#dal dialetto siculo
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Squagghiai
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RadioSabir, musica senza confini, letteralmente
Il crossover, per definizione, ha mille sfaccettature. Tra queste c’è anche quella di essere unito al dialetto. In questa direzione muovono i RadioSabir con il loro ultimo. Cunti e Mavarii pi megghiu campari. Il collettivo, perchè di questo si tratta, è un interessantissima realtà siciliana. Ed è proprio il dialetto trinacride utilizzato per i testi. Un sodalizio con la musica davvero molto ben riuscito. Il ritmo e la musicalità del vernacolo perfettamente si sposano con le basi strumentali. Per queste serve un discorso a parte. I mix sono talmente tanti che è impossibile indicarli tutti. Si passa dal rock all’elettronica, dalla musica popolare al metal. Tutto con un fluidità disarmante. Non si tratta di fluidità progressive. È proprio la costruzione dei brani che è sorprendente. Ogni singola canzone meriterebbe una trattazione a sé stante.
Si parte con Na buttigghia i vinu. Le suggestioni si muovono tra litanie locali, southern rock, il suono e il lavoro della chitarra, il rap che richiama i Gorillaz. Il cantato perfettamente rende l’idea della bottiglia di vino ingurgitata con una andamento strascicato. Si passa poi a U ferru. La base, grazie al basso, diventa molto urbana, funkeggiante. Non mancano inserti inattesi come il suono di una fisarmonica. Pregevole il break solo voce. Questo abbassa l’intensità della canzone che subito dopo riparte a vele spiegate. Ma i cambi non si fermano. Arriva un interludio quasi tibetaneggiante. La reprise porta poi alla conclusione. Si passa a Voodoo med. La voce un bambino introduce un ritmo fatto da percussioni.
Strumenti tradizionali si sposano con l’elettronica. Non esiste una vera base melodica. È la voce a tenerla in piedi. A metà la composizione lascia spazio a cantato e cori. Constante il lavoro della chitarra con interventi tesi a creare atmosfera più che a creare una ritmica. Con Ci voli tempu si cambia ancora. Ritmi sempre percussivi. Ma questa volta è il basso a guidare con una linea non diritta. Saltella sulle percussioni tessendo una tappeto solido ma non stabile. Ottimo cambio verso i ¾. Calo di intensità, si sentono eco mediorientaleggianti con l’ausilio di una scacciapensieri che introducono al finale. Con Ma cchi fai i RadioSabir trasportano in una festa dell’entroterra siculo. Qui si respira anche aria africana miscelata con la musica mediterranea.
Il ritmo è andante, incalzante, saltellante. È sempre l’effetto percussivo a tenere banco grazie ai continui cambi. Qua e là fanno capolino anche reminiscenze rhytm and blues con l’introduzione di strumenti arabi. L’oud fa da introduzione e filo rosso anche per la successiva U munnu sta cangiannu. Il ritmo generale rallenta notevolmente. Potremmo parlare di una ballata in tal senso. Base molto bluesy, cantato evocativo alterna voce maschile e femminile. Ma proprio quando pare che il brano abbia preso la propria strada, cambia direzione. L’intensità sale. I suoni si fanno più decisi. Le voci più urlate.
L’oud da solo chiude la composizione. A rivoluzione un si fa chi social è uno dei singoli dei RadioSabir che ha anticipato il disco. Da un certo punto di vista è il brano più ‘leggero’ fino a questo momento. Non mancano i cambi che contraddistinguono il lavoro ma sono meno impattanti. Il ritmo è sempre sostenuto anche quando gli strumenti si alternano o zittiscono per dare spazio alla ritmica. Anche questa risente di influenze del medio oriente. Con Iarrusa si torna su basi più caustiche, più rock non tanto per i suoni quanto per l’intensità.
Anche in relazione al testo che tratta delle donne del medio oriente vessate e uccise per voglia di emancipazione. Anche qui elettronica e strumenti tradizionali si fondono in un mix unico e coinvolgente nel ricreare atmosfere della terra della mezza luna. Si rallenta con 10600 iorn. Un malinconico racconto moderno. Basso, batteria, armonica e chitarra sono sufficienti per trasportare in un mondo di ricordi e rimpianti. La base, con i continui crescendo, passa dal blues al rock più arrabbiato. Elettronica, loop, strumenti ad arco introducono E resta ‘cca.
