#che ce vogliamo fa amici miei
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Allora per me dipende dal sentimento, personalmente da italiano a me verrebbe naturale dire 'Usa la tua lingua oggi!' perché è più in linea con qualcosa che diremmo a Roma - un'alternativa è 'Usiamo la nostra lingua oggi' che è il plurale neutrale, come a coinvolgere un po' tutti.
Almeno se ho capito di che stiamo parlando, il mio francese è buono ma il mio gaelico gallese un po' meno.
Beth yw 'Use Your Language Day' yn Gymraeg? Diwrnod Defnyddia Dy Iaith? Efallai rhy anffurfiol, ond cyflythreniad hyfryd, ta beth.
#non so manco sicuro che se dice gaelico gallese onestamente#che ce vogliamo fa amici miei#in alternativa 'parla come magni oggi'#molto romano lmao#use your language day
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Quasi giunto a fine vacanza, prossimo al rientro. Ho deciso di mandare un messaggio a una persona che non vedevo da trent'anni e con la quale c'era un caffè sospeso e promesso online ormai da tempo. E' stato splendido incontrarla: eravamo compagni di classe alle medie. E quanta vita e quante cose ci sono state in mezzo, e quanto è stato bello ascoltarla e vederla e sentirsi raccontare tutta la vita che ha vissuto, le cose terribili a cui è sopravvissuta, e vederla brillare perché ce l'ha fatta ad uscirne; vedere la sua luminosità e sentirmene contagiato. Mi ha fatto un gran bene. E più tardi di nuovo al parco, con altri due amici speciali e i loro bambini a giocare assieme ai miei, e a farci sentire il reciproco calore di persone che godono la reciproca compagnia senza volere, senza pretendere niente. A volte non lasciamo che queste cose accadano: non c'è tempo, abbiamo altro da fare, siamo stanchi, non ci va di uscire, ci fa male tutto, abbiamo sonno, qualcuno brontola, non vogliamo problemi, non ci sembra appropriato, vogliamo isolarci, ci piace essere tristi, ci piace stare soli, vogliamo leggere, non vogliamo vedere nessuno... la lista è lunga. Io le ho tutte, a turno. Ma. Ma è davvero bello riuscire a sentirsi connessi ad altre persone, come naufraghi su zattere diverse, dirsi: ecco, così stai a galla tu, così invece faccio io, ma il cielo, il mare, le tempeste e le bonacce, è tutto un unico viaggio. Ed io sono te, e tu sei me; e tutti siamo tutti ed alla fine, forse, non c'è il nulla, non c'è un aldilà, non c'è la reincarnazione, ma solo un infinito, caldo e confortante abbraccio.
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Hei notturni come state? Non mi sono più fatta sentire, mi sono chiusa un po' in me stessa ma alla fine neanche quella è la soluzione giusta o forse un po' si, mi fa bene pensare ma non troppo, perché poi scatta la depressione.
Ho lasciato il lavoro, era una merda, non sono fatta per quelle cose, ho bisogno di interagire con le persone, voglio che siano felici. Non ho ancora capito che lavoro mi piacerebbe fare ma sicuramente a contatto con la gente...
Sono giovane, so che ho ancora molto tempo per capire la mia strada ma non lo so, mi sento indietro in ogni cosa che faccio.
I miei amici hanno il lavoro, la macchina bella, convivono e hanno figli... Sono felici? Sinceramente non lo so, ma sicuramente sanno che fare ahahahah
... È un periodo un po' buio per me, credo che febbraio nel complesso sia stato un mese molto cupo, notizie brutte, casini con il mio ex migliore amico, con la mia ex...
So che non devo pensare al passato perché non serve a nulla, ma come si fa se mi viene a bussare la porta ogni giorno? Io ci ho provato ad andare avanti giuro, mi sono impegnata ma nulla ancora qua sono, intrappolata in un tunnel temporale.
D**** lo conosco da quasi 10 anni e B* da quasi 4...sono stati importanti per me ma ora sinceramente non so che fare, mi stressano, già ho i miei problemi, loro mi complicano il tutto. Sempre a scrivermi, vogliono vedermi BASTA NON NE POSSO PIÙ. Manco posso dirlo però perché non mi ascoltano, loro pensano a se stessi non so se hanno paura di rimanere soli o sono ossessionati da me. B* mi vuole sempre vedere, quando usciamo mi parla è normale dai, prova a baciarmi ma easy so cavarmela mentre d**** mi chiede quando ci sono per uscire a parlare almeno 4/5 volte al giorno, È STRESSANTE. Ha dei problemi non so, ma bastaaaaa!! Arrenditi d**, eri innamorato probabilmente lo sei ancora ma non puoi continuare così sai? Ti distruggi dentro, io non ti voglio e mai ti vorrò. Devi allontarti da me, farà male ma già ce la stavi facendo, continua e poi è inutile starmi vicino, vogliamo cose diverse, hai 22 anni e devi andare avanti per la tua strada e lasciarmi andare sulla mia, cazzo, non puoi dire di non averci provato. Sarai per sempre nei miei ricordi come la persona con più guinness record per non essertene andato via da me e averle provate tutte ma veramente tutte.
Però tutto arriva ad un limite e io e te l'abbiamo superato. Io con te a fianco non posso conoscere nuove persone, avere un* fidanzat*, essere tranquilla perché tu mi porti stress e io non posso piu reggerlo okay? Non mi lasci avere nuovi rapporti perché ti intrometti sempre e mi fai rovinare l'inizio di un qualcosa. Non te ne accorgi ma purtroppo credo tu lo abbia sempre fatto. Il 90% delle persone sono scappate da me per colpa tua. Non voglio darti colpe assolutamente però, sai rifletti un po'...forse esageri no? Ammettilo a te stesso che vivrai meglio. Impara a conoscerti e a migliorarti.
Io non sto bene, sto cercando lavoro, non trovo nulla, sono disperata, le cose con mamma non vanno per niente bene okay?
Litighiamo sempre, ci diamo contro, non sappiamo più ascoltarci, lei pensa a se stessa e io scappo, credo.
Non si sta più bene nemmeno in casa, cosa che prima amavo. È tutto strano, voglio andare via da qua. Non credo che sia il mio momento di creare un futuro cercare qualcuno e magari avere una famiglia.
Sono in un'altro Mood, ho bisogno di fare nuove conoscenze, ho bisogno di viaggiare, scoprire nuovi luoghi, culture, ho bisogno di guadagnare proprio per capire cosa vorrò fare nella vita: chi voglio essere?.. per capirlo bisogna avere la mente libera e sicuramente due soldi quindi mi sa che a breve parto lascio i miei problemi qua e mi faccio una bella stagione e, a settembre, si vedrà...
So solo che qua ora non sto bene e non ci voglio più rimanere. Fumo un sacco, penso da sola, piango e ascolto un sacco di musica. L'unica persona che mi ascolta e mi fa svariare è tipo la mia migliore amica credo, non so, è una persona che dal nulla è diventata molto importante e ne sono felice, ragiona come me, ci troviamo un sacco, sono contenta.
Mi dispiace per b* ma non so che fare io non riesco più a sopportare il suo carattere, ha dei comportamenti molto particolari con me e non mi piacciono. Ha degli sbalzi d'umore incredibili e io già ho i miei se mi prendo anche i suoi CIAO non esco più da sto tunnel, giuro ..non so come arrivare alla luce, è veramente difficile. Avrei avuto un qualcosa con lei tempo fa, ma serio eh, però ho capito che non fa per me, è durata finché durata ma basta non me la sento più, non so se riusciremo a stare amiche che si vedono ogni tanto ma non credo proprio, lei è gelosa protettiva non accetterà mai questo. O tutto o niente, quindi ci starò male ma prima o poi la lascerò continuare a percorrere la sua strada in totale libertà, lei non ha bisogno di me, in fondo è vario forte e troverà sicuramente una persona adatta a lei e soprattutto che sappia prenderla con il suo carattere tosto...non è da tutti, molto impegnativo...le voglio bene e rimarrà sempre nel mio cuoricino ghiacciato.
Comunque in realtà questa lettera volevo scriverla perché ho appena finito di guardare un episodio di Un professore, sono le 04:16 del 1 marzo (speriamo sia un mese ricco di belle novità) e ad una certa è finito e così a caso mi è venuto un flashback del passato. Ho provato a cercare nella chat di V** la frase "ti voglio bene" e sapete cosa? Non l'ha mai detto. Pazzesco oh
Vabbè ora basta, credo di essermi sfogata abbastanza
Provo a dormire buonanotte.. <3
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DIRITTO D'AUTORE E CONTENUTI
Ogni tanto degli amici mi mandano una clip condivisa da disco_bambino, che io nemmeno guardo perché conosco a memoria tutti i video degli artisti italiani più conosciuti pubblicati su YouTube da anni, oltre al fatto che già li conoscevo perché ho visto la TV per tutti gli anni '80 e '90. Allora, molti di questi video, già pubblicarli per la prima volta è una violazione del diritto d'autore, accettata perché diventano contenuti culturali che qualcuno ha registrato dal televisore, conservato e praticamente inediti. Sulle reti private potrebbe essere anche l'unico materiale, ma se parliamo di trasmissioni RAI, lì la cosa è un po' diversa, c'è un archivio pubblico, con tanto consultabile gratuitamente. Lo scaricare il materiale già pubblicato per metterlo sulla propria galleria è anche sfruttamento, perché lo usi come contenuto, che per contratto con il social dovrebbe essere originale o dovresti possederne i diritti.
Contenuti di cui non si rispetta il formato, gli si mette il proprio logo, ce ne si impossessa proprio. Anni fa ci si lamentava che in TV i film non erano come al cinema, adesso è peggio, ma va bene. Poi si compravano le cassette duplicate al mercato, adesso invece si va da Giuseppe Savoni, ma come si va da altri, perché pagine simili ce ne sono diverse. Parlo di questa solo perché oltre ad essere condivisa dagli amici mi viene proposta frequentemente anche dal social stesso favoreggiando la violazione dei diritti.
Nessuno mette in dubbio che si sia riusciti a concentrare un pubblico, molto banalmente secondo me, ma cosa si propone? Essendo materiale già pubblicato qual'è l'apporto culturale che ne si ha nella società? Nullo. Comprare uno dei nunerosi libri sulla canzone italiana può essere più impegnativo che guardarsi un video sui social, senza descrizione, senza nulla. C'è da dire che ormai non conoscere certi classici della musica popolare è molto tipo non sapere chi ha scritto Cenerentola, ma siamo a questi livelli, c'è bisogno di chi lo ribadisce.
Potrei capire se ad interessarsi siano dei giovanissimi, ma qui ci troviamo proprio su un mercato che già conosce la proposta e diventa una questione sociale.
Per curiosità sono andato a vedere che volume di utenti movimenta una pagina come questa e troviamo 90 mila followers su IG, con 79 che seguono anche i miei contenuti, e già questo fa riflettere.
Su Spotify abbiamo invece 1041 seguaci con 2011 sulla playlist più seguita, ma cosa c'è in questa playlist? Due ore di brani commerciali ancora frequentemente trasmessi da molte radio, presenti praticamente ovunque.
Se vogliamo considerare i contenuti commerciali prodotti per il mercato popolare dei documenti di antropologia culturale credo che come minimo ne si debba rispettare la forma e il contesto di origine, ma evidentemente per tanti è più importante crearsi un pubblico che acculturarlo ed ecco che l'ovvio diventa un elemento in cui riconoscersi
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Cosa dovrebbe rappresentare questo post?
È, innanzitutto, la versione rimaneggiata di qualcosa che ho scritto ormai un anno fa - edulcorata, anzi, perché sono tante le cose successe, e molte di esse credo non abbiano bisogno di troppo dettaglio per capirne la gravità.
In secondo luogo, questa è la storia dell’abuso che ho subito. Una serie di fatti molto intimi che ho sempre faticato ad esprimere, la cui pubblicazione in questo blog spero mi aiuti a fare un altro passo verso quella catarsi di cui nonostante tutto evidentemente ho ancora bisogno.
I TW si sprecano - si parla di tentato suicidio, di autolesionismo, ma soprattutto si parla di abuso. Abuso mentale e fisico, probabilmente anche sul piano sessuale; abuso che è avvenuto prima che diventassi maggiorenne, per mano di una persona che a sua volta non era maggiorenne neanche l’ultima volta che ci siamo parlati. Procedete, consci di questo, a vostro rischio e pericolo.
Prima, però, mi preme particolarmente aggiungere due precisazioni. Chiamatelo mettere le mani avanti, chiamatelo come volete, ma rileggendo quello che ho scritto trovo necessario aggiungere altro contesto per chiarire la mia posizione.
Primo punto: alcune delle cose descritte potrebbero essere interpretate come dettate solo da ignoranza e immaturità adolescenziale. E se in parte lo trovo vero, è vero anche che non è mai esistita rettifica a questa ignoranza: il mio punto di vista indipendente e autonomo è sempre stato sminuito, e quando c’è stata la possibilità di rientrare in contatto con me per porgermi delle scuse, invece, tutto quel che ho ricevuto sono stati messaggi minatori da parte di scagnozzi accaniti che mi minacciavano con i peggiori scenari di morte e distruzione. Non mi interessa se è stato frutto dell’ignoranza, a questo punto, dopo tutto quello che è successo, ha ampiamente smesso di essere una scusante alla luce dell'incapacità di prendersi la responsabilità di certi commenti e certe azioni.
Secondo punto: lo so anche troppo bene che parecchi mi vedranno come attore arrivo, e penseranno “beh, ma potevi scegliere di non fare quello che ti diceva, no?”
È una cosa che mi dico spesso anche io. Certo, nessuno mi legava le mani, nessuno mi puntava una pistola alla testa: è stato il pensiero che fino ad ora mi ha fatto credere che sotto sotto allora non sono mai stata davvero una vittima, forse sotto sotto è sempre stata colpa mia, il fatto che si siano perpetrate certe azioni. Poi, però, mi ricordo che c’era un motivo se mi costringevo ad agire.
Questa persona aveva così tanto il mio cuore e il mio cervello tra le mani che era riuscita nel compito di convincermi che il rischio che si ammazzasse fosse vivido, reale e plausibile. Mancata obbedienza, quindi, poteva significare solo una manciata di cose: che aprisse la finestra nel cuore della notte e si buttasse di sotto, che smettesse di mangiare e di bere, che andasse in cucina e si infilasse un coltello nella gola, magari pure mentre era a casa mia! E a quel punto, con un cadavere tra le braccia, cosa avrei dovuto fare? Come avrei dovuto spiegare quanto successo, quanto odio mi sarei tirata contro per aver permesso una simile tragedia? E cosa ne sarebbe stato di me, improvvisamente sola per una colpa che era soltanto mia?
Non sarebbe mai stata una semplice insubordinazione fine a se stessa. Non era mai semplice come aprire la bocca e dire no; non c’erano alternative. E se ancora c’è qualcuno che dubita, che pensa che invece avrei potuto benissimo tirarmi indietro, allora rispondo solo questo: mi sarebbe tanto piaciuto avercela, la tua tenacia. Ma ero debole, sola, triste e spaventata, e questa persona ha fatto in modo che tutto questo andasse a favore delle sue manie di controllo
Detto questo, vi lascio al resto.
Sono giorni che penso a come mettere tutto questo per iscritto, se fosse più giusto un flusso di coscienza, una cronologia, o chissà cos’altro. Ci sono tante cose che non ho mai detto a nessuno e che sono rimaste a fermentare, a volte nascoste, a volte meno, all’interno della mia testa, appesantendomi di un carico che non ho mai meritato di portare. Una quarantena più tardi, e tante, troppe occasioni di rimanere sdraiata sul letto a fissare il soffitto a lasciare che certi incubi risorgessero dalle gole del mio cervello stanco, però, ho iniziato a rendermi conto che non è un bagaglio che posso permettermi di nascondere ancora tanto a lungo.
Non so ancora che forma prenderà tutto questo; non so se vedrà mai la luce, se lo leggerà mai qualcuno, se rimarrà solo a me.
Probabilmente ne uscirà il quadro di una persona profondamente disturbata, con qualche tipo di problema più grande di lei, incontrollabile, spaventoso — e forse è così. Anzi, probabilmente è così — probabilmente non ho avuto le armi giuste per affrontarlo. Ma vorrei anche mettere le mani avanti, dire che il disturbo di qualcuno non dev’essere un pretesto per il mio dolore; e che, soprattutto, negli anni in cui si sono susseguiti questi fatti ero una bambina.
Tutto questo è accaduto prima dei miei diciotto anni. Tutto questo è successo in un periodo estremamente delicato della mia esistenza, in cui non stavo vivendo solo i classici e naturali cambiamenti adolescenziali di corpo e spirito: in mezzo a incertezze, dubbi, perplessità, confusioni, solitudini, sensazioni di estraniamento dai miei pari, era anche il periodo in cui ero affetta da quella che riesco solo descrivere come un’ansia paralizzante, che a posteriori posso dire aver inficiato in maniera rilevante sul mio funzionamento quotidiano, almeno all’epoca. Tutto questo lo dico non per elicitare compassione, ma solo per dare il quadro della mia persona: una costituzione mentale estremamente debole, mediamente disperata, e sorprendentemente prona allo zerbinismo.
È solo un caso che XYZ sia arrivata nella mia vita in un periodo così difficile, ma non è un caso, credo, che ai tempi mi ci sia attaccata con le unghie e con i denti. Un’amicizia come questa io non l’avevo mai avuta, un’intesa così con qualcuno non mi era mai capitata — e non c’erano motivi per avrei dovuto sospettare qualcosa, poiché non c’era niente da sospettare. Il corso delle cose, da quello che è iniziato come un legame puro e che è arrivato poi ad un abuso perpetuo vero e proprio, è stato talmente subdolo che è stato solo quando ne sono uscita che ho capito tutto il male che mi era stato fatto.
Proprio per questo mi è difficile per me capire da dove cominciare. Non aiuta il fatto che, per quanti siano tanti gli “aneddoti” che purtroppo costellano la mia testa, non sia facile per me trovarvi una collocazione in una linea temporale. È un rimestarsi di fatti che si accavallano gli uni sugli altri, di memorie, gesti, parole, che a volte da soli non significano niente, ma che se si guardano da lontano, se si osservano insieme a tutti gli altri, solo allora iniziano a delineare il profilo reale di quegli incubi che ancora mi perseguitano.
E proprio perché mi è difficile capire da dove è cominciato tutto posso solo partire dalla bandierina rossa più banale, ma anche la più insidiosa. Perché XYZ ci ha messo qualche mese a svelarsi per quanto fosse possessiva e controllante nei miei confronti: all’inizio, quando sei una ragazzina sola e che fatica a relazionarsi col prossimo, la possessività sotto sotto è una lusinga. Qualcuno ci tiene a me, ti viene da pensare — per qualcuno sono importante, se allora sono queste le reazioni che hanno nei miei confronti. Ci si crogiola in questa illusione anche quando la morsa inizia a stringere, e respirare diventa faticoso: accorgersi che qualcosa non va non è necessariamente qualcosa che arriva col dolore, con la paura, con l’angoscia; non quando il tuo attaccamento nei confronti di colei che ti sta trattando come il suo trastullo era così intenso.
Il suo bisogno di controllo nei miei confronti prendeva tante sfumature differenti. C’erano le accezioni più classiche; il bisogno di controllare ovunque fossi, con chi fossi, quando, come, dove e perché. Erano poche le attività che potevo intavolare di mia sponte; i suoi amici erano i miei amici, i suoi interessi i miei interessi, le sue attività le mie attività. Se non ero reperibile, se uscivo di casa, se “sparivo” per un po’ — non era l’epoca degli smartphone, quella — o anche solo se la mia attenzione verteva altrove per qualche secondo, era un altro il controllo che subentrava.
Quello nei confronti del mio umore. Un muro di silenzio e di freddezza scendeva quando qualcosa non gli andava a genio, senza che nessuno dei miei sforzi di capire quale fosse il problema fosse mai in qualche modo fruttuoso: era un gioco perverso in cui più cercavo di venirle incontro e più lei mi feriva, senza nessun tipo di volontà di rappacificare (se mai ci fosse qualcosa, da rappacificare — ho idea che la maggior parte delle volte non fosse che l’ennesimo capriccio, un esercizio di stile, se vogliamo, per vedere se la sua presa su di me fosse così salda da riuscire pure a contagiarmi con qualsiasi vago tono morale avesse deciso di far prevalere. E sì, ci riusciva molto bene).
