#correndo da lui
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Nel film “Profumo di donna” c’è una scena indimenticabile: quella in cui il protagonista, interpretato da Al Pacino, invita una giovane donna a ballare. Lei risponde:
“Non posso, il mio fidanzato sta per arrivare.”
“In un istante, si vive una vita!” risponde lui, conducendola a ballare un tango.
Questa breve ma memorabile scena racchiude uno dei messaggi più belli del film:
Alcune persone passano la vita correndo dietro al tempo, senza mai riuscire a raggiungerlo, anche quando corrono in fretta. Altri, invece, guardano solo al futuro, dimenticandosi di vivere il presente, l’unico momento che esiste davvero.
Tutti abbiamo lo stesso tempo a disposizione, nessuno ha più o meno di 24 ore al giorno.
La differenza sta in come scegliamo di vivere queste ore.
Dobbiamo imparare a godere di ogni istante, perché, come diceva John Lennon:
“La vita è ciò che accade mentre siamo impegnati a fare altri piani.”
Godiamoci questa meravigliosa vita! 🌟💃🌸
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Un bambino risponde grazie perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo.
Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso in cui lui abbia bisogno di te.
Un bambino quando si fa male piange molto di più se percepisce la tua paura.
Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia. Non sostituirti a lui. Ricorda che la sua implicita richiesta è: aiutami a fare da solo.
Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele. Purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti. Avrai modo, più tardi, di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose. Lui capirà.
Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la letteratura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta.
Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu.
Un bambino ha fiducia nell’amore quando cresce in un esempio di amore, anche se la coppia con cui vive non è quella dei suoi genitori. L’ipocrisia dello stare insieme per i figli alleva esseri umani terrorizzati dai sentimenti.
Non sono nervosa, sei tu che mi rendi così, è una frase da non dire…
Un bambino sempre attivo è nella maggior parte dei casi un bambino pieno di energia che deve trovare uno sfogo, non è un paziente da curare con dei farmaci. Provate a portarlo il più possibile nella natura.
Un bambino troppo pulito non è un bambino felice. La terra, il fango, la sabbia, le pozzanghere, gli animali, la neve sono tutti elementi con cui lui vuole e deve entrare in contatto.
Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo non è mal vestito, ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti.
Un bambino pone sempre tante domande. Ricorda che le tue parole sono davvero importanti. Meglio un questo non lo so se davvero non sai rispondere; quando ti arrampichi lui lo capisce e ti trova anche un po’ ridicola.
Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore. Lo legge attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi. Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato. Spiegagli perché sei triste. Lui è dalla tua parte.
Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile. Vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere.
Quando la vita è complicata il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua.
Il bambino adora la confidenza, ma vuole una madre, non un’amica.
Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono.
Onoriamolo con cura.
- Giorgio Gaber
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non pensavo di stare così male dopo la perdita di mia nonna, non sapevo quanto doloroso fosse un lutto, ma ora ogni cosa mi ricorda lei; persino una stupida bottiglia di cedrata mi fa venire in mente tutte le volte che la imploravo di bere acqua e non solo quella maledetta bibita. mi fa male pensare che ora non potrò più entrare in quella casa sorridendo e correndo a darle un bacio. mi fa male sapere che non potrò più andare da lei con luca e sentirle dire che lui è stata la mia fortuna e di sposarci presto, perché voleva regalarmi l'abito da sposa, ma soprattutto di non litigare e di amarci tanto, come lei ha amato il nonno. mi fa male realizzare che non mi dirà più di avvicinarmi al suo letto per dirmi: "sei la mia bambolina. tutte le mie amiche ti vedevano e mi dicevano: «hai una nipote stupenda». sei il mio orgoglio.", mi fa male sapere che non potremo più ridere assieme per degli episodi divertenti accaduti mentre eravamo in vacanza assieme o nella semplice quotidianità.
come si supera un tale dolore? perché mi sento estremamente vuota e confusa.
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SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO
Ieri ho pulito la macchina della mia compagna e nella tasca dietro al sedile ho trovato questo
E oggi, andando a lavorare, ho provato la stessa sensazione di libertà...
TUTTO CHIUSO E UN CAZZO DI GENTE PER STRADA
Qualche sera fa un pornbot ha messo il like a un mio vecchio post di Febbraio 2020 e scorrendo la mia dash da quel punto in poi ho fatto una carrellata di tutti i post che avevo scritto durante il primo periodo della pandemia, dai primi focolai nel Nord Italia fino alle prime somministrazioni di vaccino.
Boh... la sensazione è stata strana, un po' come quando giravo per strada a Marzo 2020 e sembrava di essere durante uno zombie outbreak ma senza zombie: c'era qualche sopravvissuto che puzzava di gel idroalcolico e che indossando guanti e mascherina osservava con sospetto misto a odio qualsiasi cosa si muovesse, mentre elicotteri e macchine della polizia pattugliavano le strade.
Una volta qualcuno qua su tumblr mi ha detto che secondo lui ero tra i pochi a non avere paura perché avevo due cose che gli altri non possedevano:
CONOSCENZA ed ESPERIENZA
che poi erano concetti un po' troppo grossi rispetto a quello che in realtà avevo ma oltre alla capacità di codificare a livello sanitario quello che stava succedendo (cioè chi stava correndo un reale rischio) e un bagaglio di conoscenze della gestione dell'emergenza (cioè come ridurre realmente il rischio) in realtà possedevo una terza cosa, forse la più utile:
PROVAVO GIA' DISINTERESSE VERSO LA FRAGILE STRUTTURA SOCIO-ECONOMICA CHE TUTTI DAVANO PER SCONTATA E SULLA PRESUNTA ROBUSTEZZA DELLA QUALE TUTTI FACEVANO CIECO AFFIDAMENTO.
Oramai la nostra società è tarata come un perfetto ingranaggio di produzione-consumo che si autosostenta grazie alla sincronia dei due fattori o, usando una metafora aulica, mangiamo la merda che caghiamo senza avere più contezza della fragilità di questo equilibrio.
Gli ospedali curano sempre di più chi sta meno peggio, i servizi sociali seguono solo chi ha tangibili possibilità di recupero, le scuole pubbliche hanno abiurato alla loro missione formativa e il sistema giudiziario ha più colpevoli di quanto possa giudicare.
Un fragile equilibrio eroso lentamente che non può reggere a grandi shock sistemici o che dà l'illusione di reggerli - vedi Covid 19 - ma che si assesta a un gradino più basso della scala di umanità.