Torna l’hip hop per il cantato. La base inizialmente è minimale. Saliscendi su susseguono fino a metà canzone quando emerge uno spazio più dilatato contornato dal suono di strumenti tradizionali. Seggia sghemba chiude il disco con atmosfere più scure. Qui si sentono scorci cantati in inglese che si alternano al dialetto. L’andamento ripercorre lo stile dei RadioSabir con interludi sospesi tra musica mediterranea, elettronica e percussioni.
Concludendo. Il disco dei RadioSabir è un lavoro davvero immenso. La domanda che sorge spontanea è: come hanno fatto? Determinate soluzioni sono più che spiazzanti. Ci vogliono moltissimi ascolti per poter entrare nel disco. Certo, il ritmo cadenzato aiuta. Ma non è sempre uguale a se stesso. Un disco intenso sotto moltissimi punti di vista. Impegnativo e per i testi e per l’ascolto che ha più livelli. Impossibile fermarsi al primo, quello più immediato. L’ascoltatore non può adagiarsi su terreni stabili, sicuri. L’andamento generale è paragonabile alle onde del mare. Ora più forti, poi più deboli. Quando si crede di aver capito se il mare è calmo o meno arriva qualcosa di anomalo che sorprende. Un disco consigliato, consigliatissimo. Soprattutto a chi cerca nuovi stimoli, che pensa a come la musica sia un modulo espressivo senza confini, senza limiti, privo di qualsiasi barriera. Ad iniziare da quella linguistica.
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Una Storia Messinese: il caso della strega Pellegrina Vitello, scampata al rogo dell'Inquisizione nel XVI secolo. 12 maggio del 1555. La Corte di Messina del Tribunale dell'Inquisizione di Sicilia, presieduta dal Vescovo di Patti, l'austero Inquisitore Monsignor Bartholomeo Sebastian, condanna al rogo la trentenne Pellegrina Vitello, dopo averla sottoposta alla tortura della corda, la giovane di origini napoletane, con l'accusa di "magarìa" (stregoneria, termine ancora oggi in uso nel dialetto siculo/messinese accanto a "magara" o "mavara"), nel corso della solenne "autodafè" (letteralmente "atto di fede", solenne processo dell'Inquisizione Spagnola) tenutosi nella Piazza della Cattedrale di Messina. L'accusa mossa dal Sebastian a Pellegrina è quella di essere una strega in combutta con il demonio, capace di invocare entità malefiche attraverso l'uso di strani oggetti o calici di acqua e olio. L'accusa fa leva soprattutto sulle testimonianze di alcuni interrogati (ben dodici oltre le sufficienti sei) che affermano come Pellegrina sia in grado di prevedere il futuro o eventi sconosciuti osservando, in trance, una caraffa d'acqua da dove emergerebbero strane forme nere, simili a demoni. Lo stesso giorno la pena è però dal Tribunale commutata in una processione e fustigazione pubblica che Pellegrina deve subire "per li istrati di quista città", come castigo per lei e monito per gli altri cittadini, affinché non praticassero magarìa o eresie. La vicenda di Pellegrina e delle sue presunte doti divinatorie, è significativa per essere testimonianza di una città nella quale pratiche rituali legate a tradizioni o superstizioni popolari sopravvivono e sono anzi intersecate con l'attività della produzione e del commercio della seta: non raramente i lavoratori di questa materia prima e i commercianti si rivolgevano a magare o, più raramente, a "nigromanti" (maghi, di sesso maschile) per avere una sorta di "protezione" sulla produzione del prodotto e sulla mercanzia finita da esportare. #magari #magaria #magare #mağara #magara #messina #streghe #stregoneria #strega #nigromante #nigomaru #storiadimessina #inquisizionesiciliana #tribunaledellinquisizione #autodafé (presso Messina, Italy) https://www.instagram.com/p/CQzjYlalP4vnY9yqlJ_iCcRlrW-K-fLEVPg_Sc0/?utm_medium=tumblr
#magari#magaria#magare#mağara#magara#messina#streghe#stregoneria#strega#nigromante#nigomaru#storiadimessina#inquisizionesiciliana#tribunaledellinquisizione#autodafé
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12 problemi che devi affrontare se hai l'accento abruzzese
1. Nessuno riconosce il tuo dialetto. Lo scambieranno per un qualunque dialetto centro-meridionale. Accetterai di passare per romano, napoletano, anche umbro. La tua lingua non è alla portata di tutti, è di nicchia: è così che consolerai il tuo grosso orgoglio, tipico del ragazzo abruzzese.
