#collodio
Explore tagged Tumblr posts
kiki-de-la-petite-flaque · 28 days ago
Text
Tumblr media
Brad Pitt fotografato con una macchina fotografica del XIX secolo⁠⁠ da Stephen Berkman che scatta le sue fotografie utilizzando la tecnologia della metà del XIX secolo utilizzando il processo al collodio umido, scoperto nel 1851. La sua essenza è ottenere immagini fotografiche negative su lastre di vetro con emulsione al collodio.
7 notes · View notes
claudiotrezzani · 1 year ago
Text
Tumblr media
In castigo fuor di aula.
Mi accadde durante la scuola elementare.
Scimmiottando pregresso atteggiamento di compagna, presi a saltellare.
Solo che Claudio non è una femmina, pensò la maestra.
Se - io maestra - posso tollerare che bambina messa in castigo saltelli, da un maschio no.
Così mi trascinò in classe prendendomi per una orecchia, roba che adesso più non si può.
E' in castigo la modella di Arek Akki?
Mirabile fotografia, la sua.
La postura del castigo, c'è.
E muro, potrebbe essere del pianto.
Il cappello, poi.
Sapete, quello di Pinocchio in origine era bianco, in legno dipinto.
Quello di Arek è di collodio.
Sì, nitrocellulosa in solvente.
Dentro wooden field camera 18 X 24, quelle lì enormi e meravigliose.
E l'incanto, c'è.
La profondità di campo che serve raggiunta con progressione di suadente dolcezza.
Il concepimento della scena sapientemente realizzato.
L'onirismo che discende dal tono.
Collodio anziché Collodi, ho titolato.
Sì, Collodi che invece si chiamava Carlo Lorenzini, l'autore di Pinocchio. 
Cappelli bianchi da asini, oggi giustamente li si aborre.
E qui asineria - infelice metafora riguardo quadrupedi che invece ne meritano alto, di riguardo - non vi è.
C'è pensiero acuto, più cuore.
Eccioè, poesia.
All rights reserved
Claudio Trezzani
0 notes
re-note · 6 years ago
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Che esperienza e che onore fotografare al collodio la famiglia di uno degli optometristi italiani più famosi al mondo... Antonio, Laura ed i loro due figli.
1 note · View note
giornalepop · 8 years ago
Text
I FRATELLI BISSON, TALENTI DIVERSI PER UN UNICO OBIETTIVO
I FRATELLI BISSON, TALENTI DIVERSI PER UN UNICO OBIETTIVO
I FRATELLI BISSON, TALENTI DIVERSI PER UN UNICO OBIETTIVO – FOTOSTORIA 12, 1840-1860
Dire Bisson vuol dire parlare sia di Louis Auguste sia di Auguste Rosalie, perché i Bisson furono due fratelli. Chiunque si sia interessato di alpinismo e montagna, prima o poi non ha potuto evitare di imbattersi in una delle foto alpinistiche più famose di tutti i tempi, che documenta un’ascensione sul monte…
View On WordPress
2 notes · View notes
fotopadova · 4 years ago
Text
La fotografia come forma d’arte (seconda parte)
di Lorenzo Ranzato
– La fotografia pittorialista tra artificio e natura 
 L’ambivalenza della fotografia pittorica
Nella seconda metà dell’Ottocento il dibattito sulla fotografia d’arte si concentra sul nodo cruciale che ruota attorno al tema dell’antinomia tra finzione e verità. Come abbiamo visto, un esempio paradigmatico delle diverse posizioni culturali e stilistiche dei nuovi fotografi-artisti è costituito dal confronto spesso aspro e irriducibile tra Robinson ed Emerson, che David Bate ha ben documentato nel suo libro La fotografia d'arte.
