#bestiario italiano
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Arpie
Le Arpie sono un tipo di creature magiche sensienti che vivono nel mediterraneo, in particolare le si trova nelle coste del sud Italia e delle isole Greche occidentali. Queste creature vengono spesso descritte come un ibrido tra l’essere umano e un rapace, poiché esse hanno la parte superiore del busto, collo e testa simile a quella di una donna umana con lunghi e sinuosi capelli e grandi occhi, mentre il resto del corpo, con le sue grandi e forti ali, capaci di farli volare, nonostante le grandi dimensioni, per grandi distanze con il minimo sforzo, le sue possenti zampe con artigli affilati, capaci di sollevare prede pesanti con pochissimo sforzo e il suo piumaggio nero come la notte ottimo per mimetizzarsi, ricordano estremamente il secondo. Anticamente le Arpie attaccavano ferocemente qualunque preda incontrassero, specialmente le navi che facevano fermare evocando nubi e venti e successivamente ne agguantavano o rapivano i marinai afferrandoli in volo, da cui il loro nome che significa rapitrici e la loro abilità e forza era tale da spingere le più calme e lente Sirene Omeriche a isolarsi completamente per sopravvivere. Proprio per questa loro foga, furono vittima di lunghe campagne di caccia, che le portarono più e più volte talmente vicine all’estinzione che durante il basso medioevo, periodo nel quale erano rimasero pochissimi esemplari dovettero abbandonare totalmente le coste per nascondersi nelle foreste e sui monti, dove per sopravvivere svilupparono sia la capacità di trarre forza dal tormento e dalla discordia delle altre creature, sia un udito finissimo e anche una discreta capacità telepatica che utilizzano tutt’ora per sussurrare segreti e verità distorte che grazie al loro eccellente controllo dei venti, riescono ad arrivare a quante più persone possibili creando tensioni e scontri così da avere sempre una fonte costante di cibo senza esporsi.
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#BritishItalianSociety#ClaudioMonteverdi#GertrudeBel#HannahEly#madrigale#MonteverdiStringBand#Musicaclassica#OliverWebber#UniversityWomen`sCLub#VirginiaWoolf#WendiKelly
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Il ragazzo e l’airone
✔️ 𝐒𝐓𝐑𝐄𝐀𝐌𝐈𝐍𝐆 𝐎𝐑𝐀 𝐐𝐔𝐈 ▶ https://t.co/GbdQmkLmzc

:: Trama Il ragazzo e l’airone ::
La guerra del Pacifico brucia Tokyo e il mondo di Mahito, un ragazzino traumatizzato dalla morte della madre, divorata dal fuoco dei bombardieri. Due anni dopo, elaborato il lutto, suo padre lascia la città per la campagna e per la cognata, da cui adesso aspetta un figlio. Mahito fatica ad accettare una nuova mamma e una nuova vita ma qualcosa lo distrae dal dolore. Un airone cenerino e ostinato lo tormenta e ‘gli parla’ conducendolo in un mondo fantastico e nascosto. Nel corso di una vertiginosa odissea in cui il protagonista attraversa una serie di soglie, livelli e portali, nella speranza di vedere la madre morta e di ritrovare la matrigna viva, Miyazaki mette in campo un immaginario ricco ed eterogeneo in cui rivisita i suoi film precedenti e rende omaggio alle sue influenze, mescolando stili e tecniche di animazione diversi e incrociando la strada di un bestiario straordinario che funge da guida per l’aldilà.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Il ragazzo e l’airone

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:: Trama Il ragazzo e l’airone ::
La guerra del Pacifico brucia Tokyo e il mondo di Mahito, un ragazzino traumatizzato dalla morte della madre, divorata dal fuoco dei bombardieri. Due anni dopo, elaborato il lutto, suo padre lascia la città per la campagna e per la cognata, da cui adesso aspetta un figlio. Mahito fatica ad accettare una nuova mamma e una nuova vita ma qualcosa lo distrae dal dolore. Un airone cenerino e ostinato lo tormenta e ‘gli parla’ conducendolo in un mondo fantastico e nascosto. Nel corso di una vertiginosa odissea in cui il protagonista attraversa una serie di soglie, livelli e portali, nella speranza di vedere la madre morta e di ritrovare la matrigna viva, Miyazaki mette in campo un immaginario ricco ed eterogeneo in cui rivisita i suoi film precedenti e rende omaggio alle sue influenze, mescolando stili e tecniche di animazione diversi e incrociando la strada di un bestiario straordinario che funge da guida per l’aldilà.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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La guerra del Pacifico brucia Tokyo e il mondo di Mahito, un ragazzino traumatizzato dalla morte della madre, divorata dal fuoco dei bombardieri. Due anni dopo, elaborato il lutto, suo padre lascia la città per la campagna e per la cognata, da cui adesso aspetta un figlio. Mahito fatica ad accettare una nuova mamma e una nuova vita ma qualcosa lo distrae dal dolore. Un airone cenerino e ostinato lo tormenta e ‘gli parla’ conducendolo in un mondo fantastico e nascosto. Nel corso di una vertiginosa odissea in cui il protagonista attraversa una serie di soglie, livelli e portali, nella speranza di vedere la madre morta e di ritrovare la matrigna viva, Miyazaki mette in campo un immaginario ricco ed eterogeneo in cui rivisita i suoi film precedenti e rende omaggio alle sue influenze, mescolando stili e tecniche di animazione diversi e incrociando la strada di un bestiario straordinario che funge da guida per l’aldilà.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Literatura de la Edad Media: Un Vistazo General
La literatura de la Edad Media abarca un extenso período desde el siglo V hasta el XV, caracterizado por la influencia de eventos históricos, sociales y religiosos. Aquí, se resumen algunas características y ejemplos representativos:
Lenguas Utilizadas:
Latín: Inicialmente, gran parte de la literatura estaba escrita en latín, especialmente las obras religiosas y académicas.