2. Aggredirai per riflessi innati chi ti scambia per marchigiano. E non è per il marchigiano in sé, ma è il Baobao, l'Uomo Nero, Satana o lo Stato: un concetto di nemico necessario all'unità psico-locale.
3. Del resto, sei stato educato fin da piccolo all'odio verso il marchigiano. Saprai che è meglio un morto in casa che trovare un marchigiano dietro la porta, e che lui tira la pietra e nasconde la mano. Crescerai così con la paura di porte chiuse e pietre volanti, sovrastimerai i morti.
4. Al cinema sei ricordato in ruoli di contorno. Come il soldato bravo ragazzo un po' tonto con le pecore a casa. Sottotono rispetto alle macchiette del siculo, del veneto e del romano. Nei dialetti d'Italia resti fuori fuoco, idea vaga di gonzo campestre. Il grosso orgoglio rivendicherà celebrità dialettali come Maccio Capatonda e Aldo Biscardi, che in realtà è molisano (dirai però che il Molise era Abruzzo).
5. Deciso a riscattarti, costruisci teorie linguistiche sempre più estreme. Dai rapporti con gli extraterrestri alla migrazione di popolazioni tibetane nel IV sec. a. C. (vedi le pubblicazioni della facoltà di Abruzzesologia, attiva anche su Facebook.
6. Sostieni in ogni occasione l'inno regionale. Che è poi l'unico esistente: Vola, Vola, Vola (di Lugi Dommarco, nato a Ortona) ricollocando l'Abruzzo come terra di nostalgie cavalleresche ("ove se mi vuoi baciare ti devi prima inginocchiare") contro il più ballabile e cretino Reginella Campagnola che sostiene il deleterio gonzismo campestre (vedi il punto 4).
7. Parli una lingua consonantica come l'arabo. Il suo suono principale sarà lo "sth"(sthrumento, sthrutto, sthurm und drang). Tenderai ora e sempre a cambiare le b con le d (e "quando" con "quanto", perché il tempo pesa e il peso dura, come ti ricorda l'Abruzzo nostalgico del punto 6). Praticherai un raddoppio generoso, dirai Abbruzzo e non Abruzzo, perché l'abruzzese spreme sempre. Si pronuncia "lu mmost" e non il mosto.
8. Se sei abruzzese di montagna tendi a ululare. Prendi per esempio l'articolo "ju" aquilano: ju Gran Sassu, ju caffè. Se vieni dai promontori marini, invece, stringi i denti con parsimonia dell'aria (Chit e non Chieti). Se sei di costa allaghi la vocale (Pishcaaara), se nasci in collina zappi e raddoppi (Terramo, Terramo).
9. Saluti con affetto augurando una morte violenta. Per esempio, "cheppuozzafalusanghe" (traduzione: che tu possa emettere sangue), da utilizzare in espressioni tipo: «Giovanni, oh cheppuozzafalusanghe, sarà un anno che non ci vediamo!».
10. Hai lingua d'acciaio inox e bruschetto lavapiatti. Lo richiedono i celebri scioglilingua: "Coma sting sting sempr stang sting"(traduzione: in qualsiasi modo io stia, sempre stanco sto), "Scine ca scine ma ca' scine in tutt'" (traduzione: va bene tutto, ma ora si sta esagerando).
11. Sei convinto che le lingue straniere discendano dal tuo dialetto. A New York, un abruzzese potrà stupirsi che strade così larghe si dicano street perché nel suo dialetto street significa stretto. Potrà ripetere compiaciuto vocaboli stranieri come Station, State, Stand, che esaltati dall'articolo preferito daranno le formule: 'Stha Sthation, 'Stho Sthate, 'Stho Sthand (vedi il punto 7).
