#auto ritrovata
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Ceccano, i vigili ritrovano un'auto rubata e la riconsegnano al proprietario
Era stata rubata a Ferentino nello scorso mese di maggio: la polizia municipale di Ceccano l’ha ritracciata in via Domenico Misserville, nei pressi del serbatoio, durante un pattugliamento. Il proprietario dell’auto, una Dacia bianca, andrà oggi a riprendersi la sua auto.
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Un sogno che sembrava troppo reale.
Avvertenza:
Non si tratta di un racconto auto-biografico.
Ogni riferimento a persone o a cose è puramente casuale, perché è un racconto di fantasia.
È un racconto crudo, che va a toccare dei tabù. Alle persone che sono particolarmente sensibili consiglio di fermarsi qui, o alla prima sensazione di disgusto o di imbarazzo.
PRIMA PARTE
Ero appena tornata a casa dal lavoro e avevo lasciato che Dicky, il pastore tedesco di mia cugina, uscisse nel cortile sul retro per fare i suoi bisogni. Si, mi ero prestata alle suppliche di Carla per poterle tenere il suo cane per due settimane perché doveva fare una seconda luna di miele con suo marito. Dicky era un bellissimo pastore tedesco di un anno e mezzo, mia cugina mi rassicurò dicendo che era già addestrato e addomesticato e che non dovevo avere nessuna paura di Lui, anzi le sarei stata grata perché mi avrebbe protetta da qualsiasi minaccia e poi è abbastanza amichevole, cercò di indorare la pillola dicendomi che io già gli piacevo. Nonostante queste raccomandazioni ero pervasa da uno stato d’inquietudine perché non ero abituata a vedere un cane in giro per casa. Appena i due piccioncini varcarono la porta mi assali un senso di disagio dovuto al fatto che d’ora in poi sarei rimasta sola con questo cane. Non riuscivo a spiegarmi il motivo di questo nervosismo. Forse tutto questo era dovuto al fatto che avevo avuto sempre sentimenti contrastanti nei confronti dei cani.
La ragione era dovuta al fatto che quando ero all’università una mia amica mi confessò che si era lasciata leccare la figa dal suo cane e aveva avuto un orgasmo da favola. Rimasi sconvolta dalla sua confessione. La notte successiva sognai che stavo a letto e il cane della mia amica si era intrufolato nel mio letto e ha cominciato a leccarmi la figa, mi sono svegliata di soprassalto e mi sono ritrovata madida di sudore, la mia figa fracida di succo ed era bastato che toccassi con le dita il clitoride per arrivare in un modo pazzesco. Subito dopo mi sentii mortificata. "Come ho potuto lasciare che ciò accadesse?” fu la domanda che mi posi. Rimossi subito tutto e non ebbi più sogni di questo tipo.
Guardando Dicky, tutti quei sensi di colpa, di imbarazzo e di lussuria, provati per quel sogno mi tornarono in mente. Ebbi improvvisamente paura. Paura di ciò che avrei potuto fare, di ciò che avrei potuto voler fare ora che ero sola con quel cane. Ero consapevole del disagio che avevo provato quando mia cugina mi lasciò il cane. Dopo questo smarrimento iniziale, giusto per tranquillizzarmi guardai il cane e gli dissi “Immagino che siamo solo tu ed io, Dicky" per smorzare il nervosismo mi versai un bel bicchiere scotch e sorso dopo sorso lo bevvi tutto. Dicky si avvicinò e si sdraiò a terra accanto a me. Pochi minuti dopo, cominciò a sentirmi molto più rilassata mentre lo scotch si diffondeva nel mio corpo. Sentivo un piacevole calore diffondersi dentro di me. A un certo punto sentì i la zampa di DIcky appoggiarsi sul mio piede. "Adesso non iniziare a farti venire le idee", gli dissi ridacchiando, mi alzai per andare a letto, e guardandolo improvvisamente arrossii guardando il cane e pensai "È decisamente maschio". La punta rosa del suo cazzo sporgeva! Ero totalmente imbarazzata. "Non posso credere che lo sto guardando!" pensai.
Agitata, andai velocemente nella mia camera. Ero confusa e mi sentivo piuttosto calda per il rapido consumo di scotch. "Ho bisogno di una doccia fredda o di un bagno caldo", sorrisi. Mi spogliai completamente e mi sdraiai I sul letto quando fui presa da un’eccitazione inspiegabile. All’improvviso, sentii uno schianto nel soggiorno, a quel punto mi ricordai che non ero sola e un piccolo brivido mi percorse la schiena. Uscii dalla camera e mi diressi in soggiorno. Una delle lampade era rovesciata. Niente di rotto. "Fortuna per te, Dicky", e mentre lo dicevo, un piccolo brivido mi percorse tutto il corpo. Dicky si avvicinò, sbattendo la coda e strofinandosi contro la mia gamba. “Anch'io sono felice di vederti, pazzo. Ora smettila di rompere le cose”, mi voltai per tornare in camera e vidi Dicky che mi seguiva da vicino. "Dove pensi di andare?" Dicky mi guardò con entusiasmo. "No, tu resta qui." si voltò e raggiunsi la porta. In un lampo, Dicky mi fu dietro, lo spinsi via e mentre mi chinai per farlo il cane si spinse in avanti e mi leccò un seno, gli urlai contro.
Dicky perpretò un secondo attacco e con la lingua mi sfiorò l’inguine, lo respinsi ancora una volta ma con meno risolutezza, Dicky ne approfittò per fare un successivo attacco e mi sfiorò il clitoride, sentii una scossa elettrica attraversarmi tutto il corpo. Una volta entrata mi sdraiai sulla schiena con le gambe penzolanti oltre il bordo. Dicky mi segui e spinse il muso in avanti, costringendomi ad aprire le gambe. "Ehi, aspetta ragazzo, comando io qui", dissi con un po’ d’incertezza. Dicky m’infilò la lingua nel mio inguine bagnato. Ben presto cominciò a leccare con gusto. Sentì che mi stavo rapidamente avvicinandomi all'orgasmo. Dicky spinse insistentemente la lingua dentro di me. Sentì di cedere alle sensazioni impetuose mentre un orgasmo mi travolgeva, fui sopraffatta dal senso di colpa. Allontanai il cane e afferrandolo per il collare, feci uscire la sua testa dal mio inguine Dicky opponeva resistenza si avvinghiava a me e intravidi il suo cazzo ,era eccitato, io rabbrividii al solo pensiero, lo sentii scivolare lungo la gamba. "Oh Dio, allontanati da me", urlai, improvvisamente fui presa dal panico. Gli tirai di nuovo il collare, cosa che non fece altro che tirare il cane più in alto sul mio corpo. Lo sentivo, ora premeva contro la mia coscia. Avvertii un'improvvisa ondata di paura, unita a un'incredibile e improvvisa lussuria. Lo sentivo duro... e scivoloso! "Quando la punta mi toccò l'inguine, venni una seconda volta senza preavviso. Abbracciai il cane mentre le onde pulsavano attraverso il mio corpo. All'improvviso, l'orgasmo si calmò e spinsi via Dicky e corsi in bagno, sopraffatta dal rimorso e dal senso di colpa. Tremavo come una foglia. Sbattei la porta del bagno e la chiusi a chiave. Tremavo, sopraffatta dalla vergogna. Mi guardai allo specchio e distolsi lo sguardo. Non potevo credere a quello che era quasi successo e pensare che ero pronta a lasciare che accadesse. Mi sedetti sulla tazza del water stavo ancora tremando. Pensai all'orgasmo che fu improvviso e potente... e sbagliato. “Una cosa era”, pensai, “lasciarmi leccare finché non arrivassi. Ma questo…” sapevo nel mio cuore che tremavo non solo per la vergogna. Era anche lussuria e desiderio. Ma così sbagliato, così vergognosamente sbagliato. Rimasi seduta in bagno per più di un'ora, piangendo e torcendosi le mani, sperando che Dicky tornasse nel suo letto in soggiorno. Alla fine mi decisi a uscire e Dicky non c��era, era davvero nell'altra stanza. Corsi in camera e mi fiondai sul letto, dove immediatamente crollai sopraffatta.
P.S.
Le parti che seguono le posterò solo su richiesta e in privato, a meno che ci siano un numero importante di likes (almeno 10). In questo caso proseguirei a postarli in pubblico.
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A Mario mancano tre anni alla pensione, da 35 è impiegato nella grande distribuzione, in un supermercato Pam di Corso Svizzera a Torino.
A un certo punto la vita comincia a precipitare: il mutuo di casa schizza alle stelle, sua moglie si ammala. Mario stringe i denti, dà fondo ai risparmi. Ma con questi lavori mica metti in banca milioni e i risparmi finiscono presto.
