#ci sono margini di miglioramento
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molecoledigiorni · 2 months ago
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VALORI ASSOLUTI
- saper stare bene da soli
- riconoscere i propri limiti
- ammettere gli errori
- non giudicare senza elementi
- non giustificare le scelte
- provare sempre a migliorarsi
- non sprecare tempo a spiegare
l’acqua al deserto
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autolesionistra · 2 years ago
Note
Termometro politico bolognese: la ciclabile rossa di via Saragozza e l'istituzione della zona 30 in città. A voi la linea Bologna
Ah, proprio due temi vissuti dai bolognesi in maniera serenissima e pacata. Proviamoci:
ciclabile via Saragozza
breve riassunto: qualche anno fa il comune dipinge un po' di linee bianche per terra su via Saragozza e dice di aver fatto una pista ciclabile. In realtà quello che ha realizzato è un emozionante percorso di cicloavventura in cui si fa lo slalom fra macchine in doppia fila, portiere aperte a cazzo, sorpassi azzardati. L'unica differenza tangibile pre-ciclabile è che chi è in bici è pervaso da un falso senso di sicurezza pensando di essere in una ciclabile ed è meno in ansia quando arriva l'inevitabile sportellata sulle gengive.
Uno dei problemi grossi è la visibilità delle strisce così qualche giorno fa sono partiti i lavori per pittarla tutta di rosso (cosa non stupida e che già era stata fatta in corrispondenza del semaforo del Meloncello), senonché per motivi non chiarissimi la ciclabile ha immediatamente iniziato a spelarsi con un gradevole effetto ustione-di-secondo-grado. Una notevole figura da piccioni ma non vorrei che quella che è una vicenda tutto sommato di mera cronaca su cui la giunta ha responsabilità dirette relative oscuri il fatto che negli ultimi anni c'è stato un florilegio di linee bianche tracciate in carreggiata e definite (e conteggiate) con molto coraggio come piste ciclabili bolognesi. Qui ci vedo qualche responsabilità politica in più.
2. Bologna città 30
Qui lo spiegòn ufficiàl: https://www.bolognacitta30.it/ (con mappina)
La premessa è che su queste cose io non sono oggettivo per motivi vari ma una volta tanto eviterò l'excursus sui cazzi miei. Diciamo che:
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eccetera.
C'è un po' di rissa sulle statistiche negli anni passati dei morti per incidenti stradali nelle aree del comune di Bologna che passeranno a 30 km/h ma onestamente non l'ho capita molto. Se questo tipo di approccio può salvare una persona ogni cinque anni o cinque persone all'anno cambia davvero qualcosa?
Comunque ciò non toglie che da saltuario automobilista e soprattutto da ciclomotorista, essere certi di non sforare i 30 costringe a continui controlli del tachimetro che in una città dove lo sport preferito è attraversare sbucando dai portici a cazzo non è una bella cosa.
Poi: nell'ultimo ventennio girando per Bologna non mi è letteralmente mai capitato di assistere a controlli di nessun tipo della polizia locale. Ci sono strade dove quando il traffico lo permette la gente gira serenamente ai 70 e c'è un quantitativo fuori scala di persone che guidano usando il cellulare in varie forme (e se parli con loro sono sinceramente convinti che in quel momento siano in grado di guidare normalmente - spoiler alert: no). Ci sono sempre stati ampi margini di miglioramento sul fronte sicurezza stradale regolarmente ignorati. Se (quando) compariranno i controlli per i limite dei 30 km/h sarà molto difficile non viverli come presa per il cvlo.
In sostanza questo provvedimento potrà avere come effetto di salvare la buccia di qualcuno (che è l'unico motivo per cui non mi viene da osteggiarlo) ma non mi sembra sia lo scopo per cui è stato fatto e strombazzato.
Qui stadio a voi studio.
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roxan-world · 2 years ago
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Ci son cose che impari crescendo
e una di queste è quella di allontanare le persone che non aggiungono nulla alla tua vita, anzi tolgono.
Una volta aspettavo, pazientavo, facevo leva sul lato buono, perché tutti in fondo son buoni.
Oggi mi fai star bene o sei fuori dalla mia vita o comunque rimani ai margini e vale per ogni tipo di relazione, dall'amicizia all'amore, alla passione, a tutto.
Alcuni direbbero che sono diventata più stronza, altri menefreghista,
altri ancora intollerante, poco paziente,
egoista o quel che volete.
Io dico solo che ho imparato ad amare di più me stessa.
La vita è troppo breve per aspettare che le cose cambino, anche perché il più delle volte le cose non cambiano, anzi nell'attesa di un possibile miglioramento, peggiorano e continuano a ferirti!
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leparoledelmondo · 3 months ago
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Climate delay
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Nel secondo giorno di COP 29, in svolgimento in Azerbaigian, è intervenuto il Presidente del Consiglio italiano, presenza che altri esponenti politici internazionali hanno evitato.
Il Presidente ha ribadito le priorità strategiche italiane sul clima: abbandono formale delle fonti fossili tramite investimenti in altra fonte fossile (gas) e false promesse dettate da ottimismo tecnologico sul nucleare. Insomma un intervento lontano dall’urgenza reale e intriso di climate delay, ossia quel meccanismo di ritardo – di cui i proclami politici sono intrisi – che ostacola un contrasto efficace e rapido alla crisi climatica. Questo ritardo spesso si nutre di ottimismo tecnologico, di promesse future, dell’affidarsi a soluzioni lontane o più simili a chiacchiere al vento.
