#attenti a quei due
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CONTEST 2023 @allaricercadellanimapoetica
Procedendo con ordine... serie/film preferito.
Beh, anche qui un bel dilemma...
Consentitemi almeno di indicare sia una serie che un film.
'Attenti a quei due' è un serie televisiva degli anni 70. 'Crime' con due protagonisti di eccezione, Roger Moore e Tony Curtis, nei panni rispettivamente di un lord inglese e un miliardario americano; diversi come il giorno dalla notte, si ritroveranno grazie a uno scaltro giudice in pensione a condividere avventure e risolvere misteri e gialli; ambientati in Europa, nella campagna inglese o in lussuose location.
Divertente ed elegante.
Per quanto riguarda il film... 'La vita è meravigliosa', di Frank Capra.
Una bella 'favola' natalizia. Una commedia con risvolti drammatici fino alla happy ending. Il bene trionfa! Il buon George Bailey con l'aiuto dell'angelo Clarence capisce quanto sia preziosa, pur nella sventura, la sua vita. Finale commovente...
Perdonate questo salto nel passato ma la scelta era, ed è, talmente difficile...
Barbara
#contest 2023#serie/film#attenti a quei due#roger moore#tony curtis#la vita è meravigliosa#frank capra#james stewart#donna reed#pentesilea
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Every once in a while I discover a new picture from this photoshoot and I die.
Also excellent art!
Hello very tiny The Persuaders fandom, I redrew that one promo image because it won't stop haunting me in my head
Original image
#what is this#That Look™#are you serious??#the persuaders#brett sinclair#danny wilde#roger moore#tony curtis#attenti a quei due#pixel art
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Attenti a quei due
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VACANZE
Non esiste cartina tornasole, come prova decisiva, delle vacanze estive per comprendere come il tempo passi. E come rimpianti si acuiscono.
Il tempo passa e smaschera le nostre incoerenze, le certezze di ieri non sono quelle di oggi così come i "non ce la posso fare" di ieri essere dei rimpianti di oggi.
Estate 2023.
Figlio uno partirà tra qualche giorno con amici in auto, destinazione Toscana; figlio 2 parte oggi con la sua Rebecca, destinazione Trentino. Uno al mare l'altro in montagna.
Entrambi lontani centinaia di chilometri da me.
Sono due ragazzi, i miei figli, che si sono visti frenare la loro vita sociale e di aggregazione, quando stava per nascere, dagli anni bui della pandemia. La scuola in DAD, le zone rosse, i coprifuoco e le mascherine a coprire i loro sorrisi da adolescenti.
Il distanziamento sociale che per alcuni adulti è stata una pausa, un gran respiro per staccarsi da situazioni tossiche, è stato per i ragazzi una brusca frenata nella loro vita sociale.
Come quando ti ritrovi a bloccare in frenata l'auto lanciata di corsa in autostrada, un rallentamento che altera inevitabilmente la media tempo/percorrenza.
L'anno scorso fu figlio 1 a fare il primo passo, chiese e ottenne di andare in Campania. Prese l'autobus autostradale una sera di agosto. Lo accompagnammo, ci salutò e salì in maniera composta sul mezzo.
Lo guardavo sbirciandolo dalla portiera dell'autobus, lo stavo osservando mentre guardava fuori dal finestrino quando venni distratto dalle voci concitate di due persone.
Uno dei due conducenti stava discutendo con un ragazzo perché sprovvisto di mascherina, per le norme in vigore non poteva salire.
Notai lo sguardo supplichevole del ragazzo, se avesse perso quel mezzo quella sera probabilmente gli sarebbero saltati tutti i suoi piani.
Ho immaginato a una famiglia che lo aspettava, a una compagna o a degli amici con cui poi partire per altre destinazioni.
Mentre pensavo a tutto ci mi ero mosso automaticamente raggiungendo la mia auto, tenevo sempre delle mascherine di scorta così ne presi una e la offrii al ragazzo.
Mi ringraziò e riuscì a salire a bordo. Fu allora che riguardando Daniele, mio figlio che probabilmente non si era accorto di quella scena, lo vidi in lacrime. Stava piangendo a singhiozzo.
