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PIUTTOSTO MORIREMO DI FAME
È successa una cosa bella: il mio libro Mio nonno diceva sempre di no sarà pubblicato da Cronache Ribelli - Edizioni. La storia di Balilla Gardini e dei soldati che furono internati in Germania per aver rifiutato l'arruolamento nell'esercito di Mussolini, trova finalmente il suo spazio. Rispetto al libretto autoprodotto anni fa, qui c'è tutta la storia dal principio: la cattura in Grecia, il diario di prigionia completo, le lettere dal lager e i documenti e le foto originali. È la storia di una Resistenza dimenticata e volutamente messa da parte per anni, che spero possa aiutare a comprendere l'antifascismo nel suo aspetto più ampio, soprattutto in questi giorni grigi ma pieni di rabbia 🔥
Questa è la copertina. Vi piace?
(W la Resistenza ieri, oggi, domani)
Il libro è acquistabile qui
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Storia Di Musica #321 - Okkervil River, The Stage Names, 2007
Fino a 15 giorni fa non conoscevo questo gruppo, e la sua storia variegata e spassosa. Non conoscevo ovviamente nemmeno il loro modo di fare musica, che mi ha colpito davvero tanto. Will Sheff, voce e chitarra, Zach Thomas al basso e al mandolino e Seth Warren alla batteria sono tre amici sin dal tempo del liceo, e vivono nel New Hampshire. Si trasferiscono dopo il college ad Austin, in Texas, e mettono su una band: prendono nome dal titolo di un racconto di Tat'jana Nikitična Tolstaja (che discende da un ramo minore dei Tolstoj), contenuto nella raccolta Sotto Il Portico Dorato, che si intitola Sul Fiume Okkervil, che è un breve fiume che passa per San Pietroburgo: Okkervil River. Siamo a fine anni '90 del '900 e i nostri registrarono un album autoprodotto composto da sette canzoni intitolato Stars Too Small To Use. Iniziano a fare concerti, la band si allarga (Jonathan Meiburg alla fisarmonica e poi all'organo). Nel 2002 la famosa etichetta indipendente Jagjaguwar li mette sotto contratto: Seth Warren abbandona per seguire la carriera accademica a Berkely e viene sostituito da Mark Pedini alla batteria. Nello stesso anno pubblicano il loro primo LP, Don't Fall In Love With Everyone You See. Un anno dopo si spostano a San Francisco, Warren ritorna in gruppo, e pubblicano Down The River Of Golden Dreams. La band ha continui cambi di formazione, ma raggiunge una certa forma quando Travis Nelsen sostituisce Pedini alla batteria e si aggiunge un altro chitarrista, Howard Draper. Con questa formazione, nel 2005, pubblicano il loro lavoro più riuscito, che li fa conoscere in maniera decisiva anche oltre la scena indipendente: Black Sheep Boy è osannato dalla critica e vende benissimo per un disco indipendente, tanto che la band lo pubblica nel 2006 anche in Europa e ne fa uscire un mini EP in accompagnato, Black Sheep Boy Appendix. Zach Thomas esce dal gruppo e viene sostituito da Pat Pestorius. Il suono è un folk rock ricco, delicato, gioioso ma sono le idee dei testi di Sheff che stupiscono, in una sorta di costruzione di musica cabaret dove il racconto, a volte stucchevole, di ciò che succede intorno a lui è il fulcro della musica degli Okkervil River. E prova maestra è il disco di oggi, uscito nell'Agosto del 2007 e quasi da subito un classico della musica indipendente.
