#biocontenimento
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Contenitore metallico polifunzionale Ad Maiora: impianti e strumenti di precisione per l'ortopedia veterinaria
I contenitori metallici polifunzionali in ortopedia veterinaria servono come sistemi di stoccaggio specializzati progettati per contenere strumenti e impianti chirurgici necessari per l’esecuzione delle procedure. Per i chirurghi ortopedici è di fondamentale importanza mantenere gli strumenti e gli impianti in un ambiente asettico per ottenere risultati positivi e ridurre al minimo l’incidenza di complicazioni gravi, quali le infezioni iatrogene.
Questa esigenza ha portato allo sviluppo di contenitori metallici polifunzionali che consentono la conservazione di impianti e strumenti per l'ortopedia veterinaria. Oltre alla sterilità, i contenitori metallici polifunzionali ottimizzano lo spazio nelle sale chirurgiche, soprattutto in ambito veterinario dove lo spazio può essere limitato. Questi contenitori sono progettati per ridurre al minimo il tempo che i chirurghi dedicano alla loro preparazione e gestione, concentrando così l'attenzione sulla procedura stessa. Questi contenitori, inoltre, consentono di essere predisposti con vassoi diversi, che contengono gli strumenti e gli impianti specifici per procedure differenti specifici per procedure differenti, semplicemente sostituendo un vassoio con un altro. In questo modo, offrono la flessibilità necessaria per un'ampia gamma di interventi chirurgici ortopedici.
Maggiore sterilità e biocontenimento
Una delle funzioni principali dei contenitori metallici polifunzionali è il mantenimento di una rigorosa sterilità in più comparti. Questo consente di potere disporre di Diversi vassoi all’interno dello stesso contenitore, in modo da iniziare le procedure di sterilizzazione. Diversi vassoi all'interno dello stesso contenitore, in modo da iniziare le procedure di sterilizzazione
Per i chirurghi che utilizzano impianti e strumenti per l'ortopedia veterinaria, i contenitori metallici polifunzionali offrono una soluzione efficace per la gestione della sterilità, dell'organizzazione e della flessibilità del contenuto. Queste caratteristiche semplificano la preparazione chirurgica, riducono il rischio di contaminazione e garantiscono che gli strumenti e gli impianti siano facilmente accessibili. Per queste ragioni sono diventati strumenti indispensabili per le procedure ortopediche veterinarie, contribuendo in ultima analisi a migliorare i risultati chirurgici e a rendere più efficiente l'uso delle risorse della sala operatoria.
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Spallanzani, presto nuovi laboratori di biosicurezza
“È in corso un importante miglioramento tecnologico dei laboratori di biocontenimento. Questo aumenterà la potenzialità funzionale del nostro Istituto. Oggi disponiamo di due BSL che sono costruiti con criteri moderni in strutture vecchie. Questi saranno rimpiazzati da laboratori moderni in strutture moderne garantendo la capacità di lavorare con livelli di sicurezza molto elevati”. Così…
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TORNARE IN OSPEDALE: ARRIVANO LE STANZE NEGATIVE
L’Ospedale Cotugno di Napoli è tra le prime strutture in Italia ad aver allestito uno spazio che consente di non perdere il contatto con le persone ricoverate, senza rischi di contagio: una stanza che consente di poter stare con chi è posto in isolamento per Covid pur mantenendo la sicurezza.
In tempi di pandemia, dove ogni contatto umano è limitato dalle norme di prevenzione, i pazienti ricoverati non possono ricevere visite e limitano i loro rapporti alle videochiamate. Vivere a distanza dai propri familiari crea uno stato di solitudine e abbandono vissuto con difficoltà anche dai parenti, segnati da frustrazione e impotenza. “La condizione di isolamento che si avverte durante il ricovero è estremamente difficile” – dichiara Maurizio Di Mauro, Direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli di Napoli.
La struttura ospedaliera ha risposto a questa esigenza creando una stanza di biocontenimento, realizzata con materiale plastico trasparente e posta all’esterno di un’ala dell’ospedale; la stanza consente al paziente di poter incontrare attraverso il plexiglass e in sicurezza i propri cari. Le visite attraverso questo nuovo sistema sono organizzate per turni. Ogni paziente può stare insieme ai suoi visitatori per un tempo di 15 minuti a testa in modo tale che tutti possano usufruire di questo vantaggio. “Offrire questo spazio per poter rivedere i propri familiari, rappresenta un aspetto fondamentale del percorso di cura e di umanizzazione delle strutture ospedaliere”, riferisce il Direttore.
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Fonte: Ansa; La Repubblica Napoli - 16 aprile 2021
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• Covid-19 • 182 giorni di Apocalisse, tra morti misteriose, sparizioni, e report dei servizi segreti
La vita ai tempi della pandemia - Mondo, Zona Rossa / giorno 116
Ieri, 30 giugno 2020, sono stati 6 mesi da quel fatale 30 dicembre 2019, che ha cambiato il mondo che conoscevamo. Per sempre.
In questi 6 mesi, un virus letale, di origine (s)conosciuta, con epicentro la megalopoli cinese di Wuhan, da 11 milioni di abitanti, fuoriesce dal BioLab-4 di Wuhan (un super laboratorio di massima sicurezza che gestisce i patogeni più letali al mondo) e comincia silenziosamente ad infettare ed uccidere migliaia di persone in tutto il pianeta.
Questo virus mortale, provoca polmoniti interstiziali bilaterali mai viste prima: alle radiografie, i polmoni appaiono a “vetro smerigliato” e, all’auscultazione, i polmoni producono un caratteristico rumore di “carta accartocciata”.
Ma soprattutto, questo virus letale, nato già “perfetto” e che non ha bisogno di replicarsi per mutare e perfezionarsi (com’è accaduto invece per il similare virus della Sars, questo sì, un virus di origine naturale, che ha fatto “solo” 800 morti nel mondo in 32 paesi, in 4 mesi totali di epidemia, da novembre 2002 a marzo 2003, contro i 500.000 morti, in 188 paesi, di Covid-19, in soli 6 mesi, e non è ancora finita), uccide con un meccanismo mai visto prima in altri virus: provoca una reazione immunitaria abnorme, che fa “impazzire” il sistema immunitario umano, il quale comincia a produrre centinaia di coaguli nel sangue, che, una volta arrivati agli organi vitali, portano alla morte.
Il mondo si blinda in un lockdown globale.
Le economie precipitano.
Disoccupazione e povertà arrivano a livelli esponenziali, intaccando anche il ceto medio.
Cominciano rivolte e guerriglie in diversi paesi, soprattutto negli Stati Uniti, dove l’epidemia è fuori controllo.
I suicidi aumentano, sia tra il personale sanitario, che tra le persone comuni.
Gli ospedali di tutto il globo collassano.
Finiscono i respiratori.
Non ci sono farmaci nè vaccini contro il virus.
I malati vengono messi per terra, nei corridoi, o all’esterno, nelle tende di biocontenimento.
Gli obitori, i cimiteri, i forni crematori di tutto il pianeta, non bastano più.
Si scavano fosse comuni per seppellire i corpi infetti.
Decine e decine di camion militari trasportano decine e decine di bare da cremare.
Centinaia di persone, in tutto il mondo, vengono trovate morte, da sole, a casa, senza nessuna assistenza. Uccise dal virus.
Poi, dopo 3 mesi di buio e di lotta per la sopravvivenza individuale, qualcosa nella genetica del virus muta, e s’indebolisce: la carica virale non è più in grado di uccidere le cellule umane. I sintomi diventano lievi, e le terapie intensive si svuotano, insieme ai Covid Hospital, prima in Cina, poi in Italia, poi in Europa, ovvero, nei paesi che la pandemia ha colpito per primi. Il resto del mondo, invece, è ancora alle prese con le fasi più feroci e mortali della malattia.