Credo che sia stata una di quelle volte, in vita mia, in cui mi si è letteralmente fermato il cuore. Non potendo salire per motivi di sicurezza lo chiamai al telefono.
Lo ascoltai, lo rincuorai e gli dissi che tutto era a posto. Gli dispiaceva "lasciarci". Era la prima volta. Io sentivo il suo pianto, lui per fortuna non sentì il mio.
Quest'anno entrambi andranno per le loro strade. Strade di vacanze, più che meritate.
Sembra passato poco tempo da quando si stava attenti alla sabbia che poteva irritare gli occhi di bambini piccini, al sole che poteva ustionare pelli così delicate.
Oppure il tempo in cui correvano per la spiaggia e la paura di perderli tra la fola, che era un'angoscia costante.
I momenti in cui entravano in acqua e "Tranquillo pa' so nuotare", in quei momenti mi passava il ricordo di mia madre. Con i piedi ben piantati sul bagnasciuga, una mano su un fianco e l'altra a mo di saluto militare sopra gli occhi per proteggerli dal sole. Per vedermi meglio.
I segnali in codice "madre", le mani che mimavano i vari "vieni più vicino", "esci che hai le dita a spugna", "lì non tocchi spostati", "quando esci facciamo i conti". Segnali come quelli nautici, quelli fatti con le bandierine dai marinai.
Erano tante le madri, allora, in fila come un plotone di esecuzione sulla spiaggia. Con tutti quei segnali, i nomi dei propri figli ben scanditi a richiamare l'attenzione se si guardava verso il mare aperto, interrompendo il contatto visivo con il genitore madre.
Credo che se questi plotoni di madri degli anni '60 e '70, fossero stati messi sulle spiagge di Utah Beach oppure Omaha Beach in Normandia, nel giorno del D-day, ci sarebbero stati moltissimi meno morti tra gli alleati.
Le vacanze con i diavoletti ti portavano a bramare di ricominciare a lavorare, a volte, a farti capire che le vacanze analcoliche non erano certo di aiuto. Così la sera, quando tutti erano a letto, qualcosa di fresco e alcolicissimissimo era irrinunciabile.
Ora che scusa avrò per bere? Tutto sarà così silenzioso e irreale.
Eppure avrò il tempo di leggere quel libro, di riguardarmi quel film, di prendere il sole senza dover tenere un occhio aperto per vedere dove sono i marmocchi.
Potrò davvero rilassarmi.
Ma non sarà così, la chat di famiglia sarà monitorata di continuo per vedere se qualcuno ha scritto o condiviso qualcosa. Cercando di frenare la voglia di chiedere, anche semplicemente come va, per non passare da genitore tedioso. Che poi ottieni esattamente l'opposto.
Mi abituerò, nella vita ci si abitua a quasi tutto, ma sono sicuro che nel mio cuore non mi rassegnerò al fatto che quelle corse appresso ai pargoli e i castelli di sabbia, forse, sono stati dei momenti di grazia assoluta.
E come si dice spesso in questo caso mentre guardiamo foto o immagini degli anni passati, quando eravamo giovani noi, "eravamo felici e non lo sapevamo".
L'importante che loro lo siano oggi, intendo felici.
Per me ci saranno altri momenti di felicità. Questa sera pizza ad esempio. Ci vuole.
Magari offrirò i miei servigi di genitore apprensivo a giovani genitori social, quelli che invece di stare sulla battigia preferiscono le stories e i selfie. Ci penserò io ai loro mocciosi.
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I absolutely agree, and I think the same goes for Danny, always hiding behind goofy jokes and an exuberant personality.
Someone Like Me happens to be my favorite episode precisely because it has some of the very few moments in the show where they talk seriously and don't just joke around. Now don't get me wrong I love the playfulness and the jokes, that's what the show was about, but I could have done with a few more serious moments once in a while
i’ve been reading the persuaders book (volume 2) and i find it interesting as a character study that brett gets so defensive when someone asks if he’s okay or questions his wellbeing. like in ‘someone like me’ there’s the doctor in harley street and danny both who ask if he’s alright and multiple times he tenses up or gets feisty. he seems to find it hard to let his guard down and trust in others, plus this is the same guy that crashed a racing car at 130 miles an hour and didn’t feel a thing. it’s clear he’s more than slightly out of tune with his feelings, but it’s a lot more obvious when he’s with danny because he’s supposed to be joking with him. fob him off and not take anything to heart so when daniel gets serious it’s almost like brett doesn’t know what to do with himself and immediately shuts down and retreates inward not letting anyone see through his rich playboy facade.