Tutto quello che andava bene a lei, insomma, doveva andare bene anche a me: non esistevano compromessi, ogni tentativo di tirarsi indietro era un tradimento, un’offesa, un atto di guerra. Ricordo che solo nelle ultime volte in cui ci vedevamo riuscivo a ribellarmi nonostante dentro soffrissi ancora da morire; ricordo con lucidità quando dopo un ennesimo futile litigio tornai a casa senza di lei, trovai sua madre, e mi sfogai piangendo per come non ce la facessi più a gestirla.
Ma così mi sto avvicinando troppo alla fine, dando quasi l’illusione che XYZ sia stata solo una persona estremamente controllante e possessiva. Da una parte sì, da una parte la maggior parte dei problemi che mi affliggono tuttora riguardano proprio il mio terrore di vedere la mia libertà in qualsivoglia modo limitata.
Dall’altra non siamo che all’inizio.
Come dicevo, il suo controllo si estendeva un po’ a qualsiasi cosa.
L’anno in cui ci siamo conosciute è stato anche l’anno in cui ho iniziato a capire che forse forse il mio orientamento sessuale non fosse necessariamente il più dritto di tutti. Qualche tempo dopo, ho iniziato a capire che nemmeno la mia identità di genere lo era.
Quando si ha una persona così vicina accanto, in genere, è una delle prime a cui lo si dice. E non ci si aspetta di sentirsi dire che quello che vogliono per te è che tu trovi un uomo che ti ami e che non puoi non essere né maschio né femmina, devi scegliere. Per l’amor del vero, spezzo una lancia per quanto riguarda la prima frase — che non rimane, comunque, in alcun modo meno dolorosa — in quanto la sua posizione è cambiata, anche se non necessariamente per il meglio. Ma la seconda frase l’ha pronunciata quando il tutto era ormai agli sgoccioli; una pugnalata, quando si cerca di barcamenarsi nel tentativo di capire chi si è e cosa si vuole essere.
Ma, come è facile capire, non potevo decidere di essere qualcosa, perché prima di tutto io ero sua. Ero il suo trastullo e il suo divertimento; quindi dovevo essere ciò che voleva lei. Dovevo seguire i suoi canoni, le sue decisioni e le sue prese di posizione: in quello che non so neanche più spiegare se sia una sperimentazione, un genuino interesse o una mezza perversione, tra le due io dovevo essere il maschio.
Io il cavaliere senza macchia, lei la damigella da proteggere e salvare. E non parlo neanche per esagerazioni: dovevano essere i nostri ruoli fissi, e anche il mio mostrare debolezza, o incapacità di sostentarla, era visto come un attacco.
Mi sento ancora, in realtà, come se stessi continuando a danzare intorno al fulcro della questione, forse ancorandomi ancora al tentativo di dare una coerenza narrativa a quello che in fondo non è altro che uno sfogo. O forse esito, come ho sempre fatto, a dare forma alle cose più gravi: quelle che persino adesso mi sembrano assurde, e di cui non riesco a credere di esser stata parte complice.
Complice, mi dico, quando è chiaro che il mio ruolo è stato quello della vittima: ma non è facile operare questa distinzione, non ancora, nemmeno quando sono passati tutti questi anni. Ma ciò di cui ho appena parlato può forse servirmi come punto di slancio, perché il suo bisogno di essere salvata non era un bisogno di una spalla su cui piangere.
Non ho mai capito da dove arrivasse il suo fanatismo; forse era solo una perversione, forse qualcosa di più grave, che non mi interessa né mi compete di indagare. Vorrei ricordarvelo, ero una ragazzina quando tutto questo aveva luogo — e pure avessi provato a suggerirle di cercare aiuto professionista, la sua risposta sarebbe stata una sola.
Che gli psicologi sono inutili e bugiardi; che la psicologia è una disciplina inutile, e che se qualcuno sta male basta prendersi degli psicofarmaci. Non so se abbia cambiato idea, non mi interessa: l’unica cosa che vorrei aggiungere è che, allora, alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” In quel periodo avrei risposto senza battere ciglio “la psicologa”. Giusto per ribadire che non avevo la possibilità di scegliere cosa volessi essere, perché tutto quel che decidevo per conto mio incontrava quasi sempre la sua disapprovazione.
Tornando a noi, ciò di cui aveva bisogno di salvarsi era, spesso e volentieri, se stessa. O almeno così mi voleva far credere — ho ragione di pensare che ci fosse ben poco di vero, negli scenari terrificanti di cui mi voleva convincere di essersi cacciata con le sue stesse mani. Il problema è che, allora, le riusciva veramente bene di convincermi: ero sicura che si sarebbe buttata dalla finestra, che si fosse davvero infilata un coltello in un fianco, che avesse fatto davvero overdose di farmaci, che si stesse davvero tagliando le vene. A posteriori, i segni sul suo corpo di molte queste auto-aggressioni non li ho mai visti — ma che ragione avevo, all’epoca, di dubitare? Ero spaventata, non potevo vivere con la consapevolezza che se si fosse fatta del male sarebbe stata colpa mia, perché l’unica volta in cui l’ha fatto davvero è un trauma che ancora mi rimane. Non servivano discussioni serie per usarsi come ostaggio nei miei confronti; bastava un lieve disaccordo, o un cambio nell’atmosfera che non riguardava neanche me, perché con la scusa di farsi un bagno si calasse nell’acqua bollente fino a stare male. A raccontarlo o a immaginarselo, forse, fa pure un po’ ridere — ma non è stato divertente tirarla fuori da una vasca mezza svenuta, tutto questo per farmi avere paura.
Motivo per cui non volevo che si facesse del male in maniera irreparabile, come spesso, sempre, continuamente minacciava di fare. Motivo per cui dovevo salvarla, aiutarla ad espiare qualsiasi cosa la stesse attanagliando, e i metodi con cui farlo li sceglieva lei.
Mi vergogno molto di quello che sto per scrivere. Mi vergogno e mi sento male, in tutta onestà — e non so perché sento il bisogno di continuare a giustificarmi, ma non ho mai provato alcun tipo di soddisfazione in tutto questo. Il mio unico conforto era la consapevolezza che allora non si sarebbe uccisa, e questo per me valeva lo schifo che ero costretta a fare.
Lo dirò senza troppi giri di parole.
Il primo metodo era scrivere scenari di violenza esplicita nei suoi confronti. Questo da solo non è bastato tanto a lungo, e non era utile quando eravamo fisicamente insieme: allora il secondo metodo era la punizione diretta, che si concretizzava in lei che mi ordinava di farle del male, altrimenti si sarebbe ammazzata davanti ai miei occhi.
Non mi ricordo bene quante volte sia successo; ricordo solo che piangevo, tanto, tutte le volte. E che poi stavo male in segreto — perché lei stava finalmente di nuovo bene, io avevo fatto la cosa giusta, e non dovevo appesantire di nuovo l’atmosfera con il peso della mia dissonanza che mi ha schiacciato così forte da farmi dimenticare tutto questo per tutti gli anni e anni e anni in cui tutto questo è rimasto seppellito in fondo alla mia memoria.
Mi ero completamente persa. Non avevo più una dignità o una morale; tutto quello che facevo era in funzione di lei. Se stavo male, se soffrivo, se non volevo continuare, me lo tenevo per me.
Quando mi ha messo le mani addosso senza che io sapessi di preciso cosa stesse succedendo, approfittandosi interamente dello squilibrio di consapevolezze tra di noi; e quando nella nostra intimità successiva non mi ha più toccato, alienandomi completamente dal rapporto, non mi lamentavo neanche più.
Quando mi ha costretto ad agire certe pratiche su di lei nonostante i miei tentativi di dire di no, e quando subito dopo ho avuto una reazione di rifiuto così forte da sfociare in iperventilazione e attacco di panico, con tanto di se non volevi potevi dirlo detto dalla sua voce, ho imbottigliato subito tutto e ho fatto finta di niente.
Il punto di rottura è arrivato tardi, e purtroppo non è stato lo strappo netto che avrei voluto. Non lo è mai, in queste situazioni: c’è sempre il tentativo di ricucire, riparare, ritornare a quel finto idillio la cui unica sicurezza che regala è quella della prevedibilità, pure se è la prevedibilità della sofferenza.
Nacque da un pretesto stupido, da lei che mi dice che sua madre, all’ultimo momento, non vuole portarmi in vacanza con loro; e io che non ci sto, non ci sto a farmi trattare come un pupazzo per l’ennesima volta, e me ne torno a Firenze. Questo è l’inizio di un tira e molla che si è susseguito quasi per un anno; in cui lei inizialmente mi dice che dovevo combattere, che dovevo farmi valere su sua madre, che evidentemente a noi non ci tenevo abbastanza; e che durante la vacanza che poi riusciamo comunque a fare mi porta, poi, a fare da reggimoccolo ad un appuntamento con un altro ragazzo, calpestando i miei sentimenti e la mia dignità di persona. Tutto questo mentre, tecnicamente, eravamo in una relazione.
Un inseguirsi in cui lei scatena in me le reazioni di gelosia peggiori che abbia mai avuto, testando ancora e ancora e ancora la mia pazienza mentre lascia che una certa persona continui a flirtare con lei anche quando le ho chiesto, disperatamente, di smettere di darle corda. Un tentare di ripristinare il suo controllo assoluto in cui lei mi minaccia di seguirla ad una fiera del fumetto che non ho i soldi né il tempo di raggiungere; in cui mi dà della disorganizzata, dell’irresponsabile, della noncurante — e una mia resistenza iniziale, che capitombola di nuovo nel mentire a mia madre mentre scappo nella città dove XYZ vive per cercare di fare pace.
Tutto questo mentre emergevano segreti e parole; mentre il suo aspetto di santa cadeva, e le corna palesemente mi si appesantivano sulla sua testa via via che venivo a sapere che le sue relazioni con altri ragazzi non erano necessariamente solo di amicizia pura e casta.
Era chiaro però che le cose non potevano più rimanere come erano, e che non ne potevo più. Un’altra persona stava entrando nella mia vita, e nuove conoscenze mi stavano staccando dalla dipendenza morbosa che ancora mi legava a XYZ — senza la quale, prima del loro arrivo, sarei rimasta completamente sola.
Me lo ricordo, quel litigio che abbiamo avuto in un ambiente un po’ troppo pubblico. Quello in cui mi sono liberata di tante cose, in cui le ho urlato in faccia — probabilmente con troppa cattiveria — che era una persona falsa, bugiarda, che mi aveva fatto del male ancora e ancora e ancora e che non gliene fregava niente. Me lo ricordo, il mio tentativo di dividermi da lei; che è caduto però su terreno totalmente infertile.
Perché la sua conclusione da quel litigio fu che non tenevo abbastanza a lei; che l’avevo delusa, ma non perché avevo finalmente detto la verità — quella, evidentemente, non l’aveva proprio ascoltata. L’avevo delusa perché a detta sua non ero pronta a dire a tutti che stavamo insieme; non ero pronta a rendere pubblica la nostra relazione.
Detto questo, letteralmente qualche giorno dopo ha provveduto a trovarsi un fidanzato di copertura. “Perché i miei non capirebbero”, disse, ed era un vero peccato che lui non sapesse affatto di essere una presunta copertura, e che me li sia sorbiti, di nuovo, mentre mi si sbaciucchiavano davanti al naso.
A quel punto ero stanca. Dignità, amor proprio, morali, valori, orgoglio, coscienza — avevo già perso tutto, ed ero esausta come non mai. Posso solo ringraziare, in quel momento, di aver avuto accanto la persona che ho tuttora; quella che ha deciso comunque, pur sapendo della mia relazione, di confessarmi i suoi sentimenti per me, sentimenti che per altro già ricambiavo da un po’.
A quel punto, dopo esser stata usata, calpestata e maltrattata da XYZ, mentre lei “faceva finta di stare” con un ragazzo con cui a poco a poco approfondiva la loro intimità, trovare qualcuno che mi amasse davvero è stata la cosa che mi ha salvato, e mi ha concesso di distaccarmi da lei.
Non prima, naturalmente, di trovarmi XYZ sotto casa per ben due volte. Non prima di vedermi recapitati a casa dei fiori, con incredibile imbarazzo mio e di mia madre; non prima di essermi trovata la cassetta della posta gonfia di lettere firmate col suo nome, sia spedite che imbucate a mano (e vorrei ricordarlo, non vivevamo nella stessa città).
Solo dopo che, in un’ultima visita in cui ho tentato in tutti i modi di farle capire, di nuovo, che non volevo più stare con lei, ha preso il mio telefono senza dirmelo e ha letto i messaggi che io e l’altra persona ci scambiavamo. Solo allora ha capito che era tutto finito, che non volevo più il suo controllo sulla mia vita, e dopo un suo ultimo plateale gesto che alludeva al volersi buttare dalla finestra — non mi fa onore, ma non ho provato niente, in quel momento, se non rabbia — l’ho ritirata per i capelli dentro casa e me ne sono andata.
Sono sparita, o almeno ci ho provato. Ha continuato a contattarmi, trattandomi meglio di quanto mi avesse mai trattato in quegli ultimi anni; le ho dato corda per pietà, ricordandole cortesemente che non volevo più avere a che fare con lei (gentilezza, masochismo — non lo so, non so che nome dare a tutto questo; forse i rimasugli di un’obbedienza che è rimasta viva fino all’ultimo, per quanto agonizzante) se non in modo superficiale, e mi sono finalmente decisa a bloccarla ovunque potessi quando ha avuto la geniale idea di fare outing sul mio orientamento sessuale a persone a cui non ero ancora effettivamente pronta a farlo.
Ci ho messo un po’, ma alla fine se non altro ce l’ho fatta.
I suoi sgherri hanno continuato a cercare di contattarmi. A dirmi che la stavo uccidendo, che stava rifiutando di curarsi (?) per colpa mia, ma quel gioco aveva smesso di funzionare. Mi stavo liberando, catena dopo catena, lucchetto dopo lucchetto, di un regime di terrore che mi aveva assoggettato per anni; lei credo abbia continuato a inseguirmi anche dopo, e ho anche ragione di credere che un’amicizia che credevo sincera con un terzo soggetto non fosse, in realtà, che l’ennesima marionetta mandata a controllarmi [aggiornamento: motivo per cui, quando qualche tempo fa ho visto la sua richiesta d'amicizia spuntare su Facebook, ho trovato ridicolo che avesse avuto anche solo lontanamente il coraggio di mandarmela visto e considerato che gli ultimi messaggi nella chat di messenger erano palesemente inviati da XYZ che si fingeva quest'altra persona prima di bloccarmi]
È passato tanto tempo.
Sono passati tantissimi anni dall’ultima volta che l’ho ufficialmente tagliata fuori dalla mia vita, e una parte di me è convinta che io non debba fare altro che lasciar perdere. Che il passato è passato, e che non devo permettere che influisca più di me più del necessario.
Per quanto abbia ragione, però, rileggo tutto questo, penso agli anni che avevo, alle fragilità che avevo un tempo, e su quante cose io non sia andata nel dettaglio, quante piccolezze magari io non abbia menzionato (come la sua chiara consapevolezza che le condizioni economiche mie e sue fossero ben diverse, eppure mi spingesse comunque a pagare sempre io le nostre uscite ((chi mi conosce lo sa che sono la prima a propormi se ho la possibilità di farlo)); oppure, cosa davvero stupida, la sua totale ingratitudine laddove l’ho aiutata con elementi dei suoi cosplay che avevo fatto io; ma anche solo l’aver invitato, alla mia festa di compleanno a sorpresa, un tizio per cui avevo espresso chiaramente la mia antipatia, visto il suo eccessivo e insistente provarci con me) e quanti sicuramente siano ancora sotterrati nella mia mente per il bene della mia salute mentale — e allora diventa un pochino più facile smettere di biasimarmi per il terrore che provo tutte le volte che la vedo menzionare, per il malessere che mi assale quando uno nuovo di questi pezzetti emerge nella mia memoria e si erge, vivido e truce, tra i miei ricordi.
Ci sto provando, a dimenticare. Ad archiviare questa parentesi come qualcosa che non può più toccarmi, e nonostante certe debolezze ancora siano lì, credo di starmela cavando sempre meglio. Anche se ancora salto tutte le volte che vedo qualcuno che le assomiglia; anche se ancora sento le ginocchia di burro quando qualcuno mi ricorda che esiste.
Non c’è una vera conclusione; c’è la consapevolezza che tante di queste cose le sto mettendo a parole per la primissima volta, e la sensazione è meno pesante di quello che avrei creduto. Credevo che il gesto della scrittura avrebbe reso il tutto troppo concreto, ma è stupido pensarla così — dopotutto questi non sono pensieri ossessivi originati dalla mia testa; sono cose che sono già successe, che sono già concrete. Scriverle, elaborarle, è un modo come un altro di metterci un’etichetta sopra: forse, magari, così sarà più facile capire subito dove devono andare, quando dovrò mettere a posto.
E comunque i capelli li avevo sempre voluti colorati.
Non c’era bisogno di comportarsi come se l’avessi fatto per farti un dispetto.
L’aveva sempre saputo, gliel’ho sempre detto.
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La mia storia non ha un inizio chiaro e per adesso nemmeno una fine. Fin da piccola non ho mai avuto una vera passione per qualcosa, sono sempre stata una di quelle ragazze che non avevano niente da fare oltre ad una cosa: voler bene alle persone che conosce. Non che tutto ciò sia veramente una passione o un “talento”, ma a me bastava, mi piaceva vedere i miei amici ridere e volermi bene e tutt’ora mi piacerebbe essere amata e apprezzata per la mia solarità, ma le cose si stanno complicando, la mia fiducia è l’unico problema qua. Ah la fiducia, questa strana cosa che non tutti hanno, io ce l’avevo. Che cos’è? È la cosa più essenziale per amare qualcuno e con “amare” non intendo baci, sesso o cose così, con “amare” intendo un affetto grande che non si limita soltanto ad un’attrazione sessuale, ma molto di più. Solo che l’amicizia è molto più complicata: quando ti innamori diventi cieco ed è semplice dimenticarsi gli errori della persona che si ama, ma l’amicizia ti risveglia, ti fa aprire gli occhi ed è impossibile non accorgersi degli sbagli altrui; anche volendo, quando una persona ti è amica, tanto amica tu pretendi tutto alla perfezione, come se fosse un suo dovere, ma indovina...non lo è. Ma lo capirai sempre, sempre tardi, penserai che il mondo, la vita ce l’abbia con te, come se non ci fossero altre persone nella tua stessa situazione, invece ci sono. Siamo così poco originali noi umani, stiamo sempre lì a dire che ognuno è diverso dall’altro, invece siamo tutti accomunati da due cose che tutti, e dico tutti hanno: la stupidità e la sofferenza. Siamo stupidi perché vogliamo esserlo, perché quando una persona è stupida può ignorare tutto, mentre una persona intelligente pur volendo non ci riesce, la persona stupida lascia stare, quella intelligente lotta perché pur considerandosi “molto sveglio” e pur capendo che il mondo è una merda continua a lottare pensando di poter aggiustare tutto. Le persone stupide non vogliono capire queste cose, non saprebbero nemmeno farlo ed è questo che gli rende unicamente i più forti in questa terra. Gli stupidi sono intelligenti, come gli intelligenti sono stupidi. La sofferenza anche se causata da vari motivi è sempre quella, più o meno intensa, poi siamo noi a reagire in diversi modi: ci sono quelle persone che ti tagliano, altre che si ammalano diventano bulimici, anoressici, altre che ricorrono alla morte e infine quelli che non fanno niente. Si, hai capito bene: non fanno niente, ed è questo il vero problema: ridono, scherzano senza mai smettere. Queste persone vorrebbero essere fissate negli occhi e avere continue domande come il famoso e troppo frequente “come stai?”, una domanda che le persone odiano, non perché non vogliono dire come stanno, ma più che altro perché è falsa. Troppa falsità nelle parole, troppa falsità in tutto.
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Campioni del Mondo (s)
Sono passate due settimane e solo adesso riesco a ripensare a quella sera, a rivederla con occhi più distaccati, e riesco anche a scriverne.
E' la sera della finale dei mondiali di calcio. Domenica sera. Tutti gli amici a casa propria, a vedere la finale insieme alla propria
ragazza, al proprio ragazzo, marito, compagno.
Perché? Per condividere la gioia o l'eventuale dolore durante e dopo la partita, abbracciandosi, baciandosi, gridando insieme, facendo
l'amore. Si, sono convinta che il motivo sia soprattutto questo.
