#come faccio a sapere che è un pettirosso?
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Deve esserci un pettirosso nei paraggi, perché nel silenzio più totale della notte si sente solo il melodioso canto del volatile. Certo, più rassicurante e dolce di quando il silenzio totale di questo posto viene squarciato da non meglio identificati volatili notturni con un canto così sinistro da essere candidati perfetti per un film dell'orrore, ma sono dieci minuti che va avanti 'sto cip cip intonato in trecentonovantaquattro modi diversi che, ora, anche basta.
#come faccio a sapere che è un pettirosso?#perché ovviamente sono andata a fare una ricerca con tanto di ascolto di canto di volatili#devo pur capire chi è il mio nemico#givemeanorigami
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Saline di Marsala-Trapani ; la maggior parte delle foto sono di Erica
La storia di Stella
Lavoravo in uno di quei piccoli giornali locali on line, uno di quelli dove tra la pubblicità ed offerte di tutti i tipi, riuscite a trovare anche qualche notizia locale. Il Capo mi aveva telefonato in serata dicendomi di fiondarmi alle saline tra Trapani e Marsala dove, secondo la radio della polizia, avevano trovato un cadavere. Io mi sono ”fiondato” con tutta la velocità consentita dal mio vespino 50, ma arrivato sul luogo del fattaccio, non trovai nessuno, non la polizia, ne i colleghi della carta stampata. La cosa mi fa sospettare un po’ di presa per il di dietro, ma a scanso di equivoci vado avanti e indietro a cercare qualche informazione o testimone. Alla fine, rassegnato, stavo per tornare verso Trapani, vedendo però degli operai che raccoglievano il sale nell’ultima salina vicino alla strada mi fermai a chiedere nuovamente. Gli operai raccoglievano il sale da dei mucchi sparsi nella grande vasca dove l’acqua era evaporata. Lo caricavano quindi sulle carriole e lo portavano vicino a un grande cono di sale posto vicino alla strada, dove un vecchietto lo sistemava per bene con una pala. Avvicinandomi a quest’ultimo, dopo essermi presentato pomposamente come giornalista, gli chiesi se avesse saputo di qualche omicidio, di un morto, insomma di qualcosa accaduto nelle saline. Senza guardarmi mi rispose di no continuando a spalare il sale. Chiesi ancora se avesse visto delle macchine della polizia, qualche ambulanza, ma la risposta fu la solita: no! Mi rassegnai. Doveva essere stato il solito scherzo della redazione al neo assunto.
Tanto per non rinunciare alla trasferta e ripagarmi la benzina, chiesi se per caso fosse a conoscenza di qualcosa di particolare la in zona, qualcosa su cui poter scrivere un articolo. Lui con la pala buttò l’ultimo mucchio di sale in cima al grande cono che aveva fatto e asciugandosi la fronte appoggiato alla pala, mi rispose “Qui l’unica cosa particolare è Stella” “…E particolare per che cosa?” chiesi con una certa ansia, lui fece una smorfia con la bocca come per cercare le parole mentre la sua mano destra girava a mezzaria a cercare un concetto che non veniva ed alla fine concluse “Lo deve vedere lei ! Io nun ciu sacciu spiegari” chiesi dove poter incontrare questa Stella e lui indicandomi la strada su cui ero mi disse di continuare “Avi annari avanti quasi nu chilometru. Poi trova nu montaruzzo i terra cu du panchini mi si setta. L’aspittassi da: Stella va sempre a sedersi la al tramonto”. Lo ringraziai caldamente e mi avviai incuriosito. Dopo un centinaio di metri la strada incominciò a salire e dopo un chilometro, mi trovai di fronte una collinetta con due panchine vuote messe sulla cima a guardare il tramonto. Lasciai il motorino e mi avvicinai alle panchine. Davanti c’era tutta la distesa delle saline con le acque che sembravano tanti specchi in cui il cielo azzurro si spezzettava in un bellissimo mosaico. Vedevo anche i mulini per macinare il sale o spostare l’acqua da una vasca all’altra. Le pale erano immobili perché c’era solo una leggera brezza che in quella serata di tardo agosto era molto piacevole. Mi sedetti ad aspettare Stella. Dopo qualche minuto sentii un ticchettio. Mi guardai intorno curioso pensando a qualche animale, ma non trovai niente. Il ticchettio si fece più forte, finché vidi uscire da un sentiero coperto dalle canne una ragazza. Non era molto alta, aveva degli occhiali da sole scuri ed i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. Vestiva un soprabito leggero a scacchi bianchi e neri. L’osservai stupito perché camminava con passo regolare senza guardarsi intorno. Solo quando le canne scomparvero e lei arrivò sulla strada principale mi accorsi che accanto a lei c’era un labrador nero ed il ticchettio che sentivo era quello di un sottile bastone bianco che la ragazza agitava davanti a se, da destra a sinistra. La ragazza era cieca e la cosa più che stupirmi, aumentò la mia curiosità. Arrivata sul bordo della strada si fermò e quando il cane proseguì, lo segui. Salì senza esitazione sulla collinetta arrivando fino all’estremo opposto della panchina su cui ero, si sedette e schioccando le dita, fece sedere il cane che dal momento del suo arrivo mi fissava con un ciglio non amichevole. Chiuse il bastone estensibile ed allungo la mano destra verso di me “Buonasera – disse guardando in avanti – io mi chiamo Mariastella, ma mi chiamano tutti Stella”.