Attualmente, in Cina, Italia ed Europa, ci sono ancora alcuni importanti focolai, ma sono tutti di persone asintomatiche, che non richiedono, nella maggior parte dei casi, ricovero ospedaliero, ma solo quarantena e assistenza domiciliare.
E mentre imperversa ovunque questo caos apocalittico, in questi 6 mesi di puro terrore, ci sono state anche misteriose “scomparse”, morti, uccisioni di ricercatori, blogger, giornalisti, che hanno cercato di dire la verità sul virus, e cioè che proviene dal BioLab-4 di Wuhan, da cui è fuoriuscito per un errore umano, e dove è stato geneticamente modificato con innesti di altri virus, per scopi, molto probabilmente militari, e molto meno probabilmente per semplice “studio”.
In un dossier di 15 pagine, redatto da “Five Eyes” (una super intelligence internazionale, basata su un’alleanza tra i servizi segreti dei maggiori 5 paesi di lingua anglofona: Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti), la Cina viene accusata di aver nascosto o distrutto prove sull'origine della diffusione del virus, di aver negato inizialmente la trasmissibilità da uomo a uomo, e di aver bloccato l'accesso delle organizzazioni internazionali a Wuhan, epicentro del contagio, e ai campioni del virus inizialmente disponibili. Nel fascicolo, inoltre, si fa riferimento all'esistenza di prove in grado di dimostrare che il virus sia stato generato nei laboratori dell'istituto di virologia di Wuhan, a pochi passi dal mercato del pesce, prove che Pechino ha intenzionalmente cercato di insabbiare.
In particolare, il report di Five Eyes muove 3 pesanti accuse contro la Cina:
1) la prima, riguarda la scomparsa di molte persone, tra cui la ricercatrice dell'istituto di Wuhan, Huang Yan Ling, da molti ritenuta la ‘paziente zero’ di Covid-19, misteriosamente scomparsa. Pechino non ha fornito spiegazioni in merito, e addirittura il profilo della ricercatrice è stato rimosso dal sito dell'Istituto di ricerca di Wuhan.
Anche altre persone sono scomparse, come i ricercatori cinesi Botao Xiao e Lei Xiao (di cui mi sono già occupata tempo fa), che per primi avevano parlato della possibilità che il virus fosse uscito dal laboratorio di Wuhan, dove, già in passato, c’erano stati altri incidenti di ricercatori infettatisi coi virus dei pipistrelli.
Ma la scomparsa più eclatante, riguarda Shi Zenghli (anche di lei ho già ampiamente parlato), la virologa numero 1 della Cina, soprannominata “Batwoman”, per i suoi studi sui coronavirus dei pipistrelli, di cui è la massima esperta a livello mondiale.
Di Shi Zenghli non si hanno più notizie da aprile 2020.
Il 2 gennaio 2020, terminando la mappatura della sequenza del genoma di Covid-19, Shi scopre che è identico per il 96% a quello di un virus studiato nel suo laboratorio.
Lo stesso 2 gennaio, la direttrice dell’istituto in cui si trova il BioLab-4 di Wuhan, diretto da Shi, invia una mail, rivolta a tutta la comunità scientifica, in cui vieta la divulgazione dei risultati delle ricerche sul virus Sars-Cov-2.
Ma Shi non rispetta questo monito, e il 23 gennaio 2020, pubblica una relazione scientifica, ripresa poi da “Nature”, in cui spiega di aver scoperto l’altissima contagiosità di questo virus il 14 gennaio (6 giorni prima che il regime di Pechino lo riveli al mondo).
L’11 marzo 2020, Shi rilascia inoltre un’intervista (per lei fatale), nonostante le fosse stato vietato, alla rivista “Scientific American”, in cui dichiara i suoi dubbi sul presunto passaggio animale-uomo fatto dal virus e avvenuto in una zona urbana, il mercato del pesce di Wuhan, anziché negli ambienti tropicali che lei studia da 16 anni, e a cui ha dedicato la sua vita e la sua carriera.
Ammette poi che <<il virus potrebbe essere arrivato dal nostro laboratorio. Questo è stato un vero peso, non ho chiuso occhio per giorni>>.
Più avanti, nell’intervista, dice anche di aver abbandonato gli studi su Covid-19, senza peró spiegarne i motivi.
Queste sono state le ultime dichiarazioni di Shi, dopodiché, di lei si sono perse le tracce.
Molte voci dicono che sia fuggita dalla Cina e abbia trovato rifugio a Parigi con la sua famiglia, e sia pronta a consegnare un dossier sulla fuga dal laboratorio di Wuhan del Covid-19.
Ma anche altre persone sono state colpite dalle misure restrittive del regime, come diversi medici che hanno cercato di dare l’allarme sulla diffusione dell’epidemia, e sono tutti stati incarcerati o scomparsi, oppure come l'uomo d'affari Fang Bin, l'avvocato Chen Qiushi e l'ex reporter televisivo statale Li Zehua, anche loro tutti incarcerati, per aver diffuso il proprio pensiero in merito alla gestione governativa dell’emergenza.
Infine, c’è un’altra scomparsa misteriosa: l’uccisione, a maggio 2020, di Bing Liu, 37 anni, un professore cinese dell'università di Pittsburgh, che era vicino a "scoperte molto significative" sul Covid-19, e che è stato assassinato nella città della Pennsylvania in un caso di omicidio-suicidio.
Bing Liu, è stato ucciso nella propria abitazione, con numerosi colpi di pistola alla testa, al collo e al torace. L'omicida è il 46enne Hao Gu, anche lui di Pittsburgh, che poi si è ucciso nella sua auto, parcheggiata poco distante. La polizia ritiene che i due si conoscessero e che il movente non fosse una rapina. Il delitto è avvenuto sul patio della casa mentre la moglie della vittima era fuori.
L'università di Pittsburgh ha poi spiegato che Bing Liu aveva un dottorato in chimica ed era "un eccezionale e prolifico ricercatore", e che era "vicino a realizzare scoperte molto significative per la comprensione dei meccanismi cellulari che sottintendono all'infezione da SARS-CoV-2 e alle successive complicazioni".
Bing Liu è stato ucciso perché stava per trovare le prove di una manipolazione genetica di Covid-19? Certamente sì.
2) La seconda accusa mossa da Five Eyes a Pechino, riguarda la possibilità di una fuoriuscita del virus dai laboratori di Wuhan, nei quali l'equipe della dottoressa Shi Zhengli ha per anni condotto esperimenti sui Coronavirus nei pipistrelli, manipolando un campione del virus corrispondente al 96% con il Covid-19.
3) La terza, e ultima accusa, riguarda la continua attività di insabbiamento delle prove da parte di Pechino, attraverso la censura delle notizie sul virus dal web, già dal mese di dicembre 2019, e la deliberata rimozione dai motori di ricerca di key words riguardanti il coronavirus, le sue similitudini con la Sars, il mercato del pesce e il laboratorio di Wuhan.
Il mondo punta (a ragione) il dito contro la Cina, ma tutte le colpe del regime di Pechino nell’aver taciuto per mesi (gli inizi dell’epidemia sembra risalgano addirittura ad agosto 2019) il diffondersi del virus, alla fine non avranno conseguenze, perche nessuna nazione, per quanto ricca e potente, puó risarcire il mondo intero per un suo errore, anche se fatale e letale, e soprattutto perché, rivalersi sulla Cina, significherebbe arrivare alla terza guerra mondiale, e alla fine dell’umanità.
E già adesso, l’umanità si trova in bilico sull’orlo del baratro.
#pandemia covid 19#covid 19#covidquarantine#covid-19#alchimilla#katia celestini#italian photographers#artists on tumblr#photographers on tumblr#original photographers#quarantine#lockdown#coronavirus sars cov 2#sars cov 2#virus
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Le spiagge quest'anno:
-box di plexiglass intorno agli ombrelloni così si può stare al mare, fare la sauna e coltivare le verdure in serra contemporaneamente. Paghi 1 prendi 3
-in riva al mare ci sarà un display come in gatronomia: ognuno prenderà il numero e si potrà entrare in acqua solo quando verrà il proprio turno.