The Stages Names è, come suggerisce il titolo, una riflessione ironica e senza peli sulla lingua sull'essere un'artista e sulle storie che l'esserlo nasconde. Our Life Is Not A Movie Or Maybe prende in giro il già allora evidente e potente ingigantimento di qualsiasi cosa succeda nella vita di chiunque, o per meglio dire, la voglia di rendere le cose della vita molto più drammatiche o epiche di quello che sono (It's just a life story, so there's no climax\No more new territory, so pull away the IMAX). Unless It's Kicks è una analisi sul rapporto artista fan, A Hand To Take Hold Of The Scene è la prima genialata, infatti è una canzone che racconta della trama di due programmi TV, Cold Case (famoso anche in italiana, sulla squadra dell'FBI chiamata a risolvere i casi irrisolti di anni precedenti) e Breaking Bonaduce (una sorta di documentario su Danny Bonaduce, famoso attore bambino degli anni'70, che raccontava dei suoi problemi familiari da adulto) in cui furono usate canzoni della band (in Cold Case Black Sheep Boy). Savannah Smiles è la storia di Shannon Wilsey, famosa pornostar americana, che prese il suo nome d'arte da un film, Savannah Smiles del 1982: la sua è una storia tragica, poichè dopo un incidente stradale dove rimase sfregiata, decise di suicidarsi per non essere vista "brutta". Plus Ones è un piccolo capolavoro: l'espressione indica nelle liste dei concerti le aggiunte che gli ospiti dei backstage hanno per le entrate, ed è un testo quasi non sense che aggiunge uno o più unità a famosi titoli di canzoni: ? and the Mysterian che scrissero 96 Tears diventano 97, le 50 Ways To Leave Your Lover di Paul Simon diventano 51 e così via, citando anche i The Byrds di Eight Miles High, i R.E.M. di 7 Chinese Bros., David Bowie in TVC15 ed altri. You Can't Hold The Hand Of A Rock And Roll Man cita nel titolo un testo di una canzone di Joni Mitchell, Blonde In The Bleachers, e cita nel testo un quadro di Marchel Duchamp, La Sposa Messa A Nudo Dai Suoi Scapoli, Anche. John Allyn Smith Sails è dedicata alla vita e al suicidio del poeta confessionale John Berryman (originariamente John Allyn Smith). La canzone si conclude rielaborando la tradizionale canzone popolare Sloop John B (resa famosa dai Beach Boys), paragonando la morte a un viaggio di ritorno a casa. Non posso non citare anche Title Track (che cita Hollywood Babylonia di Kenneth Anger) e la toccante A Girl In Port, canzoni misteriosa e dolente. Le canzoni hanno una gioiosa musicalità e il disco va persino in classifica su Billboard. Will Sheff si mostra un cantautore davvero poliedrico e la band gira a mille, usando spesso solo strumenti acustici (tranne in Title Track e poche altre occasioni). Un piccolo gioiello scoperto in questo mese di Aprile, che con la seconda copertina capite benissimo a cosa è dedicato (almeno spero....)
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Il libro del generale che sta facendo parlare tutta Italia, che sta monopolizzando le pagine dei giornali, che sta scuotendo le coscienze e che sta campeggiando in cima alle classifiche di vendita è un libro autopubblicato, cioè senza editore. Questo fenomeno è più singolare e più indicativo di tutte le considerazioni estemporanee del generale in questione.
Di recente, infatti, buona parte dell’editoria italiana è andata in cerca del libro che facesse parlare tutta Italia, che monopolizzasse le pagine dei giornali, eccetera eccetera, facendo leva su questi requisiti: a) doveva affrontare temi caldi e scomodi; b) doveva avere rilievo per i contenuti anziché per la forma; c) doveva essere testimonianza di impegno diretto; d) doveva puntare sull’identità dell’autore più che sull’effettiva opera del suo ingegno; e) doveva contare sul riconoscimento di una claque entusiasta e magari beneficiare di un succès de scandale. Sotto questo aspetto, non c’è gran differenza fra il famoso generale e l’altrettanto famoso – dico per dire – Roberto Saviano.
Giova notare tuttavia che questi criteri costituiscono l’esatto contrario di ciò che dovrebbe auspicabilmente fare un editore: cioè riuscire a imporre un libro all’attenzione pubblica anche se i temi non coincidono con quelli dei talk show (a), in base al fatto che sia scritto meglio di come avrebbe potuto (b), puntando a farlo durare come un’opera d’arte e non come una bomba carta (c), lasciando sullo sfondo la vita dell’autore (d) e sperando che l’opera venga apprezzata per il valore intrinseco e non tramite conventicole e controconventicole (e).