La fusione nucleare, per quanto promettente, è un esempio di tecnologie che restano ancora a lungo termine. Quello di cui abbiamo bisogno oggi è investire in ricerca e sviluppo ma, soprattutto, implementare le tecnologie già disponibili, che possono darci subito margini di miglioramento in strategia energetica ed efficienza – queste tecnologie ci sono e costano sempre meno. La transizione ecologica deve basarsi su azioni concrete e attuabili ora.
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enkeynetwork · 6 months ago
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Borghi: "Alcaraz ha qualità uniche per la Juve, ci sono margini di miglioramento"
Il telecronista Stefano Borghi a Cronache di Spogliatoio ha parlato del neo acquisto di gennaio Carlos Alcaraz: “Mi sono divertito a guardarlo, sia quando è sceso in campo contro il Verona sia con il Frosinone. Ha portato intensità, personalità ed elettricità. Ha una visione e una capacità tecnica uniche, anche se a volte commetteva qualche errore e perdeva il possesso. È un giocatore che manca…
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soldan56 · 3 years ago
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Nell'apocalisse delle immagini di guerra, nell'uragano di dolori e torti che ci massacrano l'anima già devastata da due anni di epidemia, questa di cui parlo qui è cosa talmente piccola che quasi mi vergogno a scriverne. Lo faccio quindi con gli occhi del miope, dell'autocentrato: insomma, perché è stato un pezzo importante della mia vita. E, professionalmente parlando, il più importante, fino a meno di due anni fa.***Nel cortile di via Colombo, sede della Repubblica e dell'Espresso, ci sono delle macchinette del caffè. È lì che ci si incontrava tra colleghi e si chiacchierava delle cose ufficiose, quelle che poi - quasi sempre - diventavano vere. Ed è lì che un giorno ho saputo che la Fiat ci voleva comprare.È un esperienza strana, «essere comprati», chi l'ha provata lo sa. Ti senti un po' una pecora in un gregge che viene pesata e poi passa da un padrone all'altro. Capisci che succedono cose molto più in alto di te, tra miliardari felpati, che impatteranno sulla tua vita senza che tu possa fare assolutamente niente. In un giornale però c'è qualcosa di più, visto che produce informazione, inchieste, opinioni. Non ti chiedi solo quale sarà il tuo destino personale. Ti chiedi anche quanto sarà più larga o più stretta la mordacchia. Perché, come ovvio, nessun giornale che abbia un padrone è privo di mordacchia; la questione è solo quanto è stretta o larga, insomma qual è il margine di indipendenza e di libertà. ***Diciamo la verità: era  assai lasca e di fatto impercettibile quella mordacchia quando a capo della baracca c'era il Principe, come veniva chiamato Carlo Caracciolo. Insomma, si era sostanzialmente liberi. Uomo di mondo, gran viveur, sempre divertente e divertito dalla vita. Il giorno in cui fui assunto all'Espresso – era la fine del 2002 – passai per il vaglio di prammatica del colloquio nel suo ufficio, anche se ormai era cosa fatta, grazie a Daniela Hamaui. C'erano dei quadri alle pareti con cui avrei sistemato un paio di generazioni di Gilioli e questa fu la prima, stolta, cosa che pensai. Lui guardò distrattamente il mio curriculum e fu incuriosito dai quattro anni alla direzione di un mensile: «Ah lei ha fatto Gulliver. E cosa ne pensa del nostro Viaggi, l'allegato a Repubblica?», mi chiese. Ora, l'allegato in questione era abbastanza pessimo. Con le foto degli uffici stampa, nessun inviato, pezzi scopiazzati dalle guide turistiche, per non dire delle marchette. Ero imbarazzatissimo. Me la cavai con un codardo «Beh, secondo me ci sono margini di miglioramento». E lui: «Ma no! Dica pure che l'abbiamo fatto alla cazzo di cane!». E giù a sghignazzare.Insomma, decisamente non era il tipo che intimidiva. Il resto del colloquio fu un cazzeggio a ruota libera, con qualche bel ricordo suo di quando era stato partigiano. O di quando un'estate su un taxi accaldato passò per caso da Melito, e lui mezzo addormentato vide il cartello e sobbalzò, «ma io sono il principe di Melito!», e il taxista preoccupato: «Dottò, le accendo l'aria condizionata eh?».Comunque, mi sono sentito accolto. E in una bella squadra.E sempre più in una bella squadra mi sono sentito pochi giorni dopo, alla festa di Natale in via Po. Che lo stesso Caracciolo faceva ogni anno, ma per me era la prima volta. Nel conoscere i colleghi, avevo la percezione di essere a bordo di quella che Scalfari chiamava “vascello pirata”. Dove noi marinai di vario grado venivamo da tutte le sinistre possibili - liberali o comuniste, moderate o extraparlamentari, laiche o cattoliche e così via - ma eravamo tutti parte di uno stesso progetto, libero e non impaurito da nessun potere politico o economico.Non voglio raccontare un quadro idilliaco. I cazzi amari poi c'erano, come dappertutto. Così come i brutti ceffi, le guerre di scrivania, le ambizioni personali, le vanità (quelle non mancano mai, nel nostro mestiere di narcisi frustrati, almeno fino a una certa età). Eppure idilliaco sembra, al confronto con quello che è successo poi, senza che questo sia uno scherzo della memoria.