Tumgik
#demetrioalbertini
sporta360gradi · 5 years
Photo
Tumblr media
#picoftheday #instagram #instagood #sport #calcio #demetrioalbertini #birthday #fbbrunetti #blogsport Compie 48 anni il centrocampista lombardo che, per par condicio, lega il suo nome a quello del Milan. Con la maglia rossonera è sceso in campo 406 volte vincendo cinque scudetti, una Coppa Nazionale, tre Supercoppe, tre Coppe Campioni, due Intercontinentali e due Supercoppe Uefa. Finita l'esperienza rossonera gioca in Spagna nell'Atletico Madrid e nel Barcellona dove alza il sesto scudetto della carriera. Chiude la carriera nella Lazio e nell'Atalanta dove porta a casa buonissime stagioni. Ha vestito 79 volte l'azzurro raccogliendo due argenti: uno Mondiale e uno Europeo. https://www.instagram.com/p/B1gAGAyA9gw/?igshid=71jl2u5xlxpz
0 notes
ufficiosinistri · 7 years
Text
Impegni irrinunciabili
"Como e Milan". Così rispose quando gli chiesi che squadre tifasse. Era l'estate del 1988 e il Como era ormai un'affermata realtà tra le cosiddette "provinciali" del nostro calcio, ma cosa potevo saperne io, in quell'estate in cui avevo solo sette anni e avevo da poco compiuto il mio primo volo in aeroplano. Già, Malpensa – Punta Raisi insieme ai miei nonni, per passare due settimane di vacanza al mare vicino a Messina, Gioiosa Marea, in un resort turistico terrazzato sulle montagne dal quale però si potevano scorgere il mare, le navi, l'autostrada  Palermo – Messina e nelle giornate  particolarmente terse e ventose l'Isola di Vulcano. Ex dipendenti De Agostini, una della maggiori case editrici italiane del dopoguerra: noi da Novara eravamo lì coi nostri nonni che ne avevano passato tanti anni tra presse e catene. Il mio primo viaggio in aereo, ma anche il primo per i miei nonni.
Mia madre quello stesso anno andò a Chicago per lavoro. Milano – Zurigo, Zurigo – New York e poi New York – Chicago O'Hare, l'aeroporto con le piste di atterraggio che passano sopra agli svincoli autostradali. Io, mio padre e la mia sorellina non la sentimmo per un giorno e mezzo praticamente, sino a che non arrivò in albergo a Chicago e ci chiamò dalla sua camera, in un grattacielo: all'epoca non c'erano ancora i telefoni cellulari. Mi portò come regalo una felpa dei Chicago Bears, squadra di Football Americano, e ci raccontò che andò a vedere una mostra al Museo di Arte Moderna, di cui gelosamente conserva ancora il manifesto, che fece persino plastificare ed incorniciare.
Era più grande di me, l'anno scolastico che sarebbe iniziato due mesi dopo avrebbe dovuto iniziare la terza media. Anche fisicamente, era altissimo, aveva le spalle larghe, mentre ero ancora obbligato a frequentare noiosissime e faticossissime lezioni di nuoto per mettermi in riga, per allargare le spalle e il torace, come aveva prescritto il dottore. Lui, intanto, parlava e si comportava come un adulto, parlava di tifare sì il Milan, che sappiamo tutti come si stesse comportando in quegli anni, ma anche il Como, la squadra della città dalla quale veniva, nella quale aveva gli amici, la famiglia, la scuola che stava frequentando. Alle volte mi aspettavo che tirasse fuori una sigaretta e iniziasse a fumarsela lì, davanti a noi più piccoli. Era davvero di un altro pianeta. Mi fece capire che il calcio che si vede in televisione poteva anche quello che sentivi giocare, nell'aria frizzante e diversa da quella degli altri giorni, a poche centinaia di metri da casa tua, e al quale potevi persino assistere andando allo stadio nella tua città. Il suo giocatore preferito era MarcoVan Basten, gli chiesi se fosse andato a vedere giocare Como – Milan e fui curioso di sapere per chi avesse tifato, ma mmi rispose che quel giorno aveva era fuori città con suo padre, per un impegno irrinunciabile. Pensai che io di impegni irrinunciabili non ne avessi avuti ancora, in tutta la mia vita.
Tumblr media
Il villaggio turistico nel quale ci trovavamo er aun fiore all'occhiello del turismo siciliano: era nuovissimo, i bungalow avevano la televisione e c'era la piscina. E poi l'anfiteatro, il cinema. Era tutto bianco, come le strade che ci portavano giù al mare. Era bianco anche come la sabbia rovente di quel luglio del 1988 e mi rendeva irruento e svogliato soprattutto quando, per noi più piccoli di quel turno al villaggio, venivano organizzate attività di gruppo come piccole recite teatrali, laboratori di disegno o gare sportive. Tutte cose che a me non interessavano minimamente: avevo i miei libri, le mie giornate di sole per andare a pesca, la mia estate spensierata.