Molti editori hanno invece optato per la scorciatoia, descrivendo una parabola che, dall’epoca di – dico per dire – “Gomorra” a quella del generale, li ha condotti a realizzare l’impresa di rendersi superflui.
via https://www.ilfoglio.it/bandiera-bianca/2023/08/22/news/affinita--divergenze-fra-il-generale-vannacci-e-roberto-saviano-5611529/
Gurrado stavolta la conta molto giusta: sottolinea come il successo del libro autoprodotto del generale segnali anche il raggiungimento del livello sotto-superfluo nella rilevanza della sommamente ignorante intellighentsjia provinciale italica, gente che fa cene e parla con pilastri culturali del livello dei Saviano e Murgia, più cinematografari affamati , giornalai a 30€ la pompa pardon, la cartella e folle di impresentabili dogendi terroni vingidori di bubbligo gongorso.
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Boh la mia testa sono due giorni che si è fissata sul "devo lavorare al più presto perché mi sento in colpa perché con gli studi ho alti e bassi"
Se non mi mette pressioni qualcuno e sto sereno per troppo, automaticamente deve comparire un oppressione emotiva,una preoccupazione per il futuro,un dubbio autoprodotto che mi agiti .
Mi incazzo tantissimo per questa cosa perché devo sempre riprendere le redini, lenire pensieri e preoccupazioni autosabotanti e non capisco il senso o il perché la mia vita le abbia prodotte.
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Alle venti di una calda serata d’agosto accade quel che neanche i più pessimisti sullo stato del servizio pubblico avrebbero potuto immaginare. Accade cioè che il generale Roberto Vannacci, vittima a suo dire del politically correct, della cancel culture, della dittatura delle minoranze e di chissà che altro, appaia nell’edizione principale del Tg1. Senza che gli sia mossa alcuna contestazione, senza una reale domanda, senza un servizio che faccia capire di cosa si stia parlando.
Sgombriamo il campo da bugie e post verità. C’è un principio che non c’entra nulla con quel che sta accadendo intorno al caso Vannacci. Quel principio è la libertà di opinione.
Nessuno di coloro che lo criticano la mette in discussione. Chi lo difende, la tira in ballo come ormai è d’uso a destra: per giustificare qualsiasi dichiarazione abbia a che fare con odio, violenza, discriminazione, razzismo. “Che c’è di male, io la penso così, sono libero di dirlo”.
Non siamo qui a invocare roghi di libri, si tranquillizzi il vicepremier Matteo Salvini. Non siamo qui ad armare cacce alle streghe. Secondo il saggio di Vannacci, del resto, le “fattucchiere” siamo noi: persone secondo cui il ruolo delle donne non è quello di stare a casa per dare figli alla patria e prendersene cura senza gravare lo Stato con i costi di servizi inutili come gli asili nido. E per le quali l’”emancipazione femminile” non è una pericolosa fissazione, ma un sacrosanto diritto sancito dalla Costituzione che parla di eguale dignità. Così come parla di accoglienza dello straniero e del profugo, non accetta distinzioni di sesso, razza o religione, vieta la discriminazione per orientamento sessuale. E in nessuna sua parte mai giustifica la violenza che Vannacci invoca in caso di quella che lui definisce “legittima difesa”, né sancisce il “diritto all’odio e al disprezzo” che il generale rivendica contro la dittatura dell’inclusività.
Non si tratta quindi di libertà di pensiero, ma di etica della responsabilità di un rappresentante dell’esercito chiamato a difendere la Costituzione, non a sovvertirla con i suoi vagheggiamenti di mondi al contrario.
Per questo il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto quel che doveva fare e per questo chi oggi lo attacca o anche solo ne prende le distanze nella maggioranza, fa qualcosa di molto pericoloso: perché vorrebbe consentire che un simile pensiero, violento, sessista, machista, razzista, possa albergare e cercare proseliti – è il chiaro intento del libro – all’interno delle Forze armate.
Che sono – lo prescrive l’articolo 52 della Carta – informate allo “spirito democratico della Repubblica”. E che quello spirito devono difendere “con disciplina e onore”.