Tumblr media
 H.P. Robinson, When the day,s work is done, 1877, stampa composita
Tumblr media
 P.H. Emerson, Setting the bow-net, 1886, “fotografia naturalistica”
Già in quella contesa emerge chiaramente l’ambivalenza della fotografia autoriale che aspira a ottenere "l'effetto artistico" per due strade diverse, mediante la stampa combinata (Robinson) o attraverso le riprese dal vero (Emerson). In realtà, “il conflitto fra artificio e natura”[1] diventa il tema ricorrente che si manifesterà lungo il complesso percorso di tutta la storia delle arti visive del Novecento, e quindi anche della fotografia. Tema ancor oggi centrale nel dibattito artistico-culturale, perché, come ci ricorda Claudio Marra, riemerge agli inizi degli anni duemila, quando si consuma il passaggio rapidissimo e totalizzante dal sistema analogico a quello digitale.
Ma ritorniamo sulle tracce dei fotografi pittorialisti…
Gli autori che hanno l’ambizione di realizzare creazioni artistiche con il mezzo fotografico sono attratti dai tradizionali temi della pittura, come i ritratti, le figure di nudo, i paesaggi o le composizioni narrative che rappresentano scene allegoriche, storiche e letterarie[2]. I fotografi pittorialisti non si limitano ad essere “pittorici” nella forma, ma condividono gli stessi soggetti degli impressionisti in Francia, dei preraffaelliti in Gran Bretagna e più tardi dei secessionisti a Vienna[3].
Le occasioni per promuovere le opere fotografiche avvengono seguendo percorsi analoghi a quelli delle Accademie di Pittura e dei vari Saloni internazionali, nonostante le difficoltà iniziali dovute alla diffidenza o alla contrarietà di organizzatori e critici d’arte. Tutto ciò è possibile grazie anche alla nascita delle Associazioni fotografiche che promuovono concorsi e organizzano mostre e premi, in Europa e in America, con l’obiettivo di affermare lo statuto artistico della fotografia.
 Differenti modi e diversi gradi di “manipolazione dell’immagine”
Una delle fotografie più controverse dell’epoca è senza dubbio “la complessa e ambigua allegoria morale” Due modi di vivere dello svedese Oscar Rejlander, esposta alla mostra Tesori d’Arte di Manchester nel 1857. L’artista utilizza più di trenta negativi diversi, per mettere in scena una sofisticata composizione, con il dichiarato obiettivo di “dimostrare l’eccellenza della fotografia e il potenziale artistico dello strumento”[4].
Tumblr media
 O.G. Rejlander, Two ways of life, 1857
La tecnica, come abbiamo visto nella prima parte dell’articolo, è quella della stampa combinata (più negativi assemblati e composti in camera oscura), che Rejlander insegna a Henry Peach Robinson. A partire dalla sua prima stampa composita Fading away, Robinson diventa a sua volta un fautore convinto di questo approccio compositivo, che divulga anche attraverso i suoi libri, per dimostrare che la fotografia è “in tutto e per tutto arte pittorica”[5], a dispetto dei detrattori che ne criticano l’artificiosità.
 Altri sono i metodi utilizzati da due autori francesi, con produzioni artistiche che tendono a una maggiore naturalità (Le Gray) o virano decisamente verso l’imitazione delle tecniche pittoriche (Demachy). Questi fotografi-artisti usano rispettivamente la stampa al collodio e alla gomma bicromata, dove la manualità nella fase di “postproduzione” e l’abilità del fotografo diventano un requisito indispensabile.
Gustave Le Gray nasce come pittore, ma presto si avvicina alla fotografia, diventando uno degli esponenti di spicco del pittorialismo francese. Fra l’altro, contribuisce alla fondazione della Societé héliographique nel 1851 e poi alla fondazione della Société française de photographie nel 1854.
Tumblr media
G. Le Gray, Alberi-foresta di Fontainebleau, c. 1856, stampa all’albumina al collodio umido
Diventa famoso tra i suoi contemporanei, che definiscono la sua opera “il trionfo dell’arte fotografica”[6], grazie a una straordinaria capacità di usare le innovazioni tecniche per creare immagini di grande lirismo. Un lirismo a volte metafisico, con il quale ha saputo riprodurre la natura, nei suoi paesaggi marini, nei suoi studi del cielo oppure nelle sue vedute della foresta di Fontainebleau.
