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#come fare i capelli
morganadiavalon · 5 months
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Oggi è un mercoledì particolare.
Stamattina, mentre decidevo che cazzo fare con i capelli da pazza con cui mi sono svegliata (spoiler: niente, sono uscita così) mi volevo fare un selfie per il nostro giochino. Di quelli che si fanno le belle naturali, che fanno finta di fare le facce sghembe e le smorfie e invece escono sempre delle fregne atomiche, mentre io se arriccio le labbra e cerco di fare una faccia scema sembro effettivamente scema. Neorealismo rosselliniano, direi.
Dunque, poiché mi facevano tutti cagare, e visto che stava anche diventando terribilmente tardi e dovevo ancora vestirmi e sistemare i capelli (passaggio saltato), ho spento la fotocamera, mi son finita di preparare e sono uscita per andare a lavoro.
Quest'ora del pomeriggio è quella in cui solitamente vengo sollecitata per l'assenza del post del mercoledì motivo per cui son qui a scrivervi queste righe sconclusionate.
Ma visto che ormai che vi ho raccontato tutto il processo di questo insensato mercoledì e quindi sarebbe ipocrita postarvi un vecchio nudino in posa più o meno sensata, ho deciso di mostrarvi i 4 selfie (sì, ho fatto 4 tentativi e poi mi sono rotta il cazzo, si vede che mi manca la dedizione da influencer) incriminati.
E come sempre...io la foto (e lo spiegone, in questo caso), voi la citazione.
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falcemartello · 15 days
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Una donna da il meglio di sé, in termini di bellezza, dopo i 30 anni.
Un uomo, incomincia a diventare "carino" dopo i 500mila euro.
La barba, i capelli, il fisico contano come il 2 di coppe.
Se Sangiuliano faceva l'operaio la Boccia rideva meno, non gli faceva fare nessun giro in giostra e nemmeno lo registrava.
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lady--vixen · 3 months
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Fila in posta. 10 persone prima di me. L'app diceva solo 4, quindi non ho portato niente da leggere.
Idiota.
Tocca osservare la fauna locale. C'è un gonzo che mi guarda il culo. È al cellulare: una bestemmia e due parolacce ogni tre parole. Due vecchie qui a fianco inorridiscono. Mi siedo anch'io, così il gonzo smette di guardare.
Discorsi degli impiegati:
"Tutto bene? Eh, finché ci si vede vuol dire che va bene..."
"Che caldo... Però danno temporali nel pomeriggio."
Un uomo rinuncia alla fila e se ne va incazzato. Un altro, con un pacco in mano, inizia a dire "Che posto di merda, che posto di merda!"
Io, qui seduta, sento la vita scorrere nelle vene. Bum bum pulsa il cuore tra le gambe. Jeans aderenti. Sento il giro vita stringersi e le tette espandersi. Te lo ricordi il capezzolo risvegliarsi davanti ai quadri? Ricordi? Ricordo, ricordo. I capelli mi crescono come edera in cerca di un appiglio. Morsi sulle spalle. Non mi bastano i ricordi. Voglio fare l'amore davanti a un Caravaggio. Dita invisibili tra questi capelli d'edera. Mani. Carezze. Sento tutto.
Tocca a me. Ora tocca a me.
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angelap3 · 3 months
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Dalla sua cella lui vedeva solo il mare ed una casa bianca in mezzo al blu. Una donna si affacciava, Maria è il nome che le dava lui.
Alla mattina lei apriva la finestra e lui pensava: "Quella è casa mia. Tu sarai la mia compagna, Maria".
Una speranza e una follia.
Lunghi i silenzi come sono lunghi gli anni, parole dolci che s'immaginò: "Questa sera vengo fuori, Maria, ti vengo a fare compagnia".
E gli anni stan passando, tutti gli anni insieme. Ha già i capelli bianchi e non lo sa. Dice sempre: "Manca poco, Maria. Vedrai che bella la città".
E sognò la libertà e sognò di andare via. E un anello vide già sulla mano di Maria.
E gli anni son passati, tutti gli anni insieme, ed i suoi occhi ormai non vedon più. Disse ancora: "La mia donna sei tu".
E poi fu solo in mezzo al blu...
(Lucio Dalla)
"DONNA BLU'"di RICHARD BURLET, pittore francese nato nel 1957.
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chouncazzodicasino · 2 months
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Prima di pranzo, scendendo a Roma da sola, ho avuto un piccolo attacco di panico. Avevo preso da qualche chilometro l'autostrada e l'ho sentito salire, prendere le spalle, le braccia, gli occhi e il collo. Ho pensato di tornare indietro e chiedere di essere accompagnata, ho pensato di tornare indietro e basta, ho pensato di provare a proseguire, respirare e fermarmi se necessario. Mi sono fermata a fare benzina e ho respirato di pancia, come mi ha insegnato mamma, ho bevuto acqua fresca e ho messo Beethoven. Tutte le altre canzoni (canzoni che amo) non mi facevano stare bene. Non mi succedeva da tanto, diversi anni. Detesto ma comprendo il fatto che mi sia sempre successo mentre guido, per me guidare è sempre stato il più grande simbolo di libertà e indipendenza. E quello stronzo lì va a colpire. Lo capisco, ha senso. Mentre guidavo a finestrini aperti sul raccordo con i capelli bagnati mi figuravo una mappa con tutti gli amici nelle varie fermate. Ok se non riesco ad andare avanti mi fermo qui da lei. Oppure posso arrivare fino qui e andare da loro. È stato consolante anche questo. Consolante il respirare bene. Consolante il capire che stava passando e che era piccolo. Consolante sapere dove stavo andando. Consolante, forse, capire che però era successo e lo avevo capito. Ora mi resta l'immagine che un po' mi fa sorridere del raccordo dall'alto e delle facce dei miei amici in dei cerchi all'uscita dove abitano. 
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ragazza-whintigale · 6 months
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𝓨𝓪𝓷𝓭𝓮𝓻𝓮 𝓟𝓪𝓾𝓵 𝓐𝓽𝓻𝓮𝓲𝓭𝓮𝓼 𝔁 𝓻𝓮𝓪𝓭𝓮𝓻
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𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Dune
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento yandere, Fem reader, relazione tossica, matrimonio forzato (menzionato), tentato omicidio, avvelenamento, aborto, relazioni extra coniugarli, tradimento, utilizzo della voce, manipolazione psicologica, instabilità emotiva, ricatto, tocco non consensuale.
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 3170
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I corridoi a quest’ora della notte erano quasi del tutto vuoti, fatta eccezione per i soldati di guardia e della figura leggiadra della bella donna chiamata (nome) Alithea e in futuro Atreides -se mai il matrimonio fosse andato a buon fine naturalmente-. La bellezza della figura meritava per certo il soprannome che gli era stato affidato quando era ancora una bambina. La principessa degli Alithea. Come unica figlia femmina fino ai suoi 12 anni era stata amata e adorata quasi al pari della contessa che una volta era stata sua madre.
La sua bellezza e purezza non era ancora caduta in disgrazia secondo il pubblico.
La sua bellezza, la sua educazione e il suo carattere mansueto avevano permesso tale nomignolo. Poco si potrebbe immaginare che dietro quella bella facciata si potrebbe nascondere una donna non più diversa.
Una donna fredda e crudele, cresciuta fino a riconoscere la sua unica utilità come scambio tra famiglie. Il nome e l’importanza degli Atreides per una donna fertile ed educata che avrebbe mantenuto alta la discendenza.