-Si ai venditori ambulanti, ma solo di mascherine e Amuchina.
-Per accedere alla spiaggia è obbligatoria: mascherina e tuta di biocontenimento, in alternativa burkini e mascherina oppure tuta da sub con bombole di ossigeno.
-Per accedere allo stabilimento è obbligatorio farlo a scaglioni in ordine alfabetico: i cognomi con le lettere u,v,z se saranno fortunati potranno entrare alle 19.
-Il bar sarà con le consegne a domicilio (a ombrellone) ma il bagnino/barista dovrà appoggiare la roba davanti ai box.
-Ovviamente non sarà più possibile correre da un'ombra a un'altra per sfuggire dalla sabbia rovente: per questo è stato indetto il concorso miss camminatrice o mister camminatore sui carboni ardenti.
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Una studentessa al Corriere della Sera, lettera aperta Milano, 5 marzo 2020 Non so voi, ma io ho la tendenza a vivere le situazioni incerte e potenzialmente pericolose come se non mi riguardassero; le assimilo a nubi gonfie di pioggia, a lontane manifestazioni meteorologiche destinate a dissolversi prima di raggiungere me. Che si tratti di un meccanismo di autodifesa, di semplice istinto umano o di pavidità, questo è stato il mio più spontaneo pensiero nel confrontarmi con la minacciosa nube-COVID-19: c’è da averne paura, certo. Ma non capiterà a me. Bene, oggi sono qui, semi seduta nel mio letto d’ospedale, a parlarvi di come io sia stata ricoverata, in isolamento causa sospetto COVID- 19, al Sacco di Milano; con la speranza che l’informazione aiuti a smitizzare ansie e paure, a comprendere meglio il procedimento dietro ogni diagnosi e a gettare un po’ di luce sul clima che si respira, oggi, negli ospedali, tra chi è impegnato in prima linea per fronteggiare una vera e propria emergenza nazionale. Sono arrivata in ospedale alle 18.45 di lunedì 2 marzo. Dalla settimana prima soffrivo di quelli che, grazie a internet e ai telegiornali, abbiamo imparato a riconoscere come i sintomi del Coronavirus (che, nei casi più blandi, pare non si discostino molto dai sintomi della più comune influenza): febbre, tosse secca e insistente, cefalea a intermittenza, dolori diffusi, ma, soprattutto, un senso di costrizione al petto, come se non riuscissi mai a respirare al pieno della mia capacità polmonare, nonostante le cure prescrittemi dal mio medico di base e una dose quadrupla di formoterolo e budesonite, i miei quotidiani farmaci per l’asma. Così, nel corso di una mia crisi respiratoria, lunedì pomeriggio la mia famiglia ha preso per me la decisione di chiamare il 118: nell’arco di dieci minuti, due operatrici sanitarie, mascherine ffp3 a coprire loro naso e bocca, erano già all’opera nel provarmi febbre, pressione e saturazione, nel farmi indossare a mia volta una mascherina e nell’approfondire la mia sintomatologia, oltreché eventuali contatti avuti con persone provenienti dalle cosiddette zone rosse - contatti, questi, impossibili da ricostruire con certezza per chiunque, come me, frequenti l’università a Milano e prenda abitualmente i mezzi pubblici. Quindi, le operatrici si sono messe in contatto con il Servizio Sanitario Nazionale, al quale hanno riportato tutta la mia anamnesi. Ho capito che mi avrebbero ricoverata, e dove mi avrebbero portata, sentendo la voce all’altro capo del filo prescrivere alle operatrici di procedere con la - loro - vestizione; terminata la quale (che mi ha garantito un minimo margine di tempo per racimolare un pigiama, spazzolino e dentifricio e qualche libro), senza tante spiegazioni né, tanto meno, rassicurazioni, sono stata caricata su un’ambulanza diretta al Sacco. Una volta all’ospedale, ad accogliermi sono stati degli infermieri dotati di tute, copriscarpe, mascherine, cuffie e guanti, che mi hanno subito fatta accedere a una stanza di biocontenimento, il primo impatto con la quale non è stato rassicurante: sulla porta spiccava il simbolo del biohazard, un cartello informava che in quegli scarsi due metri per tre potevano sostare massimo tre persone per volta perché venisse rispettata una distanza di sicurezza di due metri, e un altro ancora che per comunicare con il personale medico bisognava premere un pulsante. Sedie di plastica, nessun tavolino, una porta a chiusura ermetica, un calorifero da campeggio per mantenere una temperatura accettabile malgrado il vento che filtrava da sotto la porta; seduta in un angolo, anche lei in attesa, c’era una donna, quando sono arrivata dormiva, poi mi ha detto di essere in attesa di una stanza, poi si è addormentata di nuovo. Le ore trascorse in quella saletta sono state le più lente del mio ricovero - adesso, col senno di poi, penso che fosse anche perché non sapevo bene cosa sarebbe successo poi: nessuno me l’aveva anticipato, non c’era l’ombra di un medico, li pensavo impegnati altrove, con persone più gravi e sofferenti di me, eppure non riuscivo a smettere di chiedermi dove fossero tutti. Poco dopo mezzanotte, mentre provavo a dormire sdraiata alla bell’e meglio sulle sedie, la porta chiusa ermeticamente si è aperta, e per un istante ho creduto di stare vivendo un film: davanti a me c’erano tre medici, e il mio primo pensiero è andato agli astronauti pronti a un volo nell’interspazio; erano così ugualmente impersonali, coperti e mascherati a quel modo, che mi riusciva difficile distinguerli l’uno dall’altro, o capirli perfettamente quando parlavano. Mi hanno fatta sdraiare su un lettino, e rivolto pressappoco, per metterle a verbale, le stesse domande che mi erano già state fatte; mi hanno misurato la temperatura, la pressione, il livello di ossigeno nel sangue; quindi un prelievo, e una radiografia al torace; e, infine, il tampone per verificare la positività o meno al COVID-19. La denominazione precisa è quella di tampone rino-faringeo; confesso di non essermi mai interrogata sulla natura di questo esame, prima di doverlo fare, e di aver erroneamente dedotto che mi avrebbero estratto un tampone di saliva dalla bocca. In realtà, il tampone rino-faringeo consiste, invece, nel prelievo di materiale esaminabile con l’aiuto di quello che sembra un cotton fioc di circa quindici centimetri di lunghezza; lo strumento viene inserito prima in una narice, poi nell’altra, e il risultato è una sensazione di dolore misto a fastidio, oltre che alla tentazione di starnutire. Tutti e tre i medici sono stati, nel corso dell’intera procedura, estremamente gentili e umani, nel tentativo di distrarmi, e persino di farmi sorridere; non l’ho dato per scontato, non a mezzanotte passata, non dopo chissà quanti altri tamponi ed esami fatti. Questo genere di persone, chi continua a fare bene il proprio lavoro anche in situazioni di stress, ritmi serrati e allarmismo, sono coloro che più si avvicinano alla mia definizione di eroi moderni. A esami conclusi, e sempre con l’equipaggiamento - mascherina, guanti, copriscarpe - del caso, sono stata trasferita nell’area destinata alla degenza dei pazienti in attesa del risultato del tampone. In tempi normali, per esaminare un tampone bastano tre ore; all’inizio dell’epidemia di Coronavirus in Italia, intorno al 21 febbraio, la media dei tempi di attesa era di circa sei ore; oggi, complice la grande quantità di tamponi realizzati ogni giorno, i tempi di attesa [n.d.r.: almeno per quanto riguarda il Sacco, il cui team di infettivologi esamina i tamponi in loco, senza doverli spedire altrove] possono dilatarsi fino alle quarantott’ore. Non sapevo, inizialmente, quanto avrei dovuto aspettare; a dire il vero, l’idea dell’attesa, una volta entrata finalmente nella mia camera, non mi pesava neppure. Le camere dei pazienti per i quali non si può escludere il contagio da COVID-19 sono singole, e strutturate come normali camere d’ospedale, non fosse per l’anticamera - in gergo: il filtro - che le separa dal corridoio del reparto, nella quale ai pazienti è vietato sostare: il filtro è