#cantine biondi
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Azienda agricola e cantine Biondi - Trecastagni etneo, Catania. Cippo perimetrale.
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ABRUZZO Binomio ABRUZZO Masciarelli BASILICATA Elena Fucci BASILICATA Paternoster BASILICATA San Martino CALABRIA Odoardi CALABRIA Vincenzo Ippolito CAMPANIA Feudi di San Gregorio CAMPANIA Mastroberardino CAMPANIA Montevetrano CAMPANIA Nativ CAMPANIA Quintodecimo EMILIA-ROMAGNA Cleto Chiarli e Figli EMILIA-ROMAGNA Tenuta Pederzana FRIULI VENEZIA-GIULIA Bastianich FRIULI VENEZIA-GIULIA Gravner FRIULI VENEZIA-GIULIA Jermann FRIULI VENEZIA-GIULIA Livio Felluga FRIULI VENEZIA-GIULIA Marco Felluga LAZIO Famiglia Cotarella (già Falesco) LIGURIA Terenzuola LOMBARDIA ArPePe LOMBARDIA Bellavista LOMBARDIA Ca’ del Bosco LOMBARDIA Nino Negri LOMBARDIA Rainoldi MARCHE Garofoli MARCHE Umani Ronchi MOLISE di Majo Norante PIEMONTE Aldo Conterno PIEMONTE Cavallotto PIEMONTE Elvio Cogno PIEMONTE Falletto di Bruno Giacosa PIEMONTE G.B. Burlotto PIEMONTE G.D. Vajra PIEMONTE Giuseppe Mascarello & Figlio PIEMONTE Marchesi di Barolo PIEMONTE Massolino PIEMONTE Michele Chiarlo PIEMONTE Nervi Conterno PIEMONTE Paolo Scavino PIEMONTE Produttori del Barbaresco PIEMONTE Renato Ratti PIEMONTE Roagna PIEMONTE Vietti PUGLIA Felline PUGLIA Gianfranco Fino PUGLIA Tormaresca SARDEGNA Cantina Sociale di Santadi SARDEGNA Tenute Sella & Mosca SICILIA Benanti SICILIA Graci SICILIA Morgante SICILIA Passopisciaro (Tenuta di Trinoro) SICILIA Planeta SICILIA Tasca d’Almerita TRENTINO ALTO ADIGE Cantina Terlano TRENTINO ALTO ADIGE Cantina Tramin TRENTINO ALTO ADIGE Elena Walch TRENTINO ALTO ADIGE Ferrari TRENTINO ALTO ADIGE Maso Martis TRENTINO ALTO ADIGE Tenuta San Leonardo TOSCANA Altesino TOSCANA Antinori (Guado al Tasso & Castello della Sala) TOSCANA Biondi-Santi TOSCANA Boscarelli TOSCANA Canalicchio di Sopra TOSCANA Carpineto TOSCANA Casanova di Neri TOSCANA Castello Banfi TOSCANA Castello d’Albola TOSCANA Castello di Ama TOSCANA Castello di Volpaia TOSCANA Eredi Fuligni TOSCANA Fontodi TOSCANA Il Poggione TOSCANA Le Macchiole TOSCANA Lisini TOSCANA Marchesi de’ Frescobaldi TOSCANA Ornellaia TOSCANA Rocca di Frassinello (Castellare di Castellina & Feudi del Pisciotto) TOSCANA San Felice TOSCANA San Filippo TOSCANA San Giusto a Rentennano TOSCANA Tenuta San Guido TOSCANA Valdicava UMBRIA Arnaldo Caprai UMBRIA Lungarotti UMBRIA Tabarrini VALLE D’AOSTA Grosjean VENETO Allegrini VENETO Cesari VENETO Gini VENETO Le Colture VENETO Leonildo Pieropan VENETO Maculan VENETO Masi VENETO Mionetto VENETO Nino Franco VENETO Prà VENETO Roberto Anselmi VENETO Tommaso Bussola VENETO Zenato
Dall’articolo "Vino, le 103 cantine migliori d’Italia secondo Wine Spectator" di Luciano Ferraro
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Tre vini italiani nello spazio
L’idea nasce dall’intuito del fondatore della Fondazione Italiana Sommelier Franco Maria Ricci, un luminare sul campo che, per esplorare le prospettive future della vite, ha scelto ‘con il cuore’ tre vitigni rappresentativi dell’eccellenza vitivinicola italiana
I vini delle cantine Biondi-Santi, Feudi di San Gregorio e Gaja e le loro barbatelle sono state affidate all’Agenzia Spaziale Italiana per la realizzazione di un esperimento scientifico avanzato che avrà come destinazione il primo avamposto umano in orbita nello spazio, la Stazione Spaziale Internazionale. La consegna è avvenuta ieri a Roma, in occasione del 15° Forum Internazionale della Cultura…
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#approfondimenti sul vino#Biondi Santi#eventi enogastronomici#gaja#GIORNALE DEL VINO#Guida Vini d&039;Italia#Notizie sul Vino#rossorubino.tv#video sul vino#vini d&039;italia#vini nello spazio#wine videos
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IVREA E’ LA NUOVA BERLINO
Una festa in provincia di Torino. Ivrea, Cantine Morbelli: l’aspetto è quello di un’enoteca ma basta guardarsi intorno per scoprire sulla destra un discreto foglio A4 dove c’è scritto FESTA PRIVATA. Una freccia indica una scala in discesa, tramite la quale si entra a far parte di un regno autonomo e temporaneo fatto di musica elettronica, palme e aria vibrante. Il primo dj residente è già in consolle: i suoi capelli biondi ossigenati calamitano gli sguardi di chi gli ondeggia davanti. La musica di Enea Pascal ci fa immergere nel clima tropicale della serata; le palme verdi sono una scenografia ben riuscita, l’impiantone audio fa il resto. Fa caldissimo, sul lato destro della stanza ci sono delle grandi botti in rovere dove il vino riposa. Delle duecento persone attorno incrocio un paio di occhi semichiusi. Non si tratta di uno sguardo ammiccante, né è colpa dalle accecanti luci stroboscopiche sparate incessantemente in faccia. Piuttosto lo definirei uno sguardo un po’ addormentato, ma chissà perché degno di curiosità. La mia. Io, che tra quattro sexy commessi