#aveva anche dei lineamenti perfetti
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Ebbene sì, son riuscito ad innamorarmi persino della mia consulente finanziaria
La prossima volta le chiederò se ha senso farmi un'assicurazione sulla vita ora che mi ha rubato il cuore (#cringe)
#ok ok#oltre che esser super gentile#aveva anche dei lineamenti perfetti#e delle mani molto belle#btw ora sono riverso su una panchina a soffrire
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Royal Vampire x Fem Reader
fantasy scenario x reader (serie)
enemies to lovers
Era finalmente arrivato l’inverno,dai monti innevati e i ricordi d'infanzia delle fredde giornate trascorse a giocare con la neve,il periodo preferito della vampira figlia dei Veryliomov,la fanciulla più giovane della reggia e dalla bellezza più riservata e composta che si fosse mai vista. Mai creatura della notte dai lineamenti più particolari s’era incontrata aggirarsi nella antica villa della nobile famiglia. Eppure tanto era il suo fascino misterioso quanto il cattivo carattere di cui i familiari l’accusavano ogniqualvolta se ne presentasse l'occasione.
“Sii socievole” “Più sorridente mia cara” “Non si vedono abbastanza i tuoi canini,avanti” “Non puoi restare sempre in camera tua a leggere” La esortavano ad essere più conforme alla famiglia i suoi genitori,ormai quelle frasi le ripeteva spesso insieme a loro, accompagnate sempre da un suo tipico sguardo rivolto verso il cielo,le sapeva a memoria,semplicemente non voleva ascoltarli,non voleva essere come loro. Odiava quel mostrarsi perfetti davanti a tutti,perché nessuno di loro lo era. Osservava da anni i comportamenti della sua lunga stirpe,e non appena il loro falso ridere svaniva si palesavano sempre le persone più meschine con le quali ella avesse mai potuto offendere la sua vista. Avide,perfide,maligne e crudeli,così definiva le persone intorno a lei la giovane che poteva studiarne la vera natura d'ogniuno da vicino,ma solo le maschere che indossavano riuscivano a dar di loro i volti più splenditi nei dipinti di famiglia e nei frequenti balli. Lei non era come loro,e mai lo sarebbe stata,ma non sentirsi parte di ciò che inevitabilmente la circondava la rendeva anche sola,sola tra i parenti,sola nel reame,sempre sola in quella reggia e ancora sola in mezzo a tanta gente. Solo lei e le domestiche,entrate presto in buoni rapporti con la ragazza,sapevano quello che si nascondeva dietro a quelle finte cortesie pubbliche,ma nessuno aveva mai osato smascherare quel teatro d’attori nati da secoli prima la sua nascita.
“Medleys secondo te cosa c’è fuori i cancelli della nostra reggia?“ Chiese la giovane alla solita domestica, mentre pensierosa,seduta al centro del morbido letto a castello,guardava con occhi sognanti la finestra aperta.
“Mia cara,ahimè non posso esservi di alcun aiuto, dovrete farvi rivelare il segreto da vostro zio Ernald,è lui che è sempre in viaggio.” Rispose rammaricata la donna mentre spolverava qualche mensola della camera della ragazza.
“Oh no,io non voglio avere niente a che fare con quella gente…vorrà dire che continuerò a scoprire il mondo pagina dopo pagina se proprio devo.” Lo sguardo della ragazza si ricoprì in breve d'un velo di tristezza mentre seguiva il suo stesso consiglio afferrando uno dei suoi soliti libri,consapevole che se si fosse continuata a comportare così non l’avrebbero mai lasciata varcare i ferri degli slanciati cancelli della villa.
“Signorina seppur essa sia la sua famiglia non posso che concordare con lei,con tutto il rispetto.” Concluse quella breve conversazione la donna presa dalle pulizie.
"Ormai le loro maschere,i loro personaggi hanno talmente preso il sopravvento che in parte si sentono quello che fingono di essere perché hanno dimenticato il loro vero volto...come si riconoscono ancora allo specchio? Anzi come possono persino passare davanti uno specchio d'acqua senza restare terrificati?-" Pensò ad alta voce la ragazza interrompendosi subito all'udire di passi,ben noti a lei,che in lontananza avanzavano verso la sua stanza.
“Signorina,mi raccomando,devi essere in perfetta forma per il ballo in maschera di domani.” Esordì la padrona di casa irrompendo nella stanza della silenziosa dama,confermando a chi appartenessero i precedenti passi.
“Un altro ballo?”Domandò la figlia con aria esausta.
“Per i 3 secoli d’anniversario di me e tuo padre chiaramente.” Spiegò rapidamente la signora dai modi altezzosi.
“Ovviamente,come dimenticare un evento così importante,mi domando se ci sarà un ballo anche per il nostro nuovo gatto a questo punto...” Replicò con sarcasmo ella portandosi una mano alla fronte.
“Niente storie Y/n,lo sai.” Terminò bruscamente la discussione la donna sbattendo la porta alle sue spalle.
"Un ballo in maschera per gente che vive con la maschera sul viso,quale singolare ironia della sorte." Osservò la giovane tornata in compagnia solo della sua fedele domestica.
Eppure quel suo atteggiamento non poteva rallentare il divenire del tempo,e fu sera e fu mattina,e l'ora della celebrazione arrivò come un ospite in anticipo. Anche in quell'occasione non aveva intenzione,come era solita fare,di dare nell’occhio in alcun modo,nella speranza di restare in compagnia delle sue amate pagine e di fatto nel prepararsi aveva lasciato i capelli sciolti,tenuto i suoi gioielli giornalieri, indossato un vestito adeguato ma senza sfarzi,tulle o strati e delle comode scarpe che coperte dalla lunga veste nessuno avrebbe mai visto,soprattutto non essendo mai dell'umore per ballare. Uscì dalla sua camera serenamente sentendosi a suo agio in quelle semplici stoffe ma gli sguardi delle sue sorelle adornate di perle,dagli abiti pomposi e i guanti con orli in pizzo esprimevano un disappunto abituale per la giovane, come un’antica tradizione. Ricambiò quelle attenzioni non richieste non donando loro la soddisfazione nemmeno d'un suo sguardo, iniziando poi a scendere le scale che conducevano alla sala da ballo. Subito notò come le altre erano già in pista con i loro sorrisi più finti sul volto e le mani strette in quelle dei più nobiluomini della notte mascherati,mentre ella non appena ebbe adocchiato un tavolo in un angolino s’era confinata lì in cerca di pace eterna,preferiva morire che assistere ad un'altra serata simile,ma le danze erano cominciate e le regole erano chiare,doveva restare lì.
Aveva appena iniziato a sfogliare le prime pagine quando la coda dell'occhio della ragazza sembrava esser stata catturata da una presenza statica di fronte a lei,ignorò la figura sperando se ne andasse lasciandola indisturbata, ma di darle tregua quella sera non avevano proprio intenzione.
“Sono degno,forse,d’un ballo con voi?” La silouhette di quell'alta figura s'animò d'una persuasiva voce maschile facendole perdere il segno sulla carta e quasi spaventandola,in tutti i maestosi balli che erano stati organizzati lì nessuno le aveva mai chiesto di danzare con lei,non che le mportasse davvero ma non poté che sospettare di quell’invito improvviso. Sollevò lo sguardo dal libro,ancora aperto fra le mani,volgendolo verso lo sconosciuto,ma anche con la maschera era riuscita a riconoscere il vero volto del ragazzo che le porgeva la mano,non vi era inganno che riuscisse a soggiogarla,la giovane scopriva sempre chi vi era sotto la maschera. Allorché seppur forse un’impresa ardua,nei lineamenti nascosti dello straniero riconobbe presto Thomas Lyordiff,il primogenito dell’importante famiglia nobiliare e soprattutto il giovane vampiro più amato,cercato e corteggiato da tutte le dame,non di meno che una delle persone ch’ella meno sopportava alla vista.
Nonostante quell’incontro la rendesse incredula,ora,quel finto gentiluomo ricercato da tutte meno che da lei,dall'altezza notevole,la muscolatura slanciata,le ciocche corvine che incorniciavano le iridi rosse e la carnagiona pallida, era proprio lì,in attesa d'una sua risposta.
“No Thomas”Declinò il cortese invito con fare seccato la ragazza dalla scarsa pazienza.
“Con voi non vi è maschera che tenga,non è vero? Cosa mi ha tradito?… Voi già sapete chi sono eppure io non vi avevo mai notata prima d’ora…” Confessò il gentiluomo con ilarità d’animo,ma la giovane non prestò alcuna attenzione a quelle parole riponendo gli occhi sulle pagine,sperando nuovamente ch'egli semplicemente l'abbandonasse.
“Cosa leggete?” Chiese con curiosità invadente il ragazzo sedendo d’improvviso accanto ad ella che prontamente allontanò il libro dalle grinfie del vampiro, iniziando ad osservarlo con sempre più diffidenza,che intenzioni aveva? Tormentarla tutta la serata finché non le avesse concesso un ballo? Aveva decisamente sbagliato persona,chiunque la conoscesse sapeva che la sua fama da testarda la precedeva ad ogni suo passo.
“Nulla a cui voi possiate aspirare.” Rispose infastidita.
“Voi mi offendete,ho una gran cultura…”Replicò il giovane ottenendo dalla ragazza come risposta solo uno spostarsi da lì,con visibile esasperazione in volto,dirigendosi verso il giardino reale.
“Dove va così di fretta?”Le domandò seguendola,ma all'udire di quelle parole y/n affrettò solo il passo temendo potesse avvicinarsi.
“Come mai così diffidente?” Le chiese ancora palesandosi davanti,a pochi centimetri dal suo volto, bloccandole ogni via d'uscità in quel labirinto di siepi. Lo squadrò confusa di come quel trucco gli fosse riuscito e sempre meno fiduciosa si allontanò rapidamente dal suo corpo.
“Non sono abituata alla sincerità altrui." Rispose istivamente la ragazza, scrutandolo da lontano nell'oscurità del giardino dove ora erano soli.
"Per voi è necessaria una completa fiducia nel parter per accettare un ballo?" Le fece notare con sarcasmo il giovane che lentamente si riavvicinava a lei.
"No ma quando chi non sa accettare la mia risposta mi segue di notte nei giardini reali potrete concedermi dei dubbi sulle vostre intenzioni,non credete?" Ribatté sagacemente ella con aria quasi sfidante.
"Legge molto ma nessuno vi ha insegnato a non rispondere ad una domanda con un'altra domanda?" La incastrò il vampiro dall'espressione furba.
"Non ho più tempo da regalarle" Replicò dandogli poi le spalle in modo imprevedibile, sfuggendo dalla ragnatela ch'egli le stava tessendo intorno parola dopo parola.
"Mi permetta almeno di conoscere il volto della donna dall'animo più crudele ch'io abbia mai incontrato..." Insistette prendendosi gioco di lei,trattenendola per un polso.
La giovane si voltò con i nervi a fior di pelle.
"Alla gente piena di sé come voi basta il proprio di viso." Rispose contenendosi la ragazza,opponendo resistenza alla presa che il nobiluomo aveva ancora sul suo polso.
"Voi cederete. Cederete le vostre difese con me e cadrete nella mia ragnatela." Cercò di persuaderla e quasi costringerla Thomas,come a predirle un inevitabile profezia difronte alla quale avrebbe solo dovuto arrendersi e accettare il suo destino.
"Vi illudete,non sono una delle tante ragazze che vi divertite a rifiutare." Gli tenne testa la dama dall'intenso temperamento.
"Ma lo sarete." Concluse con quelle parole il discorso,lasciando la presa sulla ragazza che non perse occasione per scappare da quella pesante atmosfera.
L'indomani ancora travolta dall'accaduto non riusciva a lasciar andare la rabbia che aveva accumulato la sera precedente,ed era inutile leggere,dilettarsi con il piano o dedicarsi ad una qualsiasi arte,distrarsi non toglieva il ricordo dell'espressione di dominio del ragazzo dalla sua mente e facendo un profondo respiro si rassegnò,decidendosi poi a lasciare la camera ancora alla ricerca della pace che da ieri sperava d'ottenere.
"AAh"Gridò spontaneamente cadendo sulle scale,ma dove aveva la testa? doveva solo scendere i gradini,e come se la bottà non le avesse inflitto abbastanza dolore non appena si guardò intorno di fronte vi era proprio l'odiato protagonista dei suoi ricordi.
"Vi ho trovata finalmente." Esordì il giovane avendo riconosciuto alcuni tratti della ragazza.
"Voi." Replicò sul punto di perdere le staffe la vampira.
"I pensieri su di me vi tormentano al punto da non notare gli scalini forse?" Ricambiò quel brusco saluto infierendo.
"No ma ammetto che la voglia di praticarle della pura violenza fisica potrebbe essermi saltata in mente un paio di volte." Continuò il discorso la giovane afferando la mano ch'egli le porgeva per rialzarsi.
"Quindi confessate d'avervi tormentato l'animo?"Insistette con prontezza l'avversario.
"Vi prego. Risparmiatemi queste mere conversazioni." Replicò ella dall'aria disgustata una volta dopo esser tornata in piedi.
"Dovreste supplicarmi più spesso sà?"Controbattè ostinato ad una sua vincita il ragazzo.
"Si può sapere per quale motivo vi aggirate per casa mia questa mattina?" Domandò la dama con sincera perplessità in volto.
"Non mi ascoltate forse? Vi ho insegnato ieri a non rispondere mai ad una domanda con un'altra domanda." Le rinfacciò egli acquisendo punti in quel duello verbale.
"Rispondete."Ordinò la ragazza con estrema serietà.
"Se proprio mi pregate,volentieri. Vedete ieri avete perso un fermaglio per capelli e si da il caso che un ragazzo molto perspicace come me,avendolo precedentemente visto indosso ad una delle vostre sorelle,abbia riconosciuto che potesse appartenere solo alla vostra famiglia,così son venuto presto a cercare la legittima proprietaria per restituire l'oggetto e scoprire il volto di chi ha osato tenermi testa la scorsa notte." Espresse le sue volontà il Lyordiff fiero delle sue indagini.
"Oh ma per favore. Di quale perspicacia vi vantate? Sul fermaglio vi è letteralmente il nostro stemma,a chi altro poteva appartenere?" Lo smascherò nuovamente con sempre meno pazienza y/n.
"Quante altre volte dovrete smascherarmi ancora prima di concedervi a me?" La sfidò di nuovo il giovane.
"Vi smaschererò fin quando vi saranno inganni. In ogni caso,con permesso,la ringrazio di avermi riportato il fermaglio di famiglia e ora mi congedo." Lo salutò con freddezza la ragazza,continuando a scendere le scale.
"Il vostro volto non basta,rivelatemi il vostro nome." Tentò egli di fermarla per un polso come quella notte.
Ella si voltò ancora una volta,ma prima che potesse replicare la lontana voce della madre la fermò da qualsiasi parola stesse per emettere.
"Y/n! Hai sistemato quelle carte sul tavolo?!" La chiamò la donna iraconda.
"Arrivo!" Rispose lei sospirando.
