#ceramica bagno
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Facile & Veloce una soluzione a cambiamento
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Interventi di ristrutturazione edilizia
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Ennesimo e Gravissimo Attacco a Polizia Penitenziaria nel Carcere di Augusta
Nella giornata di ieri venerdì 25 agosto, presso la Casa di Reclusione di Augusta, si è verificato un ulteriore e preoccupante episodio di violenza ai danni del Personale di Polizia Penitenziaria. Tre Agenti sono rimasti feriti in seguito all’aggressione. Secondo quanto riportato, sembrerebbe che gli stessi detenuti responsabili di un episodio di protesta avvenuto alcuni giorni prima, siano stati…
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Imparate a fare gli idraulici
La situazione è questa: da circa 3 mesi sto combattendo con un bidet che si è letteralmente spaccato nel punto in cui si attaccava al muro. Cioè la ceramica si è spezzata. Di seguito la diapositiva del danno.
Dopo aver parlato con il titolare di un negozio di arredi per bagno abbiamo appurato che sarebbe stato meglio, per ragioni estetiche, cambiare anche il WC. Restava solo da chiamare l’idraulico per mettersi d’accordo su quando venire a montare i due pezzi. È passato più o meno così il primo mese con l’idraulico che non trovava tempo. Alla fine ha trovato il modo di mandarci un suo collaboratore che è passato dal negozio di arredo bagno a prendere WC e bidet per poi venire da me a montarli.
Il casino più grosso è stato smontare il rubinetto del bidet un pezzo di design elegante che poi l’idraulico si è portato nel suo negozio per sistemarlo visto che perdeva e andava sostituita la cartuccia. Trattandosi di un rubinetto particolare le cartucce sono difficili da trovare. Ragazzi non fatevi prendere dal fascino del design: comprate rubinetti stupidì o banali. Pure se li prendete a Mondo Convenienza va benissimo!
Ma sto divagando, perché poi va detto che il rubinetto è stato sostituito provvisoriamente da un miscelatore normale. Poiché quando il dipendente dell’idraulico ci è venuto a sostituire il bidet era un sabato, non è stato facile trovare questo rubinetto quindi il tempo è passato ed è stato possibile montare solo il bidet mentre per il WC c’è ancora il precedente.
Nel frattempo il pezzo di ricambio dell’altro rubinetto non era ancora arrivato quindi sono passati altri giorni e siamo arrivati a fine aprile con la festa della Liberazione e quella dei lavoratori che hanno rallentato ulteriormente la ripresa dei lavori. Questo idraulico ha tra le sue abilità anche quella di fare impianti di climatizzazione ma ancora si riesce a parlarci per farsi fare un preventivo.
Circa due settimane fa ci eravamo finalmente messi d’accordo per finire i lavori. Sarebbe dovuto venire di giovedì. La sera stessa, poco prima dell’appuntamento, mi contatta il titolare dicendomi che il suo collaboratore non sarebbe potuto venire perché aveva una scheggia in un occhio. Doveva andare in ospedale a farsela togliere. Altro rinvio.
Ieri mi contatta il collaboratore dicendomi che verrà domani ed eventualmente sabato per montare il WC e per altri lavoretti minori.
Cosa può andare storto? Non lo so…
Però domani è venerdì… 17!
Volete un consiglio? Non studiate. Imparate a fare gli idraulici, perché avrete molto lavoro.
#disavventure#idraulici#imparate il mestiere di idraulico#serve più un idraulico che un Nobel#ironia portami via
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Oh, Madre!
Il giorno in cui ho capito che non sarei mai diventata madre avrò avuto nove anni, quando per la prima volta ho tenuto aperto sulle ginocchia un libro di Oriana Fallaci.
Ero in bagno, intenta nel mio passatempo preferito per combattere la stitichezza: frugare nel cassetto della moglie di mio padre, l'unico a distanza ravvicinata dal gabinetto su cui trascorrevo ore e ore in attesa che qualcosa uscisse dal mio corpo.