Il Como, quindi, aveva sempre o quasi navigato in acque sicure, nelle ultime stagioni. Aveva giocatori capaci e intelligenti come Maccoppi, Borgonovo, Annoni, Corneliusson, grazie ai quali riusciva a determinare prestazioni invidiabili. In quel Como, che vedevo giocare in televisione nello stadio dietro al quale faceva capolino il blu intenso del lago, aveva iniziato a tirare i suoi primi calci Diego De Ascentis. Sino al 1996, anno in cui fu comprato dal Bari, deciso a riassaporare i profumi della serie A dopo un quinquennio di agonie e capitomboli. Il Bari, l'anno del ritorno in massima serie, sembrava tornato ai fasti dei trenini, e De Ascentis e Ventola ne erano i principali artefici, suportati da una dose immane di esperienza sul campo garantita da giocatori come Doll, Garzya e Manighetti. Ovviamente Diego giocava davanti alla difesa, un ruolo che in Italia latitava da anni. Non si trovava più, si era dato alla fuga come un rapinatore lasciato solo dal resto della banda dopo aver fallito il colpo. Un ruolo difficile, meccanico, relegato a secondario dai lunghi decenni di stampo sacchiano ai quali la maggior parte degli allenatori faceva riferimento. A Fascetti, invece, serviva un giocatore come De Ascentis, ben piantato e capace di dare il "La", con una precisione più unica che rara, alle iniziative degli altri centrocampisti. La stagione successiva, quella del primo campionato in A della "resurrezione", si disputarono i Giochi del Mediterraneo in Puglia, la regione che ormai lo aveva adottato e lo stava coccolando come solo lei sa fare. L'Italia Under 21 vinse la medaglia d'oro e Ventola fu il protagonista indiscusso dell'evento. Segnò alla Spagna e fu autore di una doppietta in finale acontro la Turchia, e assieme al suo compagno di squadra De Ascentis, titolare di centrocampo, diventò un vero e proprio eroe per quelle terre, che videro disputarsi partite di caratura internazionale in stadi che normalmente ospitavano incontri di Serie C, come il "Degli Ulivi" di Andria, la squadra biancoblu di Cappellacci, Ripa e Renato Olive. Ai Giochi del Mediterraneo partecipavano esclusivamente rappresentative sportive ( in tutto le discipline erano una trentina) di nazioni che si affacciavano sul Mare Nostrum, dall'Asia al Marocco, da Malta alla Francia: che si disputassero in Puglia e che Bari ne fosse la capitale, quell'estate, era un'occasione da non lasciarsi sfuggire per mettersi in mostra. Detto fatto, l'anno successivo Ventola passa all'Inter. De Ascentis invece rimane in Puglia ancora un paio di stagioni, durante le quali gioca ad altissimi livelli. Era una perla, un fiore all'occhiello del nostro calcio, sembrava finalmente arrivata l'era dei fenomeni anche per noi. Lo ripeto, le squadre italiane post era Sacchi erano sempre più alla ricerca di giocatori che intendessero il gioco del pallone come faceva De Ascentis. E infatti arrivò presto il Milan, che iniziava a sentire il bisogno di far tirare il fiato a Demetrio Albertini, geometra. Ordinato ed elegante, Albertini. Fu difficilissimo, quasi impossibile, trovare spazio in quella formazione, però, per il mediano che aveva iniziato ad amare il pallone a Como, che passò quindi da eroe mediterraneo a perenne talento mancato in meno di due anni.
Giocò al Torino e all'Atalanta, dove trovò il suo ultimo gol in serie A e in carriera a Udine, calciando via con rabbia un assist di tacco di Cristiano Doni, nell'ottobre del 2009. In panchina il leccese Antonio Conte ammirò quel destro ed esultò come se stesse per vincere una finale.
Il Milan non aveva voluto arrendersi alla necessità di dovere, prima o poi, trovare la forza e gli stimoli di fare a meno di Albertini, così come il ragazzo che conobbi quell'estate in Sicilia non aveva avuto il coraggio, forse, di dirmi che tifasse solamente per il Milan, pensando che fossi a conoscenza della caparbietà con la quale il Como era rimasto in Serie A per tutte quelle stagioni di fila. Ma io non avevo la sua età e non ne sapevo nulla: ero lì in vacanza grazie al lavoro che mio nonno aveva svolto per decenni, non seguivo nemmeno il calcio da tifoso. Ero ancora gracile, svogliato e non sapevo nemmeno nuotare.
0 notes