito da 5 vocali e privo di fenomeni linguistici. Inoltre, prima di procedere con l’esemplificazione, è bene sapere che tale sistema è fonte di grande interesse da parte degli studiosi, i quali ritengono che proprio la presenza del sistema penta vocalico nelle zone del estremo Salento, nel centro Calabria e in alcune zone della Sicilia, possa essere la prova di un’antica unità linguistica del Meridione. A tal proposito, Parlangeli afferma che “il dialetto salentino continua una fase arcaica di una comune unità linguistica meridionale in quanto si è sviluppato in una regione d’antica romanizzazione” (Mancarella, 1974: 70).  Il sistema di tipo arcaico, così come definito, deriverebbe da una koiné dialettale[11] originatasi dall’antica lingua osca che era ben diffusa in tutto il centro-meridione prima dell’arrivo dei Romani. Il fatto stesso che la zona del Salento meridionale abbia conservato questo sistema confermerebbe l’idea che le innovazioni linguistiche portate dai Bizantini e dai Normanni si infiltrarono gradualmente dal nord fino alla zona centrale del Salento, lasciando così il Meridione isolato da tali cambiamenti (Mancarella, 1998: 280-281).Vediamo alcuni esempi: HĪLUM > filu, PĬLUS > pilu, PĬRA > pira, TĒLA > tila, SĒRA > sira, STĒLLA > stidda, PĔDEM > pete, MĔRUM > meru, APIS > ape, RŎTA > rota, FŎCUS > focu, NŎVUS > nou, BŎNUS > bonu, CŌDA > cuta, VŌCEM > uce, SŌL > sule, SŌLUS > sulu, BŬCCA > ucca, VŬLPE > urpe, CRŪDUM > crutu.
 Vocalismo atono
 Un altro aspetto dell’analisi sul vocalismo salentino verte su quello atono. Per vocalismo atono si intende il comportamento delle vocali atone (quelle su cui non ricade l’accento) sia in posizione iniziale, intertonica e finale. Per capirci meglio, ci siamo mai chiesti perché nel brindisino si dica lu pani, invece nel leccese lu pane?. Ecco, quindi, che per comprenderne la differenza dobbiamo analizzare il vocalismo atono. Vediamo di seguito i diversi sistemi:
Zona del Salento settentrionale
Ī,Ĭ,Ē,Ĕ > i ; Ā,Ă > a ; Ŏ,Ō,Ŭ,Ū > u
Dallo schema possiamo vedere come tutte le vocali atone latine in Ī,Ĭ,Ē,Ĕ danno come risultato i. Ad esempio: FORĪS > fori, PĀNIS > pani, SEMPĔR > sempri, FACĔRE > FARĔ > fari, MĂRĔ > mari, VĪCĪNUM > vicinu, FĔNESTRA > finešša , NĔPŌTIS > nipute.
Zona del Salento centrale
Ī,Ĭ,Ē,Ĕ > e ; Ā,Ă > a ;  Ŏ,Ō,Ŭ,Ū > u
 Per quanto riguarda il vocalismo atono del salentino centrale possiamo notare la differenza con quello settentrionale nel comportamento di Ī,Ĭ,Ē,Ĕ. Infatti, le vocali latine danno sempre e. Ad esempio: FORĪS > fore, PĀNIS > pane, SEMPĔR > sempre, FARĔ > fare, MĂRĔ > mare, VĪCĪNUM > bbešinu, FĔNESTRA > fenešša, NĔPŌTIS > nepute.
Zona del Salento meridionale
Ī,Ĭ,Ē,Ĕ > i,e ; Ā,Ă > a ; Ŏ,Ō,Ŭ,Ū > u
Generalmente nel sistema vocalico atono del salentino meridionale le vocali latine Ī,Ĭ,Ē,Ĕ possono dare sia i sia e. Tuttavia, un tratto abbastanza diffuso in questa zona è quello di pronunciare le stesse vocali in a. Per esempio: PĔNSABAM > pansava, FĔNESTRA > fanešša, NĔPŌTIS > napute.
