#contro l’identità
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LA CENSURA AI TEMPI DEI REGIMI DEMOCRATICI
Di Ivan Surace
In perfetto stile orwelliano la neolingua ha coniato un nuovo termine per la censura tanto di moda nei secoli passati: standard della community.
Suona bene vero?
Un termine inc(u)l(o)sivo, comunitario, che ci fa sentire tutti membri dello stesso gregge in maniera allegra e positiva, contro un non meglio precisato nemico che non rispetta gli standard.
D’altronde un secolo di studi e applicazioni di public relations alla Bernays ha portato i suoi frutti, soprattutto da parte di chi ha capito come funziona la massa e che quindi, senza troppi scrupoli, utilizza tutti i mezzi che ha a disposizione per manipolarla a suo piacimento censurando, o meglio facendo scomparire, chiunque e qualunque cosa possa mettere In dubbio la propaganda di regime, la narrazione dominante.
Come ultimo esempio in questi giorni abbiamo la questione climatica.
Vi sarete resi conto di come la propaganda su questo argomento sia cresciuta in maniera esponenziale in questi ultimi anni, parallelamente alla cosiddetta transizione green, che porta con se il passaggio al “tutto elettrico” in ogni campo e alla sostituzione con l’IA, di gran parte della gestione sociale, politica economica e sanitaria della popolazione.
Stiamo assistendo alla conversione coatta della società in un grande allevamento intensivo di ultima generazione, in cui ogni singolo capo di bestiame, trasformato in un pezzo di carne senza personalità né anima, viene controllato in maniera totale e continuativa.
Comunque la si pensi, questo è il futuro che immaginano per l'umanità e che si sta progressivamente attuando in maniera totalitaria, a cominciare dai grandi centri urbani, trasmormati in vere e proprie aziende zootecniche per umani.
Ma torniamo alla questione climatica, l’intesificarsi della propaganda su questo argomento serve a giustificare e a far accettare all’opinione pubblica l’entrata in vigore di leggi e restrizioni normalmente inaccettabili in qualsiasi società democratica.
Quindi la questione climatica é il pretesto, lo storytelling, la fiction, su cui si basa la ricerca di consenso da parte del potere, per imporre il cambiamento antropologico necessario, per realizzare i loro piani di controllo totale della popolazione.
Affinché la fiction sia credibile e possa essere sostituita alla realtà, occorre eliminare tutte le eventuali prove, critiche, controversie, che contrastano, anche minimamente, con la narrazione dominante.
È in ossequio a questa logica che negli ultimi mesi su FB, in maniera discreta e disinvolta, con vera tecnica da desaparecidos, sono stati rimossi diverse pagine e profili che facevano informazione sul clima in maniera non allineata al pensiero unico e dove venivano condivisi studi, grafici e informazioni scientifiche di fondazioni come Clintel o di scienziati come Prestininzi, Scafetta, Prodi, Curry, Lindzen, Spencer, ecc.
La pagina 'Klima e scienza', solo per fare un esempio recente, é stata fatta evaporare non appena raggiunti i 10mila iscritti.
Stessa sorte a profili di privati cittadini e di gestori dei profili sopra menzionati, anch’essi fatti sparire da un giorno all’altro con estrema discrezione, al punto che se uno non ci fa caso, neanche se ne rende conto e tutto continua come se niente fosse accaduto.
La situazione é estremamente pericolosa perche da un lato si procede con le epurazioni senza sosta e dall’altro non vi è nessuna presa di coscienza di quanto stia succedendo.
Se e quando la massa si renderà conto di tutto ciò, sarà già troppo tardi.
Al limite avverrà quando l’identità digitale, il portafoglio digitale e tutte le restrizioni ad essi legate, saranno già legge e routine quotidiana e non penso si dovrà attendere molto.
Se non ci sarà un totale cambio di passo da parte della minoranza non allineata nel lottare contro questo regime, tra i più subdoli e raffinati della storia, la fine della società e dell’umanità per come l’abbiamo sempre vissuta percepita e immaginata sarà certa come la morte.
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21 maggio 2013
Il mio feretro è pronto. È a casa mia. È una pelle di cervo cacciato nella foresta di Lyons. Un tempo vi avvolgevano i corpi dei re. La "nappa" del cervo è considerata immarcescibile. E si suonerà "J'avais un camarade" in tedesco.
Mi do la morte per risvegliare le coscienze addormentate. Insorgo contro la fatalità. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che distruggono i nostri ancoraggi identitari e in particolare la famiglia, nucleo intimo della nostra civiltà. Così come difendo l’identità di tutti i popoli presso di loro, mi ribello al contempo contro il crimine che mira al rimpiazzo delle nostre popolazioni.
-Dominique Venner
accadde oggi.
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Ma contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta - e sfuggono a qualunque censura.
- L’identità, Milan Kundera
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In queste ore di elezioni Francesi non ho trovato nulla di più appropriato.
Il mio feretro è pronto. È a casa mia. È una pelle di cervo cacciato nella foresta di Lyons. Un tempo vi avvolgevano i corpi dei re. La "nappa" del cervo è considerata immarcescibile. E si suonerà "J'avais un camarade" in tedesco.
Mi do la morte per risvegliare le coscienze addormentate. Insorgo contro la fatalità. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che distruggono i nostri ancoraggi identitari e in particolare la famiglia, nucleo intimo della nostra civiltà. Così come difendo l’identità di tutti i popoli presso di loro, mi ribello al contempo contro il crimine che mira al rimpiazzo delle nostre popolazioni.