Domenica sera, serata di finale. E Susy con chi la guarda la partita?
Come per altre partite, ci ritroviamo a casa di Stefano. Tutti "singles" (odio questa parola) come me. Io sono l'unica donna. Chiaro, lle altre o sono col partner oppure odiano il calcio.
Non che io sia una esperta, anzi. Tengo per l'Inter, e questo la dice lunga.... Ma quando gioca la nazionale mi prende qualcosa dentro, non
riesco nemmeno a pensare di non gioire o soffrire al fianco della mia squadra, della nostra squadra, della nostra Italia. E poi mi piacciono
i giocatori, anche se hanno dei look assurdi, come Gattuso e Camoranesi. Ma a parte chi si atteggia a prima donna (leggi Totti-DelPiero) gli altri ci mettono il cuore e l'anima e io li adoro tutti.
Domenica sera, a casa di Stefano. Da lui perché ha una TV fantastica, è un maniaco della tecnologia, rinuncia a tutto ma non all' "home
theatre". Sicuramente lo sta pagando a rate. E sicuramente ci guarda i porno. Tra l'immagine e il suono sembra di essere in campo. Iimmagina quando sullo schermo scopano....
Domenica sera, io da sola con quattro ragazzi, Stefano, Marco, Luca e Massimo. Nessun problema. Siamo amici da una vita, ci frequentiamo spesso ma nessuno di loro ha qualche interesse verso di me, né io
verso di loro. Quidi non ci sarà mai nulla tra di noi. Forse anche perché c'è giā stato... in varie occasioni mi è capitato di andare a letto con ognuno di loro. Non proprio tutti, Massimo è il fratello
di Luca, e ha 18 anni appena compiuti. Secondo Luca non è mai stato con una ragazza. A me non interessa, non ho nessuna intenzione di fargli da scuola.
RIpensandoci è curioso che io abbia fatto sesso con tutti e tre... È un caso, non è che mi sono fatta tutti i ragazzi che frequento! Anzi no, non è affatto un caso: probabilmente è il motivo per cui riusciamo a stare insieme cosė bene in gruppo: ci conosciamo bene, non ci sono invidie, desideri nascosti, secondi fini... Abbiamo provato a fare coppia, non è andata, bene, adesso siamo amici.
Forse riesco ad avere con loro una amicizia quasi maschile, una complicità, la cosa risulta lampante quando parliamo di donne... o quando mi invitano per le partite.
Domenica sera, finale della Coppa de Mondo. Una pizza mangiata in fretta e con lo stomaco quasi chiuso, per come stavamo soffrendo, e per il rigore subito. Pizza e birra. Non ci è venuto in mente niente di meglio per una finale di coppa del mondo. Pizza per l'Italia. Birra alla salute dei tedeschi, padroni di casa ma castigati con un due a zero senza appello.
Secondo tempo, di male in peggio. Siamo uno a uno, ma i francesi attaccano, ci pressano nella nostra area per minuti che sembrano ore.
Non può finire così, non deve finire con un gol dei francesi.
I miei amici soffrono. Soffrono nello spirito e nel fisico, è incredibile, si legge sui loro volti la tensione, è come se stessero giocando loro la partita. Doveva essere una bellissima serata, e invece sembra la notte prima degli esami di maturità. Mi guardano con occhi tristi e imploranti, come se io potessi fare qualcosa, come se potessi
cambiare le sorti della partita. In realtà mi rendo conto che sono il loro unico pensiero possibile per non pensare al fatto che stiamo per perdere un'altra finale, e ancora una volta con la Francia.
Un po' per questo, un po' perché il caldo con la tensione è diventato ancora più insopportabile, mi sbottono la camicetta facendo in modo che mi buttino un'occhiata almeno quando la palla va in rimessa laterale o il gioco si ferma per un fallo.
Vedo dei sorrisi, dei timidi accenni di sorriso sui loro volti, e allora mi faccio coraggio e lascio cadere a terra la camicetta, come una consumata spogliarellista.
Sono soddisfatta di quello che sto facendo, la partita resta durissima, sono ancora tesi ma molto meno abbacchiati di prima. Mi sembra che si
siano ricaricati, lo sento dalle grida con cui incitano i nostri
giocatori, sentono che ce la possiamo fare, anche se oggettivamente il possesso di palla è quasi sempre francese. E vediamo ancora molti
passaggi intercettati dai francesi a centrocampo, che ci fanno incazzare da morire.
Senza pensarci tanto su, lascio cadere a terra anche i pantaloncini. In realtà ci ho pensato. Ho pensato che vedermi in reggiseno e slip non è poi tanto diverso dal vedermi in costume. Ed ho un bel completino, colorato, allegro e per niente volgare. Certo, il perizoma lascia il
mio culetto quasi completamente nudo, ma non è una novità per nessuno, ripeto.
Quasi nessuno. Massimo, il diciottenne, è visibilmente distratto dalla partita, ed anche visibilmente eccitato.
Ma non me ne curo, il mio scopo è solo tirare un po' su il morale a questo gruppetto di tifosi sofferenti.
E funziona. Passo in mezzo a loro seminuda e lascio che mi appoggino la mano sul culo: sono diventata il loro portafortuna. Mi siedo sulle
ginocchia di qualcuno, quando il gioco necessita attenzione. Tutti tranne Massimo... solo a guardarmi sembra talmente eccitato che temo che se mi sedessi su di lui non riuscirebbe a trattenere un orgasmo, e
non voglio metterlo in imbarazzo di fronte a suo fratello e ai suoi amici.
Sono la loro mascotte ormai... e la cosa non mi dispiace affatto. So di avere bisogno di attenzioni, e di essere un po' esibizionista, e mi sto
godendo questo momento sperando di poterlo ricordare per sempre insieme alla vittoria.
Ma la vittoria è sempre più lontana... nei tempi supplementari
continuiamo a soffrire, e sembra che basti un niente, una minima distrazione di Cannavaro, perché la Francia chiuda la partita.
Sto soffrendo anch'io, non solo loro. Non se ne rendono conto perché mi vedono fare la cretina, ma ho un'ansia che mi distrugge.
I miei amici cominciano a disperare... se si va ai rigori si sa che ce la prendiamo nel culo ancora una volta, è matematico... iniziano a
girare frasi del tipo "beh, se vinciamo io faccio...", " se vinciamo io smetto... ", "darei tutto per questa vittoria"
Non so da quale parte del mio cervello sia uscita, ma sento la mia voce che dice: "Ragazzi, se vinciamo faccio tutto quello che volete per
un'ora!"
Un attimo di improvviso silenzio, quattro sguardi su di me, ma nessun commento. Un secondo dopo tutti a urlare verso lo schermo. Un fallo,
poi l'espulsione di Zidane portano via definitivamente l'attenzione da quello che ho detto.
Mi ritrovo a pensare che con la Francia in dieci potremmo chiudere la partita, e ho un brivido misto di piacere e di timore per la vittoria e per quello che ho promesso. Ma se vinciamo avranno ben altri pensieri per la testa, posso stare tranquilla, non mi hanno presa sul serio.
Finiscono anche i supplementari, si va ai rigori. Sono rassegnata alla sconfitta, ma contemporaneamente sollevata.
E invece è andata come sapete. Cinque tiri, cinque gol. Come se l'avessero fatto apposta. Per farmi dispetto. Così imparo a uscirmene con certe promesse!
I miei amici comunque pensano a tutto tranne che a me. Nessun accenno alla mia frase.
Siamo Campioni del Mondo!!! Esultiamo, saltiamo, ci abbracciamo, ci baciamo sulla bocca ma in questo momento di gioia nessun altro bacio
sarebbe possibile. Per Massimo è una festa doppia. Sento che per lui questo bacio, questo abbraccio hanno un gusto diverso. Non so se io sono davvero la prima ragazza che tocca, ma sicuramente ricorderà a
lungo questo contatto.
Continuiamo a fare casino per tutto il tempo della cerimonia, stappando bottiglie e riguardando i filmati della partita. Ad un certo punto Marco propone di prendere la macchina e a andare in centro a festeggiare per le strade, e fare il bagno nella fontana di piazza Brà. Sembrano tutti entusiasti dell'idea, ma Stefano li frena:
"primo, ci sono in giro migliaia di persone che guidano ubriache e secondo me in centro non ci arriviamo senza qualche ammaccatura"
"secondo, la Susy deve mantenere la sua promessa. Magari tra un'ora possiamo ripensare di uscire. Ma adesso, chi ce lo fa fare?
L'importante è fare festa, e noi la faremo qui."
Quasi non lo riconosco. Non può aver parlato così, non può essere lo Stefano che conosco...
Invece fa sul serio, e ha convinto tutti, non ha dovuto insistere molto. Luca e Marco cercano di difendermi; penso che non lo faranno, per la nostra amicizia e per la presenza di Massimo. E invece lo faranno proprio per Massimo.
Stefano insiste e ne fa una questione di rispetto delle regole e della parola data. E lascia a me la decisione finale: rispettare la promessa
o sottrarmi perdendo la faccia di fronte a tutti.
Sa quanto sono orgogliosa e sa che sfidandomi accetterò.
E infatti dico "va bene."
Stefano è un leader. In questi momenti tira fuori la sua autorità e comanda tutti a bacchetta:
"le regole sono semplici: abbiamo quindici minuti a testa da passare con Susy e chiederle tutto quello che vogliamo. Siccome nessuno ha piacere che le sue cose si sappiano in giro, useremo quella stanza, e nessuno spierà né origlierà. In questo modo chi vuole potrà anche
passare il suo quarto d'ora a chiacchierare senza essere sputtanato per tutta la vita. E anche Susy immagino sia più felice così"
Annuisco. In fondo gli voglio bene.
"Non ho finito. Abbiamo 15 minuti a testa, ma se qualcuno ha piacere di
condividerli con un amico, i minuti diventano 30. Susy non dovrebbe avere problemi... e comunque la sua promessa non le lascia possibilità di opporsi. I limiti ovviamente ce li poniamo noi, siamo persone civili, siamo suoi amici e le vogliamo tutti bene."
Sono pronta. Faccio solo una richiesta: "voglio scegliere io il primo, e voglio che sia Massimo"
Accettano. Lo prendo per mano, mi sembra quasi che tremi. Ci avviamo verso la porta della camera e la chiudo a chiave alle nostre spalle.
Quello che è successo dopo è un'altra storia....
Ho voluto raccontarvi questa storia perché adesso sapete chi dovete ringraziare se siamo
CAMPIONI DEL MONDO
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THAT’S ALL FOLK(LORE)
Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. E folklore, l’ottavo album a sorpresa di Taylor Swift, è esattamente questo. È anche un capolavoro, forse IL capolavoro, ma è, prima di tutto e soprattutto, il colpo di genio teorizzato dal Perozzi di Amici miei.
Tuttavia quella definizione, declinata al 2020, è monca: bisogna per forza aggiungervi anche “noia”.
Perché più che il contratto poté la quarantena.
Mentre noi ci parcheggiavamo davanti alla tv per vedere Giuseppe Conte fare nomi e cognomi, o per cercare di carpire da Benedetta Rossi il segreto del pane fatto in casa, e poi litigavamo sulla portata del termine “congiunti”, Taylor Swift si metteva di buzzo buono e scriveva un disco. Così, ex nihilo.
Immagino sia questa la differenza che corre tra un’Artista col pedigree e noialtri comuni mortali, svaccatori seriali, rassegnati all’idea che “tanto moriremo tutti”, come ci insegnava vent’anni fa Wilhelmina Packard, e allora che senso ha sbattersi?
Deve essere bello riuscire a vedere un’opportunità in ogni difficoltà, anziché una difficoltà in ogni opportunità come invece faccio io (ma questo solo se ho gli occhiali: senza non vedo né l’una né l’altra, e allora forse non è poi tanto male).
Perché le cose sarebbero potute andare diversamente. Anche Taylor avrebbe potuto passare tuttu lu jornu a fa’ lu pà e a fettà lu ciauscolo, indossando lo zinale invece del cardigan, e con in mano lo ramarolo invece della chitarra. Meno dea dal multiforme ingegno e più vardascia. Una di noi, insomma. Ma si può accettare di buon grado un divario siffatto; si può rinunciare a una certa dose di identificabilità, se poi noi (svaccatori seriali ma col pane fresco) ne guadagniamo un disco come folklore.
Che è tutto, e pure di più.
Il 23 luglio, quando, all’improvviso, Taylor ha annunciato con un tweet che di lì a poche ore sarebbe uscito TS8, album su cui ancora non avevamo nemmeno iniziato a fantasticare, a meno di un anno dall’uscita di Lover, io ero (svaccata, cvd) sul divano a guardare i Simpson. La mia timeline, me compresa, è andata da 0 a 100 in due decimi di secondo: gente che urlava, gente che si chiedeva se fosse uno scherzo, gente che chiamava il cardiologo perché temeva di infartare, altra gente che invece chiamava il proprio ministro di culto per fare ammenda dei propri peccati perché sì, insomma, Taylor Swift che annuncia un album dal nulla, senza proclami, bandi, gride manzoniane, conti alla rovescia, indizi, senza niente di niente, è il segnale più incontrovertibile che l’apocalisse è prossima. Ancor più di una pandemia, diciamocelo, è Taylor Swift che sposta gli equilibri globali.
Già nell’agosto 2017 aveva modificato lo status Qui Quo Qua di tutto il mondo mondiale pubblicando quella misteriosa clip di un serpente per annunciare l’arrivo di reputation, ma l’agitazione provocata da folklore è di tutt’altra natura; intanto perché relativa a qualcosa di totalmente inaspettato: nemmeno nei nostri wildest dreams potevamo immaginare che in quest’anno di tribolazione e miseria avremmo avuto un regalo simile. Una cosa buona nel 2020, vien quasi da chiedersi cosa ci sia sotto.
Allo stato di febbrile eccitazione senza precedenti ha poi contribuito il cambio di genere, con una virata inaspettata dal pop all’indie folk, e il colpo di grazia l’hanno dato le otto differenti copertine dell’edizione deluxe, che è un po’ come trovarsi in pizzeria e andare nel panico perché si deve ordinare un solo piatto e non tutto il menu.
Ora, non è la prima volta che Taylor si avventura nel folk, ma la splendida Safe & Sound, scritta (e interpretata) per il film Hunger Games insieme al duo The Civil Wars, è stata fino a oggi l’unica incursione nel genere che fosse possibile portare a esempio, e sembrava destinata a restare tale per sempre. A onor del vero, già It’s Nice To Have A Friend aveva un gusto alternativo, e forse avrebbe trovato collocazione più adatta proprio in folklore che non in Lover (se non fosse che, all’epoca, folklore non esisteva nemmeno, quindi quella canzone è destinata a pagare lo scotto della sua ricercatezza con uno snobbamento generale. Chissà che ora le cose non cambino…).
Se vogliamo, un assaggio di come potrebbero apparire i testi di Taylor ammantati di sonorità diverse dalle sue tradizionali (cioè il country e il pop) ce l’ha dato Ryan Adams con il suo cover-album di 1989. Anche se l’idea di base è interessante, non si può, tuttavia, dire che l’esperimento sia riuscito. Se alcune reinterpretazioni in chiave alternative-rock dei brani di Taylor hanno funzionato abbastanza (penso a Welcome To New York, Bad Blood), altre invece ne hanno stravolto completamente la natura e il senso (Blank Space, Shake It Off), risultando banali e noiose, e comunque tutte uguali, tanto che si riesce a distinguerle l’una dall’altra solo perché si conoscono i testi. Quel che mancava a quel progetto era, tra le altre cose, il cuore: è abbastanza ambizioso prendere le canzoni di qualcuno come Taylor, che ha fatto delle emozioni (sue e, in una sorta di rapporto empatico, di chi ascolta) il proprio cavallo di battaglia, e pretendere di riuscire ad avere lo stesso impatto emotivo.
E proprio perché Taylor è una cantautrice di razza, per lei vale per forza l’espressione “se vuoi che le cose vengano bene devi fartele da solo”. O, comunque, con l’aiuto di poca gente che si sa fidata o dalla maestria indiscussa (penso a Andrew Lloyd Webber con cui Taylor ha scritto Beautiful Ghosts, che è tanto meravigliosa quanto il film cui è stata destinata, Cats, è abominevole). Ecco allora, per esempio, che tra i co-autori qui compare di nuovo Jack Antonoff, che ha collaborato con Taylor alla scrittura di alcuni suoi pezzi più belli (per citarne solo un po’: The Archer, Death By A Thousand Cuts, Getaway Car).
E il risultato, ma non c’è bisogno che ve lo dica io che sono di parte (però ve lo dico lo stesso), è fenomenale.
Ora, direi che è inutile dilungarsi ulteriormente, e andiamo al sugo di tutta la storia. Ladies and gentlemen, cari amici vicini e lontani, vardasce di ogni ordine e grado, ecco a voi
il Tomone 5.0™ . THERE GOES THE LOUDEST WOMAN THIS TOWN HAS EVER SEEN the 1
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
La prima canzone dell’album segna un po’ il passo per tutto il resto, dando un assaggio della malinconia che, dove più e dove meno, lo pervade.
In particolare, qui si guarda al passato e ci si ferma a pensare a come diversamente sarebbero potute andare le cose (“If one thing had been different / would everything be different today?”). E sebbene c’è sì una punta di mestizia, tuttavia non c’è quel rimpianto duro e puro che si può individuare in altri brani come Last Kiss, Back To December, I Almost Do o Sad Beautiful Tragic.
Intanto, in the 1 si riflette da un punto di vista di conquistata serenità (“I’m doing good, I’m on some new shit”; “And it’s alright now”), e immagino che sia proprio per questo che non fa tanto male cercare di capire come sarebbe il presente se si fossero prese decisioni diverse. Infatti si dice che sarebbe stato “piacevole” se l’altra persona si fosse rivelata quella giusta (“But it would’ve been fun / If you would’ve been the one”), e non che la propria esistenza avrebbe svoltato definitivamente e ora non c’è proprio più alcuna possibilità che migliori e tanto la vita è miseria e poi si muore. Non è andata, pazienza. È bello da ricordare, ma nulla per cui serva a qualcosa dolersene ora.
#AlcoholicCount: 1 (rosé)
#CurseWordsCount: 2 (shit)
#FavLyrics: “But we were something, don’t you think so? / Roaring twenties, tossing pennies in the pool” cardigan
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
cardigan è il primo singolo estratto, con tanto di video musicale girato e prodotto durante la quarantena. Non si il tormentone estivo, è semplicemente una canzone che crea l’atmosfera confortevole e rassicurante dell’abbraccio di un caldo cardigan. Checcefrega del cileno e checcefrega se è luglio. Cardigan sia.
(vorrei che sia messo a verbale che, mentre scrivo queste righe, mio fratello gira per casa gridando “Cardigaaaan, cardigaaan” sulla melodia di Sandokan)
La particolarità di questa canzone è il far parte di un trittico, insieme ad august e betty. Come Taylor stessa ha dichiarato, nei tre brani viene raccontato di un triangolo adolescenziale, di un amore giovane e immaturo destinato a disintegrarsi (“You drew stars around my scars / but now I’m bleeding”). Il triangolo è narrato da altrettanti punti di vista. In particolare, cardigan dovrebbe essere il punto di vista di quella che poi sarà individuata come Betty, che scopriremo essere stata tradita da James. Proprio qui si fa riferimento all’inseguire due ragazze e perdere quella giusta (ovviamente la diretta interessata si ritiene tale): “Chase two girls, lose the one”.
Non solo, ma c’è anche un riferimento che ricorre, qui e in betty, cioè l’immaturità giovanile: “When you are young, they assume you know nothing” e “I’m only seventeen / I don’t know anything […]”. Immaturità, dei due, che però caratterizza soltanto James: “‘cause I knew everything when I was young” sono infatti le parole di Betty. La ragazza, proprio in quanto meno scema, ha anche provato a cambiare il finale della loro storia, probabilmente perché aveva intuito che era destinato a essere — e in effetti è stato — come quello di Peter Pan (“Tried to change the ending / Peter losing Wendy”): Peter, che si rifiutava di crescere, ha dovuto dire addio a Wendy che, di ritorno dall’Isola che non c’è, è andata avanti con la sua vita.
