#cultura sotto i piedi
Explore tagged Tumblr posts
Text
"E per strada
Luce verde di giada"
La nuova canzone di Elodie (quella che combatte il patriarcato mostrandosi seminuda sul palco) è diventata disco di platino.
Ho voluto quindi leggere il testo di cotanta poesia, che ci son voluti cinque o sei individui per scriverlo tutto quanto...
BLACK NIRVANA si chiama la canzone, ed a me fa pensare ad una bella fumata di afgano nero.
Ma non è così: il termine Black Nirvana viene usato per indicare uno stato di beatitudine oscuro e intenso raggiunto dopo un'improvvisa avventura con un tipo appena conosciuto. La cosa viene vissuta come un’esperienza trascendentale.
Viene anche infiorettata da qualche riferimento surreale, artistico e mistico: vi sono parole buttate là a caso, tipo "De Chirico", "luna bianca", "mandala" (il disco sacro indiano) "Met Gala", "ubriachi in un attico" tanto per evocare una cornice lussuosa.
Da quello che si capisce, la ragazza che canta ha avuto una di quelle esperienze che negli anni Settanta-Ottanta si chiamavano senza tante chiacchiere "una botta di vita" e questo Black Nirvana mi sa tanto che è un Black Bamboo.
Sarebbe in linea con il personaggio di Elodie, così politicamente corretta!
Volendo operare una specie di "decostruzionismo" per dir così, ho riconosciuto nel testo un solo riferimento culturale: i due versi che ho riportato in alto.
"E per strada
luce verde di giada."
Mi ha ricordato una pagina di Proust, visto che l'estate scorsa ho riletto tutta la "Recherche", dove nell'ultimo libro "Il tempo ritrovato" si descrive una camminata notturna di Marcel a Parigi, d'inverno, quando c'era il coprifuoco in tempo di guerra nel 1918 circa... Egli si era perduto e camminava in mezzo a strati di neve che alla luce verdastra dei lampioni smorzati per il coprifuoco, sembrava verde come giada.
Ecco, una "perla" proustiana incastonata in un disco di platino di una moderna chanteuse....
Povero Proust.
(prima foto: un black mandala, seconda foto: i prosciutti di Proust)
3 notes
·
View notes
Text
moderato sive de grege
Spesso mi sono chiesto quali siano i moventi psicologici che spingono i sedicenti moderati a dichiararsi tali e a sottoporsi a un processo di manipolazione così umiliante. Oltre al già detto bisogno di affermare la propria degnità morale, la risposta credo sia da cercare nella qualità estetica dell'apparato mediatico che sostiene l'operazione. I protagonisti e le istituzioni dell'opinione moderata - i quotidiani storici, i salotti televisivi, le firme di Mieli, Mauro, Severgnini, Scalfari, Romano, Galli della Loggia, Ostellino e i volti di Vespa, Fazio, Floris, Mentana e mille altri, se non tutti - incarnano un rassicurante cliché altoborghese che non ha mai smesso di affascinare la nostra classe media. Un cliché senza tempo sotto i cui abiti di sartoria pare indovinarsi una cultura profonda ma non esibita, una proprietà di giudizio che si impone senza urla né insulti, una signorilità indulgente che sa sorridere delle debolezze umane. Ma soprattutto, il savoir-vivre degli uomini di mondo che con accorta eleganza scivolano da un sistema di potere all'altro senza sporcarsi il vestito e cadendo sempre in piedi, quasi appartenessero a una civiltà a sé che trascende gli accidenti storici e se ne immerge senza corrompersi. Ciò che qualcuno - incluso chi scrive - definirebbe prostituzione intellettuale è invece per molti un modello di realizzazione personale e sociale da imitare: di chi si piega (al padrone di turno) ma non si spezza.
Il Pedante
4 notes
·
View notes
Text
Mio caro tesoro, ti scrivo di nuovo, perché sono solo e perché mi secca tenere continui dialoghi mentali con te, senza che tu ne sappia nulla o tu mi possa rispondere [...] Io ti ho viva davanti a me e ti porto in palmo di mano, e ti bacio dalla testa ai piedi, e cado in ginocchio davanti a te, e sospiro: «Madame, io vi amo». E davvero io ti amo, più di quanto abbia amato il Moro di Venezia. Il mondo falso e corrotto coglie tutti i caratteri in modo falso e corrotto. Chi dei miei numerosi calunniatori e nemici dalla lingua biforcuta mi ha mai rimproverato di essere chiamato a recitare la parte di primo amoroso in un teatro di seconda classe? Eppure è così. Se quei furfanti avessero avuto dello spirito, avrebbero dipinto da una parte «i rapporti di produzione e di commercio» e dall'altra me ai tuoi piedi. "Look to this picture and to that" ["Guardate questo ritratto e quello"] — vi avrebbero scritto sotto. Ma furfanti stupidi sono costoro e rimarranno stupidi in saecula saeculorum. Una assenza momentanea fa bene, perché quando si è presenti le cose sembrano troppo eguali per distinguerle. Persino le torri da vicino hanno proporzioni nanesche, mentre le cose piccole e quotidiane, considerate da vicino, crescono troppo. Così è per le passioni. Piccole abitudini le quali con la vicinanza che esse impongono assumono forma appassionata, scompaiono non appena il loro oggetto immediato è sottratto alla vista. Grandi passioni che per la vicinanza del loro oggetto assumono la forma di piccole abitudini, crescono e raggiungono di nuovo la loro proporzione naturale per l'effetto magico della lontananza. Così è con il mio amore. Basta che tu mi sia allontanata solo dal sogno e io so immediatamente che il tempo è servito al mio amore per ciò a cui servono il sole e la pioggia alle piante, per la crescita. Il mio amore, appena sei lontana, appare per quello che è, un gigante in cui si concentra tutta l'energia del mio spirito e tutto il carattere del mio cuore. Io mi sento di nuovo un uomo, perché provo una grande passione, e la molteplicità in cui lo studio e la cultura moderna ci impigliano, e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive e oggettive, sono fatti apposta per renderci tutti piccoli e deboli e lamentosi e irrisoluti. Ma l'amore non per l'uomo di Feuerbach, non per il metabolismo di Moleschott, non per il proletariato, bensì l'amore per l'amata, per te, fa dell'uomo nuovamente un uomo. Mia cara, tu sorriderai e ti chiederai come mai tutto a un tratto divento così retorico? Ma se potessi stringere il tuo cuore al mio cuore, tacerei e non direi parola. Poiché non posso baciare con le labbra, sono costretto a farlo con il linguaggio e le parole... In realtà molte donne sono a questo mondo, e alcune di esse sono belle. Ma dove ritrovo un volto nel quale ogni tratto, anzi ogni piega risveglia i ricordi più grandi e più dolci della mia vita? Nel tuo viso soave io leggo persino le mie sofferenze infinite, le mie perdite irreparabili, e quando bacio il tuo dolce viso riesco ad allontanare con i baci la sofferenza. «Sepolto nelle sue braccia, risvegliato dai suoi baci» — cioè nelle tue braccia e dai tuoi baci e io regalo ai bramini e a Pitagora la loro teoria della rinascita e al cristianesimo la sua teoria della risurrezione [...] Addio tesoro mio. Ti bacio migliaia di volte insieme alle bambine. Tuo Karl
Lettera d’amore di Karl Marx alla moglie Jenny Manchester, 21 giugno 1856
5 notes
·
View notes
Text
Ci sono due modi per leggere un libro: potete leggerli con la pancia, come fanno in molti, o potete leggerli con il cuore.