mi innamoro del quinto assunto per le agevolazioni fiscali sui disabili, non valgo come cliché universale. L’espressione sul mio viso si trasforma in stupore quando rivedo quegli occhi al di là della barriera di palme verdi, fresche e profumate che separano la folla dal palco. Va bene che l’abito non fa il monaco, ma è davvero lui il secondo dj del progetto Ivreatronic? Incuriosita rimango a respirare odore di umanità compressa e fiati eccitati proteggendo con difficoltà il mio spazio tra le palme verdi. Splendore – questo l’appellativo che scopro essere suo – di bizzarro non ha solo il nome: una volta arrotolate le maniche della felpa, inizia a muoversi seguendo la scossa elettrica della musica che produce, inscenando una personalissima coreografia dal ritmo tropical house. Tanto più sembra perdere il controllo del proprio corpo, che si muove in armoniosa autonomia, quanto più il suo viso diventa concentrato sulla consolle che manovra davanti a sé. I bassi della musica sono intervallati da alcuni intermezzi vocali che invocano il suo nome – ciaosplendore. Il sorriso che mi paralizza la bocca è sintomo di apprezzamento: questa musica mette proprio allegria. Rido, mentre mi amalgamo alla massa indistinta di mani e braccia al cielo. L’abito non fa del monaco uno splendore, ma la musica sì. Il prossimo a suonare è Marco Bianchi, in arte Cosmo. Guardandolo al di là della barriera di foglie verdi, si avverte immediatamente quanto si stia divertendo a far ballare la gente della sua città. Rispetto ai precedenti, propone un’elettronica più intima e a tratti un po’ cupa. Marco è il più bello di tutti, anche i fotografi di Llum se ne accorgono: molti scatti sono per lui, ma non tutti finiscono sul tumblr di Ivreatronic, che rievoca momenti e personaggi che popolano le serate eporediesi. Foresta, infine. Il gioco di parole con la fitta chioma di ricci scuri sarebbe banale, anche se ammetto di essermi chiesta se i capelli fossero cresciuti prima o dopo il nome che porta. Foresta mette in scena un’ora di afrotropicalhousetechno che mi fa tornare alla mente le serate di gintonic al Sugho, il locale – di sua proprietà – dove tutti i canavesani andavano a ballare fino a qualche anno fa. La notte di Ivreatronic finisce alle quattro del mattino e lascia con sé la sensazione di aver contribuito in quelle ore all’esistenza di una zona temporaneamente autonoma, curata profondamente nei dettagli, che urla a suon di bassi la sua voglia di esistere e riprodursi.
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#DELITTO A CORTE epilogo
Dal Tweet Gioco di #Delitto a Corte della Regina, sto creando questi piccoli racconti. Spero vi piacciano, avete scelto voi i protagonisti e la trama. DELITTO A CORTE (epilogo) Sotto la pergola, completamente avvolto dal manto della notte, Pedro vide tutto. Ed ebbe paura. LA SERA DEL DELITTO Era passato un mese dall'incontro dei tre alla radura. Un mese in cui la Regina allontanò sempre di più lo stalliere, lasciandolo però nel limbo del dubbio per la fuga. La grande serata era arrivata. I vestiti delle dame erano alleggeriti, visto l'arrivo dell'estate, fra i capelli, oltre alle perle, spuntavano delicati fiori. Cavalli e carrozze erano messi al riparo dagli stallieri. La servitù era in fermento e vi era un andirivieni continuo fra cucine e cantine, dove era custodito il pregiato vino che sarebbe stato servito al banchetto. Tavoli di legno imbanditi di frutta fresca di stagione e pane bianco e morbido. Il Re stesso accolse molti dei nobili, la Regina ancora era nelle sue stanze. Il Giullare quel mattino si era alzato con una sensazione di peso al cuore, come se avesse al collo un'enorme catena d'oro massiccio, pesante e fastidiosa. Sentiva i vestiti stretti, gli davano l'impressione di farlo soffocare. Sul tavolo vi era la brocca col vino rubato in cucina. Ne bevve una coppa. Il suo sguardo cadde sull'ampolla che aveva messo su di libro. Il liquido all'interno era inodore e alla vista, sembrava normalissima acqua. Bevve ancora vino. Pedro diede ordini precisi ai suoi ragazzi, e disse che lui avrebbe aspettato gli ospiti lungo la strada, iniziava a fare buio e in alcuni tratti, alcune buche potevano non essere viste dai cocchieri. Nessuno obbiettò. Percorse per diversi metri la strada lastricata, poi trovò un piccolo sentiero laterale che tornava indietro e, nascosto dalla vegetazione, si ritrovò vicino alla mura, dove, seduta di una panchina in pietra, la Regina lo stava aspettando. Era già vestita per il ballo e i gioielli che aveva scelto le facevano brillare gli occhi di un verde innaturale. Si baciarono e lei gli strinse le mani:《Alle prime luci dell'alba a quel cancello che vedi laggiù. Si apre direttamente sul bosco, lì farai trovare due cavalli pronti e riposati, il viaggio sarà lungo. Ora va, fra poche ore ti manderò a chiamare da Giovanna, per la cena nelle cucine, insieme alla servitù》 E si voltò bruscamente e correndo si diresse