Un giorno perde la testa, sono parole sue, e ruba sei uova e una scamorza affumicata dagli scaffali del supermercato, gli stessi che aveva riempito e su cui aveva vigilato per tanti anni. Lo beccano subito perché lui non è un ladro di professione, è solo un uomo disperato e affamato. Appena viene sorpreso con la scamorza nel sacco, ammette tutto e chiede scusa: “Ho sbagliato, ma vivo una situazione privata ed economica al limite del sostenibile. Non è una giustificazione, solo una spiegazione”.
All’azienda le scuse e la mortificazione non bastano. Il licenziamento in tronco arriva per raccomandata: “Appare particolarmente grave che lei abbia deliberatamente prelevato dagli scaffali di vendita alcune referenze per un valore complessivo di 7,05 euro e sia poi uscito dal negozio senza provvedere al pagamento delle stesse. Le scuse da lei fornite non possono giustificare in alcun modo l’addebito contestato. Considerati violati gli obblighi generali di correttezza, diligenza e buona fede, ritenuto venuto meno l’elemento fiduciario, avendo abusato della sua posizione all’interno dell’organizzazione a proprio indebito vantaggio e a danno della società, le comunichiamo la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa”.
I sindacati, giudicando la misura del licenziamento sproporzionata, hanno fatto ricorso.
Anche Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili, ruba un mezzo pane e per tutta la vita viene inseguito da Javert, il poliziotto che diventerà il simbolo universale della giustizia ottusa e, appunto, sproporzionata.
Ma questi sono gli aggettivi della burocrazia e dei tribunali, abbiamo bisogno di altre parole per capire un sistema disumano, che si basa su uno schiavismo legalizzato che (anche) nella grande distribuzione trova terreno fertile.
Questo sistema feroce – in cui si sono polverizzate le reti sociali (in un alimentari a gestione familiare la vicenda di Mario sarebbe andata a finire nello stesso modo?) e milioni di individui sono esposti alle intemperie del mercato – è pensato a discapito della maggioranza e a vantaggio dei pochi che si spartiscono le ricchezze del mondo, con l’avallo dei governi.
Il nostro, nonostante una situazione di crescente, paurosa povertà, ha abolito il Reddito di cittadinanza anche grazie a un’indegna campagna di stampa portata avanti dai principali giornali italiani per conto di lorsignori.
In un bel libro appena uscito per Einaudi, Antologia degli sconfitti, Niccolò Zancan mette in fila le storie dei nuovi Valjean: nella discesa agli inferi dell’emarginazione gli apre la porta Egle, un’anziana signora che fruga nell’immondizia del mercato di Porta Palazzo, in cerca di verdura per fare il minestrone. Ma nella vita di prima c’erano state una casa, una famiglia, le vacanze a Loano sulla 500. Poi si è ritrovata a vivere con la pensione di reversibilità del marito e la dignità perduta in un cassonetto della spazzatura.
In questo atlante della disperazione c’è tutto il catalogo degli emarginati: un padre separato, un senzacasa che dorme in auto, un cassintegrato, prostitute, migranti, rider. E un ladro di mance che viene licenziato come Mario. L’aiuto cuoco gli dice: “Da te non me lo sarei mai aspettato”. E lui gli risponde, umiliato, “nemmeno io”.
Invece è tutto prevedibile e ha un nome semplice: si chiama povertà. Dei poveri però non frega niente a nessuno, incredibilmente nemmeno dei lavoratori poveri: sono solo numeri nelle statistiche dell’Istat.
Finché non rubano sei uova e una scamorza.
(Silvia Truzzi, FQ 29 febbraio 2024) da Tranchida.
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IL MIO DIFFICILE RAPPORTO CON LA TAC
Domani devo fare una TAC con mezzo di contrasto per il solito motivo: il simpatico Linfoma Non Hodgkin che ha deciso di entrare nella mia vita. E ho rispettato una tradizione. Ogni volta che devo svolgere questo esame, il mio coefficiente di imbecillità supera il livello di guardia.
L'altra volta ho dimenticato la borsa con i documenti sanitari alla fermata dell'autobus, ma il destino è stato misericordioso perché poi l'ho ritrovata. Stavolta ho fatto un'altra boiata, per fortuna senza conseguenze.
Ma andiamo con ordine.
Alcune settimane fa ho avuto la visita oncoematologica e mi hanno prescritto un'immensa quantità di esami, tra cui questa TAC.
Purtroppo i medici non me l'hanno prenotata nell'ospedale che mi ha preso in carico. Hanno detto: "Eh, a differenza di un esame tipicamente rivolto ai pazienti oncologici come la PET, la TAC non possiamo prenotarla noi, perché riguarda una platea molto più vasta. Devi pensarci da solo". Mi aspettavo che aggiungessero: "Niente di personale, amico". Ma so bene che non è colpa dei medici. La colpa è del sistema.
Insomma: l'ospedale mi ha preso in carico, ma non per la TAC. E sapete come funziona? Quando prenoti tu un esame con la ricetta, molte cose possono andare storte. Diventa un'avventura, un'impresa, qualcosa di rocambolesco. La tua missione è chiara: ottenere una data col Sistema Sanitario Nazionale in tempi possibilmente inferiori a un'era geologica.
Abito in provincia di Milano, ma ho fatto una ricerca estesa a tutta la Lombardia, perché ovviamente a Milano e provincia non c'era nulla. E mi è capitato un incredibile colpo di fortuna. Una data fantastica: 20 agosto in provincia di Bergamo, a mezz'ora di auto da casa mia. Forse si è trattato di una congiunzione astrale. Forse si è liberato un posto per una disdetta.
E veniamo alla boiata.
L'altra volta, prima della TAC, avevo fatto le analisi del sangue per misurare il livello di creatinina. Senza il valore della creatinina, ti rimandano indietro.
Questa incombenza è sempre indicata nei fogli riguardanti la preparazione in vista della TAC.
Stavolta li ho letti? Ma certo che no. Il motivo: "Li leggo il giorno prima, tanto sono le solite cose: stare a digiuno, eccetera".
Stamattina mi sono detto: "Tanto per scrupolo, controlliamo un po' quei fogli". E la terribile verità si è manifestata.
Leggerissimo attacco di disperazione: "Vuoi vedere che mi sono giocato qualcosa che somiglia alla vittoria della lotteria?".
A parte quel mirabile 20 agosto, ricordo date improponibili in province lontanissime. Qualcosa tipo: gennaio 2025.
In teoria, nel caso di date assurde, la TAC si può fare privatamente e chiedere un rimborso. Almeno credo. Ma questo significa altre menate, altri fastidi, altra burocrazia. Niente è paragonabile alla possibilità di risolvere tutto in 24 ore presentandosi a un appuntamento già fissato.
Beffa del destino: l'esame della creatinina è nell'elenco dei mille esami ematochimici raccomandati per il giorno prima della prossima visita ematologica. Forse l'esame è uscito dalla mia mente per questo. Nel mio cervello era programmato per il 28 agosto.
Ero sull'orlo delle lacrime.
Poi mi è venuta in mente un'opzione che in un primo momento avevo escluso.
Mi sono messo a riflettere: "Ho dormito poco questa notte, ma non ho mangiato nulla. Nemmeno un tozzo di pane o un cracker".
A volte in casa ci sono schifezze che sgranocchio di notte per l'ansia. È un'abitudine poco salutare, non prendete esempio da me.
Stavolta no. Armadio della cucina privo di snack. Frigo vuoto. Stomaco vuoto.
Sapete cosa significa?
Ho capito di poter fare l'esame della creatinina oggi.
Dubbio: "Ma otterrò il risultato in tempo?".
Mentre ci pensavo, sono uscito di casa. Non avevo alternative.
Ho fatto una corsa a perdifiato verso il laboratorio di analisi più vicino, perché non ho la macchina.
C'è un laboratorio nel paese in cui abito.
Altro dubbio: "Ma sarà aperto?".
Sono giunto a destinazione e ho scoperto che ha riaperto proprio oggi, dopo la chiusura estiva. Un po' di fortuna ogni tanto ci vuole.
Ho fatto la fila e ho spiegato la situazione.
La signora dell'accettazione è stata gentilissima: "Lei è ancora in tempo: ho prescritto l'urgenza. Risultati entro oggi". Io mi sono esibito in ringraziamenti sperticati e iperbolici: "Mi avete salvato la vita!". E la signora dell'accettazione: "Che bello, ogni tanto salviamo vite".
Quindi alla fine è andato tutto bene. Ho fatto l'esame della creatinina. Ho già avuto il risultato. Domani potrò fare la TAC.
E ora stiamo a vedere.