"Quindi questo è il vostro nome...ma voi non sembrate una domestica,con tutto il rispetto." Confessò il ragazzo perplesso.
"Perché non lo sono,ci sono molte cose che non sapete di me." Lo abbandonò con queste ultime parole proseguendo verso la sua tutrice.
#vampires#vampire#vampirism#vampiric#bram stocker's dracula#dracula posting#x reader#x fem reader#enemies to lovers#fantasy#wattpad italia#one shot#scenarios#headcanons
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Quello di cui non parli mai
"Registriamo?"
Mi chiede Fabrizio mentre sistema le telecamere in diversi punti della cucina di casa sua, bella ordinata, e pronta per essere usata...ma non per preparare qualche piatto.
"Certo, va bene"
Non mi convincerò mai al 100% però.
Fare l'amore con lui è bello, ma non penso questa sia la cosa migliore da fare per crearsi una strada.
Sono sempre stato molto timido e riservato, ma conoscendomi da più di 30 anni so bene che una volta eccitato sono completamente in un altro mondo, capace di fare di tutto, perdendo tutto il pudore che il mio "bel faccino" può darmi.
Sapevo che non sarebbe mai stata una buona idea essere amico di un ragazzo amante del sesso.
Mi ha praticamente trascinato, da amici a migliori amici, da migliori amici a scopamici, da scopamici a porno attori.
"Come al solito lasciatè annà"dice accarezzandomi il viso dolcemente e lasciandomi un bacio sulle labbra.
"Nun ce pensà alle telecamere"
"Va bene Fab.."
"Sei 'na favola stasera bello mio".
Mi sorride e lascia un altro bacio accarezzando e spettinando i miei poveri ricci.
"Vatte a preparà va"
Metto i vestiti che mi aveva prestato Fabrizio, che secondo lui, per registrare, erano più "adeguati".
Intanto lui inizia ad accendere tutte le telecamere e a sistemare il suo cellulare sul piano di lavoro come "telecamera mobile".
Era abbastanza esperto in queste cose, in effetti era sia attore, sia montatore, sia regista di tutto.
Dopo avermi spiegato il tutto, mi posiziono seduto sul tavolo mentre guardo Fabrizio avvicinarsi lentamente a me, iniziandomi ad accarezzare le cosce, a mia volta apro le gambe per fargli più spazio, e fare si che si mettesse più a stretto contatto con me.
Gli prendo il viso e inizio a baciarlo.
Poteva sembrare un bacio molto casto, poi lentamente la passione aumenta sempre di più e l'adrenalina cresce nei corpi di entrambi, fino a quando Fabrizio non inizia con foga a muovere la lingua all'interno della mi bocca, lasciandomi continuare dolcemente mentre gli accarezzo i fianchi da sotto il tessuto della camicia nera che indossava.
Gli sbottono quest'ultima e inizio a lasciargli baci umidi sul collo lentamente, a mordergli quella pelle sensibile e a succhiarla fino a creare diverse forme di colore violaceo.
So bene che in questo momento è tutto "finto", ma Fabrizio è sempre stata una persona importante nella mia vita...non posso dire di non provare nulla per lui.
Non sono sicuro che quello che provo sia amore, so soltanto che una parte del mio cuore batte per lui.
Fabrizio mi distoglie dai miei pensieri tirandomi violentemente i capelli e catturando nuovamente le mie labbra tra i suoi denti.
Mi sbottona e toglie la camicia lasciandomi a petto scoperto davanti a lui.
I suoi occhi mi catturano completamente dentro di lui, che mi guarda mordendosi il labbro inferiore.
Riconosco quello sguardo.
Ha gli occhi pieni di voglia e un sorrisetto malizioso e perverso.
È sempre stato un mio punto debole.
A guardarlo con quell'espressione stampata sul volto sento il mio amichetto crescere dentro i miei pantaloni.
Troppo vestiti ancora.
Sembra quasi che la camicia che Fabrizio indossa comincia a stargli stretta, e sicuramente voglio che lui stia comodo.
Piano piano cominciò ad aprire i piccoli bottoni perlati, baciando il collo del mio bel ragazzo.
Ho voglia di sentire la sua erezione contro la mia, allora prendo a far scontrare i nostri bacini, strusciando il mio sul suo, e nel fare questo mi lascio andare a un sospiro pesante e fervido di eccitazione.
"C'ha voja de giocà?"
"Non sai quanto"
Dopo diversi baci gli passo una mano sopra la sua erezione già gonfia il giusto, gli sbottono i jeans e infilo una mano nei boxer afferrandogli la lunghezza e scoprendola all'aria.
Inizio a masturbarlo, prima lentamente alla base, poi sempre più velocemente avvicinandomi al prepuzio.
Fabrizio chiude gli occhi e schiude la bocca lasciando le labbra leggermente aperte, emette versi gutturali, e io a questa vista non posso fare a meno che scendere dal tavolo su cui ero seduto e abbassarmi desideroso verso il suo pene.
Apro la bocca e inizio a leccargli tutta la lunghezza, in modo molto lento, per vederlo morire dal desiderio.
Continuo così fino a quando Fabrizio non mi prende la testa con la sua mano e mi spinge guidandomi nei movimenti, quindi mi decido a prenderlo in bocca.
A quel punto il Moro prende il cellulare che aveva lì vicino, e cliccando su REC mi riprende dall'alto.
"Guarda negli occhi chi ci sta visualizzando"
Questa è solo una delle tecniche che mi sono state spiegate da Fabrizio, per rendere il tutto più eccitante.
Ascolto il suo ordine e punto lo sguardo all'obbiettivo, continuando a succhiare l'erezione di Fabrizio e mantenendo uno sguardo sicuro e deciso.
Non è da me lasciare le cose a metà, ma i nostri spettatori cosa penseranno nel vederlo venire per un pompino?
Dopo un momento indeterminabile decido di togliergli anche gli indumenti che gli rimanevano lasciandolo completamente nudo.
Era uno splendore.
Non ho idea di come un uomo potesse essere così bello, con dei lineamenti perfetti, i tatuaggi che lo coloravano e lo facevano illuminare, i capelli spettinati, e un fisico da paura.
Sembrava una vera e propria statua greca.
Il Moro fa lo stesso, mi ritrovo così nudo dinanzi a lui, che comincia ad accarezzarmi il corpo mentre le nostre lingue ricominciano a danzare.
Fabrizio, con la lunghezza totalmente contro la mia decide di vendicarsi, cominciando a farmi abituare a quanto mi toccherà tra poco.
Nessuno sa in realtà quanto io lo sia già, nessuno immagina quanti entrambi amiamo assaporarci.
Fabrizio mi penetra con un polpastrello, riprendendo il tutto attraverso la "telecamera mobile" , ed io non posso fare a meno di godere dal piacere.
Quando poi comincia a muovere il tocco il mio fiato prende ad essere più pesante, fino a trasformarsi in veri e propri orgasmi.
Nonostante la camera sono tranquillo, in fondo sto facendo l'amore con l'uomo che più amo al mondo.
Le nostre labbra sono nuovamente le une sulle altre, sento il suo fiato pesante sul naso, i ricci cominciano a sudarmi.
Guardo Fabrizio con uno sguardo ormai perso come se mi trovassi nel mio piccolo paradiso terrestre, lui.
Quel ragazzo mi faceva provare emozioni fortissime, mi sconvolgo sempre perché non smette mai di stupirmi, sia lui, sia le mie reazioni sotto ogni suo tocco, bacio, morso...
Dopo avermi abituato abbastanza con le sue dita finalmente si decide a toglierle dalla mia intimità, e con una pacca sul sedere mi fa girare, così finisco per donargli solo la vista del mio didietro.
Il Moro tiene saldamente impugnata la telecamera, pronta a riprendere il momento "clue" del video.
In qualche secondo lo sento arrivare dentro di me, i suoi movimenti sono lenti, non è ancora del tutto lì, col cellulare non perde alcun particolare.
Gli ansimi che riempiono la cucina si fanno sempre più forti e rumorosi quando sento il suo pene sbattere contro "il mio limite".
Le nostre voci si mescolano, ognuno urla il nome dell'altro quando arriviamo al culmine rilasciando il nostro seme.
Un attimo, uno sguardo.
Capisco davvero cosa voglio, capisco davvero cosa provo.
È strano come aver realizzato un "filmino erotico" possa farmi capire davvero con chi voglio condividere la mia eternità.
È strano come un uomo così strano possa avermi rapito così il cuore.
Lo vedo alzarsi, metter via tutto il superfluo.
In fondo, a me bastavano le sue braccia.
Mi sento al sicuro, protetto, a casa.
Alla fine l'amore è anche questo, sentirsi al riparo dalla realtà e chiudersi in delle braccia che sono solo la porta per un mondo diverso, superiore, che solo chi ct davvero all'amore può arrivarci.
E Fabrizio per me è questo, è il mio posto preferito.
"Bizio.."
Lui mi guarda, si limita a questo.
Porto le mie labbra sulle sue, che si schiudono in un sorriso.
Non posso chiedere di meglio.
Lo vedo sorridere, accarezzarmi il viso e fare il mio stesso movimento.
A volte i gesti dicono più di mille parole.
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ITA - Giorno Giovanna x Reader
Varcai con il solito fare annoiato l'ingresso del ristorante e fortunatamente Antonio, il titolare, non fece caso a me e al mio solito ritardo. Andai subito nello spogliatoio per indossare la divisa e venni raggiunta dalla mia collega Elena che, al contrario mio, alle dieci di mattina riusciva ad essere allegra come non mai.
"Buongiorno, T/N! Come andiamo oggi?" domandò armandosi dello spruzzino di disinfettante pronta ad iniziare le pulizie.
"Stanca. Come al solito, insomma." risposi sbadigliando.
"Ahah!" rise. "Oggi Antonio mi ha detto che avremo un ospite speciale! Sono super curiosa!"
"E chi sarebbe?"
"Non ne ho idea! Ma dice che è una persona molto stimata da queste parti!"
"Fantastico...Cercherò di evitare di fare figuracce oggi." sbuffai finendo di abbottonarmi la camicia.
"Sarai fantastica come sempre! Non preoccuparti!" concluse la ragazza uscendo dallo spogliatoio.
Sospirai per l'ennesima volta di quella mattina, mi legai i capelli e dopo essermi data un ultima occhiata allo specchio uscii dallo spogliatoio.
Il servizio iniziò nel più normale dei modi. Parecchi lavoratori in pausa pranzo frequentavano quel ristorante ma noi ragazze dello staff eravamo più che abituate e riuscivamo a rispondere con ironia alle loro battute poco piacevoli. Passarono le ore senza che ce ne accorgessimo correndo per la sala e destreggiandoci tra i piatti sporchi e la cucina sotto l'occhio vigile del titolare che, come suo solito, non aveva intenzione di spostarsi dalla cassa per darci una mano nemmeno nei momenti critici.
Quando i primi commensali arrivati si alzarono per andarsene la sala iniziò a svuotarsi, così presi lo spruzzino e la pezza per andare a pulire i tavoli dopo che la mia collega li aveva prontamente sparecchiati.
Iniziai a lavare la superficie di due tavoli uniti vicino all'ingresso del ristorante quando udii il suono della campanella che annunciava l'ingresso di altri clienti e sospirai osservando l'orologio. Io volevo solo andarmene a casa.
"Oh salve, signor Giorno!" sentii parlare il titolare. "E benvenuto! Ho tenuto la sala libera tutta per lei."
"Mi chiami solo Giorno, la prego. Non c'era bisogno di tenere occupata la sala, mi dispiace se vi ho causato disagio." fu la pronta risposta del nuovo arrivato.
"Affatto, affatto!" rise Antonio.
Ero intenta a strofinare una macchia di qualcosa di indefinito collocata esattamente tra i due tavoli che si ostinava a non andare via quando lentamente voltai lo sguardo verso l'ingresso presa dalla curiosità; non avevo mai sentito quel nome nell'elenco dei clienti abituali e probabilmente era proprio lui l'ospite importante di quella giornata.
Mi aspettavo un uomo sulla trentina tremendamente elegante e invece scoprì che si trattava di un ragazzo, probabilmente della mia stessa età con lunghi capelli biondi legati in una specie di treccia.
Bloccai ogni mio movimento quando lo vidi, rapita dall'incredibile bellezza che trasudava e più lo osservavo parlare con il titolare e più facevo caso ai suoi lineamenti assurdamente perfetti. Cosa ci faceva un ragazzo come lui in un ristorante per lavoratori in pausa? Non riuscivo a spiegarmelo. Persa come ero nei miei pensieri non mi accorsi che con la mano che ancora stringeva la pezza stavo facendo peso nello spazio tra i due tavoli e persi l'equilibrio quando si aprirono allontanandosi tra loro facendomi cadere a terra rovinosamente.
"T/N!" mi chiamò il titolare.
Io mi alzai di scatto forzandomi di ignorare il forte dolore al ginocchio che aveva toccato per primo a terra assorbendo tutta la caduta.
"S-SI!" sbottai completamente rossa in viso ed iniziando a mettere a posto i tavoli. "M-Mi scusi tanto! Metto tutto a posto!"
Lanciai un'occhiata veloce verso il ragazzo e vidi che era pronto a fare un passo verso di me probabilmente per aiutarmi, ma il titolare lo bloccò.
"Prego, prego! Mi segua!" disse trascinando il ragazzo verso la saletta.
Com'era prevedibile, anche durante quella giornata mi ero fatta la mia tipica dose di pessime figure e non riuscii a fare a meno di sbuffare contrariata da me stessa.
Ormai pochi commensali sedevano nella sala principale e, dopo aver sistemato i tavoli, andai a controllare se avessero bisogno di qualcosa. Raccolsi i piatti sporchi e mentre mi dirigevo verso il lavapiatti venni bloccata da Antonio.
"Il signor Giorno lo servo io. Tu e la tua collega non osate entrare nella saletta." disse seccato per poi andarsene e tornare dal fantomatico ospite speciale con un finto sorriso sulle labbra.
Posai i piatti nel lavandino e tornai in sala quando venni bloccata nuovamente da Elena.
"Miseria, ma hai visto quanto è figo?!" sussurrò emozionata indicando la saletta.
"B-Beh..." biascicai sforzando un sorriso.
"Io purtroppo sono fidanzata, ma tu potresti farci un pensierino! Che ne dici?"
"EH?! Ma stai scherzando?" sbottai arrossendo completamente.
"Eddai! Io tengo impegnato Antonio con una qualche scusa e appena la cucina chiama tu porta al figone quello che ha ordinato!"
"N-Non so se..."
"Niente scuse!" disse spingendomi verso la sala per poi scendere le scale verso il magazzino. "Ci penso io!"
Sentivo che da lì a poco mi sarei esibita in un'altra discutibile figuraccia e sperai con tutto il cuore che Elena cambiasse idea o non riuscisse a trovare una buona motivazione per tenere lontano il titolare dalla sala.
Ripresi il mio lavoro come se nulla fosse e mentre gli ultimi commensali pagavano il conto, la mia collega si avvicinò al titolare sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
"Di nuovo quei maledetti topi?!" sbottò a voce contenuta Antonio dopo che i clienti furono usciti.