Tumblr media
 G. Le Gray, La grande onda, Séte, 1856-59, stampa all’albumina da due negativi al collodio umido
“Una marina, un molo, onde e nuvole. È questa la fotografia più famosa e drammatica scattata da Le Gray sulla costa mediterranea nei pressi di Montpellier. Un panorama che oggi diremmo quasi banale, eppure nel 1857 non era così. Infatti non era semplice ottenere sulla stessa lastra al collodio umido la giusta esposizione per la luminosità del cielo e dell’acqua, inevitabilmente si sarebbe favorito l’uno o l’altra”[7]. La soluzione escogitata da Le Gray è quella di riprendere la veduta in due momenti distinti, ottenendo due negativi con esposizioni diverse, uno esposto per il cielo, per avere maggior contrasto e nuvole più definite, l’altro esposto per il mare, stampandoli poi insieme. La composizione dei negativi appare così perfetta che solo in tempi recenti gli studiosi si sono accorti che le sue marine sono ottenute con più di un negativo. Questo approccio, che qualcuno potrebbe considerare uguale alla stampa combinata, in realtà non ha la funzione di mettere in scena una narrazione allegorica o letteraria, come nelle fotografie di Rejlander e Robinson, né possiede quella complessità compositiva costituita dal montaggio di molti negativi. Le Gray, con grande maestria, usa la sovrapposizione dei negativi con un intento squisitamente tecnico: estendere la latitudine di posa dell’immagine.
 Un altro “metodo di manipolazione dell’immagine” è quello usato dal fotografo pittorialista francese Robert Demachy, già presentato da Gustavo Millozzi su Fotopadova: “particolarmente interessato ai processi fotografici non tradizionali è noto soprattutto per aver contribuito alla rinascita del processo della gomma bicromatata […] che gli ha permesso l'introduzione di colori e pennellate nell'immagine fotografica. Il pigmento arancione talvolta da lui impiegato intende evocare la sanguigna, una matita rossastra spesso usato nei disegni antichi” [8]. Non vi è dubbio che la sua visione fotografica sia stata decisamente influenzata dall’uso di questo metodo di stampa che si avvicina alle tecnica pittorica, soprattutto per quanto riguarda lo stile e la resa materica della téxture.
Fondatore del Photo Club di Parigi nel 1894, è uno dei più importanti interpreti di questo approccio estetico, basato sul seguente postulato “l’interprétation manuelle du cliché, qui intervient – en sus de l’opération de la prise de vue – sur le négatif e surtout sur le tirage”[9].
Tumblr media
 R. Demachy, fotografie realizzate con metodi di manipolazione che si avvicinano alle tecniche pittoriche
Grazie al procedimento di stampa alla gomma bicromatata, molti fotografi pittorialisti avranno la possibilità di esprimere la loro artisticità, con tecniche che consentono di assimilare le stampe ottenute agli acquerelli: è il procedimento in assoluto più creativo, che ogni artista decide di personalizzare, in base all'effetto finale che vuole ottenere soprattutto grazie alla propria abilità manuale.
---------------------- 
[1]  La definizione di Gillo Dorfles (in Artificio e natura, Skira, 2003, p.9) è riportata da Claudio Marra nel suo libro Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, 2012.
[2]  Juliet Hacking, Fotografia la storia completa, Atlante, 2013: per una ricostruzione esaustiva del periodo trattato e per una panoramica completa dei fotografi pittorialisti, si veda il capitolo “dal 1856 al 1899”, pp.89-167, in particolare i paragrafi “la fotografia e le arti”, pp.112-115, “la fotografia pittorica”, pp. 160-163.
[3]  David Bate, Art photography , 2015, trad. It. La fotografia d’arte, Einaudi, 2018, p. 47.
[4] J. Hacking, op. cit., pp.116-117.
[5] Ivi, p.113.