[L'Ideota]
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22novembre2024 Ultimamente mi sono ritrovata a chiedermi: perché è così difficile fare la cosa giusta, la cosa che sappiamo ci porterebbe a stare meglio, anche quando sappiamo che ci farà stare meglio? Perché ci aggrappiamo disperatamente alle nostre cattive abitudini, ai nostri pensieri distruttivi, alle versioni meno rifinite di noi stessi? Forse è perché lo percepiamo come più facile, meno faticoso. In realtà credo che sia perché è quello che ci sembra una non-scelta. È un rilassarsi, mollare il volante, deresponsabilizzarsi. L'alternativa è scegliere ogni giorno, più volte al giorno, di stare scomodi, di affaticarsi nel cercare di migliorarsi, nel fare le cose con cura, senza tralasciare dettagli. In realtà, credo che spesso semplicemente non vediamo la fatica che serve per mantenere le nostre cattive abitudini, perché ormai siamo totalmente anestetizzati al loro costo. Ma un costo ce l'hanno, e ci rendiamo conto di quel sacrificio auto-inflitto quando arriviamo la sera distrutti, pur con la sensazione di non aver fatto nulla di buono o produttivo nella giornata, oppure quando ci troviamo paralizzati in un ciclo di infelicità, ripetendo atteggiamenti e scelte che consolidano la nostra condanna. La verità è che mantenere le nostre cattive abitudini ci costa almeno quanto mantenerne di buone, ma ci illudiamo che sia altrimenti perché abbiamo la sensazione di essere passivi, di "non fare niente", non scegliere. In realtà il conto ci viene portato ugualmente, abbiamo solo rinunciato al controllo, a decidere come e con cosa pagarlo.
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Richard Ramirez, all'anagrafe Ricardo Leyva Muñoz Ramírez (El Paso, 29 febbraio 1960 – Greenbae, 7 giugno 2013), è stato un serial killer statunitense.
Soprannominato dai media "Night Stalker", il cacciatore della notte, uccise almeno 16 persone dal 10 aprile 1984 al 24 agosto 1985.
Il 31 agosto 1985 è stato catturato ed affidato nelle mani della giustizia. È stato condannato nel 1989 alla camera a gas per 41 crimini, tra cui 16 omicidi. La sua esecuzione doveva avvenire tramite gas letale nell'estate 2006, ma la Corte suprema nel 2007 ha accolto l'ultimo appello di Ramirez, facendo slittare l'esecuzione in data da designarsi, esecuzione mai avvenuta vista la prematura morte dell'assassino. Anche Ramirez ha trascorso gli anni in prigione, come John Wayne Gacy, dipingendo quadri.
Julian e Mercedes Ramirez ebbero cinque figli, e il quinto nato fu Richard Ramirez. La madre era cattolica, e suo padre un ex poliziotto in seguito passato a lavorare come operaio sull'autostrada di Santa Fe. Il padre di Richard credeva fermamente nelle punizioni corporali come metodo educativo. Era molto legato alla sorella Ruth Ramirez.
Ramirez potrebbe essere stato influenzato verso l'assassinio da suo cugino, Mike, un veterano della Guerra del Vietnam che spesso si vantava con lui di aver ucciso e torturato decine di nemici, mostrandogli anche delle foto Polaroid delle vittime. Queste includevano immagini di svariate teste decapitate di donne vietnamite, con le quali in altre foto Mike praticava del sesso orale. Ramirez era presente la notte in cui Mike sparò alla moglie, uccidendola. Richard aveva 13 anni all'epoca.
Il 10 aprile 1984 qualcosa fece scattare nella mente di Ramirez voglia di uccidere e di intraprendere una lunga mattanza che lo vede come protagonista fino al 31 agosto 1985, giorno della sua cattura. Nell'hotel dove lavorava vide una bambina con il fratello più piccolo che piangeva perché aveva perso una banconota. Ramirez attirò la bambina nel seminterrato facendole credere di aver visto la banconota, la violentò, la uccise e appese i suoi vestiti su un tubo di aerazione. Il caso non fu preso in considerazione ma, dopo l'arresto di Ramirez, nel 2009 gli investigatori attribuirono l'assalto come responsabilità di Ramirez, portando il numero delle vittime a 16.
Il 28 giugno 1984 Ramirez decise di intraprendere la furia omicida nuovamente e di spostarsi a Glassell Park, una zona a nord di Los Angeles. Forzò una porta e fece così spaventare Jennie Wincow, una anziana donna. La assalì, la torturò, la uccise e scappò di fretta. A causa della poca risonanza mediatica questo caso fu poco preso in considerazione e, ancora oggi, sono in corso accertamenti dalla parte della polizia per cercare di attribuire questo delitto atroce a Ramirez.
Il 20 febbraio 1985 Ramirez attaccò due donne in età avanzata nella loro casa a Telegraph Hill nella contea di Los Angeles, pugnalandole a morte.
Il 17 marzo 1985, Ramirez attaccò la ventiduenne Maria Hernandez fuori dalla sua abitazione, sparandole prima di entrare nella casa della ragazza. Dentro trovò Dayle Okazaki, 34 anni, che Ramirez uccise immediatamente. La Hernandez invece sopravvisse. Il proiettile sparatole da Ramirez era rimbalzato sopra le chiavi di casa che la ragazza aveva istintivamente portato al petto per proteggersi dal colpo.
Dopo circa un'ora dall'omicidio della Okazaki, Ramirez colpì nuovamente all'interno del Monterey Park. Sulla scena del delitto fu ritrovato un cappellino da baseball con il logo degli AC/DC.
Assalì la trentenne Tsai-Lian Yu, trascinandola fuori dalla sua auto e sparandole due colpi di arma da fuoco prima di fuggire. La ragazza venne ritrovata ancora in vita da un poliziotto, ma spirò poco prima dell'arrivo dell'ambulanza. I due omicidi ebbero una grossa risonanza nei media locali, scatenando il panico tra i residenti delle zone colpite.
Il 27 marzo Ramirez sparò a Vincent Zazzara, 64 anni, e a sua moglie Maxine, 44. Il corpo della signora Zazzara fu violentato e mutilato con diverse coltellate e le venne incisa la lettera T sul seno sinistro, mentre le furono cavati anche gli occhi. I cadaveri di Vincent e Maxine furono scoperti nella loro abitazione di Whittier dal figlio della coppia, Peter. L'autopsia determinò che le varie mutilazioni erano avvenute post-morte. Ramirez lasciò delle impronte di scarpe da ginnastica marca Avia sul luogo del delitto, che la polizia fotografò ed archiviò. All'epoca questi erano gli unici indizi in possesso della polizia. I proiettili trovati sulla scena del crimine furono confrontati con quelli rinvenuti durante i precedenti omicidi, e gli agenti capirono di trovarsi di fronte ad un assassino seriale. Gli omicidi erano infatti opera della stessa persona.
Due mesi dopo l'uccisione degli Zazzara, Ramirez attaccò una coppia di cinesi: Harold Wu, 66 anni, e sua moglie, Jean Wu, 63. L'uomo venne ucciso con un colpo di pistola alla testa, mentre la donna venne picchiata, legata, e ripetutamente violentata. Per ragioni sconosciute, Ramirez decise di lasciarla in vita. Gli impulsi omicidi di Ramirez si facevano di giorno in giorno più violenti. Lasciava dietro di sé sempre più indizi, e fu in questo periodo che venne soprannominato "The Night Stalker" dai mass media. Le vittime sopravvissute descrivevano il killer come un uomo alto di etnia ispanica con lunghi e ricci capelli neri, il viso scarno e allungato e la dentatura in pessime condizioni.
Il 29 maggio 1985 Ramirez assaltò Malvial Keller, 83 anni, e la sorella disabile di lei, Blanche Wolfe, 80 anni, picchiandole entrambe con un martello. Ramirez cercò anche di violentare la Keller, senza però riuscirvi. Utilizzando un rossetto disegnò un pentacolo sulla parete della stanza da letto e su una coscia dell'anziana donna. Blanche sopravvisse all'attacco. Il giorno seguente, Carol Kyle, 41 anni, fu legata, picchiata e sodomizzata da Ramirez, mentre il figlioletto undicenne della donna era stato rinchiuso nell'armadio dal killer.
Durante giugno e luglio, altre tre donne furono uccise. Due ebbero la gola tagliata, una picchiata a morte, tutte e tre furono assalite nelle loro case. Il 26 giugno Ramirez rapì di notte prelevandola dalla sua stanza la piccola Anastasia Hronas, una bambina di 6 anni; dopo averla ripetutamente violentata la lasciò libera abbandonandola nei pressi di un benzinaio.
Il 5 luglio Whitney Bennett, 16 anni, e Linda Fortuna, 63, furono attaccate da Ramirez, ma riuscirono entrambe a sopravvivere. Il 20 luglio Ramirez colpì addirittura due volte nello stesso giorno. A Sun Valley sparò, uccidendolo, a un uomo di 32 anni, Chitat Assawahem, mentre la moglie Sakima, 29 anni, fu picchiata e costretta ad un rapporto orale. Ramirez sodomizzò anche il figlioletto di 8 anni della coppia davanti agli occhi della madre. Più tardi lo stesso giorno assalì una coppia a Glendale, Maxson Kneiding, 66 anni, e sua moglie Lela, anche lei 66 anni; entrambi furono uccisi e i cadaveri mutilati.