Potete leggere Orgoglio e pregiudizio, pensando soltanto a chi sposerà chi, potete leggere Il conte di Montecristo domandandovi: «ma alla fine Edmond Dantes riuscirà ad ottenere la sua vendetta?» E Raskolnikov invece riuscirà a farla franca? Potete cioè accostarvi alla letteratura in modo distratto, essere assorbiti unicamente dalla trama, pensando «e che succede ora?».
O potete leggere non soltanto per leggere, per passare il tempo, fare cioè della letteratura un momento sacro, uno specchio dove vedere ciò che semplicemente nella vita passa inosservato. La letteratura si differenzia dalla vita in questo: la vita è piena di dettagli che passano inosservati, mentre la letteratura insegna a notare: «a notare, per esempio, come spesso mia madre si strofini le labbra appena prima di darmi un bacio; come la neve fresca «scricchioli» sotto i piedi; come le braccia di un neonato siano così piccine da sembrare legate con uno spago.»
La letteratura vi insegna a guardare. E soprattutto vi insegna a capire. A domandarvi perché. Perché Raskolnikov uccide? Perché Elisabeth Bennett è incapace di accettare l’amore di Mr. Darcy? Perché Thomas Buddenbrook odia il fratello tanto profondamente? Cosa spinge il giovane Pips di Grandi speranze? La letteratura fa ciò che la vita non fa: vi offre quel momento di quiete dal caos della vita di tutti i giorni. Vivere significa essere assorbiti da mille impegni, da eventi, accadimenti, doveri; la letteratura invece vi da la possibilità di innalzare il vostro sguardo al di sopra di questa superficie, di vedere più in alto o più in basso; vi trascina nel cuore delle storie che racconta e al tempo stesso vi permette di osservarle con distacco, è come guardare una tempesta, come avere un occhio nel cuore del ciclone. Da i brividi, sapete?
E voi, come legggete?
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X #libri #letteratura #cultura
15 notes
·
View notes
Text
In greco “ritorno” si dice nòstos. Álgos significa “sofferenza”. La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare.
Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca (nostalgia, nostalgie), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnolo dicono añoranza, i portoghesi saudade. In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall’impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice homesickness. O in tedesco Heimweh. In olandese: heimwee. Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l’islandese, distingue i due termini: söknudur: “nostalgia” in senso lato; e heimfra: “rimpianto della propria terra”. Per questa nozione i cechi, accanto alla parola “nostalgia” presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: stesk, e un verbo tutto loro; la più commovente frase d’amore ceca: stỳskà se mi po tobě: “ho nostalgia di te”; “non posso sopportare il dolore della tua assenza”. In spagnolo, añoranza viene dal verbo añorar (“provare nostalgia”), che viene dal catalano enyorar, a sua volta derivato dal latino ignorare. Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza. Tu sei lontano, e io non so che ne è di te. Il mio paese è lontano e io non so cosa succede laggiù. Alcune lingue hanno qualche difficoltà con la nostalgia: i francesi non possono esprimerla se non con il sostantivo di origine greca e non hanno il verbo relativo; Je m’ennuie de toi (“sento la tua mancanza”), ma il verbo s’ennuyer è debole, freddo, e comunque troppo lieve per un sentimento cosi grave. I tedeschi utilizzano di rado la parola “nostalgia” nella sua forma greca e preferiscono dire Sehnsucht: “desiderio di ciò che è assente”; ma la Sehnsucht può applicarsi a ciò che è stato come a ciò che non è mai stato (una nuova avventura) e quindi non implica di necessità l’idea di un nòstos; per includere nella Sehnsucht l’ossessione del ritorno occorrerebbe aggiungere un complemento: Sehnsucht nach der Verganghenheit, nach der verlorenen Kindheit, nach der ersten Liebe (“desiderio del passato, dell’infanzia, del primo amore”).
L’Odissea, l’epopea fondatrice della nostalgia, è nata agli albori dell’antica cultura greca. Va sottolineato: Ulisse, il più grande avventuriero di tutti i tempi, è anche il più grande nostalgico. Partì (senza grande piacere) per la guerra di Troia e vi rimase dieci anni. Poi si affrettò a tornare alla natia Itaca, ma gli intrighi degli dei prolungarono il suo periplo, dapprima di tre anni, pieni dei più bizzarri avvenimenti, poi di altri sette, che trascorse, ostaggio e amante, presso la dea Calipso, la quale, innamorata, non lo lasciava andar via dalla sua isola.
Nel quinto canto dell’Odissea, Ulisse le dice: “So anch’io, e molto bene, che a tuo confronto la saggia Penelope per aspetto e grandezza non val niente a vederla… ma anche così desidero e invoco ogni giorno di tornarmene a casa, vedere il ritorno”. E Omero prosegue: “Così diceva: e il sole s’immerse e venne giù l’ombra: entrando allora sotto la grotta profonda l’amore godettero, stesi vicini l’uno all’altra”.
Nulla che si possa paragonare alla misera condizione di esule che Irena aveva a lungo vissuto. Ulisse conobbe accanto a Calipso una vera dolce vita, vita di agi, vita di gioie. Eppure, fra la dolce vita in terra straniera e il ritorno periglioso a casa, scelse il ritorno. All’esplorazione appassionata dell’ignoto (l’avventura), preferì l’apoteosi del noto (il ritorno). All’infinito (giacché l’avventura ha la pretesa di non avere mai fine), preferì la fine (giacché il ritorno è la riconciliazione con la finitezza della vita).
Senza svegliarlo, i marinai di Feacia adagiarono Ulisse avvolto nei lini sulla spiaggia di Itaca, ai piedi di un ulivo, e se ne andarono. Fu questa la fine del viaggio. Ulisse dormiva, esausto. Quando si svegliò, non sapeva dov’era. Poi Atena disperse la nebbia dai suoi occhi e fu l’ebbrezza; l’ebbrezza del Grande Ritorno; l’estasi del noto; la musica che fece vibrare l’aria tra la terra e il cielo: vide l’insenatura che conosceva sin dall’infanzia, i due mondi che la sovrastavano, e carezzò il vecchio ulivo per assicurarsi che fosse ancora quello di vent’anni prima.
Non c’è niente da fare. Omero rese gloria alla nostalgia con una corona d’alloro e stabilì in tal modo una gerarchia morale dei sentimenti. Penelope sta in cima, molto al di sopra di Calipso. Calipso, oh Calipso! Pensò spesso a lei. Ha amato Ulisse. Hanno vissuto insieme sette anni. Non sappiamo per quanto tempo Ulisse avesse condiviso il letto di Penelope, ma certo non così a lungo. Eppure tutti esaltano il dolore di Penelope e irridono le lacrime di Calipso.
Milan Kundera, "L'ignoranza"
5 notes
·
View notes
Text
SOT GLAS
Installazione sonora e luminosa di Ana Shametaj e Giuditta Vendrame, Trieste, Kleine Berlin.
Parte di "Spaziale. Ognuno appartiene a tutigli altri", Padiglione Italia alla 18. Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia @labiennale-blog, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura curato da Fosbury Architecture.
spaziale2023.it
"Per la prima volta il Padiglione Italia è stato interpretato dai curatori come l'occasione per realizzare nuovi progetti-attivatori di azioni concrete a beneficio di territori e comunità locali. Fosbury Architecture ha individuato 9 stazioni, siti rappresentativi di condizioni di fragilità o trasformazione del nostro Paese, dove ciascun gruppo transdisciplinare è stato chiamato a intervenire.