Certe volte mi viene da pensare che se si deve sopravvivere a queste condizioni e a tutti i costi allora forse il sogno che ho fatto stanotte dovrebbe diventare realtà: un rifugio alpino in cemento armato, gente che corre al riparo mentre luci rosse lampeggiano e io che mi attardo su una balconata con un fucile da cecchino in mano e sussurro - Non so cosa stia per succedere ma non ho mai avuto la senzazione della mia vita sotto controllo come adesso.
So di essere stronzo ad augurarmi queste cose ma sono uno stronzo stanco.
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no bosque com @luisdeaguilar dentro do plot drop.
este é um starter para ganhar dracmas ! @silencehq
acordar de um pesadelo sempre a deixava com dores de cabeça, além da irritação de uma noite mal dormida; contudo, no bosque, a situação era completamente diferente! katrina sabia que estava acordada, logo, não havia vivenciado um pesadelo; havia ainda aquela sensação de que estava correndo perigo, ainda sentia o corpo quente pela sensação do fogo a consumindo, a morte se aproximando. ainda ajoelhada, as mãos caídas ao lado do corpo, percebia que não estava sozinha, um grupo pequeno ainda estava sob o efeito daquele transe, ao seu lado, um pouco mais próximo estava luis e lembrava-se de tê-lo visto em sua visão, de como sentiu-se quando ele havia percebido que ela era um monstro. remexeu-se, forçando os pés e joelhos a obedecerem, erguendo-se; parecia fraca, muito embora o desgaste fosse muito mental do que físico. ، ei, luis. o chamou, temendo que o despertar repentino o fizesse algum mal. katrina observou que o seu líder de patrulha estava acordando, mas não queria crer que ele havia os levado até ali de propósito. ، acorda, cara.
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XO (only if you say yes!)
mondo si gentile con me questa è la prima storia che scrivo e decido di pubblicare.
“Se non apri questa porta ti uccido” la voce ovattata ed annoiata di Ethan risuonava al di là del portone, Lea rise di gusto “Va bene, va bene, arrivo” disse prima di aprire la porta facendo entrare il ragazzo zuppo dalla testa ai piedi che la guardò con uno sguardo bellamente arrabbiato ed infastidito.
“Grazie eh” mormorò Ethan entrando in casa, sfilandosi prima le scarpe per poi togliersi il giacchetto, rimanendo solo in abiti comodi, fradici, l'aria calda gli accarezzò il volto, dandogli delle sfumature rosee sulle guance.
“Quando vuoi” scherzò Lea, correndo a prendere una felpa dall’armadio di suo fratello Jasper che appena la vide piombare nella sua stanza le urlò contro di bussare. “Tieni metti questa e dammi pure la giacca e la tua felpa, la metto ad asciugare in bagno sul termosifone riscaldato, almeno non devi uscire zuppo”
“Ma che gentile che sei” scherzò Ethan sfilandosi la felpa che assieme si portò su anche la maglia nera che indossava sotto facendolo rimanere a petto nudo, Lea arrossì osservando il fisico del capitano di basketball della sua scuola ed il suo fisico marmoreo, aveva tutti i muscoli al posto giusto e non troppo marcati, il giusto per renderlo disgustosamente attraente.
Lea sentì il cuore accelerare mentre lo osservava. Il vapore che si alzava dalla sua pelle umida creava un'aura quasi mistica attorno a lui. Non aveva mai notato quanto fosse definito il suo addome, quanto fossero forti le sue braccia.
“Non…non posso lasciare che il capitano si ammali” disse balbettando Lea, abbassando lo sguardo, cercando di nascondere il rossore che le ardeva sulle guance.
Ethan sorrise, divertito dalla reazione di Lea. "Non preoccuparti, non mi ammalerò. Sono fatto di ferro, io." Si avvicinò a lei, prendendo la felpa dalle sue mani prima di infilarla.
scosse la testa passandosi una mano tra i capelli rossastri ancora un po’ bagnati.
Ethan fece un passo avanti, stringendola in un abbraccio umido che la avvolse come una coperta calda. Lea si irrigidì, sentendo il suo corpo caldo contro il suo. Il profumo di Ethan, un mix di shampoo e colonia, la inebriava, il suo cuore batteva come un tamburo. Gli strinse le mani in vita, reciprocando l'abbraccio, "Mi sei mancato," mormorò, la voce tremante. Strofinò il viso nell'incavo del suo collo, assaporando il calore della sua pelle.
"Sono stato fuori solo cinque giorni per una partita, non sono mica andato in guerra," esclamò ridendo, ma il suo tono era più dolce del solito.
La sua risata, profonda e melodiosa, riempì il soggiorno, creando un'atmosfera intima e intensa.
Ma la magia fu interrotta dai passi pesanti di Jasper che risuonarono lungo il corridoio. Lea si staccò da Ethan, il suo viso arrossato. I suoi occhi cercarono quelli di Ethan, ma lui aveva già girato lo sguardo sorridendo non appena Jasper entrò nel suo campo visivo.
“Ethan! Amico, che partitona Domenica! quel canestro proprio sul finire del tempo!” esclamò scansando Lea che indietreggiò prese i vestiti bagnati di Ethan e si diresse verso il bagno, sentendosi come se le avessero strappato il cuore. Appoggiò gli abiti sul termosifone, guardando il vuoto per qualche secondo. Il cuore le batteva ancora all'impazzata.
Lea appoggiò la schiena al muro freddo, il respiro corto. Il rumore della pioggia che batteva contro la finestra la travolse, come i suoi pensieri confusi. Si strinse nel suo maglione, cercando un po' di calore. Ricordava la loro prima grande litigata, quando erano ancora alle superiori. Ethan si era rotto il crociato durante una partita di basket e si era presentato alla sua festa di compleanno la sera stessa con le stampelle. Lei lo aveva apprezzato moltissimo, ma si era sentita in colpa, quasi soffocata dal suo altruismo.
Ora, anni dopo, si ritrovava di nuovo a provare le stesse emozioni. Ethan la faceva impazzire, con la sua gentilezza, il suo sorriso contagioso. Ma era così lontano, così irraggiungibile. Si sentiva come una bambina che ammirava un supereroe, in grado solo di guardarlo da lontano.
Lea si voltò verso la porta, esitando un attimo. Sentiva la voce di Ethan mescolarsi a quella di suo fratello, creando una melodia familiare che la faceva sorridere e piangere allo stesso tempo. Con un profondo sospiro, si allontanò dalla porta, dirigendosi verso la sua camera.
Accese la lampada da scrivania, illuminando un piccolo angolo della stanza. Si mise a sfogliare i suoi appunti, cercando di concentrarsi sui concetti che aveva difficoltà a capire. Ma i suoi pensieri continuavano a vagare verso la presenza di Ethan nel soggiorno.
