#cosa vedere a galway
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Siamo nell’Ovest dell’Irlanda dove le scogliere sono alte e maestose, le maree dettano il ritmo delle giornate, le spiagge sono fatte di roccia calcarea e gli alberi sono piegati dal vento che spazza via le nuvole. Nella contea di Galway spicca appunto questa città, porto mercantile importantissimo nel Medioevo e ora città giovane e dinamica sede delle maggiori università dell’ovest.
Ho raggiunto Galway dall’aeroporto di Dublino, sbirciando dal finestrino del bus il paesaggio che si faceva sempre più verde e brillante. In due ore e mezza di viaggio non ho mai chiuso occhio, non volevo perdere neanche un dettaglio. Una volta arrivata in città mi sono sentita subito in armonia con questo posto e la sua festosità. Se dovessi usare un aggettivo per descriverla sceglierei sicuramente “festosa” perchè mi ha accolto con allegria e musica per le sue strade, il vociare dei pub già in movimento, odori di ogni genere trasportati da un vento tranquillo.
Via del centro affollatissima
Spanish Arch
Trovata la casa dove avrei passato le tre notti, sono uscita a cenare e a scoprire un po’ di più su questa allegra città così piena di gente. Oltre ai turisti ci sono tantissimi giovani che passano l’anno qui a studiare e altrettanti artisti di strada che si esibiscono ad ogni angolo della città. Passeggiando ho notato che la zona più frequentata è lo Spanish Arch che accoglie le persone lungo la riva del fiume Corrib, piccolo ma potente che proviene dal più grande lago, il Lough Corrib. Lo Spanish Arch è l’unica parte rimasta in piedi delle antiche mura che proteggevano la città e prende questo nome dalle numerose navi spagnole che attraccavano al porto trasportando merci sconosciute agli Irlandesi.
Girare Galway non ruberà più di una giornata ma dedicatele un po’ più di tempo perchè è verso sera che inizia ad animarsi grazie alla gente che affolla le stradine del centro, la musica tradizionale che proviene dai pub vi accompagnerà nella vostra passeggiata e vi invoglierà ad entrare per bere una birra in compagnia.
Le zone più frequentate sono lo Spanish Arch, come vi dicevo prima, e le strade del centro ma cercate anche di uscire un po’ verso zone meno battute e scoprirete i tanti volti di Galway. Dall’altra sponda del Corrib, di fronte allo Spanish Arc, inizia il percorso che arriva fino alla piccolo centro abitato di Salthill: Claddagh Quay. E’ una bellissima passeggiata lungo la baia, io l’ho percorsa la sera del primo giorno in una nuvola di fumo che rendeva l’atmosfera ancora più mistica e particolare alla luce del tramonto. Nelle vicinanze c’era stato un grande incendio ed il fumo era arrivato fino a Galway. Durante il tragitto ho notato tantissime persone fare jogging e altri allenarsi a rugby nei campi o forse era quello sport che giocano solo gli irlandesi: il calcio gaelico, che prevede si una una porta come quella del nostro calcio ma anche due pali oltre la traversa dove viene segnato un altro punto, un po’ come il rugby.
Claddagh
Salmon Weir Bridge
Un’altra bella zona che ho adorato immensamente è quella dove si trova la cattedrale di Galway, fondata nel 1320 e di stampo medievale. La zona è un incrocio di canali, passerelle e ponti circondati dal verde, dallo scroscio dell’acqua e dagli uccelli che pescano nei canali. Dopo la cattedrale passate sul Salmon Weir Bridge, prendete Newtownsmith e salite sul piccolo ponte dal quale si dirama una passeggiata nascosta tra il fiume Corrib ed il Friars. Questa dritta me l’ha data il pescatore di cui ho già parlato altre volte che invece ho incontrato allo sbarramento dei salmoni sul fiume. Ero andata oltre la cattedrale ed ho trovato un bel giardino, il Fisheries Field ed accanto uno stabile che permette ai pescatori di usufruire degli spazi creati appositamente per loro sul fiume e sullo sbarramento; non so se si può entrare, io l’ho fatto e nessuno mi ha detto nulla, quindi prendete questa dritta come non ufficiale. I salmoni risalgono il fiume cercando di arrivare al lago ed è questo il posto dove vengono pescati; mi dispiace un po’ per loro che si fanno un mazzo tanto per arrivare fin lì e poi finiscono al forno ma ehi, quanto è buono il salmone?
Sbarramento sul Corrib
La passerella tra i canali si ricongiunge con il ponte Wolfe Tone Bridge decorato di innumerevoli nastri colorati (alternativa intelligente ai lucchetti), girate a destra subito dopo e costeggiate l’altro canale, l’ Eglinton; passate sui piccoli ponti e godetevi la zona perchè camminando scoprirete tanti piccoli angoli nascosti o zone verdi neanche segnalate dalla mappa.
Un’altra bella zona di Galway che vi consiglio è Eyre Square, un parco abbastanza grande che ho attraversato una volta arrivata alla stazione dei bus per raggiungere il centro. E’ molto curato ma sopratutto è frequentatissimo maggiormente nelle giornate di sole. In queste zone avere una giornata soleggiata è un miracolo quindi appena esce un po’ di sole si catapultano tutti sui prati ad assorbire un po’ di vitamina D.
Eyre Square
Spingetevi anche verso Flood Street e Middle Street meno frequentate sicuramente, ma ho incontrato più gente del posto e avrete uno spaccato della quotidianità di Galway. Inoltre la zona è ricca di negozietti, sale da tea, piccole pasticcerie, ristorantini e pub.
Quello che non manca di certo a Galway è la vivicità delle persone che la popolano, non mi sono mai sentita sola in questo paese, neanche quando uscivo la mattina presto e la città ancora dormiva, solo poche macchine e furgoncini accostati sui marciapiedi che scaricavano la merce da consegnare a ristoranti e pub. C’è sempre stato qualcuno che passeggiava o seduto su una panchina era pronto a raccontarmi perchè il ponte ha tutti quei nastri o quale pub offra la migliora musica irlandese. La gente mi salutava mentre giravo con zaino e macchina fotografica chiedendomi di dove fossi, spesso dopo una breve chiacchierata chiedevano di scattargli una foto, nessuno l’hai mai voluta per se, volevano forse mi rimanesse un ricordo del nostro incontro ma non sanno che io raramente dimentico le persone incontrate durante un viaggio, posso dimenticare i nomi delle strade, gli ingredienti di un piatto assaggiato ma mai il volto di quella persona e quello che ci siamo detti. Ho promesso a Galway che tornerò, gliel’ho promesso mentre percorrevo le sue strade per raggiungere il bus che mi avrebbe condotta a Dublino. Ogni promessa è debito.