"Credo sia un emergenza! Hanno anche rosicchiato i sacchi della pasta!" continuò Elena interpretando la sua parte.
"Dannazione..." grugnì il titolare lanciandomi un'occhiata torva per poi rivolgersi a me. "Non fare idiozie, chiaro?"
"C-Certo!" asserii come un perfetto soldatino.
Sia Elena che Antonio scesero nel magazzino lasciando il locale praticamente vuoto dove la musica di sottofondo ne faceva da padrona. Pochi secondi dopo udii il campanello della cucina suonare e una forte ansia da prestazione mi rapì dal profondo.
Mi mossi a passi svelti e raccolsi il piatto dal pass stupendomi di quello che aveva ordinato il commensale speciale: una normalissima pasta all'amatriciana.
Presi un profondo respiro prima di varcare la saletta in cui sedeva il ragazzo intento a sfogliare un giornale per ingannare l'attesa ed alzò lo sguardo quando mi sentì entrare. Posò il quotidiano e mi osservò con un leggero sorriso sulle labbra mentre posavo il piatto davanti a lui.
"H-Ha bisogno di qualcos'altro?" domandai intimorita dalla sua perfezione.
"Dammi del tu, ti prego. Tranquilla comunque, sono a posto così." disse.
"V-Va bene..."
Detto ciò, mi voltai per tornare verso la cucina ma con mia sorpresa venni chiamata dal ragazzo facendomi posare nuovamente gli occhi su di lui.
"Si?" domandai con un sorriso sperando che il rossore delle mie guance si fosse attenuato in un qualche modo.
"Ti fa ancora male il ginocchio?"
Se il mio viso aveva assunto un colorito normale negli ultimi secondi, in quell'istante sentii il sangue affluire nuovamente nelle mie guance come un fiume in piena.
"N-No!" risi imbarazzata. "V-Va tutto bene, ti ringrazio per l'interessamento!"
"Nessun problema. Fammi sapere se ti fa ancora male." sorrise impugnando la forchetta.
"Certo!"
Uscii dalla sala e avrei voluto prendermi a schiaffi da sola: non mi era mai successo nulla del genere. Non riuscivo a capire perchè quel ragazzo mi colpisse così nel profondo e mi infastidiva quella sensazione. Allo stesso tempo, non riuscivo a smettere di domandarmi perchè fosse considerato tanto speciale. Mi chiedevo cosa avrebbe potuto fare un ragazzo così giovane per essere talmente ben visto dalla società al punto di far comportare il mio titolare come se avesse a che fare con un personaggio famoso.
Mi incuriosiva parecchio e passai più volte davanti alla saletta buttando l'occhio sul suo piatto e soprattutto su di lui, non riuscivo a farne a meno.
Quando concluse il pasto mi avvicinai timidamente per prendere il piatto ed i suoi bellissimi occhi si incrociarono nuovamente con i miei.
"Ti porto qualcos'altro?" domandai ricordandomi la sua richiesta di dargli del 'tu'.
"Uhm..." sospirò pensieroso. "Due caffè, grazie."
"Intendi un caffè doppio?" chiesi togliendo anche il pane dal tavolo.
"No, no." sorrise mostrandomi il numero due con le dita di una mano. "Proprio due caffè."
"Va bene! Arrivo subito."
Dopo aver posato il piatto sporco mi diressi verso la macchina del caffè iniziando a preparare la sua ordinazione quando sentii dei passi alle mie spalle.
"Allora, allora?!" domandò euforica Elena.
"Direi tutto bene. Non gli sono ancora caduta addosso, quindi direi che è un buon inizio." sospirai posando le tazzine di caffè sui piattini ed in seguito sul vassoio.
"Uhm? Due caffè?" chiese la ragazza.
"Lo so, è strano."
"In effetti...Ah, Antonio sarà impegnato ancora per un pò, ho dovuto mettere a soqquadro il magazzino per tenerlo impegnato, ma se riuscirai ad ottenere almeno il suo numero ne sarà valsa la pena!"
"Mi dispiace Elena. Non succederà." conclusi avviandomi verso la saletta con il vassoio tra le mani.
"Ma come...?!" la sentì sbottare in lontananza ma cercai di non darci peso.
Entrai nella stanza e quando Giorno mi vide sorrise nuovamente procurandomi l'ennesima fitta al cuore. Posai i due caffè sul tavolo insieme alla zuccheriera, ma prima che potessi allontanarmi, il ragazzo attirò la mia attenzione.
"Ehm, Ehm." disse schiarendosi la voce e tamburellando più volte le dita sul ripiano del tavolo davanti alle tazzine. "Prego, si sieda con me."
"Eh?! S-Sta scherzando...? N-Non credo di poter..." cercai di parlare arrossendo violentemente.
"Insisto." sorrise alzandosi e spostando la sedia libera per invitarmi a sedere. "Ci penserò io a risolvere ogni tipo di problema che ne conseguirà."
Rimasi interdetta per quella proposta e nella mia mente si susseguirono svariate conseguenze a quella scelta e nessuna di esse aveva un risvolto positivo.
"La prego." insistette con un leggero inchino.
Deglutii a vuoto e, come se le mie gambe fossero controllate da qualcun'altro, presi posto al tavolo davanti al ragazzo che si sedette nuovamente mostrandomi l'ennesimo sorriso ed incrociando le dita sotto al mento.
"Posso sapere il tuo nome?" domandò.
"T-T/N..."
"Bellissimo nome." disse facendomi un veloce occhiolino. "Quanto zucchero metti nel caffè, T/N?"
"D-Due bustine."
"Ahah, sei da cose dolci eh?" disse prendendo due bustine dalla zuccheriera e versandomele nel caffè.
Ero convinta di essere sul punto di morire dall'assurdità di quella scena troppo bella per essere vera. Non riuscivo a parlare nè tanto meno avevo idea di quanto avrei potuto spingermi in quella conversazione surreale. Cercai di rimanere calma e, dopo aver girato il caffè un paio di volte, mi portai la tazzina alle labbra tentando di convincermi che andasse tutto bene. Anche i nostri abiti, come tutta la situazione d'altronde, cozzavano sonoramente: io in una semplice divisa ormai sporca dal lungo servizio e lui splendido nel suo completo su misura.
"Ti metto a disagio?" domandò sorseggiando il caffè.
"N-No, è che...E' molto strano, tutto qui." risi imbarazzata. "Insomma, non mi succede spesso che un cliente mi inviti a bere un caffè durante il servizio nel ristorante in cui lavoro."
"Lo capisco e ti chiedo scusa per questo. Non volevo mancare di rispetto a te o ai tuoi impegni lavorativi."
"A-Affatto, anzi! M-Mi fa piacere..."
"Sul serio?" domandò alzando un sopracciglio e lanciandomi uno sguardo profondo come non ne avevo mai visti.
"S-Si..."
Il mio cuore era ormai sul punto di esplodere e non riuscivo a sbloccare la mia mente. Non avevo mai parlato così poco in una conversazione e mi stupii di me stessa, neanche mi riconoscevo. Il ragazzo parve accorgersi della mia insicurezza e si guardò intorno studiando l'ambiente.
"Le propongo un gioco." disse Giorno indicando la saliera. "Se le dicessi che posso trasformarla in qualunque cosa che lei desidera, ci crederebbe?"
Rimasi stranita da quella domanda e feci scorrere gli occhi più volte tra lui e la saliera che aveva appena preso tra le dita.
"Sei...Sei un prestigiatore o qualcosa di simile?" domandai con tutta l'ingenuità possibile.
Il ragazzo si lasciò sfuggire una lieve risata per poi posare gli occhi su di me continuando però a deliziarmi con quel suo angelico sorriso.
"Mi sfidi." disse. "Mi dica qualunque cosa di vivo le venga in mente ed io la farò apparire. Le chiedo però di non esagerare, quindi non mi chieda animali particolarmente grossi o alberi."
"Di vivo?" chiesi stranita dalla sua specificazione.
"Esattamente. E aggiungerei una piccola scommessa se a lei va bene."
"C-Cioè?"
"Se riuscirò a soddisfare la sua richiesta accetterà di uscire cena con me questa sera." annunciò con un lieve sorriso.
Il mio cuore mancò un battito.
Avrei accettato all'istante con o senza scommessa se non ci fosse stato il rischio di apparire strana o peggio, quindi rimasi interdetta ed immobile ad osservarlo.
"Sto scherzando, T/N." disse Giorno risvegliandomi dalla mia trance. "Non otterrò un appuntamento con te in questo modo, non credo sia corretto. Quindi nessuna scommessa, sfidami e basta."
In parte ne rimasi delusa, ma mi resi conto che in fondo era stato onesto da parte sua. Dire certe cose ad una sconosciuta sarebbe potuto apparire da malati.
"Qualunque cosa?" domandai.
"Qualunque cosa che abbia delle dimensioni ragionevoli." precisò Giorno accarezzando la saliera con un dito mentre era impegnato ad osservarmi.
Ci pensai su parecchio. Se dovevo metterlo in difficoltà doveva essere un qualcosa di particolare, non reperibile in una città tanto meno in un ristorante. Nel frattempo i suoi occhi non mi abbandonarono un istante studiando ogni angolo del mio viso come se fossi un'opera da contemplare, nessuno mi aveva mai guardato in quel modo.
"Ce l'ho." annunciai certa che non sarebbe riuscito a soddisfare la mia richiesta. "Un gerboa del deserto."
Il ragazzo sorrise nascondendo la saliera tra le mani.
"Oh, il topo delle piramidi. Che scelta singolare." disse riaprendo le mani poco dopo non accennando a spegnere quel suo dannato e bellissimo sorriso.
Rimasi di sasso. Tra le sue dita si trovava davvero un gerboa intento a sonnecchiare tranquillo come cullato dal calore delle sue mani. Scattai in piedi incredula e, non distogliendo gli occhi dall'animale, mi posizionai di fianco a Giorno. Quel topo sembrava tremendamente vero.
Nel frattempo lo sguardo del ragazzo si posò su di me mentre sorrideva soddisfatto della sua impresa.
"Sono animali prevalentemente notturni. E' normale che a quest'ora preferisca dormire." spiegò.
"C-Come hai fatto?" chiesi allibita. "C-Come facevi a sapere che..."
"Un prestigiatore non svela mai i suoi segreti."
Mi fece nuovamente l'occhiolino ed i miei occhi si incrociarono ai suoi dandomi modo di osservarlo ancora meglio da quella distanza ravvicinata. Ci guardammo per infiniti secondi e mi accorsi definitivamente di quanto quel ragazzo rasentasse davvero la perfezione.
"T/N, vieni qui per favore." mi chiamò il titolare con aria furiosa comparendo all'ingresso della sala.
"I-Io..." tentai di giustificarmi voltandomi verso di lui.
"E' colpa mia." disse Giorno alzandosi. "T/N ha svolto egregiamente il suo lavoro, non se la prenda con lei."
Antonio rimase interdetto e si portò una mano alla nuca mostrando imbarazzo mentre il ragazzo mi superò muovendosi verso l'uscita.
"C-Certo, certo signor Giorno. Non era per quello che..."
"Era tutto buonissimo." disse il ragazzo posandogli una mano sulla spalla per poi lanciarmi un'occhiata complice. "Soprattutto il caffè, a dir poco perfetto. Ne è valsa la pena di venire fino a qui per il meraviglioso servizio."
Giorno sparì oltre la porta seguito dal titolare che continuava a cercare di scusarsi per il suo atteggiamento ed io li seguii con il desiderio di salutare quel ragazzo così particolare che insistette per pagare il pranzo nonostante Antonio avesse tutte le intenzioni di offrirglielo.
Infine il ragazzo uscì dalla porta a vetro e lo vidi passare davanti ad uno dei finestroni. Solo allora si voltò vedendomi nascosta dietro all'angolo della cassa e, dopo avermi mostrato un altro sorriso, mi salutò con un lieve gesto della mano prima di andarsene definitivamente.
Mi sembrava di aver appena preso parte ad un sogno, ad un qualcosa di talmente assurdo che era impossibile qualificare come reale. In cuor mio speravo che l'avrei rivisto prima o poi, ma mi sarei anche stupita del contrario; sembravamo appartenere a due mondi diversi.
Sospirai provando uno strano tipo di malinconia, come se sentissi la mancanza di qualcosa che non era mai accaduto e tornai nella saletta a testa bassa per sparecchiare il tavolo di Giorno, l'ultimo della giornata.
Appena mi avvicinai notai qualcosa che prima non c'era. Sul tavolo, poggiata tra le due tazzine di caffè ormai vuote, si trovava una rosa bianca. Nel locale non avevamo mai avuto fiori del genere e la presi in mano osservandola con attenzione. Poco dopo notai che su alcuni petali spiccavano delle piccole righe scure che più studiavo e più avevano un senso, scoprendo infine che si trattavano di piccole parole incise.
Quando riuscii a comprenderne il senso mi ritrovai a sorridere come una ragazzina alle prese con la sua prima cotta e sentii il cuore stringersi in una piacevole stretta.
Era segnato il nome di un ristorante con indicata un'ora precisa, probabilmente riferita alla sera stessa come aveva annunciato nella sua finta scommessa. Mi domandai come avesse fatto a scrivere in maniera così precisa sui petali di una rosa ma mi limitai alla convinzione che quel ragazzo era davvero pieno di sorprese.
Trovai incredibile come in poche ore fossero successe delle cose così assurde, ma non riuscii a smettere di sorridere all'idea che la sera stessa avrei potuto rivedere quel ragazzo tanto bello quanto affascinante sorridermi davanti agli occhi.
#giorno#giorno giovanna#reader#ita#fanfic#jojo#jojo vento aureo#vento aureo#jojo part five#jojo part 5
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Una voce fuori campo
Estate 2017
A. non era abituato ad essere rifiutato.
Quella sera E. si era presentata alla sua festa molto tardi, perché era stata impegnata con lo studio; non sarebbe nemmeno andata se non fosse stato il fratello di A, che aveva organizzato la serata per riunire gli amici dopo il rientro di tutti dalle ferie. Per E. tornare in quella casa sarebbe stato pesantissimo, ma non voleva discussioni, quindi aveva accettato.
A. era rimasto per ore con una t shirt bianca, nonostante avesse già ospiti in casa, finché E. non aveva suonato. Solo pochi secondi prima si era andato a cambiare e aveva aperto la porta indossando una camicia elegante e un paio di pantaloni scuri. Per tutta la serata aveva cercato di ottenere le sue attenzioni, ma lei sembrava quasi scocciata. "Ti ho portato le sigarette" le aveva detto poi sorridendo, porgendole un pacchetto di kinder maxi. "Grazie" disse lei prendendone due "io ed I. andiamo in balcone" aggiunse poi. Lei e la sua amica I. avrebbero sicuramente parlato di lui, quindi A. fece finta di nulla e decise di non raggiungerle.
"Non posso più sopportare che mi tratti così, come una delle sue stupide conquiste. Mi ha mancato di rispetto tutta l'estate e adesso vuole fare il galante?". L'aria in balcone era fredda, ma E. era talmente nervosa da non percepirla.