Infilò le cuffie e avviò la playlist condivisa, era un’accozzaglia di generi e di canzoni sconclusionate che però avevano un significato ben preciso. Le note familiari riempirono la stanza, riportandola indietro nel tempo. Ricordava quando avevano creato quella playlist, trascorrendo ore a cercare nuove canzoni, a condividerle e a commentare. Era stata una delle loro prime uscite da soli, dopo essersi conosciuti meglio.
Senza rendersi conto, si era addormentata sulla scrivania, la testa appoggiata ai libri. Al suo risveglio, vide Ethan disteso addormentato sul suo letto, il telefono in mano con un video sul basket ormai dimenticato. I raggi del sole non filtravano più dalla finestra. l’unica fonte di illuminazione era rimasta la sua lampada.
Lea si alzò stirandosi arrivando vicino la finestra vedendo le gocce di pioggia battere incessantemente contro il vetro, il vento che spostava i rami del vecchio pino che era nel giardinetto condominiale, il meteo era peggiorato rispetto a quando era arrivato Ethan qualche ora fa.
Lea guardò il suo letto occupato dalla figura familiare di Ethan, la luce soffusa illuminava il suo viso rilassato. Lea sorrise, ammirandolo. Sentiva il suo cuore batterle forte nel petto. Si mosse lentamente, cercando di non fare rumore. Uscì dalla stanza attenta a non disturbarlo, camminò verso il salotto dove Jasper era impegnato a guardare una qualche serie tv.
Percependo la sua presenza, suo fratello si mise seduto sul divano guardandola con un sopracciglio alzato.
“Perchè sembri un'anima in pena? Che è successo? Non vi ho sentiti parlare, non puoi dirmi che non prova la stessa cosa che provi tu”, disse Jasper, la voce tremante di un'emozione trattenuta a fatica.
Lea lo guardò storto come ogni volta che Jasper tirava fuori l'argomento Ethan Lee. Respirò profondamente e raggiunse il fratello sedendosi accanto a lui con il broncio sul volto.
“Ehy, parlaci, vedi che non te ne pentirai, parola di fratello ma sopratutto parola di scout!”, esclamò alzando il mignolo della sua mano, la sua voce più alta del solito, quasi strillata.
Lea sorrise lievemente 'non sei nemmeno mai stato uno scout', disse continuando a guardarlo male.
“Ascolta, conosci Ethan meglio di me, Dio, me lo hai presentato tu come il tuo migliore amico e già avevo i miei dubbi, lo vedevi a scuola come si comportava? I compiti li passava solo a te, le cheerleaders le ignorava tutte, al massimo ci parlava solo quando era costretto, suvvia Lea, non puoi dirmi che quel ragazzo non è innamorato di te! Stai soffrendo, Lea, e lui pure! Metti fine a tutto ciò e parlaci!” esclamò Jasper, schizzando in piedi, il volto contorto dalla frustrazione. Le mani le strinse a pugno, le nocche bianche.
"Jasper, non credo sia la scelta giusta, con quale coraggio posso dire ad Ethan che..."
"Dirmi cosa?" La interruppe proprio Ethan con ancora gli occhi lucidi e stiracchiando le braccia fino a sopra la sua testa, facendo alzare la felpa di Jasper e mostrando la parte inferiore dell'addome.
Lea arrossì violentemente, sentendo il calore salire alle guance fino alle radici dei capelli. I suoi occhi cercarono disperatamente un punto su cui fissarsi, ma ogni oggetto nella stanza sembrava brillare di una luce più intensa, sottolineando il suo imbarazzo.
Ethan rimase fermo, a metà del suo stiramento, lo sguardo fisso su Lea. La sua espressione era un misto di curiosità e di un'amichevole attesa. Sembrava quasi divertito dalla reazione della ragazza, ma allo stesso tempo ansioso di sapere cosa stesse cercando di dirgli.
Lea avrebbe voluto sprofondare nel pavimento. Ogni secondo che passava sembrava un'eternità, e la sua mente correva a mille all'ora cercando una via d'uscita da quella situazione imbarazzante. Il suo cuore batteva forte nel petto, quasi soffocandola.
"Ehm... niente, dimenticavo," balbettò infine, cercando di riprendere il controllo della situazione. Ma la sua voce tremante la tradì, e la sua faccia era ancora più rossa di prima.
Ethan la osservò per un attimo, un sorriso appena accennato sulle labbra. "Sicura? Sembravi sul punto di dirmi qualcosa di importante."
Lea abbassò lo sguardo, cercando di nascondere il suo imbarazzo. "No, davvero, niente di importante."
Ethan annuì, ma il suo sguardo indagatore la fece sentire a disagio. Aveva la netta sensazione che lui avesse capito che stava nascondendo qualcosa, e l'idea la terrorizzava.
"Eh no, non ci sto, ora basta, Ethan, Lea ti deve parlare, perciò parlate e Lea piantala di scappare!" Esclamò con la disperazione chiara nella sua voce Jasper, camminando dritto verso lo stesso corridoio da cui il primo era arrivato e chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Ethan e Lea da soli in salotto con sottofondo solo la scadente serie che Jasper stava guardando.
"Ok, che diavolo sta succedendo?" Chiese Ethan avvicinandosi a Lea, peggiorando l'imbarazzo della ragazza. Lea sentì il calore salire alle guance e il cuore batterle come un tamburo.
"O la va o la spacca," mormorò, "Ethan io..." Cominciò, bloccandosi. Le parole sembravano intrappolate in una bolla di ovatta, impossibili da pronunciare. Rimase incantata dagli occhioni dolci di Ethan, che la fissavano con un'intensità che la faceva tremare. "Tu?" La incalzò dolcemente il ragazzo, sedendosi di fianco a lei.
"Ethan tu mi piaci," sbottò, la voce tremante. "Tanto," aggiunse prima di coprirsi il viso con le mani. Sentì Ethan muoversi di fianco a lei, pronta a vederlo alzarsi ed andare via. Lea strinse gli occhi, cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di scendere.
Ethan le prese i polsi delicatamente, scoprendole la faccia. Lea lo lasciò fare ed incrociò il suo sguardo. Ethan aveva sul volto uno dei sorrisi più belli del globo, un sorriso che le scaldò il cuore. "Sono felice che i miei sentimenti siano reciprocati," spiegò, sorpreso ma anche sollevato. "Anche se pensavo fosse ovvio dalle superiori che provassi qualcosa per te."