(e comunque Peter Pan era un cagacazzo, ma chi te vòle aho #TeamUncino4Evah)
Anche il riferimento ai sampietrini (cobblestone) ricorre in entrambi i brani. Qui mi sembra quasi come se il rumore dei tacchi sui ciottoli (che si sente anche nella canzone) funzioni come una sorta di trigger, ed è per questo che Betty si trova a fantasticare su un amore perduto ma mai dimenticato (“But I knew you’d linger like a tattoo kiss / I knew you’d haunt all of my what-ifs / the smell of smoke would hang around this long”).
Quanto al video, anche questo diretto da Taylor come già quello di The Man, ha trovato l’approvazione di mio fratello (sì, quello di prima, quindi non so quanto valga ‘sta cosa). Io ho trovato di particolare impatto la scena del pianoforte quale àncora di salvezza in un mare in tempesta: mi ha fatto venire in mente la frase “People haven’t always been there for me, but music always has”.
In effetti, il video stesso potrebbe far pensare a una metafora ben più ampia: si parte da una stanzetta piccola, circoscritta e protetta (Taylor che fa musica per il gusto di farlo), poi ci si addentra — letteralmente — nel pianoforte e ci si ritrova in un ambiente più vasto e molto diverso, una foresta magica e rigogliosa (una carriera ormai avviata, il successo, sperimentazione di nuovi generi). Quello che colpisce però è la solitudine, l’unica compagnia è sempre quella del pianoforte (è una sorta di sineddoche: la parte per il tutto, in questo caso lo strumento per la musica). Tant’è che nel testo si dice chiaramente “A friend to all is a friend to none” (inutile circondarsi di tanta gente, le squad che tanto facevano parlare i media, che poi alla fine di vero non c’è nulla). Poi la tempesta colpisce, la stessa tempesta che ha portato a reputation, e infine si ritorna alle origini, si ritorna alla stanzetta, alla musica per amore della musica. E in effetti folklore, nato in un periodo sui generis come il lockdown dovuto a una pandemia, è proprio l’esempio perfetto di arte per arte. Un album nato per l’umanissima esigenza di esprimersi liberamente, e non per rispettare i termini di un contratto.
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Tried to change the ending / Peter losing Wendy” the last great american dynasty
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
La mia canzone preferita di tutto l’album. Anche se epiphany e seven (e forse anche mad woman) (e forse anche betty) (e forse anche my tears ricochet) (ochèi, sono un tantino in difficoltà) le contendono da molto vicino la posizione più alta del podio, per ora questa persists and resists.
Il brano ha un po’ il sapore di Starlight, in quanto anche qui si raccontano le vicende di persone realmente esistite. Se là protagonisti erano Ethel e Bobby Kennedy (anche loro una dinastia americana), qui è Rebekah Harkness (con una breve menzione al secondo marito William).
Rebekah Harkness, detta Betty (ma non la stessa Betty), è stata una compositrice, scultrice e filantropa statunitense. Con immagini un po’ gatsbyane, Taylor ci accompagna attraverso un matrimonio incantevole e tuttavia pacchiano, feste eleganti e tuttavia rumorose, e poi, dopo la prematura morte di Bill, attraverso una girandola di situazioni che tradiscono lo spirito evidentemente moderno, e il temperamento estroso, della vedova (“Filled the pool with champagne and swam with the big names / and blew through the money on the boys and the ballet / and losing on card game bets with Dalí”; “And in a feud with her neighbor / she stole his dog and dyed it key lime green”). Tra l’altro, nel corso della canzone, ci si riferisce a lei con i superlativi “maddest” (la più pazza) e “most shameless” (la più senza vergogna), probabilmente giudizi che la comunità riservava a chi non viveva seguendo determinate convenzioni (una donna, per di più! Orrore e raccapriccio!).
Interessante è il riferimento a Salvador Dalì, non un semplice tocco di colore: le ceneri della Harkness, infatti, riposano in un’urna progettata dall’artista, dal valore di 250.000 dollari. Can’t relate: la mia urna potrà al massimo essere una scatola da scarpe.
Quel che mi piace della canzone è anche il legame tra la protagonista e Taylor stessa: quest’ultima, infatti, ha acquistato la casa di Rhode Island, la “Holiday House” che qui si menziona, in precedenza appartenuta a Rebekah. Un passaggio di testimone. Mi ha fatto venire in mente la serie antologica Why Women Kill, in cui la medesima abitazione fa da sfondo alle vicende dei personaggi nelle varie epoche in cui l’hanno rispettivamente abitata (1963, 1984 e 2019).
#AlcoholicCount: 1 (champagne)
#CurseWordsCount: 1 (bitch)
#FavLyrics: “They say she was seen on occasion / pacing the rocks staring out at the midnight sea / and in a feud with her neighbor / she stole his dog and dyed it key lime green” exile (feat. Bon Iver)
[Taylor Swift, Justin Vernon, William Bowery]
Non si faceva un tale parlare di “esilio” dai tempi di Ugo Foscolo, il quale si esiliava da solo ogni trenta secondi (e se ne lamentava pure), perché probabilmente non aveva di meglio da fare. Aprite infatti un social a caso, e ci sarà uno swiftie che starà struggendosi ascoltando exile. E a ragione, perché è un pezzo splendido.
Si tratta di una collaborazione con il gruppo indie folk Bon Iver. È da The Last Time, con Gary Lightbody degli Snow Patrol, che non si aveva un duetto tanto bello. Per fortuna, l’esecranda e improvvida versione di Lover con l’altrettanto esecrando Shawn Mendes è stata ben presto derubricata ad “allucinazione collettiva” ed è come se non fosse mai esistita.
La voce di Justin Vernon, frontman dei Bon Iver, bassa e vibrante, contrasta con quella delicata di Taylor, in piacevole gioco di chiaroscuri, per fondersi meravigliosamente sul finale.
Il contrasto, tuttavia, non è solo sonoro, ma anche concettuale. La canzone, infatti, offre i punti di vista di entrambe le persone coinvolte nella relazione naufragata. Da un lato, c’è chi soffre nel vedere quanto velocemente (“And it took you five whole minutes / to pack us up and leave me with it”, dove quel “five whole minutes” è ironico) l’altra persona si sia dimostrata capace di voltare pagina (“I can see you standin’, honey / with his arms around your body); dall’altro c’è chi si era resa conto che la relazione era sempre stata precaria (“Balancin’ on breaking branches”; “We always walked a very thin line”).
È un continuo rimarcare due posizioni ormai non più conciliabili: “You never gave a warning sign (I gave so many signs)”. In realtà, c’è una cosa su cui sono concordi entrambi: che la storia ormai è finita. Il ritornello, infatti, seppur con minime differenze, è lo stesso per entrambi, e viene cantato dapprima singolarmente e poi insieme.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “You’re not my homeland anymore / so what am I defending now? / You were my town / now I’m in exile seein’ you out” my tears ricochet
[Taylor Swift]
Il punto di vista di questa canzone è peculiare a dir poco: è quello di una persona trapassata e remota, insomma, morta hai presente la tua maestra la signorina Brenda è morta sparita per sempre morta di una morte orrenda e super dolorosa andata andata andata come il tuo cane il mio cane è morto l’ho messo sotto con la macchina quando sono arrivato tutti quelli che ami intorno a te stanno morendo. L’ambientazione, infatti è una veglia funebre, con tanto di frase cerimoniale di circostanza (“We gather here”).
Solo su questa canzone si può scrivere una tesi di laurea. Taylor ha dichiarato che il pezzo racconta di un “tormentatore incattivito” che si presenta al funerale del defunto oggetto della sua ossessione. Intanto, è curioso l’uso del termine “tormentor”. Non un amante, non una persona cara (sarebbe stata una canzone anche romantica, se così fosse stato), ma un “tormentatore”, una figura negativa: un oppressore, insomma.
Non è un caso che, stando alla teoria che va per la maggiore nel fandom, la canzone riguardi la vicenda Big Machine e le ribalderie messe in atto da quei tangheri ciurmatori di Scott Borchetta e Scooter Braun.
È indubbio che, per molto tempo, il rapporto tra Taylor e la sua prima etichetta fosse stato buono (“Crossing out the good years”), tanto che è stato un fulmine a ciel sereno vedere come sono andate a finire le cose (“Did I deserve, babe / all the hell you gave me? / ‘cause I loved you / I swear I loved you”).
Tutta la questione dei master mai restituiti (“You wear the same jewels / that I gave you / as you bury me”; “You hear my stolen lullabies”) è stato un vero picco di meschinità da parte dei pitocchi di cui sopra, e Taylor non ha potuto far altro che rendere la cosa pubblica, sollevando un polverone (“I didn’t have it in myself to go with grace”), a cui i due pisquani hanno risposto che “noooo, ma figurati se non vogliamo restituirle i master, certo che glieli restituiamo, le diamo un album vecchio per ogni album nuovo che lei butta fuori, una roba super ragionevole, quasi beneficenza, eh, in dodici, toh, massimo quindici anni è di nuovo tutto suo, che occasione ghiotta, e anzi ci feriscono molto queste accuse, è quasi come se ci volesse far passare per mentecatti, cioè, dai, non è proprio possibile, noi, mentecatti, eeeeeh” (“And you’re the hero flying around saving face” — perché, sì, ci hanno provato a salvare la faccia, più o meno nei termini esposti sopra).
Così Taylor è stata costretta a mollare baracca e burattini, a lasciare quella che è stata la sua casa fin dall’esordio, e trovare ospitalità presso un’altra etichetta. (“And I can go anywhere I want / anywhere I want / just not home”). Nel mentre, la Big Machine si è trovata economicamente con l’acqua alla gola (“And if I'm on fire / you'll be made of ashes, too”; “You had to kill me, but it killed you just the same”), avendo perso la gallina dalle uova d’oro e potendo ora contare solo sui diritti delle vecchie canzoni (“And if I’m dead to you why are you at the wake?”). Ci credo sì, che avrebbero desiderato che fosse rimasta e che ora ne sentano la mancanza (“Wishing I stayed”; “but you would still miss me in your bones”). E adesso, be’, ai due crotali tremebondi non resta che piangere la sorte abietta che si sono chiamati addosso da soli. Il verso “looking at how my tears ricochet”, infatti, io lo interpreto nel senso di un karmico rimbalzo. È una ruota che gira, le lacrime di una ora sono diventate le lacrime di quegli altri.
Come Miss American & The Heartbreak Prince è un’unica, grande metafora (il liceo per la politica), così my tears ricochet: grattando appena la superficie del letterale si apre un altro mondo. Analizzare i testi di Taylor è come cadere nella tana del bianconiglio. E come “Alice si era talmente abituata ad aspettarsi solo cose straordinarie” così a noi, dopo un ascolto di folklore, sembra “quasi noioso e stupido che la vita continu[i] sempre allo stesso modo” [Alice nel paese delle meraviglie, Newton Compton Editori, trad. Adriana Valori-Piperno].
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “We gather stones / never knowing what they’ll mean / some to throw / some to make a diamond ring” mirrorball
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Quando uno pensa a una palla da discoteca, pensa agli anni ’70, ai luccichii, ai lustrini, ai pantaloni a zampa, alla febbre del sabato sera, alla disco music (e, se siete fan dei Simpson, anche a Disco Stu). Insomma, a roba psichedelica e spensierata. Poi è arrivata Taylor che ha detto: “Senti, cocco, reggimi un attimo la strobosfera che ne parliamo”.
Il pezzo è una ballad malinconica in cui ci si paragona a una palla da discoteca, osservata da tutti: ed è proprio per questo che l’unica preoccupazione è quella di compiacere gli altri, anche a costo di rinunciare alla propria individualità (“I can change everything about me to fit it in”; “Shining just for you”).
E il bridge è esplicativo di una vita vissuta solo per gli occhi degli altri: “I’m still on that tightrope / I’m still trying everything to get you laughing at me”; “I’m still on that trapeze / I’m still trying everything to keep you looking at me”.
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “And they called off the circus / burned the disco down / when they sent home the horses / and the rodeo clowns” seven
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
In un commento su YouTube, sotto al lyric video di seven, qualcuno ha scritto che non è che gli altri artisti non siano bravi, è solo che Taylor Swift è differente. Onestamente non avrei saputo dirlo meglio. E questa canzone — sebbene in quest’album sia difficile decidere quale brano, a livello di testo, spicchi di più — è forse la cartina al tornasole delle sue capacità di autrice.
Qui Taylor richiama alla memoria un’amica di infanzia. Il riverbero nella voce contribuisce a creare una certa lontananza temporale. Addirittura, Taylor non è nemmeno in grado di ricordare il viso della sua compagna di giochi (“And though I can’t recall your face”) tanto è il tempo trascorso (ventitré anni almeno).
La canzone è pervasa da una certa dose di levità, acuita anche da questa immagine di Taylor da bambina sull’altalena, così in alto da avere la Pennsylvania sotto di lei. Quel che più colpisce, però, è il contrasto tra contenente e contenuto. La piccola amica, infatti, vive a casa una situazione tutt’altro che leggera, tutt’altro che serena, fatta probabilmente di rabbia e di litigi. Si fa riferimento a un padre sempre arrabbiato, ai pianti e al nascondersi, forse per evitare di assistere all’ennesima lite tra i genitori. Non si faccia, tuttavia, l’errore di credere che l’evidente leggerezza della melodia e della voce di Taylor sia un segno di superficialità. È, piuttosto, il modo migliore per rendere la purezza e l’innocenza dei bambini, anche di fronte a situazioni ben più grandi di loro. Così, cosa c’è di più ovvio e di più facile, agli occhi di una bambina di sette anni, per salvare l’amica dalla sofferenza, se non proporle di diventare delle piratesse? Dopotutto, chi hai mai visto un pirata piangere o nascondersi nell’armadio? Il “then” nel verso“then you won’t have to cry” ha infatti qui un valore consequenziale.
La parte più bella e più esplicativa di questo punto di vista di infantile innocenza è tuttavia data dai versi “I think your house is haunted / Your dad is always mad and that must be why”. Il rasoio di Occam vuole che “a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. Agli occhi di una bambina di sette anni, ignara e inconsapevole delle dinamiche che governano gli adulti, specie quelli arrabbiati come il padre dell’amica, è ovvio che la causa di quel livore non può che trovarsi nell’infestazione di fantasmi della casa in cui vivono. Insomma, che altro mai potrebbe essere? È un verso davvero semplicissimo, ma di un’efficacia incredibile.
Ora, la tematica della canzone me ne ha fatta venire in mente un’altra che mi piace parecchio, Little Toy Guns di Carrie Underwood. Anche lì c’è una bambina che è costretta a nascondersi nell’armadio, tra i cappotti, per non assistere alla scena dei suoi genitori che litigano furiosamente (“In between the coats in the closet she held on to that heart shaped locket”; “Mom and daddy just wouldn’t stop it fighting at the drop of a faucet”; “Puts her hands over her ears / starts talking through her tears”). La canzone è di certo accattivante per l’energia e la potenza della voce della Underwood, ma a livello di testo non ci sono guizzi, è tutto letterale. Taylor, invece, con molte meno parole ma accuratamente selezionate, dipinge un quadro tanto vivido quanto evocativo.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: Before I learned civility / I used to scream / ferociously august
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
august è la parte centrale del trittico composto da cardigan e betty. La narrazione qui è affidata all’altra ragazza, ovvero l’avventura estiva di James (quella “summer thing” che si menzionerà in betty).
La loro storia è volata via come è volato via agosto: era impossibile costruire qualcosa perché, nonostante le rassicurazioni (“saying ‘Us’”), James non era mai stato suo (“you weren’t mine to lose”).
Il collegamento con betty è evidente: “Remember when I pulled up / and said ‘Get in the car’” e “She said ‘James, get in, let’s drive’”.
La canzone mi piace ma, come agosto scivola via dal calendario, così questa mi scivola via dalla testa e, per quanto mi riguarda, fatico a ritenerla memorabile (a parte il bridge).
#AlcoholicCount: 3 (wine)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Back when we were still changing for the better / wanting was enough /for me, it was enough / To live for the hope of it all / cancel plans just in case you’d call” this is me trying
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Questa canzone mi devasta fin nei più oscuri recessi della mia anima, perché per certi aspetti (molti aspetti) sembra che mi stia descrivendo. E se da un lato è bello vedere messe nero su bianco certe sensazioni (con più eloquenza di quanto potrei fare io stessa), dall’altro mi ci fa rimuginare e quindi niente, soffroh. Perché a una che, ogni mattina, si alza e pensa che non si tratta altro che di un nuovo giorno di un’esistenza sprecata, sentire “I had the shiniest wheels, now they’re rusting” e “They told me all of my cages were mental / so I got wasted like all my potential” fa un certo effetto. E non fatemi nemmeno iniziare a parlare di “I have a lot of regrets about that”.
Particolarmente interessante è il verso “I was so ahead of the curve, the curve became a sphere”. Credo significhi che Taylor fosse così avanti agli altri che a un certo punto si è trovata a dover competere costantemente con se stessa: rectius, l’hanno costretta a competere con se stessa, e un album in meno venduto, e un biglietto in meno staccato erano prova incontrovertibile che ormai fosse finita, kaputt, ciaone (mi ricordo quell’articolo di Forbes, datato 4 gennaio 2018, che titolava “Taylor Swift Ss No Longer Relatable, And Her Ticket Sales Prove It”; ma mi ricordo anche l’articolo del primo agosto seguente, del medesimo autore, che titolava, chissà se con una punta di rammarico, “Taylor Swit’s Reputation Tour Is A Massive Success: Looks Like She’s Relatable After All”). Questo anche quando, a confronto con qualsiasi altro artista, il peggior risultato di Taylor equivale al loro migliore.
#AlcoholicCount: 1 (whiskey). E quanto a me, da astemia che sono, questa canzone mi fa venir voglia di iniziare.
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “I’ve been having a hard time adjusting / I had the shiniest wheels, now they’re rusting” illicit affairs
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Da vera donna del Rinascimento qual è, Taylor non si accontenta di dedicarsi al mero cantautorato poetico e fa una breve incursione nella manualistica, come già a suo tempo con How You Get The Girl. Stavolta, oggetto della trattazione sono le tresche, le relazioni clandestine e, appunto, “illecite”, per la buona riuscita delle quali si danno consigli di comportamento (come fingere di andare a correre, così che il rossore sulle guance sia attribuito all’attività fisica e non all’incontro con l’altra persona — o comunque, a un’attività fisica di altra natura, if you know what I mean).
Ma vabbè, facezie a parte. Non è la prima volta che Taylor parla di tradimenti; è un tema che ricorre: Should’ve Said No, Girl At Home, Babe (canzone poi passata agli Sugarland ma in cui Taylor canta dei versi), Getaway Car.
A differenza delle altre, però, questa canzone è di una tristezza infinita. La prima strofa ha riguardo al fatto che si è costretti a vivere di menzogne, e qualcosa che in condizioni normali sarebbe bella (il rossore sulle guance dovuto a una piacevole emozione) in questo caso non sarebbe altro che un simbolo di infamia, e come tale deve essere nascosto, o giustificato con una squallida balla.
La relazione clandestina, poi, è in qualche misura paragonata alla droga: si è consapevoli che ci sta facendo del male, ma non ci si riesce a fermare (nonostante quello che uno si ripete: “Tell yourself you can always stop”). E se mai un effetto benefico c’è stato, ormai è svanito da un pezzo (“A drug that only worked / The first few hundred times”).
Nella seconda strofa c’è un altro consiglio che si aggiunge a quelli della prima: “Leave the perfume on the shelf”, così che non si lascino tracce. Apoteosi dell’annullamento di se stessi (peggio che in mirrorball): “like you don’t even exist”.
Nel bridge c’è però un colpo di coda, arrabbiato, in cui volano parole dure, durissime parole taglienti (o di certo lo sono per lo standard di Kent Brockman di Canale 6: “Look at this godforsaken mess that you made me”; “Look at this idiotic fool that you made me”) ma alla fine si torna sempre al punto di partenza: “And you know damn well / for you I would ruin myself / …a million little times”.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “And you wanna scream / Don’t call me kid / Don’t call me baby / Look at this godforsaken mess that you made me” invisible strings
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Questo brano mi fa pensare alla leggenda orientale del filo rosso del destino, secondo cui esiste un filo invisibile e indistruttibile che lega una persona alla sua anima gemella.
(una specie di filo di Schrödinger, in effetti, visto che è rosso e invisibile allo stesso tempo)
(*tap tap* è acceso questo coso?)