In mezzo a pile di slip, riviste osé e reggiseni, quel giorno trovai il libriccino galeotto che avrebbe annientato il mio istinto materno: Lettera a un bambino mai nato.
La moglie di mio padre utilizzava il cassetto del bagno per nascondere i suoi segreti più intimi, forse credendo che il senso del pudore avrebbe trattenuto chiunque dal rovistare tra le sue mutande.
Ma io da bambina non sapevo dove il pudore stesse di casa. Vivevo confinata nei muri della mia camera, senza amici e senza infanzia, e il mio unico confronto con il mondo erano i romanzi di Isabelle Allende con descrizioni dettagliate di tutto ciò che accadeva in camera da letto.
La mia famiglia non ha mai amato la lettura, anzi direi proprio che al verbo detestare associassero la parola libro come complemento oggetto. Quindi loro non avevano la più pallida idea di cosa ci fosse tra le pagine di quei libercoli in cui annegavo le mie giornate.
Se un libro è letto da una bambina, significa che è adatto a una bambina, pensavano. E per vent'anni ne sono stata convinta anch'io.
Ma quel pomeriggio, seduta sul gabinetto, mi sorprese leggere il titolo "Lettera a un bambino mai nato" sulla copertina di un libro nascosto tra i calzini e una scatola di preservativi nel cassetto della moglie di mio padre incinta di sei mesi.
Divorai quel libro in una settimana, ringraziando la mia incapacità di andare di corpo come le persone normali per darmi la possibilità di trascorrere impunemente due ore seduta sulla ceramica fredda del cesso, fino a sentire le gambe addormentate e il bacino indolenzito.
Dopo ogni sessione di lettura, riponevo con cautela il libro nel cassetto della mia matrigna, facendo attenzione a incastrarlo perfettamente tra le pieghe dei reggiseni e dei pigiami.
Nessuno della mia famiglia ha mai saputo che a nove anni mi appassionai del racconto di una donna incinta che desiderava abortire, del suo calvario interiore e della lotta contro l'idea che un ammasso di cellule potesse essere ritenuta vita senziente.
A tredici anni mi trasformai in una paladina del diritto all'aborto. Lasciai di stucco la mia professoressa di Italiano quando le consegnai un pamphlet protofemminista sotto forma di foglio protocollo, spacciandolo per il mio elaborato del compito in classe sul testo argomentativo.
Gli altri miei compagni di classe non avevano mai sentito parlare di aborto, tantomeno di Oriana Fallaci, e forse erano fortunati nella loro ignoranza.
Ma io mi consideravo un'illuminata, una prescelta, una donna adulta, perché a tredici anni ero in grado di difendere con sforzi patetici e artefatti il mio sacrosanto diritto a non dare la vita.
Tanto ne ero convinta, che agli esami di licenza media dedicai il mio tema di italiano all'aborto, ancora una volta. Ero ossessionata, ero pazza, ero invasata: dovevo far sapere a tutti gli adulti che io a tredici anni sapevo di non volere figli, che non li avrei mai avuti, che avrei combattuto perché le donne come me potessero scegliere di non averli.
Quando, dieci anni dopo, la mia migliore amica mi informò di essere incinta, la prima cosa che le dissi fu: "Vuoi abortire, vero?".
E alle occhiate scettiche e divertite delle donne più grandi, che ridacchiavano sornione mentre mi ricordavano l'esistenza dell'orologio biologico, io ribattevo con rabbia di chiudere il becco.
Questo fino all'anno scorso, quando una seduta con la mia psicologa esperta di EMDR ha messo un po' di disordine tra i miei piani.
Non avevo mai riflettuto sulla possibile connessione tra il mio rifiuto della maternità e il suicidio di mia madre, ma quella tragica mattina di febbraio la mia terapeuta decise di spiattellarmelo in faccia senza troppi mezzi termini: il fatto che mia madre si fosse uccisa e mi avesse abbandonata non significava che io avrei fatto lo stesso con i miei figli.