Il 6 agosto Ramirez sparò sia a Christopher Petersen, 38, sia alla moglie di lui, Virginia, 27. Miracolosamente, sopravvissero entrambi. L'8 agosto seguente, Ramirez colpì a Diamond Bar, uccidendo Ahmed Zia, 35 anni, e poi violentò la moglie dell'uomo, Suu Kyi, 28 anni.
Successivamente Ramirez lasciò la zona di Los Angeles, e il 17 agosto, uccise un uomo di 66 anni a San Francisco, picchiando e sparando anche alla moglie dell'uomo. La donna riuscì a sopravvivere e fu in grado di identificare il suo assalitore dagli identikit preparati dalla polizia. Sulla scena del crimine, Ramirez utilizzò un rossetto per disegnare un pentacolo e scrivere le parole "Jack the Knife" sul muro della stanza da letto, poi, dopo aver rubato del cibo dal frigorifero, vomitò sul pavimento in cucina e si masturbò sul tappeto del salotto.
La svolta decisiva nel caso ebbe luogo il 24 agosto 1985, Ramirez viaggiò per cinquanta miglia dal sud di Los Angeles a Mission Viejo, ed irruppe nell'appartamento di Bill Carns, 29 anni, e della fidanzata, Inez Erickson, 27. Ramirez sparò in testa a Carns e violentò Erickson. La costrinse ad inneggiare a Satana e poco dopo, la forzò ad un rapporto orale. Poi la legò e se ne andò. Erickson riuscì a strisciare fino alla finestra e a scorgere l'auto di Ramirez, una Toyota station wagon di colore arancio. Fu inoltre in grado di dare una descrizione dettagliata del criminale alla polizia. Un adolescente identificò l'auto della quale aveva sentito parlare al notiziario, e si segnò la targa del veicolo. L'auto rubata venne rinvenuta il 28 agosto, e la polizia riuscì ad ottenere le impronte digitali dell'assassino prelevandole dal finestrino di una portiera dell'auto. Le impronte si rivelarono quelle del già schedato Richard Muñoz Ramirez, descritto come un venticinquenne ispanico con una lunga serie di precedenti per stupro e spaccio di droga.
Due giorni dopo, la sua foto segnaletica venne trasmessa in televisione e stampata sui principali quotidiani della California. Ramirez fu riconosciuto, circondato e quasi linciato da una folla di passanti a East Los Angeles mentre stava cercando di rubare un'auto. Gli agenti accorsi sul posto dovettero disperdere la folla per impedire che i cittadini inferociti uccidessero Ramirez.
L'udienza preliminare per il caso iniziò il 22 luglio 1988, e si concluse il 20 settembre 1989 con Ramirez ritenuto colpevole di 13 omicidi, 5 tentati omicidi, 11 violenze sessuali, e 14 furti con scasso.
Durante la fase penale del processo, il 7 novembre 1989, Ramirez fu condannato a 19 pene di morte. Il processo di Richard Ramirez fu uno dei più lunghi e complessi procedimenti giudiziari della storia americana. Più di 100 testimoni furono chiamati a deporre durante i dibattimenti, e mentre alcuni faticavano a ricordare precisamente avvenimenti accaduti quattro anni prima, altri si dissero sicuri che l'assassino fosse proprio Richard Ramirez, il quale si presentò in aula con un pentacolo tatuato sul palmo di una mano esclamando "Ave Satana!".
Il 3 agosto 1988 il Los Angeles Times riportò la notizia che alcune guardie carcerarie avevano raccontato di aver sentito Ramirez che diceva di voler sparare al procuratore distrettuale in aula, con una pistola che intendeva contrabbandare in tribunale di nascosto.
Di conseguenza, venne installato un metal detector all'entrata dell'aula e furono disposti severi controlli. Il 14 agosto il processo fu interrotto perché uno dei giurati, tale Phyllis Singletary, non si presentò in aula. Più tardi quello stesso giorno la donna venne rinvenuta cadavere nel suo appartamento, uccisa da un colpo di arma da fuoco. La giuria rimase terrorizzata dall'evento; nessuno sapeva se Ramirez aveva avuto indirettamente qualcosa a che fare con l'omicidio, orchestrando il tutto dalla sua cella. In realtà Ramirez non era responsabile della morte della Singletary: la donna era stata uccisa dal suo fidanzato, che in seguito si suicidò.
All'epoca del processo, Ramirez aveva numerose fan che gli scrivevano appassionate lettere d'amore in carcere. A partire dal 1985, la giornalista freelance Doreen Lioy gli scrisse circa 75 lettere durante la sua incarcerazione. Nel 1988 Ramirez le propose di sposarlo, e il 3 ottobre 1996 la coppia si sposò nel carcere di San Quintino. La Lioy ha ripetutamente affermato che si sarebbe suicidata il giorno in cui Ramirez fosse stato giustiziato.
Richard Ramirez è morto per insufficienza epatica nel giugno 2013 all'età di 53 anni, mentre era detenuto nel Carcere di San Quintino.
youtube
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Ieri sono entrata in macchina di non so chi per sbaglio. Pensavo fosse la macchina di mio padre e la chiave l'ha aperta, ma una volta dentro mi sono accorta che non era la sua (mi ci è comunque voluto un po' per capirlo). Poi sono corsa fuori e non l'ho nemmeno richiusa perché ero un po' sotto shock
E nello shock l'ho raccontato in degli audio a L, lui non risponde ora e mi sento una scema ad averlo fatto
Però che esperienza regaz le chiavi delle macchine che aprono altre auto a caso che storia
E il tipo dell'auto in cui sono entrata che l'avrà ritrovata aperta chissà che avrà pensato
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L' Importanza dell' Equilibrio tra gli Emisferi Celebrali.
L' Importanza dell' Equilibrio tra gli Emisferi Celebrali. Periodicamente mi capita di ricadere nell' onicofagia e questo disturbo che mi perseguita ormai da 42 anni, provoca in me un profondo disagio e abbassamento della mia autostima. Cerco di lavorare assiduamente su questo disturbo attraverso meditazioni, allineamento ed equilibrio dei chakra, auto-trattamenti reiki, auto-trattamenti di guarigione sciamanica, ecc......... ma mi rendo conto che la "guarigione" legata all' onicofagia dura qualche mese e poi si ripresenta. La scorsa notte rassegnata e sconsolata, mi sono coricata domandando all' Universo perche' mi stia capitando questo disturbo ricorrente, perche' questo disturbo (l'onicofagia) si ripresenta con cadenze ben precise. Ho rivolto all' Universo il chiaro desiderio di voler smettere di essere sopraffatta dall' onicofagia, non la voglio piu' e non capisco nemmeno da dove derivi! Mi sono addormentata e mi sono ritrovata in un luogo con presenza di luce bianca, ero nell' appartamento in cui ho vissuto da piccola, mi sono guardata attorno e c'ero solamente io. Mi sono avvicinata alla porta della sala e li c'era mia madre con i suoi lunghi capelli a boccoli neri che, seduta sul divano fumava e piangendo ascoltava le canzoni di Julio Iglesias; nella mano destra teneva la sigaretta e la mano sinitra era destinata all' atto di mangiarsi le unghie, irrequieta, nervosa, frustrata, insoddisfatta. Sono rimasta li sulla porta della sala triste per cio' a cui avevo assistito e in quell' istante mi sono immediatamente trovata in un ambiente diverso; ero in un ospedale seduta su una sedia (sembrava una sedia da dentista), difronte a me vedevo solamente una parete bianca e due uomini alle mie spalle che parlavano. I due medici si confrontavano e il medico dientro la mia spalla sinistra diceva all'altro : come vogliamo procedere? Il secondo medico dietro alla mia spalla destra ha ribattuto dopo qualche istante di silenzio : il problema e' qui, dobbiamo operare! Ho percepito qualcosa che in modo delicato mi rasava la testa sul lato destro. Il medico dietro la mia spalla destra si e' posto di fronte a me e mi ha detto : dobbiamo operarti la testa, il problema e' qui! Ha preso in mano uno specchio e mi ha mostrato il mio cranio rasato (solo sul lato destro); appena sotto la pelle era visibile una protuberanza che aveva una forma rettangolare e sopra di essa era presente un' altra forma (sembrava una pastiglia-capsula). Sconvolta da quella protuberanza senza pensarci troppo a grande voce ho risposto : operatemi subito, rimuovetela immediatamente! Ma sentiro' dolore? Il medico dietro alla mia spalla sinistra ha detto a voce alta : No tranquilla, ti faremo un anestesia che addormentera' tutta la scatola cranica e non sentirai assolutamente nulla!