Ora, se le farneticazioni di Vannacci – che è certo libero di esprimerle da privato cittadino, ma non da generale di un qualsiasi settore dell’esercito italiano – si fossero limitate a un libro autoprodotto, ma perfettamente e velocemente editato come ha fatto notare su queste pagine Gianluca Nicoletti, e a qualche apparizione su tv semiclandestine e No vax come Byoblu, potremmo anche non essere preoccupati. Certo, ci sono già i siti che vendono le magliette. E sì, i nerissimi come Gianni Alemanno si sono ringalluzziti. Ma insomma, tutto questo resterebbe nell’ombra che compete ai pensieri eversivi.
Ieri sera però il Tg1 delle 20 – il principale telegiornale del servizio pubblico nell’ora di punta – ha pensato bene di intervistare Vannacci senza in alcun modo chiedergli conto di quanto scritto, né evidenziando nei servizi che hanno preceduto il colloquio il contenuto osceno del suo libro. Quello che hanno visto i cittadini è stato un mite generale che dice di aver servito la patria per 37 anni, di non escludere nulla, in merito a una sua discesa in politica, e di essere certo di non aver leso la dignità di alcuno. Quindi non delle persone omosessuali: “Fatevene una ragione: non siete normali!”. Non di Paola Egonu che non può essere considerata a tutti gli effetti italiana per via dei suoi tratti somatici. E potremmo continuare.
Il tg sovranista per eccellenza ha così fatto il giro completo. Non solo non racconta adeguatamente quel che accade nel Paese per evitare di disturbare la narrazione estiva del governo in vacanza.
Non solo non spiega in alcun modo come questa vicenda stia scuotendo – dividendola – la maggioranza. Per non parlare delle migliaia di minori non accompagnati che arrivano sulle nostre coste senza che un piano adeguato sia stato approntato per loro e per gli oltre 100mila migranti sbarcati.
Ma fa torto perfino alla premier: una donna che lavora, con una figlia, non sposata. Quella che Vannacci definirebbe “una fattucchiera” del mondo al contrario.
Qui non si tratta di denunciare la lottizzazione della Rai e la presa asfissiante della politica e del Parlamento che ne è di fatto l’editore (modello Bbc, dove sei?).
Tutti i governi, a partire da quelli che dicevano di voler cambiare le cose, si sono spartiti direzioni, vicedirezioni, aree di influenza, e i pochi che lo hanno denunciato sono stati messi a tacere.
Questa volta però c’è di più: c’è un totale, pervicace, sorprendente e prepotente sovvertimento della realtà. Senza che questo Paese stia mostrando gli anticorpi che servono a smascherarlo.
Meloni per prima ha molto da temere dai rigurgiti neri che pure il suo partito non riesce ad abbandonare. Potrebbe – se volesse - lasciare il buen retiro pugliese, mettere da parte le interviste soft-pop al settimanale Chi e schierarsi senza se e senza ma con Guido Crosetto.
In difesa del buon senso e della dignità delle Forze Armate. Della Costituzione e del Paese che è stata chiamata a guidare. Potrebbe, se volesse. Ma questo è ancora da capire.
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QUENTIN TARANTINO_CINEMA SPECULATION
Spesso mi dedico alla lettura di libri sul cinema scritti da storici del cinema, critici o registi e lo faccio quasi sempre in estate (senza una precisa ragione). Dire libri “sul cinema”, in realtà significa poco, poiché i libri assumono la fisionomia dei loro autori, più che quella dell’argomento trattato. Così un conto è leggere “Una volta” di Wim Wenders, “Scolpire il tempo” di Andrej Tarkovsky o magari “Zero Gravity” di Woody Allen, un altro conto è leggere un libro come “Cinema Speculation” di Quentin Tarantino. L’affermazione potrebbe sembrare ovvia, ma non lo è per il semplice motivo che “Cinema Speculation” è un libro completamente “sconclusionato” ed uso il termine nella sua accezione letterale. Non solo Tarantino non arriva a nessuna conclusione, ma non si sa nemmeno bene da cosa incominci. O meglio, cronologicamente inizia dal ricordo del piccolo Quentin, trascinato in polverosi cinema di Los Angeles dai propri genitori e costretto ad assistere a decine di film alla settimana, una ossessione che diventa in fretta passione. Il libro è un lungo ed interrotto monologo, molto crudo, come era ovvio che fosse, molto