Lenguas Vernáculas: Con el tiempo, se desarrollaron literaturas en las lenguas vernáculas como el francés, español, italiano y alemán.
Temas Religiosos y Morales:
La religión desempeñó un papel central, con obras que reflejaban valores cristianos y enseñanzas morales.
Ejemplo: "Divina Comedia" de Dante Alighieri.
Épica Medieval:
Narrativas épicas que narraban hazañas heroicas y valores caballerescos.
Ejemplo: "Cantar de Mio Cid".
Mester de Juglaría y Mester de Clerecía:
Mester de Juglaría: Transmitido oralmente por juglares, temas populares y entretenimiento.
Mester de Clerecía: Escrito por clérigos, enfoque educativo y moralizante.
Ejemplo de Juglaría: Poemas épicos anónimos.
Ejemplo de Clerecía: "Libro de Buen Amor" de Juan Ruiz.
Novelas de Caballería:
Historias centradas en caballeros, con ideales de honor y aventuras amorosas.
Ejemplo: "Amadís de Gaula".
Poesía Lírica:
Expresión de sentimientos amorosos y melancólicos.
Ejemplo: "Cantigas de amigo" de trovadores gallego-portugueses.
Bestiarios y Alegorías:
Descripciones simbólicas de animales, a menudo con lecciones morales.
Ejemplo: "Bestiario" de Juan de Cuba.
Características Formales:
Métrica variada, con rima asonante o consonante dependiendo de la tradición.
Uso de recursos literarios como la alegoría y la simbología.
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Che ci sia, ognun lo dice; dove sia, nessun lo sa.
Carlo: Messere, io non ho mai veduto la Giustizia; però non so dirvi se ella sia cieca, o se abbia vista di lince, o se porti gli occhiali. La vedrei bensì volentieri cotesta matrona; la vedrei volentieri non per altro, badate, che per baciarle le mani. Solamente vi dirò, che a Livorno un contadino una volta affacciandosi a un tribunale a dimandare se stesse lì la Giustizia, gli fu risposto aspramente: — Fuori, fuori; qui non ci sta la Giustizia.
C. Bini, Il forte Stella (*) in C. Bini, Scritti, Milano, Ist. Ed. Italiano, s.d. [19xx]
(*) Scritto nel carcere della Stella, a Portoferraio, nel 1833.
Immagine: Araba Fenice, dal Bestiario di Aberdeen (sec. XII, folio 56 recto)
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Sfiducia?
Ciò che riscontro ogni giorno di più nel popolo italiano è un'abissale sfiducia nel ceto politico e culturale dominante.
C'era da tempo, lo so, questo declino, ma dopo il triennio del Covid e ora della guerra, mi pare che cresca la sensazione che quasi tutto ciò che ci viene comunicato dal sistema politico-informativo sia o direttamente falso, o almeno in buona parte falsificato a scopi di mera propaganda.
Questa situazione, e cioè il divorzio tra la fiducia del popolo e i ceti dirigenti, possiede certamente caratteri di tragicità, ma non solo.
Ogni divorzio, infatti, può essere il preludio di nuovi incontri, di nuove coniugazioni, e di nuove nascite.
"The Temptation of Sir Persival" (1894), di Arthur Hacker
Non è facile, non sarà un processo rapido, e penso che non sarà nemmeno una transizione indolore.
Il Baraccone di tutti i liberticidi, degli "scienziati" con l'ago a pistola, dei "giornalisti" più viscidi delle lumache di bosco dopo un temporale, degli "scrittori-a comando" a tutto servizio del sistema della guerra, dei politici al guinzaglio di potenze straniere e di poteri finanziari più o meno criminali, insomma tutto questo Bestiario paranoico, e votato ormai palesemente all'olocausto planetario, resiste e resisterà fino alla fine, con il coltello in bocca delle loro menzogne imposte per legge.