La terza delle nove stazioni è Trieste dove il tema della coesistenza multiculturale viene analizzata lungo il confine italo-sloveno da Giudita Vendrame con Ana Shametaj.
SOT GLAS (sot dal friulano 'sotto' e glas dallo sloveno voce') è un'installazione sonora e luminosa che riattiva cinquecento metri di tunnel sotterraneo Kleine Berlin a Trieste: un rifugio antiaereo costruito durante la Seconda guerra mondiale (1943), luogo difensivo, oscuro come l'inconscio della storia collettiva delle comunità che hanno vissuto in questa regione di confine. Oggi la frontiera italo-slovena si manifesta per le comunità di migranti che in auto o a piedi lo attraversano come ultima tappa della rotta balcanica.
Sot Glas affronta e interroga la nozione di confine politico guardando alla musica come ad uno sconfinamento e ad un paesaggio. In questa regione di confine c'è una particolare ricchezza linguistica, che comprende le lingue ufficiali come l'italiano, lo sloveno, il tedesco, il friulano, ma anche molti dialetti, vernacoli e "nuove lingue" (arrivate anche attraverso la migrazione contemporanea). Dobbiamo ricordare come durante il periodo fascista, ci siano stati atti molto violenti verso la lingua e conseguentemente verso il canto, infatti durante questi anni era vietato parlare e cantare in sloveno. La nozione di confine politico viene qui messa in discussione attraverso l'utilizzo di canti popolari, in particolar modo quei canti di due più lingue intrecciate, che non sono stati storicamente archiviati perché considerati pratiche incoerenti, che sfuggono alla moderna costruzione dello Stato-nazione. I canti selezionati sono stati reinterpretati da un quartetto di voci femminili del territorio che ha performato in chiave contemporanea il repertorio popolare individuato. Nel soundscape sono presenti anche una tessitura di voci con impostazioni canore di provenienza diverse: Stu Ledi, gruppo vocale femminile della minoranza slovena dì Trieste, un coro di bambini e singole voci Pashto intonano landavs, brevi poesie di resistenza solitamente cantate dalle donne afghane, e una dolce ninnananna.
2 notes
·
View notes
Text
Questioni di architettura
S.Maria della Consolazione (Bramante)
Mi è successo di incontrare un’architettura. Da molto tempo non mi capitava; ha risvegliato in me ricordi vivissimi, ma soprattutto ha suscitato un pensiero che ritengo utile esternare, perché frutto dei tempi mutati rispetto a quelli della prima esperienza del genere (avevo esattamente 18 anni e mi trovavo sotto la volta in moto del S. Carlino alle Quattro Fontane, a Roma). Si tratta del tempio costruito a Todi dal grande Bramante: la dimensione, la cura dei particolari, l’audacia del progetto, il rigore nell’esecuzione di un’idea precisa, il successo nell’averla realizzata esattamente nelle forme in cui l’aveva concepita erano evidenti: dentro si svolgeva una cerimonia antica e sentita: la gente che assisteva al matrimonio era vestita a festa, gli oratori (erano tre) la officiavano con convinzione. Mi sono illuso di star vivendo altri tempi, quelli in cui città non designava un’entità caotica fortemente disomogenea, ma era frutto di una civiltà cosciente della propria cultura visiva e della propria missione, in cui tutti erano chiamati a contribuire alla sua costruzione. I tempi in cui fra le varie comunità della penisola si svolgeva un po’ dovunque una gara a produrre le opere migliori: in Italia e non solo nella Toscana di Firenze, Pisa e Siena la rivalità è stata per secoli altamente feconda.
Todi, Piazza del popolo
Ma veniamo a noi. Subito dopo la guerra sono stato testimone della svendita ai geometri, ad opera del regime democristiano, del suo incomparabile patrimonio paesistico, quello che aveva retto addirittura sotto quello totalitario precedente. Vado veloce, non sto qui a discutere le circostanze storiche per cui questo è avvenuto, so solo che i sogni del Movimento Moderno si sono infranti in pochi anni e le “Città nuove” inglesi sono state l’ultima illusione a disposizione dei giovani architetti dell’epoca aspiranti urbanisti. Ma ho avuto anche l’avventura di assistere a un fenomeno ancora più grave innestatosi sul precedente: il turismo di massa. La sana curiosità verso altre culture, con buona pace degli ultimi pionieri attivi in un’arte di matrice soprattutto anglosassone (i vari Fulton, Tremlet e Long), ha mostrato chiaramente i suoi limiti. L’attrazione verso l’ignoto, di romantica memoria, rinfocolata dai vari Conrad e Verne alla ricerca di Passaggi a Nord Ovest, a mio avviso è stata ridicolizzata dalla foga all’evasione purchessia e ha riempito di masse becere col naso in aria dietro imbonitori culturali tutti i luoghi più famosi. La politica, cieca anche sul piano che più le compete, quello dell’economia, è stata costretta all’ultimo minuto a salvare almeno i centri storici, ma i buoi erano ormai scappati. Il turismo di massa la fa da padrone dovunque e comunque, il degrado conseguente è stato velocissimo, inarrestabile. Le prime città a cadere sotto i colpi della “pazza folla” naturalmente sono state le più famose (in Italia prima che altrove; basta pensare a cosa sono diventate Venezia, Firenze, Roma, Palermo ecc), ma a ruota sono seguite un po’ tutte. Per quanto riguarda il patrimonio culturale e paesistico, l’erosione è cominciata dalle coste per penetrare inesorabilmente all’interno, travolgendo un po’ tutto. Il disastro è sotto gli occhi di chiunque non abbia subìto una trasformazione antropologica, è incontestabile.
Capela do Monte di Alvaro Siza (foto di João Morgado)
Ma finiamola con queste lamentele da vecchio nostalgico e occupiamoci, se possibile ancora una volta, di architettura partendo dal monumento citato. Ero reduce da un viaggio di lavoro nel nord del Portogallo (a Cerveira, ai confini con la Spagna) e sotto l’impressione positiva di trovarmi in un paese in cui si poteva ancora parlare di quel mestiere perché praticato un po’ dovunque, con correttezza oltre che in qualche punto con autentica passione. Accenno almeno all’impressione positiva che ho avuto da spostamenti in macchina, ma anche a piedi, nel tessuto urbano di alcuni piccoli centri e di una grande città: assenza o per lo meno misura nell’uso dei cartelli pubblicitari, quasi nessun abuso visivo vistoso, pochissimi gli stupri graffitari, cura dei particolari urbani, che so per esempio nei box di attesa degli autobus, nella cantieristica stradale mai caotica o ingombrante, nella distribuzione dei cassonetti della spazzatura, nella mancanza di sporcizia per le strade (non ho visto cicche di sigarette o quanto meno cartacce in giro, ecc).
La giostra di Cerveira, tutta di legno e azionata a pedali (Foto M. Teles)
La visita al grande Museo di Porto (il Serralves), con la sezione dedicata all’opera di Alvaro Siza, ha aperto le mie speranze: allora è ancora possibile, allora non tutto è perduto, l’architettura non è morta. Il flusso turistico cantabrico dal ponte che unisce Cerveira con la Spagna invade questo piccolo centro rimasto intatto, con la sua fiera affollatissima in cui puoi trovare ancora una giostra per bambini costruita tutta in legno e mossa dalle robuste gambe d’un volonteroso pedalatore, ma senza sconvolgerlo, senza stuprarlo, come invece è avvenuto da noi dovunque.