La guardai stupito, non mi ero mosso, né avevo proferito una parola, eppure lei sapeva, senza vedermi che ero li. “Buona sera – risposi schiarendomi la voce e stringendo la mano – ma come….” “Il suo profumo – fece sorridendo – l’ho sentito dalla strada…” Istintivamente mi alzai il braccio per sentire il “profumo”, e capii che aveva usato un eufemismo. “Si in effetti è tutto il giorno che corro e ora….. – mi stavo incartando, dovevo uscirne – mi scusi, io sono un giornalista ed ho chiesto cosa vi fosse di particolare qui intorno; mi hanno parlato di lei, ma non mi hanno saputo dire cosa ha di particolare” Sorrise ancora o forse non aveva mai smesso di sorridere, un sorriso leggero, fatte da labbra sottili e rosee come petali. “Si tutti mi considerano strana, vede io racconto i tramonti” “I tramonti…?” e scossi la testa non capendo “Si, i tramonti – si toccò l’orologio da ciechi che aveva sul braccio sinistro – ora sono le 18:27 incomincia il tramonto: guardi - disse indicando la salina che avevamo davanti - come intorno al sole tutto diventa dorato, le nuvole diventano grigie con sfumature viola su i bordi, i raggi dorati le attraversano e l’acqua increspata delle saline si accende di arancio, di rosa e di rosso. Tutto intorno diventa buio, perde colore, mentre basso sull’orizzonte il sole brilla di un giallo più forte che si sfuma dorato, trapassa le nuvole e irrompe nell’azzurro del cielo che pian piano s’indebolisce e si oscura.” Io guardavo stupito perché tutto quello che lei diceva si avverava con precisione: il cielo passò da ambrato a color oro, le acque incominciarono ad accendersi, l’azzurro del cielo si stava spegnendo. Era come se Stella fosse la regista del tramonto e che le nuvole e il sole obbedissero alle sue parole. “Ha contano quanti gialli vi sono? il giallo oro il giallo limone, quello ocra, quello aranciato. Guardi come il bordo delle nuvole ora è di un rosa intenso e sta scurendo pian piano diventando viola mentre le nuvole da glauche diventano grigie con sfumature d’azzurro. Ha visto che il mare è scomparso? si è confuso con il giallo delle saline e della foschia in cui l’arancio diventa pian piano rosso e poi lentamente un azzurro denso ed opaco che scurisce a grigio e poi a nero? Ancora qualche minuto e l’azzurro cupo del cielo diventerà notte. Non è uno spettacolo bellissimo?”