Un grazie particolare va anche ai miei host di AirBnb perchè mi hanno fatta sentire una di casa.
Se cercate dei posti dove mangiare a Galway, qui c’è l’articolo dedicato ai piatti ed i locali che mi sono piaciuti di più 😀
Irlanda – Alla scoperta di Galway Siamo nell'Ovest dell'Irlanda dove le scogliere sono alte e maestose, le maree dettano il ritmo delle giornate, le spiagge sono fatte di roccia calcarea e gli alberi sono piegati dal vento che spazza via le nuvole.
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Gretta, tesoro, a che cosa pensi? Lei non gli rispose né cedette completamente alla stretta di lui. Lui le domandò ancora, teneramente: — Dimmi che cosa c’è, Gretta. Io penso di saperlo. Lo so? Lei non gli rispose subito. Poi, in uno scoppio di singhiozzi, disse: — Oh, sto pensando a quella canzone, La fanciulla di Aughrim. […] Si fermò a pochi passi da lei e disse: — Perché quella canzone? Perché ti fa piangere? Lei sollevò la testa e si asciugò gli occhi con il dorso di una mano, come fanno i bambini. Un’eco più dolce di quanto egli intendesse suonò nella sua voce. — Perché, Gretta? — domandò. — Penso a una persona che cantava questa canzone tanto tempo fa. — E chi è questa persona di tanto tempo fa? — domandò Gabriel sorridendo. — Era uno che conoscevo a Galway, quando vivevo là con la nonna — disse lei. Il sorriso scomparve dal volto di Gabriel. Una collera cieca cominciò a prender forza dentro di lui e il fuoco cieco del suo desiderio divampò rabbiosamente nelle sue vene. — Qualcuno di cui eri innamorata? — domandò con sarcasmo. — Era un ragazzo che conoscevo — rispose lei. — Si chiamava Michael Furey. Era lui che cantava quella canzone, La fanciulla di Aughrim. Era un ragazzo molto delicato. Gabriel restò in silenzio. Non voleva farle credere che fosse interessato a quel ragazzo delicato. — Me lo vedo ancora davanti agli occhi — riprese lei dopo un attimo. — Che occhi aveva, occhi grandi, scuri! E l’espressione che avevano, che espressione! — Ma allora sei innamorata di lui? — disse Gabriel. — Andavo a passeggio con lui — disse lei — quand’ero a Galway. Un pensiero attraversò la mente di Gabriel. — Era per questo che volevi andare a Galway con quella Ivors? — domandò gelidamente. Lei lo guardò e domandò sorpresa: — Per quale motivo? Lo sguardo di lei lo metteva in imbarazzo. Si strinse nelle spalle e disse: — Che ne so io? Magari per vederlo. In silenzio, lei distolse lo sguardo da lui, posandolo sulla fascia di luce verso la finestra. — È morto — disse alla fine. — È morto quando aveva appena diciassette anni. Non è terribile, morire così giovani? — Che cosa faceva? — domandò Gabriel, in tono ancora ironico. — Lavorava nell’azienda del gas — disse lei. Gabriel si sentì mortificato per quell’ironia fuori luogo e per l’evocazione di questa figura dal mondo dei morti, un ragazzo che lavorava nell’azienda del gas. […] Istintivamente, voltò le spalle alla luce, per paura che lei potesse vedere la vergogna che gli bruciava sulla fronte. Cercò di mantenersi sul tono del freddo interrogatorio, ma quando parlò, la sua voce era umile e piatta. — Credo che tu fossi innamorata di quel Michael Furey, Gretta — disse. — Avevo molta confidenza con lui, a quel tempo — disse. La sua voce era velata e triste. Gabriel, rendendosi conto che ormai era inutile tentare di indurla a ciò che lui aveva desiderato, le accarezzò una mano e disse, con voce altrettanto triste: — E di che cosa è morto, così giovane, Gretta? Di tubercolosi, vero? — Penso che sia morto per me — rispose lei.
Da Gente di Dublino di James Joyce
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We Before You
Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. B. Pascal 🍃 14 febbraio 1998 -Smettila di confondermi con lui!- -Non lo sto facendo!- -Allora piantala di confondere me!- -...Lo so, è sbagliato, ma quando sono con te mi sembra così giusto...- Le lacrime le offuscavano la vista rispecchiando quello che stava accadendo coi pensieri: le confondevano la mente presentandosi a volte come sogni altre come incubi. Occhi uguali che la scrutavano in modo opposto, la stessa voce prima gentile e poi sprezzante, due paia di braccia identiche l'abbracciavano calde e accoglienti un attimo prima di scomparire. Ora erano spariti entrambi. Perché lei aveva rovinato tutto, non aveva voluto scegliere, o meglio non aveva potuto. -Non puoi amarli entrambi- si era detta ma non riusciva a stare con uno senza sentire la mancanza dell'altro. Niente sarebbe stato più come prima per nessuno. 🌾 Mesi prima... 7 Dicembre 1996 - Hogwarts Gli allenamenti erano finiti, con gran sollievo di gran parte della squadra, erano stati decisamente faticosi quel pomeriggio. Il tempo era diventato ormai inclemente, folate di vento gelido avevano costantemente sferzato il campo da Quidditch lasciando i giocatori intirizziti. Inoltre c'era tensione nell'aria dopo che l'odiosa professoressa Umbridge aveva impedito a Harry Potter e ai gemelli Weasley, i giocatori migliori di Grifondoro, di prendere parte alle partite. Angelina era rimasta per ultima, era diventata il capitano della squadra e lo sentiva quasi come un dovere, inoltre le piaceva fermarsi a godere del silenzio e della calma irreale che si creava negli spogliatoi dopo che tutti se ne erano andati. -Ah! Angie?! Scusa... non credevo che ci fosse ancora qualcuno qui...- la voce di Fred l'aveva colta di sorpresa mentre era ancora avvolta nell'asciugamano. - Pensavo di fare un giro sulla scopa e non credevo di trovare nessuno...- ammise il ragazzo che era diventato rosso e cercava di dirigere lo sguardo altrove mentre Angelina tentava di coprirsi il più possibile e a sua volta evitava di guardarlo. -E-esco allora... ti aspetto fuori- le disse infine, lo guardò uscire e portarsi una mano sulla testa con fare confuso. Avrebbe giurato di averlo visto arrossire. Fred Weasley in imbarazzo era una scena che non aveva mai visto e questo pensiero fece arrossire violentemente anche lei. -G-grazie!