dove gli infermieri depositano i pasti per i degenti; una volta usciti gli infermieri, i pazienti possono recarsi nel filtro, con mascherina e guanti, e portare in camera i pasti. Una volta in camera, possono stare senza maschera e guanti; prima che qualcuno entri nella stanza, vengono avvisati tramite interfono, e viene loro prescritto di indossare guanti e mascherine e di muoversi il meno possibile. I contatti con il personale medico sono ridotti all’osso: due volte al giorno, alle tre del pomeriggio e alle otto di sera, ai pazienti viene richiesto di provarsi la febbre, e di comunicare tramite interfono la propria temperatura corporea. Per quanto mi riguarda, ho ricevuto la visita di un medico solo il primo giorno, perché avevo la febbre alta; i restanti due, alle sei del mattino, quella di un’infermiera che passava a misurarmi la saturazione e a valutare le mie condizioni di salute. A chiunque vedessi chiedevo con ansia degli esiti dei miei esami, che tardavano ad arrivare. Attraverso le pareti sottili trapelavano i rumori dell’ospedale intorno: le chiacchierate al telefono della signora nella camera accanto alla mia, risultata positiva al COVID-19 benché asintomatica; i colpi di tosse di altre due, forse tre persone. Dall’unica finestra, priva di maniglie e impossibile da aprire, come quelle dei grattacieli, non vedevo niente, perché il vetro era smerigliato e opaco. Avevo come l’impressione di essere sospesa fuori dal mondo. Nelle circa trentasei ore di attesa del risultato del mio tampone, oltre a leggere e a tenermi informata, tramite social media, su quello che avveniva fuori, ho pensato principalmente due cose: uno: visto dall’interno, il COVID-19 sembra destare serie, serissime preoccupazioni; due: Dio benedica la sanità pubblica. Quanto alla prima affermazione, posso solo che motivarla dicendo che la mia percezione - la percezione non di un medico o di un virologo, ma di una comune cittadina che si sforza di tenersi costantemente informata sui fatti - è stata quella di una situazione di indubbia emergenza: le misure prese nei miei confronti sono state onnipresenti, calcolate al millimetro, restrittive a dir poco. Percepivo la cautela, il professionalissimo timore negli sguardi degli infermieri, la loro volontà di trattenersi il meno possibile nella mia camera; la stanchezza, anche. La prima notte, l’infermiera che mi ha accompagnata in radiologia mi ha detto, mantenendo accuratamente la distanza di sicurezza di due metri: «In questi giorni sto ringraziando di non avere famiglia: i miei colleghi non riescono più a vedere mogli e figli. Non sanno che turni avranno, quando potranno dormire». Aveva gli occhi cerchiati e violacei, sopra la mascherina. Eppure era premurosa e attenta, mi ha chiesto quanti anni avessi, che scuola facessi, ha sorriso all’idea che fossi più grande di quanto pensasse; e premurosi lo sono stati tutti, sempre, a discapito di tutto. L’idea che in molti lottino da settimane e in silenzio, mettendo a repentaglio salute, ritmi di vita e legami affettivi dovrebbe aiutarci a ridimensionare il fenomeno, a capire che le persone coinvolte, al di 2 là dei veri e propri malati, di quelli che purtroppo sperimentano il COVID-19 sulla loro pelle, sono molte di più; che questa guerra riguarda noi, tutti noi, e non soltanto gli altri. In secondo luogo, si diceva: Dio benedica la sanità pubblica. Non oso immaginare quanto il mio ricovero di tre giorni mi sarebbe venuto a costare se fossi stata, mettiamo, una cittadina dello Stato di New York: sei, settemila dollari? Ottomila? Il solo tampone rino-faringeo avrebbe sfiorato i tremila dollari; è facile tirare le somme, e concludere che una buona fetta della popolazione americana, con grande gioia del COVID-19, non potrà permettersi l’esame. Il nostro diritto alla diagnosi è alla portata di tutti, ed è giusto che sia così; ma non si dovrebbe dare per scontato, perché scontato non è. Quanto a me, oggi, in data 4 marzo, a distanza di quasi trentasei ore, è arrivato l’esito del mio tampone: negativo. A comunicarmi il risultato sono stati due medici giovanissimi, forse specializzandi; hanno aperto la porta della mia stanza senza paura, sorridenti, quasi espansivi, hanno detto: «Portiamo buone notizie.» Li ho ringraziati con la stessa gratitudine che avrei voluto dimostrare a ogni medico, a ogni infermiere. In risposta loro mi hanno visitata, ancora una volta; mi hanno detto di prepararmi, che mi dimetteranno di qui a un’ora, un’ora e mezza. Ho ancora un po’ di tosse, ma niente più febbre. Io e i miei polmoni asmatici ce ne andremo di qui leggeri come non mai. Questa stanza verrà pulita, disinfettata, cambieranno le lenzuola, svuoteranno i cestini. Sarà presto pronta per qualcun altro. #ospedalesacco #coronavirus #covid-19
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Vi faccio un piccolo esempio di cosa voglia dire usare alcuni strumenti di manipolazione della mente umana per fregare la gente e aumentare il proprio potere e consenso, naturalmente senza farsi venire alcun dubbio di natura etica, neanche di fronte al periodo drammatico che tutti stiamo vivendo. Poniamo che ci sia un’epidemia di un virus dilagante, per il quale non abbiamo ancora né anticorpi né vaccini (poniamo…) e che la gente, spaventata, stanca e arrabbiata, tra una sirena e l’altra che passa sotto casa, magari con un genitore intubato che non può nemmeno accarezzare dietro un vetro o allungargli un Novella 2000 da mettere sul comodino, abbia fiducia solo nei medici e negli infermieri che stanno lavorando giorno e notte per salvare quante più vite possibile.
E allora, io, politico che ho studiato da Putin per corrispondenza, che faccio? Mi metto a disposizione di chi ha bisogno? Cerco di elaborare idee per sostenere famiglie, imprenditori, partite IVA, studenti, cassiere? Oppure semplicemente taccio e appoggio in silenzio il lavoro di scienziati e amministratori in prima linea? Ma nemmeno per sogno! No, io politico riunisco prontamente il mio (bravissimo, ma che pelo sullo stomaco…) staff di comunicazione perché ho la smania di andare in tv tutte le volte che posso con una sola ossessione: i voti, i sondaggi. Ma come mi vesto? C’è la pandemia e non ho niente da mettermi! E allora insieme guardiamo tutta la nostra collezione di accessori, dalla felpa della Polizia al ragù Star ormai andato a male, dal mojito del Papeete al citofono di Bologna, dal rosario made in Pietrelcina alla bambola gonfiabile che avevo paragonato alla Boldrini, fino al cappellino “Prima la Lombardia” che adesso proprio no, non va bene, che “Prima la Lombardia” con il Coronavirus ha assunto tutto un altro significato.
Poi, all’improvviso, mi sfornano l’ideona: mi metto una mascherina calata come se avessi appena finito di lavorare in corsia, un maglioncino che evoca il colore del camice ospedaliero, le cuffiette a mo’ di stetoscopio e, sullo sfondo, non un normale ufficio, ma quella che potrebbe essere la stanza dei medici in qualunque ospedale, con tanto di lavagna metallica piena di appunti della caposala. Risultato? Apparentemente non faccio nulla di illecito, in realtà mi sto appropriando del trasferimento di emozioni non coscienti che la gente sposta dai medici a me, apparendo impegnato in prima linea contro il male pur senza sapere in realtà la differenza tra un polmone e un fegato. Il tutto senza fare una mazza e quasi senza lasciare traccia. Da Barbie Guardia Forestale a Barbie Affondabarconi, da Barbie Cuore Immacolato di Maria a Barbie Burioni Biocontenimento è un attimo. Una semplice spruzzatina di neuromarketing, quanto basta. Solo che qui è la bambola a giocare con noi, non noi con la bambola. Questo – come ha fatto notare alcuni giorni fa Luca Bottura su Repubblica – è Salvini, ma le vittime del delitto perfetto siete voi. Provate a pensarci, ché non è ancora troppo tardi per aprire gli occhi.