-Dominique Venner
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ATTUALITÀ
Omicidio di Thomas a Pescara: i figli del nulla che vogliono tutto, e quando non basta... Ecco perché aveva ragione Pasolini
28 giugno 2024
Chi sono i (presunti) assassini di Thomas Luciani, il ragazzino colpito da una scarica di coltellate e lasciato morire per un presunto debito di droga di pochi euro? Sono i figli della borghesia, della “Pescara bene”, se questa ancora esiste, ma sono anche i figli del nulla. Quelli che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma vogliono tutto. E quando l’esibire le sneakers, il cellulare, le magliette e le immagini non basta, la risposta è solo una: la violenza. Aveva ragione Pier Paolo Pasolini nei suoi “Scritti corsari”: si regredisce, e…
di Ottavio Cappellani
“Facevano parte della ‘Pescara bene’”, scrivono a proposito dei due sedicenni accusati dell’omicidio di Christopher Thomas Luciani, detto Crox, diciassette anni, albanese, i cui genitori lo avevano affidato alla nonna. “Nessun disagio sociale”, scrivono. I presunti assassini (si scrive così) sono figli di un sottufficiale dei carabinieri e di un avvocato che però insegna. Una lettura da paniere Istat. Quasi che si trattasse dell’omicidio del Circeo: due di destra che uccidono un povero per una questione di rispetto. 25 coltellate contro 250 euro. Ogni dieci euro si ha diritto a infliggere una coltellata, perché io sono il padrone e tu lo schiavo. Li frequento, questi giovani. Li conosco. Ci parlo. È il mio dannato mestiere (“dannato” non è un americanismo: scrivere, studiare, cercare di vedere anziché guardare, è una dannazione, nessuna vanità o compiacimento da intellettuali da queste parti). Con gli scrittori si confidano. Lo fanno in molti. Sperano tutti di finire in una pagina di un libro, un giorno o l’altro, con il nome cambiato, certo, ma con la loro storia ben riconoscibile, in modo da confidare a qualcuno: quello sono io. Io. Io. Io…
L’identità collettiva del consumismo, che all’apparenza dell’apparire si vende come capace di distinguere un io da un altro, cancella di fatto ogni distinzione. Non è più la qualità di un bene a fare la differenza, ma la quantità di danaro che esso vale in un mercato rivolto all’immagine, che oggi non dà più nessuna identità. Sia chiaro, un’identità costruita “per immagini” non è una vera identità; l’identità della classe operaia, con le sue tute da metalmeccanico, la tovaglia cerata, la serena stanchezza della giornata di lavoro; l’identità della borghesia, una volta gli elettrodomestici, l’enciclopedia, il completo dei grandi magazzini (Rinascente, Upim, Standa), oggi la domotica, i device, i brand. Erano e sono identità appiccicaticce, ma che svolgevano e hanno svolto, fino a ieri, il loro sporco lavoro: appartenere a una classe sociale, formare un’identità che nell’epoca del nichilismo non sa dove aggrapparsi.
Ricordo il pezzo di Pier Paolo Pasolini sui capelloni (in “Scritti Corsari”): sta apparendo un nuovo tipo di uomo, lo manifestiamo senza linguaggio, solo con il nostro manifestarci, solo con la nostra immagine, solo con i capelli lunghi. Niente parole. Pasolini procedeva poi, con una lungimiranza profetica, alla critica di questa nuova (per l’epoca) ribellione, contro la generazione dei genitori: i capelloni, non avendo un dialogo con la generazione precedente, non potevano ‘superarla’. Al contrario si trattava di una regressione. Li invitava al dialogo, Pasolini. Parlatene, parlateci. I capelli lunghi, essendo un ‘segno’ senza parole, potevano essere di Sinistra come di Destra (tra gli autori del massacro del Circeo, 1975, uno era capellone).
Parlano invece. Si aprono. Certo, non con i genitori che disprezzano. Parlano con gli amici. Anche solo con i ‘segni’: ‘mostrano’ (da ‘mostro’) il brand di una sneaker, il numero dei follower, un coltello da sub – segni distintivi senza parole. Ed è come parcheggiare lo yacht a Montecarlo: non è mai abbastanza. Non ci sono soldi che bastano. Non esistono più le “Pescara” o le “Milano” o le “Voghera” “bene”. Esiste un mondo dove ci sono gli ultraricchi – italiani, americani, indiani, asiatici, russi – e poi ci sono gli altri. Che non sanno cosa dire. Esseri desideranti. Ultradesideranti. C’era un termine un tempo, e in tanti ne conoscevano il significato, era quasi di uso comune. Significava una bramosia senza oggetto il cui fine non era il possedere qualcosa, ma il possesso in sé, il possesso senza oggetto, il potere (astratto) in luogo della possibilità (concreta). Si chiamava “volontà di potenza” ed era una forma di isteria dell’identità. Oggi se ne parla sempre meno, significherebbe mettere in discussione il modello stesso entro il quale il mondo vive. La ‘volontà di potenza’ viene relegata all’epoca nazifascista, come se fosse il motore di una ideologia autoritaria e bestiale. Ma noi siamo dentro un modello di mondo ideologico e autoritario: quello del denaro, che non solo uccide – anche fisicamente – chi non ne possiede, ma al quale è affidato la creazione dell’identità. E il denaro non parla.
Loro parlano come possono a chi sa ascoltarli, anche se non è un bel sentire. Sì, è una dannazione. Non esiste – e forse non è mai esistita – una società “bene”, se non nelle speranze, nelle pie illusioni. La società è un fagocitarsi a vicenda. Pasolini ci credeva, nel modello identitario passatista: piccoli mondi antichi in cui l’identità era data dal luogo in cui si nasceva e in cui si restava, dai codici di un paese, da una fatalità della classe, di piccoli sogni realizzabili. Ma la ruralità reca con sé una bestialità violenta (di cui, è bene dirlo, Pasolini era vorace). Oggi questi mondi piccoli e violentissimi non esistono più se non nella facciata. Dietro scorre un serpente gigante che chiamiamo rete. La creazione di un’identità attraverso le immagini e le parole è impossibile. I social ci sommergono di modelli, di aspirazioni, di ‘cose’, di ragionamenti, di complotti, di interpretazioni, di lusso, di esibizionismo, di piccole e grandi follie, di tanti punti di vista quanti sono gli account. E così, parlando con loro, parlando con i giovani, parlando con questo “nuovo umano” (non è nuovo, è come sempre è stato, ma adesso lo ‘vediamo’ meglio) ci dicono che “vogliono”. Cosa vogliono? Vogliono e basta. Volontà di potenza: andiamo a comandare.