[6] Ivi, pp.98-99.
[7] https://ilfotografo.it/il-fotografo/fotografia-storica-gustave-le-gray/
[8]  Si veda di Gustavo Millozzi, Robert Demachy e il pittorialismo, in fotopadova.org, dove sono riprodotte alcune delle immagini più significative del fotografo francese: https://www.fotopadova.org/post/170982186403
[9]  AA. VV., Histoire de voir, Le medium des temps modernes (1880-1939), Photo Poche, 1989, p. 70.
2 notes · View notes
a--piedi--nudi · 4 years ago
Photo
Tumblr media
Cadmiumbromide di Alberto Aliverti
Wet Plate Collodio 20 x 25 alluminio
11 notes · View notes
alchimilla · 4 years ago
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
• Tabitha •
[Original TinType of a beautiful, young girl. New York, 1890].
Un’altra delle mie passioni (che hanno tutte un filo conduttore comune, che è la ricerca della ‘’magia”, dell’unicità delle cose) è collezionare ritratti fotografici originali antichi, sotto forma di gioielli.
Questo ciondolo, è l’ultimo arrivato nella mia collezione, ed è una ferrotipia (tintype) originale del 1890. Da New York.
La ferrotipia è l’antenata della moderna fotografia.
Si tratta di un processo fotografico, divenuto molto popolare verso la fine del 1800, che consisteva nel riprodurre immagini su lastre di metallo (ferro, alluminio, o latta), attraverso l’uso di collodio umido, e nitrato d’argento per la fotosensibilizzazione.
Prima dell’avvento della moderna pellicola fotografica, si cercava di utilizzare qualsiasi cosa per riprodurre le immagini, dal vetro a sottili lastre di metallo.
La ferrotipia, rinnovó e ridefinì il precedente metodo della “dagherrotipia”, un processo fotografico che veniva impiegato verso la metà del 1800, e consisteva nel riprodurre un’unica copia positiva dell’immagine, non riproducibile, su supporto in argento o rame argentato, precedentemente sensibilizzato in camera oscura, mediante esposizione ai vapori di iodio.
La ferrotipia, non solo era molto più economica rispetto ai metodi usati in precedenza, ma offriva anche una riproduzione delle immagini molto più resistente all’usura e al passare del tempo.
Anche la ferrotipia, come la dagherrotipia, produceva immagini solo positive (e non negative come le conosciamo noi oggi), cioè non riproducibili più volte.
Da qui, ne deriva la rarità e preziosità di queste immagini, che, inalterate nel tempo, trasportano attraverso i secoli, i bellissimi volti di uomini, donne, bambini, e raccontano, a chi le può ascoltare, storie affascinanti di vite passate.
E chissà a cosa stava pensando, la giovane ragazzina ritratta in questa ferrotipia, che non guarda in camera, ma osserva assorta un punto indefinito davanti a sè.