L’amarezza per il confronto sfavorevole col mio paese ha fatto posto a una constatazione evidente: l’esempio di due grandi architetti che vivono e operano un po’ in tutto il territorio nazionale (oltre a quello nominato anche Eduardo Souto de Moura) evidentemente ha dato i suoi frutti, almeno in quella parte in cui ho fatto la mia esperienza recente (circa vent’anni fa ero stato a Lisbona e avevo avuto la medesima impressione). Evidentemente la politica post rivoluzionaria in quel paese è stata lungimirante, perché ha investito positivamente risorse nel bene comune: il territorio. Ho tirato un sospiro di sollievo, ma torniamo a Todi.
Un salto nel passato reso significativo dalla precedente esperienza: la città, al contrario di quelle più famose della stessa regione, è ancora intatta dal turismo di massa, è ancora “paese”, e il tempio del Bramante non è isolato dal contesto territoriale. Ho pensato a Città di Castello, feudo del grande Burri, a Montepulciano, dove un altro esempio purissimo rende evidente che l’utopia del Rinascimento non era un fenomeno isolato. Il Cupolone brunelleschiano, l’audacia del quale supera tutti gli esempi, può essere pure invaso oggi dai giapponesi, ma tutto non è perduto: c’è un’altra Italia che resiste alle ultime invasioni barbariche. Naturalmente la mia esperienza, comunque di lavoro, non è completa, ma facendo tesoro di escursioni avvenute in tempi precedenti in altri luoghi del Centro toscano, umbro, marchigiano e laziale, ha rinfocolato le mie speranze.
La parola resistenza non è astratta e deriva, forse un po’ utopisticamente, anche da un’esperienza altamente positiva fatta a contatto con chi come me crede alla possibilità di salvare qualcosa. Si tratta dell’opera intelligente del figlio d’un famoso artista dell’arte povera che, scegliendo di vivere il territorio scelto dal padre in tempi più felici, continua l’opera del genitore sfruttando la ricchezza agricola e culturale del territorio. Si tratta solo di un esempio, ma non isolato: una certa tendenza al “ritorno” si constata un po’ dovunque, soprattutto nelle zone interne, ma quello di Matteo Boetti è particolarmente significativo (sposa l’attività di gallerista poeta con quella di agricoltore a tempo pieno). Per inciso, in contraddizione con la sua denuncia dell’abbandono dell’Appennino Centro Meridionale (evidente in opere come Nevica, ne ho le prove, ma soprattutto Terracarne) anche l'opera letteraria di Franco Arminio fa sperare che quel triste fenomeno non sia irreversibile. In conclusione: voglio essere ottimista.
Ma è possibile una conclusione per un argomento così vasto, un tema che per essere affrontato adeguatamente avrebbe bisogno di uno spazio ben più vasto di quanto è consentito in un foglio di rivista on line come questo? Sarò sintetico al massimo, sperando che la malignità, merce corrente fra gli intellettuali, lasci da parte i suoi soliti trucchetti e che una certa benevolenza per l’insufficenza necessaria al foglio dia una mano a comprendere la sintesi.
Padiglione del Portogallo all'Expo del 1998 (Lisbona, Alvaro Siza)
L’architettura non è solo il prodotto di archistar più o meno valide (che so, Siza piuttosto che Ghery, Souto de Moura piuttosto che Pergolesi), ma lo è anche. Certi mastodontici studi professionali (quello di Piano ne è un esempio) sono composti da gente con le palle, perfettamente cosciente che, per esempio, l’immensa copertura del padiglione portoghese dell’expo ’98 di Lisbona, realizzato dal primo dei nominati in un paese fortemente a rischio terremoto, sono frutto, più che della fantasia del capo (pochi privilegiati si sono conquistati il diritto allo schizzo geniale), del lavoro di una troupe di ingegneri che ha fatto la sua parte per mesi, forse per anni: la parola sinergia non è astratta.
La funzione dell’archistar non è solo quella di produrre edifici o manufatti edili, ma nella società in cui opera di dare l’esempio di rigore costruttivo. Solo così produrrà i suoi frutti capillari, nel senso che facciano da guida per altri.
L’archistar non può niente senza un tessuto politico che accolga favorevolmente il suo pensiero, il pensiero del gruppo che dirige e quello che ho cercato di riassumere nella parola “città”: il tempio bramantesco non è nulla senza il palazzo del popolo, senza una piazza in cui inserirsi, senza il tessuto occupato dai vari Matteo, magari venuti d’oltralpe.
L’architettura è prima di tutto l’arte della disposizione degli spazi occupati dalle varie funzioni: il mestiere più difficile e più importante, perché cura la vita nei suoi aspetti essenziali, mangiare, dormire al coperto; in una parola proteggere la stanzialità. Oggi (lo dico con cognizione di causa e con l’amarezza di aver perduto per sempre una bottega) c’è molto più bisogno di architetti interessati alla vita quotidiana della gente comune che di archistar di grandi strutture.
Ma soprattutto poi l’architettura è cura del particolare. Una progettazione, nel senso più vasto del termine, che coinvolga chi la abita quotidianamente, che so, nella scelta (operata da Paola, Isetta o chi per lei) della pianta grassa sul tavolo da pranzo, nell’accettazione, anzi nella selezione cosciente della ruggine della seggiola da giardino che mi trovo sotto il culo, nel rispetto dell’enorme gelso che minaccia con le sue radici addirittura la casa, nel caos ordinato di un gusto che rispetta l’antico come il tappeto nuovo, magari venuto dall’Afganistan, nel gradino memoria.
Infatti l’architettura è sostanzialmente memoria e mi vengono in mente le parole di un mio maestro di sessant’anni fa (Ludovico Quaroni): la città non può vivere senza.
FDL
0 notes
Text
𝑳𝒂 𝒏𝒂𝒔𝒄𝒊𝒕𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑺𝒊𝒄𝒊𝒍𝒊𝒂 𝒆 𝒍𝒂 𝒔𝒕𝒐𝒓𝒊𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝒔𝒖𝒐 𝒏𝒐𝒎𝒆
Un'antica leggenda greca narra di come la Sicilia sia nata dalla creatività di 𝒕𝒓𝒆 𝒏𝒊𝒏𝒇𝒆.