L’assenza di parole e l’eccesso di parole sono la stessa, identica cosa. La sovra informazione, l’ultra informazione del mondo contemporaneo diventa un rumore bianco. Come diceva Pasolini: si regredisce. L’espressione della propria identità diventa un suono. Non si parla, si emettono suoni. Si mostrano ‘cose’ come code di pavoni. Si torna allo stato di natura. Sopravvive il più forte. Quando l’esibizione di una sneaker, di una maglietta, di un device, di un’auto, di una opinione, non valgono più nulla nel mare magnum delle altre sneaker, delle altre magliette, degli altri device, delle altre auto, delle altre opinioni, resta solo una cosa a dare Potere: la violenza. Voglio il rispetto. Io sono io. Io. Io. Io… I commentatori restano rimminchioniti di fronte a questi episodi di violenza estrema. Tutti a sottolineare che “non c’era disagio sociale”. No? La “Pescara bene” sarebbe quella di una povera (in senso compassionevole) famiglia di impiegati statali? Sì, ragionando secondo i canoni del paniere Istat gli impiegati statali se la passerebbero bene. Se fossimo nel piccolo paese antico senza device, dove già la televisione era una fonte di disturbo e squilibro e liberava sogni deliranti di successo e famosità e volontà di potenza. Ma siamo nell’epoca dei social, dove non c’è ‘bene’ che basti.
Io ci parlo e capisco che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma lo vogliono. A volte, quando le birre diventano troppe, si picchiano tra i tavolini dei bar. I soldi della famiglia ‘bene’ se ne sono andati da un pezzo, nei cristalli di crack, nel fumo, nelle pere, nell’alcol che dà speranze brevi e vane e che alla fine ottunde, nei discorsi che alimentano speranze immancabilmente deluse. Se ne vanno in smartphone, nella droga offerta alle ragazzine sempre più disponibili per una sniffatina, così ci si apre un Of o si inizia a spacciare. Tutti possono fare qualunque cosa. Lo insegnano gli influencer. I social riprendono la televisione che riprende i social. I modelli non mancano. Si esibiscono ricchezze, nudità, e si esibisce anche la malavita. Studiano guardando Gomorra e Peaky Blinders. Funzionano perché vanno a toccare quelle corde lì, le corde della volontà di potenza.
Loro ‘vogliono’. E lo vogliono subito. Come gli influencer, come quelli di Of, come quelli delle serie. Denaro e sesso e violenza (volontà di potenza). Sangue, sesso e denaro: i tre punti cardine di ogni narrazione. E di ogni giornalismo a dire la verità. E vendetta: contro i genitori che non sono mai ricchi abbastanza, contro chi ha più follower, contro chi manca di rispetto. Risucchiati dagli schermi senza alcuna capacità di filtrare le immagini. Bambini che si muovono in un mondo che non sanno più interpretare se non attraverso denaro, sesso e violenza (volontà di potenza): i tre punti cardine per vendere qualcosa. Per vendere qualcosa che si spaccia per identità e che invece è lontanissima dall’esserlo. Loro parlano. Dicono di volere. Non sanno cosa vogliono ma lo vogliono. Non pensano. Appartengono a un gruppo. Vogliono primeggiare nel loro gruppo. Hanno l’identità dona loro il gruppo. Senza gruppo niente identità. A volte scatta la violenza. Non è vero che non li capite. Li capite benissimo anche se fingete sorpresa. Sapete benissimo che loro vogliono senza sapere cosa vogliono. E lo sapete perché voi siete uguali a loro. Non avete un io e disperatamente lo volete. Siete umani. E siete disperati.
P.s. Sono al contempo d’accordo e in totale disaccordo con Francesco Merlo, che oggi, a proposito di questo delitto scrive: “A Pescara è colpevole la solita gioventù bruciata e, in una gara di pensosità e di profondità, c'è chi accusa la scuola e chi biasima i telefoni cellulari, e ovviamente i genitori non sanno educare, e poi ci sono le responsabilità della musica, delle serie tv, il vuoto dei modelli che non sarebbero più quelli di una volta, la società tutta. Mi creda, il sociologismo è una malattia ideologica infettiva”. Sì, concordo, ma Merlo, per così dire, taglia il nodo di Gordio e si macchia di ignavia. Bisogna sciogliere il ragionamento per consentirsi l’ignavia senza sensi di colpa. Il mondo è questo e lo è da sempre. Ragionarci su vuol dire soltanto cercare di metterci una pezza. Che è meglio di fottersene, come suggerisce il caro Francesco. Fottersene responsabilmente è una forma di ignavia più chic. Fottersene come Francesco è solo pigro snobismo.
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Nella stessa giornata di ieri, Meloni ha detto che la mancanza di lavoratori in Italia non si risolve “con i migranti, ma con quella grande riserva inutilizzata che è il lavoro femminile”, e il suo ministro-cognato Lollobrigida ha detto che “va costruito un welfare per consentire di lavorare a chiunque e avere una famiglia. Non possiamo arrenderci al tema della sostituzione etnica”.
Il secondo, sempre entusiasta (si ricordi la sua travolgente infatuazione per quel macellaio criminale che fu il maresciallo Rodolfo Graziani), fa un passo di troppo e dice in chiaro anche il movente, che la cognata invece pudicamente tace: e quel movente è la lotta alla “sostituzione etnica”.