Ma qualcuno, qualche novello Parsifal, che significa "Colui che si apre un varco", sta già donando se stesso alla nuova Pianta della Vita, sta già innaffiando ogni giorno le dune di questo deserto, sta già compiendo il Miracolo del Ricominciamento, e della Rifioritura.
Con gioia umilissima, e tenacia furibonda vedo che emerge il Nascente, e vedo che è un Popolo, un Popolo invincibile, perché davvero più libero e più felice.
Marco Guzzi
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MiniBX
[English first, poi in italiano]
This self-described disruption, subversion or even profanity against D&D B/X really gets just to the point. It cleverly finds a quick and dirty system that minimises sheet bookkeeping, that also gives an entertaining depth to conflicts. Because that's what BX is really about, isn't it? The game leaves everything else to freeform play, and, as it happened with the previously mentioned In the Time of Monsters, I'm generally appreciating the split between combat and the rest of the narrative. The bestiary is also filled with creatures that are fun to run, with hooks baked into their descriptions, but there's a tendency all over the game to make fun of itself, that really entertained me. What really got me, in addition to the fluid simplicity of this game, is how easy it is to hack videogames into it. I tried a couple, and it was really a breeze, much to the satisfaction of the other players as well. The scenes flowed easily, and combat, with its lethality spiking now and then, keeps up the tension that it should.
Questa autodefinitasi perturbazione, sovversione o persino profanazione di D&D B/X va veramente dritta al punto. Arriva astutamente a un sistema facile e rapido che riduce la contabilità di scheda, dando nel contempo un'interessante profondità ai conflitti. Perché in fondo è tutto lì il punto di BX, no? Questo gioco lascia tutto il resto alla narrativa libera e, come per In the Time of Monsters recensito in precedenza, tendo ad apprezzare questo tipo di separazione fra il combattimento e il resto della narrativa. Il bestiario, fra l'altro, è pieno di creature divertenti da gestire e dalle ispiranti descrizioni. Anche la tendenza generale del gioco a prendersi in giro da solo mi ha veramente intrattenuto. Quello che mi ha veramente colpito, oltre alla scorrevole semplicità del gioco, è stata la facilità con cui ci si possono convertire videogiochi. Ho provato con un paio, mettendoci veramente un attimo e dando anche soddisfazione agli altri giocatori. Le varie scene sono scorse fluidamente e il combattimento, con la sua letalità che spunta improvvisamente, ha mantenuto alta la tensione come dovrebbe essere.
MiniBX.
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They sound like the Companions from the Heralds of Valdemar universe.
Cavalli D'argento

art by me using photoshop
I Cavalli d'argento, anche chiamati Equini dei monaci, sono una pacifica e misteriosa specie del centro Italia, rinvenuti in particolare in Umbria. Questi cavalli hanno il manto completamente bianco e degli zoccoli fatti d'argento. Nonostante l'aspetto quasi comune queste creature possiedono caratteristiche straordinarie, infatti al chiaro di luna i Cavalli d'argento rilucono di una pallida luce argentea che ha effetti calmanti, e inoltre possiedono anche fortissimi poteri curativi, così intensi che qualunque ferite, salvo quelle che ammazzano sul colpo, si rigenera quasi istantaneamente senza versare neanche una goccia di sangue, redendoli quasi immortali. Sono molto difficili da incontrare, poiché molto abili a nascondersi e a evitare i pericoli, ma durante le notti di luna piena è possibile vederli corre lungo i corsi d'acqua. Date queste loro caratteristiche particolari è più che probabile che la loro specie e quella degli unicorni abbiano un antico legame ma nessuna ricerca riguardante ciò ha mai ottenuto risultati chiari.
The “Cavalli d'argento” (Cavallo d'argento sng.), also called “Equini dei monaci”, are a peaceful and mysterious species of central Italy, found in particular in Umbria. These horses have completely white coats and silver hooves. Despite their almost common appearance, these creatures possess extraordinary characteristics, in fact, in the moonlight the “Cavalli d'argento” shine with a pale silver light that has calming effects, and in addition they also possess very strong healing powers, so intense that any wounds, except those that kill instantly, regenerates almost immediately without spilling even a drop of blood, making them almost immortal. They are very difficult to meet, as they are very adept at hiding and avoiding dangers, but on full moon nights it is possible to see them running along the waterways. Given these particular characteristics it is more than likely that their species and that of unicorns have an ancient link but no research concerning this has ever obtained clear results.