Tra l’altro, noto anche una vaga somiglianza con la mia ultima bambola gotica, Persefone.*
4 notes · View notes
malgradare · 8 years ago
Photo
Tumblr media
e ogni volta rinascere
17 notes · View notes
chez-mimich · 5 years ago
Text
SALLY MANN, A THOUSAND CROSSINGS. Parigi, 24 agosto. “... Ho una sensibilità da XIX secolo...” È lei stessa ad affermarlo in un video a corredo della magnifica mostra del Jeu de Paume di Parigi aperta fino al 22 settembre prossimo. Sally Mann non è la solita brava fotografa, forse non è nemmeno una fotografa, Sally è una poetessa della fotografia, come potevano esserlo stati André Kertész, Alfred Stieglitz o Joseph Sudek. Le sue sono fotografie fortemente elegiache ed esplorano temi fondamentali dell’esistenza: la memoria, la morte, i legami famigliari, l’indifferenza sovrana della natura. I suoi luoghi d’elezione sono pochi migliaia di ettari di territorio nel sud-est degli Stati Uniti, dove è nata nel 1951, una terra alla quale è profondamente legata e nella quale attraverso le sue eccezionali fotografie, riesce a cristallizzarla come fosse un intero universo senziente. È lei stessa a suggerirci attraverso le parole del poeta scozzese John Glanday che “l’anima va mille volte avanti e indietro, il cuore una volta sola” e chi vuole intendere, intenda. In quel sud-est americano, poco distante da Lexington dove nacque, trovano posto anche tutti gli affetti famigliari a cominciare da Emmett, Jessie e Virginia, i suoi tre figli, ritratti spesso senza sentimentalismi, ma evidenziandone la bellezza, la tenerezza e anche la sensualità. Frutto della sua ricerca sul paesaggio sono le eccezionali serie fotografiche dedicate alla terra, al bosco, al fiume, quando Sally Mann, al principio degli anni Novanta decide di spingere la sua ricerca anche in Georgia, in Louisiana e in Mississippi. Ma non si tratta solo di innocenti paesaggi. Sally sonda il suolo americano, cerca e si interroga su come quelle terre che sono state teatro della più sanguinose battaglie della Guerra di Secessione americana, possano conservare in loro un sussulto, un palpito, una memoria fantasmatica di tutte quelle dolorose vicende. Quelle terre che negli anni dello schiavismo furono intrise anche del sangue di tanti afro-americani, in questo senso basti ricordare anche le serie fotografiche che ritraggono Virginia “Gee Gee” Carter, che fu per cinquant’anni al servizio della famiglia di Sally Mann. Insomma una terra che racconta, testimonia, evoca sebbene in modo misterioso e poetico, l’agire degli uomini. In realtà è un espediente tecnico ad aiutarla nella creazione di una fotografia di grande forza evocatrice; si tratta del collodio, un liquido legante per le emulsioni che tende ad “antichizzare” la fotografia. Non storcete il naso perché Sally Mann non è una stupida, né un’ingenua ed usa la sostanza con una consapevolezza estetica sorprendente e con risultati di una poeticità assoluta. Il Jeu de Paume è sempre un “buen retiro” per chi ama la fotografia, in tempi di selfie e di “selfisti” è meglio ricordarsene e correre qui appena si può.
Paris, 24 agosto 2019
Tumblr media
21 notes · View notes
nadaralbum · 3 years ago
Text
Tumblr media Tumblr media
Stampa e negativo di vetro al collodio umido del ritratto di JEAN-BAPTISTE CAMILLE COROT, realizzato tra 1855 e 1859. La lastra misura 11 x 22 cm. ed è oggi conservata al Musée d'Orsay di Parigi. La fotografia al collodio, esposto alla luce appena steso sulla lastra e ancora umido, fu la più diffusa finché, a partire dal 1880 circa, con l'introduzione delle emulsioni in gelatina e poi della pellicola flessibile, fu progressivamente abbandonata.
0 notes
kiki-de-la-petite-flaque · 28 days ago
Text
Tumblr media
Johnny Depp fotografato con una macchina fotografica del XIX secolo⁠⁠ da Stephen Berkman che scatta le sue fotografie utilizzando la tecnologia della metà del XIX secolo utilizzando il processo al collodio umido, scoperto nel 1851. La sua essenza è ottenere immagini fotografiche negative su lastre di vetro con emulsione al collodio.
6 notes · View notes
andrearicciuti · 7 years ago
Photo
Tumblr media Tumblr media
Erica
collodio umido
(con me riflesso che fotografo le lastre di vetro)
1 note · View note
re-note · 8 years ago
Photo
Tumblr media
Un tintype di domenica scorsa fatto in Toscana a mio figlio Pietro durante un bellissimo fine settimana passato all’insegna del collodio umido insieme agli amici di fotonomia...
Dimensione sempre quarto di lastra, il mio formato preferito per queste uniche ed irripetibili fotografie.