- la ragazza gli urlò quando lui fu già fuori. Mentre cercava di vestirsi il più velocemente possibile ritornò con la mente ai mesi precedenti quando lui l'aveva invitata al ballo del Ceppo. Si erano baciati quella sera e poi inspiegabilmente tutto si era raffreddato tra loro, e non c'era stata nessun'altra occasione per stare soli e potersi chiarire, l'estate aveva poi fatto sì che non si sentissero per dei mesi, quando si erano rivisti settembre a scuola avevano entrambi fatto finta di nulla, come se avessero stretto un tacito accordo, nessuno dei due aveva ripreso il discorso lasciato in sospeso. Si infilò velocemente la divisa scolastica composta da gonna a pieghe e maglione, entrambi grigi con una bordatura bordeaux e gialla, e uscì all'aria fredda che le ricordò di non essersi asciugata completamente i lunghi capelli neri e voluminosi. Fred la aspettava seduto sugli spalti del campo da Quidditch. Si avvicinò lentamente a lui, scrutandone il profilo regolare del suo viso, le lunghe gambe appoggiate su di una panchina e infine le mille lentiggini velate sul naso e sulle guance. Ammise a se stessa quanto fosse irrimediabilmente attratta da lui. -Ehi... che espressione pensierosa che hai!- esordì Angelina ridendo per smorzare l'imbarazzo palese tra loro. -Dici?- il rosso si voltò verso di lei, guardandola con un'espressione indecifrabile. -Si, sembravi quasi serio, e si sa che "serietà" e "Fred Weasley" sono contrari!- - Simpaticissima... guarda che so essere serio quando voglio...- rispose lui, le sembrava leggermente infastidito. - Certo come quando mi hai invitato al ballo e poi sei sparito?- la ragazza si morse la lingua pentita che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca. -Intendi quella sera in cui, dopo che ci siamo baciati, hai detto alle tue amiche che ti eri pentita? Che era stata una cosa così tanto per divertirsi?- a quelle parole Angelina sbarrò gli occhi e ripercorse con la mente gli avvenimenti accaduti alla sera del Ballo del Ceppo, decisamente inebriata dal bacio e dall'alcol si era incontrata con le amiche in sala comune alla fine dei festeggiamenti. Aveva detto a Katie ed Alicia che aveva baciato Fred e vedendo lo sguardo di disapprovazione delle due aveva aggiunto che era stata "Una sciocchezza, solo per divertirsi" e "Amiche, non mi guardate così, ne sono già pentita" dopotutto, si era detta che era il severo capitano della squadra Grifondoro, aveva una certa reputazione da difendere, non poteva certo farsi vedere come una sciocca ragazzetta innamorata. All'improvviso capì la freddezza di Fred dei mesi successivi. -Fred mi dispiace, io non intendevo... si insomma ero ubriaca... .- si avvicinò posandogli una mano sulla gamba facendolo girare -Lo sai benissimo che per me... si dai... per me non è stata una cosa così, tanto per fare...- lui si voltò verso di lei in modo da farle vedere il sorriso che gli era comparso sulla faccia. -Mi stai mettendo a disagio... rimanere così senza dirmi niente...- disse Angelina che offesa fece per andarsene quando si sentì trattenere per la manica del cappotto. - Dai vieni qui...- il ragazzo la attirò tra le sue braccia e sorridendo cominciarono a recuperare tutti i baci che non si erano dati negli ultimi mesi 🍀 14 Febbraio 1997 - Galway Sei starai ben dritta con la schiena andrà tutto bene. Le parole della madre le rimbombavano nella mente mentre attraversava i corridoi della scuola con i libri in mano cercando l'aula dove avrebbe assistito alla sua prima lezione di statistica. Era a disagio, oltre al fatto che le materie matematiche non erano il suo forte, era arrivata ad anno già iniziato e non conosceva nessuno a parte Rose, la sua compagna di appartamento in studentato. Il suo primo anno di college non era iniziato nel modo più semplice. Aveva dovuto trasferirsi a Galway per necessità, il padre si era risposato con una commercialista di Edimburgo che era dolce e gentile ma abitando in Scozia, li aveva allontanati, mettendo così tanti chilometri tra loro. La madre di Amy era morta quando la ragazza aveva dodici anni e da allora era cresciuta con la nonna a Dublino, che però era venuta a mancare poco prima di Natale. Non avendo più nessuna ragione per rimanere a Dublino aveva deciso di cambiare aria e spostarsi a Galway, una città universitaria sulla costa ovest dell'Irlanda. Non poteva infatti vivere in una città senza il famigliare profumo di salsedine nell'aria. Una delle porte del corridoio si aprì per mano di una ragazza dal caschetto corvino e Amy si rilassò immediatamente -Rose, ti ho trovato finalmente!- -Amy se ti fossi svegliata prima saresti venuta con me, vieni che stiamo per iniziare, svelta!- Entrando in aula e prendendo posto in uno dei banchi vicino all'amica si sentì degli occhi addosso. -Mi sa che qualcuno qui ha fatto colpo su Ludovic!- le sussurrò ammiccante Rose. -Ma cosa dici?! Smettila!- le rispose di rimando Amy che si voltò leggermente per scorgere a chi appartenevano qui due occhi color del mare che la fissavano. Vedendo che erano ancora fissi su di lei, si girò di scatto iniziandosi a torturare i capelli biondi. La prima lezione al college era cominciata e Amy non avrebbe ascoltato neanche mezza parola dell'insegnante. 🍃 14 Febbraio 1997 - Hogsmeade Una ragazza dai capelli voluminosi era premuta contro il muro di pietra da un alto ragazzo avvinghiato a lei. Le loro figure si confondevano nella penombra in uno dei vicoli di pietra del piccolo villaggio fuori Hogwarts. -Fred muoviti, dobbiamo tornare al negozio- le due figure immediatamente si staccarono l'una dall'altra. -Sei il solito guastafeste, George- gli rispose il ragazzo ridendo, un raggio di luce illuminò i suoi capelli rivelandone il colore rosso profondo. -Sempre il solito tatto più che altro...