"Secondo me si è reso conto di aver sbagliato, dagli un'altra possibilità"
"Sai benissimo cosa ha fatto. Per me è finita così, senza rancore, lo saluto e tutto, ma che non ci provi più con me. Ha chiuso"
"No, hai ragione" le disse I. "però mi spiace si sia complicato tutto, la serata è ancora lunga"
"Non per me, vado a casa" disse E., rientrando e chiudendo la porta del balcone.
Pochi minuti dopo E. era per le scale, con le chiavi dell'auto in mano e con lo stomaco sottosopra. Nel frattempo A., che l'aveva salutata poco prima trattenendo il nervoso, era in balcone e stava osservando i suoi movimenti verso il parcheggio, mentre tirava boccate interminabili alla sua sigaretta.
"Hai ripreso a fumare?" chiese I., che era rimasta fuori. Il viso di A. illuminato dal lieve chiarore della luce era bellissimo: aveva dei lineamenti perfetti, una bellezza greca, come piaceva a lei. Non se ne era mai accorta. Aveva passato tutta l'estate a dare consigli ad E., ma non aveva pensato a quanto la loro rottura potesse rivelarsi in realtà un'opportunità.
A. finì la sigaretta in brevissimo tempo: faceva boccate molto lunghe, come non fosse un piacere, bensì una punizione e non vedesse l'ora di finirla. "Sì ho ripreso, in questo periodo sono nervoso" aveva risposto, senza distogliere lo sguardo dalla figura di E., occhi fissi sul viale. Quando l'auto di E. ripartì, lui si voltò e disse "ma tanto l'ho quasi finita".
In quel momento F., il ragazzo di I., li raggiunse. "Amore va tutto bene? Sei in balcone da mezz'ora"
"Sì, stavo facendo due chiacchiere con A."
A. finì la sigaretta.
"Ah hai ripreso?" chiese F. girandosi verso di lui.
A. nemmeno rispose; stava osservando il mozzicone rimasto acceso, studiandone le forme, il colore, l'odore, tenendolo tra pollice e indice e facendo movimenti circolari. Sembrava completamente assorto nei suoi pensieri.
Tenendo sempre il filtro tra le mani, fissò I. negli occhi, poi si girò verso F. e rispose "Sì, ma tra poco smetto". A quel punto gettò il mozzicone ancora acceso dal balcone e rimase immobile ad osservarne la caduta. La cenere si spargeva senza uno schema stabilito, il filtro seguiva una rotta di atterraggio completamente storta, complice il vento, e il rischio di dare fuoco alla tenda dei vicini gli dava un senso di appagamento inarrestabile. "Tra poco finirà tutto, promesso" ripeté poi, fissando il vuoto.
F. ed I. si guardarono, non sapendo cosa dire, quindi nessuno dei due aprì bocca.
Ci furono dieci lunghi secondi di silenzio, che diventò quasi assordante. Poi A. si girò nuovamente verso la porta del balcone e disse: "Non porto mai a termine niente, non valgo un cazzo, tanto vale smettere anche di fumare". Rientrò in casa e per tutta la sera non rivolse più la parola a nessuno.
Anche F. ed I. rientrarono, consapevoli che quella storia non sarebbe finita lì.
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🌻💫 — 𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄 𝐠𝐞𝐫𝐭𝐞 𝐡𝐞𝐢𝐤𝐞 & 𝐭𝐫𝐢𝐬𝐭𝐚𝐧 ❪ ↷↷ mini role ❫ l a k e 18.01.2021 — #ravenfirerpg
Passioni molteplici animavano la fata che, nonostante apprezzasse temperature decisamente più miti, non si dava per vinta nel portarle avanti anche nelle stagioni più fredde. Apprezzava una passeggiata nel silenzio nel bosco, una camminata nella neve, ma doveva ammetterlo, non sapeva resistere ad una giornata sui pattini da ghiaccio. Ormai erano diventati i suoi migliori amici durante quelle vacanze natalizie, e non vi era giorno che non lo trascorresse in quella parte del lago ghiacciata. Pattinare era il modo migliore per svagarsi, a suo dire. Era dell'idea, infatti, che costringersi a tenersi in equilibrio costante fosse il modo migliore per evitare di perdersi in dilemmi interiori, drammi che a dire il vero non avrebbero portato ad alcunché. Sentiva l'aria fredda diventare sempre più pungente, sempre più rigida, ma fu quando vide la figura scura di un uomo che Gerte si bloccò per mettere a fuoco chi fosse. Si ritrovò ad assottigliare lo sguardo e solo quando riconobbe quella zazzera di capelli che avrebbe riconosciuto ovunque, la fata cominciò a pattinare più velocemente per andargli incontro.
« Lo sai che per una volta potrei essere più brava di te qui sopra? Posa il tuo taccuino o qualunque cosa sia quello che tieni in mano e goditi gli ultimi giorni di questa meraviglia... »
Tristan Macleod
Mantenni il capo chino sulla pagina aperta e picchiettai il tappo della penna ai suoi margini. L'idea di passare inosservato era andata in fumo e, dovetti ammettere, che interrompere la fata mi dispiacque non poco: non avevo alzato lo sguardo per vederla pattinare, ma ero certo che avesse un che di magico e fiabesco. « E’ una sfida, Gerte? » Chiesi con fare curioso, il soffio di una risata tra le labbra e l’accenno di un sorriso. Non ero serio, ma l’idea di sfidarla mi divertì in modo sincero: ovviamente a pesca, e non sopra quegli arnesi demoniaci. Questo era fin troppo chiaro per entrambi, sebbene non servisse avere poteri divini o qualche “dono” per capire dove la fata avesse intenzione di andare a parare con il suo intervento. « Camminerò sopra quel lago solo e soltanto dopo che quel ghiaccio avrà levato le tende » A scanso di equivoci e terribili incomprensioni mi premurai di scandire il più possibile ogni mia parola e tenere un tono autoritario per evidenziare l'evidente dissidio di opinioni, tenendo conto di non apparire troppo duro ai suoi occhi: apprezzavo la voglia della fata di condividere quel momento con me, ma davvero… ero già morto una volta. Chiarito il mio punto di vista, ignorai il suo /consiglio/, mi sedetti a terra e ripresi a scrivere da dove ero stato interrotto, solo dopo averla ripresa con fare saccente. « E' un diario » Dovevo essere stato odioso.
Gerte Heike A. Ivanova
Era rimasta in attesa la fata, una qualunque espressione facciale sarebbe stata meglio di nulla, ma quando poté osservare il di lui volto aprirsi e udire anche quella risposta, non riuscì a trattenere un sorriso. Un volto segnato dal tempo che era passato, eppure che manteneva intatti quei lineamenti che avrebbero potuto essere disegnati per quanto perfetti. Eccolo Tristan. « Chi può dirlo... » Commentò la fata tra un sorriso e una scrollata di spalle. Sentiva il bisogno di raccogliere quella sfida, di far sì che non fosse da sola nel mettersi in gioco, eppure dentro di lei sapeva che non sarebbe accaduto. Vi erano voluti anni a Gerte per riuscire a staccare Tristan da quel luogo, quel lago che li aveva visti compagni di confessioni per un tempo che appariva infinito. Dubitava, dunque, di riuscire a convincerlo così in rapido tempo. Si ritrovò così ad assottigliare lo sguardo, cocchi cerulei che avevano dimenticato tutto ciò che circondava loro e che ora si erano concentrati sul suo interlocutore, in forma corporea questa volta, ma che dimostrava un timore che non aveva alcun senso di esistere, a suo dire. S'avvicinò maggiormente a lui, la distanza era ormai minima ma quel tanto che potesse rimanere in piedi ancora sul ghiaccio, si sporse poi al di là della staccionata che divideva parte di lago dedicata al pattinaggio ed lo osservò. Mostrava agli altri sempre un lato diverso quando non erano soli, prima la saccenteria, poi la testardaggine, eppure Tristan era diventato una costanza nella vita della fata. Si tenne in equilibrio, e si allungò mantenendo le braccia sotto il mento prima di appoggiarsi alla staccionata. Ci avrebbe impiegato poco tempo a superarla, ma vedere il fantasma innervosirsi era troppo divertente ai di lei occhi. « Non vorrei dire, ma non rischieresti nulla... Al massimo il tuo bel fondoschiena cade a terra. E come siamo scontrosi oggi... »
Tristan Macleod
« Siamo spiritose oggi, Gerte? » Mi affrettai a rimbeccarla aspro e lesto, ma divertito. Non avrei abboccato all'amo se era questo a cui puntavi, Gerte: avevo trovato un ottimo molo dove ancorarmi. Eppure, nonostante la mia presa di posizione iniziale, nulla mi impediva di partecipare ai giochi, gettare le mie esche e persuadere la mia preda; perché stavamo giocando, no? Chi abboccava prima alle richieste dell'altro perdeva e io volevo vincere, anche a costo di giocare sporco. « Il mio /bel/ fondo schiena ti ringrazia per il complimento, ma ti avvisa che è già a terra e non ha intenzione di alzarsi per ritrovarsi a terra contro la sua volontà. Piuttosto, aggiunge che si sente parecchio a suo agio qui » Inclinai la penna per indicare il terreno. Sguardo fisso tra le pieghe del foglio. « Scommetto che anche il tuo si sentirebbe a suo agio qui. C'è molto spazio e meno freddo » Round finito, carte scoperte. Era l'ora del Jolly « Inoltre, sarebbe un peccato se smettessi di scrivere ora: sto scrivendo di te » arcuai un sopracciglio con fare acuto e mantenni quello sguardo basso, chino sul diario. Dovetti sopprimere un sorriso.
Gerte Heike A. Ivanova
Il sorriso che sembrava aleggiare sulle di lei labbra divenne più ampio, nonostante dovette mantenersi in equilibrio in quella posizione. Sapeva fin dove spingersi con il fantasma, sapeva anche che il loro gioco si sarebbe di certo ritorto contro di loro, ma per la fata era impossibile resistere. Fece roteare gli occhi assumendo così un'espressione divertita, ma fu quando pronunciò quelle quattro parole che il suo sorriso scemò. Lentamente si tirò su con il busto, poggiò semplicemente le mani sulla staccionata e si focalizzò completamente su di lui. Beh, non che prima la sua attenzione fosse altrove. « Di me? » Domandò con sorpresa e al contempo curiosità. Gerte e Tristan condividevano una passione comune che li aveva portati a quel rapporto sincero nel corso degli anni, ma era pur vero che le loro opinioni a volte differivano. Con un movimento sinuoso, la Ivanova si accovacciò per passare sotto la staccionata e, con passo un poco instabile, andò a sedersi accanto al Macleod. Tenere i pattini da ghiaccio ai piedi non era una grande idea, doveva ammetterlo, ma la curiosità che governava l'animo della fata, la spingeva a compiere anche gesti inconsueti. « E cosa stai scrivendo? Sentiamo. Oltre a scrivere di quanto sono bella, simpatica, sexy e con una straordinaria verve. Sono curiosa... »
Tristan Macleod
Quando conosci la tua preda farla abboccare all'amo diventa un giochetto da ragazzi; certo, l'errore era dietro l'angolo e se non avessi tastato a dovere le acque, e atteso il momento giusto prima di tirare la lenza, la preda mi sarebbe scappata: ma non era questo il mio caso. Perché la mia preda sedeva accanto a me. C'erano dubbi? Ero certo delle mie capacità. Si dà il caso che fossi un pescatore eccellente: una nota positiva dell'essere morto era il tempo, potevo dedicare ai miei hobby tutto il tempo necessario non avendo necessità di mangiare o dormire. Ero migliorato parecchio negli ultimi mesi. « Oh, ma quanta modestia! » dissi a labbra strette e con la lingua fra i denti, sibilando, e seguito da una risatina beffarda: stavo ridendo delle sue affermazioni o della verità dei fatti? Probabilmente la seconda. Posai la penna a terra e chiusi il diario, porgendolo alla fata. Avevo mantenuto il capo chino fino ad allora per sicurezza e abitudine, ma a costo di rimetterci un occhio e un po' di sanità mentale, alzai lo sguardo e guardai la fata negli occhi, alzando un sopracciglio: moriva dalla curiosità. Non mi sarei perso la futura /scenetta/ per nulla al mondo. Mantenni una presa salda sul diario, pretendendo che la fata prestasse attenzione a me e alle mie parole prima di ricevere la /botta/; dovevo dar voce alle giuste premesse a favore della mia incolumità: « Non prendertela troppo, okay? » fui fastidiosamente mellifluo, come se il tono e il modulo della mia voce potessero alleggerire il peso delle mie colpe, e allentai la presa. Avevo vinto quel giochetto? Sì. Avevo giocato sporco? Sì. Me ne pentivo? No, non volevo camminare su quel ghiaccio e avevo fatto sedere Gerte a terra: jackpot! Non avevo scritto nulla di quella giornata, tanto meno della affabile fata, fatta eccezione per il caffè bevuto stamani: sì, stavo scrivendo di quello.
Gerte Heike A. Ivanova
La curiosità che aveva spinto la fata ad avvicinarsi all'amico di sempre, l'aveva anche spinta a sedersi accanto a lui e credere così ad ogni cosa avrebbe potuto dire. Aveva mostrato certamente il proprio lato sbarazzino, il suo umorismo dilagante, ma non poteva non ammettere di essere realmente curiosa riguardo a che cosa avesse messo nero su bianco in quel dannato taccuino. Si ritrovò così ad inclinare parzialmente il capo prima di accettare il taccuino che il fantasma le stava porgendo in quel momento. Il suo sguardo cominciò a saettare dall'oggetto della sua curiosità al volto che tradiva un sorriso beffardo del suo proprietario, e quando si decise finalmente di aprirlo, eccola l'amara scoperta. Lo chiuse di scatto, un cipiglio si manifestò in mezzo alla sua fronte prima di gettare letteralmente il taccuino contro il fantasma. « Ah ah... Ti diverti con poco, Tristan? » Domandò senza realmente attendere una sua risposta. Cominciò poi a scuotere il capo, ad incrociare le braccia al petto mettendo quello che si soleva dire il muso, prima di scoppiare in una fragorosa risata. Si lasciò andare adagiandosi sull'erba fredda e portare le mani all'altezza dell'addome per la forza con cui stava ridendo. « Sei proprio scemo, lo sai? Dio, cosa darei adesso per un buon caffè, e dico sul serio... »
Tristan Macleod
Non dovetti nemmeno pensarci che d'istinto mi ero già messo sulla difensiva proteggendo il viso con le braccia: leggere le emozioni di qualcuno non mi era mai stato così utile da salvare il mio naso da morte certa. Il diario cadde con un severo tonfo sulle mie cosce, e senza far troppi complimenti alla tiratrice, ne approfittai per rimetterlo in saccoccia e riprendere quel che era rimasto fuori la borsa. Trattenni la mia risata a favore di quella della fata che risuonava dolce tra le fronde degli alberi e il fruscio del vento: sembravano suonare la medesima melodia; non era così assurdo pensarlo data la sua origine, no? Mi sarei sentito in colpa a spezzare quell'armonia di cui io stesso stavo godendo. « Sei un pesce lesso Gerte, ci caschi sempre » attesi che la fata si ristabilizzasse e mi alzai ripulendomi i pantaloni e porgendole la mano. « Ma nessuno vieta ai pesci lessi di togliersi quegli aggeggi infernali dai piedi e andare a prendersi un vero buon caffè » le feci l'occhiolino. Com'ero riuscito a persuaderla prima l'avrei fatto anche ora, ma con "vero" premio in palio per la mia preda e nessuna nuova sorpresa di cattivo gusto; meritava un riconoscimento per essersi dimostrata la solita ingenua di sempre e avermi regalato una vittoria schiacciate, e un buon caffè l'attendeva al bar di cui avevo scritto poco prima.