***La deriva non è avvenuta in un giorno. Come tutte le derive, in effetti. Il Principe morì nel 2008. L'Ingegnere - cioè Carlo De Benedetti - divenne direttamente presidente, da cauto azionista che era. Le feste di Natale finirono subito e come amministratore delegato arrivò una signora gentile che però sedeva già in tre o quattro importanti consigli di amministrazione. Iniziò insomma l'aziendalizzazione, l'intreccio con i poteri di fuori. Nel quotidiano, il pass magnetico per entrare e uscire, la polizia privata che in via Po non si era mai vista e che nel palazzo di via Colombo invece è la prima cosa che vedi.Attorno a noi, intanto, si cominciava a vedere anche un'altra cosa, assai peggiore, cioè il piano inclinato della carta stampata, che iniziava a essere divorata dalla crisi strutturale che ben conoscete - allora non era così chiara a tutti, in verità, specie nella sua velocità. Comunque, servivano nuove strategie - questo era evidente - ma nessuno sapeva dove andarle a pescare.Non so se è anche per questo che nel 2012 l'Ingegnere regalò il gruppo ai tre figli, tutto passava sempre sulle nostre teste. Ad ogni modo rimase alla presidenza, per un po', anche se noi non se ne aveva più notizia. Poi a un certo punto tutto andò in modo abbastanza rapido, tra ondate di prepensionamenti, voci di cassintegrazione, tagli di borderò ai collaboratori, insomma il senso di paura.Uscito dal Corriere, il gruppo Fiat entrò con una quota di minoranza, portando in dote La Stampa. Era il 2016. L'anno dopo uno dei figli dell'Ingegnere, Marco, divenne  presidente al posto del padre. Un giorno venne a trovarci in redazione, fu cortese nell'ascoltare il lavoro che facevamo, ma era palesemente disinteressato. Alle redazioni, ai giornali, all'editoria. Nessuno conosceva le sue opinioni politiche, anche se tra noi si scherzava su quelle della moglie, del giro Santanché. Comunque, mai più visto né sentito. Si era in un limbo. Ma la direzione era abbastanza chiara e portava dritti a Torino, al gruppo privato più grosso d'Italia, insomma al cuore dell'establishment economico italiano, all'azienda che da sempre privatizzava i profitti e statalizzava le perdite, che quindi ci avrebbe comprato come merce di scambio con la politica e con il capitalismo di relazione italiano. E così nel 2019 il “vascello pirata” era già diventato il tender di casa Agnelli. Torino ho scritto, ma il nostro nuovo padrone tecnicamente era una finanziaria olandese, insomma la cassaforte all'estero per non pagare le tasse. Mica male per noi dell'Espresso, quelli delle battaglie civili.Scalfari scrisse un editoriale in cui disse che andava tutto bene. Il “Fundador” è sempre stato molto bravo nel convincersi che è giusto ciò che gli conviene - e non gli conveniva far casino,  a 95 anni poi. E comunque non poteva disconoscere il figlio anche se questo era diventato il contrario di quello che lui in età meno senile aveva voluto. Ma noi gli si voleva bene lo stesso, in fondo senza di lui non ci sarebbe stato niente di tutto quello di cui sto parlando.***I Fiat boys atterrarono da Torino alla Garbatella con le loro cravatte blu, il profumo di Penhalingon's e l'aria di quelli che “qui non capite un cazzo, ma adesso ci pensiamo noi”. Come amministratore delegato Elkann mise uno dei suoi yesman, un Carneade dell'editoria ma fedelissimo al sistema di potere Exor. Poco dopo la nomina, questo tizio convocò le direzioni dei giornali del gruppo nella sala riunioni all'ultimo piano, Elkann non c'era ma intervenne in audio. Non ricordo nemmeno che cazzate disse, ma era il solito aziendalese di maniera, le sfide del futuro, lo sbarco nel digitale e bla bla bla. Ricordo solo tutti questi direttori e vicedirettori - quorum ego, sì - in piedi ad ascoltare il padrone in religioso silenzio. Fantozzi non è stata un'invenzione, diciamolo.Ah, a quell'imbarazzante cerimonia, a quel bacio della pantofola, non era presente Carlo Verdelli, il direttore di Repubblica, che pure era il più importante tra noi, per ruolo. Eccellente giornalista e uomo di sinistra, Verdelli era stato chiamato un anno prima dai De Benedetti che sulla direzione di Repubblica avevano già fatto un bel po' di pasticci. Esonerato Ezio Mauro poco prima che superasse Scalfari per anni di direzione - cosa che gli diede un bel po' di fastidio - gli azionisti avevano chiamato in via Colombo Mario Calabresi, proprio dalla Stampa. Pieno di idee innovative e digitali sul futuro ma assai poco presente in redazione e sull'oggi, Calabresi aveva quindi peggiorato l'emorragia di copie già rotolante per conto proprio. Sicché i De Benedetti  a un certo punto pensarono di affiancargli un pazzo creativo che poi era il mio direttore all'Espresso, Tommaso Cerno, a cui non difettavano né le ambizioni né l'intelligenza. Ma Cerno era convinto di andare lì a comandare, insomma a fare le scarpe a Calabresi, il quale evidentemente non era d'accordo, quindi venne fuori un casino al termine del quale, tre mesi dopo, un bel mattino Cerno lasciò il suo cappotto firmato sulla poltrona di condirettore per scappare in garage da un ascensore laterale e diventare senatore renziano. Oh: non è un'iperbole, il dettaglio sul cappotto abbandonato dalla fretta di andarsene, qualche collega lo fotografò e fece girare l'immagine, tra le nostre risate alla solita macchinetta del caffè.Comunque, dicevo, fatto il pasticcio Calabresi e poi quello Cerno, a un certo punto i De Benedetti decisero di