Lea sorrise timidamente, cercando di abituarsi all'idea che tutto quello che aveva sempre sognato stava finalmente accadendo. In quel momento, il mondo intorno a loro svanì, ridotto a un vago rumore di fondo. C'era solo lei, lui e il battito accelerato dei loro cuori, un ritmo sincopato che sembrava pulsare in ogni vena. Con un gesto lento, Ethan si avvicinò a lei, gli occhi scintillanti di un'emozione che lei non aveva mai visto prima. "Posso baciarti?" domandò il ragazzo, la voce rauca e tremante, accarezzandole uno zigomo con la punta delle dita. Il tocco leggero lo fece rabbrividire piacevolmente e un brivido le percorse la schiena. "Sì," sussurrò lei, la voce appena udibile.
I loro respiri si mescolarono, caldi e umidi, creando una nuvola tra le loro labbra. Ethan si avvicinò ancora, fino a sentire il calore del suo respiro sul viso di Lea. I loro occhi si incontrarono, pieni di un'intensità che la lasciò senza fiato. Poi, le loro labbra si sfiorarono in un bacio leggero, come una carezza, un'esplorazione timida e dolce. Era un bacio che prometteva mondi, un bacio che diceva ‘ci sono io, e ci sarò sempre’.
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Buon compleanno Heeseung, from an Italian Engene!
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Aggiornamenti degli ultimi giorni. Ho lavorato martedì e ieri, oggi sono di riposo e poi lavoro venerdì, sabato e domenica. È un po' uno sclero, perché ci sono mille cose da sapere e da fare, sto in piedi 8 ore di fila correndo come una trottola ma mi piace avere a che fare con le persone. I colleghi sono fantastici, anche se a quanto pare ne ho conosciuti metà di quelli che ci sono. Mi aiutano un sacco e si vede che sono una grande famiglia, nel giro di 2 gg sono già riusciti a farmi sentire a casa.
Adoro fare apertura, perché lavori prima dell'apertura effettiva per un po' di ore e alla fine lavori chiacchierando con gli altri. Ieri ho fatto apertura con 3 veterani e un manager. È partito ovviamente il terzo grado e il manager ad un certo punto mi fa: ma sei fidanzata? Al mio no se ne esce con: guarda ti posso dire menomale? Il mondo della moda ai single regala solo gioie. Uno dei responsabili (quello con cui ho legato di più fin ora) si gira e fa: le regala anche a quelli fidanzati come me porca puttana Lù (gli piaccio palesemente, ma stella sei fidanzato e non voglio problemi grazie).
Le colleghe anche stupende, una più gentile dell'altra.
Sto imparando tutti i nomi perché ogni giorno spunta qualcuno di nuovo. Ieri ad esempio entra un ragazzo e mi fa: piacere Francesco, quello dell'altro store. Perché giustamente già devo imparare i nomi (tutti uguali per giunta, due Valentina, due Alessandro, due Stefano, che minchia variate un po' con questi nomi che mi confondete) di quelli che sono del mio di store, poi arrivano anche quelli da fuori 🫠.
Stasera prima cena aziendale, per i 20 anni e mi vengono già a prendere i colleghi per portarmi con loro 🥹 dove conoscerò tutti i colleghi anche degli altri posti.
Tra l'altro super felice, perché sto imparando tantissime cose e mi hanno messa a fare mansioni che danno a gente che lavora lì da almeno 2 settimane (io dopo 2 giorni ho già fatto quasi tutto).
La mia responsabile era talmente felice che è arrivata in ufficio e fa al manager: indovina cosa le ho fatto fare al secondo giorno ehhhh?.
Il manager: l'hai già portata giù a fare 'nome di mansione'?
Lei: sii è troppo sveglia quindi le ho già insegnato tutto.
Il manager tutto gongolante dicendo che lui da subito ha detto che si vede che sono intelligente e sveglia e che me la so cavare.
Super mega felice ❣️.
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Sesto racconto erotico
Abbiamo parlato di masturbazione, e di quanto fosse naturale farla, abbiamo parlato della nostra prima volta,perchè non parlarne dell'ultima? Non so se possa piacere,a noi ecciterebbe sapere quando e come vi siete toccati,con cosa, con che aiuto durata e tutto del vostro momento di intimità.
Allora premessa che conviviamo ma a causa del lavoro abbiamo bisogno di ''coccolarci'' anche da soli.
Partiamo da lui:
Mi sono svegliato come mio solito con il durello mattutino,come accade a tutti, e con un voglia infinita,mi giro e la mia lei dorme,è dolcissima e so che se la svegliassi mi mangerebbe vivo,quindi evito. L'ammiro per alcuni brevi minuti e vado in bagno, mi spoglio tutto pipi', e come sapete con il durello è un po' complicato farla,ma mi impegno anche perchè lei non vuole che pisci in doccia,sennò mi viene più facile li, mi lavo il viso, barba, lavo i denti.
Sempre con il cazzo all'aria, che cerca di placarsi sennò non vuole saperne di afflosciarsi.
Entro in doccia, il cazzo sbatte a destra e sinistra perchè quando si è duri da moscio o da duro, va per i fatti suoi. Mi shampo,mi insapono tutto e tralascio la zona inguinale appositamente,finita la doccia, mi dedico solo al mio cazzo ,lo insapono per bene e mi sego, penso ,si vado di fantasia e mi sego,si mi sego fortissimo perchè voglio venire. Tempo 3 o 4 minuti sento che già sto per venire, vorrei sbo*rare in doccia ma evito, esco mi asciugo e mi reco in cucina con l'accappatoio e il cazzo sempre sballolzolante.
Mi preparo il caffè, e prendo anche la sua tazzina, mi do gli ultimi due colpi in cucina e sbo*ro,un bel po' che riempio la tazzina del mio piacere per 1/4. Soddisfatto mi asciugo la testa del cazzo con l'asciugamano,mi bevo il caffè e lascio la sua tazzina di sb*rra già nella macchinetta.
Finito di bere il mio caffè mi asciugo,mi vesto e mi reco a lavoro.
Lei:
Mi sveglio, vado in bagno correndo per fare la pipi', ahwwwww la pipi' del mattino è una tappa che amo perchè è soddisfaccente all'infinito. Oggi non lavoro quindi ho tempo che impiegherò per farmi bella,creme cremine, estetista ,parrucchiera cosi' che oggi pomeriggio il mio lui si rinnamori di nuovo di me, perchè lui dice cosi' ogni volta che mi faccio bella.
Finito in bagno mi reco in cucina, sento già il suo odore,la cucina ne è colma. Penso mamma mia che buon odore di sbo*ra, come suo solito è nel bicchierino di caffè, in genere mi faccio uno shot di sb*rra e poi mi bevo il mio caffè,ma oggi voglio cambiare si,voglio un caffè corretto alla sb*rra. Metto la cialda del caffè, e il caffè si mescola con il suo piacere. A livello mentale mi eccita un bel po' sento già lo slip pieno e bagnato. Mamma mia
Assaggio 'sto caffè corretto e cazzo se mi piace, io adoro la sb*rra ma con il caffè è la morte sua.