Gerte Heike A. Ivanova
Ingenuamente, ancora una volta, Gerte era caduta nella trappola dell'amico che non aspettava altro per farla alla fata. Era diventato così il loro rapporto, pregno di divertimento quando la situazione lo richiedeva, e carico di serietà quando invece affrontavano altri argomenti. Si limitò a scuotere il capo la giovane prima di tirarsi in piedi e sbattere i propri palmi sul fondoschiena che avvertiva anche un poco umido. « Quelli che tu chiami aggeggi infernali, sono in realtà molto divertenti se dessi loro una chance, sai? » Replicò scuotendo il capo e riprendendo a poco a poco un po' di serietà. Camminò con non poche difficoltà prima di mettere di nuovo i piedi su ghiaccio e volteggiare su stessa facendo una piroetta. « Non sai che ti perdi! Comunque, dai... Comincio perfino ad avere freddo, andiamo... Per farti perdonare, sarai tu ad offrire questa volta. » Gli strizzò così l'occhiolino prima di voltarsi e pattinare verso il chiostro dove avrebbe potuto togliere i pattini e riprendere così a camminare come un qualunque essere umano. Il bar non era nemmeno troppo lontano, e pregustarsi qualcosa di caldo, fu ciò che servì alla Ivanova per affrettarsi.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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🔮 ⋅ new role! ― #ravenfirerpg. hyo jae﹫daphne. market ; 051220, evening.
Hyo Jae riusciva ad essere metodico nel suo lavoro e negli hobbies, ma quando si parlava di impegni meno seri sembrava perdere del tutto le sue capacità organizzative; finiva per ridursi sempre all’ultimo nel fare gli acquisti, che si trattasse di addobbi per la casa o di ingredienti necessari a preparare i tipici dolci e piatti della tradizione natalizia, nel suo caso sia quella coreana che quella americana. Il Veggente non si stupiva nel vedere gli scaffali che cominciavano a svuotarsi e persone che vagavano tra le strette corsie, nel tentativo di accaparrarsi quel che era rimasto. Lui faceva parte di quella categoria, e tra un cestino strapieno e l’altro braccio occupato da tutte le confezioni che fosse capace di tenervi in equilibrio, si aggirava nella sezione dei dolciumi per accertarsi di non aver dimenticato nulla. Il giorno precedente aveva acquistato una casetta di pan di zenzero da assemblare, ma le caramelle presenti nel kit non sarebbero bastate a decorarla per bene, quindi acquistare qualche altro pacchetto non avrebbe fatto male a nessuno. A causa di un movimento mal calcolato, urtò una persona che non si era reso conto di avere alle spalle. Mortificato, subito tentò di scusarsi, sperando di non aver fatto alcun danno grave.
« Mi spiace tantissimo! Non l’avevo proprio vista.. mi sta capitando troppo spesso, ultimamente, so che è una gran scocciatura. »
Daphne Adamantine G. Shape
Aria natalizia, profumo di croccante e quel senso di felicità che si respirava in ogni dove sarebbero stati gli ingredienti perfetti per un Natale con i fiocchi, eppure la veggente sembrava vagare tra le corsie di quel supermercato. Osservava gli scaffali carichi di ogni ben di Dio, mentre le persone si accalcavano le une sulle altre per raccimolare la spesa che avrebbe di certo sfamato un reggimento. Sentiva ancora le parole di sua madre, che la spronava ad uscire, a riprendersi quella vita che valeva davvero la pena essere vissuta. Da dopo la festa di Halloween, e le inevitabili conseguenze subite, Daphne aveva trascorso qualche settimana in ospedale prima di rincasare con le mille accortezze dei medici che l'avevano curata. Aveva subito un intervento chirurgico all'addome, l'emorragia che aveva riportato era divenuta più estesa di quanto prospettassero, ma ora stava bene, o almeno era ciò che continuavano a ripeterle. Più lo dicevano, più si sentiva cadere senza possibilità di rialzarsi e attraversare quegli stupidi scaffali, sembrava la scelta più semplice. Sovraprensiero, tornò in sé quando qualcuno la urtò, e il suo tempo di reazione impiegò qualche istante in più del dovuto. Si ritrovò così a scuotere il capo prima di mettere a fuoco il volto del ragazzo davanti a sé. « Credo che questa volta sia colpa mia... Ero sovrapensiero. E ti prego, non darmi del lei... A ventun'anni ti proibisco di darmi del lei, tu non sei molto più vecchio di me, no? »
Hyo Jae Jang
« No, no, ma ti prego di non farci caso; ho usato i toni professionali senza rendermene conto, e so che possono fare sentire vecchie le altre persone, ma a volte la mia mente decide di rimanere in negozio anche quando io ho finito il mio turno di lavoro da un pezzo. » Normale amministrazione per il Veggente, così come per molte altre persone, anche se si poteva dire che questo non fosse un buon segno. Anche sotto le feste, in un momento dove l’attenzione veniva riversata per ovvie ragioni su tutt’altro, la sua mente finiva sempre per concentrarsi sui turni, le ore di lavoro e soprattutto lo stipendio, perché gli capitava spesso di sentire in colpa per le spese fatte nei periodi di festa, sebbene tutti lo facessero e non vi fosse nulla di male in ciò. Capì che quello non fosse il momento adatto per pensarci, dato che rifletterci su per un solo secondo di troppo l’avrebbe convinto a rimettere sugli scaffali tutto quel che si era deciso ad acquistare. Per evitare che quella tentazione aumentasse d’intensità, si decise a sistemare per bene ogni singolo articolo nel cartello, inclusi quelli che teneva tra le braccia, in tal modo non gli sarebbe stato possibile fare marcia indietro. In seguito, dato che non gli era venuto in mente di aprire nuovamente bocca, scelse di presentarsi, essendo ciò il minimo che potesse fare verso quella sconosciuta. Accennò un sorriso, ma evitò di porgerle la mano, altro gesto dettato dall’abitudine. « Mi chiamo Hyo Jae, comunque, piacere di conoscerti. Dubito di averti mai incontrata prima d’ora, me ne ricorderei.. anche tu alle prese con le spese frenetiche per salvare quel poco che è stato lasciato? »
Daphne Adamantine G. Shape
Quante volte Daphne aveva girato tra quegli scaffali con la lista della spesa della madre o con la semplice voglia di preparare qualcosa di buono, eppure mai una volta s'era sentita così tanto persa in vita sua come in quel momento. Era distratta, con la mente decisamente da un'altra parte ma era un accenno di sorriso quello che s'era affacciato sulle di lei labbra quando si scontrò con il giovane orientale. « Sono Daphne... Uhm, non credo, ultimamente diciamo che è il supermercato la meta più ambita. » Si sentiva tuttavia al sicuro a girare tra quelle corsie, immersa nei suoi pensieri ma comunque al sicuro. Il fatto che potesse cadere nuovamente nelle sue vecchie cattive abitudini era un qualcosa che non voleva nemmeno prendere in considerazione, ma un passo alla volta si sarebbe rialzata, o almeno così sperava. « Immagino che lavorare sotto le feste sia deleterio... In qualsiasi campo. Sembra che ogni persona sulla faccia della Terra venga governata dall'ansia e dall'agitazione quando si avvicina Natale, come se a dicembre potesse finire il mondo da un momento all'altro. Non sembra anche a te? »
Hyo Jae Jang
« Lo sembra anche a me, e purtroppo aggiungerei. Dovrebbe essere un periodo di quiete e positività, ma anche i clienti spesso diventano meno tolleranti e pazienti, perché tutti vanno di fretta e si aspettano che i lavoratori gestiscano tutto in un batter d’occhio. » Capitava di rado che Hyo Jae arrivasse a lamentarsi dei comportamenti che i clienti gli rivolgessero; se era arrivato a tal punto, significava che l’irritazione l’avesse consumato per giorni e giorni senza che egli potesse parlarne con qualcuno. Soltanto dopo averlo fatto, si rese conto che fosse sbagliato dare noia a quella ragazza con le sue proteste, perché l’argomento di discussione rientrava tra i meno gradevoli a cui potesse pensare. Decidendo di non voler rovinare l’atmosfera con quelle sue considerazioni negative, volle parlare d’altro, e proprio a tal proposito le pose le prime due domande che gl’erano venute in mente. « Tu come hai deciso che passerai il Natale? Qualche programma particolare? » Nel mentre che attendeva una sua risposta, decise di riordinare tutti quei sacchetti e confezioni che aveva gettato nel carrello senza pensarci, e che si rischiavano di rovinare l’uno col peso dell’altro.
Daphne Adamantine G. Shape
L'agitazione e la frenesia che sembravano aleggiare tutto attorno a lei non aveva coinvolto anche il giovane dai lineamenti orientali che ora appariva ancor più tranquillo. Invidiava quel tratto del suo carattere, come se nulla potesse scalfirlo in qualche modo. Osservava gli scaffali ancora parzialmente pieni prima di rivolgersi nuovamente a Hyo. « Nessun programma in particolare a dire il vero. » Commentò con una leggera scrollata di spalle. Dalla festa di Halloween tutto le appariva ovattato, cristallizzato nel tempo e la voglia di festeggiare, beh non era esattamente in cima ai suoi pensieri. Osservò poi il ragazzo mettere a posto come se non riuscisse a meno di farlo. Tenere le mani impegnate era così semplice, così comune, un fatto che rendeva la veggente ancor più comprensiva. « Tu invece? Non dirmi che devi lavorare... Questo posto prima o poi deve fare qualche giorno di chiusura, no? Anche voi avete bisogno di una pausa... »
Hyo Jae Jang
Per un istante l’aveva osservata come se non si fosse aspettato di ricevere di rimando la stessa domanda che lui le aveva posto; la verità era che, benché a Natale mancasse poco, Hyo Jae non si fosse preoccupato di trovare una maniera vera e propria per passare quei giorni di festa. Gli era venuto spontaneo dare per scontato di passarlo in famiglia, con la tipica sequenza delle feste passate a casa dei suoi genitori: pranzo e cena, nel mezzo si alternavano i giochi di società e i momenti di zapping che terminavano con l’addormentarsi in poltrona, agevolati anche dallo stomaco pieno. Scrollò le spalle a sua volta, prima di replicare: « Come ogni anno, saremo tutti riuniti a casa dei miei genitori. Niente di entusiasmante, ma come prospettiva non è neanche spiacevole. Per strafare penso aspetterò a Natale dell’anno prossimo, credo. » Facendo una breve pausa, si trovò a riflettere sulle ultime parole che lei aveva pronunciato, rendendosi conto di averle involontariamente dato un’idea sbagliata di sé, facendole intendere che lavorasse proprio lì al market, anziché alla Patisserie. Ormai, ed era persino strano da ammettere, dava per scontato che lo conoscessero come il commesso del piccolo negozio di dolciumi. « Questo posto? Ecco― io non lavoro qui, ma comunque spero che i commessi del market possano avere i loro meritatissimi giorni di pausa. E anche la Patisserie, dove sto io, chiuderà per ferie. Ci sei mai stata? So che potrei sembrare di parte, per ovvie ragioni, ma è un posto fantastico. »
Daphne Adamantine G. Shape
In qualche modo Daphne aveva creduto che l'uomo lavorasse proprio all'interno del supermercato, ma solo quando precisò quel fatto la veggente si sentì decisamente in difetto. Scostò immediatamente lo sguardo prima di ridacchiare nervosamente. « Perdonami, avevo capito che lavorassi qui... Direi che ho fatto bellamente, anche questa volta, la mia gaffe. » Si portò dietro l'orecchio un paio di ciocche di capelli, come se fosse un tic nervoso ogni volta che si sentisse in difetto e solamente dopo qualche istante si rese conto che il giovane l'aveva già incontrato altre volte. Si ritrovò così a fare un semplice cenno del capo, come se dovesse annuire ad una qualche affermazione, prima di rispondere. « Ecco dove ci siamo già visti... Sono decisamente una fan accanita di muffin e ciambelle. E' decisamente un posto fantastico, ogni volta che devo decidere mi sento sempre così in colpa ahhaha... Credo che non potrei mai lavorare lì dentro. » Commentò ritrovando per un momento quella spensieratezza che tanto agognava da giorni e giorni. Era semplicemente grazie ad uno sconosciuto — che tanto sconosciuto non era, ma quelli erano dettagli — se per la prima volta dopo tempo aveva riso per il gusto di ridere. « Diventerei davvero obesa. Ma passerà sicuramente nei prossimi giorni, ora è meglio che vada, prima o poi passerà qualcuno e mi dirà davvero se ho finito di aggirarmi tra questi scaffali... Ci vediamo! »
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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[ Joseph & Winter_ #Ravenfirerpg _ #Estrattorole Festa di Beneficenza #flashback ]
𝑱𝒐𝒔𝒆𝒑𝒉 : * Quando si trattava di immischiarsi fra i suoi nemici e serpeggiare nelle loro case, condividere le stesse brocche, Joseph era sempre stato pronto, non aveva mai esitato a fare diversamente. Ed eccolo, a notte inoltrata, con l’ennesimo bicchiere d’alcol tra le mani, si, l’ennesimo perché il Borrison quella sera si era spinto un po’ oltre eppure conosceva bene i suoi limiti anche se li amava perché li considerava estremamente perfetti. Un sorso, poi un altro e poi... Il sorriso comparve sul suo volto e facendo qualche passo verso una giovane, le sussurrò alle spalle: *
« Oggi i fotografi l’hanno tradita. »
𝑾𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓: Benché non fosse una persona dedita alla beneficenza, Winter era tuttavia molto interessata quando si parlava di eventi, che fossero semplici party o eventi in grande. Sembrava che ogni persona presente fosse lì per un motivo ultimo, cercando di godersi nel frattempo quella serata. Un semplice drink in mano, qualche chiacchiera di circostanza e fin troppi sguardi che osservavano quell'abito incredibile che aveva scelto per l'occasione. Osservava con circospezione ciò che la circondava, annoiata perfino, ma furono quelle cinque parole a riscuoterla dal torpore che sembrava averla pervasa. Un sorriso furbo unito ad un brivido aleggiò sulle di lei labbra.
« Ah sì? E mi dica, con qualcuno di migliore? »
Civettuola fu, mentre le di lei parole furono a fior di labbra mentre osservava distrattamente davanti sé. Avrebbe potuto osservare qualunque cosa, ma quella voce era più che suadente.
