#bruttino
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ragazze teniamo questo vantaggio e magari raddoppiamo plssss
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Il tema del blog è un lavoro in corso-
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vorrei essere un maschio etero bruttino che parla solo di palestra e pornostar
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Durante e in preciclo tra le cose che probabilmente provo di più c'è l'invidia.
L'invidia è una più o meno contenuta costante che in questo periodo raggiunge picchi molto alti. I giorni scorsi per lavoro ho avuto a che fare con un'associazione che promuove gli artisti di vario genere e tipo nella mia città, dedica tre post ad artista: chi è, cosa fa, il laboratorio. Tra questi una ragazza della mia età, viso conosciuto, che nemmeno sapevo fosse artista. Scopro che ha questo laboratorio stupendo da diverso tempo dove più o meno dipinge, crea, copia. Ogni volta che ci penso mi si forma un nodo alla gola grosso forse più di un pugno. Si definisce artista e quello che fa è molto banale, visto e rivisto e forse anche un po' bruttino. Di questo ci vive a quanto pare. Ma di questo ci vive, anche nel senso che lo vive. Crea, si trasforma, è libera, si diverte, è fiera, si nutre, gioca. Questa mattina la conferma di quello che già un po' sapevo: sempre per lavoro faccio vedere alla boss questo tipo di post e al suo laboratorio "oeh ma che posto bellissimo questo!" ... "aaaah ma è lei, la figlia di x, ci credo che si può permettere un posto così".
A volte penso che la mia vita sarebbe nettamente migliore, decisamente più felice per un non nulla di diverso. Certo, una barca di soldi farebbe comodo, ma non per forza quello. A volte, ad esempio, penso che se solo mio padre fosse stato una persona lievemente più stabile probabilmente sarebbe ancora qui in Italia con una sua piccola casetta, anche in affitto, con una qualche stanza utile trasformato in laboratorio, tipo la camera da letto o la cucina. E adesso anziché essere qui a fermare di forza un film tanto questi pensieri sono invadenti da non farmi concentrare, forse sarei a casa sua con le mani sporche di pittura, mentre utilizzo i suoi attrezzi e i suoi colori spensierata. O ancora, starei provando a spezzettare chissà che materiale perché va bene il modo tradizionale che mi hai insegnato per creare mosaici, ma adesso voglio sperimentare.
Invece sono qui, con tutti i miei materiali ancora chiusi in scatoloni
vi chiedo scusa
Che aspettano il momento in cui finalmente c'è dello spazio anche per loro.
Sono qui, a provare invidia.
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Io sono donna ma ammetto che le donne cercano sia bello che con un buon carattere. Non accettano uno brutto, un po’ gli deve piacere l’aspetto. Dai su anche tutte le mie amiche così .. non so perché non lo volete mai ammettere . Forse non volete ammetterlo nemmeno a voi stesse figuriamoci agli altri
Noo, Aspe non sto dicendo che ti deve far schifo esteticamente, anzi ne devi essere attratta penso, ma dico che molto spesso quello che attrae non è la bellezza oggettiva o altro, ma anche un tipo che di norma è considerato “bruttino” ad una ragazza può piacere, perché entrano in gioco tre mila componenti. Ma ovviamente una cosa fondamentale in una relazione è l’attrazione fisica e la ricerca del contatto
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sono scocciata e stanca non vedo l'ora che le prossime due settimane passino e anche velocemente così potrò sprofondare nel letto serenamente. riverso tutto il mio amore su Isotta che ok non mi vuole ma io la riempirei di baci tutto il giorno e quando sono a lavoro penso sempre a lei perché ho il terrore di tornare a casa e trovarla morta. mi prende ancora un po' la solitudine e cerco di tenermi impegnata, ma una volta a casa è sempre un po' bruttino non avere nessuno da chiamare per boh un calice di vino o un gelato o una passeggiata al mare (non mi piace fare da sola queste cose). mi guardo allo specchio la mattina e la sera quando mi lavo e riesco a vedere solo un gran cesso ed è sempre un po' bruttino non riuscire a vedere se in me o su di me c'è del buono.