Ingoio o bevo,non so come dire credo più ingoio ahahaha
TUTTO fino all'ultima goccia.
Mi reco nel nostro lettone apro il cassetto dei miei sex toy e ne scelgo uno, oggi scelgo il ciuccia clitoride e il vibro durex cosi facciamo la giusta combo. Apro il pc e lo collego alla tv cosi da vedere un bel pornazzo, perdo 10 minuti per trovare un bel porno, e ne trovo uno dei bei maschioni che si inchiappettano l'un latro dio mio muoio. Mi metto il cazzo in fica e mi martello e con l'altra mano mi metto l'altro sul clito, Dio lo amo e poco dopo sento già lo stimolo di venire, VENGO. Dio mio di già penso, e sorrido fra me e me. Pulisco i miei due toy con il clean e li rimetto a posto, mi accorgo che sono ancora vogliosa e il porno è ancora alla tv,beh perchè no penso e mi tocco da sola con la mia bella manina per altri minuti mi dedico totalmente al clito e a un capezzolino e dopo poco vengo sfinita sul letto.
Mi riaddormento sfinita e nuda.
Lui torna da lavoro e mi trova sul letto mezza dormiente e con il porno finito sulla tv e mi dice ''Mmmmh oggi niente pranzo,il mio pranzo sei tu!''
Fine
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Quel figlio di una buona gatta del mio gatto nero, dorme profondamente fingendosi morto fino a quando non comincio a pulire il pavimento nell'altra stanza.
Poi lo vedi apparire da nulla ed entra non camminando bensì correndo come una pantera nella savana, facendo scivolate, insomma divertendosi 😑.
Poi esce, io ripasso, lui rientra 😑
Strunz😾😺
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" Alla fine dell’estate Péjsach doveva partire per l’America con la sua famiglia. Si era già abituato al “tubino” e invece degli occhiali di prima portava il pince-nez con un nastro. Una volta, passeggiando con lui, gli restai indietro di mezzo passo, e l’occhio mi cascò per caso sulla sua lente. “Aspetta un po’,” dissi stupito. Gli tolsi il pince-nez dal naso e lo poggiai sul mio. Il giorno stesso andai dall’oculista e mi misi le lenti sul naso. Adesso vedevo benissimo i visi per strada, leggevo i numeri sulle carrozze e le insegne all’altro lato della strada. Vedevo tutte le foglioline sugli alberi. Guardai la vetrina del negozio “Faenza” e vidi cosa c’era sugli scaffali interni. Vidi dodici piatti messi in fila su cui erano disegnati degli ebrei ricoperti di stracci, sotto c’era scritto “Facevano credito”. Oltre il fiume, stupito, vedevo le persone, un gregge, il mulino a vento di Griva Zemgal’skaja. Fischiettando passò sulla riva Osip, insieme a cui avevo studiato per gli esami della classe preparatoria. Si era tolto tutto rapidamente ed era rimasto marrone con addosso solo il cappellino rotondo, con quello era corso in acqua. Correndo, mi guardò con la coda dell’occhio. Volevo dirgli “Salve”, ma non osai.
Andai alla casa dove l’inverno prima abitava Eršov. Vidi un disegno di chiodi sul cancellino da lui tante volte aperto. Cigolò. Attraverso la soglia, curvo, passava Olechnovič. Aveva quel mantello con il cappuccio in cui l’avevo visto d’inverno. Adesso riuscii a vedere che l’abbottonatura del mantello era composta di due teste di leone e di una catenella'che le univa. La sera, quando fece buio, vidi che c’erano molte stelle e che avevano i raggi. Pensai che fino a quel momento tutto quello che avevo visto lo avevo visto male. Sarebbe stato interessante, vedere adesso Natalie e sapere com’era. Ma Natalie era lontana. Quell’anno passava l’estate a Odessa. "
Leonid Dobyčin, La città di enne, traduzione e postfazione di Pia Pera, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; p. 139.
[Edizione originale: Город Эн, Krasnaya Nov editore, Mosca, 1934]
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Un bambino risponde «grazie» perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo.
Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso lui abbia bisogno di te.
Un bambino quando si fa male piange molto di più se percepisce la tua paura.
Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è «aiutami a fare da solo».
Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele, purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti. Avrai modo più tardi di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose. Lui capirà.
Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la letteratura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta.
Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu.
Un bambino ha fiducia nell’amore quando cresce in un esempio di amore, anche se la coppia con cui vive non è quella dei suoi genitori. L’ipocrisia dello stare insieme per i figli alleva esseri umani terrorizzati dai sentimenti.
«Non sono nervosa, sei tu che mi rendi così» è una frase da non dire mai.
Un bambino sempre attivo è nella maggior parte dei casi un bambino pieno di energia che deve trovare uno sfogo, non è un paziente da curare con dei farmaci; provate a portarlo il più possibile nella natura.
Un bambino troppo pulito non è un bambino felice. La terra, il fango, la sabbia, le pozzanghere, gli animali, la neve, sono tutti elementi con cui lui vuole e deve entrare in contatto.
Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo, non è malvestito ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti.
Un bambino pone sempre tante domande, ricorda che le tue parole sono importanti; meglio un «questo non lo so» se davvero non sai rispondere; quando ti arrampichi sugli specchi lui lo capisce e ti trova anche un po’ ridicola.
Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore, lo legge, attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi. Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato, spiegagli perché sei triste, lui è dalla tua parte.
Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile, vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere.
Quando la vita è complicata, il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua.
Il bambino adora la confidenza, ma vuole una madre non un’amica.
Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono, onoriamolo con cura.
Giorgio Gaber - “Non insegnate ai bambini”
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In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, una forza, una maestosità… i re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?”. L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo.
Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”.
Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito?”. Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.
Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi.
La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.
Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”.
Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.
Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”.
Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo mai di più…”.
Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti.
Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.
Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa… se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo dio lo sa, solo la totalità lo può sapere”.
Non giudicare, altrimenti non sarai mai unito alla totalità.
Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo su dei particolari.
Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere.
Di fatto, il viaggio non finisce mai.
Un sentiero finisce, e ne inizia un altro.
Una porta si chiude, e un’altra se ne apre…
Tratto da un racconto di Osho
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De tanto perder aprendi a ganhar.
De tanto chorar, ficou desenhado o sorriso que tenho.
Conheço tanto o chão que só olho para o céu.
Bati tantas vezes no fundo que, sempre que desço, já sei que amanhã vou subir.
Fico tão espantado quanto ao ser humano, que aprendi a ser eu mesmo.