Queste, vagando per terra e per mare, raccolgono la terra più fertile, i fiori più belli, le piante e i frutti più buoni. Quando giungono sotto un cielo limpido e azzurro, gettano ai loro piedi tutto ciò che avevano raccolto e iniziano a danzare, come inebriate da una irrefrenabile gioia. A ogni loro movimento si formano terre, fiumi, boschi rigogliosi e spiagge di grande bellezza; i punti ove le ninfe danzano s'innalzano diventando dei promontori che, uniti, formano un triangolo: a Ovest, 𝒄𝒂𝒑𝒐 𝑳𝒊𝒍𝒊𝒃𝒆𝒐 (Marsala); a Est, 𝒄𝒂𝒑𝒐 𝑷𝒆𝒍𝒐𝒓𝒐 (Messina) e a Sud, 𝒄𝒂𝒑𝒐 𝑷𝒂𝒔𝒔𝒆𝒓𝒐 (Pachino).❤
Scrive di questa leggenda Enrico Mauceri:
“𝘋𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘪𝘨𝘶𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘢 𝘵𝘳𝘦 𝘷𝘦𝘳𝘵𝘪𝘤𝘪 𝘷𝘦𝘯𝘯𝘦 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘚𝘪𝘤𝘪𝘭𝘪𝘢 𝘢𝘯𝘵𝘪𝘤𝘢 𝘪𝘭 𝘯𝘰𝘮𝘦 𝘥𝘪 𝘛𝘳𝘪𝘲𝘶𝘦𝘵𝘳𝘢 𝘰 𝘛𝘳𝘪𝘯𝘢𝘤𝘳𝘪𝘢, 𝘤𝘩𝘦 𝘥𝘪𝘦𝘥𝘦, 𝘧𝘰𝘳𝘴𝘦 𝘪𝘯 𝘦𝘱𝘰𝘤𝘢 𝘦𝘭𝘭𝘦𝘯𝘪𝘴𝘵𝘪𝘤𝘢, 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘳𝘢𝘱𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘵𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘯𝘢 𝘦 𝘤𝘢𝘳𝘢𝘵𝘵𝘦𝘳𝘪𝘴𝘵𝘪𝘤𝘢 𝘢𝘭 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘰, 𝘥𝘪 𝘶𝘯𝘢 𝘧𝘪𝘨𝘶𝘳𝘢 𝘨𝘰𝘳𝘨𝘰𝘯𝘪𝘤𝘢 𝘢 𝘵𝘳𝘦 𝘨𝘢𝘮𝘣𝘦 𝘦 𝘥𝘪𝘷𝘦𝘯𝘶𝘵𝘢 𝘱𝘰𝘪 𝘪𝘭 𝘴𝘪𝘮𝘣𝘰𝘭�� 𝘶𝘧𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘪𝘴𝘰𝘭𝘢“.
Un'altra leggenda che racconta la nascita dell'isola parla di una bellissima ma sfortunata 𝒑𝒓𝒊𝒏𝒄𝒊𝒑𝒆𝒔𝒔𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝑳𝒊𝒃𝒂𝒏𝒐 di nome Sicilia. Alla sua nascita, un oracolo predice che verrà divorata da un mostro di nome Greco-Levante al compimento dei 15 anni d’età. Per scongiurare questo pericolo, i genitori della principessa la lasciano partire per il mare non appena raggiunta l'età prestabilita.
Dopo tre mesi di navigazione, la principessa arriva su una spiaggia meravigliosa e si incammina verso l'interno, scoprendo una terra calda e piena di fiori, di frutti e profumi, ma assolutamente deserta. All'improvviso appare un 𝒃𝒆𝒍𝒍𝒊𝒔𝒔𝒊𝒎𝒐 𝒈𝒊𝒐𝒗𝒂𝒏𝒆 che la conforta e le offre ospitalità e amore, spiegando come tutti gli abitanti siano morti a causa di una peste.
Il ragazzo si prese cura della principessa e le riferì che era stato il volere degli dèi che i due si incontrassero, perché essi desideravano per quella terra un popolo nobile d’animo, gentile e forte, migliore rispetto a quello che fu sterminato dalla pestilenza.
Erano dunque stati proprio gli dèi ad averli scelti perché ripopolassero quella terra ormai deserta che prese il nome di Sicilia e la sua gente crebbe forte e gentile , occupando le cose e i monti.
Entrambe le storie richiamano il potere creativo, generativo e fecondo della Sicilia e rappresentano una componente forte della cultura popolare e delle tradizioni dell’isola nell’espressione di un messaggioo di speranza e di rinascita tanto caro alla nostra terra❤
Marianna Aiello
0 notes
Text
La Zantedeschia: Un Fiore Elegante che Arricchisce il Mio Giardino
Ciao a tutti! Sono Andrea, e voglio condividere con voi la mia passione per uno dei fiori più eleganti e raffinati che adornano il mio giardino: la Zantedeschia, conosciuta anche come calla o gigaro di Etiopia. Sin dal primo momento in cui l'ho vista, sono rimasto incantato dalla sua bellezza. La Zantedeschia vanta una storia antica e un'eleganza senza tempo. Originaria del Sudafrica, questa pianta perenne si distingue per le sue splendide infiorescenze a forma di tromba, avvolte da una spata simile a una foglia, che assume diverse tonalità, dal bianco puro al nero intenso, passando per il rosa, il giallo e il rosso. Nel mio giardino, le Zantedeschia hanno un posto speciale. Le ho piantate in bordure, creando una cornice di colore e raffinatezza che valorizza le altre piante. Alcune le ho posizionate ai piedi di alberi e arbusti, creando un contrasto armonioso tra le loro forme delicate e il fogliame rigoglioso. Altre ancora, invece, le ho messe in vasi per decorare la terrazza e il balcone, donando un tocco di classe agli spazi esterni della mia casa. Oltre alla loro bellezza estetica, le Zantedeschia mi affascinano anche per i loro profondi significati simbolici. Nella cultura occidentale, rappresentano la bellezza, la purezza e l'innocenza. Per questo motivo, le ho scelte come fiori da sposa per il mio matrimonio, simboleggiando l'inizio di un nuovo capitolo pieno d'amore e felicità. In alcune culture, la Zantedeschia è anche associata alla resurrezione e alla vita eterna, un messaggio di speranza che mi accompagna sempre. Curare le mie Zantedeschia è un vero piacere. Non sono piante particolarmente esigenti e, con un po' di attenzione, mi regalano fioriture spettacolari per tutta la stagione. Le annaffio regolarmente, soprattutto durante il periodo di fioritura, facendo attenzione a non far ristagnare l'acqua nel terreno per evitare marciume radicale. Le concime periodicamente con un fertilizzante liquido diluito, per favorire una crescita sana e vigorosa. Rimuovo regolarmente le infiorescenze appassite, per stimolare la produzione di nuovi fiori e mantenere il giardino sempre in ordine. Infine, durante l'inverno le proteggo dal gelo, dato che vivo in una zona con climi freddi. Le mie Zantedeschia sono più che semplici fiori: sono un simbolo di bellezza, eleganza e amore. La loro presenza nel mio giardino mi riempie di gioia e mi regala momenti di vera felicità. Se anche voi siete amanti dei fiori e desiderate aggiungere un tocco di raffinatezza al vostro giardino, vi consiglio di piantare le Zantedeschia. Sono sicuro che non ve ne pentirete! Oltre a quanto scritto sopra, ecco alcuni consigli aggiuntivi che ho imparato coltivando le mie Zantedeschia: - Scegliere la varietà giusta: Esistono diverse varietà di Zantedeschia, ognuna con caratteristiche uniche. Per il mio giardino, ho scelto la Zantedeschia aethiopica classica, con grandi fiori bianchi candidi e uno spadice giallo al centro. Ma se amate i colori vivaci, potreste optare per varietà come la Zantedeschia elliottiana con fiori di colore giallo brillante o uno dei numerosi ibridi con petali viola, rossi, rosa o arancioni. - Creare composizioni floreali: Le Zantedeschia sono fiori recisi molto apprezzati per la loro bellezza e durata. Potete utilizzarle per creare composizioni floreali eleganti e raffinate, perfette per qualsiasi occasione. - Godersi la loro bellezza: La cosa più importante è godersi la bellezza delle Zantedeschia! Prendetevi del tempo per ammirarle nel vostro giardino e lasciatevi incantare dai loro colori e dalle loro forme delicate. Spero che questo articolo vi abbia ispirato a scoprire di più su questo fiore meraviglioso. Se avete domande o consigli, non esitate a condividerli nei commenti qui sotto! Andrea Read the full article
0 notes
Text
Perché appartiene a questa cultura di ebeti. Bla, bla, bla. Appartiene a questa generazione che è fiera della propria superficialità. La performance. La performance sincera è tutto. Sincera e vuota, completamente vuota. La sincerità che va in tutte le direzioni. La sincerità che è peggio della falsità e l'innocenza che è peggio della corruzione. Tutta l'avidità che si nasconde sotto la sincerità. E sotto il gergo. Questo splendido linguaggio che hanno tutti - in cui sembrano credere -, queste chiacchiere sulla loro "mancanza di autovalorizzazione", quando l'unica cosa di cui sono sempre convinti, in realtà, è di avere diritto a tutto. L'impudenza la chiamano tenerezza, e la crudeltà è camuffata da "autostima" perduta. Anche Hitler mancava di autostima. Era il suo problema. E' una truffa, quella che questi ragazzi hanno messo in piedi. L'iperdrammatizzazione delle emozioni più insignificanti. Relazione. La mia relazione. Chiarire la mia relazione. Devono solo aprire bocca per mettermi con le spalle al muro. Il linguaggio che usano è una summa della stupidità degli ultimi quarant'anni. Conclusione. Eccone una. I miei studenti non sono capaci di stare in quel posto dove deve svolgersi il ragionamento. Conclusione! Sono fermi al racconto tradizionale, con il suo principio, la sua parte di mezzo e la fine: ogni esperienza, per quanto ambigua, per quanto intricata o misteriosa, deve prestarsi a questa normalizzazione, a questo cliché formalizzante da anchorman televisivo. Ogni ragazzo che dice "conclusione", lo boccio. Vogliono la conclusione? L'avranno.