Si era quasi stancata di sentire tali voci venire dall’esterno, oramai quasi tutti i servi al servizio del Duca e della sua famiglia avevano familiarità con il caratteraccio della donna.
❝ Mia signora cosa ci fate sveglia a quest’ora? ❞ La donna si fermò barcollante nei suoi passi. ❝ Dovreste essere nelle vostre stanze a riposare. ❞ (nome) ha un aspetto malaticcio nei suoi lineamenti morbidi. Il colore della pelle è sbiadito quel tanto che bastava per farla sembrare tra la vita e la morte. I capelli (colore) scompigliati, sono sciolti dal solito complicato intreccio, permettendo così delle morbide onde ad accompagnare il suo viso. Il piacevole movimento delle ciocche seguiva il suo viso una volta che decise di poter onorare questa persona con le sue attenzioni.
Duncan Idaho era in mezzo al corridoio con aria solenne. La postura eretta e impeccabile è proprio qualcosa che ci si poteva aspettare da casa Atreides e da uno dei suoi fidati.
Lo sguardo dell’uomo affronta con sospetto il corpo gracile ea mala pena sostenuto della sua signora. Non c’è traccia di ostilità verso qualcuno, solo il suo solito io viziato. O almeno è quello degli ultimi 7 anni. Quando d’improvviso la dolcezza della bambina venne sostituita con il gelo caratteristico di casa Alithea.
Duncan non ha mai diffidato di lei. Non che potesse in qualche modo, è una donna talmente fragile e minuta che si poteva dubitare potesse ferire qualsiasi componente della famiglia Atreides. Solo non poteva che notare il cambiamento di carattere durante la sua crescita al fianco all’erede Atreides. Davanti agli occhi ha visto come qualcuno potesse sprofondare nell’oscurità poco a poco.
Lo sguardo affilato della donna cadde sul soldato, fidato agli Atreides e vicino a quello che sarebbe diventato suo marito. ❝ Niente di importante Sir, cerco solo di raggiungere il mio futuro marito nelle sue stanze. Mi ha chiesto di parlare in privato. ❞
Duncan dubitava che Paul potesse essere così dannatamente maleducato da scomodare la sua fidanzata che fino a qualche giorno fa era in letto di morte. Poi nessun -nemmeno Paul- gli aveva parlato di questo incontro e per quanto potesse essere un incontro tra innamorati, di cui dubitava molto, il ragazzo avrebbe comunque avvertito qualcuno della cosa.
In genere lady (nome) non era nemmeno una persona da incontri romantici al chiaro di luna, ne di una avventura in camera da letto. Quindi era ben presumibile stesse architettando qualcosa che avesse a che fare con Paul. Duncan sperava vivamente che questo non li avrebbe messi nei guai.
❝ In tal caso lasciate che vi accompagni.❞ Il suo onore gli impediva di lasciare la sua signora andare in giro per le sale di Castel Caladan alla ricerca del futuro marito, quando nemmeno riusciva a camminare correttamente.
Stava anche tremando a tratti sotto la stola in lama.
Lo sguardo della donna si assottigliò lasciando brillare le pagliuzze argentate annegate nel (colore) delle sue iridi. (Nome) era abbastanza furba da non tentare una discussione per una tale sciocchezza. Per quanto irrispettosa potesse essere, il tutto sarebbe diventato solo più sospettoso. ❝ Se è ciò che desiderate.❞ Duncan camminò fino a sorpassare (nome) e guidarla verso la sua destinazione.
La stanza di Paul non era molto lontana, di conseguenza il viaggio fu breve. La principessa bussò con eleganza alla porta e Paul rispose aprendo la porta. La sorpresa era palese dai suoi occhi verdi, ma si riprese l’attimo dopo aver notato anche Duncan. Salutó l’uomo con un cenno e poi si rivolge alla donna di Alithea ❝ A cosa devo la visita della mia signora? ❞ (Nome) ridusse la sua espressione a puro disgusto e entrò nella stanza lasciandosi alle spalle Duncan e la sua espressione disperata dai capricci e dalle bugie della donna. Paul non fece altro che un’espressione di scuse al compagno fidato chiudendo la porta intimandolo di continuare con i suoi doveri.
❝ Spero ci sia un motivo valido per disturbare il tuo riposo e Duncan. ❞ ❝ Non gli ho chiesto io di disturbarsi. ❞ Lady (nome) ha tralasciato le sue condizioni precarie mentre si fermava nel mezzo della stanza incrociando le braccia al petto. La stola e la vestaglia morbida annientava ogni curva che la donna potesse possedere. Un sospirò lasció le labbra di Paul mentre si avvicinava a lei per avvolgere le braccia intorno alla figura della donna, ❝ La vostra crudeltà non appassisce mai mia signora, nemmeno quando siete malata. E dire che quando eravate piccola possedevate una tale gentilezza. ❞ Il calore della loro pelle che si tocca era qualcosa che (nome) ha detestato, e sapeva che in futuro non gli sarebbe bastato questo da lei.
Si crogiolò segretamente nel tepore del loro abbraccio, forse avrebbe dovuto prendere una stola più pesante ma non è riuscita a trovarla da sola. ❝ Io inizierei a ritermi il colpevole di tale comportamento se fossi in te, Paul.❞ Il suo nome aveva una cadenza sprezzante ma L’Atreides, in qualche modo contorto, sembrò apprezzare. Paul stampa un bacio sul suo collo, incurante dello strato di capelli che si sovrapponeva alla pelle di (nome). Rabbrividì disgustata.
❝ In ogni caso non hai risposto alla mia domanda.❞ Si staccò da lei andando a sedere dall’altra parte della stanza. Si versò qualcosa da bere e lo stesso fece per lei. (Nome) sapeva fare di meglio che cedere a tali galanterie. Era considerata una bellezza a tal punto che in molti hanno cercato le sue attenzioni con trucchi meschini.
In realtà Paul sapeva perché era lì e da cosa era dovuto il suo turbamento. C’era una incrinatura nella sua solita corazza, lasciando intravedere spiragli di rabbia e nervosismo. Aveva letto attentamento i suoi movimenti e le sue parole. Come si soffermava su qualcosa troppo allungo, come teneva coperto il ventre con la stola e come si graffiava i polsi.❝ Devi lasciarlo andare. Lui non ha colpa.❞ ❝ mmh? ❞ Prese un sorso di bevanda tenendo gli occhi su di lei. Sapeva di cosa stava parlando, non c’è stato bisogno di avere conferme, eppure lui ha continuato a fingere di non comprendere. Se lady (nome) non lo conoscesse, avrebbe potuto dire che si stava divertendo a vederla così.
Paul la conosceva a sua volta abbastanza da sapere che: niente avrebbe potuto agitare la donna se non la consapevolezza di aver condannato qualcuno per un suo errore. Non era così crudele come tutti l’avevano dipinta, e Paul lo sapeva meglio di chiunque altro. Sapeva che probabilmente le occhiaie nere sotto i suoi occhi erano solo la causa delle notte insonne per il senso di colpa.
Senso di colpa.