verso il pesante portone di quercia. Pedro la guardò e il suo cuore prese a battere all'impazzata. Come aveva potuto dubitare dell'amore della sua vita? Tornò verso la strada di pietra e non fece nemmeno caso al fatto che mai era stato invitato a mangiare insieme alla servitù. Vanni, nascosto fra gli alberi, seguì con lo sguardo ogni movimento del ragazzo. Non ebbe nemmeno per un momento pena per lui, pensava solo al suo compenso alla fine di tutto. I tavoli erano pieni di cibo di ogni specie e dolci ricoperti di miele dolcissimo e dorato. Il vino scorreva a fiumi e tutti ne erano inebriati. Quando gli ospiti furono alla terza portata, Giovanna chiamò lo stalliere. Lo fece sedere su di una panca di legno, vicino ad un grezzo tavolo di legno scuro. Arrivò anche il Giullare e si sedette proprio di fronte a lui. Lo guardò negli occhi per un attimo:《Benvenuto alla nostra tavola, anche se io vengo qui solo per rubare una coppa di buon rosso》 E bevve il vino tutto d'un fiato:《Vuoi assaggiarlo, Pedro? E' ottimo. Fidati, io me ne intendo!》 Pedro era affamato e assetato e annuì deciso. 《Bene amico mio!》 Giovanna fece cadere un piatto e Pedro la guardò, poi inaspettatamente, un cane da caccia del Re, arrivo di corsa in cucina. Pedro allora si accorse che il Giullare stava per estrarre qualcosa dalla tasca, ma l'arrivo del cane lo aveva fermato. Il cane era sporco di fango e foglie, si era perso durante una battuta di caccia il giorno precedente. Salto in grembo a Giovanna che urlava e anche al Giullare. La calzamaglia dell'uomo venne strappata e la tunica macchiata di fango. Una giovane domestica arrivò di corsa in cucina a chiamare Cesco, era atteso nel Salone immediatamente, il Re stava perdendo la pazienza. Giovanna allora disse :《Va e dammi i vestiti, nella cassapanca ne trovi di uguali》 E con forza gli tolse la tunica per metterla subito a bagno. Cesco guardò a lungo l'acqua che impregnava il tessuto, poi lo chiamarono di nuovo e, per non destare sospetti, corse via. Appena il Giullare sparì, Pedro tirò fuori dall'acqua saponata la tunica e frugò nelle tasche. Vi trovò un'ampolla che conteneva un liquido simile all'acqua. Giovanna, che nel frattempo si era messa un grande grembiule pulito, lo vide e gli ordinò di sedersi per poi mettergli davanti un piatto di arrosto di maiale fumante e un boccale di birra. Pedro aveva però capito tutto. Ecco cos'era che il frate aveva passato a Cesco quella sera. Un veleno, ne era certo. Il Giullare voleva avvelenarlo... o peggio, la Regina... no... non lei, pensò, non lei. Iniziò a mangiare in silenzio. Fuori, nel buio, due occhi scrutavano nella stanza e avevano seguito tutta la scena. Vanni si allontanò di pochi passi nel buio e avrebbe aspettato. Non era previsto un cadavere in più, ma a volte, non tutto va come dovrebbe. Pedro decise di restare nella cucina ed aspettare. Aveva notato che il Giullare era amante di quel vino rosso, dolce e corposo che veniva servito ai nobili. Prima o poi sarebbe arrivato a bere. E aspettò a lungo. Poi una sguattera arrivò e prese una brocca e la colmò di vino ed una sola coppa e la mise su di un vassoio di argento. Pedro allora le chiese:《Come vanno i festeggiamenti? E' finita la commedia?》 Lei fu felice di poter parlare con qualcuno di più importante di lei:《Sì signore, la commedia è finita e gli ospiti sono fuori a passeggiare nel giardino. Nella sala ora c'è solo Cesco, porto un po' di vino a lui e...》 Pedro fece cadere e rotolare la coppa e la ragazza, come pensò, si chinò a raccoglierla. Lui fu rapido a versare il veleno nella brocca. Chiese scusa alla ragazza e lei si congedò. Pedro uscì in fretta e si diresse alle stalle per preparare i cavalli per l'alba. Il salone ora era sporco e vuoto, il Giullare era assorto nei suoi pensieri, vicino alla finestra. Avrebbe dovuto chiedere a Vanni altro veleno e trovare una scusa per la Regina, che sicuramente si sarebbe infuriata. Finalmente la sguattera arrivò col vino:《Ci hai messo troppo tempo, ora fila alle cucine a lustrare le padelle, muoviti!》 Lei corse via piangendo. Cesco era stanco di quella vita di bagordi e infelicità, iniziò a bere il suo elisir di giovinezza. Il vino scese per la gola piacevolmente. Vuotata una coppa, ne bevve subito un'altra. Poi iniziò a sentirsi soffocare. Poi una dolorosa fitta allo stomaco, provò ad urlare ma non riuscì, si contorceva dal dolore. Il sangue iniziò a colargli dagli angoli della bocca. Erano in giardino, se fosse riuscito ad aprire la finestra, lo avrebbero sentito. Prese un pensante tendaggio per spostarlo e proprio in quel momento, ci fu un doloroso spasmo finale. Cadde in avanti, strappando con la mano la pesante tenda, che lo coprì come un sudario. Pedro portò al cancello i cavalli, stava per sorgere il sole. Si guardò più volte intorno. La Regina tardava. Finalmente sentì il cigolio del portone che si apriva. La figura che gli si parò davanti non era Elena, ma un uomo, vestito completamente di nero, i capelli biondi pettinati all'indietro, la barba accorciata. La cicatrice era però riconoscibile. Quell'uomo era il frate. Vanni guardò Pedro e la sua espressione di sorpresa. Lo stalliere allora capì che quella era una trappola e provo a montare a cavallo ma Vanni fu più rapido. Lo strascinò giù dalla sella e tenendolo fermo da dietro, con un coltello gli tagliò la gola, da parte a parte. Il sangue iniziò ad inzuppargli il braccio e lui lasciò cadere lo stalliere, ormai senza vita. Inditreggiò di qualche passo:《Bravo Vanni. Ottimo lavoro. Eccoti il tuo compenso.》 . La Regina si era messa vicino a lui e gli offriva una borsa d'oro e disse ancora:《Ora tu sei a conoscenza di un mio segreto. Dovrei farti uccidere...》 Vanni trasalì visibilmente. La Regina allora rise:《Io però ho in mente qualcosa di meglio. Ti offro il comando della guardia reale. Ci prepariamo ad andare in guerra e abbiamo bisogno di un comandante coraggioso e senza scrupoli. Dimmi tu cosa vuoi fare adesso.》 Fu il turno del mercenario ridere:《Regina, la ringrazio e scelgo la vita. Ho ancora tempo per morire...》Elena gli si avvicinò e lo prese a braccetto:《Hai fatto la scelta più giusta. E il tuo primo compito è quello di sbarazzarti del cadavere del giovane e di quello del Giullare, il più presto possibile. Eccoti altri soldi per pagare degli uomini fidai che ti aiuteranno》 Lui la guardò e le sorrise:《Agli ordini, mia Regina... e grazie》 Lei annuì e, lentamente tornò al Castello, accarezzandosi il ventre dolcemente. ©reginapinellaworld
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Trote, torte e torri
(Romania on the road - quinta puntata)
E così siamo giunti, ormai, alla mattinata del 3 agosto. Dopo aver salutato i mastri cantori di Sihla e le loro dimore nella foresta, discendiamo a ritroso la stradina dell’andata e ricominciamo a girare come trottole per la Moldavia.
Nota geo-politica: la regione storica della Moldavia non coincide con l’attuale Repubblica Moldava, la quale un tempo, è opportuno ricordarlo, si chiamava Bessarabia e apparteneva perlopiù all’Impero russo. Non ha nemmeno niente a che vedere con il fiume di Praga e con l’evocativo poema sinfonico che gli ha dedicato Bedrich Smetana. Credo che tutta questa confusione sia dovuta al fatto che la parola “Moldova” indica genericamente un corso d’acqua.
“Le moldave so’ stronze, lassale perde” (cit. una mia amica rumena).
Visto che è partito il momento Superquark, vi diamo qualche altro riferimento: la Romania è nata nel 1859 dall’unione dei due principati danubiani di Valacchia e Moldavia, che formavano una “L” pianeggiante intorno alla Transilvania (immenso territorio montuoso che apparteneva all’Impero austriaco, come sanno bene i fan di “Frankenstein Junior”). Quest’ultima venne aggiunta solo nel 1918 dopo la sconfitta dell’Impero nella grande guerra. Tuttavia, il coesistere al suo interno di forti minoranze magiare, tedesche, ebraiche, slave e tzigane faceva presagire un futuro non proprio sereno. Presagio che puntualmente si avverò, e si starebbe tuttora avverando, con modalità simili a quelle della Bosnia o dell’Ucraina orientale, se non ci fosse l’ombrello dell’Unione Europea a tenere tutti calmi.
Il principato danubiano di Moldavia era stato fondato dal leggendario Ştefan cel Mare (Stefano il Grande), che da quelle parti campeggia un po’ dovunque con i suoi inconfondibili baffoni biondi e i capelli boccolosi al vento. Forse in concorrenza coi rivali ungheresi, i rumeni l’hanno fatto dichiarare santo dalla chiesa locale. E non senza tutti i torti: se il suo sport preferito era pestare a morte i turchi sul campo di battaglia, oppure intortarli con giochini diplomatici, aveva però anche uno spiccato gusto artistico, tant’è vero che dobbiamo a lui la costruzione di metà dei monasteri che abbiamo ammirato (e l’altra metà la dobbiamo a suo padre: si vede che era un vizio di famiglia). Può darsi che sia solo retorica, ma i rumeni sono riusciti a farmelo stare simpaticissimo…
A Târgu Neamţ è rimasto in piedi il suo castello, la “Cetate”, che ricorda un po’ il Fosso di Helm, e da cui lui poteva dominare con lo sguardo la vallata, scorgere i nemici ancora a settimane e settimane di cammino, e convocare, a seconda delle necessità, l’oste cea mică (armata piccola, composta da lui e dai suoi collaboratori più fidati) o l’oste cea mare (tutto il popolo in armi), tipo quando a Warhammer si decideva se giocare a 1.000 o a 2.000 punti. Passeggiarci è davvero piacevole: sono state riallestite le cantine, il tribunale, l’armeria, la cappella, la stanza degli ospiti con la stufetta…e una sala raccoglie le monete ritrovate durante gli scavi. I bambini, va da sé, sono quelli che apprezzano di più la visita. E non pochi genitori li portano al castello in abiti tradizionali. Vedere le bimbe che scorrazzano tra i ruderi con fazzoletto in testa, gonne a fiorelloni e camicie ricamate è già da solo un pieno di gioia di vivere!