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Meglio uno bruttino che ti fa regali e ti porta al cinema piuttosto che uno tirchione belloccio e che pensa alla palestra
Che "ti fa regali" sa molto di prostituzione celata
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quando vedi tutti star bene perché per certi aspetti hanno trovato l'altra persona che li rende felici, e tu invece resti l'unica a non avere niente e nessuno perché incontri solo gente che vuole usarti, è bruttino
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Il 15febbraio nasceva a Firenze Pietro il Fatuo, ovvero il tragico destino di un figlio di papà (quando il papà è Lorenzo il Magnifico).
Tutti i figli di padri famosi devono affrontare lo spauracchio del confronto con il padre, oltre al normale complesso d’Edipo. E per un Alessandro Magno che ce la fa, c’è un Pietro il Fatuo che miseramente fallisce. E dire che Pietro, povera creatura, dalla sorte aveva avuto anche qualche dono, tipo quello di assomigliare fisicamente a mamma Clarice Orsini, una delle donne più belle del rinascimento e non al babbo, fascinoso quanto si vuole, ma bruttino. Clarice gli aveva donato anche antenati illustri e nobili che a casa Medici mancavano, e buoni agganci a Roma. Il padre gli aveva invece dato tutto quello che i Medici potevano, ed era molto: una fortuna immensa, i migliori precettori, fra cui Angelo Poliziano amico di famiglia, una corte zeppa di artisti e il potere su Firenze.
Pietro però aveva il tocco di Mida al contrario: ignorante come una talpa, usò Michelangelo per farsi fare pupazzi di neve dopo una nevicata a Firenze. Vanesio, si fece odiare per le spese folli in vestiti. In politica, era un disastro. Non riuscì nemmeno a convincere il papa Alessandro Borgia a far sposare ad un Medici Lucrezia Borgia, e sì che Alessandro fece sposare la figlia praticamente a chiunque. Quando i Francesi scesero in Italia, cincischiò senza senso, e poi dovette arrendersi e concedere loro il passaggio e piazzeforti gratis. A Firenze il popolo si infuriò, e Savonarola riuscì a far cacciare Pietro e instaurare la Repubblica.
Pietro per tutto il resto della vita tentò di tornare a a Firenze, senza riuscirci. I cugini più svegli saliranno al potere. Lui morirà affogando in un fiume durante una campagna di guerra in cui, tanto per cambiare, non cavava un ragno dal buco, e il fratello papa Leone penò parecchio per trovare un posto dove seppellirlo, mettendolo poi provvisoriamente a Cassino, di cui era abate. Era il 28dicembre 1503.
Una fine fantozziana, senza gloria e senza dignità, per un bel ragazzo che era decorativo ma non riuscì mai ad essere altro e nella vita sbagliò ogni singola mossa, perché i padri possono essere sì potenti e lasciarti il mondo, ma se non hai la testa per gestirla ogni eredità è solo una maledizione.
foto da Wikipedia
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Buon sabato, per quanto clima un po bruttino...
🌷☕️
Ti ringrazio ☺️ Buon weekend anche a te 😊
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Sheila E. La E sta per Escovado. Nasce a Oakland, California, da un matrimonio misto tra una nera e un messicano. Dirla così potrebbe suggerire un quadro da suburbio squallido e vittima dello sprezzo razziale WASP. Non correte subito a rifugiarvi nelle solite immagini sociali. Suo padre non è un fattorino qualsiasi che cerca di mantenere la conigliata. Pete Escovado è un percussionista di fama internazionale. Già da ragazzo entra nel giro che conta, affastellando esperienze lavorative invidiabili, come quella assieme a Marvin Gaye.
Ma il vero fenomeno in famiglia è la piccola Sheila E. Ma ditemi se un talento in boccio non rigogli in un contesto simile. Suo zio Alejandro è un rispettato cantautore. Un altro zio, Javier, è il fondatore di una cult band punk rock californiana nota come The Zeros. I suo padrino è un certo Tito Puente… basta a dare un’idea?