#Bestiario Italiano#Italian Bestiary#Umbria#Italian Folklore#Folklore#Folklore Italiano#Horse#equine#Italy#Wizarding Italy
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24 giu 2020 12:30
DAGOSPIA, COME E PERCHÉ – INTERVISTA: ‘’IL SITO È UN “PENSIERO DEBOLE” PERCHÉ DISDEGNA QUALSIASI COMANDAMENTO IDEOLOGICO - PER QUALE MOTIVO LA GENTE DOVREBBE SCAPICOLLARSI ALL’EDICOLA E SBORSARE DUE EURO PER COMPRARE UN GIORNALE CHE GLI DICE, NERO SU BIANCO, CHE È UN COGLIONE POLITICAMENTE DIPLOMATO SE NON LEGGE LE PIPPE DI CAROFIGLIO, UNA TESTA DI CAZZO SE MANDI A QUEL PAESE IL MEE-TO DI ASIA ARGENTO, UN DECEREBRATO SENZA SPERANZA SE TROVA FABIO FAZIO UTILE PER CAMBIARE CANALE?’’
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Sebastiano Caputo - https://www.lintellettualedissidente.it/confessioni/roberto-dagostino/
Tutte le strade di Roma portano sul Lungotevere. E di notte, in una città che si tinge di giallo ocra (e guai se il comune sostituisce quei lampioni antiquati con le luci a led, manco fossimo a Time Square) le palme fosforescenti della casa museo di Roberto D’Agostino ormai sono diventate parte integrante del paesaggio urbano.
Un nuovo, e unico, esemplare di pianta, patrimonio dell’urbe, puttana e santa. Quello non è soltanto un terrazzo di un edificio qualsiasi, bensì trasposizione cinematografica del barad-dûr di Tolkien, una sorta di torre nemmeno troppo oscura, di controllo, di comando, di spionaggio e contro-spionaggio. Lì nasce Dagospia, quella è la sua inespugnabile fortezza. Ormai da 20 anni.
dago con la redazione (giorgio rutelli francesco persili federica macagnone riccardo panzetta alessandro berrettoni)
Un caravanserraglio collocato sulla riva sinistra del fiume dove si incrociano persone, circolano informazioni, si parla del più e del meno, e ogni tanto, nemmeno troppo raramente, escono fuori grandi retroscena.
Dagospia non è una preghiera laica del mattino, ma un manuale romanzato di guerriglia per chi vuole imparare a muovere i passi tra i luoghi della mondanità (anche se “non ce so’ più le feste de ‘na volta” come disse al Bestiario il mitico Luciano Bacco) e i palazzi del potere, quelli veri.
Molti, per anni, hanno considerato i contenuti pubblicati su un sito apparentemente trash (ma non kitsch bensì camp) “stupidi pettegolezzi”, ignari della filosofia profonda di questo girone dantesco di articoli e racconti fotografici in cui esistono tantissimi e psichedelici livelli di lettura che molte volte si sovrappongono fino a svelare storie di letto, di potere, o tutte e due insieme. In barba a qualsiasi “classifica di segretezza”.
Su Dagospia, niente è segreto, segretissimo, riservatissimo, riservato. E se Filippo Ceccarelli ci ha scritto un libro, raccontando la storia d’Italia attraverso il sesso, nella sua dimensione pubblica e privata, da Mussolini a Vallettopoli bis, Roberto D’Agostino invece ci ha fatto un sito internet, con milioni di visitatori al giorno, e la capacità incredibile di coniare neologismi e nomignoli per tutti i suoi protagonisti, dai più ai meno noti.
È un arte tutta italiana, ormai dimenticata dai super mega direttori, quella di riuscire a inventare parole, definizioni, espressioni, e che oggi, morti Gianni Brera e Tommaso Labranca, eredi dei Longanesi, dei Maccari e dei Papini, non si vede quasi più.
Chi è, chi non è, chi si crede di essere Roberto D’Agostino. Definirlo ribelle o incarnazione dello spirito decadente del nostro tempo è profondamente sbagliato, “Rda” non è altro che un artista che oltre ad essersi inventato un genere giornalistico-letterario, è riuscito a fabbricare uno star system italiano composto da intellettuali, soubrette, personaggi dello spettacolo affermati, emergenti o tramontati, finanzieri, politici di ogni Repubblica, e a dissacrarlo a suo piacimento.
“Avendo io vissuto quel periodo negli anni Sessanta mi sono ritrovato in questa filosofia della Silicon Valley”, ci confessa al telefono. Dagospia infatti è un social network –“de noantri”, nella sua accezione positiva e italianissima – della mondanità in cui invece di raccogliere dati, raccoglie i segreti, svelati per narcisismo, vanità o protagonismo dai suoi stessi protagonisti, “morti di fama” li chiama, anche a costo di farsi tenere sotto ricatto per sempre.
Del resto era l’Italia quel Paese dove non potrà mai esserci nessuna rivoluzione perché gira e rigira ci si conosce tutti. Chissà allora se in quel “tempio della magnificenza e della decadenza del mondo occidentale” (Massimiliano Parente) non si nascondano cellule dormienti. Solo i ferventi professanti della “taqiyya” potranno salvarci. Se non sarà quello stesso tempio di “mezzi divi” e starlette a dissimulare loro.
