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#credenze giapponesi
ladyswartzrot · 2 years
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🇮🇹 Oggi affronteremo un viaggio nel Giappone grazie ai racconti di Lafcadio Hearn ne "La festa dei morti e altri racconti giapponesi di magia" edito da Mimesis. Questo libro si apre con un introduzione che ci illustra la vita dell`autore, vissuto nella seconda metà dell`800, che portò nell'occidente una visione della cultura giapponese nuova e non influenzata da stereotipi. Come viene evidenziato nel libro e nel saggio incluso di Stefan Zweig, Lafcadio Hearn non guarda il mondo giapponese da lontano ma vi si immerge dentro.
La raccolta comprende i seguenti racconti:
- Al mercato dei morti
- Un karma passionale
- Suggerimento
- Ingwa-Banashi
- Una leggenda su Fungen-Bosatsu
- Furisodé
- La gratitudine del Samébito
- Storia di un Tengu
- Una storia di divinazione
- Frammento
- Jiu-Roku-Zakura
- Ubazakura
- A una stazione ferroviaria
- Riki-Baka
- La riconciliazione
- La storia di O-Tei
- La fanciulla del paravento
- Il ragazzo che disegnava gatti
- La bellezza é memoria
- Tristezza nella bellezza
- Uno specchio e una campana
- Un segreto dall'aldilà
- Ululati
- A Yaidzu
Questo libro è particolarmente affascinante perché non si limita soltanto ai racconti d'orrore, fantasmi e yokai ma usa questi espedienti per farci capire la morale e il pensiero spirituale del Giappone di quel periodo. Alcune credenze che ci vengono spiegate tramite i racconti di possessioni e amori passionali, persistono e vengono coltivate nella mente collettiva del Giappone moderno.
La lettura é scorrevole e i racconti sono corti, infatti il libro é di sole 207 pagine.
Nella libreria questo libro mi ha catturata per un immaginario pauroso in un ambiente piacevole trasmesso da una bella copertina, ma si é rivelato  tutto queto e di più per questo lo consiglio sopprattutto agli appassionati della cultura giapponese.
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partedianimafragile · 5 years
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Si dice che tutte le cose di questo mondo, gli uomini, gli animali, gli alberi, le rocce siano formate dall’insieme di quattro anime. Così dicono le scritture: esistono quattro spiriti, Ara mitama ( 荒御魂 ), Nigi Mitama ( 和御魂 ), Kushi Mitama ( 奇御魂 ) Saki Mitama (幸御魂) e l’Unione di questi quattro spiriti penetra la materia di tutte le cose costituendone l’animo. Aramitama governa il coraggio, Nigimitama l’affetto, Kushimitama la conoscenza e Sakimitama l’amore. Quando gli spiriti agiscono nel bene portano ad uno spirito probo, tanto che lo spirito probo rende l’animo delle persone buone e onesto. Se gli spiriti agiscono per malignità portano ad uno spirito empio. Dunque tanto le anime degli esseri umani quanto le anime dei demoni potranno risultare buone e probe oppure malvagie ed empie.
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dilebe06 · 2 years
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Tokyo Revengers
Mi erano mancati. Mi erano mancate la serie giapponesi, quelle belle introspettive e cariche di significati botte e sentimenti come solo in made in japan riescono a tirar fuori.
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Ora, vedere questo live action è stato un parto. Lo pedinavo dalla sua uscita l'anno scorso, stalkerando qualsiasi fansub lo volesse subbare in italiano. Ma nulla. Mesi, giorni, ore... niente. Nessuno che lo prendesse nemmeno in considerazione. Angosciante.
Dunque ho deciso di trovare il modo di vedermelo per i fatti miei e dopo 2 giorni di bestemmie, imprecazioni, santi tirati giù dal calendario, ce l'ho fatta!
Due premesse importanti del perché questo film e non altri:
Yuki Yamada
Risse da gang
Io amo alla follia Yuki Yamada: esteticamente e recitativamente è uno dei miei attori giapponesi preferiti. Come amo il genere di drama di gang e botte. Potevo dunque perdermi un film che, sulla carta, mi dava queste due cose?!
Non ho letto il manga di Tokyo Revengers e non ho visto l'anime, motivo per il quale mi sono approcciata alla visione da vera e propria neofita.
E mi è piaciuto un casino. Seriamente.
Perché Tokyo Revengers non è solo botte -alla High and Low per intenderci - ma ha una storia di base, ricca di eventi: salti nel tempo, linee temporali, divergenze... sono rimasta piacevolmente stupita del perfetto mixer tra risse senza senso e trama orizzontale molto profonda e così interessante. Volendo ti ci puoi fare pippe mentali per ore.
Bellissimo inoltre il concetto legato al personaggio di Mickey: il suo cadere nell'oscurità o rimanere nella "retta via", questione questa centrale e leitmotiv di tutta la storia e che il film porta su schermo, a mio parere, in maniera encomiabile.
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Oltre a ciò, temi quali l'amicizia o credere nei proprio sogni tornano prepotentemente per tutta la storia, insieme a introspezioni e profondità.
Davvero buoni poi tutti i personaggi e i loro attori: di Yuki c'è poco da dire perché è perfetto. Il suo compare Mikey - Yoshizawa Ryo - l'ho trovato credibile e davvero bravo. Come " bravo" è anche Mikey appunto: le sue credenze, il suo rapporto con Draken e la facilità con cui fa amicizia con Takemichi mostrano il lato più bello di questo personaggio.
Mi è anche piaciuto Kitamura nel ruolo di Takemichi: le smorfie e le sue espressioni mi hanno fatto ridere un sacco. Ma ovviamente c'è di più oltre la sua espressività. Takemichi è chiamato infatti a compiere una missione "quasi impossibile" e che si complicherà sempre di più andando avanti con la storia. E sia il suo personaggio che l'attore che lo interpreta credo abbiano fatto davvero un buon lavoro. Punto di merito poi per il fatto che Takemichi non sia un rissaiolo random che mena le mani solo per fare a gara a chi ce l'ha più grosso.
Unico punto su cui posso storcere il naso è la recitazione che in certe scene trovo terribilmente esagerata, quasi teatrale. Ma quella è una peculiarità delle serie giapponesi a cui ormai sono abituata.
Detto questo, non vedo l'ora di vedere anche altri film di questo prodotto: è chiaro - anche ad una neofita come me - che la storia è ben lungi dal finire.
VOTO: 8.2
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usagiinwonderland · 4 years
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⛩ROSSO NON È SOLO IL COLORE DELL'AMORE
♥️Quando pensiamo al rosso lo associamo in automatico all'amore e alla passione o a volte al male.
Chiunque è appassionato di Giappone si sarà reso subito conto che questo Paese trabocca di rosso: templi, ornamenti delle statue, colori delle statue...
Le associazioni a questo colore, 赤い “𝑎𝑘𝑎𝑖” in giapponese, risalgono ai tempi antichi.
👹Il rosso in Giappone è legato allo Shintoismo e al Buddhismo e ad alcune divinità della loro tradizione; infatti le loro statue vengono spesso adornate con vestiti rossi o pitturate di rosso (ad esempio, la bambola Daruma e i Niō).
Questo perché, secondo le credenze folcloristiche giapponesi, il rosso è in grado di scacciare i demoni e le malattie.