stimolante e pieno di informazioni sui retroscena delle sceneggiature, degli studios e anche ricco di pettegolezzi. Quasi un flusso di coscienza ininterrotto che ci fa percorrere i primi anni Settanta del cinema americano, quello che Tarantino imparò fin da bambino a conoscere, ma anche i classici degli anni Cinquanta e Sessanta. Interi ed intensi capitoli sono dedicati a film famosi che magari nella storia del cinema di qualità potrebbero anche occupare posti di secondo piano come “Bullit” di Peter Yates, con il leggendario Steve McQueen o “Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo!” di Don Siegel, fino alla cosiddetta “New Hollywood” degli anni Settanta. Naturalmente nonostante la predilezione di Tarantino per l”Expoliation movie”, ovvero il cinema che mette da parte i valori estetico artistici e predilige azione e violenza, “Revenge movie” film con la vendetta finale del protagonista, e tutta una serie di “B-Movies” (perché di questo si tratta), qualche riconoscimento al cinema americano di qualità è presente, non solo a livello di singola pellicola, come per “Taxi Driver” di Martin Scorsese, ma anche a livello di scuole cinematografiche, come nel caso del cosiddetto “The Movie Brats”, (come fu battezzato dalle colonne del “The New Yorker” dalla leggendaria giornalista Pauline Keal), movimento che ebbe come protagonisti, oltre che a Scorsese appunto, anche registi come Spielberg, De Palma, Lucas e Coppola, una sorte di “Nouvelle Vague” americana che, oltre a guardare al cinema europeo, ammirava grandi personalità del cinema come Alfred Hitchcock, Hakira Kurosawa, Frank Capra, Carol Reed. Però è inutile nascondere che Tarantino sia attratto assai più da prodotti cinematografici meno raffinati che incentrano le loro tematiche sull’azione, fino ad arrivare ai sottoprodotti del cosiddetto “Snuff Movie”, ovvero il porno autoprodotto con ricatti e sgozzamenti finali. Del resto di questo si sustanzia anche il suo cinema, anche se attraverso la raffinatura della citazione colta che qualche volta sembra tuttavia un pretesto, sebbene ben orchestrato, per tornare a mostrare quello per cui il cinema americano degli anni Cinquanta e Sessanta è diventato famoso. Un libro non facile da leggere per i continui riferimenti a nomi di sceneggiatori, di aiuto sceneggiatori, di registi e aiuto registi, non sempre conosciutissimi, ma anche divertente per il linguaggio che si potrebbe definire colorito. Non amo tantissimo Tarantino regista, amo ancor meno il Tarantino scrittore: forse perché girare un film d’azione è cosa molto diversa da raccontare l’azione in un libro.
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Proseguono per gli artisti rumeni in residenza al Teatro Dimora gli incontri con la hosting community di Mondaino. In questi giorni Catinca Drăgănescu, Oana Hodade e Mihai Păcurar sono stati ospitati nelle case di abitanti che vivono nei territori più periferici: alcuni provengono dall’Estero alcuni da altre zone d’Italia e hanno scelto le campagne dell’entroterra marchignolo per sviluppare vite alternative alla città o alla direzione che sta prendendo la società oggi. Gli artisti hanno così incontrato Phelan, un pittore londinese che da decenni è parte della comunità mondainese, Gaia e Alex, della riviera lei e canadese lui, che insieme al piccolo Zeno hanno lasciato Bologna per costruire qui le loro vite e infine Anastasia e Oreste, della riviera lei e del Nord Italia lui che hanno scelto la campagna moindainese per crescere le figlie e portare avanti la loro attività di artisti e artigiani.
Tutti loro hanno aperto le porte delle loro case e accolto gli artisti offrendo loro colazioni e apertivi, biscotti casalinghi e focacce, vino autoprodotto e pane fatto a mano sullo stile delle pagnotte ricovate negli affreschi di Pompei. E soprattutto hanno condiviso le loro storie, le loro scelte e avventure gettando così nuovi semi per la raccolta drammaturgia che gli artisti stanno portando avanti in questi giorni, collezionando parole e temi, racconti di vita e utopie.
Con noi Denisa, una ragazza rumena che da anni vive a Mondaino con la sua famiglia, che ci ha accompagnato supportandoci nelle traduzioni e condividendo la sua stessa esperienza di vita.