Nel monastero di Neamţ, quello dove ci si era scaricata la batteria della macchina, avevamo trovato addirittura la spada e la corona dell’eroico condottiero.
Ma nelle sale accanto erano custoditi reperti assai più interessanti, a cominciare da una collezione di macchine da stampa cinquecentesche, con tanto di stampini in piombo per fare le lettere iniziali di ogni pagina (sì, avete capito bene, quelle decoratissime con piante, leoni, città, miracoli dei santi e quant’altro si possa immaginare) e persino alcuni libri originali! In effetti, in Oriente i monasteri sono stati il centro di elaborazione e diffusione della cultura molto più a lungo che in Occidente…e lì ne abbiamo avuto la prova schiacciante!
Abbiamo avuto anche la prova schiacciante che la distinzione fra “arti maggiori” ed “arti minori” fa acqua da tutte le parti, quando la nostra attenzione è stata catturata da un’incredibile croce intagliata. Dietro ogni scena evangelica, si dispiegava uno sfondo di architetture immaginarie simili a quelle degli affreschi di Giotto, con le colonnine sottilissime, le terrazze sopraelevate, i giochi prospettici, tutto realizzato minuziosissimamente in dimensioni microscopiche. Per non parlare dei volti e dei gesti dei personaggi…e la stessa materia prima, lo stesso legno, era di un colore così vivo che sembrava parlare, quasi cantare. Trovatemi un olio su tela del 1700 – o un affresco del 1800 - che rivaleggi in grazia e maestria con questo capolavoro…
Abbiamo avuto, peraltro, la fortuna di passare per di là mentre entrava una scolaresca mista, a cui lo stareţ in persona, un vecchietto arzillo che ricordava un po’ il padrone di schiavi del “Gladiatore”, stava facendo la visita guidata.
La sua benedizione, gradita ancorché poco meritata, ci accompagnava ancora quando abbiamo spronato FedEle ad addentrarsi nelle gole di Bicaz, dove finisce la Moldavia e comincia la Transilvania. Andavamo verso sud-ovest. Il cerchio stava cominciando a chiudersi.
Lungo il torrente che ha scavato questo canyon lussureggiante, si snoda una strada panoramica che regala qualche scorcio niente male, a patto di cancellare con photoshop i camion pachidermici che ci si ritrova eternamente davanti.
Ma lungo quel torrente si incontrano anche luoghi adatti ad una pausa rilassante. È il caso dell’allevamento di trote dove ci siamo fermati a pranzare. A seconda dell’età, i suoi clienti possono svagarsi con gli scivoli e le altalene, praticare la pesca sportiva, o rimpinzarsi al ristorante. Com’è ovvio, Massi ed io rientravamo nella terza categoria anagrafica…e non vi dico qual è stata la nostra sorpresa quando ci è stata servita la trota secondo le usanze moldave: fritta da cima a fondo, con tutta la pelle e le pinne dorate e croccanti, e accompagnata con la polenta. Anche le guance, colpo di fortuna, erano asprigne ma saporite. Per la prima volta in vita mia, di un pesce ho lasciato soltanto la lisca. Letteralmente.
Massi sarà morto dentro, ripensando al concetto di “pesce fritto” che hanno nella sua Inghilterra...
Dopo aver riempito lo stomaco, in quattro e quattr’otto abbiamo ricreato il nostro consueto accampamento (quaderni, penne, libri di poesie, tabacco e palinka) e abbiamo tentato di scrivere ciascuno una lettera, senza successo.
Ma mentre ero lì ad arrovellarmi e a fare cancellature isteriche, sono stato distratto da una scena che potrei definire montaliana. Una coppia di signori è venuta a comprare delle trote fresche. E il ragazzo dell’allevamento, per assicurargli che erano fresche sul serio, le ha acchiappate col retino direttamente dalla loro vasca, ha lasciato colare giù l’acqua, le ha rovesciate dentro un sacchetto di plastica azzurra, ancora vive, che si dibattevano, guizzavano in aria, cercavano invano di respirare, ha chiuso con un nodo il sacchetto, che ancora di tanto in tanto si gonfiava per gli ultimi colpi di coda e gli ultimi scatti delle creature intrappolate, l’ha pesato sulla bilancia e gliel’ha dato da portar via. Non erano passati neanche trenta secondi che nel sacchetto nulla si muoveva più. Le trote erano stecchite.