Consonantismo
L’ultimo aspetto fonetico-fonologico del dialetto salentino riguarda le consonanti e la loro pronuncia. Anche in questo caso, siamo di fronte ad un panorama abbastanza variegato e pieno di casi particolare. Tuttavia, seguendo lo studio condotto da D’Elia ne Ricerche sui dialetti salentini (1957) in Mancarella (1974: 109-118), è possibile avere una panoramica dei diversi fenomeni consonantici che occorrono nelle diverse zone del Salento:
Occlusiva velare sorda –C- ([k]): si mantiene nel Salento meridionale e settentrionale (ĂPŎTHĒCA > putèca), mentre scompare in quello centrale (putèa).
Occlusiva velare sonora – G- ([g]): si pronuncia k se seguita da a,u nel salentino meridionale e centrale (GUSTŬS > kustu, GALLŬM > kaḍḍu), mentre in quello settentrionale se in posizione iniziale e seguita da a si converte in i (GALLŬM > iaddu), se invece è seguita da o,u cade (it. GUARDO > wardu).
Occlusiva dentale sonora –D- ([d̪]): in posizione intervocalica si pronuncia come sorda [t] (PĔDEM > pete).
Gruppo –LL: si pronuncia come cacuminale ḍḍ ([ɖ]) in tutto il salentino centrale e meridionale, ad eccezione di quello settentrionale dove il suono è una dentale dd (CĂBALLUS > cavaḍḍu / cavaddu). Tuttavia, troviamo casi particolari di pronuncia cacumiale nel neretino.
Gruppo –TR: il suono è cacuminale [ṭṛ] nel salentino centrale e meridionale, mentre nel salentino settentrionale è una dentale [tr] (PĔTRA > peṭṛa/petra).
Gruppo –STR: nel salentino centrale e meridionale è molto frequente la palatalizzazione in šš ([ʃ:]) mentre nel salentino settentrionale questo fenomeno è abbastanza irregolare (NOSTRUM > noššu/nuéstru).
Gruppo –ND- y –MB: si tratta di due gruppi ai quali l’assimilazione è alquanto irregolare. In alcuni casi si mantengono (QUANDŌ > kuandu, PLUMBUM > kiumbu), in altri si assimilano entrambi (QUANDŌ > kuannu , PLUMBUM > kiummu).
Gruppo: BR: generalmente si mantiene però in alcuni casi si pronuncia vr o r (BRACHIUM > bracciu/ vrazzu/razzu).
Gruppo CR: generalmente si mantiene però, soprattutto nel salentino centrale e meridionale, è possibile che la occlusiva [k] cada (CRASSUS > crassu/rrassu).
Gruppo GR: si mantiene nel salentino meridionale e settentrionale, mentre dà solo r nel salentino centrale (GRĀNUM > granu/rranu).
Gruppo ALC: nel salentino settentrionale dà –aṷč– mentre in quello centrale e meridionale troviamo diverse soluzioni come –ṷče– ğğe – š – ṷğğe– (CALCEM > kaṷče, kağğe, kaše, kaṷğğe).
Gruppo NG + E,I: può sia rimanere sonoro sia prendere il suono [č] (MANDŪCĀRE > it. mangiare > mančiare).
Conclusioni
Dall’analisi condotta è stato possibile rispondere ai quesiti posti all’inizio dell’articolo e in particolar modo si sono potuti osservare i tratti tipici del dialetto salentino in tutte le sue varianti. E’ stato possibile avere un quadro generale di come il nostro modo di parlare si diversifichi in base alla zona geografica in cui ci troviamo e capire che il perché di tali differenze è da ricercarsi molti secoli addietro. Inoltre, vorrei esortare i lettori a non prendere quest’analisi come un qualcosa di totalmente fisso ed invariabile. Per intenderci, gli schemi rappresentano i tratti generali dei tre sistemi nelle rispettive zone linguistiche ma ciò non esclude il fatto che si possono incontrare dei casi in cui i tratti di una zona linguistica si ritrovino anche in quella limitrofa. Inoltre, quando si trattano temi riguardanti i dialetti italiani, bisogna sempre tenere in considerazione la componente della lingua italiana che ha una fortissima influenza sui parlanti, soprattutto tra i più giovani, e ciò ha provocato un ulteriore, permettetemi il termine, imbarbarimento del vernacolo, modificandone così non solo i tratti fonetico-fonologici ma anche quelli lessicali. In definitiva, gli esempi presentati sono utili per spiegare i fenomeni generali di ciascuna delle zone linguistiche osservate e servono ad affermare che il dialetto salentino è figlio del latino volgare.