Forse nessuno a parte lui sapeva che Lady Alithea era capace di provare simili emozioni. Era davvero brava a mascherare le proprie intenzioni dietro la sua freddezza, non sempre ma quasi, questo Paul glielo avrebbe concesso. Forse se non fosse per le sue abilità di Bene Gesserit nemmeno lui l’avrebbe notato. ❝ Non vedo perché dovrei, (nome), dopo quello che ti ha fatto.❞ ❝ È TUTTA COLPA MIA! LUI NON C’ENTRA-❞ L’urlo lasciò trasparire tutto il risentimento che aveva nei suoi confronti. Era uscito così spontaneo dalle sue labbra che è riuscita a fermarlo solo dopo aver sfogato in parte. Certamente si era fermata ad un certo punto e una parte di colpa andava allo sguardo che l’erede degli Atreides le ha rivolto. La turbava ancora, anche a distanza di anni e nonostante la loro differenza di età. ❝ … e tu hai utilizzato l'occasione a tuo vantaggio.❞
-Nemmeno i rivelatori di veleno erano riusciti a rilevarlo. Era stata attenta. Talmente attenta che quando il sangue iniziò a colare giù dal naso e dalla bocca una confusione generale riempì la stanza. Alcuni soldati si sono precipitati lì, altri hanno chiamato il dottore Yueh e di seguito arrivò anche Hawat. Era una delle poche volte che anche il Duca era presente, forse tutta quella confusione era dovuto anche a questo.
Nessuno era riuscito a scoprire chi fosse stato e meglio come avesse fatto. Ma Paul aveva un idea. Un’idea che si era rivelata più che giusta. Lo aveva visto chiaramente. -
Le braccia della donna scivolarono dritte lungo il corpo mentre stringeva il tessuto della vestaglia tra i suoi pugni. Non era ben chiaro se si fosse pentita di averlo urlato o se avesse solo temuto per lo sguardo di Paul. Ma il resto della frase è comunque stato ridotto ad un sommesso sussurro.
Forse si sentiva colpevole. Lui non l’aveva mai toccata prima senza il suo permesso. Non le aveva mai fatto del male. Eppure lei aveva agito contro di lui. Prima ha cercato di uccidere Paul mentre dormiva con coltello di fortuna, ma fu troppo codarda per portare a termine l’impresa e crollò tra le braccia di Paul. Non aveva detto una parole ne aveva mostrato paura. Poi aveva cercato di avvelenarlo… ma cambiò obiettivo. Forse ha sperato qualcuno contestasse la sua unione con Paul, forse non ritenendola all’altezza di diventare Duchessa e un’Atreides. Ma non accade. A Paul bastó immagazzinare le informazioni , analizzarle e valutare come risolvere al meglio la situazione. Il suo attentato al giovane Duca non fu mai scoperto, e il suo auto avvelenato fu solo deviato alla soluzione più semplice. Il ragazzo così vicino a Lady (nome) da averla avvelenata per gelosia.
Questo le fece pentire in primo luogo di averlo scelto e portato con sé su Caladan, di essersi compromessa con lui e di essere stata costretta ad abortire per conservare l’onore di entrambi. ❝ Forse avresti dovuto pensarci prima a coinvolgere qualcuno di esterno.❞ È stato stupido ma lo sapeva già. Non lo amava nemmeno come meritava.
Ed è abbastanza palese che Paul stesse giocando con questi sensi di colpa.
Non le avrebbe offerto uno scambio, lui non ne aveva bisogno per farle fare tutto quello che voleva. Non c’era modo che avessero parlato di scambiare la vita del ragazzo con qualcosa che andasse a vantaggio di Paul e Lady (nome) lo sapeva abbastanza bene.
❝In ogni caso ora non dovrai più temere di coprire quella gravidanza indesiderata e io non dovrò tenere un bastardo.❞ Un erede bastardo. Era qualcosa di ironico adesso, agli occhi del giovane Paul. Non gli ricordo minimamente sua madre, che diede al Duca Leto l’erede che tanto desiderava.
La donna era colma di rancore, colpe e imbarazzo, per questo non proferì altra parola. Non cercó di salvarsi o giustificare i fatti evidenti, lui era l’unico oltre a lei a saperlo e poteva dedurre fosse solo grazie alle sue predizioni. Nemmeno il povero Elias era a conoscenza dell’avere messo incinta la futura sposa di Paul. Forse era meglio così.
❝ Dovresti essere grata. ❞ La voce di Paul perse l’affetto e il rimprovero. Divenne solo fredda come se avesse perso la possibilità di provare sentimenti. Si avvicinò alla forma della sua signora prendendo a coppa il suo viso dai tratti morbidi tra le mani. La principessa si sentiva disgustata. ❝ Per cosa? ❞ ❝ Per non averti condannata con lui. ❞
In un lampo di rabbia (nome) spinse le mani sul petto del ragazzo, allontanandosi quel che bastava.
In primo luogo pensava glielo avrebbe concesso, nel suo stato attuale, lui era più forte di lei. Perciò la distanza era quella che lui gli aveva concesso a prescindere. ❝ Avrei preferito morire a causa del mio stesso veleno che rimanere qui con te. ❞ La principessa strinse i denti ad ogni crudele dichiarazione mentre si dirige verso la porta con l’unico intento di andarsene.
❝ Non uscire dalla stanza. ❞ (nome) si fermò nei suoi passi, con la mano sulla maniglia e un piede pronto a dare il primo passo per uscire. Sapeva che Paul era in grado di usare la voce, aveva sentito parlare della cosa molte volte da sua madre mentre si esercitavano. A riguardo c’era un tacito accordo. Lui non avrebbe dovuto usarlo su di lei.
Per quanto non fossero mai stati messi termini e condizioni lui lo aveva fatto solo una volta, esclusa questa. Forse è stata quella volta a convincerlo ad non utilizzarlo. Lei aveva dato letteralmente di matto, urlando e cercando di attaccarlo direttamente.
Nessuno ha saputo dare una risposta a tale comportamento e la situazione tacque in pochi giorni, lasciando un’alone di mistero sulla vicenda.
Lo sguardo della donna era intriso di rabbia e sanguinaria voglia di fargli del male. Paul la guardava a sua volta con una sorta di sfida nei suoi occhi. Sarebbe stata sopraffatta dalla voce o sarebbe stata rinchiusa per aver attentato alla vita di Paul?
Era quasi sicura che nella seconda avrebbe sofferto più lui che lei, per questo quando mosse i suoi primi passi verso il fidanzato lui socchiuse le labbra. Pronto a richiamare qualsiasi ordine l’avrebbe riportata al suo posto. Ma lei si fermò ancora prima di poter fare unaltro passo.
Lo sguardo di Paul era ancora su di lei. I suoi capelli ondulati ricadenti sulle sue spalle cadenti. La sua vestaglia argentata e la stola che era caduta dalle spalle e ora si reggeva solo alle braccia della ragazza. Una visione dannata e patetica proprio come era la sua signora quando nessuno poteva vederla a parte lui. L’orgoglio e la vanità erano scomparsi a favore della dolce disperazione e dai sensi di colpa. Ma in fondo l’Atreides non avrebbe potuto desiderare altro che essere l’unico spettatore di tale vista.
Nessuno avrebbe potuto ammirare la luce fioca e semplice di una donna, che aveva imparato a mantenere le apparenze di freddezza e nobiltà, sfaldarsi davanti a qualcosa che la stava mandando in frantumi poco a poco.
Paul era quella cosa ed entrambi lo sapevano.
I primi passi di lui furono intercettati dalla donna che indietreggiò per mantenere la distanza iniziale. Un sospiro tra l'esasperato e il divertito ha lasciato Paul mentre parlava nuovamente. ❝ Devi smetterla con queste scenate. Non ti serviranno a molto soprattutto se sono l’unico ad assistere.❞ I loro occhi erano fissi l’uno sull’altro. Niente sarebbe cambiato nel comportamento della donna, lo sapeva. Eppure i suoi occhi erano ancora attenti a qualsiasi cosa lui volesse fare di lei. Avrebbe mantenuto le parole eppure lei non era ancora disposta ad avvicinarsi. ❝ Spiegami come posso farmi ascoltare, senza per forza darti un ordine. ❞ Quel potere non era un semplice ordine! Se fosse stato solo un ordine lei avrebbe ignorato il tutto e poi sarebbe andata avanti per quello che credeva meglio. Ma in quei momenti il suo corpo smetteva di essere una sua proprietà e faceva ciò che quel coro di voci le diceva di fare. Cacciata e privata della sua stessa volontà. È così che si poteva descrivere.