Molti sono i temi emersi dalle conversazioni, strettamente connessi alla ricerca che gli artisti stanno portando avanti per il loro progetto The future belongs to those who hope: l’utopia come possibilità di una vita alternativa, la quotidiana routine in campagna tra arte e natura, l’abitudinarietà cittadina tra stasi ed euforia, il cambiamento climatico e il progressivo abbandono dei piccoli paesi dell’entroterra, scardinare la centralità del centro e la delocalizzazione delle periferie, le scuole libertarie e le scuole pubbliche, Ivan Illich e La descolarizzaizone, la campagna e il sogno di una vita comunitaria, accoglienza e ospitalità per lo “straniero” che arriva da fuori, ma solo all’inizio poi la comunità si chiude su stessa, il ritorno alla natura come luogo dove immaginare la crescita dei figli, La Coscienza di Zeno e lo stoicismo comunista, guardare al passato per andare avanti, Mondaino come utopia e la necessità di parlare con le persone, la scoperta della campagna e dello spazio aperto e l’incontro con la comunità di Mondaino, reinventarsi ogni giorno imparando nuovi mestieri.
E sulla domanda “Quale futuro si immagina per Mondaino?” i dialoghi si sono chiusi tra abbracci e ringraziamenti con la promessa di ritrovarsi in piazza a Mondaino o all’incontro pubblico che gi artisti faranno il 5 marzo prossimo.
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The meetings with the hosting community of Mondaino continue for the Romanian artists in residence at L’Arboreto Teatro Dimora. In these days Catinca Drăgănescu, Oana Hodade and Mihai Păcurar have been hosted in the homes of inhabitants living in the most peripheral territories: some come from abroad some from other parts of Italy and have chosen the countryside of the hinterland to develop alternative lives to the city or to the direction society is taking today. The artists thus met Phelan, a Londoner painter who has been part of the community of Mondaino for more than 30 years; Gaia and Alex, she from the Riviera and he from Canadian, who together with little Zeno left Bologna to build their lives here; and finally Anastasia and Oreste, she from Rimini and he from Northern Italy, who chose the Moindainese countryside to raise their daughters and carry on their business as artists and artisans.
They all opened the doors of their homes and welcomed the artists by offering them breakfasts and apertifs, homemade cookies and focaccia, self-made wine and handmade bread in the style of the loaves of bread found in the frescoes of Pompeii. Most importantly, they shared their stories, choices and adventures thus sowing new seeds for the dramaturgy collection that the artists are carrying out these days, collecting words and themes, life stories and utopias.
With us was Denisa, a Romanian girl who has been living in Mondaino for years with her family, who accompanied us by supporting us in the translations and sharing her own life experience.
Many themes emerged from the conversations, closely related to the research the artists are carrying out for their project The future belongs to those who hope: utopia as the possibility of an alternative life, the daily routine in the countryside between art and nature, city habit between stasis and euphoria, climate change and the gradual abandonment of small inland towns, unhinging the centrality of the center and the delocalization of the suburbs, libertarian schools and public schools, Ivan Illich and The de-schooling, the countryside and the dream of community life, welcome and hospitality for the "stranger" who arrives from outside, but only at the beginning then the community closes in on itself, the return to nature as a place to imagine the growth of children, Zeno's conscience and communist stoicism, looking to the past to move forward, Mondaino as utopia and the need to talk to people, the discovery of the countryside and open space and the meeting with the community of Mondaino, reinventing oneself every day by learning new trades.
And on the question "What future do you envision for Mondaino?" the dialogues closed between hugs and thanks with a promise to meet again in the square in Mondaino or at the public meeting that the artists will make next March 5.
#residenze 2023#catinca draganescu#right to the future#the future belongs to those who hope#stronger peripheries#performing arts
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Dagger Moth - The Sun Is A Violent Place
Ehi.
Segnaliamo, totalmente di pancia, l'ultimo disco di Dagger Moth, uscito a ottobre, ma già lo saprete perché, secondo noi, ne parlano tutt*.