12. L'abruzzese combatte il male. Tradizionale pratica locale è il diasill, deformazione di dies irae, una forma di antica preghiera. L'abruzzese sceglie un angolo riparato e per diverso tempo maledice l'universo intero e il suo contenuto. Il diasill dev'essere in forma di canzone, con rima baciata, può essere praticato da soli o in gruppo. Secondo alcune ricerche la recita quotidiana del diasill allevia l'ipertensione e i disturbi digestivi. Perché il dialetto abruzzese non è mai un problema per l'abruzzese, tutto il resto è Marche.
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Cisternino (Cisternìne in Apulo-Bari dialect, Cisturnium in Latin) is an Italian town in the province of Brindisi in Puglia. Until 1927 it was part of the Land of Bari. Overlooking the Itria valley, in the so-called Murgia dei trulli, it belongs to the club of the most beautiful villages in Italy. The territory of the municipality of Cisternino was inhabited, since the Middle-Upper Paleolithic, by human nuclei coming from the north of the peninsula or from the Sicilian-African area and who left, on the hills where they fixed their seasonal camps, numerous traces of their life, dedicated to hunting and collecting wild fruits and tubers. The name Cisternino derives from the eponymous hero Sturnoi, companion of Diomede, who after the Trojan War would have founded a nearby city which, later, occupied by the Romans, was called Sturninum, the current Ostuni. The “Bombette of Cisternino” are delicious rolls of veal or pork, breaded and cooked in a wood oven, stuffed with caciocavallo, characteristic of the homonymous Apulian village, one of the most fascinating "white villages" that dot the Itria Valley. Cisternino (Cisternìne in dialetto apulo-barese, Cisturnium in latino) è un comune italiano della provincia di Brindisi in Puglia. Fino al 1927 era parte della Terra di Bari. Affacciato sulla valle d'Itria, nella cosiddetta Murgia dei trulli, appartiene al club de I borghi più belli d'Italia. Il territorio del comune di Cisternino fu abitato, fin dal Paleolitico medio-superiore, da nuclei umani provenienti dal nord della penisola o dall'area siculo-africana e che lasciarono, sulle colline dove fissarono i loro accampamenti stagionali, numerose tracce della loro vita, dedita alla caccia e alla raccolta di frutti spontanei e tuberi. Il nome Cisternino deriverebbe dall'eroe eponimo Sturnoi, compagno di Diomede, che dopo la Guerra di Troia avrebbe fondato una città vicina che, in seguito, occupata dai Romani, fu chiamata Sturninum, l'attuale Ostuni. Le “Bombette di Cisternino” sono deliziosi involtini di carne di vitello o maiale, impanate e cotte nel forno a legna, ripieni di caciocavallo, caratteristici dell’omonimo Borgo pugliese. (presso Cisternino) https://www.instagram.com/p/CDmYYU1oJGO/?igshid=tarew11b4q9w
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Spiagge da sogno, mare cristallino e bellezze naturali mozzafiato: la Sicilia non ha certo bisogno di presentazioni, da sempre in cima alle classifiche delle mete preferite dai viaggiatori di tutto il mondo. Lungo tutta l’isola si trovano spiagge meravigliose, aree marine protette e parchi naturali incontaminati che ti regaleranno una vacanza davvero indimenticabile! SiViaggia ti porta alla scoperta di uno dei tratti di costa più belli di tutta la regione: Catania, una città che con le sue spiagge saprà certamente conquistare il tuo cuore! Le 5 spiagge più belle di Catania La Sicilia è famosa per ospitare alcune delle spiagge più belle di tutto il mondo e il mare di Catania non fa certamente eccezione: lungo i suoi 65 chilometri di costa si susseguono splendide spiagge di sabbia scura che si tuffano in un mare color zaffiro, orlate dall’imponente profilo dell’Etna sullo sfondo. Dalle piccole calette incastonate tra la rocce vulcaniche alle interminabili distese di sabbia bruna che circondano la città, chiunque qui può trovare il proprio angolo di paradiso in cui trascorrere una vacanza all’insegna del totale relax in riva al mare. Di seguito una classifica delle spiagge più belle vicino Catania. 