❝ Non puoi. semplice, no? Basta solo che mi lasci stare, e che lo scagioni da quelle accuse, e per un po’ continuerò questa recita, per un po’.❞ Per un po’… Non significava per sempre. Non si sarebbe calmata e questo sarebbe solo qualcosa di temporaneo. Era come una pietra che colpiva il vuoto. Non faceva alcun rumore. Nessuno dei due aveva un discorso collegato con quello dell’altro eppure continuavano a parlare sulla medesima linea. Lei era lì per un motivo e poi avrebbe voluto andarsene il più lontano possibile. Anche il fondo del mare di Caladan le sembrava più accogliente e invitante di quella stanza soffusa di luce. Mentre lui desiderava cercare di convincerla a rimanere, nella sua stanza e nella sua vita. Non che lei avesse quella gran scelta in questione ma lui desiderava ancora che lei lo volesse almeno un po’.
Fece un altro passo e poi un’altro e un'altro ancora, verso di lei, in silenzio. Ma lei si allontanava ancora, ancora e ancora. I passi erano traballanti e non si poteva escludere l’eventualità che potesse cadere. ❝ Sai davvero essere crudele mia signora… soprattutto con me. ❞ A Paul sembrava piacere evidenziare come le sue parole taglienti perdessero L’affilatezza in sua presenza, intrecciando le proprie parole con terribile sarcasmo. Lei inciampò su qualcosa e cadde seduta sul letto del ragazzo. Non poteva sapere cosa, ma ha immaginato fosse colpa di Paul. Era sempre colpa sua anche quando non lo era, ai suoi occhi.
Non sapeva esattamente come fosse finita lì, ad un'estremo della stanza, opposto a dove era. Quanti passi senza guardarsi attorno aveva fatto? Quando si era persa troppo in profondità negli occhi di Paul e dell'odio che provava per lui.
❝ Ti odio. ❞ Lui rise alla conferma delle sue parole. Questo era odio. Un odio patetico che gli si addice magnificamente. ❝ Lo so. ❞ Si avvicinò al suo volto, lasciando poco spazio tra loro, tanto che ogni respiro sfiorava le pelle del loro volto. Gli (colore) della donna erano spalancati in cerca di una soluzione, di un indizio o di qualche bagliore, negli occhi del futuro marito. Una qualsiasi scintilla ma niente. Lui era impassibile e illeggibile come lo era sempre stato, e questo l’ha terrorizzata. Come nei loro primi incontri, come nel loro primo incontro. ❝ Cosa vuoi in cambio? ❞ Dopo un lungo silenzio lady (nome) si decise a parlare. Di solito durante i loro scambi di parole non si parlava mai di scambi o mediazioni. Nessuno dei due avrebbe ceduto qualcosa per averne un altra. Specialmente (nome).
❝ Rimani. ❞ Era decisamente generica come risposta e la ragazza si trovava spazientita da tanta indulgenza. Se fosse stata solo una notte potrebbe anche essere un buon affare. Se fosse trasferire le sue stanze in quelle di Paul per il suo ultimo periodo qui a Caladan prima di tornare a casa per organizzare i preparativi per il matrimonio, era eccessivo ma ancora glielo poteva concedere. Aveva chiesto un prezzo molto alto in fondo, per quanto lei stessa non volesse ammetterlo. Ma se intende per tutta la sua vita era troppo. Lei per quando crudele e fredda potesse essere aveva sempre mantenuto la parola data e per questo raramente faceva promesse soprattutto quando non voleva o non poteva mantenerle.
❝ Tutto ma non questo. ❞
❝ Prendere o lasciare, (nome). ❞
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incazzatanera · 5 months
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*sfogo di cui probabilmente non frega un cazzo a nessuno *
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Dopo anni che non facevo serata in un locale, questa sera mi sono lasciata trasportare da nuove conoscenze e di conseguenza sono stata invitata in questo bar con musica e pista. In tutta la serata mi sono guardata attorno e vedevo solamente un mucchio di ragazze fotocopie. Tutte le ragazze avevano una giacca di pelle, tutte avevano i capelli perfettamente piastrati (e incredibile come la maggioranza di loro fossero bionde), l’eyeliner nero, borsa con la catenella e tutte rigorosamente con stivali alti, neri. E non ditemi che è MODA. Io mi sono sentita a disagio e fuori luogo; una ragazza cicciottella con i capelli rossi, vestito a maglione lungo con le perle, stivaletti e calzini bianchi. E poi ho guardato i ragazzi, quelli con cui ho incrociato gli sguardi, subito dopo spostavano gli occhi sulle ragazze in mia compagnia e le scrutavano illuminati, d’altronde chi non resterebbe paralizzato davanti ad occhi azzurri come acqua cristallina? Per tanto tempo ho provato ad essere una persona che non ero ma non ha funzionato e la dura realtà è che io sono così, sono destinata ad essere così per il resto della mia vita e ho realizzato che non c’entro niente con queste persone, anche nei modi di fare e di atteggiarsi. Mi sento sempre fuori luogo perché mi sento inadeguata al contesto che ho attorno ogni giorno e non importa quanti sforzi faccia, alla fine mi sentirò sempre sul bordo probabilmente perché per prima, mi ci metto sempre io ma non riesco a fare altrimenti.
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diceriadelluntore · 4 months
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Storia Di Musica #328 - Francesco De Gregori, Titanic, 1982
I dischi che ho scelto il mese di Giugno hanno un valore ancora più personale, e sono legati da un fatto. A metà Maggio per aggiustare due tegole lesionate salendo in soffitta per fare spazio ho ritrovato degli scatoloni, e in uno di questi, catalogati in buste di carta, come quelle del pane, vi erano dei dischi. Ne ho scelti 5 per le domeniche di questo Giugno. Il primo era nella busta Dischi di Angela, il nome di mia madre. Interrogata, e felicemente sorpresa di aver ritrovato quello scatolone pensato perso dopo un temporaneo trasloco da casa, mi ha raccontato che non comprò il disco appena uscito, ma dopo qualche anno, dopo aver visto un concerto dell'artista di oggi, uno dei più grandi autori della canzone italiana.
Francesco De Gregori era stato lontano dagli studi di registrazione per tre anni: il 1979 era stato l'anno straordinario di Banana Republic con Lucio Dalla e di Viva L'Italia, disco fondamentale e che contiene una storia particolare. Fu infatti il tentativo della RCA, la sua casa discografica, di promuovere l'artista a livello internazionale. Fu ingaggiato Andrew Loog Oldham, leggendario scopritore e primo produttore dei Rolling Stones, che portò con sé una schiera di tecnici e turnisti britannici, e lo stesso De Gregori registrò delle versioni in inglese di alcune delle sue canzoni più note (Piccola Mela, Rimmel, Generale, una versione di Buffalo Bill con Lucio Dalla) con i testi tradotti da Susan Duncan Smith e Marva Jan Marrow, poetessa statunitense che rimase in Italia per un decennio, collaborando con numerosi artisti (Ivan Graziani adatta un suo brano, Sometimes Man, per Patti Pravo, che diviene una dedica per lei, intitolata Marva).