1 note · View note
giornalepop · 8 years ago
Text
LA GRANDE IMPRESA DI FRANCIS FRITH
LA GRANDE IMPRESA DI FRANCIS FRITH
LA GRANDE IMPRESA DI FRANCIS FRITH, FOTOSTORIA 11, 1840-1860
Inglese di Chesterfield, Francis Frith (1822-1898) esordì nel mondo fotografico a partire dal 1850, quando aprì uno studio a Liverpool con il nome di Frith & Hayward Studio. Tre anni dopo fu uno dei membri fondatori della Società Fotografica di Liverpool.
Francis Frith: Autoritratto in costume estivo turco, 1857 (ma stampa del 1862)
Dur…
View On WordPress
2 notes · View notes
fotopadova · 4 years ago
Text
Stephen Berkman, Prediciting the Past
di Gustavo Millozzi
 -- Predicting the Past, Zohar Studios: The Lost Years (Predire il passato, Zohar Studios. Gli anni perduti) di Stephen Berkman, uno dei più sorprendenti libri di fotografia che siano recentemente usciti, ci porta in un viaggio immaginario attraverso il XIX secolo, nel mondo di Shimmel Zohar, un mitico immigrato ebreo dell'Europa orientale che arrivò in America negli anni Cinquanta dell'Ottocento: il nome Zohar si riferisce anche a una raccolta di scritti che costituiscono la base di uno studio cabalistico. Il contenuto storico è pieno di sottintesi, ombre e collegamenti e rispecchia appieno la complessità e la densità di contenuti degli antichi testi mistici.
Shimmel Zohar, già abile artista di silhouette, è diventato in seguito il proprietario degli omonimi Zohar Studios, uno stabilimento fotografico storico situato in Pearl Street, nel Lower East Side di New York, un quartiere a predominanza ebraica. Entrando dalla porta di questo enigmatico studio del passato, incontriamo una cavalcata di personaggi alla Balzac, accattivanti, stravaganti ed anche, talvolta, ironici. 
Tumblr media
Questo panorama immersivo di personaggi - dove troviamo frenologi, ventriloqui, pittori, poeti, spiritualisti, artisti, bon vivants, mercanti e molti altre strane figure - è composto da tableau dove ogni immagine è costruita come un singolo fotogramma cinematografico di un antico film in celluloide da tempo dimenticato.
Stephen Berkman, fotografo ebreo, è cresciuto a San Francisco Bay Area e ora risiede a Los Angeles. Ossessionato dalla cultura e dalla tecnologia vittoriana, Berkman ha perfezionato il raro e estremamente difficile processo fotografico pre-chimico noto come “collodio umido”. Realizzate con una grande macchina fotografica da studio che utilizza lastre negative in vetro, le sue stampe all’albumina, dalle stesse ricavate, hanno un’inconfondibile qualità arcaica: belle, riccamente dettagliate e inquietanti.
Questo corpus di opere rientra nella tradizione della galleria creata dagli artisti, come il famoso Museum of Jurassic Technology dell'artista David Wilson a Los Angeles. Come in Wilson infatti, anche l'arte di Berkman va oltre la dialettica binaria tra realtà e finzione.
Tumblr media
                    Frenologo                                   © Stephen Berkman                               Fratelli siamesi
 Berkman, lavorando con il primitivo processo delle lastre di vetro e fotografando attraverso lenti d'epoca ancora ricoperte dalla polvere del XIX secolo, resuscita un mondo scomparso in un tributo agli Zohar Studios, tributo che precedentemente alla pubblicazione in questo volume, è stato presentato con diverse esposizioni in importanti gallerie e musei, tra cui l'Hammer Museum e il Contemporary Jewish Museum, ed è apparso in articoli su Aperture, Artillery Magazine e ArtScene. Nato a Syracuse, New York, e con abitazione a Pasadena, in California, Berkman attualmente insegna presso l'Art Center College of Design.
Predicting the Past può sembrare a volte ambiguo, ma non risulta mai inespressivo: panoramico nella sua costruzione, il libro soddisfa il modello di assemblaggi di storia di Guy Davenport combinato con le necessarie finzioni. 