Parlandone anche noi, possiamo dire che la chitarrista ferrarese Sara Ardizzoni è un'artista completa sotto il profilo tecnico e creativo. Il disco, interamente autoprodotto, travalica il cantautorato semi-sperimentale degli esordi per ampliarsi ad uno spettro di suoni e stimoli sempre più indefinibili e difficili (per come qui intendiamo il termine).
"The Sun Is A Violent Place" esce a dieci anni dall'esordio del progetto solista della Ardizzoni, già impegnata come chitarrista in numerose band, tra cui, negli ultimi tempi, Massimo Volume e la FIRE! Orchestra di Mats Gustafsson --- così per dire!
Se alcuni pezzi appaiono figli di un ambient lisergico, altri sfiorano la tribal techno. La chitarra, sempre suonata daddio, è lo strumento principe della Ardizzoni, ma i beats si ritagliano un ruolo sempre più strutturale, così come la voce, che funge da strumento al pari degli altri.
La libertà di espressione di Dagger Moth è totale e permette alla compositrice di sperimentare e sperimentarsi, anche oltre le classificazioni e le definizioni di cantautorato. Il risultato ha un genuino respiro internazionale e la tecnica si fa veicolo ideale per la creatività, che spicca sopra ogni cosa.
Dagger Moth si conferma un progetto audace e libero, figlio di un'artista intrigante ed impegnata nel mettere tutto il suo impegno anche nei particolari, che fanno grandi anche i pezzi più, apparentemente, innocui.
[ st ] [ fb ]
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La doppiatrice di Nezuko in Demon Slayer, Akari Kitō, svela le copertine del suo libro fotografico autoprodotto Il libro include anche una conversazione con le sue amiche più strette, Sakura Ayane e Maria Sashide e un'intervista. Info:--> https://www.gonagaiworld.com/la-doppiatrice-di-nezuko-in-demon-slayer-akari-kito-svela-le-copertine-del-suo-libro-fotografico-autoprodotto/?feed_id=340828&_unique_id=63db62120d7b4 #AkariKitō #DemonSlayer–KimetsunoYaiba #Photobook #鬼頭明里
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Cordio: "Ritratto di lei" è il nuovo singolo
Ritratto di lei è il terzo singolo che anticipa il terzo album di Cordio, autoprodotto e distribuito da Ada. Dopo Gelsomini e Cucciolone – di cui sono state recentemente pubblicate due live session su YouTube – il cantautore catanese svela un’altra faccia del suo prossimo lavoro che trae ispirazione dal mondo di Enzo Carella, dove a creare significato è la magia del suono. Una prova inedita per…
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in “My Love My Diner” a waiter is captivated by a peculiar customer who always arrives when the diner is closing but seems fixed to get a burger
size A6, 14 pag, available (italian only)
#zine#comic#indie comic#fumetto italiano#fumetto autoprodotto#character#oc#comics#black and white comic#autoproduzione#short comic#original character#original comic
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Bande Rumorose in A1: “Nuvole rosse”
Il secondo singolo del duo formato da Matteo Bosco e Valeria Molina, un blues semplice e ruvido che invita a riflettere sulle nostre paure e sul modo in cui affrontiamo l'altro
«"Nuvole rosse" affronta la paura del diverso, il timore di discuterne e di confrontarsi con ciò che non ci somiglia. Le "nuvole rosse" rappresentano le nostre paure e quelle che ci vengono inculcate.» Bande rumorose in A1
“Bande rumorose in A1” torna con “Nuvole rosse”, un brano ironico, incalzante e amaro, scorre tra i luoghi comuni sul "diverso" e le potenziali minacce percepite. L'ironia presente smorza la rabbia e la tristezza di fronte alla mancanza di empatia e curiosità, chiudendo con una nota di colore vivo tra milioni di tonalità di grigio. "Nuvole rosse" è un blues semplice e ruvido, ma ricco di inventiva, esperimenti e diversivi musicali. È una storia da ascoltare e da vivere, che invita a riflettere sulle nostre paure e sul modo in cui affrontiamo l'altro.