tagliare la testa al toro chiamando Carlo Verdelli, curriculum straordinario e grande artigiano dei giornali. Però, appunto, era anche uomo di sinistra, e quindi la prima cosa che fecero gli Agnelli appena arrivati fu cacciarlo. Lo fecero nel giorno in cui doveva morire, secondo le minacce che aveva ricevuto dall'estrema destra. Con l'eleganza del padrone senza peli sullo stomaco, lo stile Fiat.A Repubblica arrivò Maurizio Molinari. Non devo dirlo io, chi sia: lo vedete da soli, se ancora comprate Repubblica. Non mi va nemmeno di raccontare troppo nel dettaglio l'imbarazzo - la vergogna - che provavo nel vedere come stava trasformando un giornale che un tempo era stato aperto a una sinistra plurale e libertina: ogni giorno di più ridotto a megafono del potere  economico, con sbandate continue verso le peggiori destre americane e israeliane. E poi: le censure a Bernardo Valli (a Bernardo Valli!), le firme dei neocon e degli ex ministri di Berlusconi, il misto continuo tra cialtroneria e fake news, giù giù fino alle liste di proscrizione di Riotta. Il tutto nel perdonabile silenzio della redazione, perché quando uno tsunami devasta il tuo settore di mercato i rapporti di forza sono tutti sbilanciati dalla parte del padrone, ognuno è terrorizzato dai suoi destini personali, non è il momento delle battaglie collettive, se siamo in troppi per favore licenziate il mio vicino di scrivania e non me. ***Ma a quel punto, per fortuna, me ne stavo già andando. Solo fortuna, nessuno è eroe e abbiamo tutti bisogno di uno stipendio per i figli.Ogni tanto l'ho sentito, il mio ex direttore all'Espresso, Marco Damilano, in questi mesi. Poche cose e nulla che meriti di essere reso pubblico. È un uomo con la schiena diritta, il suo editoriale di saluto - straordinario - è sul sito dell'Espresso. Cita Aldo Moro, a un certo punto: «Questi giorni hanno dimostrato come sia facile chiudere il mercato delle opinioni. Non solo non troverai opinioni, ma neppure notizie».Questo è il motivo per cui me ne sono andato, in effetti. Lui invece, quando ero ancora lì, mi diceva che dovevamo provarci: «Perfino Berlusconi, nel mangiarsi la Rai, lasciò il Tg3 alla sinistra», mi diceva. E voleva spiegare ai nuovi padroni che anche a loro conveniva avere una voce dissenziente, anche a loro conveniva coprire un'area di mercato diversa da quella dell'ammiraglia. “Resistiamo”, mi rispondeva su WhatsApp quando, ormai lontano da Roma, gli chiedevo come andassero le cose. E finché ha potuto lo ha fatto. Ma gli Agnelli si sono dimostrati meno tolleranti o meno furbi di Berlusconi. Oggi anche lui ha smesso di resistere.Dell'Espresso ora vorrei che restasse almeno il ricordo di un giornale che ha aiutato a emancipare l'Italia. Di un giornale che ha combattuto grandi battaglie civili e sociali per spingere il Paese un po' più in là - e che lo ha fatto finché gli hanno permesso di farlo.
Alessandro Gilioli
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doblondoro · 4 years ago
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A me dispiace solo che magari qualcuno vuole guardarla ma non lo fa perché gli consigliano di non farlo. A volte ho letto cose del tipo "mi piacerebbe guardare skamit" e subito rispondono "no non lo fare è razzista" e cose del genere. O magari ad alcuni è piaciuta (sia int che italiani) lo scrivono e questi spuntano come avvoltoi dicendogli "no ma l'originale è meglio" o "questo remake è molto meglio, guarda questo", "quelli italiani non sanno recitare hihi". Che poi manco all'estero sono premi Oscar ma ovviamente ormai fa figo disprezzare le cose italiane. Una fan italiana di wtfock tempo fa ha detto che skamit è trash e non lo vuole guardare perché il romano è trash. Come se negli altri remake parlassero in modo poetico. Non è che magari FORSE il fatto di non capire una lingua influisce? Cioè mo sembra che tutto ciò che fanno all'estero è top e noi facciamo cagare. Bah (scusa per il pippone)
Guarda, per quanto mi riguarda non solo sfondi una porta aperta ma trovo anche che l'esterofilia portata all'eccesso sia assolutamente provinciale, cioè esattamente quello che queste persone vorrebbero rifuggire.
Non sto parlando nello specifico di Skam Italia, che può non piacere, ma nel volersi rifugiare in ciò che è cool, woke, di nicchia o, al contrario, mainstream, facendo proprie delle frasi fatte e stereotipate senza prendere l'intrattenimento per quello che è, cioè qualcosa che in primis dovrebbe emozionare.
Una volta lessi su Twitter delle ragazze che prendevano "bonariamente" in giro una loro mutual per essere stata un tempo una fan di Martino e Niccolò, e la sua risposta "Grazie a voi ho visto la luce"
Le cose che ti toccano non smettono di farlo perché arriva qualcuno che ti insegna a vivere, invece.
Va benissimo imparare, educarsi, capire gli errori, sperare nei margini di miglioramento e essere obiettivi per le cose che sono state trattate male.
Va malissimo salire in cattedra e comportarsi come dei bulli qualsiasi autofregisndosi con il titolo di woke.
Ma forse sono io che sono vecchia.
Detto questo ci sono attori italiani cani e altri con i controcazzi.
Esattamente come in ogni paese.
E se volete vedere roba italiana valida guardate Boris, La linea verticale, Il miracolo, l'ispettore Coliandro, La compagnia del cigno, In treatment, Gomorra.