Solo pochi giorni fa Alessandro Giuli, a Otto e mezzo, aveva assicurato che nessuno, a destra, avrebbe più usato una simile categoria. E del resto io stesso sono stato coperto di insulti in diretta – stavolta ad Agorà, dalla deputata FdI Chiara Colosimo – solo per aver ricordato che Salvini e Meloni l’hanno propagata centinaia di volte nella loro propaganda fondata sulla paura del diverso.
Credere nella “sostituzione etnica” significa credere che qualcuno (Soros, gli ebrei, i poteri forti, i cinesi o chi volete voi…) voglia sostituire, attraverso le migrazioni, i bianchi cristiani d’Europa con i neri musulmani.
Adolf Hitler lo sostiene in Mein Kampf, e oggi questa mostruosità è una bandiera di tutte le destre razziste e xenofobe.
Ieri il ministro Lollobrigida, così vicino a Meloni, ha platealmente dimostrato l’ovvio: e cioè che, sì, anche Fratelli d’Italia si accanisce contro i migranti proprio per questo, per l’identità etnica.
Perché quelli (i migranti) sono musulmani e neri, e loro (i politici) sono xenofobi e razzisti.
Non che avessimo dubbi.
Tomaso Montanari - Fatto Quotidiano, 19 aprile
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il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati».
Sahra Wagenknecht. I detrattori la accusano di essere populista, (...) il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. (...) Sulla porta (del suo ufficio) è ancora appesa la targa del suo precedente partito, la Linke. (...)
Perché un nuovo partito? A chi puntate? «Alle persone con redditi medi o bassi. Dimenticate (...) dalla sinistra. (...) Prendete i Verdi, so che suona come un cliché: quelli che li votano, hanno un’istruzione accademica, vivono in centro, fanno la spesa nei negozi bio, guidano auto elettriche. Vogliono vietare gli aerei a tutti, spiegano perché non si dovrebbero fare le vacanze a Maiorca e poi volano in tutto il mondo. E' questa doppia morale che fa arrabbiare la gente».
«(M)olti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra. Ma non perché siano razzisti, nazionalisti, bensì perché (...) nessuno difende i loro interessi».(...) «(Noi) siamo conservatori di sinistra. Com’eravamo un tempo, prima di quest’ondata identitaria, prima dei discorsi woke».
Torniamo al diciannovesimo secolo? «No, alla Spd di Willy Brandt. Non siamo retrogradi, omofobi, grazie a Dio con queste tesi non abbiamo nulla a che fare. Ma dalla cannabis alla prostituzione, perfino sull’aborto — certo che sono a favore dell’aborto, ma non all’ottavo mese, e neppure al sesto — la sinistra ha preso una serie di posizioni sbagliate». (...)
«Per quanto riguarda l’Ucraina, (h)a ragione il Papa. Ci devono essere i negoziati, ora». Quindi tacciano le armi, e poi vediamo che fa Putin? «(...) L’avessero fatto sei mesi fa, sarebbe stato meglio. (I)l Papa (n)on ha parlato di capitolazione, ma del modo per non portare il Paese al suicidio. Io credo che Zelensky non abbia nessuna possibilità di vincere, alimentare quest’illusione è pericoloso». Non pensa che (...) Putin potrebbe attaccare la Polonia (o L'Estonia)? «No, perché non è in grado di farlo. L’esercito russo ha fallito nel prendere Kiev. Che possano reggere un confronto con la Nato lo escludo». (...)
Cosa pensa della Ue? «Che si dovrebbe concentrare su quello che può regolamentare. Noi vogliamo smantellare la centralizzazione. Siamo per l’Europa delle democrazie sovrane. (...) In ogni caso, noi non vogliamo conservare l’attuale Europa, ma cambiarla».
Suo padre era iraniano, il suo vice Fabio Masi ha origini italiane. Perché — con questi legami — è così contraria all’immigrazione? «Non siamo in principio contro l’immigrazione. I problemi nascono quando sono in troppi ad arrivare (...). Si crea un sovraccarico. L’altro punto critico è quando l’identità di alcune comunità di migranti si fonda sul rifiuto della cultura del Paese ospitante. Guardiamo cosa succede in Francia, dove ci sono realtà parallele inaccettabili nelle quali si pratica un Islam radicale».
«Per me la caduta del Muro è stata una liberazione. Avevo difficoltà nella Germania dell’Est, volevo le riforme, avevo criticato i vertici, la pianificazione centralizzata. Non ho trovato posto all’università nonostante gli ottimi voti. Mi avevano proposto di fare la segretaria: allora ho risposto che sarei rimasta a casa a leggere, e avrei vissuto dando ripetizioni. La «Svolta» per me è stata una benedizione, ho potuto studiare. (...)».
via https://www.lafionda.org/2024/03/28/parola-a-sahra-wagenknecht-unintervista/, riporta una intervista al Corriere.
Segni di vita intelligente a sinistra. Pur sempre statalismo, ma perlomeno mitigato dal nazionalismo identitario. Aspettiamo le due o tre generazioni che servono per veder questi segni propagati anche qui, giù nella provincia arcadica, guarda caso sempre più incazzata e stracciona.