Sono passati vent’anni, non pochi. Quando hai capito di aver fatto il botto?
Il botto con Dagospia non si può fare perché non è in formato analogico. Nel digitale non abbassiamo quasi mai la saracinesca, è un flusso continuo. I click sono tanti, ma la verità è che il mondo di carta è un mondo lontano e contrario al nostro. Dagospia è un “pensiero debole”, una tavola da surf che cavalca le onde in tempo reale della realtà.
Non diciamo al lettore come deve vivere, pensare, votare. Col mondo digitale, quello che era considerato il popolo bue, una volta che ha preso in mano il mouse è diventato un popolo toro.
E quindi tu non hai mai pensato a un supporto cartaceo in questi 20 anni?
In vent’anni non ho mai scritto un editoriale, perché è proprio il contrario della filosofia del web. Che ha origine dall’hippismo californiano, teorizzato da Stewart Brand, padre spirituale della controcultura degli anni ’70 (a cui Steve Jobs rubò la frase “Stay hungry, stay foolish”), che teorizzò la rivoluzione digitale con un testo che aveva per titolo un videogioco, “Spacewars”, che metteva il dito nel nuovo orizzonte mentale da cui tutto proviene.
Il vero atto geniale fu di trasformare il computer, fino allora in dotazione solo all’esercito e alle grandi aziende, in uno strumento personale, individuale, da mettere sulla tua scrivania. A Brand si deve anche la geniale espressione ‘’personal computer’’: “Puoi provare a cambiare la testa della gente, ma stai solo perdendo tempo. Cambia gli strumenti che hanno in mano e cambierai il mondo”.
Il segreto del successo della rivoluzione del Web è l’interattività: mentre la letteratura isola, la televisione esclude, il cinema rende passivo lo spettatore, la rivoluzione digitale, al pari dei videogiochi, include. Dalla platea al palcoscenico. Non siamo più semplici spettatori ma protagonisti.
Con i social, il narcisismo ognuno di noi ha trovato la maniera di dire quello che gli frullava nella testa. Ovviamente, le polemiche quali sono state? Fake news, leoni da tastiera, volgarità a gogò… ma siamo 7 miliardi e 700 milioni di abitanti, di cui 3 milioni e mezzo sono connessi. Ora, su questi numeri, è ovvio che devi prevedere una quantità di idioti, di cretini, di maleducati. Del resto, l’essere umano non è mai stato perfetto…
Quando Umberto Eco disse che Internet dà la facoltà a qualsiasi imbecille di dire la sua stronzata, io gli risposi: “Scusi, esimio professore, quando Lei è in aula al DAMS di Bologna, i suoi studenti hanno tutti la stessa capacità? Hanno tutti la stessa qualità? Hanno tutti la stessa educazione e cultura?”.
È chiaro che gran parte di queste polemiche sono un gigantesco rosicamento con versamento di bile che ha avuto il mondo analogico della carta stampata. Prima, imperanti le ideologie, ogni mattina l’editoriale dava la linea al popolo-bue, alle 20 poi toccava al telegiornale condizionare il consenso dei cittadini.
Poi, con Internet, nulla è stato come prima: nessuno sta più alle 8 di sera ad aspettare il bollettino di Saxa Rubra, nessuno sta più ad aspettare che la mattina si apra un’edicola per avere notizie. Oggi hai in tasca un computer chiamato smartphone. E tutto questo ha spazzato il loro potere.
È quella famosa battaglia, duello, sfida, tra popolo “armato” di connessione ed élite appesa alla biblioteca. E costantemente dobbiamo leggere articoli di tipini col ditino alzato che sentenziano che siamo trash e cafoni, ignoranti e teste di cazzo se ci sollazziamo con Maria De Filippi anziché con Corrado Augias.
E nessuno di tali sapientoni si chiede per quale motivo la gente dovrebbe scapicollarsi all’edicola e sborsare due euro per comprare un giornale che gli dice, nero su bianco, che è un coglione politicamente diplomato se non legge Carofiglio, una testa di cazzo se mandi a quel paese il Mee-to di Asia Argento, un decerebrato senza speranza se trovi Fabio Fazio utile per cambiare canale.
Con il sito, dato che non sto scrivendo i dieci comandamenti, considerando la verità solo un punto di vista, tra un dagoreport e un cafonal, scodello una selezione di notizie che credo che valga la pena di leggere presa dai giornali.
Poi sarà il lettore a farsi un’idea di dove siamo finiti e a farsi il proprio editoriale. Io non voglio dare nessuna indicazione, io sto qui a prospettare quello che è lo spirito del tempo. Il principio culturale che ho sempre avuto nel mio lavoro è questo: ognuno vede quello che sa.