𝑱𝒐𝒔𝒆𝒑𝒉 : * A Joseph della beneficenza non importava minimamente, d’altra parte egli non aveva conosciuto neppure il senso della parola misericordia, figurarsi “beneficenza”. L’unica beneficenza che conosceva, infatti, era quello di uccidere. Sì, perché la morte non poteva che essere un atto di benevolenza verso l’altro. Egli soltanto si meritava di vivere e di essere il vero King di Ravenfire. Fu con quella disinvoltura quasi regale, quasi superba, che si avvicinò alla figura femminile che non era nient’altro che Winter. Non avrebbe mai potuto dimenticarla, era passato relativamente poco dal loro primo incontro. La reazione della giovane provocò un sorriso sul volto del giovane uomo che, a quel punto, fece un passo in avanti per mettersi al suo fianco ed incontrare i suoi occhi. Lo sguardo saldo come quella sottile ironia sempre pronta a riemergere. *
« Con l’auto. Con i Fitzgerarld. Con molti. Hanno ritratto anche me in una loro foto. Penso che tutto questo sia vano... il loro lavoro intendo. »
* Vi fu una pausa, una pausa che però si interruppe quasi nell’immediato. *
« Immortalare non sembra essere un’arte stasera. »
𝑾𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓: Ogni terminazione nervosa della giovane era sull'attenti. La di lui presenza si sentiva in ogni dove e la Lindholm sembrava una presa in attesa della mossa successiva del proprio predatore. Attendeva con trepidazione la sua replica, come se ne dipendesse perfino la sua intera esistenza prima di ampliare quel sorriso furbo che era appena comparso.
« E' un semplice desiderio di catturare un momento infimo. »
Commentò mentre ritrovò l'uomo accanto a sé. Si ritrovò così ad alzare lo sguardo, incontrare i suoi gelidi mentre il timore misto a fascino faceva sempre più strada in lei. Esattamente come accadeva con gli animali, anche la fata non poteva non dire di non essere affascinata da cotale potere insito in lui.
« Arte è assaporare un modo diverso ciò che ci circonda, è interpretare un enigma agli occhi spettatori, definire perfino un modo interpretare ciò che osserviamo ed infine immortalare l'istante di un momento. Eppure vorrei vedere una sua foto, nonostante non potrebbe mai essere come dal vivo... »
𝑱𝒐𝒔𝒆𝒑𝒉: * Il suo essere dooddrear condizionava non poco le sue relazioni con gli altri, perché spesso le persone con cui parlava avvertivano brividi a lui visibili che lo spingevano inevitabilmente alla caccia di tormenti. Il fare civettuolo della giovane che in quel momento gli era di fianco lo incuriosiva, ma a tratti sembrava perfino richiamare a sé la sua brutalità, la percepiva come una giovane preda in attesa. Tutto sembrava invitante eppure l’alcol sbiadiva di tanto in tanto dei particolari per far in modo che il suo cervello si focalizzasse su altri. *
« I momenti infimi non posso essere catturati. Rimangono tali e la fotografia non ha più valore. È come se volessero catturare prestazioni, potenza di un’auto.. ma esse sono solo effetti dell’assenza. Non si può fotografare l’assenza. »
* Commentò mentre quella propria riflessione gli risuonava in testa come una melodia appena accennata, come dei libri letti anni or sono. Quando gli occhi dei due si incontrarono, quelli gelidi del dooddrear non sguazzarono via, piuttosto rimasero lì, stabili, in quelli di lei, percependo un certo timore di cui decise di non nutrirsi. *
« Arte è espressione dei mille mondi che abbiamo dentro. L’Arte ci fa diventare re, regine, cavalieri, mendicanti, qualsiasi cosa noi vogliamo. Ma la domanda a questo punto è: chi vogliamo essere in quel momento di pura immobilità? Non ho molte foto come lei, signorina Winter. »
𝑾𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓: La giovane Lindholm non si sentiva minacciata od impaurita, piuttosto si sentiva attratta in un modo assolutamente sconosciuto. Spesso era uscita con ragazzi più grandi, qualcuno era anche poco raccomandabile, eppure non avrebbe mai detto di sentirsi in pericolo. Era come osservare qualcosa di proibito, qualcuno da osservare da lontano ma invece era lì, esattamente di fronte a quelle iridi che avrebbero potuto scavarle dentro in un battito di ciglia. Era immersa in quegli occhi da cui avrebbe dovuto fuggire, ma che la spinse, ancora una volta, a rimanere ferma, ferrea nella decisione di non allontanarsi nemmeno per un istante.
« Sono certa che lei voglia essere un re, non sarà mai un mendicante... »
L'angolo sinistro delle labbra inevitabilmente s'alzò in una sorriso accattivante, ma era il concetto di quel discorso ad aver acceso ulteriormente la sua curiosità. Winter aveva trascorso una vita a sentirsi inadeguata, come se quella condizione fosse il peggiore dei difetti, ma era stata il suo modo di pensare fuori dagli schemi che non l'aveva ancora fatta impazzire.
« Chi e dove vogliamo essere... E per la prima volta, sono dove voglio essere. Ed è un peccato che non abbia foto, Joseph... Paura di far intravedere qualcosa di troppo? »
𝑱𝒐𝒔𝒆𝒑𝒉: * Gli occhi glaciali del giovane Borrison si posarono ancora una volta su quella ragazza che non sembrava minimamente impaurita dall'espressione di quel volto a dir poco angelico. Angelico. Avrebbe dovuto comprendere qualcosa da quei lineamenti così sottili, così eleganti ed invece quegli occhi riuscivano a leggervi soltanto una bellezza smodata, una di quelle bellezze che doveva essere assolutamente ritratta e mai dimenticata. A pensarci bene, il dooddrear avrebbe potuto scrivere un'operetta teatrale ispirandosi a lei, a quelle parole così diversamente intense dalle sue. Nonostante la voglia di lui di scrivere qualcosa, egli restava immobile ad ammirare la diversità d'ella che l'incantava in un certo qual senso. Rimanevano liberi soltanto i suoi pensieri, pronti ad esplorare anche particolari ignoti della giovani, ma erano solo quelli a volerlo fare, perché in realtà il resto rimaneva immobile. L'angolo della bocca si sollevò in un mezzo sorriso. *
« Sarò anche mendicante, ma pur sempre un mendicante re. E lei chi vorrebbe essere? La vedo bene come regina, sa? »
* Giocava con le parole e con le intenzioni, d'altra parte era quello che i predatori facevano sempre. A differenza della ragazza probabilmente, Joseph aveva trascorso la sua intera vita a cavallo tra il sentirsi inferiore di tutti e il sentirsi il migliore, ma nel primo caso la faccenda si era risolta con un omicidio, nel secondo il sentirsi divinità non sarebbe mai scomparso. *
« E' una fortuna essere dove si vuole essere. Dovrebbe cogliere l'attimo. Carpe Diem e..voilà, la sua vita potrebbe spiccare il volo... »
* Improvvisamente il cellulare incominciò a vibrare e fu quasi inevitabile cercare di concludere il discorso. *
« La paura è una mia dote, non una mia nemica. Ora abbia pietà, ma devo rispondere a questo dannato telefono, Miss Carpe Diem.. »
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Chapter 21 - Louisiana State Police Troop B
Malcolm
Louisiana State Trooper: l’appuntamento con Ginevra è lì davanti. Malcolm è arrivato prevedibilmente in anticipo e sta aspettando la sua collaboratrice/amica/non lo sappiamo. E’ ben visibile vicino all’ingresso. A parte la macchina parcheggiata lì vicino, che ormai la donna conosce, è facilmente distinguibile come figura, col suo immancabile completo, oggi composto di giacca, panciotto e pantaloni grigi, una camicia bianca e una cravatta verde con una trama di sottilissime righe bianche a rete. Ed ovviamente la fedelissima moleskina nera e la penna in mano. Quando verrà raggiunto da Ginevra, esordirà con un educato: «Buon pomeriggio» che non dice di fretta, ma che comunque parla di una certa impazienza per quella ricerca che deve/devono compiere. «Grazie per avermi raggiunto.» aggiunge quindi e cerca, se Ginevra permette, di anticiparle almeno approssimativamente la situazione. «Giusto per farle capire in linea di massima la situazione prima di entrare, cercherò di ottenere dal capitano Hatchins il rapporto o almeno le giuste informazioni su un incidente avvenuto di recente su un’autostrada periferica. Tre vittime: Traven e Dena Jackson e la loro figlia Molly di sei anni. L’omicidio è una mia ipotesi che intendo verificare, per cui preferibilmente non ne farò menzione.» dichiara in modo estremamente serio, rivolto alla donna.
Ginevra
Arriva pedalando con la sua bicicletta nuova. Indossa un vestito verde con stampe geometriche rosse e gialle, che le arriva appena sopra il ginocchio. Le calze sono rosse. Ai piedi un paio di anfibi che di solito porta allacciati per metà, ma non oggi. Oggi li porta allacciati da scolaretto, perfetti. Sul vestito indossa una giacca di pelle chiara foderata nelle cui tasche tiene tutto il necessario. Salta giù dalla bicicletta mentre ancora sta frenando, ha visto una ringhiera perfetta per bloccarla e così si dedica a mettere la catena accovacciandosi di fianco al mezzo. Canticchia «Let me take you down 'cause I'm going to Strawberry Fields... Nothing is real ...and nothing to get hung about Strawberry Fields forever...». Quando si rialza, si guarda attorno brevemente con espressione tranquilla mentre raggiunge Malcolm che non è distante. «A lei Signor Barnes» risponde al suo saluto, aggiungerebbe altro, ma ... ascolta quindi annuisce corrugando appena la fronte «Una sua ipotesi basata.. su?» mentre con la mano gli fa ceno di precederlo.
Malcolm
Ha tempo di osservare per bene Ginevra, di compiacersi per gli anfibi allacciati come si deve – e l’accortezza che questo dettaglio comporta nei suoi riguardi - prima che lei lo raggiunga. Stavolta poco tempo per le formalità, il che non significa che non mantenga la solita impeccabile compostezza. Muove qualche passo, invitato dalla stessa Ginevra a precederla ma cerca di mantenersi al suo fianco: «Un misto di esperienza e di intuito. Le spiegherò appena usciti da qui.» deve sintetizzarla così, ma se Ginevra ha fiducia nelle qualità del giornalista questa giustificazione dovrebbe bastare. «Come vuole che la presenti, Miss Durand? Giornalista collaboratrice? Assistente personale?» le domanda, perché è la prima volta che si presenta con lei nel bel mezzo del lavoro, per cui ha bisogno di un’etichetta per motivare la sua compagnia. Comunque, questo dialogo avverrà già mentre si stanno introducendo nella centrale, dove Malcolm chiederà a chi di dovere se sia possibile vedere il capitano Hatchins.
Ginevra
Annuisce a Malcolm incamminandosi con lui, per ora quella risposta le va bene. Passa le mani sulla gonna a sistemarla da inesistenti pieghe «le piace la mia bicicletta?» e si, così dal nulla. Guarda il posto dove sono diretti mentre cammina e si rivolge a Malcolm «Mi presenti come preferisce, per me non ha importanza» si stringe appena nelle spalle «vendo libri» aggiunge e poi ancora «pensavo che non mi avrebbe cercata mai più», non semplicemente che non l'avrebbe cercata, ma proprio mai più, che è un tempo assai lungo. Serra un istante le labbra e fa un momento di silenzio «quindi ... tre vittime tra cui una bambina» annuisce a se stessa.
Lousiana State Police – Troop B, l’edificio si trova in periferia, per la precisione non siamo neanche più a New Orleans ma a Kenner, con pochissimi chilometri si abbandonano gli edifici decorati del French Quarter e la musica jazz in favore di casette a schiera dannatamente simili tra loro e musica country che esce da vecchie radio degli anni 70, siamo nel sud più profondo, quello dove è concesso girare con l’arma in fondina per i civili e dove i pickup vanno per la maggiore…
L’ingresso dell’edificio è aperto, una volta dentro il desk è sulla destra, un’agente donna un po’ grassottella e sulla trentina in divisa mastica un chewingum annoiata, stravaccata sulla sedia in attesa di qualcosa che renda la giornata meno monotona e noiosa, nel frattempo da una vecchia radio gracchiante arrivano le note di un motivetto piuttosto country a fare da sottofondo musicale. «Il Capitano Hatchins dice?» risponde con una vocetta sottile e profondamente annoiata «secondo piano, segue il corridoio e la stanza la trova a destra...» spiega «li sono le scale, lì l'ascensore...» indica con due occhiate rapide «a che proposito lo cercate?» chiede comunque, prima di lasciarli liberi di andare
Malcolm
Annuisce senza dire nulla riguardo alla bicicletta, ma appare comunque convinto. Sarà che ora ha altri pensieri per la testa, per chi lo conosce è palese come al momento la sua concentrazione sia portata al massimo a favore del lavoro. «Come desidera» conferma, visto che Ginevra gli lascia ampia libertà di scelta. Benché le rivolga un’occhiata più intensa quando lei fa quella considerazione, non commenta nulla e lascia cadere il discorso. Annuisce solo a proposito delle vittime per poi rivolgersi alla giovane agente che trova appena oltre l’ingresso. «Buongiorno.» saluta senza troppa enfasi, e Ginevra potrà notare come stringa le labbra in un fare più teso, così come anche la sua espressione in volto si fa più cupa. «Malcolm Barnes e Ginevra Durand, per il capitano Hatchins.» per ora introduce solo così, muovendosi con cautela e in maniera incredibilmente calcolata. Lo sguardo acuto assottigliato su quella figura annoiata. «Grazie» risponde con una glaciale cortesia, nel ricevere le giuste indicazioni. «Per via della famiglia Jackson» afferma sinteticamente, prima di salutarla in modo lapidario e avviarsi oltre. Si rivolge a Ginevra, domandandole con aria quasi distratta e più severa, pensierosa e non in senso positivo: «Scale o ascensore?» le chiede, andando poi verso dove Ginevra preferisce. Da lì a un attimo borbotta fra sé e sé: «Odio questi posti…» e una latente smorfia di disgusto e disappunto trema nel suo volto dai tratti spigolosi, modellati dall’età. Non dirà probabilmente alcuna parola mentre arrivano all’ufficio indicato, o tutt’al più sarà molto telegrafico.
Ginevra
Solleva le sopracciglia, camminando, Malcolm le sembra più algido del solito e già di solito fa l'effetto "siamo rimasti chiusi in una ghiacciaia"; resta così in silenzio e lo segue all'interno. Osserva l'agente e le sorride, lasciando la parola a Malcolm ovviamente, mentre lei muove le spalle e il bacino a tempo, non che lo faccia in maniera ostentata, solo quel muoversi distratto quando il ritmo un po' ti cattura. Quando poi Malcolm si muove per raggiungere l'ufficio indicato, deve fare un piccolo scatto per recuperare quei tre, quattro passi, che aveva perso ed affiancarlo di nuovo «le scale» le indica e si muove verso quella direzione «Lei odia l'umanità, Signor Barnes, è diverso» appunta. E non ha detto le persone, ma l'umanità, per intendere quel complesso di odori, difetti, bassezze, pregi, stranezze che si trovano ad esempio in certi uffici postali dei quartieri popolari, nelle periferie di tutte le città. Tutto quel mondo che non ha tempo, modo o voglia di occuparsi della forma.