Decide quindi di concentrarsi su un disco che da un lato riprende progetti giovanili sul recupero delle musiche tradizionali, e dall'altro sia una sorta di concept album. Su questo ultimo punto, fu decisiva la lettura nei mesi precedenti le registrazioni di un libro, L'Affondamento Del Titanic di Hans Magnus Enzensberger. Prodotto da De Gregori con Luciano Torani, Titanic esce nel giugno del 1982. È un disco dove De Gregori lascia da parte la canzone d'amore (solo un brano è riconducibile ad una canzone romantica), musicalmente molto vario e che sembra, attraverso il racconto della mitica nave e del suo tragico destino, una riflessione faccia faccia, personale e spirituale, con il mare, i suoi messaggi potenti e profondi. Si apre con Belli Capelli, l'unica canzone d'amore, che lascia lo spazio a Caterina, emozionate omaggio a Caterina Bueno, cantautrice fiorentina che fu la prima a credere nel giovane De Gregori, chiamato come chitarrista nel 1971: i versi «e cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo» sono un omaggio ad un brano di Bueno, «e cinquecento catenelle d'oro/hanno legato lo tuo cuore al mio/e l'hanno fatto tanto stretto il nodo/che non si scioglierà né te né io». La Leva Calcistica Del '68 è uno dei classici degregoriani, toccante racconto di un provino calcistico di un dodicenne nel 1980, con uno dei testi più belli del Principe (E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai\Di giocatori tristi che non hanno vinto mai\Ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro\E adesso ridono dentro al bar\E sono innamorati da dieci anni\Con una donna che non hanno amato mai\Chissà quanti ne hai veduti\Chissà quanti ne vedrai). La parte centrale del disco, musicale ed emozionale, è la cosiddetta trilogia del Titanic. L'Abbigliamento Di Un Fuochista, cantata con Giovanna Marini (grande custode della musica tradizionale italiana, recentemente scomparsa) racconta una storia di emigrazione attraverso il doloroso dialogo madre-figlio sullo sfondo della tragedia, e De Gregori in un disco successivo, altrettanto famoso, La Donna Cannone (1983), inserirà un brano, La Ragazza E La Miniera, che è la prosecuzione narrativa di questo brano. Titanic, dal meraviglioso ritmo sudamericano, è il brano metafora della questione sociale: la divisione in classi, prima, seconda e terza, che accomuna la nave alla società. I Muscoli Del Capitano inizia come Il Tragico Naufragio Della Nave Sirio, canzone popolare resa celebra da Caterina Bueno, e molti notarono lo stile particolare del testo, un riferimento alla narrazione futurista del progresso, della potenza meccanica, al mito dell'acciaio e dell'industria. La canzone, meravigliosa, sarà oggetto anche di numerose riletture, e ricordo quella convincente di Fiorella Mannoia in Certe Piccole Voci (1999). Il disco si chiude con il riff, spiazzante, di 150 Stelle, sulle bombe e i bombardamenti, con il simpatico rock'n'roll di Rollo & His Jets, che nel testo cita due dei suoi migliori collaboratori, Peppe Caporello (bassista mezzo messicano soprannominato chicco di caffè) e Marco Manusso (chitarrista con quel nome strano) che insieme con Mimmo Locasciulli suonarono nel disco. Leggenda vuole che per gli arrangiamenti dei fiati Caporello volle un paio di scarpe di tela Superga bianche. Chiude il disco il pianoforte, dolcissimo e malinconico, di San Lorenzo, in ricordo dei bombardamenti del 19 luglio 1943 sul quartiere romano di San Lorenzo ad opera degli alleati. Canzone stupenda, è anch'essa ricchissima di riferimenti: i versi su Pio XII che incontra la gente si rifà ad una famosissima fotografia (scattata però, ma si seppe anni dopo, davanti alla Chiesa di San Giovanni In Laterano, nell'agosto del '43 dopo la seconda sequenza di bombardamenti), il verso Oggi pietà l'è morta, ma un bel giorno rinascerà è presa dal famoso canto partigiano di Nuto Revelli.
Il disco, con in copertina il merluzzo su un piatto in un frigorifero accanto a un limone tagliato fotografato da De Gregori e colorata da Peter Quell, fu anche un successo di critica e di vendite: nonostante non ebbe traino da nessun singolo, vendette 100000 copie nel primo mese, regalando le sue canzoni stupende, con De Gregori che fu il primo a ripercorrere le orme del Battiato de La Voce Del Padrone, unendo nel modo più convincente la tradizione cantautorale, in questo lui un Maestro insuperato, con il grande pubblico.
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Domande.🌷
1. Quando è il tuo compleanno?
2. Qual è il tuo animale preferito?
3. Cosa fai nella vita?
4. Se potessi viaggiare ovunque nel mondo, dove andresti?
5. Qual era la tua materia scolastica preferita?
6. Hai una famiglia piccola o grande?
7. Quali generi di musica ti piacciono di più?
8. Come ti piace passare il tempo libero?
9. Sei una persona mattiniera o notturna?
10. Qual è il tuo ricordo d’infanzia preferito?
11. Chi è la tua cotta per una celebrità?
12. Parli più di una lingua?
13. Qual è il tuo problema più grande?
14. Qual è la tua festa preferita?
15. Dove sei cresciuto?
16. Qual è l’abilità che vorresti imparare?
17. Cosa apprezzi di più in un amico?
18. Qual è la tua più grande paura irrazionale?
19. Quale animale vorresti essere?
20. Qual è il tuo soprannome?
21. Sei un secchione?
22. Se potessi avere un superpotere, quale sceglieresti?
23. Ti consideri una persona felice?
24. Qual è la tua serie TV preferita?
25. Qual è il personaggio storico che più ammiri?
26. Cosa dici quando rispondi al telefono?
27. Hai mai guidato ubriaco?
28. Cosa odi di te?
29. Ti dà fastidio se ti toccano i capelli?
30. Di che cosa hai più paura in assoluto?
31. Che lavoro vorresti fare?
32. Hai mai fatto il bagno al mare nudo/a?
33. Il concerto che non dimenticherai mai?
34. Hai qualche velleità artistica?
35. Qual è la cosa più avventurosa che hai fatto nella vita?
36. Qual è la tua aspirazione più grande?
37. Qual è il tuo peggior difetto? E il tuo miglior pregio?
38. Qual è la cosa più costosa che ti sei comprato? Qual è la cosa più costosa che hai regalato a qualcuno?
39. Hai mai visto una stella cadente?
40. Se potessi cambiare una parte del tuo corpo, quale sarebbe?
41. Fai sport?
42. Se avessi la possibilità di essere qualcun altro, chi saresti?
43. Riesci a fissare a lungo le persone negli occhi?
44. Quando è stata l’ultima volta che hai pianto? E l’ultima volta che hai riso?
45. Qual è il tuo film preferito?
46. Secondo te l’uomo è fondamentalmente buono o cattivo?
47. Sei superstizioso?
48. Hai fiducia in te stesso? E negli altri?
49. Vedi il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?
50. Sorprendi i ladri in casa: come ti comporti?
51. Qual è stato il momento più bello della tua vita?
52. Cosa fai se vedi una cartaccia abbandonata in un prato?
53. Qual è il più bel gesto che si possa ricevere?
54. Qual è la tua definizione di libertà?
55. Se potessi ricominciare la tua vita da capo, cosa faresti?
56. Qual è il tuo supereroe preferito?
57. Se dovessi morire oggi, quale sarebbe il tuo più grande rimpianto?
58. Cosa fai se vedi una rissa?
59. Cosa ti riesce meglio?
60. Cosa pensi che gli altri pensino di te?
61. Quale è il mese che preferisci? Perché?
62. Qual è la tua opera d’arte preferita?
63. Se vincessi la lotteria che faresti con tutti quei soldi?
64. Preferisci i cani o i gatti?
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falcemartello · 8 months
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Vi ricordate questi versi: «Cantami, o diva, del Pelide Achille l’ira funesta?» Ecco, a quanto pare Omero è il capostipite della «mascolinità tossica» e un esempio di «patriarcato» a detta dei progressisti della cancel culture e va bandito dalle scuole.