#the persuaders!#I love this show so so much#I wish it had more than 1 season#I wish it had more of a fandom#attenti a quei due#Brett Sinclair#Danny Wilde
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Martedì 27 agosto è arrivato a Mondaino l'ultimo artista selezionato nel contesto del progetto europeo Stronger Peripheries. Si tratta di Hamdi Dridi, artista di origini tunisine che vive tra Tunisi e Montpellier in Francia ma principalmente nomade, come preferisce definirsi beyond borders.
"Mi occupo di coreografia" racconta Hamdi "ma quello che mi interessa per primo è l'incontro con l'altro". Dan(s)e House trio and constellations è il titolo del progetto a cui sta lavorando: si tratta di un lavoro in cui danza, cucina e musica provano a mescolarsi sulla scena per creare un ambiente accogliente e immersivo per lo spettatore. Per questo, per la scrittura coreografica, Hamdi sta collezionando un archivio di gesti attraverso l'osservazione della preparazione di alcune ricette o particolari cibi che le persone che incontra gli propongono. L'archivio, costituito dai movimenti del corpo, in particolare tronco e braccia, servirà a definire la danza delle tre performer che saranno in scena: Ewa Bielak, Lucia de Oliveira Moreira, Debora N’Jiokou, danzatrici e dj, mixano, preparano le loro ricette tradizionali e danzano su una base hip hop le danze tradizionali dei loro paesi di origine, Polonia, Portogallo e Capo Verde, e le partiture di gesti scritti da Hamdi.
In queste prime giornate di residenza in Italia quindi, dopo aver trascorso nei mesi scorsi un periodo di residenza in Spagna e in Francia confrontandosi con le comunità di quei territori, Hamdi ha iniziato a incontrare alcune persone di Mondaino e dei dintorni per cercare nei loro gesti non solo l'amore per la cucina ma anche per lo stare insieme e condividere un tempo e uno spazio di vita: stare, osservare, raccontarsi e ascoltare.
Così scopriamo che il progetto è ispirato da una parte al ricordo del lavoro del padre e alla ripetizione dell'azione, nel suo caso del dipingere, dall'altro all'amore della madre per la cucina.
Nel giorno del suo arrivo a Mondaino è stato accolto da Elisa ed Erica, due sorelle che si sono trasferite da poco in collina e che hanno aperto un'associazione culturale Sentieri Felici che si occupa principalmente di curare progetti per l'infanzia.
Al nostro arrivo tutto è pronto per accoglierci al meglio. Subito entriamo in cucina ed Elisa ed Erica iniziano a illustrarci quello che ci preparerano di li a poco, cioè cassoni e piadine. E mentre mescolano gli ingredienti facendo scivolare farina e acqua tra le mani ci raccontano l'origine di quella passione per il cibo e il cucinare per qualcuno. La tradizione di famiglia, che è passata dalla nonna alla mamma, è fatta di ristoranti e forni, di gesti ripetuti e di cibi condivisi, di accoglienza e piatti tradizionali.
Nella piccola cucina si muovono agili mentre Hamdi le segue con attenzione, cercando di non perdere nessun frammento dei loro movimenti coordinati, ritmici e ripetuti: il tempo è scandito dalla ripetizione dei gesti, dall'impastare e dal farcire, dall'attesa del riposo dell'impasto alla foratura del cassone "per farlo respirare" fino alla cottura finale.
La condivisione del cibo con tutta la famiglia, i sorrisi dei bambini e i loro sguardi attenti, i profumi e i sapori chiudono per Hamdi la prima intensa giornata di incontro con la comunità.
"Si tratta", racconta Hamdi, "di comprendere un gesto che diviene ritmico: non è la danza che prende il sopravvento ma è il gesto che nel suo essere grezzo diventa ritmico e le due cose diventano organiche: è il gesto naturale che si fa danza inscrivendosi nei corpi".