Salvini va in tv travestito da medico: la propaganda elettorale ai tempi del Coronavirus
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Mentre le nostre vite rallentano, tutto si spegne, si cancella, si ferma e non ci resta che aspettare, ci sono italiani che stanno correndo e lavorando in maniera più intensa di quanto avessero mai potuto immaginare. Sono i medici e gli infermieri che stanno combattendo il #Coronavirus.
Per raccontarli oggi inizio un viaggio con un numero speciale di #altrestorie che continuerà anche venerdì. Il primo protagonista è Antonio Castelli, qui vi anticipo una parte della sua storia che potete leggere integralmente su www.mariocalabresi.com
«“Antonio, cosa ne pensi?”
“Ne penso il meglio, bellissima vacanza, Praga è meravigliosa”.
“No, Antonio, parlo della notizia”. Resto un momento in silenzio, il tempo esatto in cui mia moglie mi mostra un titolo dal suo cellulare che annuncia i primi casi nel Lodigiano.
“Antonio, è arrivato anche da noi, si fa unità di crisi, vieni subito”».
Sono le 7:40 del mattino di venerdì 21 febbraio quando Antonio Castelli, 56 anni, responsabile della Rianimazione dell’Ospedale “Luigi Sacco” di Milano, riceve la telefonata del direttore della Terapia intensiva del Policlinico, Giacomo Grasselli. Antonio sta guidando, accanto a lui c’è la moglie, cardiochirurga nello stesso ospedale: si sono conosciuti quando studiavano Medicina. Sulla via del ritorno da Praga avevano programmato di fermarsi due giorni in montagna in Austria. Invece si dirigono subito al Brennero. Alle 14 Antonio Castelli arriva nel suo reparto a Milano. Lo trova deserto, completamente svuotato, capisce immediatamente che anni di esercitazioni, simulazioni e studi ora sono diventati realtà. Non è un film. È venuto davvero il momento di tagliarsi la barba, quella barba che portava da più di trent’anni.
«Entro nella mia Rianimazione ed è vuota, tutto abbandonato, non ci sono i malati ma solo il disordine di una fuga improvvisa. Allora vado alla Terza Divisione Infettivi, quella del professor Massimo Galli, dove avevamo organizzato gli spazi per fronteggiare Ebola cinque anni fa. Lì invece c’era il mondo. Nel tempo che io avevo impiegato per arrivare dal Brennero a Milano erano riusciti a svuotate il reparto, a organizzare quattro letti con il biocontenimento per accogliere gli altamente contagiosi e a occuparli con i primi malati arrivati da Codogno. Uno di loro era il cosiddetto paziente due, di soli 42 anni, collegato al paziente uno. Tutto aveva preso una velocità sconosciuta. Il lunedì successivo, il 24 febbraio, i letti in Terapia intensiva erano già diventati undici».
Giovedì 27, appena riaccende il telefono alla fine del turno di notte, viene chiamato nuovamente da Giacomo Grasselli, gli chiede di andare all’Ospedale di Lodi per capire come si possa sostenerli di fronte a un’escalation del coronavirus così massiccia e drammatica. Antonio sale in macchina, non immagina nemmeno lontanamente cosa lo aspetti. «Sono entrato nel Pronto soccorso, era letteralmente stipato di pazienti in gravi difficoltà respiratorie. Erano ovunque e quando dico ovunque intendo che ogni mattonella del pavimento era occupata. Il malato meno grave era una donna che respirava ossigeno puro, alla sua barella era stata appesa una bottiglia d'acqua, un particolare che mi è sembrato un segno di grande sensibilità. Era sovraffollato: 70 uomini e donne tutti insieme che non riuscivano a respirare. Ma non c’era caos, piuttosto un ordine e una dedizione straordinari. Una cosa che ricorderò per tutta la vita».
Il responsabile del Pronto soccorso, Stefano Paglia, era lì da otto giorni, non era mai uscito, comunicava con la moglie e le figlie solo su WhatsApp e dormiva per periodi di due ore tra un’ondata e l’altra. Perché arrivavano due ondate al giorno, dieci-quindici malati alla volta, la mattina presto o al tramonto. Arrivavano le persone che non erano riuscite a dormire la notte, che avevano aspettato l’alba angosciate e con la prima luce si erano decise ad andare all’ospedale o quelle che dopo una giornata di peggioramenti avevano paura del buio che stava per arrivare.
Antonio Castelli incontra tutta la direzione: «Avevano facce stravolte e la sensazione che non fosse compresa la dimensione del problema. Ho detto subito: “Non sono venuto qui per controllare, ma per testimoniare cosa fate”. E allora è giusto che si sappia cosa hanno fatto a Lodi, quando Codogno era già stata chiusa: hanno fatto un lavoro da eroi e non uso questa parola nel modo abusato che va di moda oggi. Sono stati eroi nel senso letterale del termine. Mentre mi raccontavano la situazione mi sono commosso per la capacità di tenuta ed efficienza di quel gruppo di medici e infermieri».
Quella stessa notte dieci malati da Lodi vengono trasferiti al “Sacco”, i più gravi vanno alla Rianimazione dell’Humanitas, che aveva appena messo a disposizione alcuni posti in Terapia intensiva. Quarantotto ore dopo, il sabato, riescono a chiudere per un giorno l’accettazione di Lodi, per far respirare tutto il personale.
Stefano Paglia ed Enrico Storti, che guida i rianimatori di Lodi, creano un metodo di grande buon senso per individuare subito i pazienti Covid-19, un metodo che potremmo chiamare “Lodi”, destinato a fare scuola: «Non si basa sulla febbre, ma sulle difficoltà respiratorie e sulla zona di provenienza – spiega Castelli - su questa base facevano la prima divisione dei pazienti e li mettevano in isolamento. Poi per separare i più gravi dai meno gravi facevano una lastra toracica e misuravano il tasso di saturazione dell’ossigeno nel sangue, dopo averli fatti camminare lungo i 50 metri del corridoio. Così hanno fatto fronte all’emergenza con estrema lucidità già nel cuore di quella notte tra il 20 e il 21 febbraio».
Il pomeriggio di quel 27 febbraio Castelli scrive la sua relazione, paragona Lodi a uno scoglio «che riceve continuamente lo schiaffo dell’onda». È il punto più esposto d’Italia, ma è una zona a bassa densità di popolazione; bisogna circoscrivere il contagio perché, se si allarga, allora si rischia la catastrofe: «Se l’onda supera questo scoglio – scrive - dietro c’è Milano. Non ce lo possiamo permettere».