Dato che, come dicevano i pizzicaroli e i baristi, “il cliente ha sempre ragione”, ho fatto anche una mossa anti Dagospia: ho tolto il sommario, lasciando l’occhiello e ampliando il titolo. Perché, sparando oltre 100 pezzi ogni giorno, molti lettori non hanno il tempo per poter leggere tutti gli articoli. In modo tale che leggendo solamente i titoloni, possa farsi un’idea di ciò che sta succedendo intorno a lui.
Dagospia è un unicum del giornalismo mondiale anche perché è profondamente italiano. Però volevo sapere se vent’anni fa, quando ti è venuta l’idea, ti sei ispirato ad un progetto preesistente.
Avevo un amico che mi ha introdotto in questo mondo, che aveva vissuto come me gli anni del Flower Power, del Peace & Love, delle canne e degli acidi. Perché siamo arrivati alla rivoluzione digitale grazie agli hippies, ai freaks, ai beatnick della California degli Anni 70. Che avevano un proposito ben chiaro, prendere le distanze dal sistema, dall’American Dream, dal maledetto Secolo Breve delle guerre mondiali e dell’Atomica.
E lo hanno fatto. Ma senza appoggiarsi all’ideologia, alla politica politicante, come in Europa. Dove l’obiettivo finale è abbattere il Palazzo, la rivoluzione, il sole dell’avvenire, etc. No, come Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac, Ken Kesey, l’hippismo aveva messo radici profonde nel buddismo del vicino oriente.
E fra Zen e Budda, il freak aveva capito che l’energia dell’essere umano, non essendo illimitata, non andava sprecata in modalità distruttiva ma creativa. Anziché assediare la Casa Bianca, intrupparsi in qualche partito da combattimento, o mettersi in fila per un posto all’IBM, mejo rinchiudersi in un garage e inventarsi con quattro pezzi di metallo un computer, come appunto fece Steve Jobs.
Non a caso nessuno degli attuali padroni del mondo, da Bezos a Zuckerberg, da Jobs al duo di Google fino a Bill Gates, ha conseguito una laurea a Stanford o ad Harvard. Non a caso nei social c’è un termine fondamentale per la sottocultura hippie: comunity. Non a caso Facebook segue i vecchi dettami del Peace & Love e ha solo il “mi piace”.
La scelta di stare fuori dal sistema è stata fatta con determinazione e spirito pratico, magari senza avere un’idea precisa di quello che sarebbe poi avvenuto. Da una parte. Dall’altra il Sistema, il Potere era ben felice e tranquillo, visto le insurrezioni e il terrorismo che stava sconvolgendo l’Europa.
Il Sistema americano era ben felice che le comunità freak e hippie, anziché gettare molotov e ammazzare la gente per strada, si trastullassero inventando videogiochi e computer, senza dar fastidio al manovratore, fuori da ogni contestazione politica. Una miopia che poi hanno pagato in termini pesantissimi: Microsoft si è mangiata l’IBM, Netflix ha oscurato Hollywood, Amazon dove va non fa prigionieri, Spotify ha conquistato l’industria musicale.
Avete mai letto dichiarazioni politiche dei vari pionieri del web Gates, Bezos, Jobs? No, perché sprecare energia e retorica contro il vecchio mondo? Più facile creare un Nuovo Mondo. Anzi, un mondo parallelo partendo da Space Invaders che ha portato via il calciobalilla dai bar e che per la prima volta ci ha fatto interagire con uno schermo. E dopo venti anni Jobs presenterà il primo modello di Iphone (9 gennaio 2007, San Francisco).
Quello che Jobs e compagni avevano capito è questo: se tu vuoi cambiare la testa di una persona non riuscirai mai a farlo con le parole. Se tu vuoi cambiare una persona gli devi dare in mano uno strumento, un utensile, un oggetto. L’essere umano nel corso della sua millenaria vita non è cambiato per una ideologia, per una religione, per un partito, per il comunismo, per il liberalismo, per il femminismo. L’uomo nel corso del tempo è cambiato perché un giorno ha scoperto il fuoco, il coltello, la ruota, il fucile, il treno a vapore, la lampadina, la pillola anticoncezionale, il telefonino, etc.. Sono gli oggetti che cambiano il mondo, non le ideologie.
Si è molto americana come cosa, tutta l’ideologia della prassi, della realtà…
Ma la stessa cosa che successe quando arrivò il Rinascimento. Che noi italiani lo identifichiamo con i capolavori di Michelangelo, Leonardo, Caravaggio. Invece il grande passaggio dal Medioevo al Rinascimento è soprattutto merito dell’invenzione dei caratteri mobili di stampa ad opera di un tipografo tedesco di nome Gutenberg. Strumento che permetteva il passaggio della conoscenza dalla élite di papi, principi e monaci alle nuove classi emergenti.