Tive que sentir a solidão para aprender a estar comigo mesmo e saber que sou uma boa companhia.
Tentei ajudar os outros tantas vezes, que desaprendi a pedir ajuda.
Tentei sempre que tudo fosse perfeito e percebi que realmente tudo é tão imperfeito, quanto deveria ser.
Inclusive eu!
Faço apenas o que devo, da melhor forma que posso e os outros fazem o que quiserem.
Vi tantos cachorros correndo sem sentido, aprendi a ser tartaruga e apreciar o caminho.
Aprendi que nesta vida nada é certo, apenas a morte e por isso aproveito o momento e o que tenho.
Aprendi que ninguém me pertence.
E, que estarão comigo o tempo que quiser e tiver que ficar.
Quem realmente estiver interessado em mim vai me informar a cada momento e contra qualquer outra coisa.
Que a verdadeira amizade existe, mas não é fácil encontrá-la.
Que aquele que te ama te mostrará sempre, sem precisar que você peça.
Que ser fiel não é uma obrigação, mas um verdadeiro prazer quando o amor é dono de você.
Isso é viver!
A vida é bela com o seu ir e vir, com ou sem sabores.
Aprendi a viver e desfrutar de cada detalhe.
Aprendi com os erros!
Mas não vivo pensando neles, pois eles costumam ser uma memória amarga que me impede de seguir em frente, pois existem erros irremediáveis.
Feridas fortes nunca são apagadas do meu coração, mas há sempre alguém realmente disposto a curar.
Pessoas que irão te entender, você não precisa procurar.
Elas vão te achar
O melhor já está acontecendo!
(Jorge Luis Borges)❣️
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“Lezione n° 1
Un uomo va sotto la doccia subito dopo la moglie e nello stesso istante suonano al
campanello di casa. La donna avvolge un asciugamano attorno al corpo, scende le
scale e correndo va ad aprire la porta: è Giovanni, il vicino. Prima che lei possa dire
qualcosa lui le dice: “ti do 800 Euro subito in contanti se fai cadere l’asciugamano!”
Riflette e in un attimo l’asciugamano cade per terra…
Lui la guarda a fondo e le da la somma pattuita. Lei, un po’ sconvolta, ma felice per la piccola fortuna guadagnata in un attimo risale in bagno. Il marito, ancora sotto la doccia le chiede chi fosse alla porta. Lei risponde: “era Giovanni”. Il marito: “perfetto, ti ha restituito gli 800 euro che gli avevo prestato?”
Morale n° 1:
Se lavorate in team, condividete sempre le informazioni!
Lezione n° 2
Al volante della sua macchina, un attempato sacerdote sta riaccompagnando una giovane monaca al convento.
Il sacerdote non riesce a togliere lo sguardo dalle sue gambe accavallate.
All’improvviso poggia la mano sulla coscia sinistra della monaca. Lei lo guarda e gli
dice: “Padre, si ricorda il salmo 129?” Il prete ritira subito la mano e si perde in
mille scuse. Poco dopo, approfittando di un cambio di marcia, lascia che la sua mano sfiori la coscia della religiosa che imperterrita ripete: “Padre, si ricorda il salmo 129?” Mortificato, ritira la mano, balbettando una scusa. Arrivati al convento, la monaca scende senza dire una parola. Il prete, preso dal rimorso dell’insano gesto si precipita sulla Bibbia alla ricerca del salmo 129.
“Salmo 129: andate avanti, sempre più in alto, troverete la gloria…”
Morale n° 2:
Al lavoro, siate sempre ben informati!
Lezione n° 3
Un rappresentante, un impiegato e un direttore del personale escono
dall’ufficio a mezzogiorno e vanno verso un ristorantino quando sopra una panca trovano una vecchia lampada ad olio. La strofinano e appare il genio della lampada.
“Generalmente esaudisco tre desideri, ma poiché siete tre, ne avrete uno ciascuno”. L’impiegato spinge gli altri e grida: “tocca a me, a me….Voglio stare su una spiaggia incontaminata delle Bahamas, sempre in vacanza, senza nessun pensiero che potrebbe disturbare la mia quiete”. Detto questo svanisce. Il rappresentante grida: “a me, a me, tocca a me!!!! Voglio gustarmi un cocktail su una spiaggia di Tahiti con la donna dei miei sogni!” E svanisce. Tocca a te, dice il genio, guardando il Direttore del personale.
“Voglio che dopo pranzo quei due tornino al lavoro!”
Morale n° 3:
Lasciate sempre che sia il capo a parlare per primo!
Lezione n° 4
In classe la maestra si rivolge a Gianni e gli chiede: ‘Ci sono cinque uccelli appollaiati su un ramo. Se spari a uno degli uccelli, quanti ne rimangono?’
Gianni risponde: “Nessuno, perché con il rumore dello sparo voleranno via tutti”.
La maestra: “Beh, la risposta giusta era quattro, ma mi piace come ragioni”.
Allora Gianni dice “Posso farle io una domanda adesso?”
La maestra: Va bene.
“Ci sono tre donne sedute su una panchina che mangiano il gelato. Una lo lecca delicatamente ai lati, la seconda lo ingoia tutto fino al cono, mentre la terza dà piccoli morsi in cima al gelato. Quale delle tre è sposata?” L’insegnante arrossisce e risponde: “Suppongo la seconda… quella che ingoia il gelato fino al cono”.
Gianni: “Beh, la risposta corretta era quella che porta la fede, ma… mi piace come ragiona”!!!
Morale n° 4: Lasciate che prevalga sempre la ragione.
Lezione n° 5
Un giorno, un non vedente era seduto sul gradino di un marciapiede con un
cappello ai suoi piedi e un pezzo di cartone con su scritto: “Sono cieco, aiutatemi per favore”. Un pubblicitario che passava di lì si fermò e notò che vi erano solo alcuni centesimi nel cappello. Si chinò e versò della moneta, poi, senza chiedere il permesso al cieco, prese il cartone, lo girò e vi scrisse sopra un’altra frase.
Al pomeriggio, il pubblicitario ripassò dal cieco e notò che il suo cappello era pieno di monete e di banconote.
Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo e gli domandò se era stato lui che aveva scritto sul suo pezzo di cartone e soprattutto che cosa vi avesse annotato.
Il pubblicitario rispose: “Nulla che non sia vero, ho solamente riscritto la tua frase in un altro modo”.
Sorrise e se ne andò.
Il non vedente non seppe mai che sul suo pezzo di cartone vi era scritto:
“Oggi è primavera e io non posso vederla”.
Morale n° 5: Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e vedrai che poi andrà meglio.