Lo interrompo. Sono passate due settimane da quel giorno, gli chiedo se l’onda sia arrivata a Milano: «No, non con quella forza. Ma la possibilità che uno tsunami ci travolga è alta. Tutto dipenderà dalla capacità dei cittadini di stare in casa, separati gli uni dagli altri. Io non so cosa stia succedendo nelle strade, ma mi dicono che finalmente la città sia vuota; quando nei giorni scorsi ho visto le foto dei bar sui Navigli, pieni all’ora dell’aperitivo, e la gente a cena nei ristoranti, ho pensato che fosse follia, follia pura. Un’idea distorta e onnipotente che i giovani siano immuni dal contagio»
https://www.mariocalabresi.com/stories/ci-faremo-ricrescere-la-barba/
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Sarà l'Aeronautica Militare ad andare in Cina a prendere i nostri connazionali
Sarà un velivolo KC767A del 14° Stormo dell’Aeronautica Militare l’unico vettore italiano autorizzato a partire lunedì per la Cina. Sotto il coordinamento dell'unità di crisi del Ministero degli Affari Esteri, il Ministero della Difesa, tramite lo Stato Maggiore della Difesa - COI - Comando Operativo di Vertice Interforze - insieme con il Ministero della Salute e all’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Spallanzani” sta organizzando il volo di rientro dei nostri 80 connazionali dalla Cina. Dopo aver ricevuto le clearance necessarie il KC-767A raggiungerà l’aeroporto di Wuhan con a bordo personale medico e infermieri specializzati della Difesa, con adeguato equipaggiamento sanitario al seguito, coordinati da un team dello “Spallanzani” per garantire un trasporto sanitario sicuro. In Italia l’atterraggio è previsto presso l’Aeroporto dell’Aeronautica Militare di Pratica di Mare l’Aeroporto militare di Pratica di Mare. I passeggeri dovranno seguire un protocollo del Ministero della Salute, per il quale il personale del 3° Stormo di Villafranca (Verona) sta predisponendo idonee strutture logistiche necessarie alle operazioni di sbarco e controllo sanitario in totale sicurezza in ambienti protetti. Potrà prendere il volo solo chi dopo il controllo medico che verrà svolto al momento di salire a bordo risulterà non avere già contratto il virus. Una volta in Italia, saranno messi in quarantena per 14 giorni (il periodo massimo d’incubazione) probabilmente in una struttura militare, dove trascorreranno (in isolamento gli uni dagli altri) il periodo di sorveglianza sanitaria. Sarebbe complicato effettuare la sorveglianza domiciliare. Per ragioni «familiari o personali», inoltre, solo in 3-4 casi gli italiani residenti a Wuhan stanno valutando l’ipotesi di non prendere il volo di rientro. Il trasporto in Italia, dopo diverse valutazioni, è stato affidato direttamente allo Stato Maggiore della Difesa che attraverso il COI (Comando Operativo di Vertice Interforze) ha interessato l’Aeronautica Militare. L’Arma Azzurra possiede una capacità esclusiva nel settore: i suoi velivoli da trasporto sono gli unici al mondo, insieme a Gran Bretagna e Usa a possedere una capacità molto speciale, il trasporto aereo sicuro in bio-contenimento. Una capacità offerta dall’Aeronautica Militare che ha avviato dal lontano 2006 una serie di corsi ed esercitazioni con gli ospedali Spallanzani di Roma e Sacco di Milano. L’attività di trasporto aereo con assetto di bio-contenimento è una delle eccellenze della nostra aeronautica militare, poco nota e che dovrebbe essere, invece, un motivo di orgoglio e soprattutto di riconoscenza per chi in passato ha pensato e poi attuato una capacità indispensabile, oggi diventata necessaria. L’Ansa ieri ha riportato che il luogo dove dovrebbero essere posti in quarantena gli italiani provenienti da Wuhan è una caserma situata a Roma all’interno della “città militare” della Cecchignola. I tecnici delle amministrazioni coinvolte, precisa l’Ansa, hanno individuato una struttura nel grande comprensorio militare ed in queste ore si sta accertando l’effettiva idoneità allo scopo.
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Covid 19, Costa “situazione delicata, moltissimi positivi non denunciano il loro stato”
Covid 19, Costa “situazione delicata, moltissimi positivi non denunciano il loro stato”
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La missione della Croce Rossa Italiana in Ucraina
La missione della Croce Rossa Italiana in Ucraina
È partita stanotte la seconda missione di evacuazione di civili della Croce Rossa Italiana in Ucraina per Leopoli con l’obiettivo di portare in Italia, stavolta, circa cento persone fragili (bambini, anziani, diversamente abili ecc.), vittime della guerra. Il convoglio CRI composto da 18 mezzi, incluse ambulanze, pulmini, minibus, mezzi ad alto biocontenimento, macchine e furgoni per materiali…
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OPERATIVA LA NUOVA BARELLA CON CAMERA DI BIOCONTENIMENTO PER L'ASSOCIAZIONE GALATINA SOCCORSO ODV
OPERATIVA LA NUOVA BARELLA CON CAMERA DI BIOCONTENIMENTO PER L’ASSOCIAZIONE GALATINA SOCCORSO ODV
GALATINA – La dotazione sanitaria donata da Colacem all’Associazione di volontariato Galatina Soccorso ODV è ora operativa. La condivisione di un importante progetto tra azienda e territorio, con il Comune di Galatina protagonista, è stata ancora una volta occasione per migliorare i servizi sociali e sanitari garantiti da molti anni alla comunità. (more…)
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Aou Cagliari: sindacati, serve area biocontenimento positivi
Aou Cagliari: sindacati, serve area biocontenimento positivi
{$inline_image} Leggi la notizia su Ansa Aou Cagliari: sindacati, serve area biocontenimento positivi
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Anche l’Esercito a Lucca Comics con fumetti e veicoli della forza armata
Anche l’Esercito a Lucca Comics con fumetti e veicoli della forza armata
Anche l’Esercito italiano a Lucca Comics 2021. La forza armata coordinata dall’Istituto Geografico Militare è presente alla manifestazione con eventi contestualizzati all’evento ed un nuovo dispositivo promozionale: novità di questa edizione è la presentazione di due fumetti e la presenza del veicolo tattico medio multiruolo Orso in versione ambulanza, impiegato con la barella di biocontenimento,…
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• Covid-19 • Le profezie sul virus e la fine del mondo
La vita ai tempi della pandemia - Mondo, Zona Rossa / giorno 110
Tra le pagine del mio diario pandemico, non poteva mancarne una dedicata alle profezie sull’avvento del virus.
Quello delle profezie è un argomento estremante affascinante, che fa parte della storia dell’uomo sin dall’antichità. E poi, io stessa faccio profezie, e dunque l’argomento, è per me doppiamente affascinante.
Dall’omerica bellissima Cassandra, ai profeti biblici, passando per l’ultra-criptico Nostradamus, e poi il Ragno Nero (o Monaco Nero), e la Monaca di Dresda, fino ad arrivare a tempi più recenti, profeti e veggenti hanno sempre avvisato il mondo sull’incombenza di pericoli, imminenti o futuri, ma il destino delle profezie, si sa, è quello di essere ascoltate solo dopo che si sono realizzate, come se l’uomo, scegliesse consapevolmente di lasciarsi cadere nel baratro, anche quando potrebbe fare qualcosa per evitarlo.
Ma torniamo alle profezie.
Quelle che seguono, sono le profezie più straordinariamente sorprendenti ed esatte, che riguardano l’avvento del Covid-19 nel mondo. E che ne hanno descritto non solo l’anno del suo arrivo, ma anche i sintomi, con precisione quasi chirurgica.
Ed è interessantissimo notare, che tutte quante, coincidono sul periodo di scomparsa del virus: l’estate, anche se coloro che le hanno fatte, hanno vissuto in periodi molto diversi, e sono di cultura molto diversa.
- 1981 (39 anni prima di Covid), la profezia di Dean Koontz sul virus “Wuhan 400” del 2020:
<< Uno scienziato cinese di nome Li Chen fuggì negli Stati Uniti, portando una copia su dischetto dell’arma biologica cinese più importante e pericolosa del decennio.
La chiamano ‘Wuhan-400’, perché è stata sviluppata nei loro laboratori di RDNA vicino alla città di Wuhan, ed era il quattrocentesimo ceppo vitale di microorganismi creato presso quel centro di ricerca>>.
Questo brano è tratto dal romanzo thriller “The Eyes of Darkness” che lo scrittore americano Dean Koontz scrisse nel 1981.