Non so se avrò il lusso di una morte più serena, rispetto a quelle trote. Non so dire se trenta secondi senza respirare, paragonati all’intera esistenza di una trota, siano un periodo di sofferenza più lungo o più breve rispetto all’agonia di anni, o di giorni, o perlomeno di qualche minuto, che attende al varco Emanuele da qualche parte. In linea di massima, tendo a pensare che quelle trote siano state più fortunate di me. Ma io, per quei trenta secondi in cui la carta da lettera mi è sfuggita di mano, ho visto la natura sussultare del male che la pervade, come Montale la vedeva sussultare non solo nelle povere bestie, ma nelle foglie, nei libri di una camera allagata, persino nelle pietre di un muretto. La Romania mi è stata maestra anche in questo: tante immagini della poesia italiana non possiamo più capirle dal chiuso del nostro mondo infiocchettato, disinfettato, plastificato, digitalizzato, e per capirle dovremmo ritornare alla polvere e agli odori e alle durezze del mondo contadino, laddove ancora esiste.
Prendiamo un esempio lampante. Tutti gli studenti, prima o poi, si imbattono in quella poesia di Cielo d’Alcamo che comincia con:
“Rosa fresca aulentissima
Ch’appari inver la state…”
E la loro reazione, d’istinto, è: “Oddio che noia, questo che paragona la donna a una rosa, ma ti pare? È la cosa più vuota e stucchevole e anche mezzo maschilista che sia stata mai scritta, che senso c’ha studiarla?”
Eh no, ragazzi. Errore. Errore gravissimo.
Voi non potete capire l’immensità erotica avvolgente penetrante sensuale e delirante di queste parole per un semplice motivo: non avete mai visto davvero una rosa.
Lasciate perdere le rose del pakistano. Lasciate perdere quelle cosucce di serra impomatate e striminzite che vedete ai matrimoni. Se paragonate la vostra donna a una di quelle, ha ragione ad offendersi.
Ma in Romania è un’altra storia. In Romania i fiori non sono come da noi. Sono molto, molto più grandi. Le piogge sono generose, e i giardini, anche se curati con amore, sprigionano una forza selvaggia. Ogni tanto andavo a fare due passi nel giardino dei miei nonnini di Sighet, soprattutto quando aveva appena smesso di piovere o era mattina presto. E il loro roseto…mio Dio! Uno solo di quei fiori ti metteva addosso la voglia di spogliarti e di nuotarci dentro. I petali floridi, morbidi, carnosi, con le gocce che ancora ci splendevano sopra come perle di luce e di acqua, come se la pioggia fosse rimasta imprigionata lì, ecco che cosa significa che una rosa è “fresca”. E “aulentissima”, poi! Una bestia gigantesca come quella non è un fiore, è una selva tutta intera, e il suo profumo è un qualcosa di ipnotico, di violento, che sembra salire dalla terra stessa, e afferrarti e dominarti e impedirti di andartene senza portartelo dietro. Quel profumo si può esprimere solo con un superlativo assoluto. Lo giuro, io volevo tagliare una di quelle rose, provocava in me una sensazione troppo beata, mi trasformava nel più bizzarro e ostinato degli insetti impollinatori. E pensavo a una corte del Medioevo, in cui le rose, se crescevano, crescevano in quel modo, ed i poeti, quando dicevano “Fresca rosa aulentissima” a una donna – di solito, data l’epoca, neanche troppo avanti negli anni – rendevano perfettamente l’idea della sua femminilità, sbocciata nelle pieghe più soffici, eleganti, delicate, ma anche nelle pieghe più allettanti, affascinanti, irresistibili.
Ma mi è stato necessario andare fino in Romania per capire tutto questo.
Non insisterò con altri esempi, come la famosa “Quiete dopo la tempesta” di Leopardi. Ricordate?
“Passata è la tempesta,
odo augelli far festa, e la gallina…”
la famosa gallina che irrompe in mezzo all’endecasillabo, grassoccia e prepotente, e si prende la scena tutta per sé. La gallina-troll. Eppure, in Romania è frequente che le galline escano dai cortili e se ne vadano a spasso per la strada, o sui prati, o nei fossi, senza che i proprietari si preoccupino troppo di perderle. E quando ha appena smesso di piovere, sono le prime a uscire all’aria aperta a godersi il fresco. Che cosa succede quindi? Che se la scena è familiare per il lettore, il dettaglio della gallina “tornata in su la via/ che ripete il suo verso” rievoca subito nel suo cervello, per associazioni sensoriali, la “fotografia” complessiva del paesaggio dopo una tempesta. Compresa, per esempio, quella luce magica che brilla dopo la tempesta, e per descrivere la quale anche un maestro come Leopardi sarebbe stato costretto a fare un bel giro di parole e a sacrificare parecchi versi, invece di cavarsela con “Ecco, il sereno / rompe là da ponente alla montagna, / sgombrasi la campagna / e chiaro nella valle il fiume appare”...