-Philip Roth -La macchia umana
4 notes
·
View notes
Text
"Parco delle Mura", inaugurato il primo progetto trekking urbano autoguidato a Verona
"Parco delle Mura", inaugurato il primo progetto trekking urbano autoguidato a Verona. Una camminata urbana lungo le mura storiche, per scoprire la città, ascoltarne le voci, vivere le persone e i luoghi "nuovi" che in realtà sono ogni giorno sotto ai nostri occhi distratti. Ma anche un'occasione per i turisti di alternare qualche ora all'aria aperta a quelle trascorse nei musei. Tutto questo è il trekking urbano "Parco delle Mura" promosso dal Comune di Verona, in collaborazione con MACA-Museo A Cielo Aperto e Minitrekking, per valorizzare il "Parco delle mura e dei forti" e presentato stamattina ad una quindicina di operatori turistici e travel blogger, con una prima passeggiata in compagnia del consigliere comunale Pietro Trincanato, presidente della Quarta Commissione urbanistica, edilizia monumentale e patrimonio, dei referenti della Direzione Cultura Turismo Spettacolo Stefania Bertonie e dell'Ufficio Unesco del Comune Ettore Napione, e di Minitrekking Corinna Candian e Gaia Cecilia Santini. Al momento debutta un percorso, ma non si esclude ne saranno aggiunti altri, attrezzato con cartelli con QR code per le audioguide in quattro lingue, approfondimenti testuali e fotografici e link utili. Il tragitto si potrà fare a piedi seguendo la proposta di diversi filoni di argomenti in successione: giallo per storia e cultura; azzurro per informazioni e curiosità; verde per natura e ambiente; rosso per sport e movimento. Il tragitto è lungo circa quattro chilometri, percorribili in due ore, con partenza da piazza Bra e arrivo a Porta Nuova. È una passeggiata tra siti storici e natura: ci si addentra per piazze e quartieri, porte, chiese e bastioni e anche lungo il fiume Adige che incornicia il cuore della città. Il percorso, pensato per turisti italiani e stranieri, e per le cittadine e cittadini veronesi, con partenza dall'ufficio Iat in piazza Bra, passa per Castelvecchio e poi lungo l'Adige inoltrandosi dalle Regaste verso la basilica di San Zeno, porta San Zeno e quindi il bastione San Bernardino, Porta Palio, i bastioni Santo Spirito e dei Riformati, fino a Porta Nuova e al rettilineo dell'omonimo corso che riporta i camminatori in piazza Bra. "Lo spostarsi a piedi – spiega il consigliere Pietro Trincanato – ci porta a esplorare con ritmo più consapevole, è una modalità anche a misura di bambini e anziani e stimola l'approfondimento attivo. Richiama un turismo sostenibile, esperienziale e destagionalizzato. È ideale per chi si ferma più giorni in città, alternando visite in ambienti interni, e anche per chi vuole approfondire la conoscenza della propria città. Il percorso che presentiamo oggi – spiega il consigliere – è frutto di un bando del Ministero del Turismo per un progetto di valorizzazione culturale di un sito che, lavorando in tempi brevissimi, ci siamo aggiudicati, pensando alla cinta magistrale delle mura, patrimonio Unesco. Abbiamo creato un itinerario destinato a due pubblici: una proposta per i fine settimana dedicata alla cittadinanza veronese, anche famiglie e bambini (presto saranno mappate tutte le barriere architettoniche da eliminare), e un tassello in più dell'offerta culturale e turistica. Diciamo spesso che Verona ha un turismo troppo concentrato in poche porzioni di centro storico, e con questo progetto valorizziamo zone non troppo decentrate, ma meno frequentate e che hanno moltissimo da offrire: chiese, quartieri, curiosità da scoprire. Quella messa a disposizione con il trekking urbano "Parco delle Mura" è un'infrastruttura che non sostituisce in alcun modo le guide professioniste, ma costituisce piuttosto un filo rosso che accompagna in ulteriori esperienze". Minitrekking ha origine da un'idea di Corinna Candian e Gaia Cecilia Santini, appassionate camminatrici di origine triestina e trentina, veronesi d'adozione. Il progetto Maca - Museo A Cielo Aperto nasce nel 2019 in Valcanale (Friuli Venezia Giulia) con lo scopo di dare voce ai luoghi offrendo la possibilità a tutti, gratuitamente, di scoprire peculiarità, caratteristiche, unicità. Il connubio tra queste due realtà ha portato a «Verona cielo aperto» per creare delle pause, nell'era della fruizione veloce, riconsegnando valore al tempo e ai luoghi, trattando con semplicità temi come il rispetto e l'ambiente, dal punto di vista individuale e sociale. Il termine "mini-trekking" suggerisce il concetto del trekking facile ed è stato pensato per condividere l'esperienza del cammino alla portata di tutti, invogliando a sperimentarlo con i giusti strumenti e tramite l'accesso a informazioni esaustive, chiare per tutti. Minitrekking si occupa di delineare e attrezzare il percorso cui poi vengono abbinate le audioguide e i cartelli informativi di Maca, mentre il coordinamento della comunicazione di progetto è curato da EcoComunicazione. "Non è solo un'attività ricreativa e formativa, pensiamo alla presa di coscienza delle proprie capacità e limiti nell'ambiente esterno, ma anche un modo sano di stare insieme, di sperimentare la relazione con i propri pari e tra gruppi eterogenei – spiegano Candian e Santini –. Oltre a integrarsi in uno stile di vita salutare, educa al rapporto con la natura e stimola a una visione più lenta e sostenibile. È infine un piacevole modo per scoprire un luogo nuovo: con curiosità, allenando la vista e la capacità di osservazione. Nato con un'idea di museo a cielo aperto fuori dai soliti tragitti, usare Maca è molto semplice: utilizziamo segnaletica già esistente sulla quale poniamo i QR code da ascoltare, senza obbligo di registrarsi. Sono audio di due minuti in italiano, inglese, tedesco e spagnolo. È un sistema fresco, non didascalico, con la voce di Giulia che accompagna e dà spunti per approfondire visite e percorsi con immagini, testi e link delle realtà vicine, come ad esempio il Bacanal del Gnoco. È un bel modo per scoprire la città, e una tendenza che sta prendendo sempre più piede".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Mi fa morire che se la tirano tanto, anche quando si parla dei trasporti pubblici e delle ferrovie, vantando le dimensioni della loro cazzo di Nazione come se in sé e per sé fosse qualcosa di cui andare fieri. Chilometri e chilometri di NIENTE, una cultura giovanissima, pressoché omogenea, priva di storia. Vai da un capo all'altro del Paese e trovi gli stessi usi e costumi. Poi guardano l'Europa e fanno anche gli spocchiosi, perché è "piccola" e quindi, sottinteso, poco importante. Non riescono a rendersi conto della bellezza di queste "piccole" Nazioni che vantano retaggi antichi, alleanze, guerre, mescolanze, diaspore, tradizioni millenarie, rivalità e faide. Percorri non molti chilometri e si parla una lingua diversa, in certi punti cambia anche la moneta, cambiano del tutto la cultura e i modi di fare, cambia la cucina. L'Europa è come un'inestimabile e antichissima spilla tempestata di gemme di diversa grandezza e di diverso tipo, ma tutte accuratamente sfaccettate dal tempo.