🔥Nel ᴘᴇʀɪᴏᴅᴏ ᴀsᴜᴋᴀ (522-645 d.c.) era abitudine attuare riti per purificare e per placare gli spiriti maligni. Queste cerimonie, incentrate sul Dio del fuoco (ᴋᴀɢᴜᴛsᴜᴄʜɪ), che è appunto una divinità rossa, servivano per purificare le terre e scacciare gli spiriti nel Nᴇ ɴᴏ Kᴜɴɪ ("la terra d'origine", una sorta di inferi della mitologia giapponese).
✨E ancora, la divinità del vaiolo (Hōsō Kᴀᴍɪ) è associata al rosso e se ne parla per la 1° volta nel Nɪʜᴏɴ Sʜᴏᴋɪ ("Annali del Giappone"), ma in realtà era presente in Giappone già prima. Ma perché questa associazione?🤔
Si pensava che se la pelle del malato diventasse viola, allora la situazione era grave, ma se la pelle era rossa il paziente si sarebbe ripreso. Nei secoli successivi, si consigliava di vestire i bambini malati di vaiolo con qualcosa di rosso, portando a credere che questo colore fosse legato alla guarigione, fertilità e parto.
E forse non è un caso che “neonato” in giapponese si dice 赤ちゃん (“𝑎𝑘𝑎𝑐ℎ𝑎𝑛”).
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daisyofthegalaxy · 6 years
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La tenerezza nel tornare a casa di nonna, nell'aprire i suoi cassetti e nel sistemare le sue cose. Io avrei voluto portarmi via tutto. In quella casa di ricordi, sempre più spoglia e vuota, ci sono ancora piccoli tesori provenienti da tutto il mondo e che nonna custodiva gelosamente. Nonno lavorava sulle navi e girava il mondo, quando tornava a casa dopo mesi di assenza portava regali da ogni posto visitato. Così ci sono decine di delicatissimi servizi da tè (dipinti a mano, giapponesi, cinesi..), bicchieri di bambù, statuine africane di legno e avorio, tazze di ogni genere e grandezza, ancora bicchieri e calici e coppe, ceramiche e cristalli, quadri, stampe. Metà dei mobili erano pieni di queste cose, l’altra metà invece erano pieni di una quantità industriale di camicie da notte e asciugamani che neanche 10 famiglie riuscirebbero a consumare e di cui nonna andava fierissima. I cassetti invece erano strabordanti dei lavori di nonna, che ha cucito fino all’ultimo: centrini, merlettini, tovaglie, ancora asciugamani ricamati, federe e lenzuola ricamate. Una vita intera stipata in armadi, credenze e cassetti e non è possibile conservare ogni cosa, neanche tutti i ricordi.
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jaysreviews · 7 years
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Negli anni ‘80 sono nati tanti videogiochi. Un genere molto in voga era quello dei platform oltre ai picchiaduro a scorrimento o competitivi. Una delle grandi saghe nate durante quegli anni era Castlevania: il racconto dell'eterna lotta del clan Belmont contro Dracula, il principe delle tenebre e re dei vampiri. Con la sua atmosfera gotica, il suo appeal horror ed il livello di sfida, la serie è entrata nei cuori dei giocatori. Ma oggi non parliamo del gioco, parliamo (nuovamente) di Netflix che ha aggiunto al suo catalogo una mini-serie anime sulla saga dei Belmont. La storia inizia mostrandoci gli eventi che hanno portato Dracula Tepes a decidere di attaccare l'umanità per poi seguire il protagonista della serie, Trevor Belmont, membro della rinomata casata ed eroe riluttante che gira la Valacchia, di paese in paese, tirando a campare. Questo finche non raggiunge un villaggio la cui popolazione è sotto assedio dalle creature della notte e incatenato dalla volontà di un ambizioso e spietato vescovo. Coinvolto dalla pacifica e saggia setta dei Parlatori, Trevor si troverà ad affrontare il male in forma demoniaca, in forma umana ed i demoni del suo passato. Nel caso non lo sapeste, Netflix oltre alle serie TV e ai film , produce anche anime (per i profani cartoni animati giapponesi). Castelvania rientra tra di essi ed è un prodotto molto piacevole da vedere con animazioni non sempre perfette ma di buona fattura. In fatto di trama è stato assoldato lo scrittore Warren Ellis, noto ai lettori di fumetti per i suoi lavori con Marvel, Image e altri. Bravissimo sia con le trame seriose e cupe, sia con la follia. Leggete Nextwave e avrete un'idea della pazzia che può raggiungere quest'uomo oppure leggete Global Frequency della Image per capire la genialità delle trame. La sua impronta è evidente in molte situazioni, dialoghi e soprattutto in quello che è il tema della lotta dall'oppressione dell'ignoranza perché il Re dei vampiri dopo il primo episodio passa in secondo piano per affrontare il vero “cattivo”: l'opprimente chiesa che crea terrore alimentandolo con credenze e bugie. I rappresentanti sono personaggi crudeli e ambiziosi che hanno portato Dracula ad opprimere la Valacchia e rappresentando una spina nel fianco della famiglia Belmont. Se da un lato vuole essere un modo di indicare che i veri demoni sono gli uomini e che spesso la religione viene usata come scusa per commettere le peggiori nefandezze (come la cronaca moderna ci insegna), a mio parere, dall'altro sposta molto l'obiettivo da quella che è la naturale trama della serie risultando una specie di racconto contro la chiesa. Un racconto comunque ben scritto, soprattutto il personaggio di Trevor, un vero e proprio “cazzone” interessato principalmente a se stesso, che si tiene lontano dai guai. Peccato che siano loro a trovarlo, sempre, costringendolo a far emergere il suo lato eroico. La serie si compone di quattro episodi che hanno il sapore di un prologo alla vera storia. Ora attendiamo che Netflix ci regali la seconda stagione, sperando che sia bella anche più della prima.
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Il primo volume di Raisekamika è stata una scoperta continua, una lettura piena di emozioni ed elementi tipicamente giapponesi che non mi sarei mai aspettata. Sono rimasta subito colpita da come Hajime Segawa sia riuscito ad unire leggende popolari, miti della creazione, credenze religiose e una storia d'azione ambientata ai giorni nostri. È una storia con un approfondito studio alle sue spalle e questo si vede non solo nello sviluppo della trama, ma anche nella caratterizzazione dei personaggi che, per chi conosce le leggende e i miti a cui si fa riferimento, risulteranno familiari. Anche i nomi non sono scelti a caso, come quello di Ise che, essendo collegata alla Dea del sole, si chiama come il santuario ad essa dedicato, appunto quello di Ise.⠀ È stato un piacere leggere questo primo volume, pieno di colpi di scena interessanti ed elementi che, sviluppati bene, potrebbero rendere la storia migliore e ancor più godibile di quanto non sia già.⠀ Sono molto curiosa di scoprire come si evolveranno le vicende nei prossimi volumi, ma intanto vi consiglio di recuperare questa serie perché merita davvero di essere letta, soprattutto se cercate qualcosa di profondamente giapponese! ⠀ La continuerò? Assolutamente si, che domande!⠀ ⠀ P.s. Se volete saperne di più trovate un articolo approfondito sul blog, link diretto in bio! ⠀ ⠀ #ticonsigliounmanga #recensionemanga #edizionistarcomics #manga #shounen #fumetto #giappone #consiglidilettura #mangabelli #italiainlettura #raisekamika #ライセカミカ #lettureincorso #stoleggendo #passioneperilibri #libriovunque #primeimpressioni #seriemanga #mangaconsigliati #leggodiverso #fumetti (presso Venice, Italy) https://www.instagram.com/p/ByzPj2OIrGc/?igshid=5b180u0i1yub
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crazy-pot-pourri · 7 years
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[Books] Detective Hanshichi  I misteri della città di Edo di Okamoto Kidō
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Titolo originale: The Curious Casebook of Inspector Hanshichi. Detective Stories of old Edo , basato sulla serie Hanshichi torimonochô Autore: Okamoto Kidō Prima edizione: selezione di racconti della serie del detective Hanshichi, scritti tra il 1917 e il 1937, a cura di Ian MacDonald per University of Hawai’i Press, 2007 Edizione italiana: Traduzione di Pietro Ferrari (Milano, O barra O edizioni, 2012)
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Presentazione dell'editore: Nell'antica città Edo, la Tokyo feudale dello shogunato Tokugawa, il detective Hanshichi indaga su crimini e fatti inconsueti: il fantasma di una donna affogata tormenta una giovane signora; un attore muore sul palcoscenico in una versione troppo realistica di un classico del teatro kabuki; due loschi samurai ordiscono una vendetta; una campana anti-incendi suona inspiegabilmente notte dopo notte; una danzatrice giace morta sul suo tatami, la gola stretta da un serpentello... Il rude e ironico Hanshichi conduce le sue ricerche con profondo realismo e sottile intuito, sfatando credenze e superstizioni ancora fortemente radicate nelle persone del suo tempo. Pubblicate per la prima volta in Italia, le avventure di Hanshichi restituiscono un vivido affresco della vita cittadina nel Giappone di fine ‘800: i vicoli, le case da tè e di piacere, i bagni pubblici, le dimore dei samurai e le cerimonie conviviali. L'autore tratteggia un mondo ormai tramontato con un vigore e una misura squisitamente giapponesi.