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Contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta e sfuggono a qualunque censura. Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo alcun potere.
|| L’identità - Milan Kundera
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“ «L’identità bianca,» afferma il pastore battista Eugene F. Rivers, «spacca gli Usa in due e potrebbe generare una guerra civile nel Paese.» Poi aggiunge: «L’ideologia demoniaca della supremazia bianca è il principio dominante che governa la cultura americana». E invita i bianchi a «scegliere tra il loro Dio e la loro bianchezza». «Noi abbiamo speso tre secoli per sviluppare questa ideologia che è ora profondamente radicata nella psicologia culturale della nazione e della Chiesa. Solo una conversione radicale della fede biblica può liberarci da questo spirito demoniaco che ci lega e ci impedisce di vivere come ragionevoli esseri umani.» E scavando più in profondità, pone un pesante interrogativo: «L’orgoglio della supremazia bianca è un’ideologia e un concetto identitario che è essenzialmente contro Dio: è ateo e demoniaco. La grande sfida che ci sta davanti ora è questa: essere bianchi o essere Chiesa». Tutto questo è diventato chiaro il 6 gennaio 2021 quando una folla di bianchi, su spinta dell’ex presidente degli Usa, Donald Trump, ha invaso il Campidoglio, proprio mentre i membri del Senato e della Camera dovevano proclamare l’elezione di Joe Biden. È stato un vero e proprio golpe che ha lasciato tutti sbalorditi. In quella folla c’era l’intera galassia della supremazia bianca. Spiccava su tutti O’ Shaman (lo sciamano) di QAnon, i complottisti per i quali esiste un potere occulto, colluso con una rete di pedofili ed esponenti di spicco dei democratici, in particolare Hillary Clinton e Barack Obama. C’erano i Proud Boys (chiamati “i Patrioti” da Trump), un gruppo violento di suprematisti bianchi di stampo neofascista. I Proud Boys, fondati nel 2017 dal commentatore radiofonico Gavin McInnes per difendere i valori occidentali, non accettano donne nelle loro file e sono convinti che il Covid-19 sia solo una scusa per vietare le armi e rinchiuderli in casa. E poi ci sono i Boogaloo, armati fino ai denti, con pantaloni militari. Erano apparsi la prima volta in pubblico durante il lockdown dell’aprile 2020. Presenti anche gli Oath Keepers (Fedeli al giuramento) fondati da Stewart Rhodes, accusato oggi di “cospirazione sediziosa”. L’altro gruppo importante dell’ultra destra presente era Alt-right (destra alternativa), costituito da gruppi non omogenei e non organizzati. Hanno un manifesto con tre punti chiari. Primo, gli uomini sono sotto attacco: no al femminismo. Secondo, il linguaggio è sotto attacco perché viene loro proibito il linguaggio razzista e sessista. Terzo, la razza bianca è sotto attacco: le ondate migratorie minacciano la purezza della razza bianca. Partendo dal presupposto che le razze esistono dal punto di vista biologico, Alt-right ha trovato in Donald Trump, con la sua politica antimigratoria e razzista, il candidato perfetto per la presidenza degli Stati Uniti d’America.
È incredibile come quella folla sia riuscita a sfondare e a occupare il Campidoglio nonostante le imponenti misure di sicurezza. Oggi grazie all’indagine della Camera dei deputati sappiamo che l’assalto al Congresso non era una semplice manifestazione pro-Trump, ma il frutto di una pianificazione iniziata mesi prima da un gruppo di avvocati del tycoon, tra i quali Rudy Giuliani e il suo capo di gabinetto Mark Meadows, oltre a numerosi deputati repubblicani. La mente del piano sembra essere stato il noto Stephen Bannon, che aveva lanciato l’idea del 6 gennaio. Secondo il Select Committee della Camera, «Bannon aveva sollecitato Trump a fare pressione sul vicepresidente Mike Pence per aiutare a rovesciare i risultati delle elezioni del 2020 rifiutando di approvare i voti elettorali di alcuni Stati». Si trattava di un vero e proprio golpe. Purtroppo non ci libereremo facilmente dal trumpismo e dai suoi sostenitori, i suprematisti bianchi. Trump ha ancora una forte presa sui repubblicani e potrebbe candidarsi nel 2024. Nel febbraio 2021 si è riunita a Orlando la Conferenza per l’azione politica dei conservatori, dove il 95 per cento dei repubblicani presenti ha detto di voler continuare le politiche delll’amministrazione Trump e difendere la “supremazia bianca”. Trump sta già scaldando i motori per diventare di nuovo presidente degli Usa nel 2024. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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Noi (2019) - Analisi Simbolica
Noi (2019) – Analisi Simbolica
(CON SPOILER) Super Guida TV Il film nasconde fino all’ultimo l’identità di Adelaide perché rivelandola cambia tutto il senso della storia perché il film è una messinscena della lotta di classe di masse sfruttate contro gli “eletti”.Uno degli elementi più interessanti della storia è la caratterizzazione totalmente inaspettata da fronti contrapposti: gli americani in “superfice” presentano un…
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
A cura di Luca Leonello Rimbotti
FRIEDRICH NIETZSCHE
L’uomo in rivolta
In un mondo in sfacelo, in cui l’identità, la cultura e la vita stessa dei popoli sono direttamente minacciati dalla deformazione globalista, avere dei punti fermi appare decisivo. Friedrich Nietzsche, per intere generazioni di Europei, ha rappresentato la forza di un pensiero identitario a grande intensità, fanaticamente avvinto alle radici iperboree e a quella Grecia delle origini che egli riteneva una civiltà superiore.
Il filosofo tedesco – la cui Weltanschauung è magistralmente riassunta in queste pagine, passando in rassegna i temi centrali del suo pensiero – suscita la necessità di reagire, di rianimare miti e simboli, di attivare volontà e decisione. Del resto, la sua filosofia introdusse alcuni elementi reattivi: la figura del Superuomo, la Volontà di potenza, la selezione dei migliori, la rigenerazione dell’uomo europeo dal punto di vista antropologico, culturale ed etico. Infine, un piano di rifondazione politica: l’Europa delle avanguardie eroiche e della forza vittoriosa.
Da Nietzsche, dunque, si può trarre una lezione attualissima: un pensiero antagonista, da solo, non può bastare. Occorre un’azione interiore, su di sé, che si accompagni ad un’azione esteriore, tesa a combattere la decadenza “progressista” della modernità. Perché contro questo mondo fatto di spinte inferiori, anzitutto, vale una regola: fermezza, lotta e rivolta.
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www.passaggioalbosco.it
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L’opportunismo della vittima
Le vittime non sono tutte uguali.