Ma che cazzo ne sanno, loro, che una casa è "super old" perché è del 1860 e si impressionano sapendo che qualcuno ci è morto. Noi abbiamo le catacombe sotto i piedi, camminiamo sulle strade costruire dai nostri antenati. Siamo nani sulle spalle dei giganti. Loro sono nani e basta.
I was reading a thing where an American was saying that Europeans are weird for putting butter in sandwiches and like ??
So, do Americans not put butter in their sandwiches? Like, I get if you’re having cream cheese, or PB&J or something else with a bit of moisture in it, I don’t have butter with that either, but what if you were having, say, a cheese sandwich, a normal one made with just cheese, I’m assuming you wouldn’t have a slice of cheese between two bits of dry bread. So what would you have? Do you use something instead of butter/margarine, or do you just not have that kind of a sandwich?
This might seem a random question, but I actually need to know this for the purpose of writing fanfic.
18K notes
·
View notes
Text
6 dic 2023 16:03
TUTTI IN PIEDI, PARLA GIUSEPPE GUZZETTI – IL GRANDE VECCHIO, IN DUPLEX CON BAZOLI, DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO CONFERMA DI ESSERE A 89 ANNI L’ULTIMO DEMOCRISTIANO DI ALTO LIVELLO E UN POLITICO SCALTRISSIMO QUANDO FA PRESENTE: “SE INTESA SANPAOLO È DIVENTATA UNA FRA LE PRIME BANCHE D’EUROPA E CARLO MESSINA PER SEI ANNI È STATO PREMIATO COME MIGLIOR AD DI BANCA DEL VECCHIO CONTINENTE, ALLORA SIGNIFICA CHE NOI AZIONISTI ABBIAMO SCELTO BENE” (COME CANTA VASCO ROSSI: ‘’SIAMO SOLO NOI…’’) -
Giulio Gambino per “TPI – The Post Internazionale”
Se Intesa Sanpaolo si è imposta come una delle più importanti banche in Europa, è anche perché i suoi azionisti di maggioranza, ovvero le fondazioni bancarie, hanno fin qui saputo individuare un management di qualità e non si sono mai intromessi nella gestione.
Lo dice in questo colloquio con TPI – prima parte di un’ampia intervista al nostro giornale che pubblicheremo nelle prossime settimane – Giuseppe Guzzetti, a lungo presidente della Fondazione Cariplo, che con il suo 5,2% detiene tutt’ora il secondo pacchetto di azioni dell’istituto di credito concepito sull’asse Torino-Milano.
Guzzetti, 89 anni, comasco, già presidente della Regione Lombardia con la Democrazia Cristiana tra il 1979 e il 1987, ha retto il timone di Fondazione Cariplo per quasi mezzo secolo, dal 1997 al 2019, e per ben diciannove anni, dal 2000 al 2019, ha presieduto anche l’Acri, l’associazione delle fondazioni e delle casse di risparmio.
È sotto la sua presidenza che si è completata, nel 1997, la cessione di Cariplo al Banco Ambroveneto guidato da Giovanni Bazoli: da quell’operazione nacque Banca Intesa, che nove anni dopo si sarebbe fusa con il Gruppo Sanpaolo.
Guzzetti è stato uno dei più importanti banchieri filantropi della storia d’Italia: sotto la sua gestione la Fondazione Cariplo ha finanziato circa 30mila progetti nei campi del sociale, dell’arte, della cultura, dell’ambiente, della ricerca scientifica, per un totale di circa 3 miliardi di euro investiti a fondo perduto. Ed è proprio questo il secondo tasto su cui batte l’ex presidente in questa chiacchierata. Ovvero: è proprio grazie all’esperienza convogliata dalle fondazioni che Intesa Sanpaolo oggi è così attiva sul fronte degli stanziamenti al sociale.
Guzzetti, quale contributo ideale e culturale ha portato Cariplo in Intesa?
«Direi due contributi. Il primo: la Fondazione Cariplo, insieme ad altre quattro fondazioni (la Compagnia Sanpaolo di Torino, la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la Cassa di Risparmio di Firenze e la Cassa di Risparmio di Bologna, ndr) in questi anni ha esercitato il proprio ruolo di azionista senza mai interferire nella gestione.
Quando c’è stato da rinnovare il consiglio d’amministrazione, cioè, queste cinque fondazioni hanno sempre presentato una propria lista di maggioranza, contrapposta a quella di minoranza presentata da Assogestioni, ma, una volta che il Cda era nominato, e con esso il presidente e l’amministratore delegato, le fondazioni non hanno mai interferito con l’attività del management».
Questo atteggiamento che effetto ha avuto sulla gestione della banca?
«Ha senz’altro consentito all’amministratore delegato di poter lavorare in tranquillità. Se Intesa Sanpaolo è diventata una fra le prime banche d’Europa e Carlo Messina (a.d. dal 2013, ndr) per sei anni è stato premiato come miglior a.d. di banca del Vecchio Continente, allora significa che noi azionisti abbiamo scelto bene».
E il secondo contributo portato da Cariplo?
«Qualche settimana fa Messina ha annunciato che Intesa Sanpaolo destinerà 1,5 miliardi di euro al sociale nei prossimi cinque anni. Significa 300 milioni di euro all’anno. Lo stesso Messina ha sottolineato molto chiaramente che la sensibilità e l’attenzione della banca per la parte sociale deriva anche dai valori propri delle fondazioni. Le fondazioni hanno dato una grande spinta a qualificare l’azione sociale della banca».
E in particolare di Fondazione Cariplo?
«Quando Fondazione Cariplo ha ceduto Cariplo al Banco Ambrosiano Veneto, si è incontrata con le sensibilità del Nuovo Banco Ambrosiano, che aveva in sé una forte cultura del sociale. Quella cultura si è ancor più rafforzata ed estesa con la gestione dell’amministratore delegato Carlo Messina. Ma, andando più indietro nel tempo, ricordo che sotto la presidenza di Giordano Dell’Amore, Cariplo sostenne la ricostruzione nel secondo dopoguerra in tutta la Lombardia, finanziando la formazione professionale ma anche il sociale, con la costruzione di numerosi ospedali in tutta la regione».
Perché una grande banca che fa miliardi di profitti investe a fondo perduto nel sociale?