L'autore: Okamoto Kidō (Tokyo, 1872-1939) considerato il maggior rappresentante del Nuovo Teatro Kabuki, fu il primo drammaturgo a essere ammesso nel 1937 all’Accademia Imperiale delle Arti. La conoscenza della lingua inglese gli permise di leggere //Le avventure di Sherlock Holmes//, da cui trasse lo spunto per la figura del detective Hanshichi grazie al quale è oggi riconosciuto come il fondatore del romanzo poliziesco in Giappone. In virtù del successo ottenuto, i suoi racconti gialli (scritti fra il 1917 e il 1937) sono stati adattati per la radio, la televisione, il cinema e tradotti in inglese e cinese. Tuttora vengono di continuo ristampati.
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Il lavoro del detective, si potrebbe dire, è una commedia degli errori.
La narrativa poliziesca giapponese d'inizio Novecento ha in Okamoto Kidō uno dei suoi esponenti di maggior spicco. L'autore, conosciuto anche per il suo lavoro come corrispondente di guerra, critico teatrale e drammaturgo, è sicuramente in debito nei confronti dell'Occidente e di scrittori come Arthur Conan Doyle, ma ha saputo traslare la lezione del padre di Sherlock Holmes in un contesto del tutto giapponese, dando un nuovo punto di riferimento autoctono ad un genere, che pur avendo illustri predecessori anche nel Paese del Sol Levante, era visto come qualcosa essenzialmente di importazione estera. I racconti con protagonista il detective Hanshichi, pubblicati a partire dal 1917 su Bungei kurabu ("Club letterario"), sono ambientati intorno alla metà del XIX secolo, quando la città di Tokyo ancora era conosciuta con il nome di Edo. Si potrebbero definire come dei "racconti nel racconto": abbiamo infatti un giovane narratore che ha conosciuto Hanshichi ormai anziano e in pensione; incuriosito da quanto sentito su di lui, coglie l'occasione di visite di cortesia, soprattutto per festività e ricorrenze varie, per farsi raccontare dall'investigatore alcuni degli "exploit" nella sua carriera.
Hanshichi era una figura di grande prestigio nel mondo dei custodi della legge. Una rarità nella sua professione, un onesto figlio di Edo senza pretese, su cui nessuno aveva mai mormorato una parola cattiva. Sempre attento a non abusare della sua autorità per tormentare i deboli dietro lo schermo degli incarichi ufficiali, trattava chiunque con la massima cortesia. (...) Ci sono molte altre sue avventure che lascerebbero la gente stupefatta e ammirata, perché egli fu uno Scherlock Holmes mai celebrato del periodo Edo.
In questo modo, il risultato è una sorta di torimonochō con i principali casi affrontati del detective.
«Che cos’è un torimonochō, domandate?» cominciò Hanshichi come per un’introduzione. «Bene, dopo avere ascoltato un rapporto da uno di noi investigatori, il capo ispettore o il sostituto magistrato incaricato del caso riferiva le informazioni all’Ufficio del magistrato cittadino, 1 dove un segretario annotava tutto in un libro mastro. Questo era quello che noi chiamavamo un torimonochō, un registro dei casi.(..)»
Questo volume, Detective Hanshichi - I misteri della città di Edo, si muove sulla scia della selezione fatta da Ian MacDonald per The Curious Casebook of Inspector Hanshichi. Detective Stories of old Edo del 2007. Nello specifico, abbiamo: - IL FANTASMA DI OFUMI (OFUMI NO TAMASHI) - LA LANTERNA DI PIETRA (ISHI-DŌRŌ) - LA MORTE DI KAMPEI (KAMPEI NO SHI) - LA STANZA SOPRA I BAGNI (YŪYA NO NIKAI) - LA MALEDIZIONE DELLA DANZATRICE (OBAKE SHISHŌ) - IL MISTERO DELLA CAMPANA ANTI-INCENDI (HANSHŌ NO KAI) - LA DAMA DI COMPAGNIA (OKU JOCHŪ) Dalla sua, Hanshichi non ha solo grandi capacità deduttive, ma anche una profonda conoscenza dell'animo umano che gli permette di capire immediatamente chi ha di fronte e come ottenere informazioni e/o confessioni. Spesso e volentieri alle indagini di Hanshichi si mescolano elementi soprannaturali: non è raro, infatti, che il detective sia chiamato ad investigare su fatti inspiegabili, per cui c'è chi chiama in causa spiriti di defunti o altre entità. Pur non pronunciandosi mai apertamente contro queste credenze, il poliziotto finisce sempre per ricondurre ad una mano umana la responsabilità dei delitti. Mentre si procede alla ricerca della soluzione del caso, il lettore viene nel contempo trasportato all'interno di una vivida rappresentazione della Edo di qualche decennio prima. Non mancano, infatti, digressioni che permettono di ricostruire gli usi, i costumi e più in generale l'atmosfera di quegli anni. La formazione teatrale di Kidō fa frequentemente capolino, attraverso citazioni e persino come fonte di ispirazione per i criminali. In questo modo, la ricostruzione storica e i riferimenti culturali e folkloristici rendono Hanshichi torimonochô qualcosa che va oltre la semplice letteratura di genere, divenendo una vera e propria testimonianza di un'epoca. Davvero ricca ed interessante l'introduzione di Ian MacDonald che apre il volume con un'approfondita contestualizzazione dell'opera e del suo autore. Non mancano nemmeno numerose note esplicative alla fine di ogni capitolo, ad impreziosire editorialmente il libro. Probabilmente nessuna presentazione dell'opera è più efficace di quella fatta da Giuliana Lusso su I Quaderni asiatici: "È un vero peccato che la letteratura popolare sia scarsamente frequentata dalla critica letteraria, che spesso si limita a criticarne la serialità ed i cliché trascurando gli elementi di interesse; la sua larga diffusione invece consente di aprire scorci sull'immaginario ed i gusti della platea dei lettori che intendeva avvincere ed emozionare. Raramente inserito nelle antologie o ricordato nei manuali di letteratura giapponese, Okamoto (1872-1939) è stato un personaggio rappresentativo del suo tempo: fu educato presso l'ambiente britannico di Tokyo e divenne giornalista lavorando sia come corrispondente di guerra (durante la Guerra sino-giapponese, 1894-5) sia, soprattutto, in qualità di redattore e critico teatrale. Era affascinato dalla vita nel periodo Edo (1603-1868), che conobbe unicamente tramite libri e stampe, e la scelse come ambientazione per numerosi drammi Shin Kabuki e per i suoi racconti. I più celebri hanno per protagonista il detective Hanshichi e sono ben 69, pubblicati fra il 1917 ed il 1937;(...)  