Bibliografia
Mancarella, G.B.,(1974), Note di storia lingüística salentina, Lecce, Edizioni Milella.
Mancarella, G.B., (1998), Salento. Monografia regionale della Carta dei dialetti Italiani, Lecce, Edizioni del Grifo.
[1] Per romanizzazione si intende il processo mediante il quale i Romani, una volta conquistato un determinato territorio, importavano la loro cultura e religione diffondendole in maniera non coatta. In un certo senso era un orchestrato ricatto psicologico in quanto non si forzava la popolazione vinta ad aderire alla cultura romana però solo chi decideva romanizzarsi poteva godere dei benefici sociali, mentre chi si rifiutava rimaneva ai margini della società. Per latinizzazione, invece, ci si riferisce prettamente al processo linguistico di diffusione della lingua latina per scopi puramente ufficiali, cioè come mezzo per poter controllare dal punto di vista politico e militare le innumerevoli provincie.
[2] Gli antichi abitanti del sud della Iapigia, insieme ai Peucezi al centro e i Dauni al nord.
[3] La lingua osca era una lingua italica diffusa nel centro-meridione prima ancora del latino.
[4] G.B. Mancarella ,(1974), Note di storia lingüística salentina, Lecce, Edizioni Milella
[5] Danno e quando la vocale postonica è A-E-O, mentre danno i quando è I-U.
[6] Danno o quando la vocale postonica è A-E-O, mentre danno u quando è I-U.
[7] Danno e quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ié quando è I-U
[8] Danno o quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ué quando è I-U.
[9] Danno e quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ié quando è I-U
[10]Danno o quando la vocale postonica è A-E-O, mentre dittongano in ué quando è I-U
[11]Dal greco κοινὴ διάλεκτος “lingua comune”.
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gabesnake · 5 years ago
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"Alla facce de ciunca ne ole male" cit.
Cheers! 🍻
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asklecce · 6 years ago
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“Nella vita nu te fare mai jabbu, ca la rota gira e te pote schiacciare li pieti”
-proverbio
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testimanifesti · 6 years ago
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sarusantacroce · 5 years ago
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Un bicchiere di vino, Il dio danzante e ciceri e tria su lu sangu mia
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agnesebascia · 5 years ago
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Retupede
di Giusy Agrosì
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Giuseppe Diso Figura della memoria olio su cartone telato, 1995
E abbri ddha finescia Tantu la sacciu ca stai rretu li lustri Ce te disce la capu ? Me lassi a mie Cu critu a fessa menzu la via! (more…)
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Oggi sembrava quasi inverno. Stamattina san Luca non si vedeva, c'era la nebbia, e via indipendenza sembrava infinita con quel manto grigio.
"Ieu vengu de lu salentu" e quando vedo la nebbia "me presciu".