Vi è chi viene ridotto a vittima, sopraffatto, privato di condizioni vitali, mortificato senza possibilità di difesa e identità.
Ma vi è anche chi si appropria del ruolo di vittima, rivendicandone lo status ed esibendone la condizione. La vittima è sovente il protagonista di questo tempo. In un’epoca che facilmente evapora l’identità, lo status di vittima fornisce un supplemento di sé.
Assumere il ruolo della vittima è un potente generatore di identità. Consente di collocarsi in una zona franca, immuni dalla critica, dove non è fondamentale ciò che si fa, ma ciò che si è subito o perduto. Nella posizione della vittima si ottiene l’esenzione dalla confutazione, dalla possibilità che le proprie convinzioni siano falsificate. La rivendicazione della vittima garantisce innocenza e l’esclusione dal confronto e dalla responsabilità.
Senonché Richard Sennett scrive: “Il bisogno di legittimare le proprie opinioni in termini di offesa o di sofferenza che si è subita lega sempre più gli uomini alle offese stesse��. Quello di cui si ha bisogno viene affermato attraverso quello che è stato negato.
Il dilagare vittimario appare un prodotto del passaggio dalla modernità al contemporaneo. E’ una strategia di sopravvivenza. Che trasforma la debolezza, la perdita e la vulnerabilità in una condizione di vantaggio, utilizzando il reclamo targato di innocenza e verità. Nel rapporto con un mondo che ha reso impervie la speranza, la fiducia e il futuro, la metamorfosi vittimistica consente una collocazione che non impegna, non progetta futuro, ma si nutre del negativo e della carenza per ricavarne una condizione di isolamento protetto, dal dubbio e dalla necessitò di fiducia per includere il mondo. La ragione della vittima, che non accetta altra ragione, produce durezza e compattezza, in un mondo dove invece nulla può essere considerato solido. Il protocollo immunitario della vittima è un antidoto alla paura, perché produce certezza esente da dubbi, attraverso l’essere contro, sfuggendo dall’impegno dell’essere con.
L’identità indiscussa e indiscutibile della vittima viene anche blandita e lusingata da chi aspira alla leadership politica, attraverso l’esaltazione e l’esasperazione del risentimento, generando un populismo che ignora il dubbio.
Per non cadere nella logica pragmatica e risentita della vittima occorre accettare di essere vulnerabili e non di sentirsi vittime. Di avere nella propria identità la fragilità come condizione umana, a cui appartengono le ferite come esperienza ineludibile, ma che se riconosciute diventano condizione per trovare nell’altro la via per costruire un futuro di solidarietà.
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Lettera aperta - Olimpiadi
La cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Parigi è la rappresentazione plastica di come certi eventi di caratura internazionale siano un’operazione di indottrinamento delle masse, volta ad attuare una riformattazione dei costumi, se non antropologica, delle cosiddette società occidentali.
Malgrado il dietro front di chi lancia il sasso per poi nascondere la mano con l’incalzare delle polemiche, alludendo a margine delle scuse ufficiali che la disposizione attorno a un tavolo di transessuali agghindati ad arte per l’occasione, manco le Olimpiadi siano il Carnevale di Rio de Janeiro, non sia una caricatura blasfema dell’Ultima Cena rappresentata dal Da Vinci, ma secondo la direttrice della comunicazione delle Olimpiadi Anne Descamps e Thomas Jolly, il direttore artistico (se così possiamo definirlo) della cerimonia, si voleva invece educare alla tolleranza e alla comunione.
Le Olimpiadi quali giochi che si svolgevano in Grecia iniziavano con celebrazioni religiose in favore di Zeus e si concludevano con la premiazione degli atleti vincitori, vennero riprese in epoca moderna a fine ‘800, ma sempre hanno conservato un universo estetico e simbolico arcaico proprio di quella civiltà ellenica che ha permeato l’Europa: dalla fiamma olimpica alla traslazione in altre nazioni a testimoniarne l’universalità.
E con la competizione insita nella natura dell’essere umano di confrontarsi con avversari al proprio pari, si veicolava un’immagine di sé salubre, forte ed atletica. E quindi indiscutibilmente bella. Perché nonostante le infezioni culturali contemporanee che propinano un relativismo tout court, esiste un canone oggettivo della bellezza, che la classicità ci suggerisce da tempi immemori che è rappresentato dall’armonia delle forme e da un ordine che è sintesi dell’unità che domina la diversità.
Bellezza, ordine, sostanza e FORMA. Ciò che abbiamo interpretato e riprodotto in tutti gli ambiti e in ogni epoca. Fino ad oggi. Perché noi siamo europei e proveniamo da una Civiltà.
Di contro, ciò che più di ogni altra cosa mina l’esistenza di una civiltà è l’informe. Perché l’assenza di Forma genera una sostanza malata. E là dove la sostanza è malata, la bellezza non può trovare posto e si finisce inesorabilmente per imbruttirsi. Prima nel singolo, poi nella moltitudine e infine nella società. E quindi si avvia il declino di una civiltà in decadenza.
E quando una società è decadente si può arrivare ad assistere all’esibizione della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi con un personaggio come Barbara Butch investita dal ruolo di frontman.
Conferitole recentemente il premio di personalità LGBT dell’anno per via della moltitudine di battaglie coraggiosissime a difesa delle minoranze arcobaleno condotte temerariamente al fianco di pressoché tutte le multinazionali, dei magnati della finanza e del mainstream globale. Allora comprendiamo perfettamente che il concetto di Forma quale riflesso di bellezza e di un ordine superiore suggeritoci dalla classicità dei greci, quegli europei che hanno dato vita alle Olimpiadi nel 776 a.C., difficilmente possa attecchire su chi come Barbara Butch conduce audacemente crociate in difesa de “l’accettazione dei grassi”.