Qui, però, il filo è dorato. L’oro, d’altronde, è un colore più adatto a rappresentare ciò che Taylor ci sta raccontando. Se è vero che il rosso è tipicamente associato all’amore, alla passione (ma anche alle intemperanze emotive — non è certo un caso, per esempio, che la Regina di Cuori del Paese delle meraviglie sia contraddistinta dal rosso), l’oro, per parte sua, richiama il sole, la luce, in generale sensazioni positive. È anche un colore prezioso, come prezioso è il legame che condividono i due innamorati.
È evidentemente una canzone molto intima e molto personale, con certi dettagli che fanno pensare a Taylor stessa (“Bad was the blood of the song in the cab on your first trip to LA”; “she said I looked like an American singer”) e non a personaggi fittizi come in altri brani dell’album.
In questa canzone il passato non si guarda con amarezza (“Time / mystical time / cutting me open, then healing me fine”; “Cold was the steel of my axe to grind for the boys who broke my heart / now I send their babies presents”) perché tutto è servito per arrivare alla serenità attuale (“Hell was the journey but it brought me heaven”).
Ora che mi ci fa pensare, anche io credo di avere un filo invisibile che mi lega a qualcosa, e quel qualcosa sono le patatine San Carlo lime e pepe rosa.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Time / mystical time / Cutting me open, then healing me fine” mad woman
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Questa è, per me, una punta di diamante in un disco che non è certo composto da zirconi.
Quello che amo di questo brano è come un’incazzatura viscerale e profonda sia stata camuffata con una melodia delicata. Urlare e sbraitare rischia di passare per un semplice bluff, un gatto che si gonfia per sembrare più grande e più pericoloso, e una rabbia espressa con calma e lucidità è molto più temibile. Allora, è interessante il contrasto che si crea tra la pacatezza con cui si pronunciano i versi “Now I breathe flames each time I talk / my cannons all firing at your yacht” e l’immagine che quegli stessi versi veicolano.
Anche la prima strofa è notevole. Non ci si gira troppo intorno, si va dritti al punto: “What did you think I’d say to that?”, come pensi che avrei reagito (al torto che mi hai fatto)? È ovvio che non me ne sarei restata zitta e buona, lascia intendere Taylor. Povero ingenuo figlio dell’estate, hai presente de chi stamo a parlà? Come uno scorpione che, provocato, punge per uccidere, lei uguale. Metaforicamente parlando, s’intende (be’, più che altro si spera).
Tematicamente, trovo che vi sia similitudine con il primo, epicissimo singolo di reputation: “Look what you made me do” da una parte e “No one likes a mad woman / You made her like that”. Poi, ovviamente, le situazioni sono diverse. Se il brano precedente credo riguardasse i tentativi meschini e truffaldini di quei due peracottari di Kanye West e Kim Kardashian di affossare reputazione e carriera di Taylor, qui mi viene da pensare che riguardi invece la vicenda Big Machine, la questione dei master mai restituiti (“‘cause you took everything from me) e la tirannica condizione di un album vecchio per ogni album nuovo pubblicato, ciò che da noi si dice “contratto capestro”. Il capestro non è altro che un cappio, in inglese — wait for it — “noose” (“and you find something to wrap your noose around”). Anche se la coincidenza linguistica (qui nel senso di “identità, sovrapposizione di concetti”) è del tutto fortuita, ciò non toglie che, quale che sia il termine in uso in inglese per quella situazione, le condizioni imposte dall’etichetta precedente non avessero nulla di diverso da un cappio al collo.
Poi in realtà la canzone — ed è qui la bravura di Taylor — può adattarsi a numerose altre situazioni (come già my tears ricochet), per esempio un tradimento non professionale ma sentimentale (“She should be mad / Should be scathing like me”, perché entrambe le donne sono state raggirate dal medesimo “master of spin”). Insomma, ognuno può leggerci quel che vuole, perché i testi di Taylor, pieni di metafore, allusioni, sottostesti sono, come la creta, modellabili a seconda di ciò che, chi ascolta, ha bisogno di sentirsi dire.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (fuck)
#FavLyrics: “What did you think I’d say to that? / Does a scorpion sting when fighting back?” epiphany
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Inutile girarci intorno: ne abbiamo fin sopra i capelli della retorica, abbastanza stucchevole, che paragona la COVID-19 alla guerra. È da febbraio che osserviamo giornalisti, giornalai e finanche pennivendoli (il confine tra le categorie è molto labile) usare (più che altro abusare) un linguaggio bellico, fatto di termini come “battaglia”, “fronte”, “prima linea”, “trincea”, “eroi”, che non sai più se stai guardando il tg della sera o un documentario sull’offensiva della Mosa-Argonne.
Taylor, in questa canzone, utilizza il medesimo espediente narrativo: anche lei mette a confronto il virus e la guerra. Con la differenza, però, che lei ne ha tirato fuori un piccolo gioiellino.
(dite la verità, vi avevo spaventati, eh?)
Ha detto di aver preso spunto dalle vicende del nonno a Guadalcanal nel 1942, ma le sue parole nelle prime due strofe evocano immagini universali, non legate a un singolo episodio.
Dopo il primo ritornello, altre due strofe ci dipingono uno scenario differente, non più bellico ma ospedaliero. Qui, tuttavia, anche se resta ugualmente vaga, con i versi “Something med school / did not cover” Taylor richiama alla mente una situazione ben più specifica, quale l’emergenza sanitaria globale del 2020. Emergenza che, infatti, ha colto il mondo alla sprovvista, e ha evidenziato le carenze di chi ha dovuto affrontarla, qualcosa per cui, appunto, l’università non li aveva preparati.
È interessante notare come, al sesto verso della seconda strofa e, parallelamente, al sesto della quarta, Taylor ponga in posizione enfatica, perché all’inizio della frase, i termini “Sir” e “Doc”: questi, da un lato, servono a delineare con maggior chiarezza il contesto (un campo di battaglia e un ospedale), dall’altro rafforzano la metafora, l’accostamento delle due situazioni. In entrambi i casi c’è una autorità superiore cui appellarsi (tant’è che si tratta di un complemento di vocazione), che sia il comandante più alto in grado o il medico.
Nel brano viene anche fatto uso dell’anafora, figura retorica che consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di versi successivi (“Keep your” / “keep your” ; “With you I” / “with you I”; “Watch you” / “watch you”; “Someone’s” / “someone’s”), con la funzione di sottolineare un concetto. Qui, le parole ripetute (e quindi enfatizzate) richiamano un’idea di tenacia (“keep”), di solidarietà (“with you”), di presenza verso l’altro, anche se magari non si può essere materialmente d’aiuto (“watch you”), del fatto che questi eventi coinvolgono persone che sono qualcosa per qualcuno (“someone’s” — “daughter” o “mother” che sia) e non semplici numeri snocciolati aridamente in un bollettino della protezione civile.
Infine, la strofa “Only twenty minutes to sleep / but you dream of some epiphany / just one single glimpse of relief / to make some sense of what you’ve seen” è comune a entrambe le situazioni, la guerra e la pandemia, in cui si cerca di dare un senso a quello a cui si è assistito.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Keep your helmet / keep your life, son / just a flesh wound / here’s your rifle” betty
[Taylor Swift, William Bowery]
L’intro di questo brano, con l’armonica a bocca tipica del folk, mi rimanda direttamente a Bob Dylan, e allora è anche legittimo chiedersi se le risposte alle domande che pone James — il personaggio che qui parla, la canzone è dal suo punto di vista — non stiano soffiando nel vento.
Questa canzone è l’ultimo pezzo del trittico di cui fanno parte anche cardigan (che viene esplicitamente nominato) e august (e infatti si fanno riferimenti all’estate). Delle tre, è quella che di gran lunga preferisco.
James, il traditore, cerca di riconquistare Betty ammettendo sì i suoi sbagli (“The worst thing that I ever did / was what I did to you”), ma giustificandoli con l’immaturità, già accennata in cardigan, dei suoi diciassette anni (“I’m only seventeen / I don’t know anything but I know I miss you”). Ma che, davero?
(e presumo che Betty sia una sua coetanea, però non è tonta come un banchetto quanto lui) (scusa, James, ma sappi che anche se sei un cretino mi ispiri simpatia)
Di nuovo ricorrono i sampietrini, che però qui sono rotti (broken): non perché siamo a Roma sotto l’amministrazione Raggi, ma perché a essere a pezzi è lo stesso James, evidentemente pentito di essere motivo del dolore di Betty. Ma è anche vero che chi è causa del suo mal…
Un altro legame con cardigan è il portico. Betty immaginava infatti che avrebbe trovato lì il fedifrago, una volta raffreddata l’eccitazione della tresca (“I knew you’d miss me once the thrill expired / and you’d be standing in my front porch light”) ed è infatti proprio lì che James progetta di recarsi (“Will you kiss me on the porch in front of all your stupid friends?), una volta arrivato alla sua festa (ed è più di quanto abbia fatto Jake Gyllenhaal, quindi un punto per James). Comunque non credo che poi Betty se lo sia ripreso, perché la canzone finisce con “you know I miss you”, al tempo presente. Se fossero tornati insieme, immagino che James avrebbe detto “missed”.
Ora, questo mini trittico è la cosa più vicina a un concept album che abbiamo mai avuto, ossia un disco in cui si racconta una storia precisa, dove ogni canzone è un capitolo della vicenda narrata. È una tipologia di album molto in voga nel metal (penso ai Rhapsody of Fire, che nei loro dischi portano avanti intere saghe fantasy, o agli Avantasia), e mi piacerebbe davvero tantissimo averne uno di Taylor: sarebbe un esperimento interessantissimo dove lei potrà dare libero sfogo alla fantasia e noi potremo tentare di capire i contorti e insondabili meccanismi che muovono il suo cervello.
#AlcoholicCount: zero, ma tanto al party di Betty non avranno mica servito solo Crodino.
#CurseWordsCount: 1 (fuck)
#FavLyrics: “You heard the rumors from Inez / You can’t believe a word she says / Most times, but this time it was true / The worst thing that I ever did / Was what I did to you” peace
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Non credo che ascolterò molto spesso questa canzone in un futuro più o meno prossimo o più o meno remoto o comunque più o meno ricompreso nella vasta gamma di possibilità contemplate dalla grammatica italiana. Che in effetti sono ben poche. In realtà non so nemmeno perché non mi piaccia più di tanto, so solo che c’è qualcosa che non mi aggancia. Che ce devo fa, de gustibus.
Se, perlomeno, mi piace parecchio la parte strumentale dell’intro, tutto il resto mi suona come una nenia (parole dure di una blogger davvero strana, direbbe il già citato Kent Brockman), che mi si riprende un po’ solo nel bridge, con alcuni versi cantati abbastanza veloci come fossero uno scioglilingua (“Give you the silence that only comes when two people understand each other / family that I chose now that I see your brother as my brother”).
Questa canzone, più che malinconica, è granitica nel suo disfattismo: “No, I could never give you peace”, dove quel “No” suona come un’affermazione incontrovertibile; “But the rain is always gonna come / if you’re standing with me”.
Per altri aspetti, al contrario, Taylor sembra essere più conciliante con se stessa: “But I’m a fire and I’ll keep your brittle heart warm”. A causa delle circostanze, l’unica cosa che non si può offrire, o garantire, è la pace. Ma, forse, non potrebbe essere già sufficiente tutto il resto?
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (shit)
#FavLyrics: “Swing with you for the fences / sit with you in the trenches” hoax
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Nella canzone si respira un generale senso di resa (“My eclipsed sun”; “My winless fight”; “I am ash from your fire”; “You knew the hero died, so what’s the movie for?”; “You knew you won, so what’s the point of keeping score?”; “My kingdom come undone / my broken drum / you have beaten my heart”), e ciò è innegabile. Quel che però non mi è chiarissimo è in che termini vada interpretato il brano nel suo complesso: in senso negativo o in senso positivo?
Per quanto riguarda il senso negativo, è presto detto: si canta di una relazione ormai finita che ha portato solo dolore, ma che forse non si riesce a lasciar andar del tutto (“You knew it still hurts underneath my scars / from when they pulled me apart”).
Per quanto riguarda il senso positivo (e in tutta onestà questa interpretazione mi piace di più, perlomeno è così che l’ho intesa fin da subito): c’è stata sofferenza, sì (“You knew it still hurts underneath my scars / From when they pulled me apart”), ed è per questo che Taylor non progettava di innamorarsi di nuovo, dopo le delusioni, ma è successo lo stesso, senza che potesse evitarlo. Ecco allora il significato di quel “But what you did was just as dark / darling, this was just as hard”: l’altra persona ha fatto qualcosa di altrettanto terribile di chi l’ha distrutta: ne ha rimesso insieme i pezzi (col rischio, allora, di mandarla in frantumi di nuovo: l’amore, infatti, è ancora visto come un imbroglio).
La melodia è caratterizzata da un pianoforte che ricorda un po’ una dolce ninna nanna: a maggior ragione questo mi fa pensare a un generale senso positivo del brano.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “You knew the hero died, so what’s the movie for” (SPOILEEEER) the lakes
[Taylor Swift … ]
La misteriosa bonus track dell’edizione deluxe che ancora non ha ascoltato nessuno.
#AlcoholicCount: ?
#CurseWordsCount: ?
#FavLyrics: ? PASSED DOWN LIKE FOLK SONGS THE LOVE LASTS SO LONG Da swiftie anziana quale sono, in circolazione dal lontano autunno del 2009 (sì, poco dopo il famoso incidente degli MTV Video Music Awards), non ricordo di aver mai visto un album che mettesse d’accordo — così tanto d’accordo — sia fan che critica. O forse è proprio perché sono anziana che non me lo ricordo, tutto può essere.
Certo, c’è sempre lo zoccolo duro dei detrattori per partito preso, quelli che preferirebbero affrontare il supplizio del toro di Falaride anziché ammettere che Taylor Swift è brava, ma a parte questa schiera di malmostosi, folklore ha riscosso un plauso trasversale.
In questo disco — nato nelle circostanze peculiari di un 2020 ammorbato — c’è tutta l’essenza di Taylor: di una persona, cioè, che ha sempre creato musica per il solo gusto di farlo. Forse è proprio questo il vero punto di forza di folklore: evidenzia come, per qualcuno, creare sia tanto necessario quanto è, per qualcun altro, fruire quella creazione. Questa seconda cosa, la quarantena ce l’ha dimostrata ampiamente: in un mondo per lo più fermo, costretti a una stasi innaturale sia mentale sia fisica e a un’incertezza paralizzante, noi tutti ci siamo rivolti ai creatori di contenuti e alle loro opere: libri, film, telefilm, musica, fumetti, videogiochi. Nei loro mondi di finzione abbiamo cercato non tanto un modo per combattere la noia imperante, quanto, piuttosto, un modo per non… qual è il termine… ah, sì, sbroccare del tutto. Quello, insomma, che si dice nella scena famosa del film L’attimo fuggente, solo che lì lo dicono meglio. Io, da parte mia, ho letto un sacco, più di quanto riesca a fare in condizioni normali, e quelli in compagnia dei libri sono stati momenti di pace di cui avevo un disperato bisogno (ecco perché dicevo che per me la quarantena è stata un’opportunità).
Ed è stato anche un modo per stabilire un’umana connessione, per quanto filtrata dalla pagina del libro, dallo schermo del computer o dalle cuffiette del nostro lettore musicale, impossibilitati com’eravamo a trovarla al di fuori delle mura di casa. Quella connessione virtuale che ha il suo tramite nell’arte, non solo durante i lockdown, è tanto più potente quanto più c’è una vocazione in chi quell’arte la realizza. In piena pandemia Taylor poteva mettersi a guardare video di gatti e a fare la pizza, e invece ha fatto folklore: non tanto per dovere o per contratto, ma per essenza ontologica. Taylor è una cantautrice, non fa la cantautrice. E credo che quest’album ne sia la prova definitiva.
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[TRAD ITA] Discorsi finali dei BTS al BangBangCon RM: Siamo tornati, grazie alla forza che abbiamo ricevuto da tutti gli ARMY! Ad un [vero] concerto avremmo sentito gli ARMY esultare per noi… quindi abbiamo provato a farlo da noi per rimediare. JM: Sì, solitamente diciamo “Gli ARMY ci stanno aspettando! Su, andiamo!” JH: Se facessi un discorso lungo potrei andare avanti per giorni! JM: Allora torniamo dopodomani! JH: Metterci i microfoni, gli in-ear, truccarci, esibirci… Era passato così tanto. Oggi ho realizzato che sono questo tipo di persona: faccio questo lavoro e mi era mancato esibirmi, e mi erano anche mancati molto gli ARMY. Ci siamo preparati molto per il Bang Bang Con e spero che la nostra sincerità sia arrivata a tutti voi. Spero che il mio amore per le esibizioni e il mio amore per gli ARMY possano arrivarvi sinceramente! Sudare dopo essermi esibito mi fa sentire felice! Fatevi sentire!! JK: Il terreno ha appena tremato, non è vero? JM: Spero che vi siate divertiti oggi. A causa di questa situazione non possiamo incontrarci con voi, ma speriamo stiate bene. Abbiamo attraversato dei momenti difficili dato che riceviamo energia dalle esibizioni… Diciamo spesso “Vi amiamo” ma è un’emozione complicata che non riesco a esprimere per bene. Stiamo facendo del nostro meglio per crescere e migliorare, quindi non preoccupatevi per noi, e spero che voi tutti possiate trovare qualcosa che vi renda felici! RM: Non so bene cosa dire, specialmente in questo giorno… Forse perché non vi posso sentire di persona, o incontrare i vostri sguardi uno per uno, ma l’esibizione di “Anpanman” è sembrata molto più difficile. Grazie ai nostri ARMY di tutto il mondo. Pensiamo che dovremmo darvi speranza e amore e tutto ciò che abbiamo da darvi a tutti i costi! È stato divertente esibirmi con i miei amici per la prima volta dopo tanto tempo! Vi voglio bene. JK: In “Still With You”, un verso dice “Ballo da solo”… [Recentemente] ho visto molti video dei nostri concerti con voi ARMY con le Army Bomb… Mi mancava moltissimo tutto quello, quindi ho scritto quella parte basandomi su ciò. Nonostante voi ARMY non siate qui fisicamente con noi, ci avete dato forza per esibirci da tutto il mondo e spero che questo sia un nuovo inizio per tutti noi! Stiamo aspettando il giorno in cui potremo incontrarci di nuovo. Ci sforzeremo per avvicinarci a tutti voi, passo dopo passo. SG: Per dirvela tutta, quando questo concerto è stato annunciato qualche mese fa, volevamo esibirci così tanto. Ho cercato di trovare dei lati positivi, come rilasciare il mio mixtape… e ho anche smesso di mangiarmi le unghie per la prima volta in 28 anni! Ma è stato davvero strano non sentirvi esultare di persona. Anche se non possiamo vederci, dobbiamo avere fiducia nel fatto che ci incontreremo presto. Grazie. V: È passato metà anno, o di più, da quando abbiamo visto gli ARMY per l’ultima volta. Quando ci stavamo preparando per le promozioni di “ON” avevo fatto un piccolo spoiler su Weverse dicendo che la nuova canzone avrebbe reso gli ARMY molto fieri, tanto da perforare le nuvole con le loro spalle! Penso sia un sollievo che abbiamo almeno avuto la possibilità di esibirci con il Bang Bang Con. Vogliamo che gli ARMY siamo felici e vogliamo anche sentire la vostra passione e il vostro tifo per noi, quindi spero che possiamo incontrarci ed esibirci presto. Vogliamo vedervi tutti di persona! Vi voglio bene. JIN: La nostra esibizione del 14 giugno è giunta al termine. Il 13 giugno è stato il nostro anniversario e il nostro contratto sarebbe dovuto originariamente terminare ieri, ma grazie ai membri siamo riusciti a continuare ad essere insieme. Che ne dite di un abbraccio di gruppo, a completare il quadro…
( *i BTS cercano di “riavvolgere il nastro” a prima che Jin menzionasse l’abbraccio *) JIN: Volevo fare qualcosa… voglio abbracciare i membri! * si abbracciano * SG: Aspetta, non possono vedere Jin hyung se facciamo così… JK: Lasciamo uno spazio vuoto per gli ARMY nel nostro abbraccio! JIN: Volevamo incontrarvi, ma sfortunatamente le circostanze non ce l’hanno permesso. Per piacere, aspettateci! Il clima ultimamente è caldo, ma aspettiamo con impazienza giorni ancora più calorosi. Vi vogliamo bene. Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©maru) | Trans ©btstranslation7
#bts#bangtan sonyeondan#rm#jin#suga#yoongi#jhope#hoseok#jimin#v#taehyung#jk#jungkook#trad ita#trad#ita#bangbangcon the live
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Chiamatemi Anna, Commento Terza Stagione
Quando finisco una serie mi chiedo sempre che cosa mi ha lasciato e cosa mi porterò dietro, e qui posso subito dire che la versione del cartone animato mi ha lasciato molto di più di questa serie.