«Ahhn…» bofonchia la poliziotta corrugando la fronte con aria pensierosa, ma di certo non ha tempo di ribattere visto che il duo parte spedito, si limita ad avvisare telefonicamente il superiore…un paio di rampe di scale, poi un piccolo corridoio arredato da varie foto che immortalano i successi della polizia di stato e quindi la porta di Hutchins che, una volta bussato, inviterà ad entrare. Capitano Eldon Hutchins…sulla cinquantina…lineamenti duri, mascella squadrata, fisico massiccio…se lo trovano seduto alla scrivania stretto nella sua divisa e quando entreranno si alzerà in piedi dimostrandosi anche bello alto, almeno 1 e 90 sicuri.
«Signori, buona sera!» esordisce con un vocione sicuro di se e la parlata tipica del sud, ha tutta l’aria dell’uomo di frontiera d’altri tempi, il classico sceriffo alla John Wayne «Burns, eh?» storpiandone involontariamente il cognome «è un giornalista o sbaglio?» chiede, allungando la destra per una stretta che, se ci sarà, sarà forte e decisa…troppo forte e anche troppo decisa, di quelle che non ti aspetti e che ti fanno chiedere che gli passa per il cervello alla gente per stritolare le mani altrui…Ad ogni modo sembra andare a colpo sicuro, ne hai di tempo da buttare a leggere l’Advocate quando i tuoi compiti tutto sommato sono preoccuparsi delle multe e degli incidenti stradali «signora!» saluta verso Ginevra con fare da duro e un cenno col capo «come posso esservi utile? La vecchia Betsy mi diceva dei Jackson, dico bene? Che diavolo…una storiaccia quella!» e dopo la stretta se ne tornerà alla sua sedia facendo cenno ai due di accomodarsi alle sedie di fronte la scrivania
Malcolm
Il passo del giornalista è sempre quello deciso e quasi marziale a cui bisogna stare dietro, specie quando di per sé lui è più occupato a trascendere mentalmente la situazione di per sé, pensare più in grande come un predatore su un terreno di caccia. Questo è l’istinto che risalta di più attualmente. Si muove dunque verso le scale come suggerito da Ginevra e al suo appunto, la osserva un attimo come se valutasse quelle parole, eppure continua a non essere del tutto preso da quelle piccole contingenze, tanto che se in un qualche altro momento potrebbe aver avuto di che discutere, ora risponde con un enigmatico: «Probabile.» mentre sale i gradini in compagnia di Ginevra. Pochi istanti dopo torna a rivolgersi a lei, sempre in modo molto pensieroso: «Se andrà come penso, tenga a mente queste parole Miss Durand. Non mie, ma di Barbara Ehrenreich» e chi sarebbe? non lo specifica ma sembra che maneggi molto bene questo nome, come se conoscesse la persona in questione, almeno per aver letto più di qualcosa: «”In città il crimine si considera legato a questioni razziali o di classe. In periferia invece è intimo e psicologico, sfugge alla generalizzazione, è un mistero dell’anima individuale”» saggezza zen uno direbbe. Ma lui sembra prendere in grande considerazione questo concetto, quasi che fosse legato a quell’odio per l’umanità che Ginevra pare aver colto, chissà se a ragione o a torto. Comunque, giungono da lì a poco all’ufficio del capitano, nel percorrere il corridoio Malcolm è ben attento a ciò che ha intorno, poi bussa senza esitazione per annunciarsi, prima di attendere il permesso per entrare e trovarsi alla presenza del capitano Hutchins. Personaggio che sembra in netto contrasto con la figura asciutta, magra e più bassa del giornalista. Tanto più in netto contrasto con Ginevra. «Buona sera, capitano» ricambia, dopo qualche occhiata di massima, con una gentilezza leggermente più accennata. «Barnes» lo corregge placidamente. «Sì, sono un giornalista. Collaboratore esterno per l’Advocate» chiarisce e ricambia con incertezza la stretta di mano. Aggiunge ancora «Lei è la mia assistente, Ginevra Durand» presenta la donna. Infine quando chiede che cosa siano venuti a fare lì, si avvicina alla scrivania prendendo posto. «Sì, mi ha colpito la loro storia e volevo scriverci su un trafiletto, credo lo meritino. Mi chiedevo se potesse parlarci di quello che è successo, magari farci leggere il rapporto sul loro incidente per avere il quadro della situazione.»
Ginevra
Cammina, come anche Malcolm, guardandosi attorno, uno sguardo meno professionale e più curioso il suo rispetto a quello del giornalista , mentre osserva le foto alle pareti si limita a commentare distrattamente «Barbara Ehrenreich però non mi sembra abbia scritto nulla sulle banlieue parigine, la sua visione del crimine è piuttosto limitata. Sutherland e Cohen non sarebbero d'accordo con lei» riferendosi alla scrittrice «magari in provincia è intimo e psicologico» annuisce «o nei quartieri residenziali, ma nelle periferie... mh» alza le spalle, poi aggiunge «secondo me». Entra nell'ufficio dopo Malcolm e quando il Capitano si alza, lei lo segue con lo sguardo restando col naso all'insù ad osservarlo «però!» commenta per poi sorridere all'uomo «Salve Capitano, io sono la segretaria» guarda poi Malcolm che la presenta come l'assistente «assistente» tornando sul Capitano «una segretaria assistente» specifica annuisce quindi allaccia le mani dietro la schiena lasciando spiegare a Malcolm perché sono lì, porta lo sguardo sul resto dell'ufficio intanto, osservando quanto è appeso alle pareti.
«Ahn..» bofonchia su quel momento di incertezza sul ruolo di Ginevra, mani appoggiate entrambe sullo stomaco «è sempre brutto quando ci vanno di mezzo i bambini…» esordisce con un tono da fare invidia a John Wayne in Sentieri Selvaggi «ma come dico io…la strada non risparmia nessuno!» e scuote il capo «rapporto? Si, va bene» e quindi recupera la cornetta del telefono mugugnando «uhamn…Betsy? Si, il rapporto su…esatto…stamp…esatto e poi lo….esatto» e di nuovo mugugnando torna a posare la cornetta, si dondola per qualche attimo in silenzio, alternando lo sguardo fra i due, silenzio…e poi ricomincia «stavano molto probabilmente discutendo, il povero signor Jackson non s’è accorto di stare pigiando troppo sul dannato acceleratore e beh…quando se n’è accorto era troppo tardi e ha sterzato per non prendere la macchina di fronte…» e si dondola, di nuovo in silenzio «è una cosa che accade spesso sa? D’istinto, invece che frenare, sterzano…peccato che ha preso in pieno il dannato guardrail finendo di sotto…la macchina si è rivoltata diverse volte e…» si stringe nelle spalle «pare proprio che il buon dio li volesse tutti e tre con loro…»
Malcolm
«Infatti qui siamo in provincia» ribatte lapidario e pensieroso a quei commenti della donna, come se in quel momento non fosse per nulla importante cosa ne pensano altri scrittori. D’altronde lui ha usato quella frase per esprimere un proprio pensiero a riguardo, non per fare una disquisizione teorica: è quello il punto della questione che come al solito Ginevra pare perdersi finendo a parlare di qualcosa di tangenziale. «Lei invece ha esperienza delle banlieue parigine?» domanda, forse con una punta di provocazione o di ammonimento, come a capire da che grado di esperienza provenga quella critica sulla visione del crimine altrui. Non si aspetta neanche una risposta a quella domanda, o forse sì ma non sembra. D’altronde c’è davvero qualche istante a separarli dall’ufficio di Hutchins: non si metteranno a fare discussioni proprio ora. E poi forse è meglio non stuzzicare un già teso Malcolm. Data la momentanea divergenza di presentazioni tra la sua e quella di Ginevra, lui si limita a guardare la donna in modo neutro e dare al capitano conferma: «Segretaria assistente, esatto.» come se questa figura esistesse davvero, il tono perfettamente convinto, come se quella di prima fosse un’abbreviazione o una semplificazione, tanto quanto giornalista e collaboratore esterno. Una volta che hanno preso posto e iniziato il discorso sulla famiglia Jackson, Malcolm ascolta con estrema attenzione, di tanto in tanto annuisce con un certo vago rammarico, rispondendo quando il capitano dà disponibilità del rapporto: «Grazie. Sarà di grande aiuto.» commenta il giornalista che poi lascia tempo all’omone di telefonare e di mettere giù. Il racconto prosegue e Malcolm sembra proprio assorto su quella spiegazione, annuisce qua e là e alla fine riprende a parlare. Anzi a chiedere. «Quando è successo per la precisione?» si può leggere nel rapporto, ma già che c’è se lo fa dire. «Ha detto che avviene spesso. Intende in generale o quel tratto di strada ha visto parecchi incidenti del genere?» domanda ancora, ovviamente non in maniera incalzante ma possibilmente dopo aver ricevuto risposta alla prima domanda. Intanto lui pare studiarsi per bene il capitano, anche se in maniera discreta, a volte si sofferma sulla scrivania o su dettagli dell’omone. «E la macchina che veniva di fronte? Di chi si trattava?» chiede infine con una certa curiosità in più, attribuiamola al fatto che magari vuole intervistare la persona in questione come nei migliori casi umani del genere.
Ginevra
Alza le spalle alla specifica di Malcolm sul dove siano «è lei che ha citato le periferie» lo dice senza troppa enfasi o interesse, non sembra particolarmente presa dalla cosa, sembra che per lei si tratti solo di un parlare nel tragitto, tanto per non dover star zitti ognuno per conto proprio. Corruga appena la fronte «Certo che no» riferendosi all'esperienza sui sobborghi parigini «ma quelle sono periferie e certo il crimine è di classe o razziale» muove la mano in un gesto vago «di subculture insomma» a sintetizzare tutto quello che si potrebbe aggiungere. Ma è giusto il tempo di raggiungere l'ufficio. Però abbassa lo sguardo ad controllarsi prima di entrare, giusto per essere certa se ha o meno l'aria o l'aspetto di qualcuno che ha esperienze nei sobborghi. Non guarda Malcolm sulla questione del ruolo con cui viene presentata e mentre i due iniziano a parlare effettivamente del caso, si accomoda sull'altra sedia, di fronte la scrivania del Capitano; osserva gli oggetti posati su di essa, prima di rialzare lo sguardo sul Wayne di Nola, ne ascolta il resoconto verbale e corruga la fronte ad un certo punto, ma lascia terminare il Capitano e poi ascolta le domande poste da Malcolm. Ti pareva che potessero avere la stessa curiosità? Interviene quindi «c'è qualcosa che le fa supporre che stessero discutendo?» domanda per aggiungere subito «intendo... lei non ha indicato che la causa dell'incidente è stata l'alta velocità, ma ha specificato che l'alta velocità era probabilmente dovuta ad una discussione...» non c'è un tono indagatore, sembra solo incuriosita dalla faccenda e dal modo in cui è stata posta «non so, magari li conoscevate o avevate indicazioni pregresse circa una vita familiare come dire...» cerca la parola «..turbolenta?» sorride poi verso il capitano «mi perdoni, ma una cosa che accade spesso è anche che la gente tenga una velocità non adeguata alla strada che sta percorrendo. Mi sembra che lei escluda la cosa, insomma ha dato una motivazione specifica, seppur ipotetica, a quell'alta velocità, mi domandavo solo se fosse derivante da qualche elemento pratico o meno» a spiegare meglio il perché della sua curiosità.
La scrivania è piuttosto classica e ordinata, tazza di caffè con scritto: “best father in the world” fascicoli ordinati e diverse foto, non facili da vedere vista la posizione, tranne una obliqua dove si vede l’omone ad un barbeque che abbraccia due ragazzine, dalla somiglianza forse saranno le figlie «l’otto febbraio…» risponde rapido, occhi assottigliati e smorfia austera «si l’otto febbraio…intendevo in generale…quella strada in genere non è molto trafficata e si tende a schiacciare sull’acceleratore, ma basta trovare un po’ di coda per rimanere fregati…e per quanto riguarda la macchina, non veniva in senso opposto, semplicemente era quella in coda di fronte a lui, era ferma, c’era traffico…e Jackson ha sterzato per non colpirla…» quindi si concentra su Ginevra, ascoltandola con attenzione che parla troppo difficile per i suoi gusti «uhmmm…» bofonchia per un lungo momento grattando il mento con aria pensierosa «non direi, abbiamo fatto accertamenti…nel senso che Gordo…Gordo è uno dei miei agenti…beh la signora Jackson era una sua parente di secondo grado, cugina mi pare…vivevano una vita tranquilla, erano brava gente…gli esami del coroner poi non hanno trovato tracce di droga o alcol su nessuno dei due…è andata sicuramente così, Jackson andava veloce, non troppo eh ma nemmeno da poter frenare in tempo, magari si è distratto da solo a chiacchierare eh, ma in questi casi da soli è la dannata discussione che ti fotte…» e a interromperlo arriva l’annoiata Betsy, che dalla telefonata è molto più pimpata e propositiva «Eldon…» saluta e quindi verso i due li saluta nuovamente «signori…» un rapido sorriso prima di mollare copia del rapporto sul tavolo e fare un passo indietro…«grazie Betsy…» risponde il Capitano «guardate da voi…ci sono pure le foto dei rilevamenti»
Malcolm
A quelle nuove risposte non dice nulla, troppo occupato per chiarire o forse ormai ha un po’ capito Ginevra e pensa che non sia opportuno chiarire. L’unica cosa che fa è scuotere leggermente il capo quando la donna esprime il proprio parere un po’ qualunquista su periferie dove non è mai stata. A differenza di Malcolm che ci ha speso parecchio tempo, un anno più o meno, e di questo comunque non dice nulla, non racconta mai, non ne parla mai con un qualche orgoglio o presunzione. Anche il suo gesto in realtà è quasi impercettibile. Quando Ginevra successivamente pone le sue domanda, Malcolm la guarda con aria valutativa e la fa parlare liberamente, facendo anche un cenno di approvazione in merito. Ecco quando i loro modi di pensare del tutto complementari, opposti si direbbe, tornano d’aiuto, se bene indirizzati nello schema più generale di Malcolm: ecco perché l’ha scelta ed il momento in cui dice a sé stesso che ha fatto una buona scelta. Quindi, dopo aver osservato la donna per tutta la sua esposizione, torna con lo sguardo sul capitano. Riguardo alle risposte del capitano, Malcolm le ascolta ed annuisce: «Capisco» conferma con un tono serio, non si capisce se è perché rifletta su quanto ha sentito o perché è dispiaciuto sinceramente della morte della famiglia, forse entrambe le cose. Ascolta silenziosamente pure il resto e assente – non è un tipo loquace Malcolm, specie quando è impegnato – ma a quel punto arriva la famosa Betsy: «Salve» la saluta di rimando, educato ma senza tanta enfasi, come al solito. Aspetta che l’agente si sia congedata, per prendere in mano la copia del rapporto e dare un’occhiata preliminare. In particolare però osserva le foto, con estrema attenzione. «Lei conosceva la famiglia Jackson? Intendo.. mi può parlare un po’ di loro? Chi erano? Cosa facevano nella vita? Della figlia so già qualcosa, dei genitori praticamente nulla.» e Ginevra è legittimata a chiedersi se questo sia un reale interesse per la vita di quelle persone o un modo tutto suo per inseguire la sua ipotesi.