E Skam Italia, soprattutto ❤️
(il pippone è ben accetto e io non sono stata da meno 😊)
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artistadvisor · 4 years ago
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YOUNG BRE
GENERE: TRAP
CITTA’ DI PROVENIENZA: LEGNANO (MI)
NOME: ANDREA BRESCIANI
CLASSE: 2002
PARLO DI VERITA’
INTRO
Young Bre, pseudonimo per Andrea Bresciani, è un giovane trapper nato nel 2002 a Legnano, in provincia di Milano ma residente a Lonigo, in provincia di Vicenza.
Il suo primo approccio alla musica è stato per gioco e passione poi, vedendo il crescente apprezzamento della gente, nel 2019 inizio a fare sul serio pubblicando su Youtube la sua prima traccia dal titolo “Voglio lei” che ottene grande successo e lo spinse a continuare nel suo percorso spostando però le sue pubblicazioni su Spotify.
“Non sono un artista al 100% sto facendo la gavetta a mio parere, musicalmente sono ciò che mi frulla in testa” ha dichiarato l’artista; tante idee e tanta voglia di migliorare.
BREVE BIO
La carriera musicale di Young Bre inizia nel 2018. Dopo un periodo iniziale di testi nati per divertimento e fatti ascoltare alle persone che aveva attorno, nel 2019 pubblica su Youtube il suo primo pezzo ufficiale “Voglio lei” caratterizzato da un buon testo e da un ottima base musicale; “Siamo solo noi due in questa stanza, le mie mani tra le tue, sento già la tua mancanza”.
Il primo pezzo che esce su Spotify il 31 luglio 2019 si intitola “Fottesega”, in cui l’artista mostra tutta la sua indifferenza verso le cose superflue che lo circondano. Subito dopo, il 10 agosto 2019 lancia “Nigiri”, primo pezzo in collaborazione con il suo amico e producer di fiducia p0suz.
Il 2 Ottobre pubblica un remix del brano “Fottesega” che raggiunge quasi 2000 stream su spotify e rappresenza il pezzo più ascoltato dal pubblico grazie anche alla collaborazione di Astro e AZ.
Il suo 2019 si chiude con “Mezzanotte”, lanciato il 15 novembre 2019 in cui ritorna prepotentemente la tematica amorosa. “Tutte le rose hanno le spine, le cose belle hanno sempre una fine”, manifesto del sentimento di malinconia che attraversa tutto il brano. Il primo pezzo del 2020 è “Non perdo tempo” che precede il suo primo EP pubblicato il 28 agosto 2020 e contenente 6 brani: “Sono fatto cosi”, “Vesto di nero”, “M’ama o non m’ama”, “Troppo pare”, “Bad boy”, “Fottesega – p0suz remix”. Tutti questi brani mostrano un deciso miglioramento dell’artista anche se, come da lui stesso dichiarato, ci sono ancora molti margini di miglioramento. Il 13 novembre lancia “In cima” feat. Chico, dove palesa la sua grande volontà di arrivare in alto.
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QUESTO E’ YOUNG BRE
Young Bre è un artista emergente e in continua evoluzione. Il suo genere musicale di riferimento è il Trap che in molti brani si unisce e confonde con il Rap. Le sue maggiori influenze musicali sono Sfera, capo plaza, ghali, salmo e fabri fibra anche se “ogni mio testo viene da me e non da esterni”. Egli non vuole confondere persona e personaggio, vita privata e vita musicale ed infatti uno dei suoi obiettivi è quello di essere apprezzato da una grande nicchia di persone per la sua musica e non per il personaggio. Fino a Dicembre 2020 non ha ancora avuto la possibilità di partecipare ad esibizioni live ma questo è un suo sogno nel cassetto che spera prima o poi di realizzare; “Uno dei miei sogni è quello di arrivare in alto in modo da poter salire su un palco e non dover più essere sotto ad esso a sentire qualcun altro.
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La redazione di Artist_Advisor
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bicheco · 5 years ago
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Cari italiani
Tenete conto di una cosa: quello che state vivendo adesso sono solo le prove generali, l'epidemia vera, quella brutta brutta verrà l'anno prossimo.
Per la cronaca state reagendo benino, considerando che siete un popolo latino, parecchio esuberante, molto ignorante e per nulla incline alle regole.
Bisogna anche dire che ci sono ampi margini di miglioramento. Vedremo.
Con stima ed affetto.
Dio
Ps. State tranquilli scherzavo, l'anno prossimo non arriva niente, al massimo un tifone in Florida. E comunque io non esisto.
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bangtanitalianchannel · 5 years ago
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[ARTICOLO] I concerti dei BTS diventano festival per gli ARMY, con zone evento speciali per i fan
“Un pacchetto di attività all’aperto e servizi per i fan attenderà questi ultimi al Jamsil Sports Complex a sud di Seoul, dove questa settimana la superband globale BTS si esibirà nel gran finale del tour mondiale.
Il settetto è pronto a chiudere questo martedì l’acclamato tour “Love Yourself: Speak Yourself”, nella capitale del loro paese d’origine.
I primi due dei tre concerti si sono tenuti durante il weekend nel complesso del Seoul Olympic Stadium e hanno intrattenuto un totale di 88.000 fan. Martedì, l’esibizione finale incanterà altri 44.000 fan del K-pop.
Grazie a un villaggio ricco di attività all’aria aperta, stand di vendita e ristoranti intorno alla venue, i concerti di Seoul durante il weekend hanno assunto l’aspetto di un gigantesco festival.