Quella fu l'ultima seduta con la mia terapeuta, perché mal tollerai questa inferenza nelle mie decisioni sul mio utero. Non mi interessava sapere quale fosse la causa del mio odio verso la gravidanza e soprattutto non volevo ammettere che la morte di mia madre mi perseguitasse fino a quel punto.
Abbandonata la terapia e accolti gli antidepressivi, ho smesso di mettere in discussione il mio disprezzo per la maternità fino a quando a essersi suicidato non è stato un mio amico.
A quel punto mi sono resa conto che il mio bagaglio di affetti contava già due suicidi nell'arco di vent'anni, una percentuale non da poco considerando che la mia permanenza su questa terra non ha varcato ancora la soglia dei trent'anni.
La morte del mio amico è coincisa con la ricomparsa breve e fugace di mio padre.
Dopo cinque anni di ostinata assenza e disinteresse, mio padre aveva deciso di riallacciare i rapporti con me dopo la scoperta di un tradimento da parte di sua moglie.
Mio padre ritenne quel momento un'ottima occasione per mettermi a parte della storia del mio concepimento.
Così ho scoperto, davanti a un raffinato piatto di uramaki, di essere la classica figlia del "proviamo a fare funzionare questo matrimonio": mia madre aveva fallito il suo primo tentativo di suicidio e aveva confessato a mio padre che avere una figlia l'avrebbe aiutata.
Si vede che non ho svolto bene il mio compito, considerando che dopo sette anni dalla mia nascita la mia cara mamma si fece trovare morta in bagno con una calza di nylon legata al collo.
Mentre il peso di questa rivelazione si sedimentava tra la bocca dello stomaco e la gola, togliendomi la capacità di proferire parola e l'appetito, mio padre rincarava la dose lamentando il suo "non aver fatto nulla di male per meritarsi questa vita" da crocerossina, vedovo e cornuto.
La mia domanda, formulata silenziosamente nelle settimane successive, riguardava piuttosto cosa avessi fatto io di male per meritarmi di essere desiderata, partorita, traumatizzata e abbandonata da mia madre.
Con poca calma e tanta perizia, nei mesi ho messo insieme tutti i pezzi del puzzle che è la mia incapacità di vedermi madre: dal libro letto di nascosto sul cesso al tema sull'aborto, dal consiglio a denti stretti dato alla mia amica al rifiuto del parere della psicologa, fino alla confessione di mio padre.
Il risultato è stato un puzzle oscuro e strambo, in cui alcuni pezzi si incastrano a fatica con gli altri e restituiscono un'immagine grottesca e spezzata. Un'immagine di me che lotta tra l'odio per la mia famiglia, il desiderio di non essere mia madre, il determinismo di un patrimonio genetico malato.
Insomma, un'immagine non troppo lusinghiera. Ma che almeno mi dà ragione dell'irritazione e della saudade che provo quando ascolto le mie coinquiline scambiarsi ogni sera confidenze con le loro madri per telefono, tra risatine e battute.
Questo puzzle sgangherato è una prova ulteriore del mio non voler essere madre, del preferire crepare da sola piuttosto che correre il rischio di dare la vita a una persona solo per traumatizzarla.
Allo stesso tempo, quando guardo questo puzzle, mi rendo conto che il fervore di quella tredicenne che scriveva pagine e pagine sull'aborto era solo un tentativo di rispondere a quell'unica, atroce domanda:
"Oh, madre! Perché mi hai abbandonato?"
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Stamattina:
dovevo andare in ufficio ma il pargolo ha febbre e vomito ed era così ridotto a un pulcino bagnato che ho deciso di restare a lavorare da casa
doveva arrivare la lavatrice nuova, quindi era proprio ora di pulire la lettiera della gatta che era nel bagno di servizio
la lettiera della gatta incautamente pulita da me nel lavandino ha ostruito il lavandino
il lavandino non si è sgorgato con lo sturalavandini, e ha iniziato a gocciolare DAL BORDO della ceramica.
bestemmie
asciugamani per terra
attesa che l'acqua sporca defluisca nel lavandino
sabbia sul fondo del sifone
rimozione della copertura in ceramica sotto al lavandino (che non tornerà mai più al suo posto, se qualcuno la vuole gliela regalo)
svitamento del sifone, estrazione del gruppo dal muro
vi risparmio quello che ci ho trovato dentro, la sabbia era letteralmente l'ultimo dei problemi. Vi dico solo che sembrava ci si fosse spazzolato Chewbacca.