«Sono molto orgogliosa di dire che quest’anno abbiamo rimosso l’Iliade e l’Odissea dai nostri programmi», dichiara Heather Levine, che insegna alla Lawrence High School. Negli Stati Uniti non hanno gradito che gli eroi omerici siano guerrieri «forti e dai capelli biondi», e hanno pensato bene di impedire ai ragazzi di leggerlo in classe.
Ma di cosa parla l’Iliade? Dell’onore, di gelosia, amicizia, tradimenti, di uomini assetati di potere che vorrebbero dominare il mondo e di innocenti che muoiono in modo tragico a causa di una guerra voluta dai potenti. Vi suona familiare? Ma soprattutto parla dell’amore: dell’amore verso la propria patria, l’amore fraterno e dell’amore di un padre nei confronti del figlio.
Vi ricordate di quando il vecchio Priamo supplica Achille di restituirgli il corpo di Ettore? Io mi ricordo che quando lo lessi per la prima volta mi commossi del dolore di questo padre che avanza nella notte vestito come un mendicante e si mette in ginocchio davanti all’assassinio di suo figlio. E vi ricordate la scena in cui Ettore dice addio alla moglie e al figlioletto? Ecco, in quei momento la guerra non è più gloriosa, non è più eroica, ed Omero ve lo mostra!
Secondo voi è tossico tutto questo? E sì l’Iliade parla di uno scontro tra due civiltà, esattamente come le guerre di oggi, ed esattamente come le guerre di oggi nasce da un pretesto, il tradimento di Elena nei confronti del marito Menelao che un uomo assetato di potere, Agamennone, fratello di Menelao, sfrutta per dare inizio alla guerra. Per distruggere i suoi nemici. E alla gente «racconta» la favoletta del tradimento di Elena.
Perché forse il vero motivo per bandire i classici non è perché sono politicamente scorretti e non stanno al passo con i tempi ma perché lo sono fin troppo! Non sia mai che i ragazzi leggendoli, incomincino a fare una cosa pericolosissima per tutti i governi, i politici e gli Agamennone di oggi: pensare!
Guendalina Middei
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Abbiamo pensato che ci coprissi con la terra per non farci sentire freddo, ma la terra era così tanta da non riuscire più a vedere i tuoi bellissimi capelli lunghi perché ci copriva anche gli occhi.
Ci mancava il fiato e non potevamo chiederti aiuto.
Abbiamo pensato che saresti tornata a salvarci ma non ci eravamo accorti che in realtà stavi mettendo fine alla nostra breve vita.
Oggi abbiamo scoperto il tuo nome, ti chiami Chiara, mamma... chissà se ti sei resa conto del male che ci hai fatto... eravamo i tuoi bambini, quell'ingombro che non hai mai voluto... 💔
Io non riesco proprio a capire come una madre possa fare una cosa del genere.
Neanche gli animali lo farebbero😭
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autolesionistra · 3 months
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Per un commento elettorale serio rimando al bell'intervento di Alessando Sahebi: https://alesahebi.substack.com/p/il-merito-della-destra
Per un commento cialtrone: resto sempre basito su come, a parità di numeri, tutti li leggano diversamente.
In realtà se mi sforzo un poco posso capire sia chi si strappa i capelli annunciando la Geenna sia chi guarda il suo orticello di proiezoncine magari andate oltre il previsto e ne gioisce. (in realtà vorrei essere un bicchieremezzopienista anch'io, se conoscete corsi serali da consigliare mi ci iscrivo)
Io che sono ottimista e pieno di gioia di vivere non posso che pensare che l'affluenza più bassa di sempre sia una sconfitta politica per tutti gli schieramenti. E vedere personaggi politici che si dicono contenti dei (loro) risultati mi sembra una cartina tornasole abbastanza impietosa e mesta dell'improponibilità di chi teoricamente ambisce a fare il rappresentante del popolo senza preoccuparsi troppo del fatto che il meccanismo di rappresentanza sta marcendo.
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yomersapiens · 9 months
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Ratti auguri di buon Rattale!
A Vienna si calcola esistano una cosa come tre milioni di ratti che vivono nel sottosuolo della città. C'è un tour che ti fa esplorare le complesse linee fognarie dove ti raccontano di tutti questi ratti che girano. Tre milioni di ratti sono quasi due ratti a testa per ogni abitante della città. Quindi, in un mondo perfetto, questo Natale in casa saremmo in quattro: io, Ernesto e due ratti. I due ratti durerebbero poco. Uno Ernesto se lo mangerebbe in un secondo. L'altro lo difenderei a spada tratta e diventerebbe il mio alleato eterno e lo chiamerei Ratteo, così, per avere un essere vivente a cui tramandare quello che ho imparato durante la mia esistenza.
Ho deciso di passare il Natale lontano dall'Italia perché negli ultimi mesi sono stato troppo in giro e mi stavo dimenticando di uno dei valori principali su cui è fondata la mia stabilità: la solitudine. Ho fatto in modo di andare a cena da mio fratello molto molto presto, per essere in grado di finire prestissimo e tornare a casa quando il resto delle famiglie si stanno sedendo a tavola. È stupenda Vienna quando in giro non c'è anima viva. O per meglio dire, quando in giro ci siamo solo noi immigrati, senza famiglia, senza nessuno. No ok io ho un gatto e un ratto a cui sto insegnando tutto di me e che spero un giorno prenda il mio posto nella società. Lo vestirei con i miei stessi abiti. Forse gli farei pure gli stessi tatuaggi.
Vienna di per sé non è mai troppo affollata, c'è da dire. Ma vederla ancora più deserta del solito è rinvigorente. La solitudine che tanto mi manca è ovunque. Il bus si muoveva sinuoso tra le strade senza l'ombra di una macchina in movimento. I semafori lampeggiavano sincronizzati con le luci degli alberi negli appartamenti di chi non vedeva l'ora di festeggiare. Tante lingue diverse. Del tedesco neanche una lontana eco. Prima di rientrare sono passato dal supermercato turco, loro sono sempre aperti. Ecco un altro pilastro della mia stabilità. Due ragazzini prima di me stavano comprando quella che penso fosse la loro cena natalizia. Una confezione di pane da toast, del formaggio già tagliato a fette, del prosciutto, qualche sacco di patatine e una marea di coca zero. Quanto li ho invidiati. Non dovevano essere di qua, intendo abitanti della zona. Avevano l'aspetto dei turisti. Erano giovani, vestiti male, capelli orrendi, con pochissimi soldi ma stavano avendo la serata che vorrei tanto aver avuto io con te. In una città di cui non sappiamo niente, in un momento in cui tutti si ricongiungono con i familiari, noi, andare via da tutto e avere tutto quello che ci serve tra i filamenti del formaggio sciolto del toast. Unica differenza, lo si farebbe senza prosciutto, che lo diamo a Ernesto e Ratteo.