Se un giorno ti verrà rimproverato che il tuo lavoro non è stato fatto con professionalità, rispondi che l’Arca di Noè è stata costruita da dilettanti e il Titanic da professionisti….
Per scoprire il valore di un anno, chiedilo ad uno studente che è stato bocciato all’esame finale.
Per scoprire il valore di un mese, chiedilo ad una madre che ha messo al mondo un bambino troppo presto.
Per scoprire il valore di una settimana, chiedilo all’editore di una rivista settimanale.
Per scoprire il valore di un’ora, chiedilo agli innamorati che stanno aspettando di vedersi.
Per scoprire il valore di un minuto, chiedilo a qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l’aereo.
Per scoprire il valore di un secondo, chiedilo a qualcuno che è sopravvissuto a un incidente.
Per scoprire il valore di un millisecondo, chiedilo ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d’argento.
Il tempo non aspetta nessuno. Raccogli ogni momento che ti rimane, perché ha un
grande valore. Condividilo con una persona speciale e diventerà ancora più importante.
L’origine di questi racconti è sconosciuta, ma pare portino buonumore e fortuna a chi li manda e a chi li dice, quindi non tenerli per te.”
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Storia Di Musica #278 - Charles Mingus, Mingus Ah Um, 1959
Le storie di giugno nascono dalla lettura di uno dei libri più belli sulla musica scritto da un non esperto musicale, Natura Morta Con Custodia Di Sax, che Geoff Dyer, sublime scrittore britannico, dedica a storie di jazz. In questo bellissimo saggio, che pesca da fonti storiche, un po’ inventa, un po’ sogna, Dyer scrive storie di alcuni tra i più grandi interpreti di questa musica particolare, creativa, magmatica, pilastro della cultura mondiale da cent’anni. Per mia indiretta colpa, in tutte queste storie di musica non mi era mai capitato di raccontare del personaggio che ho scelto, e uno dei protagonisti del libro, per un mese monografico anche piuttosto particolare: Charles Mingus. Contrabbassista, genio e sregolatezza, uno dei musicisti più importanti del jazz. Arrabbiato, per via di una infanzia passata a cercare di combattere quel sentirsi minoranza di una minoranza (pur essendo di famiglia piccolo borghese, soffriva terribilmente le sue origini meticce, tra genitori con discendenze afroamericane, asiatiche e nativo americane), nato In Arizona nel ’22 ma cresciuto poco prima della Seconda Guerra Mondiale nel tristemente famoso sobborgo di Watts a Los Angeles. Mingus si avvicina da giovanissimo al violoncello, ma poi si appassiona al contrabbasso, che studia con i migliori insegnanti, tra cui Herman Reischagen, primo contrabbasso dell’Orchestra Filarmonica di New York. Nel 1947 entra nell'Orchestra di Lionel Hampton, è già leader di propri gruppi e ha già fatto i primi tentativi di composizione. Mingus si approccia alla musica grazie ai canti gospel delle congregazioni religiose che frequentava regolarmente a Watts e a Los Angeles, realtà con cui venne a contatto durante gli anni dell'infanzia. Ascolta il blues e il jazz ma ha una varietà di conoscenze e di curiosità che compariranno qua e là nel corso della sua leggendaria carriera musicale: si dice ascoltasse Bach ogni giorno, studia Richard Strauss e Arnold Schönberg, non nasconde una passione per Claude Debussy e Maurice Ravel. Suona con il Mito Charlie Parker, ma il suo idolo è la big band di Sir Duke Ellington. E nel 1953 ha l’occasione della vita: viene chiamato da Ellington a suonare con lui. Leggenda vuole che Juan Tizol, portoricano, bianco, trombonista, che in quel momento scrive dei pezzi per l’Orchestra, gli scrive un assolo da suonare con l’archetto. Lui lo traspone di un’ottava per renderlo cantabile, e lo esegue come se lo strumento fosse un violoncello. Tizol lo apostrofa dicendogli che «come tutti i neri della band non sai leggere bene la musica»; Mingus, che è un gigante di mole (tra i suoi demoni, un’ingordigia da romanzo) lo prende a calci nel sedere. Tizol, sempre secondo la leggenda, nella custodia del trombone aveva un coltello, che prontamente afferra per scagliarsi contro Mingus mentre Duke dà l’attacco del brano. Questi, agilmente nonostante la sua mole, con il contrabbasso preso in braccio, salta e scivola sul pianoforte, correndo e dileguandosi fra le quinte. Rientra in un lampo sul palco con in mano una scure da pompiere e sfascia la sedia dell’esterrefatto Tizol. Ellington, che si dice non licenziò mai un suo musicista, lo “spinse” a dimettersi, e nella sua autobiografia (dal titolo già profetico, Beneath The Underdog, tradotta in italiano con il titolo magnifico di Peggio Di Un Bastardo) Mingus racconta: “Duke mi disse <<Se avessi saputo che scatenavi un simile putiferio avrei scritto un’introduzione>>, gli risposi che aveva perfettamente ragione”. Il suo era uno stile libero, che in pratica rimarrà unico. Esempio perfetto è il noto Pithecanthropus Erectus (1956), primo grande disco da solista, che dà un’idea generale della sua musica: bruschi cambi di atmosfera, di tempo e ritmo, un tocco “espressionista” che, di fatto, lo rendono quasi precursore del free jazz, considerazione tra l’altro che lo faceva andare su tutte le furie. Mingus si appassiona alla musica di New Orleans, seguendo l’idea di big band di Ellington, e da questo punto in poi viene fuori tutta la sua incontenibile vitalità, spesso oltremodo eccessiva e davvero fuori le righe: altro caso leggendario fu la “maratona” intrapresa con il fido Dannie Richmond, il suo batterista per quasi tutta la carriera, a chi consumava più amplessi e tequila nei bordelli di Tijuana; da questa esperienza nacque quel capolavoro assoluto che è Tijuana Moods, registrato nel 1957 ma uscito solo nel 1962. Miles Davis disse di lui: “Era sicuramente pazzo, ma è stato uno dei più grandi contrabbassisti che abbia mai sentito. Mingus suonava qualcosa di diverso, era diverso da tutti gli altri, era genio puro”. La prova è il disco di oggi, uno dei capolavori assoluti del jazz, che esce nel 1959, il suo primo per la Columbia. Il titolo Mingus Ah Um è una parodia di una declinazione latina (gli aggettivi latini della I classe sono solitamente ordinati enunciando prima il nominativo maschile singolare che finisce con "us", poi il femminile "a" e infine il neutro "um"). In copertina un dipinto di S. Neil Fujita, che già aveva creato un disegno per un altro disco leggendario, Take Five di Dave Brubeck. Il disco è una sorta di