Ora la guardavo. Doveva essere giovanissima, non più di vent’anni e sicuramente era cieca anche se quello che diceva era la descrizione di quello che nella salina accadeva. “Ma lei da quando è cieca” chiesi “Dalla nascita, nell’incubatrice mi hanno dato troppo ossigeno e mi hanno bruciato il nervo ottico” “E come fa a sapere quello che accade? che cosa è un giallo o un rosso e la differenza tra il bianco e il nero?” Sorrise dondolando un po’ la testa alla Steve Wonder. “Me lo chiedono tutti. Mio padre i primi tempi mi raccontava cosa accadeva, ma ora lo sento da come cambia il calore del sole. Poi non è vero che non conosco i colori. Rosso è come uno schiaffo, come un bacio sulla bocca o un bicchiere di vino, giallo è il miele, è intenso come lo zolfo, è il sole quando tramonta se lo senti sulle dita, il verde è buono come l’erba, è tenero e dolce come la lattuga, marrone è come la corteccia degli alberi, le castagne, il nero è il silenzio della notte è il mantello caldo e soffice del mio cane, viola è come la vinaccia, delicato come i fiori di rododendro, grigio è il fumo, la cenere soffice ed impalpabile. Chi vede a volte non percepisce, non ascolta o cerca; accetta soltanto senza accarezzare e toccare il colore, senza contarne le sfumature, senza sapere che anche i colori vivono e nell’arco di un minuto cambiano e muoiono. Io passo il mio tempo a colorare il mio buio, a dargli forme, odori, sensazioni che per me sono colori. Faccio lo stesso con le foglie, gli animali, le persone” “Lei vede in modo diverso da tutti gli altri” osservai meravigliato stupito che la sua percezione, il suo andare dentro le cose fosse più forte della mia visione superficiale in cui il tramonto voleva dire soltanto che avrebbe fatto buio “Diverso è una parola che non mi piace, io vedo come scrive un poeta, ho bisogno di immaginare, associare e scoprire, lei vede come scrive un giornalista, lei vede i fatti, la semplice materia e gli avvenimenti che la coinvolgono, vediamo tutti e due le stesse cose, ma ognuno per come può e sa”.
Mi fermai a pensare. “Dice che fa lo stesso con le persone: a me come mi vede?”. Sorrise, forse anche questa domanda gliele avevano già fatta “Lei è puro e forte come il canto del pettirosso, è amabile come una coccinella su un sasso, è semplice come il fiore del cappero, le nuvole di settembre, il sapore del gambero rosso – arrossì -Mi scusi, ma … è difficile da spiegare…., volevo dire che lei ha una personalità forte, è semplice, ed è curioso delle persone, cerca di vedere cosa hanno dentro. Lei ascolta, forse giudica, ma di sicuro vuole capire.” Restammo in silenzio qualche secondo “Ha reso l’idea -risposi - Certo che un giornalista pettirosso, non ha futuro, specie se ha il sapore del gambero.” notai un po’ scoraggiato mentre lei sorrise ancora. “Devo andare – fece infine - fra un po’ il mio cane deve mangiare e devo fare un lungo tratto a piedi” Mi salutò e scese lentamente dalla collinetta preceduta dal cane. Attraversata la strada si girò e fece un cenno di saluto. Tornai lentamente verso casa pensando che il direttore non avrebbe mai pubblicato un articolo su una cieca che raccontava i tramonti, a meno che non fosse stata violentata da un extracomunitario, o uccisa da un tossico o tutte e due le cose nello stesso momento. Era questo che faceva vendere e attirava la curiosità delle persone: la gente trasformata in materia e i fatti raccontati per come poteva fare più effetto, come se le persone fossero pupi, o attori di una storia trash. Cosa c’era dentro le persone e cosa provavano e li faceva vivere o morire, era una cosa inutile, da poeta, non da giornalista. Il giorno dopo mi licenziai. Non volevo più vedere il mondo come lo vede un giornalista, in fondo ero il canto di un pettirosso!
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21 SET 2019 16:50
“ERO PIÙ FAMOSO DEL PAPA” - I RICORDI DI MAURIZIO SEYMANDI CHE, NEGLI ANNI 80, CONDUCEVA “SUPERCLASSIFICA SHOW”: “IL MIO MONDO NON ERA QUELLO DELLE DISCOTECHE. IO ANDAVO A LETTO ALLE DIECI DI SERA, NON BEVEVO, MI SONO SPOSATO 50 ANNI FA E DA ALLORA SONO STATO SEMPRE E SOLO CON WILMA - RICORDO LA VOLTA CHE INTERVISTAI COSSIGA: ALLA FINE MI CHIESE DI TROVARGLI UN LAVORO IN TV PERCHÉ ERA CONVINTO CHE LO AVREBBERO FATTO FUORI PRESTO DALLA POLITICA - I SOLDI VERI LI FECI CON…”
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Roberta Scorranese per il “Corriere della sera”
Tende rosa, un salotto pieno di foto, una pila di libri. In cima, i «Racconti» di Primo Levi. Nell' appartamento milanese di Maurizio Seymandi si respira un' aria perbene, d' altri tempi. Un po' come i modi del padrone di casa, uno che negli anni Ottanta era arrivato ad essere più famoso del Papa, come emerse da un sondaggio d' opinione.