I racconti sono inseriti in una doppia cornice narrativa: Hanshichi, ormai in pensione, racconta i casi più insoliti che gli siano capitati all'autore ancora ragazzo, il quale li ri-narra ai lettori a distanza di anni: questo scartamento temporale molteplice consente a Okamoto di trasportare i lettori nel tardo periodo Edo attraverso una fuga prospettica, e di passare da un piano temporale all'altro giocando con un velo di nostalgia o, più spesso, con il distacco smaliziato dell'ironia. Agli occhi di Hanshichi narratore infatti la facilità con la quale le persone coinvolte nei casi fanno ricorso al soprannaturale sconfina nella credulità; il detective al contrario cerca prove concrete, moventi umani, ricostruisce dinamiche che nulla hanno di fantastico. Okamoto ripropone lo schema del giallo deduttivo classico giunto in Giappone nei primi anni del Novecento: delitto – indagine – soluzione (una struttura che ricostruisce tramite la deduzione logica l' ordine messo in crisi dal crimine) trasponendolo nella realtà della vecchia capitale, alla quale dedica molte intense immagini. Come nei romanzi di Maigret, è l'ambiente ancor più della storia ad irretire il lettore. La vecchia Edo di Okamoto è una città di legno e carta, nei cui vicoli si consumano passioni e tragedie della gente comune come della nobiltà; con brevi tratti di pennello, fra un sopralluogo ed un interrogatorio, trapelano la luce particolare di un tramonto, lo sgomento per una fioritura di ciliegi già trascorsa, il colore del cielo intravisto fra le gronde delle case. La luce soffusa e gentile in cui è avvolta, nonostante i drammi che vi hanno luogo, lascia il dubbio che si tratti di un rifugio dell'immaginazione dal disagio della modernità in cui autore e lettori era immersi – una modernità alla quale però non avrebbero realisticamente rinunciato. Le postfazioni di Pietro Ferrari in coda ai due volumi approfondiscono il ricorso ad immagini evocative che caratterizza la prosa di Okamoto e le ricche interazioni fra le cornici temporali; l'introduzione di Jan MacDonald, nel primo volume, fornisce interessanti coordinate per inquadrare autore ed opera entro il contesto storico e letterario del tempo." Giuliana Lusso, dicembre 2012 I Quaderni asiatici, 14/01/2013
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/12/28/enodiomanzia-nella-magia-popolare-salentina/
Il rituale della “Santa Monica” nella magia popolare salentina
Divinazioni ai crocicchi e valenza magica dei crocevia. Il rituale della “Santa Monica” e altre forme di enodiomanzia nella magia popolare salentina
  di Gianfranco Mele
  L’ antica pratica della divinazione agli incroci ha sviluppato nel tempo e nei diversi luoghi ove è stata esercitata, numerose varianti, conservando sempre la caratteristica dell’essere attivata presso un trivio o un quadrivio.
Il crocicchio ha sempre avuto una valenza magica, e anticamente si erigevano in questi luoghi colonne (Enòdi) dedicati ad Ecate o a Hermes o ai Lari o ad altre divinità e semidivinità pagane. Queste colonne sono state sostituite poi dai pilastri degli Osanna (dial. Sannài), le popolari colonne salentine sormontate da una croce, edificati anch’essi ai crocevia, e da edicole votive dedicate a santi e madonne, come nel caso della edicola di “Fra Sciannibuli” di Sava della quale parleremo più avanti.
Ecate Trivia
  I crocevia sono anche luoghi elettivi per gli incontri delle congreghe dei masciàri e, in provincia di Taranto, finanche dei balli delle tarantate, prima dell’avvento del rituale domiciliare.
Nel caso del rito della Santa Monica siamo in presenza di un culto divinatorio di origini pagane, poi cristianizzato. Del paganesimo, il rituale della Santa Monica conserva le caratteristiche di una antica forma mantica denominata Enodiomanzia. Un elemento peculiare e di stretta derivazione dagli antichi riti divinatori è il crocevia utilizzato come luogo d’elezione per lo svolgimento della mantica.
Il rituale della Santa Monica si svolgeva alla mezzanotte, appunto ad un crocevia (un trivio o un quadrivio) rivolgendo una invocazione alla santa e osservando, per l’ottenimento del responso, ciò che accadeva intorno: l’attraversamento di una persona o di un animale, un verso, un rumore, un suono dovevano essere interpretati come significati in relazione con l’oggetto della domanda.
Il rituale era destinato ad ottenere notizie dei propri cari partiti in guerra, ma anche per ottenere risposte a domande intorno ad eventi ed aspetti fatidici della vita (riuscita di un matrimonio, di una particolare impresa, notizie sull’amato o sulla sua corresponsione del sentimento, ecc) .
Nella sua forma cristianizzata, questo antico rito mantico è dedicato a Santa Monica in quanto questa donna aveva fatto il voto di non abbandonare il suo figlio primogenito, nonostante le sue continue fughe lontano da casa, e perciò si metteva costantemente alla sua ricerca.
A seguire, l’orazione del rito della santa Monica:
  Santa Monica pietosa, Santa Monica lacrimosa;
a Roma scisti, ti Napuli turnasti
trentatrè scalini ‘nchianàsti, trentatrè ni scinnìsti :
nutìzi ti lu fiju tua nnucìsti.
Comu nnucisti nutìzi ti lu fiju tua,
ccussì nnuci nutizi ti lu fiju mia.
  una rappresentazione di Santa Monica (affresco di Benozzo Gozzoli
  Anche nel medioevo si diffonde l’usanza di erigere edicole votive in prossimità dei crocicchi, usanza mutuata dai larari pagani e dai pilastri votivi in onore di varie divinità, che si perpetra poi anche nei secoli a seguire, sino ai primi del ‘900. Queste edicole hanno la duplice funzione di essere relazionate a particolari accadimenti come miracoli, guerre, epidemie, cataclismi e avvenimenti religiosi eccezionali, e di costituire luogo di “visita” non solo per voti, preghiere e suppliche, ma anche a scopo predittivo-oracolare. Anche in questa ultima accezione le edicole votive cristiane prendono il posto degli antichi monumenti dedicati alle divinità pagane.
Sia Diana che Ecate erano divinità protettrici delle strade e dei crocicchi: verosimilmente, per questo motivo ad entrambe era dato l’appellativo di Trivia. In loro onore venivano edificate edicole, in prossimità appunto degli incroci delle vie. Divinità lunare, Diana-Artemide illuminava di notte le strade con la luce della luna, e per questo motivo era considerata anche protettrice dei viandanti e delle partenze.