Nel libro, Koontz scrisse anche che
<<intorno al 2020, una grave polmonite si diffonderà in tutto il mondo>> e che questa è <<in grado di resistere a tutte le cure conosciute>>.
Il virus Wuhan-400, venne inoltre definito dall'autore come << un’arma perfetta che colpisce solo gli esseri umani>>.
Koontz pubblicó più versioni del romanzo “The Eyes of Darkness”: nella prima, quella originale del 1981, lo scrittore faceva riferimento alla città sovietica di Gorki e il virus si chiama ‘Gorki-400’.
La città divenne invece “Wuhan” nell’edizione del libro del 1996, dato che l’Unione Sovietica ormai non esisteva più, e la Cina sembrava una fonte più credibile.
- 2008 (12 anni prima di Covid), la profezia di Sylvia Brown sul virus polmonare del 2020:
<<Entro il 2020, gireremo con mascherine e guanti, per via di un’epidemia di polmonite. Diventerà prassi indossare in pubblico mascherine chirurgiche e guanti di gomma, a causa di un’epidemia di una grave malattia simile alla polmonite, che attaccherà sia i polmoni sia i canali bronchiali, e che sarà refrattaria a ogni tipo di cura. Tale patologia, sarà particolarmente sconcertante perché, dopo aver provocato un inverno di panico assoluto, quasi in maniera più sconcertante della malattia stessa, improvvisamente in estate svanirà, con la stessa velocità con cui è arrivata, per poi tornare nuovamente dopo dieci anni, quando poi scomparirà definitivamente>>.
Queste parole sono tratte dal libro “End of a days” (a pagina 210 della versione inglese originale), pubblicato nel 2008 da Sylvia Browne, celebre scrittrice, veggente e medium americana, morta nel 2013, che ha scritto decine di libri basati sulle sue doti medianiche (che erano comparse già da bambina), e pubblicati in tutto il mondo. La Browne ha inoltre collaborato, come consulente, con polizia ed FBI, ad oltre 100 casi di sparizioni ed omicidi.
- 1555 (465 anni prima di Covid), la profezia di Nostradamus sul virus e la fine della pandemia in Italia al 1’ luglio 2020 [sestina 11-30 e quartina C.II Q.53]:
<<Dal Polo Nord, grande calamitá sarà in Italia (Esperia), in Lombardia (Insubre).
Come una tempesta d’acqua che si abbatte su una nave: peste terribile inizierà quando Mercurio si troverà retrogrado in Acquario, e finirà quando Saturno lascerà l’Acquario (il 1’ luglio 2020, perchè Sarurno lascia l’Acquario ed entra nel Capricorno il 1’ luglio 2020>>.[Quartina C.II Q.53].
Nella sestina 11-30, inoltre, Nostradamus parla chiaramente di <<un ‘medico’ e di un ‘grande male’ che porterà ‘infermità da costa a costa’ (la diffusione della pandemia in tutto il mondo)>>.
Dunque Michel de Nostredame, alias Nostradamus, celeberrimo astrologo, veggente, scrittore, farmacista e speziale francese, nel suo libro “Centuries et prophéties” del 1555, predisse l’arrivo di una tremenda peste nel mondo e in Italia, e più precisamente, in Lombardia, ma predisse anche la fine di questa pestilenza: il 1’ luglio 2020, una data che coincide col periodo di fine epidemia profetizzato anche dalla Browne, che fissa la fine del virus con l’estate del 2020.
- 22 agosto 2019 (4 mesi prima di Covid), la profezia di Abighya Anand sulla pandemia di Coronavirus, tra novembre 2019 e aprile 2020:
Abhigya Anand è un ragazzo indiano di 14 anni, ed è anche un giovanissimo astrologo, molto noto in India, e considerato un ragazzo prodigio, attendibile, dai media indiani, per le sue straordinarie conoscenze di astrologia vedica.
Il 22 agosto del 2019, aveva predetto la pandemia di Coronavirus in un video pubblicato sul suo canale YouTube, in cui annunciava che una malattia, trasmessa attraverso starnuti e tosse, si sarebbe diffusa in tutto il mondo da novembre 2019 ad aprile 2020, e che la Cina, epicentro dell’epidemia, sarebbe stata uno dei paesi più colpiti.
Poi aveva aggiunto anche che il virus, sarebbe diventato più facilmente gestibile, su scala globale, dal 29 maggio 2020, e sarebbe poi scomparso definitivamente il 5 settembre 2020, dopo una lenta decrescita a partire dal 31 marzo, apice della pandemia.
La sua previsione si basa su una serie di calcoli molto complessi, scritti su una lavagna, che poi il ragazzo ha spiegato attraverso il movimento degli astri.
Anand parla di una sovrapposizione dei pianeti del sistema solare, ovvero Marte, Giove e Saturno, e sottolinea la presenza di Rahu, il nodo nord della Luna, che ricorda essere legato alla simbologia dell’acqua. “Questo è un raro accadimento”– spiega il 14enne – “Marte Saturno e Giove sono tutti nel cerchio più esterno del sistema solare. Quindi quando sono tutti allineati, il loro potere sulla Terra è enorme”.
Si tratta, dunque, di una rarissima congiunzione astrale, che ha dato il via, sulla terra, ad una vera guerra trasmessa attraverso l’acqua (riferimento alle modalità di trasmissione del virus, che sono, appunto, tosse e starnuti).
- 10 febbraio - 11 marzo 2020, le mie profezie sull’arrivo di Covid e sulla fine della pandemia:
Il 10 febbraio 2020, quando ancora nel mondo si pensava che Covid-19 fosse solo in Cina, ho guardato nella mia ossidiana argentata per vedere cosa sarebbe successo col virus. Lo scenario che mi si è presentato è stato apocalittico. Ho visto una specie di cripta sotterranea, simile ad un bunker o ad una catacomba, con pavimento e pareti di roccia. All’ingresso di questa cripta c’erano due teste di demoni evanescenti come fantasmi, molto arrabbiate, e ho visto anche visi di persone spaventate che urlavano e stavano male. Fuori da questa cripta, c’era una specie di nebbia o fumo biancastro, strade deserte, edifici abbandonati che cominciavano ad andare in rovina. Alberi ed erbacce incolti che crescevano nei prati e sui muri. Poi è comparso molto in grande su tutta la pietra un pezzo del sigillo di Lucifero, col triangolo con la punta al contrario. Infine, sul retro della mia ossidiana, ho visto una grande statua di donna nuda, uguale alla statua pagana che rappresenta la Dea, e poi due visi, non so se demoni o esseri umani, di profilo, molto sofferenti, arrabbiati.
Il 21 febbraio 2020 (l’epidemia di Covid, in Italia, è scoppiata ufficialmente la notte del 20 febbraio 2020 a Codogno, e solo dal 21 febbraio in poi, hanno cominciato a circolare le prime notizie sul virus tra i media italiani), in una successiva divinazione, ho visto anche l’interno di un ospedale, che era deserto, e, in fondo ad una corsia, senza medici, infermieri, nessuno, c’era un box chiuso di quelli per il biocontenimento, con i vetri bianchi opachi. Dentro a questo box, vedevo agitarsi delle persone, vedevo, dietro ai vetri spessi, le loro sagome agitarsi e battere con le mani sui vetri. Erano stati chiusi dentro, perché infetti, e non potevano uscire. Poi ho visto le guglie gotiche del duomo di Milano, e sopra il duomo un piccolo sole rosso fuoco, il cielo sembrava bruciare e il duomo era annerito, scheletrico. Ho visto poi, molto in grande, in centro alla pietra, i volti di alcuni malati, avevano il viso molto scavato, gli occhi cerchiati di nero, mi fissavano spaventati...avevano i capelli neri scarmigliati.
Ho visto inoltre militari pattugliare strade deserte, e molte persone in rivolta, che davano fuoco e rompevano edifici, alti palazzi come grattacieli. All’epoca pensavo si trattasse di qualche megalopoli cinese, solo verso maggio, ho invece capito (tramite le notizie dei media) che le rivolte che ho visto a febbraio nella pietra, non erano in Cina, ma negli Stati Uniti.