DALLA CULLA AL PALCO
In una culla di stimoli come questa il talento eccezionale di Sheila E. non può che venir fuori come un portento sismico, no? E così non si stenta a credere che a 15 anni faccia già quello che fa ora ma pagata milioni. E visto il carnet di appuntamenti con la storia del pop-rock che ha già depennato. Roba da far impallidire i maschietti se proprio non possiamo evitare di metterla sul piano sessuale.
La sua prima esperienza ufficiale in uno studio di registrazione è nel 1976, quando ha appena diciannove anni, assieme al bassista jazz Alphonso Johnson (Santana). Ma in poco tempo il percorso già battuto da papà Pete, Sheila E. lo ripercorre pari pari e così veloce da lasciare una scia di fuoco alle calcagna.
UN PICCOLO PRINCIPE PER SHEILA E.
A vent’anni ha già suonato con George Duke, Marvin Gaye, Diana Ross e Herbie Hancock… Questo prima di esibirsi davanti a un certo ragazzetto bruttino ma affascinante che si fa chiamare Prince.
Lei ha una tale padronanza ritmica da intimidire turnisti che vantano oltre 30 anni d’esperienza. Per quello scugnizzo del funk è amore al primo beat.
La prima volta che si incontrano, nel 1978 Prince assiste a uno spettacolo di Sheila E. assieme al padre. Lui dopo lo show si fa avanti nervoso e imbarazzato. Le rivela che per tutta la sua esibizione ha litigato a oltranza con il suo bassista su chi dei due la porterà all’altare.
Lei ride, arrossisce ma non è tempo di matrimonio. Ha molti progetti, collaborazioni da paura, una carriera solista, tanto per dire, non può mica convolare a nozze. Il Principe Roger Nelson, giura che se non riuscirà a sposarla, di sicuro farà qualsiasi cosa per averla nella sua band. – Seguo la tua carriera da anni. So chi sei e ti vorrei con me.
Sheila E. stenta a crederlo ma prende nota e trascorre quasi più di un lustro di intensa attività concertistica e da turnista. Intreccia sempre più il proprio cammino a quello del principino. Batti oggi, batti domani, inizia un vero e proprio intruglio sentimental-artistico molto fertile e stimolante.
BATTERIA O MICROFONO?
Lui è premuroso, incoraggiante, convincente. Sembra avere una visione precisa e molto ambiziosa riguardo lei (insieme a letto?). Per via del suo talento, no? E si offre di spingerla (ehm…) un po’ nell’incipit della sua carriera come singer.
È quello che vuole, Sheila E.? Diventare come Diana Ross? Il problema di Sheila E. infatti è di non sapersi decidere tra la batteria e il microfono. Dopo tanta dedizione al primo strumento, negli iridescenti anni 80 decide di tentare con il secondo.
Prince approva e le regala una hit, The Glamourous Life, che inizialmente doveva essere incisa da Vanity. Chi è Vanity? Ma l’ex-compagna di lui e futura dalia nera delle scorribande di Nikki Sixx. Il bassista dei Crue le racconta nel libro The Heroin Diaries.
Il brano che da anche il titolo al primo album solista di Sheila E. si piazza in cima alle charts di dance music. Il connubio con Prince si perpetra nel tour di Purple Rain, dove lei apre i concerti. I due consumano una relazione infuocata ma inizialmente clandestina. Lui ufficialmente esce ancora con la corista ed ennesima figlioccia artistica Susanna Melvoin.
SHEILA E. DOPO IL SUCCESSO UN ALTRO SUCCESSO
Dopo il successo di The Glamorous Life, Sheila E. sempre assistita da Prince, incide Romance 1600. Il nuovo singolo vincente vanta sempre lo zampino del reuccio: A Love Bizarre.