Quando ottieni quello che hai sempre voluto è il momento in cui ti rendi conto di quanto era bello semplicemente desiderare, senza le responsabilità che derivano dall'ottenere. La felicità è un atto di responsabilità e va difesa. Devi lavorare ancora più di prima per mantenerla. Consuma un sacco. Ha sempre fame. Ci mette un attimo ad ammalarsi e deperire e mutare e non appena diventa anche solo di un gradiente meno luminosa ecco che pensi di averla persa. Sono successe tante cose in questo anno terribile che mi hanno reso felice e solo dire la parola "felice" mi fa sentire sporco perché quella voce che costantemente urla in testa "tu non meriti di essere felice!!!" non è che ha smesso di urlare eh, continua a farlo, ma vedendo che un pochino io sono sereno ha fatto il broncio, incrociato le braccia, sbattuto forte i piedi per terra e si è andata a mettere in un angolo del cranio a escogitare un piano per farmela pagare.
Ho lavorato tanto in questi anni e neanche me ne sono reso conto. Tutte le volte che venivo qua a scrivere mi stavo preparando per fare qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadere. Non ho la forza ahimè, per raccontare la mia storia a tutti, ancora, cosa che dovrei fare dato che devo andare in giro e promuovere la mia carriera di autore e spiegare pure tutte le altre attività che svolgo e cercare di sembrare interessante e intelligente e sagace e invece sono solo a pezzi e la socialità mi esaurisce.
Questo Natale lo sto passando come John McClane. Decisamente lurido e unto, senza scarpe, con un gran mal di testa, chiuso nel condotto di areazione mentre scappo da tutti. Mi farei portare di tanto in tanto qualche biscottino da Ratteo ma poi come cacchio riesco a strisciare fuori da qua dentro. La mia pancia ha raggiunto livelli che mai avrei pensato potesse raggiungere e il bello è che non mi interessa minimamente. Solo quando mi allaccio le scarpe dai, lì un po' intralcia. Non mi interessa perché sono entrato nei quaranta e finalmente "ho dato". Posso dirlo con fierezza. Ho dato. Ora tocca a qualcun altro darsi da fare ed essere bello e atletico e magro e muscoloso e pieno di talento io, ho dato. C'ho provato. Ha funzionato per un frangente e poi ha smesso e ho passato anni a cercare di rimanere come nei miei ricordi finché non mi sono reso conto che ero rimasto fermo. Bloccato. E non nel sistema di areazione come questa notte.
Ernesto non è più abituato a guardarmi scrivere, in effetti sono passati parecchi mesi. Non riuscivo più ad avvicinarmi a una tastiera se non per piccoli frangenti di tempo. Per rispondere a delle mail o per digitare nel motore di ricerca la categoria con la quale mi piacerebbe masturbarmi. Ernesto mi ha attaccato un piede, segnale che non accetta io sia distratto e che non lo stia degnando delle attenzioni che ritiene di meritare e meno male che non mi stavo adoperando per masturbarmi altrimenti sai che dolore se mi avesse addentato altro. Tipo il piccolo Ratteo che ho tra le gambe e che, nonostante la pancia sia cresciuta, resta sempre delle stesse dimensioni contenute.
Lo psicologo l'altro giorno mi ha chiesto cosa vorrei fare se scoprissi che in sei mesi tutto sarebbe finito. Gli ho chiesto cosa intendesse con tutto. Ha risposto tutto. Tu, il mondo. L'umanità: tutto. Anche la mia famiglia? Sì, anche la tua famiglia. No aspetta ma quindi anche mio nipote? Sì, anche tuo nipote. Cercherei di salvare la mia famiglia. Ha detto che non potrei farci nulla. Allora ho detto che andrei per strada e urlerei a tutti che il mondo sta per finire e che mancano solamente sei mesi anche se poi sembrerei uno di quei pazzi che urlano che siamo fottuti con un cartello scritto male e un cappello di stagnola e che quando li becchi mica gli dai retta, pensi che siano pazzi e torni a casa e te ne dimentichi mentre cerchi qualcosa di nuovo con qui masturbarti. Mi ha detto che non posso dirlo a nessuno, che sono l'unico ad essere informato e devo tenermelo per me. Allora ho pensato davvero a cosa avrei voluto fare, ma c'era un'altra domanda da porgli. Dovrei continuare a prendere farmaci oppure sarei senza la mia malattia? Ci ha riflettuto un attimo e poi mi ha fatto un grande dono. Saresti senza. Allora ho elencato tutti i posti che vorrei vedere e le cose che vorrei fare e il Giappone e nuotare con le balene e i cibi che vorrei mangiare e le droghe che vorrei provare per poi finire dicendo che un mese lo vorrei passare abbracciato a mio nipote, che non capirebbe e anzi, probabilmente mi caccerebbe via dicendo "zio Pattejo coza fuoiii" però a me andrebbe bene lo stesso. Voi cosa fareste, se rimanessero solo sei mesi?
Mi mancava la solitudine e sentirmi solo e parlare da solo e scrivere in questa condizione di silenzio totale. Nel palazzo di fronte non c'è nessuna luce accesa. Forse sono tutti usciti per cena o forse sono tutti rientrati nei loro paesi di appartenenza. Se ancora sono a Vienna è per questo motivo, da nessuna altra parte del pianeta riesci a sentirti così solo come qua. Per questo poi ti affidano due ratti.
Ernesto si è appallottolato sul divano. Ratteo si è addormentato sulla mia spalla. Spengo le luci, apro i regali che mi sono fatto e aspetto sia domani. È un Natale bellissimo ma sarà ancora più bello quando potremo farci dei toast insieme e raccontarci cosa ci ha insegnato il silenzio.
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instabileatrofia · 3 months
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Erano momenti difficili e lo erano da tempo e quindi, non erano momenti.
L'ultima volta che ho visto mia madre di persona, era una figura racchiusa tra la porta d'ingresso ed il suo battente. Pallida, malata, con la mano tesa a ricevere i medicinali che avevo appena comprato.
Quel pomeriggio stesso il covid avrebbe steso anche me per giorni, da solo, a casa. Quegli stessi giorni in cui mia madre avrebbe trovato la sua fine per complicazioni alle vie respiratorie, con la testa infilata in un palloncino di plastica.
Ancora ammalato, ho raggiunto mio padre, talmente abbandonato a se stesso, dal dimenticarsi l'ossigeno, preso appena in tempo per i capelli che non aveva.
La morte, il funerale, gente inutile che produce parole oltraggiose e poi, la grande fuga. Tutti spariti, dileguati, irraggiungibili.
Certo il vecchio, quello rimasto, è stato egoista, ma ha anche fatto tanto e per tutti.
Ma ora è diventato una rottura di coglioni, giusto?
Non potrei essere più d'accordo, solo che è solo e non sa fare un cazzo.
Diventa difficile parlare con la gente, quando è girata di schiena.
Allora, raccogli le palle e fai quel che devi, in memoria di tutto quello che mia madre ha sempre fatto e per tutti,
Lascio la casa, vengo a vivere qui, io e il vecchio, il vecchio ed io, ogni giorno, ogni mese, ogni anno.
Non è andata nemmeno male poi, ci abbiamo messo appena due anni per. trovare un minimo d'intesa.
Scrivo tutto questo, perché a distanza di due anni e mezzo, mi rendo conto che ognuno si è riservato il diritto di vivere il proprio dolore per la perdita, a modo proprio, come meglio credeva.
Invece io, non ho potuto farlo.
Troppi cambiamenti, troppe cose da fare, troppe cose imminenti da affrontare. Solo, come sempre.