I concerti sono un’opportunità per la Big Hit Entertainment - l’etichetta discografica dei BTS - di trasformare in realtà la loro ambiziosa visione di inaugurare una nuova fase per l’industria dei concerti contemporanea. 
Un fan di 31 anni dei BTS, che ci ha detto solo di chiamarsi Kim, era tra la folla di fan che sabato si sono recati alla venue del concerto ore prima dell’inizio dello show per divertirsi con i servizi gratuiti e conoscere altri membri dell’ARMY, il famoso fandom della band.
“Il concerto inizierà alle 18.30, ma sono arrivata prima, come se stessi andando a un festival, perché la zona eventi apre alle 9”, ha detto prima del concerto di sabato, il primo dei tre.
Megan, una ragazza americana di 25 anni, ha viaggiato fino in Corea del Sud per assistere al concerto. “Mi sono innamorata dei BTS l’anno scorso dopo aver visto la loro performance”, dice, proclamando il suo supporto per il membro dei BTS Suga.
Alcune delle attività della zona eventi allestita ai margini del concerto di sabato erano costituite da pareti fotografiche e uno studio fotografico, che permettevano ai fan di scattarsi delle foto con i BTS.
Un assortimento di cibi e merchandising venivano venduti in separate zone per cibo e bevande e aree per il merch.
Nel tentativo di rendere meno pesante l’attesa in fila la Big Hit ha sfruttato le applicazioni Weverse e Weply permettendo ai possessori di biglietti di navigare nell’arena del concerto e nelle zone circostanti.
Ai fan sono stati mostrati i tempi di attesa previsti per ciascun servizio nelle zone degli eventi e per l’entrata nello stadio, riducendo drasticamente il tempo di attesa, spesso molto prolungato, trascorso in fila.
Inoltre ciò ha aiutato i fan a risparmiare tempo passando attraverso il processo di verifica del proprio documento d'identità richiesto per entrare e ha permesso loro di acquistare i prodotti dei BTS. Un miglioramento dell'esperienza di concerto immaginata dalla Big Hit lo scorso agosto nel suo briefing aziendale.   
Su Weverse, un’applicazione di comunicazione tra i sette membri dei BTS e il loro pubblico, i fan erano in subbuglio da sabato, quando gli spettatori hanno condiviso il loro entusiasmo e le foto del concerto con gli altri fan.
Le zone degli eventi rimarranno fino a martedì quando l’area dello stadio Jamsil accoglierà l’ultimo concerto del tour mondiale dei BTS. Tour nel quale i sette hanno incantato più di un milione di fan in più di 20 città in Asia, Nord America, Europa e Arabia Saudita.”
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©Bea, ©CiHope) | ©YonhapNews
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roxan-world · 9 months ago
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Ci son cose che impari crescendo
e una di queste è quella di allontanare le persone che non aggiungono nulla alla tua vita, anzi tolgono.
Una volta aspettavo, pazientavo, facevo leva sul lato buono, perché tutti in fondo son buoni.
Oggi mi fai star bene o sei fuori dalla mia vita o comunque rimani ai margini e vale per ogni tipo di relazione, dall'amicizia all'amore, alla passione, a tutto.
Alcuni direbbero che sono diventata più stronza, altri menefreghista,
altri ancora intollerante, poco paziente,
egoista o quel che volete.
Io dico solo che ho imparato ad amare di più me stessa.
La vita è troppo breve per aspettare che le cose cambino, anche perché il più delle volte le cose non cambiano, anzi nell'attesa di un possibile miglioramento, peggiorano e continuano a ferirti!
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gazemoil · 6 years ago
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RECENSIONE: Fontaines D.C. - Dogrel (Partisan, 2019)
Dogrel significa filastrocca. È un termine antico di origine irlandese utilizzato con valenza negativa per indicare poesie dallo scarso valore letterario, versi considerati troppo facili o anche volgari. Fatti apposta, però, per arrivare a tutti, perfetti per scuotere le coscienze delle masse, aizzarle. Guidare la rivoluzione dal basso. È una parola che si accosta alla perfezione con il punk o perlomeno con la percezione iniziale che ne ebbe il ceto medio inglese negli anni ‘70. Non a caso, Dogrel, è stato scelto dai dublinesi Fontaines D.C. come titolo del loro disco d’esordio, diventando per la band una dichiarazione di intenti chiara e ambiziosa.
Il quintetto ha colto l’eco di quell’urgenza che una volta, agli inizi del novecento, muoveva il loro amato concittadino James Joyce - al quale devono praticamente la nascita della band stessa - scrittore che ha raccontato Dublino con tutti i suoi paradossi, volgendo uno specchio verso gli stessi abitanti nella speranza che essi si accorgessero della situazione critica della propria città. Nello stesso modo i Fontaines vogliono farci fare un viaggio nella Dublino di oggi, con la grande differenza che non nutrono una rabbia rivolta verso lo stato attuale delle cose piuttosto lamentano sulle comunità locali e la cultura a rischio di essere travolte dalla marcia della modernità. La preservazione del passato non è tanto segno di una mentalità obsoleta, quanto un atteggiamento comprensibile dato che Dublino è attualmente uno dei centri tecnologici più attivi d’Europa - con tutto l’aumento della disparità di reddito che ne deriva e la trascuratezza di un’unicità storica-culturale che inevitabilmente si sviluppa nelle isole. 