1. Playa di Catania La Playa di Catania (o Plaia, non è spagnolo ma dialetto!) è uno dei lidi più frequentati e amati della città. Meta imperdibile di turisti e locali, il fascino di questo tratto di costa è dato innanzitutto dalle sue dimensioni; si tratta di una distesa sconfinata (ben 18 chilometri) di sabbia dorata e mare di un blu talmente intenso da fare invidia ai paradisi tropicali. Da qui si ha inoltre un panorama da cartolina col il profilo dell’Etna che sormonta la spiaggia in lontananza. Lungo il litorale si susseguono lidi ben attrezzati e locali che fanno di questa spiaggia una destinazione adatta a qualunque vacanziero. Le spiagge sono dotate di tutti i comfort, lettini, ombrelloni, servizi igienici e persino campeggi e campi da gioco. Al calar della sera inoltre i lidi si animano di musica e spettacoli dal vivo capaci di attirare frotte di giovani che si scatenano a ritmo di musica. Un ulteriore bonus è dato dalla sua posizione, essa si trova infatti in centro città, raggiungibile con molta facilità in auto o a piedi. 2. Spiaggia di Aci Trezza Aci Trezza, situata a circa 15 chilometri da Catania, si trova nel cuore della Riserva Marina Protetta dei Ciclopi. Qui si estende uno degli scenari più affascinanti della costa catanese, che le è valso l’appellativo di Riviera dei Ciclopi. Da un mare color zaffiro si ergono otto imponenti faraglioni neri (che secondo la leggenda sono i massi scagliati dal ciclope Polifemo contro Ulisse) e l’Isola Lachea. La riviera è principalmente rocciosa, di origine vulcanica, ma nel tempo sono state istallate delle pedane in legno per consentire ai bagnanti di prendere comodamente il sole nei numerosi lidi che costellano la spiaggia. La Riviera dei Ciclopi si trova all’interno di un’oasi naturale protetta che ospita una fauna marina davvero straordinaria. Se sei amante delle immersioni non lasciarti assolutamente sfuggire questi fondali! 3. La spiaggia del Simeto Spostandosi qualche chilometro a sud di Catania si arriva alla suggestiva zona alla Foce del Fiume Simeto. Qui la natura la fa da padrone e ti troverai immerso in un paradiso incontaminato fatto di sabbia bianchissima molto fine e le immancabili acque azzurre della Sicilia. La spiaggia del Simeto è il luogo perfetto se sei alla ricerca di pace e relax a stretto contatto con la natura, essa è situata infatti nella riserva naturale Oasi del Simeto ed è circondata da vegetazione rigogliosa e stormi di uccelli selvatici. Dopo una bella giornata la mare una visita del parco non può mancare! 4. La spiaggia di Praiola di Giarre Tra le spiagge della zona di Catania, Praiola di Giarre offre uno spettacolo unico. Il litorale si estende lungo un’area agreste fatta di coltivazioni e ruscelli dall’acqua limpidissima. Sulla spiaggia, di origine vulcanica, il blu intenso del mare si fonde con il nero brillante dei ciottoli, regalando uno spettacolo molto suggestivo. La costa è inoltre circondata da un costone di tufo ricoperto di profumatissima macchia mediterranea. 5. La spiaggia di San Marco di Calatabiano A due passi dall’Etna tra le foci dei fiumi Alcantara e Fiumefreddo si estende la spiaggia di San Marco Calatabiano. Essa è situata in una zona poco abitata e per raggiungerla è necessario attraversare un tratto dell’interland siculo, il che fa di questa spiaggia una delle meno frequentate e più tranquille. La lunga spiaggia di sabbia e ciottoli, l’acqua limpida, la natura incontaminata e l’atmosfera pacifica di questa spiaggia valgono senz’altro il tragitto per raggiungerla. https://ift.tt/327oRqa Le 5 spiagge più belle di Catania e dintorni Spiagge da sogno, mare cristallino e bellezze naturali mozzafiato: la Sicilia non ha certo bisogno di presentazioni, da sempre in cima alle classifiche delle mete preferite dai viaggiatori di tutto il mondo. Lungo tutta l’isola si trovano spiagge meravigliose, aree marine protette e parchi naturali incontaminati che ti regaleranno una vacanza davvero indimenticabile! SiViaggia ti porta alla scoperta di uno dei tratti di costa più belli di tutta la regione: Catania, una città che con le sue spiagge saprà certamente conquistare il tuo cuore! Le 5 spiagge più belle di Catania La Sicilia è famosa per ospitare alcune delle spiagge più belle di tutto il mondo e il mare di Catania non fa certamente eccezione: lungo i suoi 65 chilometri di costa si susseguono splendide spiagge di sabbia scura che si tuffano in un mare color zaffiro, orlate dall’imponente profilo dell’Etna sullo sfondo. Dalle piccole calette incastonate tra la rocce vulcaniche alle interminabili distese di sabbia bruna che circondano la città, chiunque qui può trovare il proprio angolo di paradiso in cui trascorrere una vacanza all’insegna del totale relax in riva al mare. Di seguito una classifica delle spiagge più belle vicino Catania. 