«Perché questo coincide con la visione dei suoi azionisti. Intesa Sanpaolo può impegnarsi nel sociale perché sa che gli azionisti che oggi rappresentano la maggioranza del suo capitale sociale non solleverebbero mai questioni, se una parte importante dei dividendi fosse destinata, come poi è stato, al sociale. Non dimentichiamoci che quegli 1,5 miliardi di euro di cui ha parlato Messina sono, di fatto, risorse sottratte agli azionisti. Ma evidentemente questi azionisti sono ben contenti se i finanziamenti elargiti dalla banca al sociale migliorano la qualità della vita delle nostre comunità».
Quali altre banche in Italia hanno una così spiccata attenzione al sociale?
«Ci sono banche che hanno costituito fondazioni dotate di capitale sociale relativamente modesto, ma nessuna raggiunge la mole di finanziamenti di Intesa Sanpaolo».
Chiudiamo con una battuta sugli ambienti della finanza italiani. Esiste ancora la distinzione tra finanza cattolica e finanza laica?
0 notes
Text
La Dolce Vita al mare: l'abbigliamento da spiaggia maschile italiano trasuda stile e raffinatezza
La costa italiana è rinomata per i suoi paesaggi mozzafiato, le affascinanti città di mare e, naturalmente, la sua ricca cultura culinaria. Ma c'è un altro aspetto dello stile di vita italiano che spesso passa inosservato: l'impeccabile senso di stile e raffinatezza che gli uomini italiani portano in spiaggia. L'abbigliamento da spiaggia maschile italiano riflette la loro innata sensibilità alla moda e l'amore per la bella vita. In questo articolo approfondiremo il mondo del beachwear maschile italiano, esplorando gli elementi chiave che lo contraddistinguono.
La Moda Italiana: un'eredità di stile L’Italia è da tempo un centro globale per la moda e la stessa passione per lo stile si estende alla sua cultura balneare. L'abbigliamento da spiaggia maschile italiano è molto più che semplici costumi da bagno; è una dichiarazione di gusto ed eleganza. Quando vedi uomini italiani in spiaggia, noterai che i loro abiti sono scelti meticolosamente, riflettendo un mix di design classico e contemporaneo. Camicie di lino, pantaloncini da bagno su misura e occhiali da sole firmati sono solo alcuni dei pezzi essenziali che compongono il loro abbigliamento da spiaggia.
Pantaloncini da bagno su misura: il beachwear per eccellenza Una delle caratteristiche più sorprendenti dell'abbigliamento da spiaggia maschile italiano sono i pantaloncini da bagno su misura. A differenza dei pantaloncini da surf generici e larghi, gli uomini italiani preferiscono i pantaloncini da bagno attillati e di buona fattura. Questi pantaloncini non solo offrono comfort e libertà di movimento ma accentuano anche il loro fisico. Sono disponibili in una varietà di modelli e colori, dalle stampe audaci alle classiche tinte unite, consentendo agli uomini di esprimere il proprio stile individuale.
Camicie in Lino e Tessuti Leggeri La scelta del tessuto è fondamentale quando si parla di beachwear italiano. Le camicie di lino sono un caposaldo della moda da spiaggia italiana, offrendo traspirabilità e comfort sotto il sole cocente. Queste camicie sono spesso indossate sbottonate sopra una semplice maglietta o possono essere lasciate aperte per mettere in risalto il petto tonico. La combinazione di pantaloncini da bagno su misura e camicie di lino crea un look da spiaggia disinvolto ed elegante, elegante e pratico.
Calzature: stile italiano dalla testa ai piedi Gli uomini italiani prestano attenzione ad ogni dettaglio del loro abbigliamento da spiaggia, e questo si estende alla scelta delle calzature. Mentre le infradito sono comuni in spiaggia, molti uomini italiani preferiscono sandali di cuoio, espadrillas o anche scarpe da barca. Questi non solo forniscono comfort e supporto, ma aggiungono anche un ulteriore livello di raffinatezza al loro completo da spiaggia.
Accessori firmati: il tocco finale Nessun look da spiaggia italiano è completo senza gli accessori giusti. Gli uomini italiani spesso sfoggiano occhiali da sole firmati, cappelli eleganti e orologi di qualità. Questi accessori non solo li proteggono dal sole, ma ne migliorano anche l'aspetto generale. Un fantastico paio di occhiali da sole può immediatamente fare una dichiarazione, mentre un classico cappello di paglia aggiunge un tocco di fascino antico.
Colori e motivi: abbracciare la versatilità Gli uomini italiani sono noti per le loro scelte di moda audaci e il loro abbigliamento da spiaggia non fa eccezione. Sebbene i classici neutri come il bianco, il blu scuro e il nero siano sempre in voga, li troverai anche che abbracciano motivi vivaci, strisce e motivi tropicali. Queste scelte audaci riflettono il loro spirito avventuroso e la gioia di vivere, catturando l'essenza dell'esperienza sulla spiaggia italiana.
Per maggiori informazioni :-
Abbigliamento mare uomo Italia
0 notes
Text
Sai che esistono i bambini delle fate, oramai la storia la sanno tutti. Beh non sono gli unici: da quando gli esseri umani si sono messi a sfruttare ogni essere vivente anche fino all'estinzione e la chiesa dava la caccia a magia e affini le creature fantastiche si sono dovute fingere estinte, fino a fare credere di non essere mai esistite. Ma sono tra noi e c è un periodo specifico in cui, in tutta fretta, devono cercare una coppia e usarla come genitori surrogati, naturalmente a loro insaputa, facendo nascere qualcuno che nell'aspetto è molto simile a un bambino ma dentro è diverso, a volte lo si sospetta, soprattutto il bambino stesso che si sente diverso e fatica a integrarsi con lingue ed usi e regole per lui innaturali. Purtroppo per la fretta non è possibile verificare prima che famiglia sarà ad accogliere il nuovo nato, importante è non estinguersi e proteggere il nascituro dalla loro triste sorte di rifugiati.. cercando un integrazione camaleontica (almeno fino a che la popolazione non sarà tutta per un quarto creatura o fino a che non verranno scoperti) fa si che la famiglia venga scelta velocemente ma la famiglia fantastica resta sempre con il bambino, lo osserva crescere e invecchiare, spesso anche morire prima di loro avendo perso l immortalità. Quando vedi un ombra, probabilmente è la famiglia che ti protegge.. a volte ti sembrano creature che per cultura chiameresti mostri ma sono solo sconosciuti e incompresi coperti di pregiudizi e stereotipi e credenze che non appartengono loro. Sono lì per te, perché ti amano, anche se per il tuo bene non possono interagire a volte l amore li spinge a rischiare di mostrarsi. Ognuno di noi viene da un gruppo/specie diverso .. chi da giganti che crescono lentamente nel cervello e velocemente nel corpo, chi da piccole antiche creature dell'ombra custodi del sapere che trascrivono continuamente, chi leggiadre e selvaggia creature legate agli elementi che amano danzare di nascosto a piedi nudi sotto la pioggia e chi schivi e silenziosi esseri che osservano cercando la direzione di casa in un posto dove nessuno sembra somigliargli. Ci sono bambini che sono qui per prendere informazioni, capire, studiare e riferire alle creature com'è vivere con gli umani o se fosse meglio cercare una vita più lontana perché ancora gli umani non sono pronti a convivere con la magia. Ci sono bambini che sono qui per aver cura del mondo, parlano con la voce di angeli e sono circondati da un aura color indaco. Ci sono bambini, che sono creature, e sono qui per essere amati e portare amore.
0 notes