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salento · 4 years ago
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Portale in via Arcudi. Soleto / Salento / Puglia / Italia da Paolo Margari Tramite Flickr: Soleto (Lecce) Grecìa Salentina / Salento / Puglia / Italy 04-2011 Photo taken with a Canon 5D Mark II. _________________ «Un mucchio di piccole case bianche dai piccoli tetti bassi intorno al grande e magnifico campanile.» (Martin Shaw Briggs "Nel tallone d'Italia", 1908) Soleto è un comune italiano di 5.592 abitanti della provincia di Lecce in Puglia. Collocato nel Salento ed equidistante dal mare Adriatico e dallo Ionio, a circa 18 km dal capoluogo, fa parte della Grecìa Salentina, isola linguistica in cui si parla un'antica lingua di derivazione greca, il griko. In griko e in dialetto salentino il nome del paese è Sulítu. La 'Mappa di Soleto' è la più antica mappa geografica occidentale proveniente dall'antichità classica. fonte: it.wikipedia.org/wiki/Soleto ___________ Soleto is a small Griko-speaking city located in the province of Lecce in Apulia, Italy. The town has a total population of 5,592 and is one of the nine towns of Grecìa Salentina. In the 5th century, Soleto was probably elevated to bishopric seat, of Greek rite. In the 13th century the Angevine rules of Naples chose the city a capital of a county, ruled by the di Castro, Del Balzo, Orsini, Campofregoso, Castriota and Sanseverino, Carafa and Gallarati-Scotti families, until feudalism was abrogated in 1806. Soleto took part to the Neapolitan Republic of 1799 and a was a center of Carboneria during the Italian Risorgimento. It was ruled in the middle ages by Count Gjon Kastrioti II (the Roman numeral is related to the Kastrioti dynasty, not the county), son of the Albanian national hero Skanderbeg. The Soleto Map was discovered in Soleto by Belgian archaeologist Thierry van Compernolle of Montpellier University on August 21, 2003. source: en.wikipedia.org/wiki/Soleto most interesting photos from Soleto on flickr: flickriver.com/places/Italy/Puglia/Soleto
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istanbulperitaliani · 4 years ago
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I legami tra la Turchia e l’Italia.
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Una faccia una razza é un vecchio detto popolare che é stato usato anche nel film - premio Oscar - Mediterraneo di Gabriele Salvatores (1991) per indicare le radici in comune che intercorrono tra i popoli del Mar Mediteranneo.
E’ naturale quindi che tra la Turchia, in questo caso tra la millenaria storia di Istanbul, e molte delle realtà presenti oggi in Italia esistono dei profondi legami.
Iniziamo questo viaggio segnalandovi le numerose chiese di rito bizantino localizzabili soprattutto nell‘Italia meridionale e che risalgono all’epoca in cui questi territori appartenevano all’Impero Bizantino.
Tra le tantissime chiese vi segnalo la graziosa Cattolica di Stilo (foto in alto) in Calabria che faceva parte di un complesso di oltre 300 monasteri bizantini situati tra Stilo e la provincia di Catanzaro.
A partire dal VI secolo i monaci di San Basilio provenienti dall’odierna Turchia e che aumentarono di numero con il tempo, costruirono numerosi edifici religiosi e tra questi l’Abbazia di San Nilo a Grottaferrata, in provincia di Roma, fondata nel 1004 cinquanta anni prima dello Scisma tra cattolici e ortodossi.
Naturalmente anche i capolavori dei mosaici bizantini presenti nell’antica Basilica di San Vitale a Ravenna meritano assolutamente una vostra visita, ricordandovi che questo edificio venne costruito sul modello della Chiesa dei santi Sergio e Bacco oggi la moschea della Piccola Santa Sofia ad Istanbul.
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L’antico flusso migratorio che vi ho accennato prima e proveniente dall’attuale Turchia, non riguardava solo gli ecclesiastici ma anche la popolazione civile che in molti casi é riuscita a mantenere intatte fino ai giorni nostri le proprie peculiarità etniche, linguistiche, culturali e religiose.
Nelle comunità ellenofona in provincia di Reggio Calabria (Bagaladi, Bova, Bova Marina, Brancaleone, Condofuri, Melito Porto Salvo, Palizzi, Roccaforte del Greco, Roghudi, San Lorenzo e Staiti) e in Puglia in provincia di Lecce (Calimera, Carpignano Salentino, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Cutrofiano, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia, Zollinodove) si parla un dialetto simile al greco detto grecanico, e alcune di esse hanno ricevuto qualche anno fa, visto che adottano il rito cristiano-ortodosso, la visita di Sua Santità l’Arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma e Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
Alla comunità ellenofona dobbiamo aggiungere anche quelle arbereshe (arbëreshë) che discendono dagli albanesi che si stabilirono in Italia tra il XV e il XVIII sec. al seguito della caduta dell’Impero Bizantino (1453) e dell’avanzata dell’Impero Ottomano nei balcani.