- aggiunse la ragazza sferzante, piccoli sbuffi di aria calda le uscivano dalla bocca arrossata che cercava di nascondere, insieme a buona parte del viso, nella sciarpa di lana a righe bordeaux e giallo ocra. -Angelina cara, forse tu e mio fratello siete sordi, è mezz'ora che dico che dobbiamo andare...- disse George tagliente, era seccato, non solo per averli dovuti aspettare. I due fratelli avevano lo stesso identico viso su cui erano dipinte due espressioni completamente diverse. -Hai ragione brutta copia, ora andiamo...- tagliò corto Fred -Angie ci si vede eh!- -S-si ciao...- La ragazza alzò la mano in segno di saluto e seguì con lo sguardo i due ragazzi finché non li vide smaterializzarsi davanti ai suoi occhi. Restò qualche secondo immobile, ancora con la mano alzata, finché non si sentì sciocca e decise di ritornare verso la scuola dove Alicia e Katie, le sue compagne di dormitorio la stavano aspettando. Non avrebbe detto loro che aveva incontrato Fred, ormai aveva deciso così, non era sicura di come doveva sentirsi rispetto a quello che stava succedendo con lui e non era pronta alle considerazioni pungenti di Alicia sulla questione o, ancora peggio, della disarmante sincerità di Katie. La neve rallentava i passi della ragazza, il percorso sarebbe durato più dei soliti 15 minuti a piedi, dandole così l'opportunità di pensare mentre si dirigeva sola verso Hogwarts. Pensava che appena qualche settimana prima lui se ne era andato. Sparito. Senza dirle nulla. I due gemelli avevano deciso di lasciare la scuola, lo avevano fatto in un modo decisamente spettacolare e aveva riso anche lei insieme agli altri studenti quando aveva visto la Umbridge inseguita dai fuochi d'artificio. Pensava però di meritarsi una spiegazione da Fred, non erano fidanzati in teoria, però... tutte quelle notti e quei momenti passati insieme avranno pure significato qualcosa anche per lui, no? I ragazzi che si amano si baciano in piedi Contro le porte della notte E i passanti che passano li segnano a dito Ma i ragazzi che si amano Non ci sono per nessuno Ed è la loro ombra soltanto Che trema nella notte Stimolando la rabbia dei passanti La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno Essi sono altrove molto più lontano della notte Molto più in alto del giorno Nell'abbagliante splendore del loro primo amore Jacques Prevért ________ Ciao! Ti ringrazio di aver letto la prima parte della mia storia. Spero ti abbia incuriosito abbastanza per andare avanti! Buona lettura! LadyCecille
#fredgeorge#fredandgeorge#fredweasley#georgeweasley#harry potter#fred weasley#george weasley#fred & george
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Voi non lo sapete che cos’è l’amore ha detto Bukowski
Io ho 51 anni guardatemi
sono innamorato di questa pollastrella sono cotto ma anche lei si è fissata
e insomma va bene così è così che deve andare
gli entro nel sangue e non ce la fanno a sbattermi fuori
Le provano tutte per liberarsi di me
però alla fine tornano tutte indietro
Sono tornate tutte fuorché quella che avevo piantato
Ci ho pianto per quella
però in quei giorni piangevo facile
Non datemi da bere roba forte
se no divento cattivo
Posso starmene qui a bere birra
con voi hippies tutta la notte
potrei berne dieci litri di questa birra
e niente come fosse acqua
Ma se tocchiamo la roba forte
mi metto a buttar la gente fuori dalle finestre
butto fuori tutti dalla finestra I’ho già fatto
Ma voi non lo sapete che cos’è l’amore
Non lo sapete perché
non siete mai stati innamorati è chiaro
lo me la faccio con questa pollastrella lei è carina
Mi chiama Bukowski
Bukowski dice con questa vocina
e io dico Che c’è
Ma voi non lo sapete che cos’è l’amore
ve lo dico io che cos’è
ma voi non mi ascoltate
Non ce n’è uno di voi in questa stanza
che potrebbe riconoscere l’amore neanche se si alzasse
e ve lo mettesse nel culo
L’ho sempre pensato che le letture di poesia significano svendersi
Guardatemi ho 51 anni e sono stato in giro
lo so che è svendersi
ma mi dico Bukowski
meglio svendersi che morire di fame –
Insomma eccovi qui e tutto va storto
Quel tizio come si chiama Galway Kinnell
ho visto la foto in una rivista
Ha un bel muso
ma è un professore
Cristo figuratevi
È anche vero che pure voi siete professori
ed ecco che sto già insultandovi
No non ne ho sentito parlare
non ho sentito nemmeno lui
Sono tutti termiti
Sarà il mio ego ma non leggo più molto
ma certa gente che costruisce
reputazioni su cinque o sei libri
termiti
Bukowski dice lei
Perché ascolti musica classica tutto il giorno
Non vi pare di sentirla mentre lo dice
Bukowski perché ascolti musica classica tutto il giorno
E’ sorprendente vero
Non l’avreste mai detto che un brutto bastardo come me
potesse ascoltare musica classica tutto il giorno
Brahms Rachmaninoff Bartok Telemann
Merda quassù non potrei scrivere
C’è troppo silenzio troppi alberi
Mi piace la città quello è il posto per me
metto su la mia musica classica ogni mattina
e mi siedo davanti alla macchina da scrivere
accendo un sigaro e fumo così guardate
e dico Bukowski sei un uomo fortunato
Bukowski l’hai sfangata
e sei un uomo fortunato
e il fumo azzurro galleggia sopra il tavolo
e io guardo fuori dalla finestra su Delongpre Avenue
e vedo la gente che va su e giù per il marciapiede
e tiro dal sigaro così
e poi appoggio il sigaro sul portacenere così
e faccio un respiro profondo
e attacco a scrivere
Bukowski questa sì che è vita dico
va bene esser poveri va bene avere le emorroidi
va bene essere innamorati
Ma voi non lo sapete che roba è
Voi non lo sapete che cosa vuol dire essere innamorati
Se la poteste vedere capireste quello che voglio dire
Lei era convinta che venissi quassù per scopare
Proprio così
Mi ha detto che lo sapeva
Merda ho 51 anni e lei ne ha 25
e siamo innamorati e lei è gelosa
Gesù è bellissimo
ha detto che mi strappava gli occhi se venivo quassù a scopare
Ecco, questo sì che è amore
Ma che cosa ne sapete voi