Mentre lasciava sul campo, stecchita, buona parte della cultura orale (ai tempi dominatrice indiscussa di un mondo di analfabeti), apriva orizzonti sconfinati al pensiero umano, alla sua libertà e alla sua forza. Di fatto scardinava un privilegio che per secoli aveva inchiodato la diffusione delle idee e delle informazioni al controllo dei potenti di turno.
Per far circolare le proprie idee non era più necessario disporre di una rete di monaci amanuensi. Una smagliante accelerazione tecnologica che ha terremotato la postura mentale degli umani, dando vita al Rinascimento, alla modernità, all’Illuminismo.
Io credo che quello a cui noi stiamo assistendo con la rivoluzione digitale sia un procedimento tutto sommato simile, anche se in scala enormemente più vasta, al Rinascimento.
In tutto il mondo, dal deserto del Sahara sotto le tende dei beduini ai villaggi del Bangladesh o in un’isola sperduta della Polinesia, chiunque con una connessione e un computer può accedere alla biblioteca di Babele, alla biblioteca totale. C’è la totale disponibilità della cultura, dei libri, della lettura a tutti. Questo non può non produrre che un Rinascimento Digitale, una mutazione che noi adesso non possiamo neanche immaginare.
Vista questa consapevolezza della rivoluzione digitale in cui siamo, ti manca lavorare in TV?
La TV l’ho fatta per tantissimi anni, in Rai. Ho cominciato nel ’76 mettendo le musiche per “Odeon”, poi ho partecipato alla scrittura del varietà di Rai1 ‘’Sotto le Stelle’’, poi “Mister Fantasy” come autore, però in video ci sono andato solamente con Arbore a ‘’Quelli della notte’’, nel 1985, ma sempre come partecipante.
Poi due anni di ‘’Domenica in’’ con Boncompagni. Non ho mai avuto nessuna intenzione di fare un programma televisivo, perché implica un lavoro collettivo: non è che vai lì e quello che fai tu è quello che poi alla fine la gente vede, ed è un aspetto che non mi è mai piaciuto.
Quindi ho sempre preferito il ruolo di ospite. A un certo punto hanno detto: «Ah è facile stare sul divano a fare il criticone». E allora ho realizzato un programma solo per soddisfazione personale, per far vedere cosa può essere la televisione contemporanea.
Ed ecco 30 puntate di ‘’Dago in the Sky’’. La TV di oggi è radiofonica, si chiacchiera da un talk all’altro; io posso seguire la Gruber o Vespa anche lavorando, non c’è quasi mai bisogno di alzare gli occhi. La televisione è immagine in movimento e oggi la fanno Netflix, Amazon Prime…
Dagospia chiaramente ha uno dei punti di forza nel fare leva sull’ego delle persone. Tu ti aspettavi un’élite italiana, cultural-mondana e intellettuale, così vanitosa come l’hai scoperta in questi vent’anni di Dagospia?
Hanno ripubblicato da poco un formidabile libro degli anni Ottanta, si intitola ‘’La cultura del narcisismo’’ ed è stato scritto dal sociologo Christopher Lasch. Se lo riprendi in mano già si intravede, a partire da quel decennio, il protagonismo della gente, insieme all’idea che la politica sarebbe poi diventata solo una questione di leadership.
Lo abbiamo visto con Silvio Berlusconi. Prima c’era il partito, poi il segretario, alla fine è emerso il leader. Oggi la politica è dei leader, o emerge il leader oppure il partito non esiste. Quindi la cultura del narcisismo nasce in quegli anni Ottanta, l’epoca dell’edonismo reaganiano, del godimento di breve durata. Stasera è l’ultima sera.
Il narcisismo e l’effervescenza culturale degli anni Ottanta nel mondo è stata raccontato in maniera mirabile, mentre in Italia a causa della presenza di politici come Craxi e De Michelis, è stato schiantati dalla sinistra come gli “anni peggiori”. Ma, al di là di Chiasso, Ottanta vuol dire postmoderno nell’architettura, transavanguardia nell’arte, il successo letterario de “Il nome della rosa”, il trionfo del made in Italy nella moda, etc.
Gli anni Ottanta sono anche quelli della caduta del muro di Berlino. E la cosa fantastica è che nel 1989 mentre si sbriciola la Cortina di Ferro, un grande informatico britannico come Tim Berners Lee, a Ginevra, inventa la Rete, il web, la e-mail. Un passaggio di consegne fra due epoche E la Rete non ha ideologia. Internet è amato e desiderato in tutto il mondo, non c’è un Paese che detesti internet, anche i regimi più autoritari ne hanno bisogno.
Con Dagospia ti sei fatto più amici o più nemici in questi anni?