E di galline ne ha molte Katia, una vecchia dipendente di mia madre che passiamo a trovare quella sera nei dintorni di Târgu Mureș. Ungherese calvinista dello Szekély (a riprova di quanto la Transilvania sia un intrico aggrovigliatissimo di genti diverse), è tornata al suo paesino di origine dopo anni di lavoro in Italia, e ha messo su una fattoria che sarebbe un piccolo paradiso, se solo non fosse nel bel mezzo del nulla, dove non c’è assolutamente nulla da fare se non badare alla fattoria stessa. Con lei vive la vecchia madre, sorda e con un inizio di Alzheimer: nonostante questo (o chissà, forse proprio per questo…) riesco a chiacchierarci in rumeno per una buona mezz’ora. Mi dice con orgoglio che i suoi vestiti da contadina (fazzoletto, gonna a fiorelloni e camicia ricamata) li indossava già da adolescente. Adesso i tempi sono cambiati? Potrebbe dircelo sua nipote, 23 anni, pressoché la prima ragazza fra i 20 e i 30 che incontriamo in Romania. È laureata in psicologia. Qui al paesino non c’è molto da fare per una psicologa, a onor del vero, però c’è il ragazzo con cui sta da quando aveva 15 anni, e allora dai, ti pare che mi trasferisco. Il lupo perde il fazzoletto e i fiorelloni ma forse non tutti i vizi...
Anche a livello economico, non si capisce di preciso quanto i tempi siano cambiati. La Romania ha messo il turbo e l’anno scorso è cresciuta del 7%, più della Cina, ma il potere d’acquisto nelle campagne è ai livelli del 1990, appena dopo la fine del comunismo. Katia e la sua famiglia si producono in casa frutta, verdura, uova e carne, hanno in cantina quasi un quintale di marmellata (non sto scherzando) e con essa preparano una prăjitură, cioè una torta, di primissima qualità. Ma le bollette? E i vestiti? Come pagarli? Una macchina, per dire, è inarrivabile. (By the way: durante il comunismo l’economia domestica non era così dissimile. Ogni mese, lo Stato integrava i prodotti della tua fattoria con 4 chili di farina a persona, 1 chilo di zucchero a persona, e altri cibi secchi. Era tanto o poco? Non sono mai riuscito a calcolarlo). Ma che diamine sta succedendo?
Sta succedendo che la crescita è tutta condensata nelle grandi città, dove infatti i prezzi volano e diverse coppie sposate vivono ancora coi coinquilini. Là cresce il ceto medio, arriva la modernità. In provincia, al contrario, tutto sembra uguale o peggiore. Tant’è che Katia vorrebbe tornare in Italia. Nonostante per lei fosse un luogo di lavoro durissimo e di scarsa indipendenza, la sta gradualmente rivalutando, a tratti idealizzando.
Il che rientra nel discorso dei nuovi contadi e delle nuove città. C’è un fondo di verità, quando chiacchierando al bar si dice che New York non è in America, Berlino non è in Germania, Londra non è in Inghilterra e Milano non è in Italia.
Se Bucarest e Cluj siano o non siano in Romania, lo scopriremo entro pochi anni. Che destino possa avere questo mondo dei contadi, ormai segregato dal mondo delle città, lo scopriremo invece molto più tardi. E di certo non possiamo prevederlo.
(continua nella prossima puntata)
Rettifica. Una lettrice ci scrive:
“La maggior parte delle rose che vedi sono frutto di selezioni genetiche dell'800. Le rose medievali hanno al massimo 6 petali.quelle orientali e di damasco un po' di più, ma certo non hanno la forma della rosa presente nel nostro immaginario, sono più palle informe di petali.però profumano moooolto di più. Quindi l'aulentissima etc etc é molto vero ma probabilmente anche le rose rumene che hai visto sono le specie inglesi/americane, carine ma senza troppo profumo”.
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Bibenda 2018, 20 anni di guida, continuo con i premi regione per regione, ecco la Campania, la Puglia, la Calabria, la Basilicata, la Sicilia e a finire la Sardegna. A domani per il grande evento. Con Massimo Billetto, Cantine Antonio Caggiano, Pino Caggiano, Ciro Picariello, Emma Picariello, Cantine Marisa Cuomo, Marisa Tomic, Marisa Cuomo Furore, Dorotea Dora Ferraioli, Andrea Ferraioli, Cantine I Favati, Rosanna Petrozziello, Luigi Maffini, Mario Corrado, San Salvatore 1988, Alessandro Leoni, Tenuta Sarno, Maura Sarno, Diamante Renna-Gaita, Paolo Cantele, Umberto Cantele, Gianfranco Fino, Lisa Gilbee, Filippo Cassano, Simona Natale, Elena Fucci, Andrea Manzani, Carolin Martino, Baglio del Cristo di Campobello, Ciro Biondi, Marilena Barbera, Giuseppe Russo, Elena Aiello Graci, Paolo Calì, Gulfi Wines, Matteo Catania, Marco De Bartoli, Alessio Planeta, Planeta Winery, Tóth Patricia, Silvia Maestrelli, Silvia Maestrelli, Argiolas Winery, Cantina Giuseppe Sedilesu, Francesco Sedilesu e Alessandro Attilio Contini. Il Gourmet Errante.
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Le Cantine di Chianti Classico, Nobile e Brunello consigliate da "voi" sui social
Dato che il mio motto, nonché hashtag di questo wineblog dagli albori, è sempre stato #WineIsSharing, compendio di condivisione emozionale, fisica e, perché no, virtuale/social della passione enoica che ci unisce tutti, in questi giorni ho coinvolto qualche decina di winelovers tramite i facebook ed altri social per avere dei pareri il più ampi e variegati possibile riguardo le prossime anteprime enoiche toscane. L'ho fatto chiedendo quali cantine avreste suggerito di passare ad assaggiare durante gli eventi Chianti Chianti Classico Collection, Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano e Benvenuto Brunello (alcune aziende potrebbero essere all'interno della denominazione, ma non partecipare alle anteprime).