Un libro di questo genere conferma un approccio importante all'arte fotografica, tanto realistica quanto irrintracciabile, che per vie traverse può riconoscersi nella stessa arte contemporanea. Creatori come Gerhard Richter e Stéphane Zaech potrebbero infatti trovare in questo la loro strada.
Tumblr media
                   Un’ebrea errante                         © Stephen Berkman                                    Shtetl Shtick
Non contento di essere un intruso nel XIX secolo, Berkman è inoltre un esploratore temporale che scava enigmi come fossero incisi su blocchi di ghiaccio. Cerca di richiamare il mondo perduto della metà del XIX secolo come se il nostro mondo scomparisse tutt'intorno a noi.
Un artista è una persona che inventa un artista: così è stato detto, né da Marcel Duchamp, né da Jorge Luis Borges, ma da Harold Rosenberg, il critico che ha "creato" una scuola di pittura coniando il termine Action art, una definizione che si potrebbe ben riferire al fotografo americano Stephen Berkman che pare proprio abbia preso Rosenberg alla lettera.
Tumblr media
                Uomo con banana pestata            © Stephen Berkman                           Indovino distratto
Berkman ha una propria reputazione come artista: fa infatti parte della "avanguardia antiquaria", un movimento così chiamato dal critico Lyle Rexer per descrivere quei fotografi che, nel periodo in cui le fotocamere meccaniche e le camere oscure chimiche furono sostituite dalla creazione di immagini digitali negli anni Ottanta e Novanta, rianimò le tecnologie fotografiche del XIX secolo a lungo scartate. Alcuni facevano uso di fotocamere stenopeiche, altri lavoravano con immagini stereoscopiche. Parecchi hanno prodotto dagherrotipi o ferrotipi (il più noto tra i fotografi che attuano questo "processo alternativo" è Joel i Peter-Witkin, conosciuto specificatamente per aver realizzato stampe d'argento di tableaux messi in scena, spesso con scene trasgressive).
Tumblr media
                Pappagallo di Humboldt               © Stephen Berkman                              Viaggio di Zohar
Non c'è dubbio che questo racconto fotografico, come reso da Stephen Berkman, rivela l'intera potenziale eredità artistica di Shimmel Zohar. Si dice che Zohar "abbia esplorato significati nascosti, simboli misteriosi che hanno portato a intuizioni illuminanti". Una lettura brillante, spiritosa, visivamente deliziosa e divertente, anche quando i fatti non possono più essere distinti dalla finzione.
Shimmel Zohar aggiunge spesso un'immagine nell'immagine e questo non è sinonimo di scomparsa degli affetti, ma diventa il modo per sollecitarli diversamente, è quanto Schopenhauer pretendeva dall'arte: "la soppressione e l'annientamento del mondo".
Queste inquietanti fotografie prendono come punto di partenza i codici visivi della ritrattistica del XIX secolo, le immagini e gli oggetti che riguardano sia la vita ebraica sia la dimenzione scientifica di oltre cento anni fa. Insieme creano una visione peculiare della vita vittoriana negli Stati Uniti, rivitalizzando tecnologie e temi passati in un contesto però del XXI.
Tumblr media
                Ingranditore solare                       © Stephen Berkman                           Oggetto di Obscura
In virtù del suo approccio narrativo e formale, il progetto stravagante e sorprendente di Berkman è una manifestazione di un'alta forma di ricerca empatica. Ha sostituito il proprio ego a favore di Zohar. Ha reso immagini che richiedono attenzione e pazienza, sia da parte del fotografo sia quella dello spettatore, e nonostante l'atmosfera fittizia e la sua bizzarria, ha presentato una collezione di immagini che ci mostra qualcosa di innegabilmente umano. Forse, allora, la grande ironia della finzione è che è tutto vero.    
Come un sonnambulo del XIX secolo, Stephen Berkman vaga per l'era ormai scomparsa della fotografia prechimica. Evocando un'epoca in cui il mezzo era considerato simile alla magia naturale, le sue installazioni di camera oscura comprendono esplorazioni sia letterali che filosofiche di quel misterioso gioco di luci e ottiche. 