Abbiamo tanti conoscenti, ma pochi amici. Saranno, quando va bene, tre o quattro che senti tutti i giorni, a cui confidi i tuoi problemi, i tuoi disagi, mentre gli altri, i conoscenti, li incontri, ci parli, ci bevi un drink, e basta. L’amicizia è tutta un’altra cosa. Il fatto che poi tanti mi abbiano querelato, o insultato, fa parte delle regole del gioco.
Lo Star System italiano che avete raccontato in questi anni su Dagospia esiste oppure ve lo siete inventato?
E’ da un pezzo che lo Star System è senza star, sostituite ormai dal narcisismo social che ha prodotto le micro-celebrità. Poi con questa maledetta quarantena è emerso che la celebrità, la popolarità, ha senso solo nelle momenti di benessere collettivo. Quando i tempi sono bui i post e i video su Instagram dei cosiddetti famosi fanno cagare.
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A due anni dal precedente “Bestiario Marino”, pubblicato nel 2015, arriva sempre per “Desuonatori” il successore “Meccanismi di Volo”, che sviluppandosi da una radice sonora sostanzialmente affine cambia prospettiva spostando l’attenzione dall’acqua a temi quali: cielo, esseri alati, volo e sospensione, che ritornano costantemente e ben si percepiscono nelle nove tracce dell’album. In “Meccanismi di Volo”, il clarinettista e sassofonista pugliese Francesco Massaro esprime ancora una volta il suo intimo rapporto con l’improvvisazione, elemento cardinale tanto del suo percorso artistico, quanto delle sue composizioni. Se con “Bestiario Marino”, l’attenzione era rivolta a stimoli e interessi estremamente diversificati, spaziando dalla scienza alla magia, dal cinema surrealista ai testi medievali, questa volta, il campo d’azione risulta certamente più circoscritto. Con “Meccanismi di volo”, Massaro e Bestiario guardano particolarmente alla musica del tardo Novecento e alle intuizioni di compositori come: Olivier Messiaen, Arvo Pärt, Fausto Romitelli e Luciano Berio, qui opportunamente metabolizzate e filtrate dalla sensibilità jazz dell’ensemble, composto da: Francesco Massaro (sax baritono, clarinetto basso) , Gianni Lenoci (pianoforte, pianoforte preparato), Mariasole De Pascali (piccolo, flauto, flauto alto) , Michele Ciccimarra ( batteria, percussioni, cupa cupa), Adolfo La Volpe (chitarra elettrica, live electronics) e Valerio Daniele, (chitarra elettrica baritona, live electronics). Continuando un percorso iniziato con “Bestiario Marino”, “Meccanismi di Volo” esprime al meglio la proposta di “Desuonatori” un coordinamento di progetti musicali che recuperano il legame intimo tra musica e ascolto, riconducendo il suono alla sua natura più pura e originaria di tramite comunicativo e comunitario, svincolandolo da ogni esigenza commerciale e di mercato. Questo album, di cui segnaliamo inoltre le illustrazioni di Maria Teresa De Palma, è un affascinante viaggio attraverso le infinite possibilità del suono, inteso come materia plasmabile, primordiale e autentica, svincolata da ogni superflua sovrastruttura. “Sa Zenti Arrubia”, guidata dai lenti e continui arpeggi pianistici, sui quali si articolano i fiati e i delicati rintocchi di percussioni, oppure, le “liberatorie “ Tecniche di Ornitomanzia” o “The Cabinet Of Dr.Stround”, denotano l’estremo eclettismo linguistico e la solidità di un Ensemble italiano dai connotati decisamente atipici e peculiari. Un album davvero audace, guidato da un’instancabile “verve” creativa. Eccellente.
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Lo strano caso del demone con il gelato sulla facciata di una cattedrale — Aleteia.org – Italiano Come i massoni medievali traevano ispirazione dal bestiario che avevano a portata di mano, gli artisti contemporanei mescolano tradizione e cultura pop per trasmettere lo stesso messaggio eterno Tecnicamente parlando, un doccione non è altro che la parte sporgente di un tubo che serve a far defluire l’acqua che altrimenti si accumulerebbe su un tetto.… Lo strano caso del demone con il gelato sulla facciata di una cattedrale — Aleteia.org – Italiano
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Todas las cartas de amor son ridículas
Todas las cartas de amor son ridículas. Fragmentos de la novela de Diego Maenza. Mi nombre era Eloísa y ya no soy joven. No después de todo lo que ocurrió. #RevistaSinestesia #LeerEsSinestesia #sinestesia #PublicacionesPeriódicas
Todas las cartas de amor son ridículas (Fragmentos)
Diego Maenza (Ecuador 1987)
Autor del poemario “Bestiario americano”, libro que condensa mitos urbanos y leyendas de todo el continente, y de la novela “Estructura de la plegaria” que aborda temas sensibles como la pederastia y el aborto (traducida al portugués, italiano, inglés, francés, alemán y ruso).
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