Mi sono svegliata alla mattina e istintivamente ho iniziato a fare ricerche : anatomia del cervello, composizione del cervello, composizione degli emisferi celebrali, funzione degli emisferi celebrali, insomma ho cercato e ricercato finche' non ho appreso. Ho capito dalle mie ricerche che e' molto importante portare equilibrio tra gli emisferi celebrali, molti disturbi che si presentano nell' individuo spesso sono causati proprio dall' assenza di equilibrio tra l' emisfero sinistro e l' emisfero destro. Ho appreso personalmente che se l' emisfero sinistro e' attivo ma l' emisfero destro no (mancanza di equilibrio), compaiono sintomi quali : depressione, insoddisfazione, frustrazione, apatia, mancanza di iniziativa, onicofagia, stanchezza costante, mancanza di motivazione e molto altro. Associavo questi sintomi al cambio di stagione, forse alla noia, ma poi ho iniziato a lavorare con esercizi che mi aiutassero a portare in sintonia ed equilibrio i miei emisferi celebrali, cosi mi sono resa conto in modo immediato che questi sintomi venivano immediatamente sostituiti con nuova motivazione, nuova creativita' , nuovo entusiasmo, insomma ho sentito come una finestra che si apriva su un paesaggio verde e pieno di fiori! Da cio' che e' stata la mia esperienza personale, e' molto importante imparare ad ascoltare e connettersi attivamente al proprio corpo e ai suoi meccanismi di difesa. Ho intrapreso cosi anche questo lavoro su me stessa, tenere equilibrati gli emisferi celebrali perche' e' grazie ad esso se riusciamo a dar vita alla vera essenza di noi stessi, a quella parte pura e autentica che risiede in noi! Vi allego qui sotto la meditazione / esercizio che utilizzo io per mantenere in equilibrio gli emisferi celebrali : https://youtu.be/YLu8dnCJQiA Sentitevi liberi di fornirmi spunti per migliorare ed apprendere maggiormente su questo tema molto importante per me, importante per la mia crescita personale! Grazie a tutti i miei lettori!
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Flusso di emozioni.
Sin dalla tenera età di sei anni ho considerato la lettura uno dei miei passatempi preferiti oltre che una parte integrante del mio essere: amavo divorare libri senza soluzione di continuità. Oggi ho capito che più che una passione per la lettura, la mia era (e tuttora è) l’incessante ricerca di qualcosa che potesse riempire un vuoto. Insomma, sono arrivata alla conclusione che non sono capace di colmare le mie mancanze autonomamente, non sono capace di trovare esternamente qualcosa che mi renda meno angosciata.
Quindi il mio approccio con le parole di altri ha un fine binario.
In prima battuta quello di ricercare pezzi di me nelle espressioni degli altri: la soddisfazione che provo nel rileggermi in citazioni di altri è impagabile. La passione per la lettura era un’incessante possibilità di interfacciarmi con persone, cose, situazioni, fatti che mi erano assimilabili. Ciò non significa che al termine di questa ricerca io mi senta appagata, eppure per qualche secondo sento un’effimera e ritrovata leggerezza.
La seconda ragione è senza dubbio che l’essere umano, innatamente, riesce ad alleggerire il peso dei propri dolori quando vede che questi sono condivisi da altri. Insomma, un po’ come se tirassi un sospiro di sollievo al pensiero di non essere l’unica destinataria di quella tipologia di sofferenza. Cercare nelle parole degli altri l’espressione di un malessere in atto, riesce verosimilmente a renderci meno soli e più consci della probabile evoluzione di questa malinconia.
Non sono una persona particolarmente tollerante da tanti punti di vista. Quando soffro, lo sono ancora meno. Ho la necessità di cercare instancabilmente una via alternativa, una scorciatoia fugace allo stato d’animo che mi sta avvolgendo.
Questo comporta non solo un maggiore dispendio di energie, ma anche e soprattutto un aggravio delle mie patie dato dall’infruttifera ricerca di un’uscita di emergenza. Sono perfettamente consapevole di quanto sia importante affrontare il proprio dolore e attraversarlo per potersene liberare. Eppure la mia più grande caratteristica è proprio quella di vivere in bilico tra una perfetta consapevolezza del ‘giusto’ (se così lo vogliamo considerare) e la mia voglia spropositata di perseguire l’esatto opposto.
Mia madre mi dice che sono masochista, che mi sento completa solo nel momento in cui soffro. Ed è per questa ragione che sono una maestra dell’auto sabotaggio.
E forse, dopo anni di terapia discontinua, queste sono state le parole che più mi hanno fatto male. La realizzazione di andare alla continua ricerca dell’INfelicità è una condanna che non so se sono capace di sostenere.
Questo mi fa ragionare su quanto sia importante la figura genitoriale nei primi (almeno) sedici anni di vita del figlio. I traumi che, consciamente o meno, si vivono fino all’adolescenza inoltrata creano dei danni irreparabili. O almeno così è stato con me.
Forse per questo l’idea di un figlio mi fa così tanta paura, per lo stesso motivo per cui ho paura delle relazioni: non condannerei mai un altro essere umano a ciò che ho vissuto. Non vorrei mai che fosse così intelligente da cercare nella terapia e nell’introspezione i motivi della sua instabilità emotiva, della sua insoddisfazione nei confronti di se stesso e del mondo, del suo costante senso di inadeguatezza. Finirebbe per odiarmi, per maledire il giorno in cui i suoi genitori, che si sono poi rivelati incompatibili, hanno deciso di farlo nascere decretando la sua sentenza in modo inequivocabile.
Non so se sia possibile curare queste ferite, o almeno imparare a conviverci allentando il ruolo che ricoprono nella mia quotidianità e nei miei rapporti interpersonali. Ma non sono neanche nella condizione di cercare aiuto, di riprendere la terapia. Sempre per lo stesso bisogno di auto sabotaggio. Alla vista di un possibile spiraglio di luce mi ritraggo spaventata per paura che il dolore che mi caratterizza possa abbandonarmi.
La mia fobia dell’abbandono forse si è aggrappata all’unica costante nella vita di ogni uomo: la sofferenza. E’ come se fosse una certezza incrollabile a cui non sono pronta a rinunciare. Tutti passano, tutto ha una fine ma il dolore no.
Questo meccanismo così tanto malato e distruttivo governa la mia esistenza.
Provo inutilmente a creare dei diversivi per convincermi che alla fine non sia questo il mio destino, che sono capace di crearmi dei momenti felici come chiunque altro. E in fondo in fondo ci riesco, ma il tempo che posso dedicare a tale serenità d’animo è severamente centellinato. Sento la mia ‘pancia’ (come dice la mia dottoressa) che dopo un periodo di tempo ben definito mi richiama alla base, mi ricorda che quella non sono io.
Non so bene come definire questo mio flusso di coscienza. Probabilmente non c’è bisogno che sia definito proprio perchè è un flusso. Quello che so è che ho sempre ritenuto che le più grandi opere letterarie siano sempre state frutto di un senso di incompletezza.
Nei momenti gioiosi l’unico obiettivo è quello di viverli a pieno, di provare a tenerli impressi con la vana idea che possano essere d’aiuto nello sconforto. E’ in questi ultimi che nasce la poesia.
La letteratura, quindi, a mio parere è frutto del tormento. Quando sono particolarmente angosciata sento questa necessità di esprimermi (non che abbia la presunzione che questa possa essere letteratura).
Magari per la ragione di cui parlavo all’inizio di questa mia storia. Siamo animali sociali, e anche se non per forza dal vivo, ricerchiamo quel senso di condivisione, di appartenenza ad una categoria che ci possa rappresentare. Che poi è lo stesso criterio di selezione della musica che ascolto. Non ho un genere che vada per la maggiore nelle mie preferenze, eppure se la canzone non ha qualcosa che parli di me, non riesce a rapirmi.
Il marasma di elementi che ho voluto concentrare in queste righe mi porta ad affrontare la principale motivazione per cui, ad oggi, verso in questo stato di perenne insoddisfazione.
Dopo i suddetti anni di incostante terapia, sono arrivata alla realizzazione che nonostante io voglia una relazione con tutte le mie forze, inconsciamente ne sono spaventata. Quindi sono capace di attrarre solo persone emotivamente indisponibili.
Non c’è niente di più coerente con il mio masochismo che questa ennesima sfaccettatura del mio carattere. E’ proprio grazie alla mia fame di infelicità che non sarò capace di amare qualcuno che possa ricambiare, che possa darmi cosa sto apparentemente cercando. Insomma, l’unica caratteristica positiva che sicuramente posso riconoscermi è quella della coerenza di pensiero e azioni.
Sono attratta da persone che non possono o non vogliono impegnarsi, e l’affetto nei loro confronti è così tanto coinvolgente da essere perfettamente proporzionale al dolore che provo nel momento della realizzazione della loro indisponibilità. C’è sempre un momento ‘x’ in cui la realtà mi cade addosso, sorda alle mie grida di aiuto e alla mia parziale incredulità.