Considero Chiamatemi Anna una serie carina, godibile, che ho visto volentieri, ma nulla di eccezionale.
Questa serie mi ha lasciato perplessa nei primi episodi, mi sono piaciuti quelli di mezzo, ma gli ultimi mi hanno fatta pensare a certe cose e ho finito la storia un po' emozionata (poco), un po' perplessa, e un po' infastidita (abbastanza).
Prima di iniziare, due cose:
1) Ho ODIATO il doppiaggio di questa serie dal primo all'ultimo minuto, che mi ha, in piccola parte, rovinato la visione.
2) C'è un motivo se mi sono appassionata alle serie asiatiche: perché ogni storia è raccontata in media in 16-20 episodi. Mentre le serie americane sono divise in stagioni, che escono una volta all'anno o una volta ogni due anni, periodo di tempo durante il quale io MI DIMENTICO COSA È SUCCESSO. Per esempio, in questo caso, quando ho visto in scena la tizia bionda, Winnie o come si chiama, la pseudo fidanzata di Gilbert per intenderci, mi sono chiesta chi cavolo fosse e se fosse stata presente anche nelle stagioni precedenti. Ancora me lo chiedo.
Detto ciò, parto con le cose che mi sono piaciute:
Anna
Devo ammettere che la protagonista, a livello generale, è stata una buona e convincente Anna Shirley. Anna è un personaggio particolare che è difficile interpretare senza risultare una scema o una pazza, e penso che la scrittura del personaggio e l'interpretazione dell'attrice abbiano rispettato bene la natura del personaggio.
Inoltre, non amo molto i personaggi "perfettini" (come Gilbert, ma ci arrivo dopo), a me piacciono i personaggi con varie sfaccettature e che presentano dei difetti, e che quindi ai miei occhi risultano umani e credibili. Anna non è una protagonista perfetta, e questo l'ho apprezzato molto.
Anna è testarda, orgogliosa, impulsiva, esuberante, parla tanto e ascolta poco, si lascia trasportare dalle emozioni finendo col non riuscire a ragionare nella maniera più lucida possibile, anche se le sue intenzioni sono buone. Un esempio lampante è quando pubblica l'articolo femminista sul giornale senza consultarsi con la maestra e con gli altri compagni. Le sue intenzioni sono nobili, e ciò che scrive è giusto, ma il giornale non è suo, non può prendere e pubblicare come le pare perché presa dall'impulso del momento, perché se può farlo lei, allora possono farlo tutti. E Anna avrebbe dovuto parlarne anche con Josie, la diretta interessata, e assicurarsi che fosse d'accordo con la pubblicazione di quell'articolo che avrebbe portato tutti a parlare di lei.
Anna si lascia trasportare dall'emozione e agisce impulsivamente, e questo perché prende a cuore le cose e combatte per ciò che è giusto. Per via del suo difficile passato, sa cosa vuol dire soffrire e cosa significa essere maltrattati e subire ingiustizie. Anna è uno dei personaggi più empatici che abbia mai visto, e di certo è il personaggio dalla più grande apertura mentale della serie (è amica con un ragazzo gay, con gli indiani e con le persone nere, più aperta di così...)
Anche se preferisco la versione di Anna del cartone animato, questa Anna non è male, anche se c'è una cosa che mi ha fatto storcere un po' il naso quando me ne sono accorta: in questa terza stagione Anna compie sedici anni, e nel cartone animato a questa età Anna è già molto più tranquilla, calma, posata, mentre qui si comporta ancora come una bambina. Anche quando alla fine indossa il vestito lungo da donna, si aggira per la città tutta sorridente e quasi saltellando, come se fosse ancora la ragazzina di qualche anno fa. A quell'epoca, a sedici anni, si era già delle giovane donne in età da marito, e il fatto che Anna si atteggi come una bambina la trovo una stonatura, accentuata dalla maturità della sua mente che dimostra più volte, come quando dice a Josie:
"Ora sono amata, ma quando non lo ero non significa che non lo meritassi."
Un concetto molto maturo e consapevole per una ragazza di sedici anni... peccato che poi la vedi fare la melodrammatica, piangere disperatamente e vivere come una tragedia tutto ciò che le succede. Potevo accettarlo quando aveva dodici/tredici anni, ma non ora che dovrebbe essere una giovane donna.
Ma, ripeto, in generale, è stata una buona Anna Shirley.
Marilla
Questa versione di Marilla non mi fa impazzire, ma nemmeno mi dispiace. In lei posso vedere la rigidità e austerità tipiche del suo personaggio, unite al profondissimo affetto che ormai prova per Anna.
Rispetto al cartone, qui Marilla è un po' più "energica", e può piacere o non piacere, ma credo che in linea di massima il personaggio sia stato rispettato abbastanza bene.
Inoltre la trovo molto umana nei suoi pregiudizi verso gli indiani e la paura verso queste persone, e questo mi piace. E mi è piaciuta anche la sua paura al pensiero di poter perdere Anna qualora la ragazza fosse riuscita a trovare la sua famiglia. L'ho trovata umana e realistica, e in linea col personaggio.
In generale, mi è anche piaciuto il rapporto tra lei e Anna. L'ho trovato credibile ed entrambe sono rimaste nei loro personaggi.
Josie.
Josie mi è piaciuta un sacco. Forse perché è l'unico personaggio ad avere una vera evoluzione. Dopo la brutta esperienza con Billy, si arrabbia momentaneamente con Anna, per poi capire che l'amica sta effettivamente lottando per la cosa giusta, e quindi si schiera dalla sua parte, mandando poi Billy a cagare.
Simbolica la scena in cui si scioglie i capelli dopo che la madre le ha preparato i boccoli per la notte dicendole:
"Non possono portarti via la bellezza."
Che significa: non importa se un ragazzo ti importuna e ti molesta portandoti via la dignità, non importa se piangi e se stai male, tutto quello che devi fare è essere bella e pensare a fare un buon matrimonio.
Josie capisce che non è giusto chiederle di essere soltanto una bella bambolina perché è una donna. È una persona con delle idee, pensieri e sogni propri, e che merita sempre il massimo rispetto.
Le scenografie.
Vogliamo parlare di come le scenografie di questa serie siano semplicemente spettacolari?
AMO Green Gables e i paesaggi dell'Isola del Principe Edoardo.
I costumi.
Belli, devo ammettere, e in linea con l'epoca storica. Unica pecca: le ragazze vanno a scuola con dei grembiuli talmente bianchi che mi sembrano bambine della prima elementare.
Dialoghi
Ok. Alcune volte sono semplici se non addirittura banali, ma in più di una scena sono rimasta colpita dal modo di parlare tipico dell'epoca, e questo l'ho apprezzato.
E ora passiamo alle cose che NON mi sono piaciute (ora smonto la serie).
Matthew
Questa versione di Matthew non mi piace. Non dico che mi faccia cagare, è carino, ma il Matthew del cartone animato era semplicemente adorabile.
Matthew è introverso, riservato, timido, tenero, impacciato. Tutte caratteristiche che il Matthew della serie sembra non avere quasi per nulla.
Nel cartone Matthew si esprime a monosillabi, qui è un po' impacciato, ma alla fine parla con una certa scioltezza. E non ho assolutamente visto il suo enorme imbarazzo nei confronti delle donne, un aspetto tipico del personaggio di Matthew.
Quello che mi ha lasciato l'amaro in bocca più di tutto è stato il finale. Qui Matthew diventa improvvisamente brusco con Anna perché sa che sentirà la sua mancanza quando andrà al college. E questo già mi va a cozzare col personaggio di Matthew, che dovrebbe essere l'uomo più tenero del mondo con la sua Anna.
E quando alla fine si riconcilia con lei spiegandole quello che prova, avrebbe dovuto dirle quello che le dice nel cartone, che non gli importa se lei non è un ragazzo, che è orgoglioso di lei, la sua ragazza, la sua Anna. È una delle frasi più belle della storia secondo me, ed è qualcosa che Anna ha bisogno di sentirsi dire.
Sebastian.
A parte il fatto che non capisco il senso di questo personaggio nella serie, ma poi non è nemmeno interessante. Un bravo marito, un bravo padre, un buon amico, un buon lavoratore. Wow. Che personaggio complesso.
È carino, per carità, ma diciamocelo: Sebastian, Mary e compagnia bella, che cosa c'entrano con Anna dai capelli rossi? Questi personaggi non sono presenti nel cartone animato, perché li hanno inseriti?
Ammettetelo: avete inserito i personaggi neri solo per fare bella figura. Solo per poter dire: ehi guardate, abbiamo messo dei personaggi neri nella nostra storia, noi parliamo anche di loro, parliamo anche del razzismo, quanto siamo bravi.
Seriamente, che cosa c'entra la questione delle persone nere e del razzismo con Anna dai capelli rossi?
Il finale favolistico.
Questa serie è andata a finire a mo' di film Disney. Personalmente non sopporto i finali così. Mi sanno da falsi e irrealistici.
Qui TUTTO finisce bene.
Sebastian migliora i rapporti con la madre e fa pace col figlio di Mary così d'ora in avanti saranno una bella famiglia felice che lavorano tutti insieme nei campi (ma andate a cagare); Anna fa pace con Josie e tutte le compagne di scuola sono amiche per la pelle e non esiste nemmeno un'ombra di antipatia tra nessuna di loro; Diana ottiene il permesso di andare al college e passa gli esami ANCHE SE NON HA STUDIATO UN CAZZO MA SICCOME SIAMO IN UNA FAVOLA FACCIAMOLA PURE PASSARE; la signora Lind riesce ad allargare il consiglio della città con la presenza di tre donne; il giornale viene ridato in mano alla scuola e tutti sono amici con tutti.
Persino nel cartone animato il finale è più triste e realistico, con la morte di Matthew, la vista malandata di Marilla e Anna costretta a rinunciare all'università.
L'unica storyline che non posso dire sia finita bene è quella ragazzina indiana portata al collegio cristiano (prigione), da cui non la lasciano più uscire. Peccato che non si sa come finisce perché non ce lo mostrano, e da quello che ho capito questa era l'ultima stagione della serie....
Diana
Diana per me è stata un flop totale. Hanno totalmente cambiato questo personaggio rispetto al cartone.
Innanzitutto si sono inventati la "storia d'amore" con Jerry e non ho capito bene per quale motivo visto che il tutto si conclude con lei che lo molla freddamente e tanti saluti.
La litigata tra Anna e Diana l'avrei accolta ben volentieri, ma non ho capito perché Diana non ha raccontato di Jerry all'amica. Anna è la prima a confidarsi con lei riguardo Gilbert, non ha problemi a parlare dell'amore, quindi perché Diana non ha fatto lo stesso? Forse per via delle differenze tra lei e Jerry, lei ragazza ricca e colta, e lui povero e un po' sempliciotto. Forse, sapendo che questa storia non avrebbe mai portato da nessuna parte, ha preferito tenersela per sé. Ma qui deduco che non fosse qualcosa di importante per Diana: se fosse stata davvero innamorata di Jerry si sarebbe confidata con Anna e avrebbe lottato per lui, così come ha lottato per il college. Quindi per lei è stata solo un'opportunità per fare pratica su come baciare e provare l'ebbrezza della libertà in quei momenti con lui. Scusate, ma questa non è affatto la Diana del cartone animato....
E parlando del college.... delusione totale.
Innanzitutto, è semplicemente assurdo che Diana abbia passato gli esami dopo che per un anno non ha studiato quanto gli altri.
E poi, mi spiegate perché hanno cambiato la sua storyline trasformandola in una giovane ragazza soffocata dai genitori che dalla figlia richiedono solo il matrimonio mentre lei vuole andare al college? Perché hanno scritto questo personaggio facendola diventare la giovane emancipata della situazione? La Diana del cartone animato non era forse emancipata?
Parliamoci chiaro. Consideriamo un attimo le due versioni di Diana:
Nella serie Diana VUOLE andare al college.
Nel cartone Diana VUOLE restare a casa e dedicarsi alla moda.
In cosa la prima versione è più femminista o emancipata della seconda? Nel cartone Diana non va al college non perché ostacolata dai genitori, ma perché semplicemente non le piace studiare e vuole dedicarsi ad altro. Deve decidere del suo futuro, e Diana SCEGLIE di non andare, E QUESTO È FEMMINISTA.
Per come la vedo io, la Diana del cartone è molto più coraggiosa e femminista di quella della serie.
Perché una donna (Diana) che sceglie di restare a casa e pensare al matrimonio, non è meno femminista di una donna (Anna) che sceglie di andare al college e fare l'insegnante.
Tra l'altro, la Diana della serie non ha alcuna passione o interesse particolare, mentre quella del cartone amava la moda e i vestiti (ed era anche più saggia e più matura).
E poi, diciamocelo, pensate che Diana avrebbe insistito nell'andare al college se Anna non ci fosse andata? Se Anna e tutti gli altri compagni non fossero andati, io non penso che Diana sarebbe voluta andare. Quindi, alla fine, è solo una pecora che ha seguito il gregge. Per questo dico che nel cartone è più coraggiosa, perché ha avuto il coraggio di staccarsi da Anna e fare qualcosa di diverso dalla sua amica.
E poi, Diana va al college... per fare cosa? Dio solo lo sa.
Gilbert
Come Matthew, non dico mi abbia fatto schifo, ma non mi ha nemmeno fatto innamorare.
Questo ragazzo praticamente è il principe azzurro che sogna ogni ragazza: è un ottimo studente e vuole fare il dottore, è bravo, buono, gentile, fa diventare Sebastian (un uomo nero) suo socio nella fattoria, non ha alcun tipo di pregiudizio e tratta i neri come suoi pari, sostiene Anna nella sua lotta femminista marciando in prima fila con lei. Insomma, particolari difetti io non ne ho visti, non mi ha fatto fare chissà quali riflessioni, e quindi, ai miei occhi, non è un personaggio interessante.
Qui, del vero Gilbert, quello del cartone animato, ho visto ben poco. Il Gilbert del cartone aveva fascino anche stando fermo in silenzio a mangiare una mela, questa versione di Gilbert invece ha il fascino di un manico di scopa vestito. La protagonista femminile, Anna, ha molto più fascino e carisma di lui.
Senza contare il fatto che l'attore scelto non mi è sembrato perfettamente adatto per il ruolo. L'ho trovato più "piccolo" rispetto a Gilbert. Più cucciolo.
E poi non ho amato molto tutte quelle "faccette" che ha esibito dall'inizio alla fine. Non so se fosse qualcosa previsto da copione o se è l'interpretazione dell'attore, ma il più delle volte l'ho trovato fastidioso.
La love story
Qui stendo quasi un velo pietoso. La storia d'amore di Anna e Gilbert ha lo stesso fascino di un grissino e la stessa profondità di una pozzanghera.
Ho trovato completamente inutile il personaggio della fidanzata di Gilbert, messa lì solo per ingelosire Anna, ma nel complesso è stata solo un di più. Non ha una propria storyline, non ha un'evoluzione, e non è interessante.
Negli ultimi episodi, la storia d'amore tra i due protagonisti cade in uno dei più grandi cliché delle storie d'amore: il biglietto perduto. Anna scrive un biglietto a Gilbert in cui gli dice che lo ama e glielo lascia sul tavolo. Ancora prima di vederlo, sapevo che Gilbert non avrebbe MAI letto quel biglietto. La nota in questione compie un viaggio mirabolante: viene messa sotto un vaso di fiori, cade per terra, viene calpestata da Gilbert che se la porta in giro per casa senza saperlo, e infine viene lasciata nell'erba mezza distrutta. Metà puntata per seguire gli spostamenti di questo biglietto. La storia si ripete quando anche Gilbert lascia un biglietto ad Anna, lei lo vede subito ma lo straccia ancora prima di leggerlo, per poi pentirsene e cercare di mettere insieme i pezzi.
Ora, non ditemi che tutta questa trafila dei biglietti perduti è qualcosa di originale. È un classico. È qualcosa che ho visto in altre 4838484883 storie d'amore. Per questo la cosa non mi ha dato emozione: perché sapevo che una volta scoperto il contenuto dei rispettivi biglietti, entrambi si sarebbero corsi incontro per poi baciarsi appassionatamente.
Mi dispiace ma questa storia d'amore non mi ha coinvolto, l'ho trovata come qualcosa di "già visto".
L'unica scena che ho trovato carina è stato il momento del ballo, in cui scatta la scintilla e i due si guardano in modo diverso.
Sulla signorina Stacy non so sinceramente che cosa dire. Non è un personaggio che ha lasciato il segno su di me. Anche in questo caso preferisco la versione del cartone animato. Qui le hanno appioppato la storyline del "tuo marito è morto quindi trovatene un altro", qualcosa che hanno messo giusto per riempitivo e che se non facevano non cambiava nulla.
Ora, arrivo alla questione per me più spinosa, una questione che quando ci ho pensato mi ha lasciato prima perplessa, poi mi ha infastidita non poco.
Mentre vedevo gli episodi, io la visione me la sono goduta.
È stato bello e interessante vedere portate in scena questioni come l'articolo femminista di Anna, la molestia subita da Josie, tutto il discorso sulla parità, sui diritti delle donne ecc.
Trovo un po' favolistico come Anna riesce a trascinarsi dietro tre quarti del paese nella sua marcia per andare a fare il culo al consiglio, ma non posso negare come la serie mandi dei messaggi importanti a chi guarda:
1) Se una ragazza viene molestata la sua reputazione è rovinata. Perché? E quella del ragazzo?
2) Una ragazza non va MAI a "cercarsi" una molestia o una violenza. La colpa è solo di chi aggredisce.
3) Prima di fare qualcosa, un ragazzo deve assicurarsi che la ragazza che ha di fronte sia a proprio agio e che sia d'accordo con quello che sta succedendo.
Sono temi perfettamente attuali, e per esempio trovo importantissimo parlare del consenso. Sono ottimi spunti di riflessione per i ragazzi e le ragazze di oggi.
Mi ha fatto riflettere anche un'altra scena. Siamo alla fiera, e Billy cerca di impressionare la sua ragazza, Josie, cimentandosi in un gioco di forza, con il palese atteggiamento "ti faccio vedere quanto sono forte, guarda quanto sono uomo".
Peccato che finisce per fare una brutta figura, marcata dall'arrivo di Jerry che, abituato a lavorare nei campi, riesce a colpire il bersaglio in un colpo solo. Ora, Billy ha sentito di aver sfigurato, ma io non la vedo così: il fatto che non sia riuscito a colpire il bersaglio non lo rende meno uomo rispetto a Jerry.
Qui ci fanno chiaramente vedere la mentalità del: uomo forte=vero uomo, uomo debole=pappamolla.
Perché il valore di un uomo deve essere misurato in base alla forza fisica, e il valore di una donna in base alla sua bellezza?
Sono delle tematiche molto importanti da portare in scena, e allora perché ho detto di essere infastidita?
Per un semplice motivo. Questa serie ha buttato dentro un po' di tutto: femminismo, diritti umani, la libertà di stampa, il razzismo, gli indiani, le persone nere, maschilismo, sessismo, omosessualità.
Hanno toccato tutti temi "caldi" facendo un bel minestrone, e la cosa che mi infastidisce più di tutte è... tutto questo, cosa c'entra con Anna dai capelli rossi?
Perché Anna dai capelli rossi non parla di queste cose, e alla fine della fiera della storia originale rimane ben poco: sostanzialmente, solo gli esami per il college, e Anna e Gilbert che si mettono insieme. Il resto è tutto inventato.
Posso apprezzare le scene in cui Anna desidera conoscere di più sui suoi veri genitori e torna all'orfanotrofio per fare ricerche, Marilla e Matthew preoccupati di perderla, la litigata tra Anna e Diana. Posso anche accettare il cambiamento del rapporto tra Anna e Gilbert (nel cartone non si parlano per anni, qui sono molto amici), perché comunque tutto questo è direttamente collegato alla storia principale e alla protagonista.