Il brano porta l’album a nuovi traguardi di vendite rivelandosi il picco commerciale di Sheila E. da solista. Da qui però inizia ufficialmente il suo periodo discografico come batterista. Nello specifico e in esclusiva assoluta di Prince.
In realtà Sheila E. è già presente in Parade, ottavo disco del singer. Solo nei brani Life Can Be So Nice e Venus de Milo, però.
A partire da Sign O The Time (1985) sarà lei a occuparsi del cuore ritmico della musica del suo mentore e amante. A chi le addebita un’influenza creativa “princiana” lei ribatte che è stato lui a lasciarsi contaminare da lei.
Andatela un po’ a contraddire! In realtà si può affermare che quei due siano un buon esempio della correlazione tra equazione di Dirac e Amore. Due sistemi che si influenzano vicendevolmente danno una svolta alle rispettive carriere, l’uno grazie all’altro.
DOPO SIGN O THE TIME
Dopo Sign O The Time, Sheila resta al suo posto anche in Lovesexy. Il disco consacra Prince come una delle star di successo più controverse della storia del pop. Nel mentre lei non dimentica il suo terzo disco da solista. E sebbene il singolo Koo Koo dell’omonimo album Sheila E. ottiene discreti risultati, si sente che le cose non vanno proprio al massimo.
Presto Sheila E. deve fare una scelta: riconoscere di non essere lei la nuova Whitney Houston e lasciar perdere la voce. O provarci sul serio.
Mossa letale: una volta lontana dall’aletta protettrice del suo “Petit Prince” i successivi lavori solisti di Sheila E. ottengono attenzioni più moderate dalla stampa e dal pubblico. Fino a ridursi, come singer, a un lumicino in balia del borioso vento dell’indifferenza.
Nonostante la collaborazione con Prince sia ufficialmente finita, Sheila E. seguita a scrivere musica con lui e a non raccogliere i meriti che le spetterebbero.
ANNI 90
Negli anni 90, messa un po’ da parte la carriera di cantante, Sheila E. riprende a darsi da fare come batterista. Dal 1995 collabora con un sacco di bella gente: Phil Collins, Ringo Starr, Beyoncé e l’artista nipponica Namie Amuro.
Poi Jazz a tutto spiano; rock pop con Billy Cobham e Ringo Starr, ballabili con Gloria Estefan, Lionel Richie. E ancora Jennifer Lopez, Hans Zimmer e quel pezzo di sgombro di Kanye West.
Meglio nota come la batterista di Prince che per tutto il bagaglione curriculare o gli album solitari, Sheila E. ha mostrato di valere soprattutto con i piatti più che le stoviglie. La sua è una tecnica di classe finissima supportata da un potere straordinario nel dar feeling alle costruzioni ritmiche di tutti i generi.
Purtroppo ha pagato il suo esser donna, e non lo si dice per retorica femminista. Lei si è vista mettere in secondo piano accanto a Prince. E anche dopo ha sofferto il confronto con un ambiente professionale esclusivamente maschio, guadagnando attenzione per la sua presenza scenica e soprattutto la sua sensualità.
Una batterista donna è un concetto che spiazza il pubblico. Questo Prince l’ha sempre saputo. Può aver solo pensato: se è lei la tipa giusta, al diavolo cosa pensa il mondo, la prendo anche se è donna.
Ma il bricconcello sulfureo, autore di decine di brani altamente sexy. Pezzi scabrosi che hanno spinto la figlia di Al Gore alla masturbatio compulsiva nella sua stanzetta. Lui ha sempre pensato doppio sulle mosse da fare in carriera.
Francesco Ceccamea
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Angolini bellissimi
Tempo bruttino
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Quel termine, usato spesso come insulto, ha un significato e un valore storico puntualmente ignorati. Ma chi ha solo bisogno di un’espressione d’accusa contro un intero popolo se ne infischia
In forza di una traslazione ormai irrevocabile, il termine “sionista” è spesso adoperato a mo’ di incolpazione, o proprio per insultare. Non che il fenomeno sia nuovo, giacché l’accusa di “sionismo” è secolare ed è formulata di volta in volta con intento e su presupposto di confronto politico e civile o con leggerezza discriminatoria: ma ormai, appunto, quell’addebito – “sionista” – ha preso il posto dell’ordinario insulto antisemita.