Questa comunità appresenta una delle più importanti minoranze etno-linguistiche italiane. La più grande si trova a Piana degli Albanesi in provincia di Palermo in Sicilia.
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Foto realizzata da Manfredi Caracausi durante le celebrazioni pasquali con abiti tradizionali albanesi.
E a proposito della Sicilia dobbiamo citare il Duomo di Monreale, altro esempio di arte bizantina in Italia.
Vi invito a visitare i Comuni ellenofoni e i Comuni dell’Arberia durante i loro eventi tradizionali se volete assaporare il fascino di una storia antica che in qualche modo é partita da dove vi scrivo.
Proseguo con il citarvi la quadriga in bronzo sulla Chiesa di San Marco a Venezia che proviene dall’antico Ippodromo di Costantinopoli; la stessa chiesa di San Marco é identica a quella dei Santi Apostoli di Costantinopoli e il tesoro di San Marco ospita preziosi provenienti dall’antica capitale bizantina. Come non dimenticare il gruppo scultoreo dei tetrarchi un tempo a Costantinopoli e trafugato durante la Quarta Crociata del 1204. Oggi un piccolo pezzo é esposto nel museo archeologico di Istanbul.
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La Turchia é la culla del cristianesimo
La Turchia ha ospitato le prime comunità cristiane (Tarso, Laodicea, Pergamo, Efeso, Antiochia per citarne qualcuna), vicino alle rovine di Efeso si trova “la casa di Maria” il luogo dove la madre del Cristo ha vissuto fino alla sua morte; l’Io credo che i cristiani professano durante la messa é nato dai concili di Nicea (Iznik) e di Costantinopoli (Istanbul); il quarto concilio, quello che definisce la natura umana e divina di Cristo, si svolse a Kadıköy (quartiere asiatico di Istanbul) dove sorge la Chiesa di Santa Eufemia.
Le tante reliquie dei santi che oggi vengono venerate in Italia e in Europa un tempo erano custodite nelle chiese di Istanbul, moltissime trafugate durante il saccheggio di Costantinopoli della Quarta Crociata del 1204. Tra le tante ricordiamo le reliquie di Sant’Andrea - il patrono del Patriarcato di Costantinopoli - che si trovano nel magnifico Duomo di Amalfi, città dove il primo settembre si festeggia, con una bella rievocazione storica, il capodanno bizantino!
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Ma non esistono eventi festivi legati alla gloriosa epoca bizantina. Una particolare festa si svolge a Moena, in Trentino, dove c’é il rione Turchia e la gente indossa costumi ottomani in una sorta di Carnevale in stile turco; nelle rievocazioni storiche di Tollo e di Villamagna i protagonisti sono sempre dei turchi. Un uomo vestito con turbante e scimitarra interpreta “il turco” nella Festa dei Gigli di Nola.
Ad Istanbul ho trovato in una chiesa armena un simbolo quaresimale cristiano che serve a scandire i giorni fino a Pasqua simile alle bambole quaresimali usate nelle regioni del sud Italia.
Sapete che il significato di “mettere le corna” viene dalle imprese poco onorevoli dell’imperatore bizantino Andronico I?