Rimonta tutto, sistema tutto...
Rifai la lettiera alla gatta...
timbra il cartellino! Due minuti in ritardo
Il resto della giornata, quantunque intasata di cose da fare, è stato comunque meglio di questo, ve lo garantisco.
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La doccia
Questa mia nuova sistemazione torinese, situata in prossimità del centro cittadino e separata dal livello stradale da quattro cospicui piani di scale, è dotata di un locale bagno che oserei definire a dir poco striminzito. In un tale spazio trova ubicazione tutto quello che dovrebbe stare canonicamente in un gabinetto: water, lavandino e ovviamente (perché in Italia si è persone civili) bidet. Un incasellamento simile, degno dei più complessi stage del tetris, costringe a dei movimenti sottili e assolutamente ben pensati. Mosse dalla natura danzante che, attraverso arrotamenti e flesso-estensioni, riescano a salvaguardare la testa dalle asperità del basso soffitto e a far in modo che i piedi non si incartino in maniera irreversibile sopra le mattonelle. In tutto questo spumeggiante affollamento di ceramica, specchi e mobiletti trova posto anche una rocambolesca e quantomai improbabile cabina doccia. Essa, sui due lati lontani dalla porta di ingresso, si presenta costituita da pareti di pietra che, con il loro aspetto smusso, rapidamente si raccordano alla volta. Un altro lato è dominato da un lastrone in plastica rigida satinata, mentre l'ultima faccia di questo ipotetico parallelepipedo, nonché punto attraverso il quale si accede a suddetto cubicolo, è sede di una comoda tendina dal fondo giallognolo. All'interno di quello che sembra essere a tutti gli effetti il cilindro che porta i pazienti dentro la macchina della risonanzna magnetica, si staglia sovrana la testa della doccia. Il getto che ne scaturisce non è certo potente né uniforme ma, in compenso, necessitando di una discreta quantità di tempo per raggiungere temperature tiepide, permette di sistemare dei tappetini intorno al perimetro della cabina al fine di evitare di rendere il piccolo bagno un piccolo laghetto. Per cui la strategia di lavaggio si architetta sistematicamente così: apertura dell'acqua, chiusura della tendina (portando in cuore la consapevolezza che ci sarà sempre e comunque uno spiraglio destinato a rimanere incontinente), sistemazione dei tappetini a terra, denudazione, esecuzione di una bella piroetta per entrare nel silo, e, con attenzione millimetrica ai propri movimenti, compimento dell'autodetersione. Una volta concluso il rituale avviene l'asciugatura delle lacrime che una tale esperienza le prime volte immancabilmente genera e si vola via in camera da letto. Con il telefono già su internet alla ricerca di una palestra o piscina che sia; non tanto per l'attività fisica in sé quanto per la possibilità sfavillante di fare una doccia semi-decente senza sforzo.