Perché l’immagine della cerimonia inaugurale in salsa woke è la più fulgida rappresentazione di come sia ripugnante l’esaltazione delle devianze promosse da chi essendo informe per natura, ha in spregio tutto ciò che essendo bello e giusto secondo natura, costituisce saldezza e ancoraggio: la famiglia e la Nazione, la Cultura e l’identità.
L’agenda cosmopolita della società aperta in fase di consolidamento mira alla distruzione di questi cardini e opera attraverso il condizionamento sociale di una propaganda che si fa sempre più spinta e pervasiva.
Nell’industria dell’intrattenimento, quella cinematografica, musicale o sportiva come in questo caso, ormai è prassi ordinaria rendere espliciti aspetti occulti di un certo misticismo sinistro: dall’ostentazione di modelli devianti per giungere all’esposizione di immagini sempre più spesso esplicitamente sataniste.
Ci chiediamo se eventi come Eurovision, Berlin Fashion Show e Super Bowl ad esempio attraverso performance altamente simboliche, non siano rivelatrici di un retroterra “esclusivo” che rappresenta egregiamente Sodoma e Gomorra: costumi BDSM, ballerini vestiti da donna in perizoma, cantanti che si esibiscono nudi, sesso omosessuale di gruppo praticato in un bagno sporco, croci rovesciate, streghe e demoni che si accoppiano al centro di un pentagramma, adulti che posano davanti alle cineprese con genitali esposti in presenza di bambini.
Vorremmo esimerci anche solo dal pronunciare certe oscenità per via della natura scabrosa di certi contenuti, se non fosse che vengono trasmesse in mondovisione sintonizzando centinaia di milioni di ascoltatori, sdoganando e normalizzando un passo alla volta le più infime degenerazioni dell’uomo mascherate da creatività, arte e inclusività.
Una poderosa macchina di propaganda mondiale che aspira a cancellare le identità nazionali e sovvertendo le religioni, i costumi e le tradizioni dei popoli, mira a scalzare ciò a cui siamo profondamente legati con lo squallore di una “cultura” globale indifferenziata che si esibisce in tutta la sua ripugnanza.
Ferocemente
-Kulturaeuropa
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La Bandiera della Disabilità: una storia di forza e civiltà
La bandiera della disabilità, conosciuta anche come bandiera del superamento o bandiera dei diritti delle persone con disabilità, rappresenta un simbolo di unione per tutte le persone che vivono con una disabilità. Questo emblema è stato creato nel 2017 dal ballerino valenciano Eros Recio e presentato ufficialmente alle Nazioni Unite, con l’intento di dare visibilità e riconoscimento alle battaglie e ai diritti delle persone con disabilità in tutto il mondo.
Il Significato della Bandiera
La bandiera della disabilità ha un forte valore simbolico, rappresentando non solo l’identità delle persone con disabilità, ma anche la lotta continua per il riconoscimento dei loro diritti. È un simbolo di orgoglio per chi vive con una disabilità, che vuole affermare la propria dignità e forza di fronte alle avversità. La bandiera, inoltre, vuole rendere omaggio allo sport paralimpico, un’area nella quale le persone con disabilità dimostrano la loro capacità di eccellere nonostante le sfide fisiche e mentali.
I colori della bandiera sono ispirati direttamente ai Giochi Paralimpici, un evento di estrema importanza per la comunità globale delle persone con disabilità. Tuttavia, questi colori non sono legati a un concetto di competitività o meritocrazia, ma piuttosto rappresentano il superamento delle barriere discriminatorie imposte dalla società e la conquista di nuovi diritti per il collettivo delle persone con disabilità. Attraverso questo simbolo, il movimento della disabilità vuole affermare la propria volontà di combattere per un futuro migliore, fatto di pari opportunità e maggiore consapevolezza da parte di tutti.
Il Valore dell’Orgoglio e della Lotta per i Diritti
Il significato della bandiera è ampio e si presta a diverse interpretazioni. Secondo Eros Recio, i colori presenti nel design possono essere interpretati come rappresentazioni delle diverse forme di disabilità: fisica, mentale e sensoriale. Tuttavia, è lo stesso creatore della bandiera a sottolineare che il significato esatto dovrebbe essere deciso dalle stesse persone con disabilità, in quanto protagoniste della loro lotta. I movimenti per i diritti delle persone con disabilità sono eterogenei, e questa diversità di approcci si riflette anche nella pluralità di significati attribuiti alla bandiera.
La bandiera non si limita a rappresentare un simbolo visivo: essa diventa il veicolo per portare avanti battaglie concrete. Tra le principali tematiche coperte dal movimento ci sono la lotta contro la discriminazione, il miglioramento dell’accessibilità, la promozione dell’inclusione e il riconoscimento dell’individualità di ciascuna persona con disabilità. La bandiera della disabilità diventa così un emblema per tutte quelle persone che, quotidianamente, lottano contro le barriere fisiche, sociali e culturali.
La Storia della Bandiera
La bandiera della disabilità è stata ufficialmente riconosciuta il 3 dicembre 2017, durante la Giornata internazionale delle persone con disabilità. In quella data, i parlamentari dei paesi dell’America Latina si sono riuniti in Perù e, per acclamazione, hanno dichiarato che questa bandiera sarebbe stata il simbolo di tutte le persone con disabilità. Lo stesso giorno, la bandiera è stata consegnata presso la sede europea delle Nazioni Unite.
Da allora, la bandiera ha continuato a diffondersi in diverse città e comunità autonome spagnole. Ad esempio, nel 2018, la città di Santa Cruz de la Palma, nelle isole Canarie, ha deciso di esporla durante la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Questo gesto simboleggia l’impegno di molte comunità a sostenere i diritti delle persone con disabilità e a promuovere una maggiore consapevolezza a livello locale e globale.