Citiamo anche il razzismo o meglio l’Anti-turchismo o la Turcofobia, emblematica la frase “mamma li turchi” risalenti alle incursioni dei pirati turchi sulle coste italiane che hanno ispirato canzoni, poesie, detti popolari, dato nomi a luoghi geografici come la “scala dei turchi” in Sicilia o che sono all’origine di curiosi episodi, come quello della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Agropoli (Salerno), costruita dopo il rinvenimento in mare della statua della Madonna che i pirati turchi avevano trafugato, per poi abbandonarlo lungo il tragitto verso Costantinopoli: l’odierna Istanbul. Sempre in Sicilia abbiamo la Testa di turco di Scicli: è un bignè, grande almeno il triplo di un bignè normale, ripieno di crema o di ricotta. Il dolce nasce nella città di Scicli, nel Ragusano. Le teste di turco sono legate all’antica vittoria dei siciliani sui saraceni nel 1091 ad opera di Ruggero d’Altavilla. La sua forma ricorda un Turbante. Tutto é collegabile all’uso, a partire dal 1500, nella lingua italiana del termine “turco” per indicare qualcosa proveniente da un paese lontano come il “granoturco”.  
“La Turchia non é mai stata Europa storicamente”. Strano. E pensare che Costantinopoli dal 330 d.C. é stata la capitale dell’Impero Romano. La stessa città venne ribatezzata da Costantino come Nuova Roma!
Nota: I lettori più attenti noteranno sicuramente alcune omissioni ma l’argomento é talmente vasto da inserire in un semplice post di un blog che vi invito a svolgere degli ulteriori approfondimenti e, se volete, anche a segnalarmeli. In ogni caso continuo ad aggiornarlo.
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Il presente del verbo 'essere'
di Giammarco Simone
Analogamente a quanto fatto con il verbo ‘avere’, adesso l’attenzione si sposta sul verbo ‘essere’. Anche qui, la diversità linguistica del dialetto salentino è oggetto di analisi, in quanto esistono varie forme verbali dipendenti dalla zona geografica di riferimento. Per questo studio, ricorre la Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti (1966) del linguista G. Rolhfs. Sulla base delle sue considerazioni, propongo di seguito un elenco delle persone del presente indicativo del verbo essere e la relativa spiegazione:
1°pers. sing: suntu/sontu/sù/sò: la forma verbale è un caso di confusione. Mi spiego: se dovessimo dire che suntu/sontu derivano dalla 1° pers. sing. del verbo latino esse, che ha dato nel latino volgare *essere, dovremmo pronunciare sugnu, come nel siciliano, in quanto essa proviene sì dalla 1°pers.sing. latina che era sum. Tuttavia, la forma verbale del nostro dialetto non si origina da sum, bensì da sunt, cioè la 3° pers. plur. del verbo latino. Per questa ragione, come vedremo in seguito, la 1°pers. sing. e la 3°pers.plur. coincidono (jo suntu/sontu; iddhri suntu/sontu). Per quanto riguarda l’utilizzo delle varie forme, si può dire che suntu, con la sua corrispettiva forma abbreviata sù, si usa in tutto il Salento, fatta eccezione dei paesi limitrofi a Nardò e nel brindisino dove si utilizza la forma sontu e quella abbreviata sò che si ritrova anche in tutte le parlate del Meridione.
2°pers.sing: sinti/si: in linea generale, la forma dialettale deriva dal latino es, che probabilmente ha dato *sees nel latino volgare. Tuttavia, nel Salento si può anche osservare la forma sinti, la quale è il risultato di un adattamento su sontu. Anche per la 2° pers. sing. l’uso di si è piuttosto generalizzato, in quanto è una forma ricorrente in tutti i dialetti meridionali. La forma riadattata sinti sembra essere più rara, anche se nel neretino e nei territori di Galatone ed Aradeo è attestata (cce si scemu!/ cce sinti scemu!).
3°pers.sing: è/ete: la forma più attestata è senza dubbio è, anche per l’analogia con la lingua italiana. Tuttavia, la forma ete presuppone un piccolo chiarimento. Questa forma deriverebbe dall’antico italiano edè formatosi dal latino quid est > ched’è. Rolhfs (1966) ce ne parla in riferimento ai dialetti settentrionali toscani, ad alcuni marchigiani e al romanesco, dove la 3° pers. sing. è proprio edè. Nel dialetto salentino, si sarebbe poi avuto un suono dentale in t al posto di d ed un arretramento dell’accento, da cui la forma ète. In ogni modo, si tratta di una forma anch’essa abbastanza generalizzata in tutto il Salento.