1. Playa di Catania La Playa di Catania (o Plaia, non è spagnolo ma dialetto!) è uno dei lidi più frequentati e amati della città. Meta imperdibile di turisti e locali, il fascino di questo tratto di costa è dato innanzitutto dalle sue dimensioni; si tratta di una distesa sconfinata (ben 18 chilometri) di sabbia dorata e mare di un blu talmente intenso da fare invidia ai paradisi tropicali. Da qui si ha inoltre un panorama da cartolina col il profilo dell’Etna che sormonta la spiaggia in lontananza. Lungo il litorale si susseguono lidi ben attrezzati e locali che fanno di questa spiaggia una destinazione adatta a qualunque vacanziero. Le spiagge sono dotate di tutti i comfort, lettini, ombrelloni, servizi igienici e persino campeggi e campi da gioco. Al calar della sera inoltre i lidi si animano di musica e spettacoli dal vivo capaci di attirare frotte di giovani che si scatenano a ritmo di musica. Un ulteriore bonus è dato dalla sua posizione, essa si trova infatti in centro città, raggiungibile con molta facilità in auto o a piedi. 2. Spiaggia di Aci Trezza Aci Trezza, situata a circa 15 chilometri da Catania, si trova nel cuore della Riserva Marina Protetta dei Ciclopi. Qui si estende uno degli scenari più affascinanti della costa catanese, che le è valso l’appellativo di Riviera dei Ciclopi. Da un mare color zaffiro si ergono otto imponenti faraglioni neri (che secondo la leggenda sono i massi scagliati dal ciclope Polifemo contro Ulisse) e l’Isola Lachea. La riviera è principalmente rocciosa, di origine vulcanica, ma nel tempo sono state istallate delle pedane in legno per consentire ai bagnanti di prendere comodamente il sole nei numerosi lidi che costellano la spiaggia. La Riviera dei Ciclopi si trova all’interno di un’oasi naturale protetta che ospita una fauna marina davvero straordinaria. Se sei amante delle immersioni non lasciarti assolutamente sfuggire questi fondali! 3. La spiaggia del Simeto Spostandosi qualche chilometro a sud di Catania si arriva alla suggestiva zona alla Foce del Fiume Simeto. Qui la natura la fa da padrone e ti troverai immerso in un paradiso incontaminato fatto di sabbia bianchissima molto fine e le immancabili acque azzurre della Sicilia. La spiaggia del Simeto è il luogo perfetto se sei alla ricerca di pace e relax a stretto contatto con la natura, essa è situata infatti nella riserva naturale Oasi del Simeto ed è circondata da vegetazione rigogliosa e stormi di uccelli selvatici. Dopo una bella giornata la mare una visita del parco non può mancare! 4. La spiaggia di Praiola di Giarre Tra le spiagge della zona di Catania, Praiola di Giarre offre uno spettacolo unico. Il litorale si estende lungo un’area agreste fatta di coltivazioni e ruscelli dall’acqua limpidissima. Sulla spiaggia, di origine vulcanica, il blu intenso del mare si fonde con il nero brillante dei ciottoli, regalando uno spettacolo molto suggestivo. La costa è inoltre circondata da un costone di tufo ricoperto di profumatissima macchia mediterranea. 5. La spiaggia di San Marco di Calatabiano A due passi dall’Etna tra le foci dei fiumi Alcantara e Fiumefreddo si estende la spiaggia di San Marco Calatabiano. Essa è situata in una zona poco abitata e per raggiungerla è necessario attraversare un tratto dell’interland siculo, il che fa di questa spiaggia una delle meno frequentate e più tranquille. La lunga spiaggia di sabbia e ciottoli, l’acqua limpida, la natura incontaminata e l’atmosfera pacifica di questa spiaggia valgono senz’altro il tragitto per raggiungerla. In Sicilia ci sono moltissime spiagge bellissime, soprattutto nella zona di Catania: alcune delle più belle spiagge sono la Playa di Catania e Aci Trezza.