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Cersaie 2024 a Bologna
Cersaie, il Salone Internazionale della Ceramica per l’Architettura e dell’Arredobagno, torna a Bologna, dal 23 al 27 settembre, dove aziende provenienti da tutto il mondo sono pronte a incontrare i professionisti internazionali del mondo del design e della progettazione e a svelare in anteprima le future tendenze e soluzioni innovative nel campo delle superfici, dell’arredo del bagno e delle…
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MM LIMA A 200 MT DALLA METRO’: Nel rinomato Corso Buenos Aires, in palazzo d'epoca dei primi del ‘900 dalle eleganti parti comuni, dotato di ascensore e con servizio di portineria, passo carraio, piano QUARTO con ascensore. L’Agenzia Immobiliare SERVIZI IDEACASA propone in AFFITTO OTTIMO BIILOCALE posto al piano quarto: presenta una distribuzione degli spazi interni funzionale ed è composto da un ampio ingresso, un grande soggiorno, una cucina abitabile completamente arredata e un bagno finestrato, mentre nella zona notte è presente una camera da letto TOTALMENTE RISTRUTTURATO ED ARREDATO con pavimenti in ceramica / parquet, doppi infissi in legno/alluminio, riscaldamento centralizzato a corpi radianti. La zona dove è ubicato l’immobile è ricca di negozi vari, supermercati aperti 7su7 h24 CARREFOUR, TIGOTA’, LIDL, farmacie, banche, parchi giochi, centri sportivi, asili, scuole primarie, secondarie, Licei. DA VEDERE EURO 1.500,00 oltre spese ( euro 200,00 ) Per informazioni "TEL 0236569526 r.a.- CELL 3204514026 è attivo il servizio whatsapp lasciate un messaggio con nome cognome n telefonico e motivo del contatto dove desiderate essere ricontattati.
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Tema vasca da bagno: non esistono più in ceramica? Adesso si prendono in acrilico? O è solo un mercato al risparmio?
E' volutamente una foto e non una gif.
Non ne ho idea.
(Il mercato non smette quasi mai di fare cose per "risparmio" generico, smette di farle per motivi di regole europee, ecologia, risparmio energetico, facilità nella produzione, peso ridotto, tempistiche ecc ecc, se non le trovi in ceramica vuol dire che o non è più il momento di farle o che costano tanto e sono diventate un prodotto molto di nicchia, ma davvero non ho idea di cosa sto parlando)
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ho appena lanciato il telefono nel wc per sbaglio. (mentre cercavo un tornio per ceramica su amazon)
È stato un canestro formidabile.
Per fortuna funziona ancora siccome ora li fanno semi subacquei.
È indistruttibile.
p.s il wc era pulito, sono entrata in bagno e sistematicamente, per ragioni fantasmagoriche, il telefono è entrato nel wc.
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dionea muscipula
L’inverno accade piano.
La vecchia sensazione della tua barba rada che graffia. Mi hai raccomandato che esistono delle sfumature del giorno in cui possiamo stare vicini, qualcosa di più, qualcosa di meno. Luoghi di sapori tenui come lo zucchero di canna mescolato al caffè prima sulla mia e poi sulla tua lingua. Le tue guance souvenir, le mie riempite di confetti, abbuffate battesimali di corpi in fesa, bomboniere dai colori tenui. La vecchia e nuova sensazione della tua barba che mi si strofina addosso, ora che è cresciuta, mi accarezza.
Storie di famiglie. I corsi delle vene deviati da qualche piccolo intoppo: deviati da qualche piccola massa: deviati da qualche piccolo insetto. L’ho sentito parlare di dipendenze. Portava una mano al petto, recitava?, pregava?, il suo volto si imbruniva nel tempo, l’ho sentito parlare di amore, recitava?, l’ho sentito parlare di violenza, pregava? Mi ha raccontato che la gente piange spesso ai funerali, Plutoni distratti, lui che si china sul feretro, lei non ha più il volto che aveva quando l’hanno trovata. E’ più bianca, è più lucida, sembra foderata di plastica. Un sacco biodegradabile sul suo cranio, un sacco biodegradabile dove andranno a morire le sue grida, nessuno ha mai urlato così tanto, nessuno ha mai sentito parlare dell’amore. E’ uscito dalla sua bocca, è suo figlio, nessun l’avrebbe mai amata così. Nessuno ha mai sentito parlare di violenza. Tranne quella volta che l’hanno tramortito dopo una festa, tranne quella volta in cui gli è toccata la seconda lavanda gastrica, tranne quella volta che ne ha presa una in più, e una in più, e due tre quattro in più, danni da prescrizione, è più bianco, è più lucido. La malattia non lo colpisce, prega?, la malattia lo benedice, recita?