C’è sempre il momento in cui tutti i tasselli del puzzle combaciano per dare vita ad una scena già vissuta, già affrontata, già familiare. Non c’è scampo a questa situazione. Anche le persone che a primo impatto sembrano discostarsi da questo prototipo, in realtà mascheratamente ricadono nella stessa categoria.
Anche qui vivo nella dicotomia tra la ricerca di un partner (su cui ripongo false speranze al pensiero che possa riempire il vuoto che mi trascino dietro) e l’infelice realizzazione che è solo stando da sola che posso essere parzialmente serena.
Forse è giusto perseguire il minore dei mali che, calato nella situazione, è la solitudine.
Alla fine di questo monologo posso riassumere in pochi punti, cercando un fil rouge che non sono certa di aver chiaramente offerto a causa dei miei voli pindarici:
- mi piacciono particolarmente le citazioni, ne vado alla ricerca costante per sentirmi meno sola, per ritrovarmi anche se per pochi fuggevoli secondi
- ho bisogno di essere infelice per stare bene
- la mia paura dell’abbandono si è ancorata saldamente alla mia infelicità
- di conseguenza, finchè non sarò capace di superare questa impasse, non troverò una persona con cui poter condividere un percorso sano e maturo dato che andrebbe a minare l’unica certezza che conosco.
- devo capire che forse è il momento di vivere la mia vita da persona giovane e libera. Non è ancora il momento di un vincolo.
Mi hanno detto che forse il motivo per cui sto così è perchè ‘sono troppo filosofa’, perchè nei miei pensieri c’è un turbinio di idee e ragionamenti che si susseguono.
Forse è così: certamente chi non è abituato a ragionare o a studiarsi vive un’esistenza più leggera. Ma a mio parere anche più effimera, più superficiale.
Nell’apparente negatività che un probabile lettore potrà riscontrare in queste parole (che io ritengo più amara consapevolezza), voglio dare un piccolo spiraglio di speranza.
So che tutto nella vita accade per una ragione, tutte le persone che incontriamo devono lasciare un segno nel bene o nel male, tutte le gioie e i dolori che siamo destinati ad affrontare nel nostro percorso sono una tappa che non possiamo bypassare. Prima o poi capiremo il motivo della nostra sofferenza e allora non sarà stato vano.
Se per l’ennesima volta c’è stata la necessità di sottoporsi a tutto questo marasma di emozioni negative, ne capirò in futuro il perché.
L’unico augurio che posso farmi è che, nel mezzo di queste ‘sfide’ che mi attendono, sia sempre capace di non perdere di vista la mia realizzazione lavorativa e personale, la mia voglia di viaggiare il mondo e scoprire altre culture.
Perchè anche viaggiare è un modo per cercare se stessi.
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Auto rubata a A San Leone subito ritrovata dai carabinieri: cinquantenne denunciato I carabinieri della Compagnia di Agrigento, guidati dal capitano Annamaria Putortì, a conclusione... #SiciliaTV #SiciliaTvNotiziario Read the full article
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Novara, esce per andare a prendere il treno e scompare: la 19enne Alessia ritrovata solo ora
[[{“value”:” Si stanno cercando notizie sulla 19enne Alessia, scomparsa questa mattina, 22 novembre, a Novara. La giovane sarebbe uscita da casa nei pressi del canile del Gazzurlo, vicino al torrente Agogna, dove è stata rinvenuta la sua auto. Da alcune ore, gli appelli sui social media per trovarla stavano mobilitando gli utenti. La ragazza è stata ritrovata e la famiglia l’ha già raggiunta. Le…
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Non è possibile! 30/10/2024
Questa è la lettera che ti ho inviato dopo il nostro primo incontro del 26/10/2024:
Prima che mi blocchi, vorrei esprimerti i miei ultimi pensieri, anche se so che non ti interessano. Metti like al mio profilo, ci scriviamo e dopo tre giorni mi chiedi di vederci (wow), primo appuntamento saltato per cause esterne (ok nessun problema succede). Nel frattempo, mi scrivi che sei innamorata del mio modo di essere, che non hai mai ricevuto tutte queste attenzioni e che non è possibile che esista un uomo come me (wow!), ci riproviamo allora sabato, sempre a seguito tua richiesta e in base ai tuoi orari e programmi (ottimo nessun problema, per te questo ed altro). Ci incontriamo a mezzanotte, iniziamo sin da subito ad entrare in sintonia, potremmo camminare tutta la notte mentre ti ascolto, ci scrutiamo silenziosamente mentre parliamo delle nostre vite (soprattutto della tua perché la mia non ti interessa, nessun problema). Ci sediamo in auto, sono il primo uomo che ti apre la portiera (per te questo ed altro) rimani piacevolmente sorpresa dei pensierini che ho preso per VOI con tutto il cuore (perchè se penso a te, penso anche ai tuoi figli ovviamente), mi dici che non sbaglio nessuna parola e che non è possibile che sia vero (wow!). Ti aspetti un bacio, ma io non prendo iniziativa perché mi hai detto di non sentirti pronta, allora la prendi tu, mi baci...Magia...II tempo si ferma, l'aria si ferma, i nostri cuori palpitano, non è un primo bacio, è ritrovarsi! Ti stringo le mani, accarezzo il tuo viso, ci annusiamo, i respiri diventano sincroni, ci riconosciamo da vite passate. Mi dici che sono il primo uomo che ti ha baciata tenendoti per mano e che non pensa subito a portarti a Ietto, ti sembra incredibile (wow!). Ti dico che aspetterò che il tuo cuore guarisca dalle delusioni, che non sei più sola e che ti aiuterò a superare tutte le paure (se vorrai), ti dico di non metterti fretta e di pensare a ristabilire il tuo equilibrio interiore insieme a quello familiare (ora che ti ho ritrovata non voglio perderti). Per la prima volta nella tua vita ti senti davvero Amata, accolta, desiderata, unica, rispettata come persona e come donna. Si vede dai tuoi occhi, non mentono, hanno l'essenza della vera Beatrice, quella che tieni segregata con quel personaggio cinico e razionale che hai dovuto costruire per sopravvivere. Mentre ti riaccompagno alla macchina rimaniamo in silenzio, è magico, i nostri sguardi si incrociano, ci teniamo stretti l'un l'altra con l'intreccio delle mani, che meraviglia...Ci salutiamo anche se non vorremmo, mi Iasci il tuo numero, mi dici che vuoi rivedermi, che non vuoi aspettare...Io torno a casa felice, sono al settimo cielo, sei gioia immensa per me, ti scrivo che dormirò con il tuo profumo addosso, tu mi scrivi che sono un angelo (wow!), abbraccio il cuscino immaginando che sia tu, buonanotte. L'indomani mattina sono già feccia, relegato tra la melma con cui hai avuto a che fare fino ad oggi nella tua vita, inizi gradualmente ad evitarmi, tanto sei abituata alla pochezza e con pochezza hai trattato me! Ora, se ti assumi la responsabilità di tutte le bellissime parole e azioni sopra elencate, vorrei capire solo una cosa: hai una paura fottuta di vivere e sperimentare l'Amore (quello VERO), oppure sono stato semplicemente uno dei tanti stronzi che trovi in saldo su Facebook quando hai bisogno di nutrire il tuo ego? Perchè se cosi' fosse, ti chiedo di suggerirmi dove hai studiato recitazione così aggiungo ottime recensioni ai tuoi insegnanti.
Ti chiedo la cortesia di non trattare piu' nessuno cosi', soprattutto se non Io merita, perchè il silenzio è come un coltello neII'anima, brucia maledettamente. La soluzione non è voltare le spalle in questo modo, non si tratta di conflitti interiori, tra adulti basta dirsi che non c'è piu' interesse (ammesso ce ne sia stato) e ci si congeda senza problemi. Tu non mi hai chiesto niente, tutto cio' che ho potuto esprimere è arrivato dal cuore e me ne assumo la completa responsabilità, donare è nella mia essenza e avviene in maniera totalmente naturale, senza pretese (so che Io hai percepito), quindi non sto recriminando nulla in tal senso, se non il rispetto che merito come individuo. Comunque...ammesso che sei arrivata a leggere fin qui, non togliere ancora il braccialetto, ti proteggerà per un po'. Nel mio ultimo post c'è un mandala sigillografico, l'ho realizzato per te, le lettere centrali significano ASLI. Salvalo nel telefono e guardalo quando hai bisogno di positività, ti aiuterà (per te questo ed altro)... Ti prego di aver cura di te, sei brava con gli altri ma latiti quanto a te stessa, di fatto ti sei anestetizzata dai sentimenti (quelli VERI). Smetti di usare le parole come un rasoio, riempiendoti di tagli, senza ricordare che sotto quella pelle e quei tatuaggi c'è una persona che merita Amore. Tutti coloro che se ne vanno ci lasciano sempre qualcosa addosso, è questo il segreto della memoria, grazie per avermi dedicato cinque ore indimenticabili. Rileggi tutto... Alla Beatrice che mi ha riconosciuto, con Amore C.