La Relazione con Eros Recio
Eros Recio ha spiegato che la bandiera della disabilità è stata disegnata utilizzando tre colori principali: oro, argento e bronzo. Questi colori, che ricordano le medaglie assegnate durante le competizioni sportive, rappresentano simbolicamente tre dei principali tipi di disabilità: fisica, mentale e sensoriale. Tuttavia, il creatore ha anche sottolineato che i colori non si riferiscono esclusivamente a una specifica forma di disabilità, ma piuttosto vogliono rappresentare tutte le possibili diversità. Non esiste, infatti, una gerarchia tra le diverse forme di disabilità: ogni persona con disabilità ha il diritto di essere rappresentata da questa bandiera.
Il 12 dicembre 2019, durante un evento ufficiale del Collegio dell’Arte Maggiore della Seta di Valencia, la bandiera della disabilità è stata solennemente incorporata nella tradizione tessile della città. Durante il suo discorso, Recio ha ribadito l’importanza di questa bandiera come simbolo di inclusione, solidarietà e libertà. Ha dichiarato che la bandiera della disabilità ha il compito di inviare un messaggio chiaro al mondo: un messaggio che promuova l’accettazione e la lotta contro la segregazione sociale derivante dalla discriminazione.
Un Simbolo di Inclusione Globale
La bandiera della disabilità rappresenta oggi un simbolo di inclusione e riconoscimento per tutte le persone con disabilità. Il suo design, influenzato da movimenti sociali come quello della comunità LGBT+, nasce dall’esigenza di dare visibilità a un gruppo spesso ignorato o stigmatizzato. Attraverso questa bandiera, le persone con disabilità possono affermare la propria identità, il proprio valore e la propria forza nel superare le barriere che la società impone loro.
Il legame tra la bandiera della disabilità e il movimento globale per i diritti delle persone con disabilità è ormai consolidato. La bandiera è diventata un simbolo di speranza e determinazione per tutte le persone che, ogni giorno, combattono per un mondo più giusto, accessibile e inclusivo.
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Khelif va in tribunale denuncia: «Molestie morali in Rete». I suoi social vanno in tilt, 2 milioni di follower in 10 giorni PARIGI Prima dei Giochi, Imane Khelif aveva 80 mila follower su Instagram; adesso sono diventati un milione e seicentomila, una crescita sensazionale. La pugile algerina è diventata in due settimane una celebrità globale, e della sua vicenda si è parlato pure al Palazzo di Vetro a New York, quando nel corso di un dibattito sui diritti della donna il rappresentante russo al Consiglio di sicurezza pochi giorni fa ha denunciato la sorte «delle pugili picchiate da atleti che in realtà sono uomini», facendo intervenire il delegato algerino: «La coraggiosa pugile Imane Khelif è una donna e non c’è alcun dubbio su questo, tranne per chi segue un’agenda politica della quale si ignorano gli obiettivi». La vittoria di Imane Khelif è sportiva ma ha conseguenze politiche che non seguono la logica delle abituali alleanze. La sua medaglia d’oro ha provocato reazioni da Coppa del mondo di calcio in Algeria, dalla capitale Algeri al suo villaggio natale di Biban Mesbah, vicino a Tiaret, ma anche in Francia, a cominciare dallo stadio del Roland Garros con le bandiere algerine e il solito slogan «one, two, three, vive l’Algérie» gridato da migliaia di persone, per poi continuare nelle strade di Parigi. Emmanuel Macron non ha mantenuto la promessa che aveva fatto di persona a Imane due anni fa — «sarò in tribuna a tifare per te se arrivi in finale a Parigi» —, ma il presidente francese (che ieri allo Stade de France ha festeggiato l’unica medaglia transalpina nell’atletica) resta dalla sua parte e molti francesi, di origine algerina o meno, hanno gioito con lei subito dopo la vittoria, mentre il presidente algerino Tebboune la chiamava al telefonino per congratularsi. La Russia invece non esita a mettere a rischio la tradizionale alleanza con l’Algeria pur di combattere, attraverso Imane Khelif, la sua lotta contro «la piattaforma LGBT che l’Occidente cerca di imporre al mondo intero», secondo le parole della Russia all’Onu. Dopo il match, dopo una passerella trionfale di mezz’ora tra gli algerini di Parigi che avevano invaso il Roland Garros, Khelif ha mostrato di che pasta è fatta in conferenza stampa. «L’ho detto e lo ripeterò fino alla noia — ha spiegato la prima olimpionica della boxe algerina — sono nata e cresciuta donna. Chi lo contesta è mosso solo dall’invidia e la mia dignità viene prima di ogni altra cosa, anche della medaglia». Il quotidiano Le Monde ha rivelato ieri che la mattina dello stesso giorno della finale, venerdì, Imane aveva depositato una denuncia contro ignoti al Polo del Tribunale di Parigi specializzato nella lotta contro odio diffuso tramite la Rete web per le «molestie morali» subite. Il suo avvocato, Nabil Boudi, ha valutato oltre 100 milioni di visualizzazioni di contenuti offensivi «pubblicati da importanti personalità politiche che si sono trasformate in un calvario per Khelif». Tra i casi minuziosamente documentati dai legali c’è quello del tweet dell’ex deputato del Rassemblement National Gilbert Collard («Che ingiustizia, che aberrazione ideologica costringere l’italiana Angela Carini a rinunciare a causa dei pugni della boxeuse transessuale Imane Khelif») che ha superato i tre milioni di visualizzazioni. Tra gli episodi denunciati ci sarebbero anche quelli di esponenti politici non francesi di cui non è stata resa nota l’identità.
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Oltre le Barriere e i Pregiudizi
Trovo allucinante il modo in cui i giornalisti, che dovrebbero educare al senso civico, siano i primi a gettare benzina sul fuoco , per usare un eufemismo. Queste riflessioni nascono dopo aver letto il sottotitolo di questo articolo, che trovo tendenzioso e non aiuta la causa dell’integrazione e della lotta contro la stigmatizzazione. Specificare l’identità di genere di Maja T. in questo contesto…
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