Lasciate che vi dica una cosa
ho incontrato uomini in galera che avevano più stile
della gente che bazzica i college
e va alle letture di poesia
Sono delle sanguisughe che vengono a vedere
se i calzini del poeta sono sporchi
o se gli puzzano le ascelle
Credetemi io non li deluderò quelli lì
Ma voglio che vi ricordiate questo
c’è solo un poeta in questa stanza stasera
solo un poeta in questa città stasera
forse solo un poeta vero in questa nazione stasera
e quello sono io
Che ne sapete voi della vita
Che ne sapete voi di qualsiasi cosa
Chi fra voi l’hanno mai licenziato da un lavoro
oppure ha mai picchiato la sua donna
oppure è stato mai picchiato dalla sua donna
Io sono stato licenziato cinque volte dalla Sears and Roebuck
Mi licenziavano e poi mi riassumevano di nuovo
facevo il magazziniere da loro a 35 anni
e poi mi hanno sbattuto dentro perché rubavo dolci
So cosa significa ci sono stato
Ora ho 51 anni e sono innamorato
Questa pollastrella lei mi dice
Bukowski
e io dico Che c’è e lei dice
Penso che sei un sacco di merda
e io dico baby tu sì che mi capisci
E’ l’unica al mondo
uomo o donna
che me lo può dire
Ma voi non lo sapete che cos’è l’amore
Tutte quante sono tornate da me alla fine
ognuna di loro è tornata
fuorché quella di cui vi ho detto
quella che avevo piantato
Siamo stati insieme sette anni
Bevevamo un sacco
Vedo un paio di dattilografi in questa stanza ma
non vedo poeti
Non mi sorprende
Bisogna essere stati innamorati per scrivere poesie
e voi non lo sapete che cos’è essere innamorati
ecco il vostro guaio
Datemi un po’ di quella roba
Così va bene niente ghiaccio bene
È buono è proprio lui
Allora cominciamo questa buffonata
So cosa ho detto ma me ne faccio uno solo
Sa di buono
Okay dunque facciamola finita
dopo però nessuno stia vicino
a una finestra aperta
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𝗘𝗟𝗘𝗖𝗧𝗥𝗔 𝗜𝗩𝗘𝗦 ❝ Chiamatelo clan, chiamatela rete sociale, chiamatela tribù, chiamatela famiglia. Comunque la chiamiate, chiunque siate, ne avete bisogno. ❞ ➘ ❪ http://24.media.tumblr.com/9c24d1c3ff12e6aeb47a46bbaa01b8d9/tumblr_n254zfe3Ws1s3087lo1_250.gif ❫ ⋰ 𝐝𝐚𝐭𝐚 𝐞 𝐥𝐮𝐨𝐠𝐨 𝐝𝐢 𝐧𝐚𝐬𝐜𝐢𝐭𝐚 ▸ 18 Maggio 1989, Londra. ⋰ 𝐞𝐭𝐚' ▸ 28 anni. ⋰ 𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐮𝐝𝐢 ▸ Marketing e Comunicazioni a Yale. ⋰ 𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 ▸ Consulente Editoriale presso 𝘐𝘷𝘦𝘴 𝘗𝘶𝘣𝘭𝘪𝘴𝘩𝘪𝘯𝘨 𝘏𝘰𝘶𝘴𝘦. ⋰ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐮𝐬 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞 ▸ Single. ⋰ 𝐨𝐫𝐢𝐞𝐧𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐞𝐬𝐬𝐮𝐚𝐥𝐞 ▸ Eterosessuale. ⋰ 𝐥𝐞𝐠𝐚𝐦𝐢 ▸ ⤿ Merope Ives · sorella 𝘢𝘭𝘭𝘪𝘴𝘰𝘯 𝘩𝘢𝘳𝘷𝘢𝘳𝘥 ⋰ 𝐡𝐞𝐚𝐝𝐜𝐚𝐧𝐨𝐧𝐬 ▸ 𝗜. — La famiglia O ’ Dwyer era cattolica, cattolica come poche famiglie in Inghilterra. Gli O ’ Dwyer provenivano da Galway, in Irlanda, e si trasferirono a Londra poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale portando con loro la religione che animava quasi tutti gli animi di quella nazione; l'adattamento, ovviamente, fu difficile e gli scontri con gli anglicani erano praticamente all'ordine del giorno ma, fortunatamente, con il passare degli anni iniziarono a ritagliarsi un posto in quella città diventando una delle famiglie più ricche ed in vista della città, creando un impero grazie al commercio dei tessuti preziosi. La fortuna della famiglia cresceva e gli anni passavano: generazioni e generazioni di O ’ Dwyer si susseguirono, venivano celebrati matrimoni, battesimi e funerali; la famiglia era solida, normale, a tratti, forse, addirittura noiosa. Solo nel 1988 la famiglia irlandese visse la sua prima, grande, tragedia: Dáireen, unica erede della famiglia e ragazza ben voluta da tutti, al ritorno da una festa viene assalita da un uomo e stuprata in un vicolo; fu straziante per la famiglia e per la ragazza che, da quel momento, fu come rotta dentro. Dáireen, data la fede che animava il suo animo e quello della sua famiglia, decise di non abortire ma di portare avanti la gravidanza: nove mesi dopo, infatti, diede alla luce una bambina che, come d'accordo con la famiglia, venne subito adottata da una giovane coppia americana. 𝗜𝗜. — Gli Ives portarono, pochi giorni dopo la sua nascita, la piccolina a casa e decisero di darle il nome di una delle Pleiadi: Elettra, registrato però con una variazione più comune, Electra. Non c'era altro modo per descrivere Electra: era, davvero, elettrica, non smetteva mai di parlare, di muoversi ma nonostante questo era davvero una bambina buona capace di far innamorare chiunque. All'età di tre anni Electra ricevette quello che, forse, sarà il regalo più importante della sua vita: un'altra bambina, infatti, si aggiunse alla famiglia Ives e prese anche lei il nome di una delle Pleiadi, Merope. La nuova entrata nella famiglia sconvolse, e non poco, le routine di tutti i componenti della stessa: la bambina, infatti, era ciò che di più diverso c'era da Electra, era chiusa, parlava poco e quando lo faceva si esprimeva nella sua lingua madre, il Norvegese. Con il passare del tempo le due bambine crearono un legame solido, duraturo, il legame di due vere e proprie sorelle: la routine delle due, però, mutò ancora dato che una terza bambina, Asterope, venne adottata dalla coppia; Merope, abituata a vedere tanti bambini, non fece fatica ad adattarsi anche a questo nuovo piccolo esserino che piangeva notte e giorno ma la stessa cosa non si poteva dire di Electra che, da subito, sembrò avere difficoltà con la nuova arrivata non riuscendo ad instaurare quel rapporto che aveva creato con Merope. 