Scrivo tutto questo non per bearmi di chi io sia, probabilmente un coglione, ma perché a distanza di due anni e mezzo quel dolore mi torna su in bolle, bolle ermetiche, che hanno lasciato tutto intatto.
Ecco. Lo fisso qui quel dolore, così ci possiamo guardare negli occhi.
Vaffanculo alla morte, come ai vigliacchi, preferisco restare coglione.
L.
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ambrenoir · 8 months
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Dopo 21 anni di matrimonio, mia moglie mi prese da parte per dirmi qualcosa di importante. Voleva che passassi del tempo con un’altra donna, la portassi al ristorante e poi al cinema. Mia moglie mi disse: “Ti amo, ma so che anche quest’altra donna ti ama, e voglio che tu trascorra del tempo con lei”.
Quest’altra donna era mia madre. Viveva da sola da 19 anni, dopo la morte di mio padre e a causa del mio lavoro e dei miei tre figli, potevo farle visita solo occasionalmente.
Così quella sera stessa ho fatto quello che mia moglie mi aveva chiesto. Ho invitato mia madre al ristorante e poi al cinema.
“Cosa sta succedendo?”, mi chiese la mamma: “Sei sicuro che vada tutto bene?”
“Ho pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere del tempo con te”, ho risposto. “Solo io e te”.
Mia madre, al telefono, restò in silenzio un momento, poi finalmente disse: “Mi piacerebbe davvero tanto”.
Poi il venerdì seguente, dopo il lavoro, sono andato a prenderla a casa. Ero un po’ nervoso, era passato tanto tempo… Si era fatta i capelli e indossava lo stesso vestito del suo ultimo anniversario di matrimonio. Il suo sorriso, raggiante di felicità, la faceva sembrare un piccolo angelo.
“Ho detto alle mie amiche che uscivo con mio figlio stasera e sono rimaste tutte molto colpite”, ha detto entrando in macchina. “Non vedono l’ora che racconti loro della nostra serata!”
Così siamo andati in un ristorante, non troppo elegante, ma abasstanza intimo e confortevole. Mia madre mi ha preso il braccio come se fosse la First Lady. Ci siamo seduti e le ho dovuto leggere il menù, dal momento che i suoi occhi riuscivano a leggere solo i caratteri più grandi. Appena finito di leggere le portate, ho girato gli occhi e ho visto che lei mi guardava con un sorriso carico di nostalgia. “Quando eri piccolo, ero io che dovevo leggerti il menù”, mi ha detto con semplicità. “Allora, è tempo che tu ti riposi un po’ e mi lasci restituire il favore”, ho risposto.
Abbiamo cenato e abbiamo parlato, niente di straordinario, abbiamo solo parlato delle novità nelle nostre rispettive vite. Alla fine, abbiamo parlato così tanto che ci siamo dimenticati del film. Ma in realtà, non ci è dispiaciuto averlo perso. Quando l’ho riaccompagnata a casa, mi ha detto che voleva uscire di nuovo, ma solo se le promettevo che l’avrei lasciata invitare me la prossima volta. Ho accettato.
“Come è andato il tuo appuntamento?”, mi chiese mia moglie quando rientrai a casa. “È andato davvero bene. Ancora meglio di come avrei mai immaginato”.
Non sono però stato in grado di mantenere la mia promessa e farmi invitare al ristorante. Pochi giorni dopo, mia madre è morta a causa di un problema cardiaco. È successo così velocemente che nessuno ha potuto fare niente per lei.
Sono passate alcune settimane e poi ho ricevuto una busta con una copia di un conto di un ristorante, lo stesso ristorante dove avevo portato mia madre. Insieme alla ricevuta, c’era una piccola nota che diceva: “Ho pagato questo conto in anticipo. Non ero sicura se avrei potuto esserci, ma in ogni caso, ho già pagato per due, per te e per tua moglie. Non sai quanto questa serata abbia significato per me. Ti amo, figlio mio”.
Quel giorno ho capito l’importanza di dire “ti amo”, e l’importanza di trascorrere del tempo con la propria famiglia e le persone che ci sono care. Niente, in verità, è più importante di quest’amore ❤️
Autore sconosciuto
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ilpianistasultetto · 1 year
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NOI SIAMO VITTIME E NON CARNEFICI
Lisa, Marco e il cane Lino. Dalla primavera vivono in questo angolo di Cinecitta', fermata Lucio Sestio della metro. Il muretto e' il loro letto, la panchina di marmo il loro salotto. Quell'angolo a cielo aperto e' la loro casa in tutto e per tutto. Una valigia con qualche straccio di ricambio, le colonnine telecom a fare da mensola per saponi, deodoranti, zucchero, sale, qualche barattolo di vetro pieno di detersivo e un marciapiede- pavimemento sempre lindo e pinto da poterci mangiare sopra. E poi c'e' la loro storia. Buttati fuori dalla loro casa popolare da delinquenti mafiosi che poi quelle case le rivendono. Nessun aiuto, nessuna giustizia. Lisa si e' tagliata i capelli a zero per avere una testa piu' pulita. Cardiopatica, diabetica e altre mille complicanze. Marco, il giorno se ne sta spesso vicino al mercato con il suo bastardino nella speranza di rimediare qualche elemosina o qualcosa da mangiare, regalata da persone di cuore che tirano fuori cose dai loro carrelli della spesa per sostenere tutta quella pena comunicativa. Quando ci parli racconta poco di se' stesso. Tutto il suo fiume di parole lo regala per quella sua compagna cosi sfortunata e malconcia. Pero' non ne parla mai con rassegnazione. No! Sempre con spirito fiero, come avesse accanto una combattente nata. Lei dorme, ricoperta da un sacco a pelo, lui racconta e le carezza continuamente la testa, come a volerle dire: "dai, vedrai che insieme ce la faremo anche questa volta. Ce la caveremo come abbiamo fatto sempre". Quel "ce la caveremo" non pretende molto, anzi, quasi niente. Questa e' gente disperata dalla nascita, gente abituata a lottare ogni giorno con le unghie e con i denti. Gente che se riesce a mangiare e' come vincere una lotteria. Gente comunque fiera, dignitosa. Ci parli e sembra sempre vogliano scusarsi per il fastidio che potrebbero dare a chi ce l'ha fatta, scusarsi per quelle loro mani tese che chiedono aiuto: qualche spicciolo o una semplice mela. Quando passo davanti quella loro casa sotto le stelle mi fermo sempre. Chiedo come se la stanno passando. A volte do a lui qualche 20 o 50 euro. Li do sempre con un po' di vergogna, forse perche' non e' solo quello che a loro serve. Stamattina Marco m'ha commosso. M'ha chiesto se conoscevo qualche B&B in zona che potesse accettarli per un paio di giorni. Ha detto che Lisa doveva riposare, farsi una doccia perche' non puoi lavarti sempre alla fontanella. Questa estate e' stata durissima sotto quel sole cocente, quel caldo asfissiante. Lisa doveva riposare, ne aveva bisogno estremo e lui voleva accontentarla. Voleva solo vedere la sua Lisa almeno una notte dormire sopra un letto vero. Voleva farle almeno questo regalo. Un regalo enorme, come chi regala un brillante enorme alla sua donna.
Noi siamo abituati a vedere storie come queste in tv o a leggerle sui giornali. Abbiamo uno schermo che racconta, che fa vedere ma non tocchiamo mai con mano e invece le cose, per capirle, per capirle veramente le devi toccare, ci devi stare dentro. Per capire, come e' scritto in quel cartello che Marco ha messo in un angolo di quella sua casa, che loro sono vittime e non carnefici. @ilpianistasultetto
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