I Fontaines alimentano la miccia del revival egregiamente accesa l’anno scorso dai Parquet Courts e dai vicini Idles e Shame, ma seppur il loro minimo comune denominatore sia la capacità di incorporare i crismi del punk all’interno di un’attitudine - o di un’estetica - caratterizzata da un rifiuto dei cliché del genere e, contemporaneamente, da un appeal contemporaneo, il paragone con questi progetti diventa ad un certo punto poco funzionale. A differenza loro non vengono spinti dal fervore rivoluzionario di Joy As An Act Of Resistance né dal disgusto giovanile di Songs Of Praise: i Fontaines sono una band post-punk che rivendica una certa innocenza pre-punk. Inoltre, il frontman Grian Chatten - che canta con una cadenza parlata dal fortissimo e fiero accento irlandese - ha un’additudine svogliata che non raggiunge mai un volume alto, una ringhiata raspante, agghiacciante, come quella di un Joe Talbot o un Charlie Steen, ma non per questo meno espressiva. Siamo comunque difronte ad un leader che riesce a piacere, un irrequieto incrocio tra Mark E Smith e Ian Curtis, pur non essendo stilisticamente in prima persona vicino a nessuno dei due, e a momenti ricorda anche Morrissey, specie quando la sua voce si fa più melodica, come nel caso dei brani Television Screens o The Lotts. Musicalmente anche la prima ha un vago sentore à la The Smiths, mentre le linee di basso di entrambe sembrano uscire da un disco dei Joy Division. A livello stilistico è chiaro che la band incorpora tantissime ispirazioni che spesso esulano dal punk, per questo risultano molto melodici - non per tendere verso l’emo ma piuttosto verso la new wave. Abbiamo i momenti tenebrosi dei primi Cure ed il rock ‘n roll dei Clash, omaggiati chiaramente nel giro di basso di Sha Sha Sha. La sezione ritmica formata da basso e batteria è compatta e audace sia quando i ritmi si alzano sia quando si abbassano e i due chitarristi sono abili a dosare riff distorti e parti melodiche, mantenendosi comunque su uno stile suonato più jangle che rende evidente un certo interesse per il garage rock. I testi descrivono senza filtri, proprio come in un flusso di coscienza, il ceto operaio in una città in rapida gentrificazione e, insolitamente per un giovane paroliere, ci sono davvero pochi pronomi o storie personali nella sua scrittura, preferendo rivolgere l’attenzione verso l’esterno, catturando spezzoni di scene dublinesi che ne mettono in evidenza lo squallore, la violenza latente, magari circondate dalla bellezza innata della città.
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Dogrel ha la fortuna-sfortuna di contenere quasi tutte le tracce pubblicate fino ad oggi - su undici brani sei sono già sentiti - aumentando così la sensazione che ogni traccia abbia le caratteristiche per essere un singolo, ma diminuendo l’effetto sorpresa. Big apre il disco dichiarando “Dublin in the rain is mine, a pregnant city with a catholic mind” cercando di avere una certa incisività esplosiva degna di un apripista e continuando nel ritornello “My childhood was small, but I’m gonna be big” proiettandoci sempre con una certa ironia nella mentalità degli abitanti che nutrono cieche ambizioni guidati dalla bramosia. Too Real è forse l’unico momento in cui la voce si fa più sfrontata ed accesa, a pari passo col testo evocativo che calca sul realismo come una provocazione, mentre gli strumenti avanzano ad uno ad uno prima di esplodere in una rumorosa e ribelle introduzione che va a riequilibrarsi nella sua forma più melodica sulle strofe. Hurricane Laughter ci fa apprezzare le chitarre più ispide e pesanti che insieme al basso spesso ed ingombrante creano un mondo di caos, collisione e tensione tutto loro sul quale la batteria incalza come un cavallo a galoppo; Chatten entra tranquillo col suo fare flemmatico e ghiacciato per raccontarci il dramma di una città schiacciata dall’ipocrisia, impigliata nella fiducia inerme nelle istituzioni e privata della propria identità. “Cities barking by the windows screaming to exist / Not without the muted mind of priesthood so imperious”. La critica continua nella rombante Chequeless Reckless che si tinge di toni politici con una scrittura vivida e ancora più tagliente. “A sell-out is someone who becomes a hypocrite in the name of money / An idiot is someone who lets their education do all of their thinking”. Roy’s Tune è una sorta di mosca bianca all’interno della tracklist, caratterizzata da toni più riflessivi e da un'atmosfera amara e malinconica. Su questo versante ci sono sicuramente ancora margini di miglioramento, ma il tentativo di ampliare il raggio d’azione è apprezzabile. Durante i momenti conclusivi del disco il brano Boys In The Better Land si dimostra ugualmente urgente e critico con la società, ma ha tratti guizzanti che sostengono un testo molto ironico. “If you're a rockstar, pornstar, superstar, doesn't matter what you are / Get yourself a good car, get outta here”.
Dogrel non cambierà il punk e non innescherà alcuna rivoluzione, ma è un disco interessante in quanto distilla un sentimento che molti di noi possono nutrire nei confronti della propria città, quel rapporto di amore-odio verso il luogo in cui si è nati. I Fontaines D.C. hanno analizzato Dublino con consapevolezza, forse talmente tanta che chiunque altro al posto loro se ne sarebbe semplicemente andato. L'indole testarda e romantica li ha portati a restare, facendogli capire che il modo più efficace per sopravvivere psicologicamente in una grande città in continua evoluzione è assaporare i momenti più intimi.