𝗜𝗜𝗜. — Gli anni passavano e la famiglia si allargò ulteriormente: i coniugi Ives, infatti, adottarono Maia, Alcione, Taigete e Celano, altre bambine che portarono il numero delle sorelle a sette, sette come le Pleiadi dalle quali prendevano i nomi. Nonostante il crescere della famiglia e l'istaurarsi di forti legami anche con le sorelle, il rapporto più forte sicuramente era quello che Electra aveva con Merope, sua coetanea e sorella prediletta con cui condivide molte cose ed interessi, primo tra tutti quello della lettura e il sogno di lavorare, un giorno, nella casa editrice di proprietà della loro famiglia adottiva. Gli anni passavano e le sorelle Ives crescevano: Electra, da bambina vulcanica che era, si trasformò in una ragazza espansiva, solare e determinata che, soprattutto durante il liceo, brillò sia come studentessa che come capo del Comitato Studentesco, diplomandosi con il massimo dei voti e dei crediti. Sicura dei risultati ottenuti al liceo, Electra, decise di iscriversi a Yale e frequentare la facoltà di Marketing che le avrebbe permesso di curare quell'aspetto della Casa Editrice della sua famiglia: voleva, infatti, diventare Consulente Editoriale. Con la scelta di trasferirsi per frequentare Yale, Electra rinunciò a trascorrere tutto il tempo possibile con sua sorella Merope che, negli anni, era diventata la sua migliore amica: il distaccò fece male ad entrambe ma entrambe si fecero, e mantennero, la promessa di vedersi regolarmente così da potersi mantenere aggiornate con la vita di tutti i giorni. Electra superò al meglio anche la prova posta da Yale laureandosi nel 2015: fu quello l'inizio del suo sogno, iniziò, infatti, a lavorare subito nella casa editrice della sua famiglia come Consulente Editoriale. 𝗜𝗩. — Il lavoro nella casa editrice, unito al fatto che con lei lavorava anche la sorella Merope, fecero sentire Electra felice e realizzata: è in quel periodo che El dà del suo meglio nei rapporti sociali e sul lavoro, iniziando anche una relazione parecchio importante con un uomo di nome Thomas con cui iniziò a parlare di futuro, di convivenza, matrimonio e figli; era tutto davvero perfetto. L'idillio nella vita di Electra, però, venne rotto qualche tempo dopo: una mattina, verso le 8, Electra e Merope si recarono nella Casa Editrice e trovarono il loro papà riverso in una pozza di sangue, era stato ucciso per quello che poi si scoprì essere stata una questione di invidia; questo evento portò El a distaccarsi dal mondo, lasciando il suo amato Thomas e concentrandosi solo e soltanto sulla sua famiglia. Il tempo da quel tragico evento, ormai, è passato ed ora Electra si dedica con tutte le sue forze al suo lavoro, ai suoi amici e soprattutto alla sua famiglia, sapendo di poter contare sempre sulle sue sorelle soprattutto su Merope. ⋰ 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐭𝐚𝐯𝐨𝐥𝐭𝐨 ▸ Blake Lively.
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La Contea di Galway è situata sulla costa occidentale della Repubblica d’Irlanda. Fa parte della provincia irlandese del Connacht e confina a nord con la contea di Mayo, a nord-est con la contea di Roscommon, ad est con la Contea di Offaly, a sud-est con la contea di Tipperary e a sud con la contea […]
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Cantiamo il terrore e la bellezza contro i Cesari scervellati: dialogo con Yusef Komunyakaa
L’aedo degli Stati Uniti d’America è un afroamericano con il viso enorme e gli occhi che mitragliano meraviglie, nato a Bogalusa, piccolo borgo della Louisiana, esattamente 70 anni fa, da una famiglia modesta, come tante, in un luogo che sembrava il luogo più antipoetico del pianeta. L’aedo americano è un reduce del Vietnam, decorato con la medaglia di bronzo: laggiù James Willie Brown Jr., non è andato a sparare, detonava parole, come responsabile editoriale e corrispondente del Southern Cross. L’aedo americano è un poeta che ha scelto di cambiare nome, di indossare quello dei suoi avi, Komunyakaa, calzandolo insieme a Yusef, Giuseppe, il sognatore, l’uomo che sa dare un ordine verbale alla maceria onirica. Yusef Komunyakaa, aedo americano glorificato dalla fama – nel 1994 ha ottenuto il Pulitzer per la poesia, riconoscimento che è toccato, tra gli altri, a Robert Frost, W. H. Auden, Robert Lowell, Sylvia Plath, Charles Wright; nel 1999 è stato eletto Chancellor dell’Academy of American Poets – e straziato dal dolore – nel 2003 la compagna, Reetika Vazirani, si uccide, uccidendo il figlio di due anni, Jehan – esordisce alla poesia nel 1977, quarant’anni fa, con Dedications and other Darkhorses. Seguono testi importanti, come Dien Cai Dau (1988), in cui è rievocato il conflitto vietnamita, Neon Vernacular (1993; per cui ottiene il Pulitzer), The Emperor of Water Clocks (2015). Esegeta del jazz, che ne agita il verso – tra l’altro, è autore di Testimony, libretto sulla vita di Charlie Parker, 2000 – omerico innovatore del mito – il suo Gilgamesh, 2006, scritto per la scena, ipotezza Uruk nell’Iraq scandagliato dalla guerra – Komunyakaa ha scritto probabilmente la più bella poesia sul Presidente Obama, The Day I Saw Barack Obama Reading Derek Walcott’s Collected Poems (versi magnetizzati: “Ora, sembra che voglia mordere le parole,/ il loro dolce, inebriante sapore. Foglie di banana/ & animale, essere & nonessere. Infatti,/ bramando saggezza, morde nella memoria”) e ritiene il Presidente Donald Trump un fake Cesar, un Cesare fasullo. Maestro di più generazioni di poeti alla New York University, nel 2005 ha scritto alla Poetry Foundation una lettera da ricalcare sulla facciata dei licei di mezzo mondo, indignandosi, “in questo tempo, arte e musica sono le prime materie sacrificate nelle scuole pubbliche. Non parliamo della poesia! Che fine ha fatto la poesia nei programmi scolastici?”. La poesia fa funzionare il cervello e irrora il cuore: un sistema scolastico privo di poesia crea elettori mediamente cretini. Troppo poco presente in Italia, se non grazie alla cura di Antonella Francini (Il ritmo delle emozioni, Liberodiscrivere edizioni, 2004; Totem, Le Lettere, 2006), è ora di tradurre Komunyakaa come si deve. Speriamo che questo dialogo funga da incipit, da esca, da preludio, da alba.