Ginevra
Ascolta la risposta del Capitano e annuisce un paio di volte come a ringraziarlo di aver fugato quel suo dubbio. Non si accorge che Malcolm la sta guardando, o forse si, ma comunque non si volta verso di lui, resta ad ascoltare il Capitano e basta. Gira la testa poi, per guardare Betsy che entra e le sorride di nuovo a mo di risposta al suo saluto. Ovviamente lascia a Barnes di prendere il fascicolo, la sua attenzione passa da Betsy al Capitano «sapete quale era il loro tragitto quel giorno? Da dove erano partiti, dove erano diretti...» il tono, lo stesso di prima, solo curioso. Sembra che il lato umano della faccenda la interessi di più di quello statistico sulle percentuali di incidenti o sulle cause dirette. Si volta verso Malcolm quando sente che sa già qualcosa della figlia, lo osserva un paio di secondi e torna a guardare il poliziotto «avevano altri figli o parenti stretti che... si stanno prendendo cura delle loro cose?»
Il vecchio Hatchins ha una smorfia dubbiosa dipinta sul volto alle ultime domande del duo «vedete, purtroppo è solo un semplice incidente…e per questo genere di cose non si fanno grandi indagini, abbiamo avvisato la madre di Traven Jackson, che vive a…» e betsy rapida prende la parola «New Sarpy, sì tutta la famiglia Jackson era di New Sarpy, vivevano lì..» e quindi Hatchins può corroborare solo «esatto…» un particolare salta all’occhio del giornalista, la strada infatti è la più rapida ed immediata da intraprendere per recarsi a New Sarpy partendo da un albergo di sua conoscenza, inoltre l’orario dell’incidente pare combaciare piuttosto con quello di fine delle sfilate «non saprei dirle…» risponde il capitano a Ginevra «magari compere, magari avevano portato la bambina a qualche parata…» e di nuovo, Betsy, lo interrompe «non credo, non erano ancora cominciate…» e quindi a passetti rapidi e veloci passa dall’altro lato della scrivania per guardare in faccia i due giornalisti, incuriosita anche lei da quella domanda di Ginevra, i due poliziotti rimangono con aria curiosa a fissarli.
Malcolm
«Ma certo, è comprensibile» replica neutro e con una certa (sincera?) accondiscendenza, riguardo al fatto che su un incidente non si fanno troppe indagini. «Devo avere ovviamente qualcosa su cui lavorare» precisa, come a voler giustificare quelle domande. Malcolm immagazzina le informazioni che gli vengono dette, questo mentre è assorto su quel rapporto e le foto; precisiamo che prima della lettura ha indossato i suoi occhiali tirati fuori dalla tasca interna della giacca e ha allungato a Ginevra – con l’implicita richiesta di tenerglieli mentre lui ha le mani occupate – la moleskina e la penna. Nessuna particolare espressione sul volto del giornalista, se non una grande ed austera concentrazione. «I Jackson lavoravano?» domanda, a testa un po’ bassa sul rapporto e aggiustando nel contempo foto e fogli che potevano essere non perfettamente allineati. In realtà è una domanda un po’ ridondante, perché aveva cercato di accennarla prima ma non è stata fatta menzione di questo elemento che probabilmente al giornalista interessa. Infine alza per qualche momento lo sguardo ritrovandosi i due che fissano Ginevra e Malcolm in modo curioso. «Mi dica capitano, vuole che sia divulgata qualche sua dichiarazione nell’articolo?» domanda, forse per dargli un po’ una sorta di contentino. Malcolm sa bene che in queste zone provinciali le persone si esaltano con sciocchezze del genere - sentirsi importanti è tutto – per cui mette in conto questa possibilità, una certa visibilità del dipartimento, mentre dà ancora una nuova occhiata al rapporto. Ginevra potrebbe eventualmente intuire, conoscendolo ormai piuttosto bene, che ha trovato qualcosa di interessante ma che sta appositamente tacendola.
Ginevra
«ah...» annuendo alla risposta del Capitano, guarda poi Betsy anche «quindi non era una strada che facevano di solito» sembra più un pensiero ad alta voce «è più facile avere incidenti sulle strade che non si conoscono» espira dal naso quando Malcolm le passa penna e moleskina, ma le prende senza dire nulla le appoggia in grembo, tenendoci le mani sopra; alza lo sguardo al soffitto restando così, con la testa reclinata indietro, qualche secondo «magari la bambina si era addormentata e non si è accorta di niente» commenta stando ancora in quella posizione. Mentre riporta lo sguardo sui due poliziotti «magari ha avuto un colpo di sonno» riferendosi a Jackson «non ci sono state testimonianze di altri guidatori che lo abbiano incrociato lungo la strada? Magari hanno notato se la bambina era sveglia o no» si, certo, se la bambina era sveglia o no è una informazione che per lei è abbastanza importante, ma di certo altri guidatori che li abbiano incrociati o superati potrebbero aver notato altro nella guida di Jackson o all'interno dell'auto, poi sembra tornarle in mente qualcosa e corruga la fronte «non ha frenato» afferma prima di rivolgersi direttamente al Capitano «ha detto che ha sterzato, ma non ha frenato, giusto?» fa una breve pausa «immagino che lo sappiate perché non ci sono i segni sull'asfalto...» c'è un leggero tono interrogativo in queste ultime parole.
Finalmente qualcosa di utile inizia a venire a galla, e non certo per gli assist ricevuti dai due poliziotti, Malcolm incappa nella dichiarazione del guidatore che era davanti alla macchina dei Jackson e che Traven ha cercato di evitare, afferma un dato interessante non menzionato dal Capitano…il guidatore ha sentito il clacson…Jackson l’avrebbe suonato poco prima di sterzare…chi anche inizia a sentire che qualcosa non quadra è Ginevra, che saggiamente torna su un argomento trattato in precedenza «esatto…» confermano all’unisono i due sbirri di periferia, la cosa è anche confermata dalle foto «ma come ho detto, capita di non frenare e di sterzare invece…» e quindi torna a Malcolm «uhm…il signor Jackson lavorava in una fabbrica di New Sarpy, la moglie era casalinga…» e quindi medita, austero «una dichiarazione? Volentieri…sono profond…» e s’interrompe cercando le parole giuste «profondamente e sentitament…» nahh non va «il dolore della mort è…» e scuote il capo «così su due piedi non riesco, gliela farò avere se mi lascia il recapito del suo ufficio» che forse è meglio…è Betsy invece a rispondere a Ginevra «purtroppo non abbiamo testimonianze di altri guidatori, l’unico è quello della macchina di fronte, sta scritta nel rapporto la sua versione ma non parlava della bambina…» e si fa triste «poverina…a lei ha detto peggio che ai genitori…» e quindi Hatch, con fare da duro «brutta…brutta storia…lo dicevo…»
Malcolm
Quando Ginevra pone tutte le domande e fa le sue considerazioni, Malcolm la lascia parlare in tutta libertà, ma alla fine, mentre è ancora assorto per qualche momento su fogli e fotografie, avvicina una mano a lei e, sfiorandole il gomito con una presa lievissima e soprattutto rapidissima, cerca di comunicarle l’invito a fermarsi. Tuttavia nel frattempo sdoppia la sua concentrazione ed attenzione tra ciò che legge nel rapporto e il capitano: gli potrebbe fumare il cervello se solo fossimo in un cartone animato. Quando il capitano gli risponde riguardo al lavoro dei due coniugi Malcolm se ne esce con una domanda apparentemente strana: «Un’ultima cosa capitano. Immagino che la famiglia Jackson avesse una sola auto, o sbaglio?» suppone Malcolm, probabilmente per via del tenore di vita della famiglia che non sembra particolarmente agiato. Poi gli lascia fare la sua dichiarazione, o almeno tentarla, per poi annuire accondiscendente e sfilare dalla tasca interna della giacca un biglietto da visita austero quanto il personaggio con nome, cognome e mail pubblica. «Può scrivermi a questo indirizzo.» afferma, per poi ascoltare le ultime parole prima di accennare ad alzarsi. «Molto bene, vi ringrazio per il tempo che ci avete dedicato. Miss Durand, credo sia ora di andare.» comunica a Ginevra, manco avessero chissà quale impegno improrogabile, ma si intende bene che il vecchio stratega non vuole “insospettire” il capitano. Non ora. «Vi auguro un buon proseguimento.» si congeda così, austero e senza strette di mano stavolta, portando con sé il rapporto ovviamente.
Ginevra
L'attenzione va tutta a Betsy che le risponde, piega appena le labbra all'ingiù non potendo stabilirsi se la bambina dormiva o meno, abbassa lo sguardo sulle proprie mani, o meglio sulla moleskina e sulla penna di Malcolm, solleva quest'ultima, di poco, quanto basta a rigirarsela tra le dita, assorta «certo che non abbia frenato...» sembra sempre un pensiero ad alta voce, lo sguardo torna su Betsy «voglio dire... con un bambino in macchina un genitore di solito è più prudente, già aveva una velocità non adeguata, poi nemmeno ha visto una fila di macchine in coda, poi nemmeno frena» si stringe nelle spalle e scuote il capo, sembra empatizzare con la poliziotta sulla sorte della bambina, «ma immagino...» sta per aggiungere qualcosa quando si sente sfiorare il gomito resta a labbra dischiuse senza dire nulla per qualche istante, mentre ancora si rigira tra le dita la penna di Malcolm, si schiarisce la voce «ma immagino che purtroppo sia così che capitino gli incidenti» annuisce appena e si alza a quella specie di ordine di Malcolm, trattenendo ora la Moleskina e la penna del giornalista con la stessa mano. Sorride verso Betsy e china il capo verso di lei, quindi al Capitano «Capitano...» sorride anche a lui e si accinge a seguire Malcolm.
Entrambi i nostri investigatori improvvisati sembrano aver raccolto abbastanza, ora basterà confrontarsi per capire che una base di partenza per pensare non si tratti affatto di incidente non manca. «Una Acura DMX del 2006, si, solo quella…» risponde il Capitano, alzandosi in piedi per i saluti, porge la mano a Malcolm che potrà stringerla a suo rischio e pericolo, con Ginevra c’andrà più morbido sicuramente…i due potranno così uscire e discutere, mentre Betsy e Hutch se ne rimangono nell’ufficio…meditabondi «che strano…» dirà Betsy quando saranno andati via «strano cosa?» chiederà il Capitano «beh…tante domande sulla dinamica quando per un pezzo del genere basta avere una dichiarazione…non interrogano i parenti delle vittime di solito?» e finirà così, con l’espressione dubbiosa di un Capitano della polizia di stato che si gratta il mento, probabilmente cercando di unire punti con scarsissimi risultati
Malcolm
Una volta apprese le ultime informazioni e fatti i dovuti saluti, dopo essere uscito con Ginevra dall’ufficio del Capitano, Malcolm è ancora più pensieroso di prima, viso cupo o solo particolarmente assorto, sembra essersi anche dimenticato che Ginevra sta portando la moleskina e la penna, mentre lui invece sorregge il rapporto. Cammina più lentamente del solito per la verità e qualche volta passa nervosamente una mano sulla fronte, un gesto sporadico. Non è perplessità la sua, anzi dal modo in cui si è comportato sembra avere le idee particolarmente chiare; piuttosto pare essere stanco e molto concentrato. «Torniamo in città in macchina» dice come se fosse una decisione già presa, il tono serissimo, la soluzione pronta. «Può mettere la bici nel cofano.» aggiunge infatti, mentre si avviano verso l’uscita.
Ginevra
Appena usciti, lascia il tempo di compiere qualche passo, quindi mormora a denti stretti, a bassa voce, ma concitata «dobbiamo dirgli di controllare la macchina, quello ha frenato eccome! Ma chi è il cretino che non frena?!» una brevissima pausa «con la figlia in macchina, maddai!» sta per proseguire ma lui dice della macchina «ma ho la bic...» si interrompe perché lui ha già pensato a tutto, corruga la fronte «dovrebbe usare i mezzi pubblici Signor Barnes» seguendolo verso l'uscita, sembra anche lei dimentica di avere tra le mani penna e moleskina, li stringe come fossero una borsetta piena zeppa di contanti rubati.
Malcolm
Al dire concitato di Ginevra, la ferma di nuovo con un cenno della mano, stavolta senza toccarla, per invitarla a tacere per il momento. E lui infatti fa silenzio a lungo, senza risponderle sull’usare i mezzi pubblici, forse neanche l’ha ascoltata. Solo una volta usciti, dirà con un tono di voce basso: «So come, quando, perché e chi ha compiuto l’omicidio. Anzi, comandato per la precisione. Ora dobbiamo solo trovare le prove e lo dovremo fare da soli.» sembra che abbia mal di testa, per come socchiude gli occhi mentre si dirige alla macchina, per come parla quasi sussurrando, per come cammina più lento e per il modo di massaggiare la fronte. «Ci fermiamo a bere qualcosa al primo locale.» sentenzia ancora, più che altro come fosse una necessità impellente. «Forza, vada a recuperare la sua bici.» la esorta una volta nei pressi dell’auto.
Ginevra
E ovviamente non può che restare in silenzio, ma sicuramente è apparsa sorpresa dalle rivelazioni del giornalista. «Potrei avere un appuntamento» gli dice quando le comunica che si fermeranno a bere qualcosa, poi alza la mano a far un gesto a indicare di lasciar perdere «ma non ce l'ho» aggiunge e scuote appena il capo a se stessa; fa un saltello sul posto a quella esortazione «sissignore!» risponde e non sembra lo stia prendendo in giro, parte di corsa verso la bicicletta cantando «laaaa laaa laaa lalalala, lalala, hey Jude!» si accovaccia per sganciare la catena che sistema poi al tubolare e sale in sella, non sarebbe mica necessario, ma la bici ce l'ha, quindi si fa pedalando il breve tratto sul marciapiede, fino alla macchina. Scende quindi e attende che Malcolm apra il bagagliaio.
Malcolm
Le lancia un’occhiata del tipo “ma chi vuole prendere in giro?” , quando Ginevra gli dice di avere un appuntamento ricredendosi pochi momenti dopo. Poi, fermandosi sul retro della macchina, attende che la donna torni con la sua bici, liberandola ovviamente prima di penna e moleskina che torna a prendere con sé. Mentre aspetta provvede a mettere tutto in cima al cruscotto e poi aiuterà la donna a mettere la bici nel bagagliaio. Malcolm sarà silenzioso per tutto il tragitto fino al primo bar o pub sulla strada di ritorno, pare un poco rattristato, ed eventualmente pregherà Ginevra di non parlare molto o di farlo a bassa voce se deve dire qualcosa.
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