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TRACCE MIGLIORI: Television Screens; Hurricane Laughter; The Lotts, Chequeless Reckless
TRACCE PEGGIORI: Liberty Belle; Dublin City Sky
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enkeynetwork · 9 months ago
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Abodi, per Euro 2032 gli stadi saranno pronti tra il 2028 e il 2029
AGI – “Ci sono ampi margini di miglioramento sul tema stadi in Italia ma bisognerà fare in modo che tutti gli stadi, dalla Serie A alla C, siano adeguati. Gli impianti per Euro2032 devono essere pronti almeno tre anni prima degli Europei, quindi diciamo 2028 e 2029”. Così il ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, a margine della tavola rotonda “Le nuove prospettive sulla riforma dello…
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soldan56 · 5 years ago
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Per stare più vicini dobbiamo stare più lontanti! Con il DPCM dell'8 marzo che ha introdotto le “aree a contenimento rafforzato”, tra le quali anche la provincia di Rimini, norme che ora sono state estese a tutto il territorio nazionale, sono cambiate anche le regole della casa e la nostra vita in comune. Nelle ultime settimane ci sono stati svariati momenti di confronto con gli abitanti e le persone che attraversano gli spazi del diurno, al fine di garantire il più possibile la comunicazione corretta e le regole di comportamento da tenere per tutelare la salute di tutti e tutte in questo momento così difficile per il nostro paese e la nostra città. La maggiorparte delle informazioni sono state fornite in più lingue ed anche tradotte nei dialetti locali dove possibile. Ringraziamo le tante realtà nazionali di un mondo variegato di realtà antirazziste che hanno svolto un ruolo fondamentale nel combattere l'emergenza sanitaria dal punto di vista delle migrazioni e delle necessità di fornire strumenti multilingue per far comprendere al meglio la situazione. Dall'8 marzo la presenza delle nostre operatrici/attiviste è limitata alle necessità inderogabili, abbiamo sospeso lo Sportello d'ascolto ed anche lo Sportello del progetto Help/Oltre la strada almeno fino a nuove comunicazioni. Vogliamo fare anche noi la nostra parte per sconfiggere la diffusione del COVID19 e limitare gli spostamenti è una di queste. Facciamo tutti e tutte un passo indietro, per farne mille in avanti dopo e insieme! Continuiamo a dare sostegno, per quanto possibile, alle persone senza casa solo all'esterno degli spazi di Casa Don Gallo, questo per preservare i 39 abitanti fra cui un dializzato, molte persone con cardiopatie, diverse malattie croniche e persone con distrurbi etnopsichiatrici ma anche perchè crediamo che nessuno debba rimanere solo o sola in questo momento. Lo spazio diurno è accessibile solo agli abitanti e a tre persone fra cui due donne in particolare condizione di vulnerabilità, che non vogliamo lasciare sole. Abbiamo chiesto per loro una soluzione che ancora non è arrivata. Mentre scriviamo sono in corso delle rivolte nelle carceri di questo paese, vogliamo esprimere la nostra preoccupazione rispetto alla condizione delle persone ristrette a causa delle condizioni carcerarie come denuncia da tempo Antigone ( https://urly.it/34qyc ). Detenuti e persone senza dimora, sono i grandi assenti di questa emergenza sanitaria. Don Gallo diceva: dimmi chi escludi e ti dirò chi sei! Ecco questo dice molto della nostra società attuale. Da quando sono stati attivati i primi DPCM e le prime ordinanze non è mai stato stilato un protocollo di intervento a livello Ministeriale per queste persone e per i progetti specifici, nonostante in Italia siano stimate circa 55mila persone senza casa alle quali si aggiungono le migliaia di migranti fuoriusciti dai Cas e dagli Sprar per effetto dei Decreti sicurezza ( https://urly.it/34qy8 ). Non si è sentita una parola, nessun giornalista ha volto lo sguardo su queste situazioni. Questo deve essere motivo di riflessione. Se vogliamo combattere la diffusione di questo virus, lo dobbiamo fare tutti e tutte insieme, pensando ai diritti e alle tutele di tutte le vulnerabilità in campo. Anche delle persone invisibili e di chi si occupa di loro. Ci preoccupa, inoltre, che questa situazione possa lasciare ancora più ai margini le persone prive di diritti e senza casa, persone di fatto più esposte alle malattie a causa delle condizioni di deprivazione materiale che vivono quotidianamente che sono l’effetto di un sistema diseguale che va cambiato. I primi effetti della diffusione del COVID19 sono già da più di due settimane la chiusura dei dormitori, dei servizi docce, della distribuzione del vestiario, chiuse anche le mense che distribuiscono all'esterno solo cestini e le persone senza casa sono esposte così h24 alle intermperie. Questa è la situazione. Per questo questa mattina durante un incontro in Comune per fare il punto con le realtà cittadine che si occupano di persone senza dimora, abbiamo manifestato la necessità di attivare una cabina di regia di gestione sociale dell'emergenza sanitaria per chi è senza casa, capace di dare risposte efficaci e rapide a questa situazione che si protrae già da tempo senza linee guida comuni. Dovrebbe avvenire in ogni territorio. Inoltre è necessario potenziare finanziamenti e la rete dei progetti dedicati, perchè come per il Servizio sanitario e i fondi all'assistenza per le disabilità anche i progetti sociali e le politiche abitative hanno subito ingenti tagli a favore della rendita e speculazione edilizia o ad interventi spot e di stampo assistenziale. E questa è la situazione attuale. Dobbiamo vincere la sfida contro Covid19 e dobbiamo fare in modo che questo comporti un miglioramento in generale della società, un cambio di rotta che metta al centro il bene comune, la salute delle persone, i loro bisogni e le risposte necessarie che servono. Stiamo pensando ai idee creative per continuare a tenere viva la solidarietà ora che per stare vicini dobbiamo stare più lontani. UNA CASA PER TUTT* Casa Don Gallo Associazione Rumori Sinistri onlus
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