Il suo primo libro di poesie nasce dopo la guerra in Vietnam. Esiste una relazione tra quella esperienza e la scoperta della poesia? Dien Cai Dau (1988) è il suo libro, a posteriori, dedicato a quella guerra…
“Per quanto mi riguarda, sono arrivato alla poesia tramite un viaggio interiore, tramite l’immaginazione, un processo naturale, contrario al giornalismo. Certo, a volte ciò che penso e che scrivo è in definitiva quello che so e che sento, ma anche ciò che oso scoprire. In questo senso, forse, mi sento vicino ai principi del surrealismo. Non pensavo che le mie esperienze e le mie osservazioni diventassero grano per la mia poesia; pensavo che avrei scritto dei saggi sul Vietnam, invece, un giorno di agosto del 1983, a New Orleans, mi sono trovato a scrivere un poema sulla guerra in Vietnam, e tutte quelle terribili immagini sono venute a galla. Dien Cai Dau non è stato pianificato o pensato precisamente, mentre restauravo la casa al 1818 di Piety Street, mentre scendevo una scala a pioli e scrivevo versi su un blocco di carta blu”.
Lei ha ottenuto i più importanti riconoscimenti che gli Stati Uniti assegnano alla poesia. Che ruolo ha il poeta, oggi, nella società civile americana?
“Io penso che il poeta ponga delle domande, dunque dal dialogo e dalla negoziazione una risposta potrebbe inciampare da una finestra o da una porta, o arrivare da solo Dio sa dove. Davvero, il poema forse è una inchiesta immaginaria, mai didattica. E dovrebbe cantare. Molti di noi sono in debito con Walt Whitman – nella visione e nel riconoscimento. Noi cantiamo il terrore e la bellezza, insieme all’elementare, al quotidiano, e anche al fantastico. Penso che la maggior parte dei poeti abbia fede nei propri lettori o ascoltatori come co-creatori di senso. Noi piantiamo immagini, semi, e qualche volta essi germogliano in domande e rivelazioni nel silenzio illuminato dalla luna, mentre muore la notte”.
A suo avviso, qual è il rapporto tra il poeta e la storia, tra il poeta e il proprio tempo? Esempio: che opinione ha di Donald Trump?
“Il poeta è spesso un tecnico del tempo e dello spazio, nella musica come nel linguaggio. Spesso, il poeta è il primo ad affrontare l’interrogatorio dello specchio. Ma come ho detto prima, lui – o lei – non è un giornalista; sebbene fatti ed esperienze vissute risiedano anche nella poesia. La narrativa corazzata può essere un peso per i piedi del ballerino, come per la mente del poeta. Infatti, noi marciamo spesso con un altro batterista. In questo momento in America, sappiamo di dover subire la nostra quota di Cesari scervellati. E questo perché troppi dei nostri cittadini vengono ingannati da una telecamera, e troppi sembrano credere che il denaro equivalga alla saggezza e alla bontà. L’arena politica è diventata pessimo teatro. Forse Mina Loy aveva ragione quando parlando di Pubblico e Artista diceva: “A loro piacciono gli stessi drink, possono combattere nella stessa trincea, pretendere la stessa donna – ma non possono mai vedere la stessa cosa”. Riesco solo ad immaginare il nostro Cesare fasullo replicare: ‘Qualcuno può dirmi di che cosa sta parlando, eh?’”.
Chi sono i suoi insegnanti, quali i riferimenti culturali? Mi ha sorpreso scoprire che si è occupato di jazz ma anche dell’epopea di Gilgamesh, la poesia è davvero onnivora. Quali sono i temi dominanti della sua ricerca?
“Crescendo a Bogalusa, devo dire che la natura è stata il mio primo maestro. Forse era lì, vagando per i boschi, che ho scoperto di essere molto più attratto dalla domanda che dalla risposta. Penso di continuare ad amare il processo di scoperta, come l’intagliare sentieri riesca a coinvolgere la mente. Sono ancora attratto dalla sfida alla memoria, mi diverte raccogliere frammenti da diversi tempi e luoghi. Amo la danza e lo spirito dell’essere vivo. E a volte mi piace ridere e dire, ‘Dannazione, ma da dove viene?’. Probabilmente il jazz mi ha insegnato come ascoltare, come essere. Inoltre, posso udire l’eco del mondo della letteratura. Ci sono centinaia di voci e migliaia di poesie. L’altra sera stavo leggendo i Collected Poems di Galway Kinnell, consapevole che sono in debito con lui. Ora, il mio processo è leggermente diverso con Gilgamesh. Benché avessi letto diverse traduzioni o variazioni su quel mito cuneiforme, dovevo creare una storia che possedesse ritmo, sentimento e spazio per i personaggi che agivano sul palco. L’antica Uruk è l’odierno Iraq devastato dalla guerra. Nessun tema è tabù purché ci sia verità e bellezza. E l’atto della visione non può essere affrettato o offuscato dalla tecnologia”.
Che rapporti ha con i poeti viventi? Esiste una ‘comunità’ poetica o singoli poeti che lavorano in solitudine?
“Beh, insegnare alla New York University e partecipare a letture pubbliche mi tiene informato su ciò che accade in questo grande paese. Sono sempre interessato alle giovani voci là fuori. Naturalmente, per me, la scrittura accade anzi tutto in solitudine. Quindi, condivido il mio lavoro con la comunità”.
E ora? A quale progetto poetico sta lavorando?
“Ora sto lavorando per Night Animals, Everyday Mojo Songs of Earth: New & Selected Poems, a un poema lungo un libro da titolo The Last Bohemian of Avenue A, così si chiamerà. Voglio continuare a sorprendere me stesso”.
Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo alcune poesie già apparse in Italia.
Dalle parti di Phu Bai
La luna penetra negli
alberi della notte come una sega circolare
incandescente. Nella garitta
mi appoggio ai sacchi di sabbia,
mirando a qualsiasi cosa.