Ma, per fare un esempio, la scena in cui la ragazza (dovrebbe essere Prissy?) va dal padre dicendogli che vorrebbe dare una mano nella gestione dell'azienda di famiglia, e il padre non la degna di uno sguardo e liquida la questione affermando che le donne non devono occuparsi di certe cose, ecco, quella scena a cosa serve? Perché è stata messa? Per dirci che in quell'epoca storica le donne non erano trattate in modo paritario? Sì ok... ma non è questo di cui parla la storia di Anna. Tra l'altro mi è sembrata una scena buttata lì un po' a caso, perché la tizia arriva, il padre la tratta di merda, tanti saluti e fine. Poi non se ne parla più, e la tizia non si vede più in scena.
Non dico che non bisogna parlare di certe tematiche, ma se fate una serie su Anna dai capelli rossi, mi aspetto di vedere una serie su Anna dai capelli rossi. Se volete parlare di certi temi come le prime battaglie femministe, allora fate una serie che parli di quello, vi inventate una storia e dei personaggi nuovi. Non che prendete una storia già esistente e la travolgete per parlare di quello che volete.
È come se io prendessi I Tre Moschettieri e ci facessi sopra una serie, inserendo temi come molestie sessuali e diritti delle donne, trasformando d'Artagnan in un femminista del XVII secolo, e già che ci sono ci butto dentro un po' di razzismo che non fa mai male, e poi, perché no, faccio che Athos e Aramis sono gay.
COSA CAVOLO C'ENTRA???
I Tre Moschettieri non parla di queste cose, e lo stesso vale per Anna.
Oppure faccio una serie su Harry Potter dove faccio succedere che Hermione viene molestata da un ragazzo e per tutta Hogwarts parte una marcia femminista.
Tutto ciò continua a lasciarmi assai perplessa e infastidita. Ed è per questo che non so come giudicare queste serie e che voto darle. Forse non è nemmeno giudicabile, visto che in fondo non è una serie su Anna dai capelli rossi (lo è tipo al 20-30% a essere generosi).
Davvero non capisco perché la storia di Anna dai capelli rossi è diventata una manifestazione delle tematiche più bollenti di questi anni.
Non è che se non ne parlate fate schifo eh.
Ultima cosa che mi viene in mente sono le musiche: non ne ho in mente nemmeno una, segno che non sono state di impatto. NULLA IN CONFRONTO CON LE BELLISSIME MUSICHE DEL CARTONE.
Detto ciò, di solito concludo un commento consigliando o meno la serie in questione, e dando il voto finale. Qui non so bene che cosa dire.
La serie è carina e posso anche consigliarla, ma sappiate che vi troverete davanti tanta roba che con Anna non c'entra niente.
Se dovessi dare un voto basandomi sulla fedeltà della storia originale, sarebbe 1 e 1/2.
Se guardo la serie per quella che è, facendo finta che la storia originale non esista, posso arrivare a 7, ma solo perché sono generosa (e lo sono davvero, visto che oggi sto inca**ata).
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Clip 7.4
M: Oi tuo fratello mi ha scritto per scusarsi è stato molto carino
S: Beh era il minimo...
M: Beh il minimo no dai... Dovevo farlo io
S: Ma perché ti pare? Ti ha spaccato il naso
M: Sì ma alla fine ha solo difeso un suo amico
S: Quale amico?
M: Luai... Quando l'ho visto che parlava fuori con Nico lo stavo per ammazzare
S: Potevi dirmelo prima non gli parlo da due settimane perché pensavo avesse iniziato lui
M: Tesò ma la smetti de non parlà alla gente???
Scusa, l'ha scritto Filippo. Mi sono trasferito da lui.
S: Eh, allora digli di non parlare di me con Eleonora e di farsi i fatti suoi.
F: Dai, scusami amò, stavo scherzando.
S: Avete un letto libero?
F: Tesoro, senti, io non ce la faccio piu. Parlatevi, no?
M: C'ha un altro. Che ci dobbiamo dì? Fine.
F: Quale altro? Si sono dati un bacio due anni fa. Non fare il bambino. Oh, è normale che questo è tornato, c'ha avuto pure un anno di merda, eh, Nico avrà voluto parlarci, su!
M: E se è così perché non me l'ha detto?
F: Perché sei un cazzo di geloso paranoico e sapeva che avresti reagito così. Dai. Sana per favore perché non gli dici qualcosa anche tu?
S: Che..che gli devo dire?
F: Aspetta, il telefono.
Vabbè, ragazzi, io devo andare, è tardi. Martino continuiamo domani. Poi se qualcuno di voi due si vuole suicidare per favore fatelo nella vasca e non nel letto, ok? Grazie.
M: Sana?
S: Eh?
M: Vuoi un po' di pizza?
S: Ok.
M: Lui è bravissimo secondo me.
S: Per niente.
M: Perché no?
S: Perché c'ha un'espressione.
[ Aiuto! ]
S: Questa!
M: Non capisci niente di recitazione.
[ Aiuto! ]
M: Lui è un attore molisano bravissimo. Vuoi un po' di panna?
Quindi ho saputo che non vai più in Grecia con le altre.
S: No.
M: Perché?
S: Così.
M: Se non mi dici perché non te la metto la panna.
S: Perché non mi va di andare in vacanza con delle persone razziste.
Ma che è?
M: E le UFB sono razziste?
S: Sono false, stronze e razziste. Ma anche le mie amiche guarda.
M: Ma smettila.
S: Fidati.
M: Mi sembra una cazzata questa.
S: Sarà anche una cazzata, però quando ho fatto capire che...che per me la vacanza stava diventando un po' troppo hard non hanno fatto assolutamente niente. Anzi mi hanno lasciata andare. Secondo me sono anche più contente che non vado.
M: E secondo te ti hanno lasciato andare perché sono razziste o perché sei diventata insopportabile?
S: Io non sono insopportabile.
M: No? Ok.
[ Anna! Anna! ]
S: Lo sono?
M: Non vogliamo dire che sei un po'...un po' competitiva, suscettibile, con una grande mania di controllo...
S: Senti, io me ne vado a dormire.
M: Ah, lo vedi che sei suscettibile?
S: Vuoi provare tu ad essere una ragazza musulmana con il velo in Italia? Poi vediamo se non diventi suscettibile.
M: Be', sono gay, un po' di queste cose le so.
S: Scusa ma è diverso.
M: Perché?
S: Perché è vero che c'è un sacco di gente che ti discrimina, però è anche vero che ci sono tante persone che che ti amano e che ti capiscono anche senza essere gay.
M: Non ti seguo.
S: Per me non è così. Cioè anche...anche le persone che dicono di stare dalla mia parte, quelli...quelle più aperte che dicono "No, io non sono razzista," tipo le mie amiche, quando guardano il mio velo alla fine sotto sotto pensano sempre male.
M: Io non penso male.
S: Se ti dicessi che..che per me portare il velo è una scelta femminista, tu che mi dici? Te lo dico io. Pensi che sono pazza e che il velo è solo una cosa bigotta, che mortifica le donne.
M: Ma che ne sai tu di quello che penso io?
S: Perché pensate tutti la stessa cosa. Cioè che..che sono una sottomessa, una che viene oppressa dai propri genitori. E se anche vi dico che..che nessuno mi costringe a mettere il velo, perche è una mia scelta, che è una mia scelta arrivare vergine al matrimonio, voi pensate che mi hanno fatto il lavaggio del cervello. Cioè, mio padre, è mio padre che non voleva neanche farmi mettere il velo perché aveva paura che venissi discriminata a scuola.
M: Però capisci anche che...noi tante cose non le sappiamo. Nessuno ce le spiega.
S: Tipo?
M: Tipo....tipo che ne so del perché tu metti il velo se non me lo dici. Io poi non te lo chiedo perché ho sempre paura di fare delle gaffe con te, però io non so ancora se dire "Musulmano" o "Islamico" o "Arabo." Non so se..non so se ti posso dare un bacio per salutarti. Non so se posso baciare Nico davanti a te. Non so se posso dire "cazzo" davanti a te o ti offendi. Non le so queste cose. Poi se qualcuno te le chiede ti innervosisci subito, quindi...
S: Io mi innervosisco perché sono domande stupide.
M: Perché pensi che i miei amici non facciano un sacco di domande stupide a me?
S: Immagino di sì.
M: Però se ogni volta io non mi mettessi lì a spiegare la differenza tra transessuale e gay, Luchino sarebbe ancora convinto che io voglio diventare donna.
S: Era serio?
M: Non lo so. Però sicuramente c'è un sacco di gente che lo pensa e se noi vogliamo fargli capire le nostre differenze, dobbiamo dargli delle..delle risposte intelligenti alle loro domande stupide. Perché, poi altrimenti, sennò loro continuano a darsi delle risposte stupide alle loro domande, da soli, e così non ci capiremo mai.
S: Sembri il mio Imam.
M: Imam Rametta mi piace. Ci sono gli altri che dicono se li raggiungiamo in sala prove, ti va?
S: No, grazie.
M: Allora non vado neanch'io.
S: Ma ti pare? Vai, tranquillo.
M: No. Tu hai bisogno del tuo migliore amico che stia qui con te adesso.
S: Non sei il mio migliore amico.
M: Ah, no?
S: Non credo di avere amici in questo momento.
M: Ma smettila. Tu domani vai là e te le riprendi.
[ Aiuto! ]
#skam italia#skam italia transcripts#trascrizioni skam italia#skam italia chats#4x07#season 4#stagione 4#sana allagui#martino rametta#filippo sava#+ tutte le mie lacrime
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Ho pensato a una cosa, o forse di più.
In questo anno appena iniziato sono felice di aver già ricevuto così tanto dalla vita, di certo non me lo sarei mai aspettato poco tempo fa. Non è successo tutto in queste due settimane, ma questo nuovo inizio mi ha dato una spinta inimmaginabile.
Sto crescendo, malvolentieri, ma lo sto facendo e a 21 anni e mezzo mi sento di poter dire che sono una ragazza serena.
Sì, sono serena.
Ho una famiglia che mi vuole bene, certo, abbiamo i nostri momenti no, ma ci vogliamo bene lo stesso. Ho un ragazzo che mi ama e con cui condivido il mio tempo da quasi tre anni. Ho degli ottimi amici, mi vogliono bene e io voglio bene a loro, anche se non ci vediamo spesso, so che ci saremo sempre l'uno per l'altro.
Se penso alla me sedicenne un po' mi sento male, perchè, anche se mi sentivo grande ed inarrestabile, in realtà ero un cubetto di ghiaccio sotto il sole: delicata, fragile, triste, profondamente triste ed insoddisfatta.
Nessuna grande amicizia, relazioni fondamentalmente fallimentari che mi hanno più tolto che dato (sì, nemmeno beceri insegnamenti), rapporti penosi con la mia intera famiglia.
Io a 16 ero rotta. Rotta e da rottamare, se nessuno avrebbe deciso di aggiustarmi.
A 21 anni ho capito che il miglior meccanico di me stessa sono io. Conosco il mio corpo, una casa prematuramente fatiscente con qualche acciacco di troppo, ma gli voglio bene. Mi stringo forte a volte, gli ricordo che anche se l'ho maltrattato ci sarò sempre per lui, perchè ha retto a ogni cosa brutta che gli ho fatto. L'ho maltrattato, sfruttato come meglio credevo e non se lo meritava.
Conosco la mia mente, conosco i pensieri irrazionali che produce e che ogni tanto mi mandano fuori strada. So anche che quando si fissa su qualcosa la porta a termine, è determinata fino in fondo. Sta ancora cercando di concentrarsi anche su cose più pragmatiche, ma sono sicura che ci riuscirà. Mi fido di lei, della sua capacità di scindere il giusto dallo sbagliato, il buono dal cattivo.
Conosco il mio cuore. So che in nome suo ho fatto una marea di cazzate, ho inseguito sogni non miei, amori che non mi appartenevano. Vorrei scusami con lui per averlo sfruttato così tanto, per averlo rotto. Non incolpo nessuno per questo, perchè sta al nostro personale egoismo salvarci, salvarlo. Ora lo ringrazio per aver retto il colpo, per essere stato paziente ed aver aspettato insieme a me che arrivasse qualcuno a prendersene cura.
Cara me di soli 16 anni,
Poteva andare meglio, ma poteva anche andare peggio. Non ti colpevolizzare troppo, tutti facciamo cazzate. E so che dirai che tu le fai più grosse di tutti, ma, solo perchè le persone non lo dicono ad alta voce, non significa che tu sia sola. Sarai forte, te lo giuro, uscirai da tutto lo schifo in cui ti trovi ora. Ma sappi solo una cosa: sono fiera di te e di ogni tuo errore. Se sono la persona che sono è anche grazie a te, sei stata l'insegnamento più grande che mi potesse dare la vita. Ti prego, amati di più, te lo meriti.
Questa è una lettera d'amore.
A quella ragazzina con i capelli rossi che non sa che il meglio deve ancora venire auguro ogni cosa, auguro di affrontare le cose belle con tutto l'entusiasmo che meritando e di piangere quelle brutte con tutta la fatica che meritano.
Piccola me, amore mio, ce la facciamo insieme io e te, te lo prometto.
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Associazioni italiane si battono affinché le donne musulmane possano indossare il velo integrale ovunque in Italia, nonostante sia il simbolo della loro sottomissione e inferiorità antropologica
Buongiorno amici. Velo sì o velo no? Velo semplice o velo integrale? L’Italia continua a dibattersi e a contraddirsi sulla liceità o meno del velo e di quale velo delle donne musulmane. Ieri la Corte d’Appello di Milano ha confermato una sentenza di primo grado, ma che ribalta un orientamento finora vigente nella giurisprudenza a livello nazionale, a favore della delibera della Giunta Regionale della Lombardia del 2015 che vieta alle donne di indossare il velo integrale nei luoghi pubblici della Lombardia, ovvero gli uffici amministrativi, gli ospedali e le strutture sanitarie pubbliche per ragioni di sicurezza. La Corte d’Appello ha confermato quanto già stabilito con sentenza il 20 aprile 2017 in primo grado dal Tribunale di Milano e cioè "il divieto di ingresso a volto coperto posto nella delibera appare giustificato e ragionevole alla luce della esigenza di identificare coloro che accedono nelle strutture indicate, poiché si tratta di luoghi pubblici, con elevato numero di persone che quotidianamente vi accedono per usufruire di servizi ; pertanto è del tutto ragionevole e giustificato consentire la possibilità di identificare i predetti fruitori dei servizi''. Da rilevare che sia la delibera della Regione Lombardia sia la sentenza in primo e in secondo grado concernono l’uso del velo integrale esclusivamente nei luoghi pubblici chiusi, ma non sussiste il divieto di indossare il velo integrale islamico in assoluto, ad esempio per strada o in piazza. Nel 2008 il Consiglio di Stato, dopo che il Sindaco di Azzano Decimo aveva applicato sul territorio del proprio Comune l’ordinanza della Regione Lombardia, aveva bocciato la sentenza affermando che l’uso per motivi religiosi del velo, anche integrale, non fosse da considerare tra i divieti previsti dall’articolo 5 di una legge “emergenziale” del 1975 meglio nota come “legge Reale” per i travisamenti in pubblico.
Ebbene su questo tema bisogna fare chiarezza. Allah nel Corano prescrive in modo inequivocabile l’obbligo del velo alle donne.
«O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate. Allah è perdonatore, misericordioso». (33, 59)
In questo versetto Allah impone l'obbligo del velo a tutte le «donne dei credenti», cioè a tutte le donne musulmane, considerando che i «credenti» sono solo i musulmani. In un altro versetto Allah precisa che le donne devono «lasciar scendere il loro velo fin sul petto». I giureconsulti islamici si dividono sul ritenere che il velo, dopo aver coperto i capelli e che deve «scendere fin sul petto», comporti o meno coprire anche il volto o se si possa lasciare libero l’ovale del volto.
«E di' alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare.» (24, 31)
L’islam impone alla donna di indossare il velo perché concepisce il corpo della donna di per sé peccaminoso e deve pertanto essere occultato alla vista degli uomini per non provocare le loro voglie sessuali. E ancor di più l’islam concepisce la donna come un essere antropologicamente inferiore rispetto all’uomo perché, spiegò Maometto, “la donna è manchevole sul piano dell’intelletto e sul piano della religione”.
Le associazioni che hanno promosso la battaglia per la liceità del velo integrale delle donne musulmane anche negli spazi pubblici chiusi hanno preannunciato il ricorso in Cassazione. Sono l’Associazione degli studi Giuridici sull'Immigrazione, gli Avvocati per Niente Onlus, l'Associazione Volontaria di Assistenza sociosanitaria e per i diritti dei Cittadini stranieri, Rom e sinti e la Fondazione Guido Piccini per i Diritti dell'Uomo Onlus. Da rilevare che sono tutte associazioni italiane, formate da cittadini italiani che investono delle proprie risorse e promuovono il consenso tra gli italiani affinché la magistratura italiana riconosca il diritto delle donne musulmane a indossare il velo integrale ovunque in Italia, accreditando di fatto la loro sottomissione e la loro inferiorità antropologica. È possibile che questi cittadini italiani siano inconsapevoli delle conseguenze di ciò che fanno, ma in ogni caso si comportano in modo irresponsabile perché stanno seppur inconsapevolmente scardinando il nostro stato di diritto e la nostra civiltà.
Nei miei primi vent’anni ho vissuto in un Egitto laico dove le donne non indossavano il velo e non avevano paura di mostrare il proprio corpo al mare indossando tranquillamente il costume da bagno e talune anche il bikini. Questa realtà ci fa comprendere che i musulmani come persone possono essere laici se sono sottoposti a un sistema di governo e a delle leggi laiche. Ecco perché noi italiani e noi europei, se vogliamo salvaguardare la nostra civiltà, dentro casa nostra dobbiamo esigere che tutti indistintamente e incondizionatamente rispettino le stesse leggi laiche dello Stato, che ottemperino alle regole su cui si fonda la civile convivenza, che condividano i valori della sacralità della vita, della pari dignità tra uomo e donna, della libertà di scelta personale che sostanziano la nostra civiltà.
Cari amici, noi italiani e noi europei potremo salvare la nostra civiltà decadente solo quando avremo l’onestà intellettuale e il coraggio umano di dire la verità in libertà anche sull’islam e di esigere che dentro la casa comune anche i musulmani si comportino né più e né meno così come sono tenuti a comportarsi tutti i cittadini. Allora diciamo forte e chiaro: “No al velo islamico” alle donne, sia il velo semplice sia il velo integrale, perché lede la dignità e la libertà delle donne e talvolta, per coloro che si ribellano e rifiutano di indossare il velo, mette a repentaglio la loro vita. Più in generale diciamo “No all’islam” come religione, nel più assoluto rispetto dei musulmani come persone. Andiamo avanti forti di verità e con il coraggio della libertà. Insieme ce la faremo.
#italia#islam#legge islamica#islam e diritti delle donne#islam e donne#islam e diritti civili#islam e velo#velo islamico
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Caro professore,
ho sempre scritto di te qui, ho scritto di noi.
Ho scritto dei miei sentimenti, del mio dolore.
Ho scritto di quando la tua mancanza si faceva sentire e tu non c'eri.
Ho scritto qui per sfogo, per rabbia, per dirti ciò che a parole non riuscivo mai ad esprimere.
Dopo mesi rileggendomi, quasi mi viene da sorridere, è come se avessi rivissuto quei momenti, quelle notti passate a scrivere con le lacrime agli occhi, quei pomeriggi vuoti e quelle sere sperando in un qualcosa che non sarebbe mai più ritornato.
Rileggere le mie parole, i miei ti amo, ti voglio e quant'altro mi ha fatto sentire quasi stupida, ho rivisto in me una tredicenne che si innamora per la prima volta e scrive pagine di diario. Ma non rinnegheró mai i miei sentimenti, non rimangeró mai tutti ciò che ho scritto o detto e soprattutto provato.
Ripensare al passato, non mi fa più male, anzi, guardo indietro e ripenso a quanto io abbia lottato e quante cose io abbia superato in questi lunghi mesi, sembra anche a me impossibile. Ho lottato contro l'assenza, la nostalgia, i ricordi che mi tormetavano, contro le parole della gente che non sapeva niente di noi, contro le tue parole che il più delle volte mi ferivano, la tua indifferenza e tutti i tuoi gesti, delle volte quasi cattivi.
Ho lottato anche contro me stessa.
Contro il mio cuore che nonostante tutto il male, tutte le bugie, tutta la falsità sulla quale dal primo giorno hai basato il nostro rapporto, continuava a volerti, a trovare sempre del buono in te, a giustificarti.