Seymandi, ma era vero?
«Verissimo. D' altra parte io per anni sono andato in onda in tv tutti i giorni e nell' epoca in cui le televisioni private cominciavano a entrare nelle case degli italiani».
Tutto merito di «Superclassifica Show», sua creatura. La trasmissione che ha condotto per quasi vent' anni dal 1977.
«Nacque da un' intuizione: Sorrisi e Canzoni , dove lavoravo, volle penetrare nell' allora nascente bacino delle televisioni locali. Gigi Vesigna, il direttore, mi mandò a perlustrare quel mondo: vidi cose incredibili».
Per esempio?
«Una televisione aveva la sua sede in una stalla. Ci si arrangiava, si assemblavano palinsesti improbabili».
Però lei fece un numero zero della trasmissione, questo piacque e presto si ritrovò in video, famosissimo.
«Sì e pensare che prima ero uno sconosciuto o quasi. Certo, avevo alle spalle anni di lavoro come autore televisivo: ho lavorato con Mike a "Rischiatutto", con Marcello Marchesi, ho fatto anche l' ìautore di canzoni di successo. Poi, da un momento all' altro, mi ritrovai nelle case degli italiani: perché è vero che a partire dal 1980 "Superclassifica Show" andava in onda su Canale 5, ma nelle tv private andava in replica ogni giorno. Immaginatevi che popolarità che mi stava crescendo addosso».
Ci era preparato?
«No. E, soprattutto, il mio mondo non era quello delle discoteche. Io andavo a letto alle dieci di sera, non bevevo, mi sono sposato 50 anni fa e da allora sono stato sempre e solo con Wilma».
Come l'ha conosciuta?
«Lavorava in Rai. Una sera invitai fuori lei e altre due sue amiche. Però riaccompagnai lei per ultima. E le dissi: "Sei l' ultima perché sei la prima"».
Come si fa funzionare un matrimonio per mezzo secolo, con tre figli?
«Ero sempre in giro. Abbiamo vissuto di ritorni. L'amore, insomma».
Perché lei girava da un locale all'altro.
«Sì e posso dirlo con serenità: io sono sempre stato un giornalista dipendente di Sorrisi e Canzoni e i soldi veri sono arrivati con gli sponsor che mi ingaggiavano e con le serate».
Anche dalle canzoni, non sia modesto.
«Qualche successo l' ho infilato anche io. Per esempio con "Soleado", in parte mia, mi sono comprato la casa vicino al lago di Garda».
Dove adesso, a 80 anni, lei si gode la vita dopo la tv.
«Ho firmato un contratto con la pigrizia. Faccio il nonno dei miei quattro nipoti, leggo e qualche volta, ma senza nostalgia, ripenso ai tempi del Supertelegattone. Che trasmissione, ragazzi. Ogni volta c'era un ospite di alto livello. Ricordo la volta che intervistai Cossiga: alla fine mi chiese di trovargli un lavoro in tv perché era convinto che lo avrebbero fatto fuori presto dalla politica».
Come finì la sua avventura con la Superclassifica?
«Lo venni a sapere per caso. Appresi da un articolo non ancora pubblicato che mi avrebbero sostituito a breve con Gerry Scotti. Prima che me lo chieda: con Gerry, anni dopo, ci siamo parlati, chiariti e mi ha invitato spesso nelle sue trasmissioni».
Solo un cambio di volto televisivo?
«No, un cambio radicale: volevano più pubblicità, un contenitore diverso. Non sarebbe stato adatto a me».
Nessuna nostalgia?
«No, anche perché ho tanti ricordi. Anche con personaggi come Enzo Tortora, con cui ho lavorato a lungo, e con Mike».
Ci riveli qualcosa su Mike Bongiorno che non sappiamo ancora.
«La famosa battuta della signora Longari è una citazione: con Mike lavoravamo anche alla radio e avvenne lì che, durante un mini concorso, una signora sbagliò una risposta che riguardava un pettirosso. Io ironizzai: "Mike, la signora è caduta sull' uccello". Poi lui se la giocò in tv e divenne uno dei tormentoni più famosi della televisione italiana».
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