1°pers.plur: simu: non esistono altre forme per esprimere la 1° pers. plur. Interessante, però, è sapere che la sua origine si deve al *simus volgare, proveniente a sua volta dal sumus
2° pers. plur: siti: anche per questa persona esiste una sola forma. Per quanto riguarda la sua possibile origine, si potrebbe pensare ad un antico latino volgare in *setis che sostituì la forma classica estis.
3° pers. plur: suntu/sontu/sù/so: come anticipato precedentemente, la 1° pers. sing. e la 3° pers. plur. sono uguali, così come le zone dove vengono utilizzate.
All’interno del discorso sul verbo essere, c’è da palare di un fatto curioso: l’utilizzo alla 3°pers.sing. della forma bbè/bbete. In questo caso, siamo davanti ad un fenomeno fonologico[1] che prevede l’aggiunta di un elemento non etimologico, in questo caso la consonante b, per armonizzare il suono e renderlo più facile da pronunciare. Questo raddoppiamento è presente, come vedremo anche in futuri interventi, nell’imperfetto (bbera) e nel congiuntivo (bbessa).
Una personale osservazione del nostro modo di parlare mi porta a dire che l’uso di bbè/bbete è più frequente con la negazione nu (nu bbè/bbete filu ca no mi piace; nu bbè/bbete calanteria quista; nu bbè/bbete iddhru lu problema) e quando il verbo essere è preceduto da una parola terminante in e/u o dalla congiunzione e (ce bbè beddhru; nu bbè degnu cu bbessa fijusa; ca d’energia pulita nci nnè tanta e bbè tutta utilizzabile).  La zone in cui si registra l’uso di bb è quella del Salento centrale, con Lecce e i paesi limitrofi al nord.
Ben diversa, invece, è la situazione in altre parti del Salento come Nardò, Copertino Aradeo, Galatone, Galatina, Gallipoli, Scorrano, Spongano, ecc. In queste zone si tende a pronunciare gg/ggh/ddh. Ad esempio: cce ggè? /cce gghiè? /cci ddhrè? /cce ggè successu? /cce gghiè successu? /cci ddhrè successu?
Se per la consonante b gli studi permettono una facile interpretazione puramente fonologica, lo stesso non si può dire sull’origine di gg/ggh/ddhr. Gli studi fatti da Rolhfs (1966) sono certamente fondamentali per poter capire come si siano svolti i fatti o quanto meno per poter formulare delle ipotesi. Infatti, egli osserva il ghe presente nei dialetti settentrionali della Liguria, Lombardia, Emilia e Veneto. In questi vernacoli, l’avverbio di tempo e di luogo ghe, originatosi dall’hic latino, accompagna il verbo ‘avere’ e sostituisce gli avverbi ci/vi della lingua italiana. Nonostante ciò, Rolhfs attesta anche la sua presenza in compagnia del verbo ‘essere’, con il significato equivalente all’italiano c’è . A tal proposito, riporto una frase scritta nel 1592, dell’allora sindaco di Lecce d’origine veneziana, Pietro Mocinego, il quale parlando di Lecce affermava: “Non ghe se al mondo cità più bea”[2], dove ghe >ci e se > è.
Dunque, mi verrebbe da formulare due ipotesi: che sia un lascito dei dialetti settentrionali nel Meridione o, piuttosto, si tratta di un fenomeno linguistico evolutosi in parallelo sia nei vernacoli settentrionali sia in quelli meridionali.