Matteo Bosco è un cantautore friulano, nato a Palmanova e trasferitosi a Milano. Inizia come busker e, piano, piano, si avvicina alle prime registrazioni in studio. Con il nome d’arte di Teo Ho escono i primi dischi con la New Model: “I gatti di Lenin” (2014), “Il campo del vasaio” (2016). Nel 2023 esce, autoprodotto, “Reggae a Stalingrado”. Gran parte dell’attività artistica è basta sui live “voce e chitarra” in locali e circoli in varie parti d’Italia. Valeria Molina nasce a Vercelli, si avvicina al basso all' età di 17 anni, dedicandosi principalmente al genere metal, da sempre il preferito. Nasce in quel contesto il gruppo nu metal Black Monday, attraverso il quale acquisirà le prime esperienze live. Sarà poi l'incontro, nel 2017, con il maestro Gianni Cicogna a rendere più tecnico il suo approccio allo strumento, permettendole di sperimentare e spaziare in un più ampio ventaglio di generi, per poi approdare al progetto attuale. Nel 2022 Matteo conosce Valeria e inizia la collaborazione, nonché la nascita delle “Bande Rumorose In A1”. Collaborazione che, grazie all’incontro con Davide Tosches e Luca Swanz Andriolo, ha portato alla realizzazione di questo disco: “Gli Inquilini Del Sottoscala”. Dal 20 settembre 2024 il primo singolo “Faccio pena a Pavese” è in tutte le radio e digital store, seguito il 25 ottobre da “Nuvole rosse”.
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Pyre Fyre - Pyre Fyre
Pyre Fyre è il primo lavoro del power trio doom sludge stoner made in New Jersey formato da Danny Keigh al basso, Dylan Wheeler alla chitarra e Mike Montemarano alla batteria e voce. Autoprodotto nello studio The Lily Pad di Jersey City ed edito da Vina Records, l’album d’esordio dei Pyre Fyre è un’esplosione di contaminazioni che partono dal rock 70’s e arrivano al doom più attuale dei giorni…
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Il libro di Vannacci, autoprodotto, supera quello della Murgia nelle vendite.
Come volevasi dimostrare.
Ringraziamo la palese "superiorità culturale" sinistra, without whom etc.etc.
#autoinculanti #superioritàculturale
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"ADESSO SIAMO"
È uscito il nuovo brano di Faender, nome d'arte dell'artista musicale Andrea Arnaldi
Foto di Marzia Benincasa
Faender parlaci di te, cosa bolle in pentola?
Dopo una pausa dalla scena musicale locale, ho deciso di ripartire con una nuova consapevolezza e determinazione. Ho rispolverato la musica che avevo lasciato in sospeso, donandole una nuova voce, sia in termini di suono che di parole. Ho rivisitato una canzone scritta qualche anno fa, cambiandole il testo per renderlo più autentico, iniziando così un nuovo percorso artistico.
“Adesso siamo” è una riflessione sull’amore, sul rispetto per gli altri e soprattutto per se stessi, e sull’importanza di vivere il presente. Il messaggio centrale è che, indipendentemente da ciò che la vita ci ha insegnato, c’è sempre la possibilità di ripartire e di essere più consapevoli di ciò che siamo, anche in relazione agli altri.
I viaggi, da sempre fonte d’ispirazione per i miei testi, hanno influenzato anche questa canzone, che sarà la prima di una serie di singoli che comporranno un album intitolato “Adesso siamo”. Il brano è disponibile dal 18 ottobre su tutte le principali piattaforme di streaming (Spotify, Apple Music, YouTube Music, ecc.).
Ho sempre fatto parte di formazioni musicali come duo e trio acustici, oltre a progetti con band per cover. Per alcuni anni sono stato il frontman della Red Cat Jazz Band. Ho avuto un trio chiamato Glues Avenue, con cui abbiamo suonato molto, sia in Italia che in Europa, per circa tre anni.
Ho partecipato a vari progetti discografici, tra cui uno con la Red Cat, dove abbiamo realizzato cover e alcuni inediti swing, e un disco con i Glues Avenue, che include brani scritti da me e arrangiati insieme alla band. Ho collaborato anche con Swing Kids e contribuito a raccolte swing.
Attualmente sto portando avanti il mio primo vero progetto da solista, interamente autoprodotto. Di professione sono infermiere, e la musica, sebbene una passione profonda, non è mai stata il mio lavoro principale.
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