Greci e Romani innalzavano lungo le pubbliche strade colonne e pilastri in pietra, sui quali erano scolpite le teste di divinità come Mercurio, Apollo, Ercole, Diana, e che fungevano da custodi e protettori delle vie. A questi usavano porgere sacrifici e voti prima di intraprendere viaggi. Diana fu detta anche Enodia e, come si è detto, insieme ad Ecate godette anche dell’appellativo di Trivia, “perchè né trivii e quadrivii additava all’incerto viandante la via” .
Man mano il ruolo delle divinità pagane viene sostituito da quelle cristiane, che tuttavia assolvono alle stesse funzioni.
Sava – Edicola votiva Madonna di Fra Sciannibul
  A Sava, presso il trivio Sava-Lizzano_Torricella, esiste una edicola detta “di Fra Sciannibuli”, eretta intorno alla metà del XIX sec. da un frate detto appunto Sciannibuli , dedicata al culto della locale Madonna di Pasano e situata nell’ambito di un itinerario devozionale che da Sava, giunge alla contrada Pasano (Sciannìbuli, o Sciannìpuli, nel dialetto salentino sta per Ginepro, e difatti sulla edicola fu posta una iscrizione in latino, che spiegava che l’edicola era stata eretta a devozione, da “Frater Iuniperus Alcantarinus”: il frate, riteneva di essere stato miracolato e di aver riacquistato grazie alla Madonna l’uso delle gambe).
Una singolare caratteristica dell’edicola della Madonna di Fra Sciannibuli è di essere stata meta, sin dal suo apparire e specialmente ai tempi delle guerre, dei pellegrinaggi dei soldati in partenza in cerca di protezione per il loro destino e al tempo stesso di interrogazione su di esso, come dei parenti di militari e viaggiatori desiderosi sia di proteggere e pregare per il destino dei propri cari, che di conoscere notizie circa gli accadimenti sul fronte.
Questa singolare tradizione è sopravvissuta in realtà fino ai giorni nostri, tanto che anche io ne sono stato fatto partecipe: quando negli anni ’80, infatti, mi accingevo a partire per la chiamata di Leva, delle anziane parenti mi raccomandarono di andare a fermarmi in contemplazione davanti alla Cappella di Fra Sciannibuli e rivolgere alla statua di quella Madonna una preghiera e raccomandarmi ad essa, “perchè così si fa”.
Da notare l’analogia tra la tradizione savese del recarsi verso l’ Edicola prima di intraprendere la partenza militare, e quindi le funzioni di protezione e supporto della Madonna nei confronti del soldato che si appresta ad un viaggio particolarmente carico di emotività e di incognito rispetto al futuro, e quella degli Enodii protettori, appunto, del viaggiatore. La tradizione del recarsi presso l’ Edicola della Madonna connessa alle partenze militari (ovvero per avere notizie dei parenti partiti in guerra o, da parte degli stessi soldati, come augurio/protezione/divinazione per la partenza verso il servizio di Leva o verso imprese di guerra) ha un suo corrispettivo in antiche – ma anche più recenti – tradizioni oracolari e divinatorie, a partire dagli antichi culti oracolari greci e romani, nei quali sono istituiti importanti centri di consultazione rispetto ad ogni aspetto importante e fatidico della vita individuale e sociale, tra cui le imprese di guerra, fino alla tradizione molto presente e sentita in Puglia della già citata Santa Monica.
  Monacizzo – Colonna dell’ Osanna
    BIBLIOGRAFIA
Salvatore Costanza, La divinazione greco-romana. Dizionario delle mantiche: metodi, testi e protagonisti, Forum Edizioni, 2009
Giuseppe Gigli, Il ballo della tarantola. In “Superstizioni, pregiudizi, credenze e fiabe popolari in Terra d’Otranto” Firenze 1893
Marco Aurelio Marchi, Dizionario tecnico-etimologico-filologico, Tomo I, Milano, Pirola, 1828
Elsa Silvestri, Le tracce del sacro, University Press Bologna, 1997
A.A.V.V., Biografia Universale Antica e Moderna. Parte Mitologica ossia storia, per ordine d’alfabeto, dei personaggi eroici e delle deità greche, italiche, egizie, indiane, giapponesi, scandinave, celtiche, messicane ecc., Vol. I, Venezia, Missaglia, 1833
Gianfranco Mele, Elementi di magia popolare nel mondo contadino del Salento e della Puglia, Cultura Salentina – Rivista di pensiero e cultura meridionale, luglio 2015
Antonio Bazzarrini, Dizionario Enciclopedico delle Scienze, Lettere ed Arti – Vol. II Venezia, Andreola, 1830
Antonio Basile, Momenti di religiosità popolare nel Salento: le edicole votive, in “Sallentum Rivista quadrimestrale di cultura e attività salentina”, Anno V, n. 1, Genn-Apr. 1982, EPT Lecce – Ed. Salentina – Galatina
Stefania Baldinotti, Oltre la soglia smarrimento e conquista. Culti e depositi votivi alle porte nel mondo italico, tesi di laurea in Archeologia, Università degli studi di Roma, 2007
Gerhard Rholfs, Vocabolario dei dialetti salentini, Congedo Ed., 1976.
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purpleavenuecupcake · 7 years
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Giappone, indenne dall'islamismo e dagli attentati terroristici, scopriamo perchè
Anno 2011 l’ISIS prende piede e il numero delle vittime degli attacchi di matrice islamica è cresciuto sensibilmente, assieme alla quota di Musulmani nel terrorismo mondiale che è sempre più in costante avvicinamento al 100%. Secondo il Dipartimento di Stato Statunitense, più di 10000 attacchi di origine terrorista è avvenuto in tutto il mondo, provocando più di 21000 morti e più di 40000 feriti. In aggiunta, più di 3500 persone sono scomparse o sono state prese in ostaggio. Il  32%, degli attacchi sono stati per mano di tre gruppi terroristici musulmani, i Talebani, ISIS e Boko Haram,  ritenuti responsabili di più di 6000 morti, circa il 31.76 percento. Quanto detto per far notare che nessun Paese del mondo è indenne dalla minaccia terroristica. Anzi no. A dir la verità esiste uno che inconsapevolmente ha attuato nel corso degli anni, la "migliore arma", contro il radicalismo islamico. Ha attuato da subito una politica restrittiva verso i musulmani. I giapponesi non parlano mai male dei musulmani e i musulmani altrettanto, stringono solo affari commerciali con i Paesi arabi per le risorse energetiche tipo gas e petrolio. Ovviamente, si penserà che il Giappone ha raggiunto questo risultato con politiche d’integrazione super efficaci, attraverso l’utilizzo delle più avanzate tecnologie ed assegnando miliardi di yen nella costruzione di centinaia di moschee e di scuole islamiche in tutto il territorio nazionale, vietando il maiale nei luoghi pubblici, introducendo ore separate per maschi e femmine nelle piscine, con i dottori maschili che non osano toccare i genitali delle loro pazienti, le donne musulmane che ottengono un immenso aiuto sociale ogni volta che hanno un figlio, i tribunali della Sharia introdotti nel sistema giudiziario giapponese ed, infine, il Corano che viene considerato come un testo sacro. Niente di tutto questo. La soluzione è  semplice ed efficace, visti i risultati. Il Giappone è semplicemente chiuso ai musulmani, il numero di permessi date alle persone provenienti dai Paesi islamici è infinitamente basso. Ottenere un visto di lavoro non è facile per un musulmano, anche se si è un super professionista.  Il risultato? Il Giappone è un “Paese senza musulmani”. Non c’è una stima precisa della popolazione musulmana. Secondo la dichiarazione dell’ex presidente dell’Associazione Islamica Giapponese Abu Bakr Morimoto “solo un migliaio".  