Ciò che ne è scaturito è un ventaglio davvero ampio di risposte, proposte e, quindi, opinioni, che, a prescindere dal gusto personale, credo aiutino a comprendere quanto nel mondo del Vino non si possa mai dare nulla per scontato, ma al contempo quanto alcuni nomi riescano ad essere così trasversali da essere apprezzati sia dalla critica più esperta che dai neofiti. Per quanto riguarda il Chianti Classico, c'è da aggiungere, che si fa ancora un po' di confusione fra "Chianti" e "Chianti Classico".
Eccovi le cantine che alcuni di voi hanno suggerito tramite social:
Chianti Classico
San Giorgio a Lapi
Lamole di Lamole
I Fabbri
Monterotondo
La MontaninaMonterinaldi
Val delle corti
Casaloste
Querciabella
Vicchiomaggio
Vignamaggio
Il Barlettaio
Caparsa
Rocca delle Macìe
Ormanni
Felsina
Azienda agricola La Lama,
Molino di Grace
Castelli 'in villa
Poggio Scalette
Monteraponi
Casa al Vento
Istine
Bibbiano
Castello di Starda
Castello di Albola
Torrini Fattoria di Montefiridolfi
Le Cinciole
Fontodi
Villa Pomona
Montesecondo
Vallone di Cecione
Bucciarelli
Podere Castellinuzza
I Fabbri
Le Stinche
Poggerino
Monsanto
San Giusto a Rentennano
Rodano
Buondonno
Cigliano
Isole e Olena
Lilliano
Montevertine
Casa Paladin Castelvecchi
Riecine
Tenuta di Arceno
Poggio Bonelli
Conte Guicciardini
Piemaggio
I Sodi
Vallone di Cecione
Cantalici
Solatione
Erta di Radda
Carobbio
Tenuta Montiani
Cennatoio
Podere Lecci e Brocchi
Colle Bereto
Azienda Losi
Nobile di Montepulciano
L'Asinone
L'Antica Chiusina
Fattoria del Cerro
Tenuta la Braccesca
Avignonesi
Vallocaia Bindella
Salcheto
Talosa
Poliziano
Boscarelli
Molinaccio
Croce di Febo
Macchione
Conventino
Valdipiatta
Podere La Bruciata
Godiolo
Le Berne
Sanguineto
Canneto
Crociani
Massimo Romeo
Tenuta Tre Rose
Tre rose Santa Caterina 2013
Montemercurio
De'Ricci
Corte alla Flora
Dei
Contucci
Brunello di Montalcino
Le Potazzine
Il Marroneto
Cava d'Onice
Fattoi
Castello di Velona
Biondi Santi
Siro Pacenti
Cupano
Tiezzi
Sanlorenzo
Pietroso
Casanova di Neri
Baricci
Sasso di sole
Poggio di sotto
Cinelli Colombini
Fattoria dei Barbi
Corte dei Venti
Pipino
Tenuta Brunelli
Agostina Pieri
Tenute Nardi
Poggio di Sotto
Uccelliera
Caprili
Luciani
Salvioni
Valdicava
Tenuta di Sesta
Pian delle Querci
Le Ragnaie
Azienda Agricola Innocenti
Alla luce dei nomi fatti, delle peculiarità di ogni cantina suggerita e del flusso di risposte pervenute nel giro di poche ore da uno spaccato enoico composto da winelovers di ogni genere - dal produttore, al commerciante, passando per l'appassionato più o meno accanito - credo sia interessante andare a valutare quali siano state le cantine più citate e, quindi, apprezzate e suggerite tra quelle sopraelencate.
Procediamo con ordine:
Chianti Classico:
Caparsa, Castell'in Villa, Montevertine, Bibbiano, Ormanni.
Nobile di Montepulciano:
Boscarelli, Salcheto, Montemercurio, Avignonesi, Croce di Febo.
Brunello di Montalcino:
Le Potazzine, Il Marroneto, Salvioni, Fattoi, Baricci, Cava d'Onice, Pietroso, Poggio di Sotto, Le Ragnaie.
Se questi sono i nomi più quotati per la, seppur piccola, fetta di "pubblico" che ha dato subitaneo riscontro al mio quesito, io un'idea di ciò che stia accadendo nel mondo del Vino, anche in denominazioni così importanti, me la sto facendo e non vedo l'ora di tornare da questi eventi, ancora una volta, con tanti assaggi da condividere e di molte di queste aziende e di altre, che magari mi stupiranno positivamente.
Devo dire che non è male, per una volta, non essere io a suggerirvi vini e cantine, lasciando fare a voi il "lavoro sporco", ma ancora qualche giorno e vi dirò, anche quest'anno, la mia!
F.S.R.
#WineIsSharing
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Chianti Classico, Isole Olena acquisita dal gruppo francese Epi
Dopo l'acquisizione di Biondi-Santi a Montalcino nel 2017, EPI rafforza la sua presenza in Italia con un'altra storica tenuta toscana
EPI, gruppo familiare indipendente di proprietà e gestito da Christofer Descours, comunica di aver acquisito da Paolo De Marchi e famiglia la tenuta Isole e Olena, una delle più importanti e storiche cantine del Chianti Classico. Fondata nel 1956 dalla famiglia De Marchi, Isole e Olena si trova a San Donato in Poggio (Chianti Classico); l’azienda è rinomata per far parte del gruppo selezionato di…
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