Ho lottato contro la mia volontà e miei istinti, contro tutte quelle volte in cui avrei voluto chiamarti e dirti che avevo voglia di te e non l'ho fatto.
Anche se poi in un modo o nell'altro mi ritrovavo sempre lì, dove tu mi lasciavi e quando volevi tornavi a riprendermi.
E sapessi quante volte, sarei voluta andarmene per davvero, quante volte avrei voluto che i miei 'basta' fossero stati veri. Quante volte avrei voluto far tacere la voglia di vederti, di averti, non darle ascolto. E quanto ho insultato me stessa, ma quando si trattava di te, diventavo la persona più debole del mondo.
Ho dovuto fare i conti con i cambiamenti.
Abituarmi a non averti più, a doverti condividere.
A vedere foto dove sei felice con un'altra, e quante volte vi ho immaginati insieme, facendomi del male da sola.
Ad oggi credo che ci abbia pensato il tempo, senza nemmeno accorgemene, ha stravolto tutto.
Ti svegli una mattina e capisci che tutto questo non fa più per te, capisci che delle parole anche se ti feriscono, ti aprono gli occhi e la mente e sai bene a che parole mi riferisco, quel giovedi non potrei mai dimenticarlo. Mi dicesti che per te non era mai stato nulla, mi asciguai le lacrime e me ne andai. Da lì promisi a me stessa che non mi avresti più ferita. Ti rendi conto che la vita è andata avanti, che non si è fermato tutto a quel 'non voglio stare con te', ma che inventabilmente le cose hanno svolto il loro corso naturale ed anche tu.
Che non può piovere per sempre ma che il sole arriva prima o poi, e dipende solo da noi.
Mi sono guardata intorno e ho visto quante cose la vita per fortuna mi ha donato. E non parlo di cose materiali, parlo degli affetti. Io non ho mai permesso a me stessa di essere triste, di piangere, io odio essere di malumore. Io sono un uragano di emozioni, sono quella che porta con sé sempre felicità, adrenilina, caos. Sono quella a cui le amiche ripetono ' ma come fai ad avere sempre tutta questa voglia e vitalità' quella che 'fa entrare tutti nel mood' altra frase che mi dicono spesso, quella che coinvolge tutti. Sono quella che aspetta il weekend con ansia, che arriva a scuola felice solo di sabato e chi mi consoce sa quanto sia sacro per me. Sacro come i miei amici, le mie uscite e tutte le cose che amo fare. Sono quella che ci resta male per un'ora e poi non ci pensa più, che vede sempre in positivo e vive alla leggera.
Con te tutto questo non c'era più, ero sempre nervosa, eri al centro di tutto, pensavo sempre alle stesse cose, traendo da sola conclusioni anche insensate. Forse amare troppo qualcuno significa anche questo. Ma amare non è solo dolore.
Ora non so bene cosa provo per te ora, non so cosa sei diventato per me.
Forse ho paura di scoprirlo, ho paura di riaprire ferite quasi ricucite, di rivivere momenti che voglio dimenticare, chiudere con il mio passato e tu fai parte di quello. Ora sto bene, sono tranquilla, quella tranquillità che da tempo avevo perso.
Sto provando cose nuove, sentimenti nuovi e voglio farlo al meglio. Voglio che debba essere tutto vero, sensato e anche se un giorno dovesse finire con questa nuova persona, vorrei poter ricordarmi di tutto con un sorriso, senza bugie, senza terze persone, senza sentimenti falsi, parole dette giusto per, gesti solo per arrivare a degli scopi, proprio come è successo con te. Non voglio rifare gli stessi errori o fare le cose che tu hai fatto a me.
Inevitabilmente nonostante il male, io ti porterò sempre dentro. Credo che spesso mi ritroverò anche a contattarti, anzi spero che la persona con cui ora sono felice, non mi dia mai mancanze o modo di dover pensare al passato. Putroppo mi hai dato tanto da ricordare.
Non potrei mai dimenticare quella notte al mare, quando c'eravamo solo io, te e la luna. Poi l'alba, un pacchetto di sigarette e due felpe. Quando restammo a parlare tutta la notte in acqua e poi macchina. A parlare di noi, di quanto fosse impossibile stare insieme ma di come quello sarebbe stato il nostro ricordo più bello. Che senso ha avuto? Eppure lo abbiamo fatto e ci siamo sempre giustificati con 'mica tutto deve avere un senso', è con questa frase che diamo senso alle nostre due teste di merda. Così simili eppure così incompatibili.
Non potrei mai dimenticare di tutte le notti passate insieme, delle volte in cui abbiamo fatto le otto del mattino, delle sveglie che puntualmente non abbiamo mai sentito, dei nostri corpi sudati in piena estate o pieni di brividi per il troppo freddo, in inverno. E Dio la tua schiena, che ho baciato, morso, graffiato, sulla quale ho dormito. .. così enorme che vicino mi sentivo davvero una bambina piccola. Non potrei mai dimenticare il modo in cui dormi, di come mi abbracci durante la notte, fino a farmi sentire il tuo cuore di come mi respiri sul collo, fastidioso e bellissimo allo stesso tempo. Di tutte le cose che ci siamo detti, tra un orgasmo e l'altro. E anche di tutte le cose che forse non abbiamo mai avuto il coraggio di dirci. Di tutte le volte che abbiamo detto è l'ultima, sperando di non essere presi in considerazione, senza capire che più ci allontanavamo più eravamo impegnati a cercarci. E quante volte ci siamo ripetuti che non ce ne importava niente, quante volte abbiamo detto 'non ti penso' 'non ti cerco', quante volte ti ho ripetuto quanto ti odiassi. Con te non ho mai avuto molti controllo, ho superato sempre tutti i limiti. Fino a farmi male.
Io e te non siamo mai stati come tutti gli altri, come le coppie morbose impegnate a rendere pubbliche le loro relazioni da mulino bianco sai come le chiamo, io e te siamo un perfetto contrasto di perversione e disagi.
L'abbiamo fatto ovunque e delle volte ancora ti cerco nel mio letto, e quando sono seduta sul divano ancora immagino la scena di me e te, stretti con la voglia di averci a mille.
Come dimenticare i litigi, i giorni passati insieme, le serate, le ore a telfono, e tutte le stronzate.
E anche se odio ammetterlo siamo simili su tante cose, e sono proprio le cose che di te più ho odiato che ho scoperto di avere, e sono quelle che ho amato più di tutte le altre. Siamo entrambi sbagliati, contorti, viviamo in un mondo tutto nostro e ragioniamo secondo le nostre regole, non sopportiamo chi si impone, odiamo sentirci in gabbia, non sappiamo mai ciò che davvero vogliamo perché viviamo alla giornata, e come dicevi sempre tu, chissà se raggiungeremo mai il nostro equilibrio. Io forse resterò in bilico ancora per molto , tu magari pian piano stai migliorando e anche se la tua felicità non comprende me, io sto bene sapendo che tu stai bene.
Sei stato il casino più grande della mia vita, hai stravolto tutto. Sei stato la cosa più brutta ma anche la più bella. Sei stato la persona che più ho amato e che più ho odiato. Sei stato la persona che mi fa fatto più male ma anche quella che mi ha fatto sentire infinitamente bene e viva.
Ora sto scoprendo cosa significa l'essere voluta davvero, lui non mi fa mancare nulla, mi tratta da priorità. Mi rispetta, mi ascolta, mi corteggia ogni giorno come se fosse il primo. Riesco ad aprirmi con lui, a dialogarci di tutto e di più ed anche quando litighiamo so che non mi lascerebbe mai. Ho una relazione perfetta, il sogno di ogni ragazza. Tutto questo con te non l'ho mai avuto, non sei mai stato in grado di darmelo, o forse non hai mai voluto. Non ho mai avuto sicurezze, mai considerazione. Ma quel poco che mi hai dato, io l'ho apprezzato e forse anche troppo, tanto da idealizzarlo.
Eppure tu resterai sempre la mia parte irrazionale, la parte dei miei istinti, dei mie desideri, quella che non avrà mai controllo con te.
Spero che anche tu possa pensarmi, ricordati di me, delle mie strane fantasie, dei miei modi di fare, delle mie stronzate, le mie urla, dei miei capelli sempre in disordine, della mia pelle delicata e sempre piena di lividi, dei miei occhi azzurri, del mio corpo, della mia voce, di come mordo le unghia quando sono nervosa. Di tutte le cose che ti ho detto e promesso, e di tutto ciò che ho fatto per restarti accanto. E di tutto quello che insieme abbiamo fatto. Delle volte in cui con me hai perso il controllo, delle volte in cui non riuscivi a starmi distante, di come mi stringevi mentre lo facevamo e di tutto ciò che provavi.
Ieri mi hai detto per la prima votla 'addio', e ho sentito un brivido lungo la schiena. E mi sono ricordata di una canzone:
Passiamo il resto della vita assieme questa sera. La vita è stare con te a letto, tutto il resto è attesa.
Ci possediamo solo il tempo che passiamo assieme. E a tutti e due così sta bene.
La nostra storia che non finisce mai di finire.
Senza chiamarsi tutti i giorni con niente da dire. E più ne faccio e più al settaccio passo le esperienze, Niente non rimane niente.
Abbiamo fatto così tanto ed ora non rimane niente di noi, abbiamo mollato la presa.
Allora Addio caro Don.
Non dimenticarmi, io non lo farò.🤞🏼❤️
E buona fortuna tu sai per cosa, il tuo sogno.. Vorrei tanto poterci essere e vedere come ti brilleranno gli occhi in quei giorni. Credo in te.
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RE.CAP //0
Mi capita spesso di avere degli attimi di riflessioni e poi farli sfuggire via per pigrizia, per pensare, o almeno credere di avere qualcosa da fare e in realtà, il nulla. Bisogna fare un recap una volta o l’altra, fare un stop, riflettere, buttare giù tutto e credere che forse ci farà bene, e forse lo sarà. Mettere della buona musica e buttare giù qualche parola. E’ stato bello crescere in questi anni, ho potuto conoscere l’amore, e soprattutto conoscere una persona che per me fa e farebbe di tutto, l’ho sempre desiderata negli anni una persona del genere, una persona da film, che ti guardasse e ti capisse in un attimo, in realtà non è proprio così; lei mi guarda, mi sfiora, mi comprende, mi ascolta, mi consiglia, mi prende in giro, mi accarezza le lacrime, mi guarda mentre dormo, mi dà baci e a volte si incazza anche se deve, e anzi, poretta, non lo fa quasi mai. Comprende le mie nostalgie, i miei desideri e le mie curiosità, e la cosa più preziosa è che nonostante vite differenti vive anche lei con un briciolo di vuoto nello stomaco, un qualcosa che la vita non le ha mai dato e che forse mai le darà, alla continua ricerca di ciò, di nuove esperienze, di nuovi battiti, di nuovi occhi, di nuove lacrime, e mi rendo conto di non essere la sola ad esser così sensibile alle cose belle del mondo, perché esistono, eccome se esistono. E poi ho conosciuto Ultimo, le sue canzoni d’amore strappalacrime e anche il suo concerto, che purtroppo non mi ha fatto emozionare così tanto come credevo, ma ho potuto emozionarmi al concerto dei The Script a cui non avevo mai pensato. Ho anche lasciato qualche amica nel corso della strada, a cui volevo e voglio tutt’ora un gran bene, ma che purtroppo erano su altre strade, per nulla compatibili alla mia. E ho imparato che cresce sempre una piccola rabbia dentro me, nei confronti delle cattiverie che ho subìto, di mio padre portato via e di mio fratello che non ci fa riposare, e questa rabbia a volte la rigetto su altri, come i miei nipoti che purtroppo non c’entrano nulla. Ma poi quando li osservo sorridermi, quando ballano e giocano li guardo e sorrido perché sono una cosa meravigliosa, indescrivibile e so che l’unica persona da correggere sono io, sempre più. E ho imparato a conoscere un po’ di più la politica e ad interessarmene come prima non avevo mai fatto, senza credere di poterla gestire, ovviamente. Piango meno, molto meno, do meno spazio alle mie emozioni e cerco di occupare il mio tempo facendo qualcosa, ma non sempre riesco, a volte mi perdo nel non sapere cosa fare, nè andare in giro, nè scrivere, nè cantare, a volte il vuoto. Ed eran 2 anni fa quando cominciai l’università e l’anno prossimo probabilmente mi laureerò e andrò avanti a studiare, e il fatto di diventare grandi, di lasciare quel nido di emozioni dell’adolescenza, di non poterci più tornare mi preoccupa. Sono preoccupata di perdere la parte interiore di me, il fanciullino bambino, quello più puro e emozionato, che quando cresce si incastra e diventa sempre più trasparente, ma bisogna ricordarsi che è lì. E che quando le persone camminano con i telefoni in mano, senza guardare nessuno in faccia, quando la gente non sa se sorriderti o guardarti male, il fanciullino è sempre lì e se per caso ti cade qualcosa, qualcuno te lo raccoglierà e ti dirà “ecco tieni” e all’improvviso scoppia un sorriso, una risata, anche se quel qualcuno non lo conosci, ed ecco il fanciullino. Io lo ricordo, io lo amo e lo vorrei sempre con me, ad ogni costo, ma vorrei che fosse sempre più evidente e non latente. Credo che inizierò a fare fotografie per osservare intorno, a me piace osservare e voglio osservare più attentamente, mi piacerebbe cogliere dettagli che agli altri paiono inesistenti e farli notare, e vedere i loro sorrisi sui volti per la meraviglia che sono, vedere le persone felici di ciò che sono. Vorrei ogni tanto una condivisone di gruppo, con un thè caldo la sera, ma che belle serate! E poi dire, “ma ci avete mai pensato a quello?...” e andare avanti fino alle 2 del mattino e dire che poi si è fatto troppo tardi, eccolo anche lì il fanciullino. Vorrei farlo riemergere nel minimo possibile, vorrei scrutare i dettagli, le piccolezze, la sensibilità è nostra amica, e piangere non fa altro che farci stare bene, soprattutto se dopo siamo consolati da un abbraccio di un nostro caro. E poi non dite che non ve ne frega niente degli altri, che andate avanti per la vostra strada, che state bene soli, perché solo non ci sta bene nessuno, perché l’uomo non è fatto per stare solo ed è per questo che continua ad inventarsi strumenti, per compiangere il vuoto che ha dentro, tra gli esseri umani. La cosa che però l’uomo non potrà mai cancellare è la sua natura, di animo buono. E adesso, la natura esterna sta morendo, per causa nostra, come se non fossimo figli di questo mondo, come se questo mondo non ci appartenesse e senza giri di parole, l’anima nostra è corrotta, senza girare la chiave, perché è incastrata e nessuno ha il coraggio di sbloccarla. Ho imparato a volere più bene alla mia mamma che è il mio angelo custode e ad amare come non mai la mia cagnolina, sempre accanto a me, nel bene e nel male. Non ho imparato a coltivare nuove amicizie, sembro tornare indietro su questo, le persone si allontanano e io con loro. Ho capito che quei piccoli momenti di dolcezza, la sera, di condivisione esistono ancora, nel piccolo, ma li vivo con intensità differente. Il mio amore mi parla, mi ascolta e io pure e ci consoliamo ma poi ci facciamo su una risata, e stessa cosa con i miei amici, mentre anni fa tremavo all’idea. Vorrei vedere più i miei amici, parlare di cose intime con loro, fare qualche cazzata con loro e vedere assieme l’alba o il tramonto e abbracciarci gli uni con gli altri, senza paura del domani, almeno per un giorno. Vivere qualche attimo intenso senza paura e senza fretta, che di fretta ne abbiamo sempre troppa. Vorrei dire a tutti di amarsi così come sono, che i tempi bui passano, con il tempo, che ad amare c’è tutta una vita, e la persona giusta ci aspetta da tempo, senza che noi nemmeno lo immaginiamo. Che i fiori sono belli anche d’inverno e che senza l’autunno, l’estate non avrebbe nemmeno un briciolo del sapore che ha. E che senza noi parolieri non ci si potrebbe immedesimare una volta tanto e che lo si farebbe molto raramente. Ho imparato che la musica odierna è solo marketing e che la personalità ce l’hanno in pochi e che poi si sta poco con se stessi, ci si confronta poco e si pensa a fare cose, senza mai pensare a noi, senza esternarci e dire un giorno ciò che pensiamo, ciò che proviamo e quanto ci vogliamo bene. Ho imparato quanto siano belle le serie tv, anche più dei film e come sia però al contempo bellissimo andare al cinema, l’emozione dei pop-corn e della macchina alla sera. Penso come sia bello vivere, dopotutto, forse con un po’ di vitalità in più sarebbe tutto migliore.
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Gli anni sono passati e viviamo adesso un momento storico in cui mi chiedo se i bambini di dieci anni non abbiano momenti di lucidità sconosciuti agli adulti. Siamo molto seri, il problema di quest'epoca non è avere un'opinione diversa gli uni dagli altri, il problema è che molti hanno abdicato alla volontà di avercela un'opinione e non è solo una cosa grave, è una cosa spaventosa. ... Entrambe le stelle si salvarono, ma a quale prezzo? Grazie al sangue di quante persone? Cosa fu la loro vita? Quale significato ebbe? E' facile immedesimarsi negli eroi, ma è qui il grande tranello: cosa avremmo fatto noi al posto delle due stelle? Avremmo sacrificato i parenti e gli amici di altri per i nostri? La vita di altri per la nostra? Perché, se vogliamo, la maggior grandezza di chi si oppose fu la capacità di porre la collettività prima dei propri interessi. Chiunque si sia esposto, abbia combattuto, abbia salvato, lo ha fatto con un grande sprezzo del pericolo proprio e dei propri familiari (pensiamo anche solo alle famiglie che hanno nascosto gli ebrei) in favore del bene di persone altre. Molti penseranno che è il primo istinto di ogni persona: pensare prima a sé stessi che al prossimo, ma se tutti la pensassimo così cosa sarebbe della nostra civiltà? E' difficile essere fratelli e rimanere umani quando l'unico diktat è il "mors tua, vita mea", ma in realtà diventa terribilmente semplice quando riusciamo a pensare che un giorno potremmo essere noi l'altro che ha bisogno d'aiuto e di essere salvato. ... In tutto lo sfilare di personaggi ce n'è uno che mi ricorda molti nostri connazionali allo stato attuale: una donnina iperfervente fascista, completamente innamorata del duce, che ascolta le canzonette fasciste alla radio con fare innamorato. Non pensa, non elabora neanche una qualche teoria personale sulla questione, non sembra nemmeno rendersi conto, marcia sul suo posto con fare stolido e la fiducia del fanatismo. Quel personaggio mi torna spesso in mente in questi ultimi tempi e lo ricollego a un libro che ho già citato qui, ma ho intenzione di continuare a citare: "Duce sei un dio!", una raccolta di lettere che gli italiani e le italiane, in un epoca presocial, sentivano il bisogno di inviare a Mussolini per dimostrare il loro ferventissimo ardore e la loro incomparabile fedeltà. Donne che avevano perso figli in battaglia pronti a offrirne altri, uomini in grado di scrivere lettere che manco al primo amore di gioventù, un delirio collettivo di adorazione mistica ai confini del fanatismo. Poiché, esattamente come Magneto, io ripongo pochissime aspettative nel raziocinio della masse, non mi stupisce minimamente che quello che accadde un tempo si ripresenti, in modo molto farsesco ma non meno pericoloso, di nuovo. Non mi illudo che la storia non possa ripetersi, ma mi illudo che forse, avendola vissuta non moltissimi anni fa, saremo in grado di porre, stavolta, una giusta resistenza preventiva. Forse. ... E' ovvio, neanche a me piacerebbe, tendenzialmente, arrovellarmi sui grandi dilemmi della vita o pensare ai grandi problemi del mondo quando anche i miei, che in confronto sono microscopici, mi sembrano già così insormontabili. Eppure è così semplice la tentazione di autoassolversi sostenendo che è talmente tanta la fatica di vivere che mettersi a pensare pure ad altro, agli altri, per giunta altri così lontani da noi, va oltre le nostre possibilità, ma nessun uomo come si dice, è un'isola. Soprattutto nessuna parte della storia è slegata dal passato e dal futuro e l'indifferenza stanca che si è appropriata di noi, facili pecore che trovano meno stressante brucare l'erba che alzare la testa verso le stelle, un giorno la pagheremo cara, la pagheremo tutta. Il passato non scompare.
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