Uno dei leader della comunità Islamica in Giappone, Nur Ad – Din Mori ha detto che il rapporto è uno su centomila. Attualmente la popolazione Giapponese è di 130 milioni e quindi, se le risposte dei due leader Islamici sono corrette, dovrebbero esseri circa 1300 musulmani. Ufficialmente il Giappone vieta di esortare le persone ad adottare la religione dell’Islam, e qualsiasi musulmano che incoraggi ciò è visto come proselite di una cultura straniera indesiderabile. I promotori, per l’appunto, che sono troppo attivi rischiano la deportazione e, qualche volta, dure condanne di carcere. La lingua araba è insegnata in pochissimi istituti accademici: se ne può trovare, infatti, soltanto uno, l’Istituto Arabo Islamico a Tokyo. Inoltre l’università internazionale, sempre nella Capitale, non offre corsi di arabo. Importare il Corano in Arabo è praticamente impossibile, ed è permesso solo la versione adattata in Giapponese. Fino a poco tempo fa, c’erano solo due moschee in Giappone: la Tokyo Jama Masjid e la moschea di Kobe. Ora, il numero totale di siti di preghiera è contato in circa trenta moschee a piano singolo ed un centinaio di stanze d’appartamento stanziati per le preghiere, e la società giapponese si aspetta, appunto, che tali persone preghino nelle loro case: non esiste, infatti, alcuna preghiera collettiva nelle strade o nelle piazze, e chi lo fa può ottenere delle multe molto “salate” o, in quei casi in cui la polizia giapponese ritiene seri, espellere dal Paese i partecipanti. Dal punto di vista lavorativo, le aziende giapponesi in cerca di lavoratori stranieri fanno espressamente notare che non sono interessati ai musulmani. Non esiste alcuna traccia di Sharia, ed il cibo Halal è estremamente difficile da trovare. La popolazione, in generale, tende a percepire l’Islam come una “religione strana e pericolosa” che un vero cittadino giapponese dovrebbe evitare, e gli omicidi avvenuti ad inizio anno dei due connazionali Haruna Yukawa and Kenji Goto per mano dell’ISIS non ha certamente migliorato la situazione. La cosa più interessante, di tutto ciò, e che i giapponesi non si sentono in colpa per un approccio così “discriminatorio” all’Islam, e che non dovrebbero chiedere scusa ad alcuno per il modo negativo in cui percepiscono tale religione. Certamente fanno trattati economici, come detto, con gli arabi per il gas ed il petrolio, questo sì, e mantengono buone relazioni con gli esportatori medesimi, ma non con l’islam, e neanche con l’immigrazione musulmana. E, cosa strana, i musulmani in Giappone non provocano rivolte, non marchiano i giapponesi come “razzisti”, non bruciano macchine, spaccano finestre, tagliano le teste dei soldati per essere stati in Afghanistan, Iraq o in qualunque altro posto sulla Terra – e non c’è stato un singolo giapponese vittima di un attacco terrorista sul proprio suolo nazionale negli ultimi  30 anni. Perchè  l'ostilità verso l'Islam in Giappone? I giapponesi tendono a generalizzare le considerazioni sull'Islam, considerando i musulmani dei fondamentalisti che non riescono a liberarsi dalle visioni tradizionaliste e adottare sistemi di vita moderni. L'Islam in Giappone è considerato una religione sospetta, da cui tenersi alla lontana. La maggior parte dei giapponesi non ha affiliazione religiosa, benché i membri delle alte sfere del paese si conformino a pratiche religiose scintoiste e buddiste. In Giappone, la religione è legata ai principi nazionali, con dei pregiudizi sugli stranieri, in particolare cinesi, coreani, malaysiani, indonesiani e in fondo anche sugli occidentali. Alcuni definiscono questo atteggiamento una "consapevolezza nazionale sviluppata", mentre altri lo considerano una forma di razzismo—in entrambi i casi non ci si sbaglia di molto. I giapponesi non riconoscono il monoteismo né la fede in una divinità astratta, forse perché il loro mondo di idee è legato alla materia, non alle credenze e ai sentimenti. Sembra anche che associno il giudaismo all'Islam. Il Cristianesimo, per contro, non è percepito negativamente, probabilmente per l'immagine di Gesù che è considerata allo stesso modo dell'immagine di Buddha. Ciò che è ancora più interessante è il fatto che i giapponesi non ritengono di doversi scusare per le relazioni negative con l'Islam. In Giappone non ci sono, come in altri Paesi, organizzazioni per i "diritti umani" che operano come agenzie di supporto ai musulmani contro la posizione del governo. In Giappone non ci sono organizzazioni malavitose che trafficano in clandestini illegali per guadagnare qualche yen, e non c'è quasi nessuno che dia aiuto legale agli immigrati musulmani per far avere loro il permesso di soggiorno, la residenza o la cittadinanza. Un altro elemento che previene l'immigrazione islamica in Giappone è l'atteggiamento dei giapponesi nei confronti dei lavoratori stranieri, che non sono bene accetti perché rubano il lavoro ai giapponesi. Il consenso sociale e politico contro l'immigrazione islamica ha creato una cortina di ferro attorno al Giappone che i musulmani non riescono a valicare e che previene qualsiasi critica internazionale, poiché nessuno in Giappone si convincerebbe ad aprire le porte del paese all'immigrazione islamica. Forse poteva essere una soluzione per tutti. In Europa oggi è troppo tardi e presto la popolazione che professa la religione musulmana supererà quella delle altri religioni........immaginate cosa potrebbe accadere!  Non mettiamo la testa sotto la sabbia, come è stato fino ad ora.   di Massimiliano D'Elia   Click to Post
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dilebe06 · 4 years
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Watashitachi Wa Douka Shiteiru
C’è qualcosa di sbagliato in me
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Drama giapponese da 8 puntate - reperibile sul forum delle Sakura Koen - ho trovato questa serie una piccola perla.
Lontano dai soliti dramma adolescenziali tipici dei drama giapponesi, quelli con relazioni tra adulti che paiono due sedicenni alla prima cotta o scene tamarre sparate ovunque o ancora quella recitazione troppo teatrale... Watashitachi è una serie “seria”: relazioni, conflitti, personaggi, eventi.
Partendo già dalla trama:
Nao ha 5 anni e insieme a sua madre vive nel Kogetsuan, una pasticceria tradizionale di dolci giapponesi poichè sua madre lavora lì come artigiana di dolci. La bambina è dolce, malaticcia e riservata e solo l’amore della madre e l’amicizia con Tsubaki, figlio del Maestro Pasticciere e boss di tutta la baracca, da alla bambina gioie e felicità. Tsubaki e Nao passano le ore a creare dolci insieme e instaurano presto un ottimo rapporto di amicizia. Rapporto che si rompe quando il padre di Tsubaki viene trovato morto ed il bambino sentito come testimone dalla polizia, indica la madre di Nao come l’assassino di suo padre.
La madre viene arrestata e Nao sbattuta fuori dalla casa. ‘sta bambina ha 5 anni e nessun parente in vita
Passano 15 anni e Nao adesso adulta continua a fare dolci come le ha insegnato suo madre, ma non riesce a dimenticare ciò che è accaduto anni prima: lei è sicurissima che sua madre è innocente. Nemmeno il mondo intorno a lei le fa dimenticare questo dolore poichè viene continuamente licenziata quando ai suoi capi giungono e-mail anonime che rivelano che Nao è la figlia di un assassina.
