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Origine della Certosa di Parma
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Luigi Foscolo Benedetto ha individuato ne La Parma di Stendhal il cenobio di S. Martino di Valserena sulla strada fra Parma e Casalmaggiore come la “Certosa”, dalla geografia tra reale e immaginario presentata da Stendhal nel romanzo.
A chi, magari per semplice curiosità, capitasse di aprire nel portale del Sistema bibliotecario di Milano, di Milano, dal menu a tendina RACCOLTE DIGITALI, la voce Centro Stendhaliano e accedesse poi alla pagina Postille vedrebbe un lungo elenco di titoli linkati che rimandano alle pagine scannerizzate e alle relative trascrizioni di note autografe, redatte da Stendhal, ai libri che facevano parte della sua biblioteca quando era console a Civitavecchia (1831-1842). Si potrebbe obiettare sul notevole impiego di tempo e di risorse impiegati nel decrittare quel corsivo nervoso per brevi glosse di difficile comprensione, ma solo se si pensi al lavoro del critico letterario come a un semplice esercizio di soggettivismo estetico. Per Luigi Foscolo Benedetto l’attività da filologo svolta proprio su uno Shakespeare del Fondo Bucci (dal nome della famiglia di Civitavecchia che acquisì i beni dello scrittore dopo la sua morte) ora in possesso della Biblioteca Sormani è stato l’occasione di una notevole scoperta sull’origine della Certosa di Parma, che ha posto in nuova luce la critica del romanzo.
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La Chartreuse de Parme, par l'Auteur de Rouge et Noir [Stendhal], Paris, Ambroise Dupont, 1839 [prima edizione]
Durante il suo soggiorno romano, Stendhal era andato in cerca per biblioteche e librai di testi redatti da ignoti cronisti tra il XVI e il XVII secolo riguardanti quella che si potrebbe ante litteram chiamare “cronaca nera” italiana di quegli anni. Aveva allora acquistato originali e copie oppure aveva fatto copiare lui stesso quei testi, che in larga parte erano poi stati rilegati in dieci volumi in folio. Si tratta dei manoscritti italiani in possesso della Bibliothèque Nationale di Parigi segnati da 169 a 178. Henry Beyle era molto orgoglioso di quella collezione che si divertiva a sfogliare e postillare nelle non particolarmente brillanti serate di Civitavecchia. Tra il maggio del 1836 e l’agosto del 1839, Stendhal ebbe una sorta di “aspettativa” che trascorse a Parigi, dove poté dedicarsi al mestiere di scrittore. Propose fra l’altro alla “Revue des deux Mondes” la regolare pubblicazione dell’adattamento romanzesco delle cronache raccolte a Roma. Videro così la luce: Vittoria Accoramboni, La badessa di Castro, I Cenci, La duchessa di Palliano, ecc. Questi testi furono raccolti dopo la sua morte con il titolo Cronache italiane. L’Origine delle grandezze della famiglia Farnese fu invece pubblicata come una semplice traduzione appena rimaneggiata. L’originale era un piccolo libello con cui l’ignoto autore intendeva mostrare che una delle casate principesche più illustri del suo tempo, tale non sarebbe stata se il suo fondatore, Alessandro, non avesse avuto l’aiuto di una parente, concubina del famigerato Rodrigo Borgia divenuto papa col nome di Alessandro VI, per diventare cardinale a soli ventiquattro anni e, più tardi, a propria volta pontefice (Paolo III).
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Papa Paolo III (1468-1549) con i nipoti Alessandro e Ottavio nel celebre ritratto di Tiziano, oggi a Capodimonte.
Se nella sostanza i fatti riportati corrispondono, come da altre più accreditate fonti, a verità, così come la notizia della detenzione e fuga di Alessandro Farnese da Castel Sant’Angelo e dei suoi amori continuati anche da porporato con una certa Cleria, il libello è privo di valore storico e il suo autore ha cucito insieme le notizie che è riuscito ad avere con approssimazione e fantasia. Stendhal non pare essersi accorto dello scarso valore storiografico dell’Origine, probabilmente per la simpatia ispiratagli da subito dal protagonista, che sostituì il traduttore col romanziere-poeta. La sua cultura artistica gli permetteva tra l’altro di intravedere tra il giovane dissoluto e l’austero pontefice una continuità passionale sublimata nel mecenatismo. Il nome del papa era inseparabile fra l’altro da quello di Michelangelo, al quale aveva commissionato l’affresco del Giudizio universale. Il 16 agosto del 1838, in una nota autografa, Stendhal manifesta l’intenzione di trasformare l’Origine in un “romanzetto”. Non è dato di sapere a cosa effettivamente pensasse, ma certamente abbandonò da subito, se mai l’ebbe, l’idea di rendere protagonista di un suo romanzo un papa rinascimentale. La storia doveva essere ambientata nel presente immaginario dell’Italia a lui contemporanea, a testimoniare il legame rimaneva tuttavia il nome del protagonista: Alexandre.
La nota allo Shakespeare del Fondo Bucci testimonia la definitiva cesura formale:
 “Le 8 novembre [1838] je corrige le dit Vater [Waterloo] et je change Alexandre en Fabrice”.
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Oeuvres dramatiques de Shakspeare, traduites de l'anglais par Letourneur. I. Nouvelle édition précédée d'une notice biographique et littéraire, par Mr. Horace Meyer [...], Paris, Impr. de A. Saintin, 1835
Nella sostanza tuttavia nella Chartreuse permangono i temi idealizzati dell’Origine: una bella zia protegge un nipote sincero e ardente (Fabrizio/Alessandro), fatto per l’azione, nella sua carriera di ecclesiastico, dopo che la partecipazione alla battaglia di Waterloo gli ha precluso quella delle armi, e riesce a coinvolgere il suo amante Primo ministro di un piccolo Stato (Rodrigo/conte Mosca) nell’operazione. Rimane anche quasi inalterato il nome del grande amore del protagonista, la soavissima Clelia, figlia del governatore dell’immaginaria cittadella di Parma, nella cui descrizione non è difficile ravvisare quella di Castel Sant’Angelo.
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Castel Sant’Angelo in una stampa del 1835
Contro di loro, rappresentanti di ciò che ancora esiste dell’ideale stendhaliano di società, intrigano e complottano degli ambiziosi, a loro inferiori sotto ogni aspetto. Stendhal scrisse La Chartreuse de Parme, che fu pubblicata nell’aprile del 1839, in soli due mesi per scongiurare (come ha messo in risalto Marc Fumaroli) il pessimismo (la prima idea per il titolo del romanzo era non a caso La Chartreuse noire) rispetto a un mondo in cui la lotta incessante per il denaro e le comodità materiali avevano messo ai margini l’immaginazione, l’allegria, i piaceri della compagnia, le passioni amorose e le arti, ossia tutto ciò che per lo scrittore rendeva la vita degna di essere vissuta.
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