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8 MAR 2019 15:19
PINO SECOLARE - È MORTO A 84 ANNI L'ATTORE PINO CARUSO, INTERPRETE DELLA SICILIANITÀ PIÙ AUTENTICA – NEGLI ANNI ’60 FECE PARTE DEL BAGAGLINO PER POI PASSARE ALLA TV – FU PROTAGONISTA A FIANCO DI BAUDO NEGLI ANNI ’80 E IN SEGUITO NELLE FICTION - FU UNO DEI POCHI, CON LANDO BUZZANCA E FRANCO E CICCIO, A SDOGANARE IL DIALETTO SICILIANO IN TV - VIDEO
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Maurizio Porro per corriere.it
Da bravo siciliano purosangue Pino Caruso, morto ieri a Roma a 84 anni, aveva segnato la sua carriera nel nome di Pirandello: iniziò con «Il gioco delle parti», finì con «Non si sa come» ma in mezzo ci furono altre opere dello scrittore fra cui «Il berretto a sonagli». Prima di Camilleri e di Ficarra e Picone, Pino Caruso fu uno dei pochi, con Lando Buzzanca e Franchi e Ingrassia, a sdoganare il dialetto siciliano in tv.
Fu un personaggio dalle molte vite, al cinema, in teatro, sul piccolo schermo e in letteratura con alcuni libri non solo biografici molto ben accolti, tra poesie e aforismi. E fu anche organizzatore di eventi nella stagione 95-97 quando era sindaco a Palermo Leoluca Orlando e Caruso si adoperò per rendere kolossal la Festa di Santa Rosalia, protettrice della città, e organizzò «Palermo di scena» una rassegna cui fece intervenire nomi a volte irriverenti e di gran prestigio come Sakamoto, Carmelo Bene, Dario Fo. Poi anche i rapporti ufficiali con l’amministrazione della sua città sono cambiati e il nostro attore è rientrato a fare l’attore e basta, ma con un senso di amarezza e di ingiustizia in più. Nato palermitano il 12 ottobre 34, prima di arrivare a Roma e poi a Milano col Bagaglino, fu voce recitante per Mozart al Massimo di Palermo e certo fu scritturato dallo Stabile di Catania.
La sua fama alla fine degli anni 60 è soprattutto televisiva:«Che domenica amici» (in cui tiene la rubrica «Diario siculo») e poi «Gli amici della domenica» (1970), «Teatro 10», «Dove sta Zazà» di Castellacci, Pingitore e Falqui (il suo clan artistico), «Mazzabubù» e serate musical con la Vanoni («Due di noi») e Milva («Palcoscenico»). Dirige per Raitre un film sul caso Tortora e va ospite da Baudo e la Carrà, poi a Canzonissima, Portobello, Fantastico, il supermercato della tv nazionale popolare che in seguito lo vede nella serie di Canale 5 i «Carabinieri».
Molti i film cui partecipò (debuttando nel musicarello «La coppia più bella del mondo») nessun vero protagonista, ma alcune partecipazioni che si ricordano: il don Cirillo di «Malizia» best seller di Samperi con la bomba Laura Antonelli, il commissario del giallo alla torinese «La donna della domenica» e un umanissimo sacerdote nella «Matassa» di Ficarra e Picone. Col teatro, quello vissuto sera per sera, palco per palco, Caruso ebbe un rapporto vero e vissuto, occupandosi molto anche del sindacato attori.
Recita un altro grande siciliano come Vitaliano Brancati («Don Giovanni involontario») e poi scrive egli stesso i testi di due successi in giro per l’Italia, «Conversazione di un uomo comune» e «La questione settentrionale». Non riconciliato del tutto con la cultura dominante, Caruso fu un attore eccentrico, capace di satira politica e avvolto nelle sue radici culturali, finendo col monologo «Mi chiamo Antonio Calderone» della Maraini, tratto dal libro di Arlacchi.
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