Disperata e colma di odio verso Tsubaki e il Kogetsuan, accetta di partecipare ad una competizione di dolci contro il ragazzo rivedendolo finalmente dopo 15 anni. Lei lo riconosce subito...lui no. e te pareva
La sfida viene vinta da Tsubaki che, senza averle mai rivolto mezza parola durante tutto il giorno, la ferma in giardino una volta finita la gara, e le chiede di sposarlo. E Nao accetta. alzo le mani
[Pensiero profondo della giornata: ma perchè in questi drama la gente chiede ad altra gente di sposarla random?! Perchè a me non succede mai?]
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Il piano di Nao è così formato: sposerà Tsubaki cosi entrerà al Kogetsuan e potrà indagare sulla morte del Maestro 15 anni prima e scagionare sua madre dall’accusa. 
Ovviamente leggendo la trama si annusa profumo di dramma a livelli atomici: tra bugie, segreti, omicidi, indagini, Watashitachi mette in piedi una storia coinvolgente piena di colpi di scena che non annoia mai. In 8 episodi riesce a concentrare una marea di cose, portando lo spettatore a rimanere incollato allo schermo per sapere come andrà la vicenda: Tsubaki scoprirà che Nao è la bambina di 15 anni prima? chi manda le email ai capi di Nao? chi ha ucciso il Maestro? e perchè?
Altra cosa: l’ambientazione e oggetti di scena. Watashitachi si basa sulla tradizione. C’è così tanta tradizione che i protagonisti girano in kimono e per tutta la serie ho avuto l’impressione di star vedendo un drama ambientato secoli prima. E devo dire che mi è piaciuta come scelta: così facendo la storia assume una connotazione quasi poetica. Il  Kogetsuan e la casa padronale sono ambienti tipici giapponesi e questa “antichità” si riflette anche nei comportamenti e credenze dei suoi abitanti. 
Come tipici sono i dolci presentati e la loro preparazione. Ammetto che più di una volta ne avrei voluto assaggiare qualcuno perchè sembravano particolarmente buoni.. 😏 Inoltre ognuno di loro ha una sua spiegazione - molto poetica devo dire - ed un suo specifico significato.
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Ottima scelta anche il voler usare la fotografia per “dire” qualcosa: le inquadrature inquietanti, l’uso della luce, l’attenzione al dettaglio...mi ha ricordato il drama del Fratelli Karamazov. 
Infine due parole sui personaggi: ammetto che ho amato tantissimo Tsubaki ed ho empatizzato moltissimo per lui. Chiaramente il fatto di aver chiesto la mano di una tizia random per strada fa intendere subito che non abbia tutti i venerdì al posto giusto... 😐 ma io l’ho adorato anche per questo. Comunque sia i personaggi sono credibili così come le loro motivazioni e azioni. 
Mi è anche piaciuta un sacco la relazione tra Nao e Tsubaki: complessa, travagliata, credibile e vera. Li ho shippati un sacco lo ammetto. 😍
Le uniche tre pecche che mi sento di citare - diciamo così ma in realtà sono cose minori nella totalità della serie - sono:
- La recitazione della madre di Tsubaki brividi
- La risoluzione finale
- La gentilezza ed buon cuore della lead.
Ma nel complesso questo non ferma il fatto che questo drama sia sicuramente da vedere!
Voto: 8.3
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Parliamo della risoluzione di tutti i misteri: ad uccidere il padre di Tsubaki è stato nientepopòdimeno che il fratellastro del lead di questa storia, innamorato in passato della madre di Nao ma non abbastanza innamorato da non mandarla in carcere al posto suo e poi di Nao stessa. Che è anche sua cognata. 
Ora, io ero così presa dalla storia che in realtà se non ci avesse fatto riflettere @ili91-efp​ probabilmente non mi ci sarei soffermata neanche. Anche perchè la cosa che mi interessava veramente era il rapporto tra Nao e Tsubaki più che il mistero dell’omicidio. 
Ma @ili91-efp​ ha ragione: è decisamente troppo ed anche contorto. Se posso passare sopra alle varie relazioni amorose della madre di Tsubaki perchè la signora è un pò uno “spirito libero”......c’era bisogno di rendere il ragazzo innamorato di Nao? Pure lui? Oppure innamorato della madre di Nao? la storia avrebbe funzionato anche senza questa cotta, perchè il motivo della morte del padre di Tsubaki non è la gelosia per la relazione dell’uomo con la madre di Nao... Mah...per me qui hanno un pò esagerato.
Però devo ammettere che è stato abbastanza imprevedibile. Io ero convinta che ad ucciderlo fosse stata la madre di Tsubaki. 😂 
NOTE SPARSE:
- Ad una certa mi sono resa conto che in casa questi tizi giravano per le stanze con il lumicino. Il lumicino. La candela praticamente. 😂 Ok fa atmosfera e tutto quello che ti pare, ma...non ti stupire poi se prende fuoco la casa. 
- Ho pianto un sacco per la storyline del Nonno e di Tsubaki. Il vecchio che si rifiutava di mangiare i dolci del nipote perchè non era il suo vero nipote e...mi fermo che sennò piango di nuovo. 😥
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Il primo volume di Raisekamika è stata una scoperta continua, una lettura piena di emozioni ed elementi tipicamente giapponesi che non mi sarei mai aspettata. Sono rimasta subito colpita da come Hajime Segawa sia riuscito ad unire leggende popolari, miti della creazione, credenze religiose e una storia d'azione ambientata ai giorni nostri. È una storia con un approfondito studio alle sue spalle e questo si vede non solo nello sviluppo della trama, ma anche nella caratterizzazione dei personaggi che, per chi conosce le leggende e i miti a cui si fa riferimento, risulteranno familiari. Anche i nomi non sono scelti a caso, come quello di Ise che, essendo collegata alla Dea del sole, si chiama come il santuario ad essa dedicato, appunto quello di Ise.⠀ È stato un piacere leggere questo primo volume, pieno di colpi di scena interessanti ed elementi che, sviluppati bene, potrebbero rendere la storia migliore e ancor più godibile di quanto non sia già.⠀ Sono molto curiosa di scoprire come si evolveranno le vicende nei prossimi volumi, ma intanto vi consiglio di recuperare questa serie perché merita davvero di essere letta, soprattutto se cercate qualcosa di profondamente giapponese! ⠀ La continuerò? Assolutamente si, che domande!⠀ ⠀ #ticonsigliounmanga #recensionemanga #edizionistarcomics #manga #shounen #fumetto #giappone #consiglidilettura #mangabelli #italiainlettura #raisekamika #ライセカミカ #lettureincorso #stoleggendo #passioneperilibri #libriovunque #primeimpressioni #seriemanga #mangaconsigliati #leggodiverso #fumetti (presso Venice, Italy) https://www.instagram.com/p/ByzNkaVoz8q/?igshid=1wixcq46eirlc
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purpleavenuecupcake · 7 years
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Giappone, indenne dall'islamismo e dagli attentati terroristici, scopriamo perchè