In riferimento alla prima ipotesi, direi che, dal punto di vista storico, precisamente intorno al 1482, la penisola salentina fu territorio di conquista da parte della Repubblica Veneziana e che, negli anni successivi, proprio per la sua importanza strategica nel Mar Adriatico e Mediterraneo si produssero numerose guerre di predominio territoriale contro i francesi che di tanto in tanto occupavano le terre italiane. In questo caso, come già espresso nel mio primo intervento sul “Vocalismo e consonantismo del dialetto salentino”, la storia è una utile alleata per poter rispondere a quelle che sono le domande e i dubbi di tipo linguistico, in quanto la formazione del lessico e le modificazioni delle parlate di un territorio possono avere come causa scatenante proprio il passato storico e le eventuali dominazioni susseguitesi nel corso dei secoli, in quanto portatrici di innovazioni e lasciti linguistici. Tuttavia, l’ipotesi storica credo che qui sia un po’ forzosa, soprattutto perché non ho prove certe di una possibile eredità linguistica diretta dei dialetti settentrionali sul salentino.
Per quanto riguarda, invece, la seconda ipotesi, la teoria di un’evoluzione in parallelo nei due vernacoli appare alquanto più probabile soprattutto se pensiamo che le forme gg/ggh/ddh sono presenti nel dialetto salentino sia alla 3° pers. sing. dell’indicativo ma anche nell’imperfetto (ggera/ gghiera/ddhera) e nel congiuntivo (ddheggia/ eggia ecc.). Secondo una ricostruzione, tali forme potrebbero provenire da hic + est latino, da cui si è avuta un’evoluzione fonetica e grafica che ha portato l’avverbio hic a trasformarsi in ghe, a perdere la sua funzione grammaticale di avverbio e unirsi al verbo essere[3]. Ciò si vede in cce gghè beddhru, dove ghe ha perso la sua funzione avverbiale. L’unico esempio dove l’avverbio si è mantenuto è nella domanda cce gghè? dove ghe ha significato di “adesso, in questo momento”, proprio come in italiano che c’è?
Anche per questa forma come già detto per quelle del leccese, da una mia osservazione posso affermare che il loro uso è più frequente con la negazione no e quando il verbo essere è preceduto da una parola che termina in e/u o congiunzione e.
Per concludere, abbiamo visto come anche il verbo ‘essere’ possiede alcune caratteristiche meritevoli di approfondimenti. Personalmente, ritengo molto importante soffermarsi a pensare sul perché e sul come della nostra lingua, in quanto essa è capace di raccontare storia, fenomeni, cause e ragioni che difficilmente riusciremmo a sapere se non ci fermassimo ad osservare.
  Note
[1]Pròtesi o pròstesi.
[2] Rucco N., Greco C. “Uci salentine”, Galatina, 1992.
[3] Bertocci, D., Damonte, F. “Distribuzione e morfologia dei congiuntivi in alcune varietà salentine”, 2007.
  Per il verbo avere nel dialetto salentino vedi qui:
Dialetto salentino. Il presente del verbo “avere” – Fondazione Terra D’Otranto
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catastrofeanotherme · 5 years ago
Note
"Idda è nu casinu" In che dialetto è?
Salentino
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scarletintheocean · 5 years ago
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Hold your tongue
Anni fa, quando ero al liceo soprattutto, ho cercato in tutti i modi di eliminare la cadenza salentina dalla mia parlata, per evitare che mi prendessero troppo in giro.
Ho trascorso, poi, gli anni dell’università a Pisa, finendo con l’assimilare l’accento toscano.
Adesso, a seconda dell’interlocutore, mi esprimo con modi di dire e parlata tipici della zona del barese.
Comunque parlassi, in questi anni, mi hanno fatto notare, nell’ordine:
-non sai parlare il dialetto salentino, quindi parla italiano
-ma non sai parlare dialetto? Perché parli in italiano?
-sei calabrese? (true story)
-ma che è st’accento toscano? 
-parla come mangi (...vabbé)
-...tu non sei di queste parti...(panico)
-capisci il dialetto stretto? vuoi che ripeto?
-ah, non capisci il dialetto? E come mai? Di dove sei? E che ci fai qua?
-che brutto accento barese hai preso!
-sei salentina? Davvero? Non si sente per niente!
-e perché non parli salentino? lu sule, lu mare, lu ientu (risata di circostanza)
Al prossimo che mi fa un appunto sul mio modo di parlare, parte un bestemmione in aramaico. O in veneto.
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