L’inverno è un incubo che non porta a niente, uno spirito freddo senza scarpe, i suoi passi leggeri sulla ceramica del pavimento del bagno, piante di pelli bagnate dal cloro e dalla rugiada. Mi accorgo che settembre a Bologna è un leggero buffetto sulla spalla, complimento di una prozia che non vedevo da mesi, ma novembre sradica le sue ossa e le lascia scivolare nella marea dell’asfalto alluvionato. Ed era così forte che non ci ho creduto. Il suo corpo da Marte reso martire, guerra dei suoi canini sopra i miei, siamo due cani rabbiosi nel cortile, ci prendiamo a morsi le guance. Il suo corpo da Venere che inghiotte mosche. A lui piace sentire il sapore della carne sulla lingua, quando ancora sa di ferro, gli piace sentire che il mio sangue a contatto con il suo brucia.
E’ un deviato, nessuno lo amerà più così, sacco biodegradabile che è il mio addome, ricordiamo i lutti e i lumi passati, ci schiudiamo come su una stele. Le sue mani rese porpora dalle interiora, pensa che lavorare in una macelleria sia come fare un boia, io mi aggiro con la peste in corpo, non ho paura dei contagi.
Quando mi disse che c’era ancora spazio, che era rimasto come un confine disegnato a penna, immaginai quell’esatto momento del giorno in cui divento pazzo, gli incubi mi si incollano alle palpebre. Non guardarmi, dico, voglio farlo da solo. Ma la realtà è che ho pensato fin troppo alla compassione, alla cura, alle grazie di quest’annata di ostinazioni. Incredibilmente, la primavera mi porta sempre da te.
Scambiamo qualche parola che sa di futuro, ce ne dimentichiamo subito dopo, è una piccola particella in cancrena che ci ottura un’arteria. Lui ha tante cose da finire, lavori incompleti lasciati a prendere polvere, io sono ancora in tempo per imparare a distinguere i confini reali. Mi porto una mano sul petto, il candore della mia giovinezza reso vile dai peli, ora che ho un corpo simile al suo posso non avere vergogna di mangiare davanti a lui, ora che ho un corpo simile al suo posso portarmi una mano al petto, esce dalla mia bocca, è una parola di riguardo verso mio padre.
E ancora, storie di famiglie.
Sono sincero quando dico che vorrei fosse morto, quella sera. La malattia lo colpisce. La malattia lo benedice. Lui non muore mai. La sua testa sa ancora di ferro, gli aghi da cucito si tramutano in spilli, ci cammino sopra come un monaco sacrificale. E’ così difficile fare pace con il siamo insieme in questo, che più mi muta il mento, più gli rassomiglio in modo scabroso.
Io sono nato in mezzo ai drammi di un nido, ho assimilato giusto giusto qualche parola sulla violenza, la mia gola non è ancora abbastanza spaziosa per l’odio, tu cammini troppo veloce anche per me e ti sistemi la sciarpa tartan, mi dici che la primavera ti ha portato qui. E’ come un vento caldo che spera di scuotere. E’ come un’altra parola che fatica a venirci in mente, ce la inerpichiamo tra le lingue per ore, la rendiamo un batuffolo di salive che scivola rotolando lungo le strade. Baciarti dove avrei avuto più vergogna, sbigottito del mio stesso fervore, ho vent’anni e mi si è incollato addosso l’odore dell’idea che torni presto inverno.
Marzo mi porta le tue ossa. Aprile mi porta i tuoi organi. Maggio mi porta la tua voce, che è quella di una volta, che è uguale alla mia. Giugno mi porta la tua anima, la sagoma del tuo vecchio io sudato sulle mie lenzuola. E’ un anno che imparo a dormire con la tua metà del cervello accanto alla mia, tu mi ripeti che c'è ancora spazio per noi, quindi, dov’è?
Se io sono una falena resa sterile dalla luce e tu sei una pianta carnivora lasciata seccare, allora, dov’è? Nel mio e nel tuo modo di morire? O di volerci bene? O di entrambe le cose?
Cos’è quello spazio del giorno in cui divento pazzo se non l’inverno?
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