Gli esperimenti pre-analogici di Berkman, oltre alle sue fotografie su lastra di vetro, sono presentati in questa sua pubblicazione che già era stata preceduta da una mostra presentata a Mosca. Evocando l'acutezza di un romanzo francese del XIX secolo, questo corpus di opere è pervaso dal donchisciottesco, dal surreale e dall’onirico. 
Tumblr media
                                                            L’occhio vagante © Stephen Berkman
Ampiamente annotato e abbondantemente illustrato, questo volume immersivo, per il quale ci son voluti da parte dell’autore ben venti anni di lavoro, contiene quasi 200 immagini comprendenti fotografie originali ed effimeri. Sono meticolosamente riprodotte in quadricromia e tricromia.
Predicting the Past culmina con una postfazione del pluripremiato autore Lawrence Weschler. Scritto in prosa rapsodica, il suo saggio riempie gli spazi del puzzle creandone di nuovi. Con uno spirito acuto e un fiuto per l'apocrifo, il saggio di Weschler (del quale potete leggere qui un ampio adattamento) segue la ricerca di Berkman, ripercorrendo deviazioni e divagazioni per scoprire la storia dietro la storia di Shimmel Zohar, elevando il libro nel pantheon della fotografia.
Tumblr media
                                                         Obscura usa e getta © Stephen Berkman
Un’ultima considerazione: per coloro che si dedicano ora al digitale avendo ripudiato l'analogico. Berkman nel suo libro scrive: "Alla fine, le fotografie di lastre di vetro fragili e persino arcaiche possono sopravvivere alla fotografia digitale contemporanea, come quest'ultima è dipende in modo univoco da un'infrastruttura di computer e dall’archiviazione di soli dati". Sarete forse scettici, ma chiedetevi questo: quanto vi è oggi facile leggere i floppy disk creati sui computer solo 20 anni fa? E chi, all'epoca, aveva la premeditazione di trasferire il proprio materiale informatico su supporti aggiornati alla prossima generazione di archiviazione digitale?
1 note · View note
fucktheglorydays · 5 years ago
Photo
Tumblr media
PHOTOGRAPHY | JONI STERNBACH - SURFLAND
In un mondo dominato dal digitale, ci consola sapere che esistono fotografi come l'americana Joni Sternbach. I suoi progetti vedono infatti l'utilizzo di tecniche fotografiche ottocentesche, che lei riporta ai giorni nostri, attraverso delle serie fantastiche. E’ il caso del suo progetto ‘SurfLand’, dove immortala i surfisti moderni della East Coast, California, Australia ed Europa, attraverso un processo fotografico al collodio umido (sperimentato per la prima volta da Frederich Scott Archer nel 1852) e una camera oscura portatile, in modo tale da sviluppare le immagini direttamente sul posto. Una performance fotografica, dove si alternano creature suggestive e paesaggi marini, in bilico tra due mondi. Un modo per esplorare il legame fra la terra e il mare, fra surfista e la sua tavola, fra uomo e paesaggio circostante, in un costante stato di transizione. Potete vedere tutte le foto qua.
In a world dominated by digital photography, we’re comforted by the thought that there are phographers like Joni Sternbach. She realizes her projects utilizing 19th century tintype photographic techniques, bringing them to our present days. That’s the case of ‘SurfLand’, an ongoing project of contemporary portraits of surfers of the East Coast, California, Australia and Europe, created using the historic wet-plate collodion process (experienced for the first time by Frederich Scott Archer in 1852) and a portable darkroom, in such a way that the images can be easily developed directly on site. A photographic performance, where the images are about relationships – the relationship between earth and sea, surfer and board, between human and landscape, between photographer and subject, and between the surfers themselves. She has discovered a new sort of home – a place without walls, defined only by belonging and the physicality of existence. Watch the entire gallery here.
jonisternbach.com
0 notes