Anno 2011 l’ISIS prende piede e il numero delle vittime degli attacchi di matrice islamica è cresciuto sensibilmente, assieme alla quota di Musulmani nel terrorismo mondiale che è sempre più in costante avvicinamento al 100%. Secondo il Dipartimento di Stato Statunitense, più di 10000 attacchi di origine terrorista è avvenuto in tutto il mondo, provocando più di 21000 morti e più di 40000. In aggiunta, più di 3500 persone sono scomparse o sono state prese in ostaggio. Il  32%, degli attacchi sono stati per mano di tre gruppi terroristici musulmani, i Talebani, ISIS e Boko Haram,  ritenuti responsabili di più di 6000 morti, circa il 31.76 percento. Quanto detto per far notare che nessun Paese del mondo è indenne dalla minaccia terroristica. Anzi no. A dir la verità esiste uno che inconsapevolmente ha attuato nel corso degli anni, la "migliore arma", contro il radicalismo islamico. Ha attuato da subito una politica restrittiva verso i musulmani. I giapponesi non parlano mai male dei musulmani e i musulmani altrettanto, stringono solo affari commerciali con i Paesi arabi per le risorse energetiche tipo gas e petrolio. Ovviamente, si penserà che il Giappone ha raggiunto questo risultato con politiche d’integrazione super efficaci, attraverso l’utilizzo delle più avanzate tecnologie ed assegnando miliardi di yen nella costruzione di centinaia di moschee e di scuole islamiche in tutto il territorio nazionale, vietando il maiale nei luoghi pubblici, introducendo ore separate per maschi e femmine nelle piscine, con i dottori maschili che non osano toccare i genitali delle loro pazienti, le donne musulmane che ottengono un immenso aiuto sociale ogni volta che hanno un figlio, i tribunali della Sharia introdotti nel sistema giudiziario giapponese ed, infine, il Corano che viene considerato come un testo sacro. Niente di tutto questo. La soluzione è  semplice ed efficace, visti i risultati. Il Giappone è semplicemente chiuso ai musulmani, il numero di permessi date alle persone provenienti dai Paesi islamici è infinitamente basso. Ottenere un visto di lavoro non è facile per un musulmano, anche se si è un super professionista.  Il risultato? Il Giappone è un “Paese senza musulmani”. Non c’è una stima precisa della popolazione musulmana. Secondo la dichiarazione dell’ex presidente dell’Associazione Islamica Giapponese Abu Bakr Morimoto “solo un migliaio".  Uno dei leader della comunità Islamica in Giappone, Nur Ad – Din Mori ha detto che il rapporto è uno su centomila. Attualmente la popolazione Giapponese è di 130 milioni e quindi, se le risposte dei due leader Islamici sono corrette, dovrebbero esseri circa 1300 musulmani. Ufficialmente il Giappone vieta di esortare le persone ad adottare la religione dell’Islam, e qualsiasi musulmano che incoraggi ciò è visto come proselite di una cultura straniera indesiderabile. I promotori, per l’appunto, che sono troppo attivi rischiano la deportazione e, qualche volta, dure condanne di carcere. La lingua araba è insegnata in pochissimi istituti accademici: se ne può trovare, infatti, soltanto uno, l’Istituto Arabo Islamico a Tokyo. Inoltre l’università internazionale, sempre nella Capitale, non offre corsi di arabo. Importare il Corano in Arabo è praticamente impossibile, ed è permesso solo la versione adattata in Giapponese. Fino a poco tempo fa, c’erano solo due moschee in Giappone: la Tokyo Jama Masjid e la moschea di Kobe. Ora, il numero totale di siti di preghiera è contato in circa trenta moschee a piano singolo ed un centinaio di stanze d’appartamento stanziati per le preghiere, e la società giapponese si aspetta, appunto, che tali persone preghino nelle loro case: non esiste, infatti, alcuna preghiera collettiva nelle strade o nelle piazze, e chi lo fa può ottenere delle multe molto “salate” o, in quei casi in cui la polizia giapponese ritiene seri, espellere dal Paese i partecipanti. Dal punto di vista lavorativo, le aziende giapponesi in cerca di lavoratori stranieri fanno espressamente notare che non sono interessati ai musulmani. Non esiste alcuna traccia di Sharia, ed il cibo Halal è estremamente difficile da trovare. La popolazione, in generale, tende a percepire l’Islam come una “religione strana e pericolosa” che un vero cittadino giapponese dovrebbe evitare, e gli omicidi avvenuti ad inizio anno dei due connazionali Haruna Yukawa and Kenji Goto per mano dell’ISIS non ha certamente migliorato la situazione. La cosa più interessante, di tutto ciò, e che i giapponesi non si sentono in colpa per un approccio così “discriminatorio” all’Islam, e che non dovrebbero chiedere scusa ad alcuno per il modo negativo in cui percepiscono tale religione. Certamente fanno trattati economici, come detto, con gli arabi per il gas ed il petrolio, questo sì, e mantengono buone relazioni con gli esportatori medesimi, ma non con l’islam, e neanche con l’immigrazione musulmana. E, cosa strana, i musulmani in Giappone non provocano rivolte, non marchiano i giapponesi come “razzisti”, non bruciano macchine, spaccano finestre, tagliano le teste dei soldati per essere stati in Afghanistan, Iraq o in qualunque altro posto sulla Terra – e non c’è stato un singolo giapponese vittima di un attacco terrorista sul proprio suolo nazionale negli ultimi  30 anni. Perchè  l'ostilità verso l'Islam in Giappone? I giapponesi tendono a generalizzare le considerazioni sull'Islam, considerando i musulmani dei fondamentalisti che non riescono a liberarsi dalle visioni tradizionaliste e adottare sistemi di vita moderni. L'Islam in Giappone è considerato una religione sospetta, da cui tenersi alla lontana. La maggior parte dei giapponesi non ha affiliazione religiosa, benché i membri delle alte sfere del paese si conformino a pratiche religiose scintoiste e buddiste. In Giappone, la religione è legata ai principi nazionali, con dei pregiudizi sugli stranieri, in particolare cinesi, coreani, malaysiani, indonesiani e in fondo anche sugli occidentali. Alcuni definiscono questo atteggiamento una "consapevolezza nazionale sviluppata", mentre altri lo considerano una forma di razzismo—in entrambi i casi non ci si sbaglia di molto. I giapponesi non riconoscono il monoteismo né la fede in una divinità astratta, forse perché il loro mondo di idee è legato alla materia, non alle credenze e ai sentimenti. Sembra anche che associno il giudaismo all'Islam. Il Cristianesimo, per contro, non è percepito negativamente, probabilmente per l'immagine di Gesù che è considerata allo stesso modo dell'immagine di Buddha. Ciò che è ancora più interessante è il fatto che i giapponesi non ritengono di doversi scusare per le relazioni negative con l'Islam. In Giappone non ci sono, come in altri Paesi, organizzazioni per i "diritti umani" che operano come agenzie di supporto ai musulmani contro la posizione del governo. In Giappone non ci sono organizzazioni malavitose che trafficano in clandestini illegali per guadagnare qualche yen, e non c'è quasi nessuno che dia aiuto legale agli immigrati musulmani per far avere loro il permesso di soggiorno, la residenza o la cittadinanza. Un altro elemento che previene l'immigrazione islamica in Giappone è l'atteggiamento dei giapponesi nei confronti dei lavoratori stranieri, che non sono bene accetti perché rubano il lavoro ai giapponesi. Il consenso sociale e politico contro l'immigrazione islamica ha creato una cortina di ferro attorno al Giappone che i musulmani non riescono a valicare e che previene qualsiasi critica internazionale, poiché nessuno in Giappone si convincerebbe ad aprire le porte del paese all'immigrazione islamica. Forse poteva essere una soluzione per tutti. In Europa oggi è troppo tardi e presto la popolazione che professa la religione musulmana supererà quella delle altri religioni........immaginate cosa potrebbe accadere!  Non mettiamo la testa sotto la sabbia, come è stato fino ad ora.   di Massimiliano D'Elia   Click to Post
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