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Storie di Amore a Mezzanotte: Tra Ansia e Gioia Ettore pt1.
Venerdì sera. Mi sto annoiando e la stanchezza sembra appiccicata addosso come un vecchio maglione. Ho promesso ad Angela che sarei andata al bar di periferia per festeggiare il compleanno di una sua amica, anche se a dire il vero mi sono praticamente auto-invitata. Dopo aver sonnecchiato sul divano, mi alzo con un'energia ritrovata, o almeno la convinzione che sia il caso di uscire. Non posso restare sempre confinata tra le mura di casa, a evitare il mondo.
Così, mi faccio una doccia, mi vesto e, quasi senza pensarci, decido di truccarmi. Sono mesi che non lo faccio, ma stasera voglio sentirmi diversa, più luminosa, persino attraente. Nonostante i chili di troppo che rendono complicata la relazione con il mio corpo, ho bisogno di sentirmi bene. A mezzanotte, finalmente pronta, cerco tra la biancheria il profumo che si addice di più al mio stato d’animo: Fuc**ng Fabulous di Tom Ford. Un po' di fragranza sul collo e sono fuori.
Dopo trenta minuti passati a girare per l’isolato, perdendomi grazie alle imprecise indicazioni di Angela, trovo il bar. È un locale vecchio stile, che sembra uscito dagli anni '80, con interni in legno e un'atmosfera quasi familiare. Mi ricorda il bar del mio paese in Italia, con quel vago sentore di tabacco che sapeva di nonno. Tra la folla, riesco a farmi largo, saluto Angela e porgo gli auguri alla festeggiata. Guido è lì, è una vita che non lo vedo, e tutti sembrano notare il mio trucco, facendo complimenti che non sentivo da tempo. Mi riscopro quasi a mio agio.
Dopo pochi minuti, però, mi ritrovo con un bicchiere di tè freddo in una mano e un microfono nell'altra. Karaoke. Non proprio il mio tipo di serata, e l'entusiasmo degli altri mi stanca rapidamente. Riesco a liberarmi, mi siedo in disparte e tiro fuori il telefono. Grazie allo schermo privacy che ho messo quest’estate, posso scorrere il sito di incontri senza preoccuparmi troppo. Niente. Nessun nuovo like. La frustrazione si mescola all’ansia, e quasi senza pensarci metto un like a un ragazzo di nome Ettore. Non è esattamente il mio tipo, ma mio padre mi ha sempre detto: “Prima di giudicare gli altri, guardati allo specchio.” Così ho abbassato un po’ l’asticella delle aspettative, almeno per quanto riguarda l’aspetto fisico. Però su una cosa non transigo: l’igiene. La mia biografia sull'app non lascia dubbi: "Se non ti lavi i denti, non mettere like."
Faccio appena in tempo a sorseggiare l’ultimo goccio del mio tè che Ettore ricambia il like e mi scrive. Riguardo velocemente il suo profilo: 33 anni, del segno del leone, ama la natura, vuole fare un viaggio a New York, cerca una relazione seria e vive vicino casa mia. Sono le una di notte.
Apro il messaggio: "Hey Gin!" Faccio una smorfia e rispondo: "Ciao Ettore, piacere, mi chiamo Ginevra." Ma guarda te, se uno che non conosco si permette già di accorciare il mio nome! Iniziamo a chattare, e scopro che anche lui è fuori a una serata.
La conversazione scorre leggera e frizzante, proprio come il tè che ho appena finito. C’è un’energia nuova nell’aria, qualcosa che mi scuote dalla noia. Mi dice che è in un bar con amici vicino al Moulin Rouge, praticamente a due passi dal mio appartamento. Un pensiero mi sfiora: "Peccato che sei a mezz'ora da casa tua." Lo scaccio via con una scrollata di testa. Ma che cosa stai pensando, Gin?! Non sei quel tipo di ragazza!
La chiacchierata continua, e dopo qualche battuta, Ettore mi lascia il suo numero e il contatto Instagram: "Qui non ricevo le notifiche, se vuoi scrivermi, ecco i miei contatti." Mi ritrovo a cercare il suo nickname su Instagram senza pensarci due volte. Non è da me dare il numero così in fretta a uno sconosciuto. E se fosse un pazzo psicopatico? Scorro i profili, ma trovo solo un uomo sui sessanta con un gatto – no, decisamente non è lui – e una coppia con due figli. Salvo il numero in rubrica come "Ettore H" (la H per il sito d’incontri, giusto per ricordarmi chi è).
Gli mando un messaggio su WhatsApp: "Eccomi qui." Scruto l'immagine del suo profilo e mi ripeto che non è esattamente il mio tipo. Sapevo già dal sito di incontri che è alto un metro e ottanta. Sempre dall'applicazione avevo avuto modo di sentire la sua voce: non proprio la più affascinante, di certo non da Luca Ward, per intenderci. La foto su WhatsApp mi conferma che porta occhiali tondi, un po' alla Harry Potter. Ha un naso delicato, ma con la punta piuttosto pronunciata. Le labbra sono sottili, ma l'arco di Cupido è ben definito. I capelli, neri e non troppo folti, resistono ancora.
Eppure, mentre risponde alle mie battute con una certa prontezza, sento un piccolo brivido di eccitazione. Dopo una ventina di minuti, mi dice che sta per andarsene; la sua serata è quasi finita. Io gli confesso che mi sto annoiando, ma non ho voglia di tornare a casa così presto dopo essermi fatta bella.
Appoggio il telefono e mi immergo in una conversazione con Angela e gli altri invitati. Poi, una notifica: Ettore. "Cosa proponi se non hai voglia di tornare a casa?"
Il mio stomaco si contrae per l'emozione e, senza pensarci, le dita digitano più veloci della ragione: "Hai voglia di prendere un cocktail?"
Sono le due di notte. Sono fuori dal bar che mi ha indicato mezz’ora fa, in attesa. Ma che mi sta succedendo? Ho lasciato i miei amici con la scusa di un’emicrania, tranne Angela, a cui ho detto la verità: "Non giudicarmi, vado a incontrare un ragazzo conosciuto venti minuti fa." La sua risposta? "Divertiti anche per me."
Mi guardo intorno, cercando Ettore, e mentre l'ansia mi stringe il petto, le solite domande iniziano a tormentarmi: "E se non gli piaci?" "E se ti vede da lontano e scappa?" "E se, trovandoti paffutella e ripugnante, finge di essere stanco e se ne va?"
"Scusa il ritardo," dice all'improvviso una voce. "Ho dovuto accompagnare un amico a casa per non insospettirlo."
I pensieri evaporano come gocce d’acqua al sole mentre mi saluta con i due baci di rito. "Piacere, Ettore!" sfoggia un sorriso brillante di denti perfettamente curati e si guarda intorno.
"Il bar ha appena chiuso," dico, e lui mi osserva con uno sguardo sorpreso. "A meno che non vogliamo fare i piatti, ci conviene cercarne un altro." aggiungo.
Sorridendo, si tocca l’angolo della bocca con un dito. "Seguimi," dice, la voce frizzante. Inizia una maratona di dieci minuti: lui, gambe lunghe e passo veloce; io, un metro e cinquantanove, che ansimo nel tentativo di stargli dietro.
Entriamo in un bar che sta per chiudere. Ettore scambia qualche parola con il barista e poi mi fa cenno di sedermi al bancone. È riuscito a convincerlo a servirci un ultimo drink. Lui ordina un gin tonic, io una ginger beer.
La conversazione fluisce da un argomento all'altro con naturalezza. Parliamo delle nostre vite: lui è CMO, Chief Marketing Officer, mentre io mi occupo della qualità del servizio clienti di una grande azienda. "Sai quando chiami un servizio clienti e ti avvisano che la chiamata potrebbe essere registrata per motivi di qualità? Ecco, io sono la persona che ascolta quella chiamata." Lui sorride, divertito dalla particolarità del mio lavoro, e fa qualche battuta. Ogni volta che rido, accade qualcosa: la prima volta posa le dita sulla mia gamba, osservando la mia reazione; vedendo che non oppongo resistenza, la seconda volta posa l'intera mano e mi accarezza delicatamente al ritmo delle mie risate. La terza volta sono io a toccare il suo braccio, quasi per consolarlo quando mi racconta di essersi fatto male giocando a calcio e di non poter fare sport per un mese.
Il contatto è ormai evidente. Lui mi sfiora e io non mi tiro indietro; io ricambio il gesto. La situazione è chiara: gli piaccio, e lui piace a me. Un altro brivido percorre il mio corpo, questa volta sento l'eccitazione farsi più intensa e precisa, giù, in basso ventre. Scuoto la testa per scacciare il pensiero, finisco la mia ginger beer con un gesto deciso, posando il bicchiere sul bancone mentre il liquido leggermente piccante mi scivola giù per la gola. Lui segue il mio esempio, vuota il suo gin. Ci scambiamo uno sguardo intenso, finché il barista, maledizione, ci interrompe per farci pagare. Il bar sta chiudendo.