Centinaia di stelle blu acciaio
intagliano un sentiero, sventagliando
argento per un secondo. Se c’è qualcuno
laggiù, non date a me la colpa.
Conto e riconto le ombre
a dieci metri di fronte, per accertarmi
che ci siano sempre.
Non oso battere le palpebre.
Il retro dipinto di bianco
delle mine Claymore
come quarti di luna.
Dicono che Victor Charlie
dipingerà gli altri lati & girerà
l’esplosione contro di te.
Se sento un rumore
premerò il bottone
& mi farò volare via?
La luna sfiora la cima degli alberi.
Conto di nuovo le Claymore
Pensando ai pallettoni
impastati nel C-4 plastico
del cervello, contando
pecore prima di rendermene conto.
(traduzione di Antonella Francini)
Camuffando la Chimera
Attaccammo rami ai nostri elmetti.
Ci dipingemmo le facce e i fucili
con il fango della riva di un fiume,
fili d’erba appesi alle tasche
delle nostre tute mimetiche. Procedevamo
a zig zag penetrando nel terreno,
contenti di essere bersaglio per i colibrì.
Accarezzavamo i bambù e trovavamo
conforto nella brezza del fiume,
trascinandoci coi fantasmi
da Saigon a Bangkok,
con le donne lasciate sulla soglia
che ci tendevano la mano dall’America.
Miravamo agli uccelli dal canto cupo.
Durante le soste, circondati da ombre,
le scimmie delle rocce tentavano di smascherarci,
lanciando pietre al tramonto. I camaleonti
strisciavano sulle nostre schiene, mutando da giorno
a notte: da verde a dorato,
da dorato a nero. Ma noi aspettammo
finché la luna divenne metallo,
finché qualcosa si spezzò quasi
dentro di noi. I Vietcong lottavano
contro il pendio, come seta nera
alle prese col ferro attraverso l’erba.
Noi non c’eravamo. Il fiume ci scorreva
nelle ossa. Piccoli animali trovarono rifugio
contro i nostri corpi; trattenemmo il respiro,
pronti a far scattare la nostra imboscata
a L, mentre un mondo ruotava
sotto le palpebre di ogni uomo.
(traduzione di Gianni Darconza)
*
Your first book of poems is born after the experience of the war in Vietnam. Is there a relationship between that experience and the discovery of poetry? ‘Dien Cai Dau’ (1988), if I’m not mistaken, is a poetic book centered on the war.
For me, I arrived at poetry because of an internal voyage and imagination, a process that is natural, that’s contrary to journalism. Of course, at times what I think and write is definitively what I know and feel, but also what I dare to discover. And in this sense, perhaps I felt close to the conceits of surrealism. I didn’t think my experiences and observations were the grist for my poetry; I thought I’d write essays about Vietnam, but instead one August day in ’83 in New Orleans I found myself writing a poem about the war in Vietnam, and all the terrifying images came forth. Dien Cai Dau wasn’t planned or actively thought about as I renovated the house at 1818 Piety Street, descending a stepladder and writing lines on a pad of blue paper.
You have obtained the most important poetic acknowledgments in the USA. What role does the poet play today in American civil society?
I think the poet poses questions, and then out of dialog and negotiation an answer may stumble through a window or door, coming from only God knows where. True, the poem maybe an imagistic inquiry but never didactic. And it should sing. Some of us remain in debt to Walt Whitman—in vision and acknowledgement. We sing the terror and the beauty, along with the elemental, the everyday, and the even fantastical. I think that most poets trust their readers or listeners as co-creators of meaning. We plant images, seeds, and sometimes they germinate into questions and revelations in moonlit silence in the dead of night.
What is the relationship, in your opinion, between the poet and the story, between the poet and his time? For example: what is your opinion of the last American president, Donald Trump?
The poet is often a technician of time and space, as in music and language. Oftentimes, the poet is first to face the mirror’s interrogation. But as I said before, he or she isn’t a journalist; though lived experiences and facts also reside in poetry. The ironclad narrative can become weights on the feet of the dancer, as well as in the mind of the poet. Indeed, we sometimes march to a different drummer. At this moment in America, we know that we have our share of lamebrain Cesars. And that is because too many of our citizens are hoodwinked by the camera, and some seem to believe that money equals wisdom and goodness. The political arena has become bad theatre. Perhaps Mina Loy was right when she speaks of The Public and The Artist, saying, “They like the same drinks, can fight in the same trenches, pretend to the same women—but never see the same thing ONCE.” I can only imagine our fake Cesar saying, “Would somebody please tell me what she’s talking about, huh?”
Who are your teachers, what are your cultural references? I was amazed to discover that you took care of jazz, but also of the epic of Gilgamesh: poetry is really omnivorous. What are the dominant themes of your poetic research?
Growing up in Bogalusa, I have to admit that nature was my first teacher. Perhaps it was there, as I wandered around in the woods, I discovered that I was more drawn to the question than the answer. I think I continue to love the process of discovery, how the cut of paths converge to engage the mind. I’m still drawn to the dare in recall, the fun of drudging up bits and pieces of data from multiple times and places. I love the dance and spirit of being alive. And sometimes I like to laugh and say, “Damn, where did that come from?” Perhaps jazz has taught me how to listen, how to be. Also, I can hear echoes from world literature. There are hundreds of voices and thusands of poems. Last night I was reading Galway Kinnell’s Collected Poems, fully aware that I’m indebted to him. Now, my process was slightly different with Gilgamesh. Though I had read some translations of or variations on those mythic cuneiforms, I had to create a narrative that possesses pace, feeling, and space for the characters on stage. Ancient Uruk is today’s war-torn Iraq. I feel that there isn’t any topic that’s taboo as long as there’s truth and beauty. And the act of seeing cannot be rushed or blurred through technology.
What relationship do you have with living poets? Is there a poetic ‘community’ or individual poets working in solitude?
Well, teaching at NYU and also presenting public readings keep me abreast of what’s happening across this big country. I’m always interested in those young voices out there. Of course, for me, the writing occurs primarily in solitude. Then I share my work with a larger community.
And now? What poetic project are you working on?
I’m presently working on Night Animals, Everyday Mojo Songs of Earth: New & Selected Poems, a book-length poem titled The Last Bohemian of Avenue A, as well as two plays. I suppose I’m still trying to surprise myself.
L'articolo Cantiamo il terrore e la bellezza contro i Cesari scervellati: dialogo con Yusef Komunyakaa proviene da Pangea.
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