Le componenti motivazionali di questa perversione sono due, in qualche modo mischiate e di reciproco alimento. La prima: si tratta dell’adozione di un termine d’accusa non ancora interdetto. “Ebreo di merda”, infatti, è d’uso sbrigliato nella fogna social e, depending on the context, ha qualche buon margine di legittimità in certe lussuose strutture universitarie: ma insomma è, generalmente, considerato ancora bruttino.
La seconda motivazione è, banalmente, questa: la totale ignoranza del significato genuino di quel termine, “sionismo”. Che cos’è stato, su quali basi culturali e politiche e su quali ambizioni si è sviluppato, che cosa ha prodotto, quali forze e personalità l’hanno divulgato e testimoniato, eccetera. Tutte cose di cui chi fa uso di quel termine con pretesa diffamatoria non sa ovviamente nulla, senza che a spingerlo a sputare sul “sionista” sia la lettura dei Protocolli: dice così, “sionista”, come un rutto, giusto come la barzelletta razzista contro i neri è raccontata così, come un rutto, non perché il razzista che la racconta si è documentato su un saggio ottocentesco che spiega che i neri sono inferiori e puzzano.
Duplice la causa di quest’uso, è poi duplice la capacità offensiva che esso presenta. Essere sionisti, infatti, in un clima di informazione e culturale che inquadra in modo dovuto e non fuorviante, non diffamatorio, il sionismo, dovrebbe essere considerato un legittimo – quanto ovviamente discutibile – portamento civile, politico, tradizionale, eccetera.
Ma se “sionista”, per via di quella contraffazione diffamatoria, equivale a qualcosa di ignominioso, allora si assiste a un attentato identitario, alla degradazione morale della vittima dell’insulto cui è affibbiata una qualifica squalificante. Se dire “sporco negro” non è come dire “sporco elettricista” è perché non c’è stato un mondo in cui si spiegava che gli elettricisti erano inferiori e dunque dovevano stare in catene. La seconda portata offensiva è conseguente: se il sionista è un immorale, un criminale, o almeno un sostenitore della cospirazione usurpatrice, allora è gioco forza che sia esposto al giudizio e alla violenza di chi, legittimamente, avversa quel suo convincimento e l’ingiustizia su cui esso si fonda.
E il dato nuovo è questo, come si diceva all’inizio: che ormai la cosa, quanto meno presso alcuni, è passata, legittimata. E, non casualmente, questo processo di legittimazione va di conserva con quello che non denuncia l’illegittimità di una deliberazione governativa, di un’operazione militare, di un’occupazione territoriale, ma l’illegittimità ovunque della presenza ebraica. Una pretesa patentata dall’uso odioso e impunito di “sionista” al posto di “ebreo”: come dimostra, tra i moltissimi esempi cui abbiamo assistito, l’impunito comizio “antifascista” culminante nell’appello “Fuori i sionisti da Roma”.
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Come mai bruttino?
più cresci e più ti accorgi che il Natale non sarà più quello di una volta e ogni anno che passa si aggiunge un po’ di malinconia in più
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Chandler era il mio preferito, anche se abbiamo rivisto Friends di recente e non ci faceva più ridere, era svanita tutta la magia. Quando muoiono questi attori che ti sei abituato a vedere tutti i giorni per un certo periodo è come se ti rompessero la zuccheriera della nonna, una cosa che se ne stava lì come un'abitudine popolando il tuo piccolo mondo di una minuscola routine che assieme a tutte le altre andavano a confermare la tua presenza sulla terra, e poi d'improvviso non c'è più. A ripensarci era proprio insulso e bruttino Friends, ma ci eravamo affezionati.
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E parli con tutti e 5 i crush?
bruttino limitarsi solo a parlare
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