enciclopedia del jazz, sia per la varietà dei brani proposti, sia per il futuro successo di alcuni, diventati standard tra i più famosi di tutti i tempi. Better Git It In Your Soul è un omaggio alla musica ritmica dei gospel e dei sermoni di chiesa, pezzo già leggendario, che fa da apripista al primo immenso capolavoro. Goodbye Porky Pie Hat è un omaggio al Pres, Lester Young, immenso sassofonista, scomparso poche settimana prima che l’album venisse registrato (per la cronaca in due leggendarie sessioni di registrazioni agli studi Columbia, il 5 e il 12 Maggio, sotto le cure mitiche di Teo Macero, il grande produttore di Miles Davis). Il porky pie hat è un cappello che ricorda nella forma il famoso pasticcio di carne inglese, e per dare un’idea di come è quello che indossa sempre Buster Keaton nei suoi film, ma era anche un cappello dal valore simbolico interraziale per i musicisti jazz, e Young lo teneva sempre in testa durante le esibizioni: il brano è divenuto uno standard da migliaia di interpretazioni, uno dei brani più famosi della storia del jazz. Self-Portrait In Three Colors era stata originariamente scritta per il film Ombre, opera prima di John Cassavetes, ma la canzone non appare né nel film né nel disco colonna sonora. Open Letter To Duke è un chiaro omaggio alla figura di Duke Ellington, composto riunendo insieme alcuni pezzi da tre precedenti brani di Mingus (Nouroog, Duke's Choice e Slippers). Jelly Roll è un riferimento al pianista pioniere del jazz Jelly Roll Morton, che si autoproclamò l’inventore del jazz nella prima decade del 1900; Bird Calls passò in un primo momento per un omaggio alla leggenda del bebop Charlie "Bird" Parker, con cui Mingus suonò molte volte, ma fu lo stesso Mingus a chiarire: «Non era stata intesa per suonare come qualcosa di Charlie Parker. Doveva piuttosto assomigliare al cinguettio degli uccelli - almeno la prima parte». Completano il capolavoro Pussy Cat Dues, Boogie Stop Shuffle dal ritmo irresistibile ma soprattutto Fables Of Faubus, primo dei grandi brani politici di Mingus: fu “dedicato” al governatore (democratico!) dell’Arkansas, Orval Eugene Faubus, convinto segregazionista, che nel 1957 tentò di impedire l'ingresso a scuola di nove ragazzi neri in un liceo di Little Rock, in deroga ad una decisione della Corte suprema che aveva reso illegale la segregazione nelle scuole. L'episodio ebbe un punto di svolta quando il presidente Dwight Eisenhower federalizzò la Guarda nazionale dell'Arkansas e permise agli studenti di colore di entrare nell'istituto sotto scorta. Faubus decise allora di chiudere tutte le scuole superiori di Little Rock fino al 1958. Mingus scrisse anche un testo, molto sarcastico, sul Governatore, e si dice che la Columbia lo censurò. In realtà però il testo fu aggiunto dopo da Mingus, quando il brano era stato già registrato, ma non si perse d’animo e lo pubblicò cantato nel suo disco del 1960 Charles Mingus Presents Charles Mingus, con il titolo di Original Faubus Fables. Il disco è uno dei capisaldi del jazz, uno dei cinquanta dischi selezionati dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti per essere inclusi nel National Recording Registry in conservazione per i posteri e la prestigiosa Penguin Guide, la bibbia della critica jazz, lo inserì nella Core Section con il loghino della corona, la massima valutazione per un disco. Con Mingus suonano il fido Richmond alla batteria, John Handy, Booker Ervin e Shafi Hadi ai sax (alto e tenore), Willie Dennis al trombone, Horace Parlan al piano (che suona pure Mingus) e Jimmy Knepper, leggendario trombonista, personaggio da cui si partirà per la seconda tappa di questo mese Mingusiano.
Che vi dico già verrà pubblicata Martedi 13 Giugno.
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Incontri-2
È un uomo tra i trenta e i quaranta, non bello, minuto; cammina con una leggera zoppia o forse una torsione della parte sinistra del corpo che precede la destra, e le spalle dondolano, le strette e piccole spalle; non sembra un atleta ma, forse, sa giocare a calcio, è il tipo che corre veloce e disegna verso porta un rischioso zig-zag tra gli ostacoli più alti e muscolosi di lui. Ha un corpo secco e nervoso e l'unica cosa bella della sua persona sono le mani bianche e ben tenute, dalla bella forma quadrata. Il viso è piccolo e squadrato, ha un che del topo: vi si aprono due occhi profondamente neri e spenti per via dell'iride che inghiotte le pupille. Nella sclera destra ha due vistose macule nere e la rima più bassa della palpebra inferiore pare incollata alla congiuntiva. Quelle chiazze sembrano una dimenticanza dell'iride, come se avesse, correndo verso il centro dell'occhio, perso qualche goccia, e danno all'occhio una strana fissità, come se avesse più pupille dalle quali scrutare. La pelle è pallida e soffre facilmente di arrossamenti e infezioni: solo il sole arriva a indorarla appena, ma non molto, dato il suo pallore, e i capelli neri, lunghi poco sopra le spalle, sembrano sempre un po' troppo lucidi, in modo malsano. Dai modi che ha, inizialmente, sembra abbia imbarazzo di sé e fastidio degli altri e non pare amichevole; dopo poche volte che si abitua alla vostra presenza, invece, il suo contegno cambia e inizia a sorridere, a cercare il vostro sguardo e si fa burbero in un modo di vecchio bilioso e civettuolo. Ride sommessamente nel naso, arrossendo facilmente, e ha una maniera sgraziata di essere gentile: l'imbarazzo di sé, un'insolenza popolana che si compiace di risultare plebea e, di fondo, come una specie di timore che maniere più aggraziate possano avere scarso risultato mentre una certa spazientita grevità potrà renderlo diverso e più gradito - tutte queste cose nel suo modo di fare e, insieme, una specie di forastica bonomia che, se emerge, rende gradevole lo sguardo e il sorriso. Parla in romanesco, abbonda di turpiloquio e se ne diverte da solo come se l'idea di insolentire il mondo lo rassicurasse del suo corpicino lungo e sottile. Ha nelle mani una forza insospettabile: quando decide di spingere o di afferrare, se ne sente tutta la volontà ferrea e fa quasi spavento. Il suo tocco ha qualcosa di animale, ma di un animale puro e spensierato, che non intende recare offesa ma cerca fiduciosamente un altro calore: gli viene naturale toccare l'interlocutore e lo fa con una curiosa facilità alla confidenza che non era sembrata possibile all'inizio.
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