E poi ho fatto altre divinazioni sul virus, fino ad arrivare a quella dell’11 marzo 2020, che ho pubblicato qui il 15 marzo, e in cui spiegavo che dal 29 aprile 2020 i contagi avrebbero avuto un significativo calo (cosa poi confermata al 30 aprile dal bollettino della Protezione Civile, di cui ho già parlato a suo tempo), e, dal 21 giugno 2020 l’epidemia, in Italia, avrebbe cominciato lentamente ad esaurirsi, cosa che si sta verificando dato che, da alcune settimane, i medici hanno scoperto, nei pazienti, una versione genetica di Covid diversa e indebolita, che dà sintomi lievi, e che non necessita più di ricovero ospedaliero.
Ad ulteriore conferma della straordinaria precisione della mia pietra, il 20 giugno 2020 (notate bene questa data, perché richiama quella che mi ha dato la mia ossidiana), l’OMS cambia le linee guida su Covid-19 finora in uso, relative ai tamponi, e comunica che:
<<non è più necessario il doppio tampone negativo, a distanza di almeno 24 ore, per decretare la guarigione di un paziente, poiché, adesso, bastano tre giorni senza sintomi per liberare i pazienti dall’isolamento, indipendentemente dalla severità dell’infezione, quindi, le nuove direttive sono:
_ per i pazienti sintomatici: 10 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi, più almeno 3 giorni senza sintomi (incluso senza febbre e senza sintomi respiratori).
_ Per i pazienti asintomatici: 10 giorni dopo il tampone positivo>>.
Questo cambiamento nelle linee guida dell’OMS, si deve al fatto che, in base ai recenti risultati su versioni genetiche diverse e indebolite di Covid, il virus attivo, ovvero quello che può replicarsi e infettare altri soggetti, non sarebbe presente, se non in rarissimi casi, nei campioni respiratori del paziente dopo 9 giorni dall’insorgenza dei sintomi da coronavirus. Questo avviene soprattutto in casi di infezione lieve, contestualmente alla formazione di anticorpi neutralizzanti. Il paziente viene quindi reso libero dall’isolamento sulla base di criteri clinici, e non più sulla ripetizione dell’esame del tampone. Questo può infatti continuare a trovare tracce non vitali di RNA per diverse settimane, anche se non pericoloso.
Che dire, dopo innumerevoli strafalcioni e figuracce sul virus, anche l’OMS ne ha finalmente azzeccata una.
Meglio tardi che mai.
E adesso, dulcis in fundu, ma in realtà non c’è nulla di “dulcis”, le profezie sulla fine del mondo.
Alcuni giorni fa, è circolata in rete la notizia secondo cui la “fine del mondo” fissata dai Maya per il 21 dicembre 2012, in realtà sarebbe avvenuta il 21 giugno 2020, il tutto per un errore di calcolo (nostro eh, non dei Maya, popolo straordinario, evolutissimo, che ha formulato calcoli matematici e astronomici perfetti e impossibili per le conoscenze e i mezzi dell’epoca, si parla del 2000 a.C.):
il cambio tra calendario giuliano e gregoriano, avvenuto nel 1582, avrebbe fatto perdere 11 giorni all'anno nell'interpretazione del calendario Maya, per un totale di 8 anni di scarto. Così dal 21 dicembre 2012 si arriverebbe al 21 giugno 2020.
Ovviamente, il mondo non è finito, dato che siamo ancora tutti qui, ma ciò a cui i Maya si riferivano, con la loro profezia, non era alla fine del mondo in senso letterale, ma bensì alla fine di un ciclo, e all’inizio di uno nuovo, un ciclo molto oscuro e travagliato per l’umanità.
Questo volevano dire i Maya. E come sempre, non hanno sbagliato.
Dal 2012 in poi, infatti, non è che le cose, nel mondo, siano andate proprio benissimo, e riguardo a questo 2020, i segni di una futura (imminente?) Apocalisse, in realtà ci sono tutti. Qualche esempio? Dalla pandemia di un virus letale, ai terremoti, allo sciame di locuste, ai disastri ambientali. Direi che mancano solo i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse.
Ma vediamone qualcuno di questi segni apocalittici, in dettaglio:
- 29 dicembre 2019: la cometa C/2017 T2PansSTARRS sta passando alla minima distanza dalla terra, si trova infatti a 227 milioni di chilometri. Le comete, da sempre, sono portatrici di sventure. E infatti, siamo alla vigilia dello scoppio ufficiale dell’epidemia di Coronavirus in Cina.
- 30 dicembre 2019: si diffonde la notizia di numerosi contagi a Wuhan, in Cina, dovuti ad un’epidemia di un virus polmonare sconosciuto.
- gennaio-giugno 2020: cominciano una serie di terremoti di magnitudo molto elevata in tutto il mondo (Caraibi, magnitudo 7.7, a gennaio 2020, Turchia Orientale, magnitudo 6.8, sempre a gennaio 2020, Albania, magnitudo 5, ancora gennaio 2020, Russia, magnitudo 7.5, marzo 2020, Roma, magnitudo 3.3, maggio 2020, e, ultimo terremoto registrato, Messico, magnitudo 7.7, giugno 2020).
- 20 febbraio 2020: in Africa si sta verificando la peggiore invasione di cavallette del secolo.
Un immenso sciame di 200 milioni di locuste, da oltre un mese, sta devastando raccolti e vegetazione, divorando in un solo giorno una quantità di cibo pari a quella che consumerebbero 90 milioni di persone. Dall’Africa orientale, le cavallette si sposteranno poi in Medio Oriente, Asia, India, fino ad arrivare in Sardegna.
- 6 aprile 2020: scoppia un incendio nella foresta che circonda la centrale nucleare di Chernobyl. Si innalzano i livelli di radioattività.
- 29 maggio 2020: crolla un serbatoio di carburante in una centrale elettrica vicino alla città di Norilsk, in Siberia, e 20.000 tonnellate di petrolio finiscono nel circolo polare artico. Le foto sono impressionanti, e sinistre. Mostrano un’immensa macchia rosso sangue, nell'acqua del fiume Ambarnaya.
Ed ecco l’ultima profezia su una nuova catastrofe alla fine del 2020, prestatele molta attenzione:
• 10 giugno 2020: Anand, il ragazzino prodigio indiano che aveva previsto il Coronavirus ad agosto 2019, fa un’altra tremenda previsione:
<<Tra la fine del 2020 e marzo 2021, l’umanità andrà incontro ad una nuova catastrofe, molto peggiore della pandemia di Covid-19.
E questa volta, la responsabilità, sarà dell’allineamento Saturno-Giove (e anche, della cattiveria dell’uomo sulla natura e sugli animali, aggiunge Anand. Se l’uomo non metterà un freno alla propria ferocia e avidità, scomparirà dalla terra.
E questo, coincide molto anche con le figure di demoni che ho visto io nella mia prima divinazione sul virus, e anche con quanto mi ha rivelato Adam -la bambola a cui è attaccato uno spirito molto potente, un Djinn, che mi ha sempre rivelato con esattezza diverse cose future - un mese fa circa, in un sogno, in cui mi ha detto che “trascorreremo un Natale ‘normale’, senza virus, ma se l’uomo continuerà ad essere malvagio, il virus tornerà, e questa volta, per l’umanità, non ci sarà scampo”)
Anand non ha ancora rivelato di che catastrofe si tratterà, ma cosa c’è di peggiore della pandemia di un virus letale? Una guerra nucleare? Un meteorite? Un terremoto che spaccherà in due il pianeta?
Guarderò anch’io nella mia pietra, per vedere se mi mostrerà qualcosa a riguardo.
Nel frattempo, cerchiamo di uscire tutti vivi da questo 2020 da incubo.
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