Qui a Parigi, la galanteria non è quella che ci si aspetterebbe in Italia. Uomini che chiedono di dividere il conto non sono rari, e la mia amica Vittoria si è persino ritrovata a un appuntamento con uno che, dopo aver bevuto due birre, le ha detto: "Ah, non ho il portafogli, me lo sono dimenticato. Puoi pagare tu?" Spero davvero che lui non sia come quel tipo che ha incontrato Vittoria. Non ho nulla in contrario a pagare la mia parte, viva le pari opportunità! Anche se, lo ammetto, la galanteria italiana a volte mi manca. Apro la borsa, in cerca del mio portafogli, ma lui mi ferma. "Il drink lo offro io. Sei venuta fin qui, il minimo che posso fare è offrirti questa ginger beer." Forse ho omesso un piccolo dettaglio: il bar che ha scelto si trova proprio dietro casa sua. Sorrido, mordendomi leggermente il labbro inferiore, e lo ringrazio. Ci alziamo, salutiamo il barista e ci avviamo verso l’uscita.
Sono le tre.
"Fammi fare un giro del tuo quartiere!" esclamo con dolcezza ma anche con un tocco di audacia. Il suo modo di sfiorarmi, il gesto di offrirmi da bere, tutto mi ha fatto acquistare fiducia. I chili in più che a volte mi pesano, in quel momento non li sento affatto. Mi sento leggera, come una piuma.
Accetta la sfida con un sorriso: "Andiamo, seguimi". E così mi ritrovo a fare un giro in un quartiere che, pur essendo affascinante, ha ben poco da offrire a quest'ora della sera. Siamo dietro nientemeno che gli Champs-Élysées, ma le strade sono quasi deserte, e lui scherza sull'atmosfera spenta del luogo. Attorno a noi, i bidoni della plastica sono già stati sistemati fuori dai guardiani dei grandi palazzi francesi in attesa della raccolta, che avverrà a breve.
Fosse stato il mio quartiere, ci sarebbe stato molto di più da fare: le strade sarebbero piene di vita, i bar aperti, e persino i sexy shop non mancherebbero. Ma perché stai pensando ai sexy shop, Gin?! Scuoto la testa per scacciare quel pensiero. Dopo una decina di minuti di passeggiata, durante la quale mi accorgo che le mie gambe sono la metà delle sue, gli dico: "Se non rallenti, rischio di perdermi per strada." Lui sorride, si scusa, ammettendo di camminare troppo in fretta.
All’improvviso si ferma, ci troviamo davanti a un parco chiuso. Attraverso le grate cerca di mostrarmi la bellezza di questo piccolo angolo verde nel cuore della città. Mi avvolge in un abbraccio, e io non mi tiro indietro, anzi. Le sue mani calde incorniciano il mio viso, appoggiato sul suo petto. Ci guardiamo intensamente, senza distogliere lo sguardo. Il tempo sembra fermarsi, i nostri respiri si placano, e in quel momento esistiamo solo noi due, nel cuore di Parigi, come all'inizio di una romantica commedia americana. Non faccio in tempo a finire di formulare il pensiero "Ma cosa sto facendo?" che le sue labbra incontrano le mie in un bacio, dolce e timido.
Mi afferra delicatamente la nuca e mi avvicina a sé, io seguo i suoi movimenti, appoggio la mano sul suo petto e schiudo le labbra per accogliere la sua lingua. I baci casti sono belli, ma quelli intrisi di desiderio sono tutta un’altra storia. Ci stacchiamo per un attimo e poi riprendiamo a baciarci. Arriccio un po' il naso, rendendomi conto che, come molti francesi che ho conosciuto, non è esattamente un maestro del bacio passionale. Non riesce a usare la lingua con la stessa intensità con cui si fa l'amore. La sua bocca rimane leggermente aperta, cerco di guidarlo con la mia lingua, ma è inutile, non c’è risposta.
Nonostante tutto, la sua gentilezza, l'offerta di quella maledetta ginger beer e il suo apparire come un ragazzo d'oro mi hanno colpita.
Prima di lasciarmi coinvolgere del tutto da quella serata, c'è ancora un ultimo test da superare.
Lo guardo e lo abbraccio di nuovo, questa volta avvicinando il viso e appoggiandolo tra la sua clavicola e il collo. Il maglione grigio che indossa accarezza la mia guancia mentre chiudo gli occhi e inspiro profondamente per sentire il suo profumo e la sua pelle. È perfetto: un aroma di spezie orientali e cedro, pulito e avvolgente. Senza volerlo, un leggero sorriso mi affiora sulle labbra. Come dico sempre a Vittoria, l'odore è tutto! Se non ti piace l'odore di una persona, non ci può essere niente. E da quando le ho fatto notare quanto l'odore conti, ben oltre il profumo che scegli di indossare, ha cominciato a sposare la mia teoria.
Dopo qualche istante inebriante, in cui colgo tutte le note olfattive della sua pelle, mi raddrizzo e lo guardo negli occhi. Con il pollice mi accarezza dolcemente la guancia e mi sussurra all'orecchio: "Vuoi salire a casa mia?". Mentre mi fa questa proposta, comincio a lottare internamente tra l'eccitazione che riemerge, le farfalle nello stomaco e il desiderio di resistere a quella tentazione. Ma all'improvviso, una ragazza in strada inizia a piangere, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Lo guardo incerta e cerco di attirare la sua attenzione verso di lei, il suo pianto disperato mi colpisce. "Sta piangendo," esclamo, indicando la ragazza in lontananza.
Lui prende la mia mano, intrecciando le dita alle mie, e io stringo la presa per non spezzare quel contatto. "Vuoi consolarla?" mi chiede con un tono a metà tra il giocoso e l'irritante. Perché scherza su di lei? Forse non gli importa davvero, ma quella risposta mi lascia un po' fredda. Avrei voluto davvero avvicinarmi alla ragazza e chiederle cosa le fosse successo, ma lui si insinua di nuovo nei miei pensieri, cingendomi la vita e sussurrandomi parole rassicuranti: "Vorrei portarti a casa, non mi sento a mio agio a baciarti in mezzo alla strada." Mi sembra dolce, e lui continua: "Prometto che non farò nulla che tu non voglia, possiamo anche solo parlare, mi è già successo." Una voce interiore mi mette in guardia, "Non fidarti."
Chiudo gli occhi per qualche secondo, poi li riapro, respirando profondamente. Lui interpreta il mio momento di esitazione e quel respiro come un segno di assenso. Senza perdere tempo, ancora stringendomi la mano, mi conduce lontano dalla ragazza sconsolata che continua a piangere, e in due minuti mi ritrovo dentro casa sua.
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A Miane, in provincia di Treviso, cresce l'ansia per la sorte di Susanna Recchia, una donna di 45 anni scomparsa insieme alla figlia di tre anni. L'auto di Susanna, una Volkswagen Tiguan bianca, è stata trovata vuota nel pomeriggio a Covolo di Pederobba, non lontano dal ponte di Vidor, che attraversa il fiume Piave. Il compagno di Susanna ha denunciato la scomparsa dopo essersi recato a casa per prendere la bambina, ma non trovando né lei né la madre. Dopo aver allertato le autorità, l'allerta è stata diramata anche alla Prefettura di Treviso. Una lettera di cinque pagine trovata a casa di Susanna ha aggiunto angoscia alla situazione, poiché nella lettera la donna esprimeva l'intenzione di volersi suicidare. Il compagno ha consegnato il documento alla polizia, rivelando che Susanna stava affrontando un forte disagio psicologico, aggravato dalla separazione imminente. Gli investigatori non hanno trovato tracce significative nell'auto parcheggiata accanto a un bar, e Susanna ha lasciato il cellulare e il portafoglio a casa. Le ricerche sono scattate in modo capillare in tutta la provincia, utilizzando anche sistemi di videosorveglianza pubblici e privati. L'assessore regionale alla protezione civile, Gianpaolo Bottacin, ha dichiarato che le ricerche si concentreranno nella zona del ritrovamento dell'auto. Susanna è descritta come alta circa 1,65 metri, di corporatura normale, con capelli ricci castani, occhi castani e due tatuaggi sulla spalla destra. La Prefettura ha diffuso un avviso al pubblico, attivando il protocollo per la ricerca di persone scomparse. I soccorritori hanno scandagliato l'area dalla quale Susanna sarebbe scomparsa, coinvolgendo uomini della Protezione civile, vigili del fuoco, volontari e agenti di polizia. Sono in corso anche verifiche sui filmati delle telecamere di sorveglianza per rintracciare possibili spostamenti di madre e figlia. L’ansia e la preoccupazione per la loro sorte rimangono elevate, mentre le ricerche continuano con determinazione.
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