Siamo a Marazzano ora, nel comune di Gemmano, e siamo a casa di Ivan Fantini dove ha sede il suo Boscost'orto. Ci accoglie insieme alla sua compagna, la danzatrice Paola Bianchi; poi seduti in giardino attorno a un lungo tavolo Hamdi e Ivan si raccontano, sorseggiando caffè e succo di mele appena fatto.
Ivan è un cuoco eterodosso, dimissionario e anarchico. Di origine romagnola proveniente da una famiglia del sottoproletariato inizia a cucinare in casa, a sette anni, per aiutare la madre e la nonna malate: così apprende la cucina tradizionale. Da qui in avanti non abbandonerà mai il mondo del cibo e della condivisione: dall'istituto alberghiero al primo lavoro a 16 anni in un ristorante famoso della zona, per poi entrare a far parte di un circolo culturale a Rimini, Quadrare il circolo, poi l'esperienza con festival e musei fino alla Biennale Teatro diretta da Romeo Castellucci dove curava installazioni gastronomiche d’arte, che potevano essere viste, toccate, mangiate. Infine un'osteria con cucina dentro un antico mulino prima di abbandonare tutto per ritirasi nella sua casa di Marazzano.
Ci racconta, infatti, come a partire dal 2008 con l'introduzione in Italia dell'HACCP, norma che concerne la sanificazione dei luoghi e degli alimenti, siano iniziati i problemi: Ivan non ha mai accettato di sottostare a quella norma e alle leggi del mercato: non ha voluto acquistare prodotti del mondo globalizzato ma ha continuato a lavorare con i contadini della zona, che ovviamente non potevano sottostare a queste norme e dopo tre anni di multe e una crisi depressiva ha scelto di uscire dal sistema.
Ha abbandonato, si fa per dire, il suo mestiere per fare quello che non sapeva fare. Ha cominciato a scrivere. Ha disboscato un bosco per avere un'autonomia alimentare. Ha iniziato a recuperare lo scarto del capitale, ciò che la comunità non acquista, e a saccheggiare quello che la natura offre vivendo di baratto.
E proprio grazie al baratto, un amico gli ha portato del pesce fresco. Così ci mettiamo in cucina, Ivan inizia a muoversi tra lavello e spianatoia, il dialogo prosegue mentre pulisce e disseziona seppie e sgombri, affetta cipolle, raccoglie foglie di alloro, rametti di rosmarino e scorze di limone per produrre un trito aromatico speciale. Il suo ritmo è serrato e sincopato allo stesso tempo, i gesti ripetuti sono ritmici e sicuri, le mani si muovono veloci e violente.
"Vivo il lusso della povertà: ho relazioni umane e politiche molto potenti in tutta Italia. Sono felice, malgrado quello che accade nel mondo", ci dice. Intanto i suoni e gli odori del cibo iniziano a pervadere lo spazio nonostante siamo all'aperto.
E Hamdi osserva, registra con gli occhi ogni movimento e con le orecchie, grazie anche al supporto di Anouk nella traduzione, le parole: lo sguardo non si arresta, entra ed esce dalla cucina, segue ogni movimento di Ivan.
E si tessono fili.
"La cucina è musica: come reagisce chimicamente la padella è un concerto."
"Conoscere le regole per poterle sovvertire. Opero come fa un musicista jazz che conosce le note e improvvisa."
"La cucina è una danza, un gesto poetico e brutale allo stesso tempo!"
"La cucina come tutto è poetica e politica: quando cucino ho una specie di rabbia".
Così, tra una battuta e l'altra, si arriva al pranzo condiviso in giardino: il lungo tavolo apparecchiato si riempie e ci accoglie. E ce ne andiamo, ricchi di questo nuovo incontro.
#Tandem 11
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On Tuesday, August 27, the last artist selected for the European project Stronger Peripheries arrived in Mondaino. His name is Hamdi Dridi, a Tunisian artist who lives between Tunis and Montpellier in France but is primarily nomadic, as he prefers to define himself beyond borders.
“I work in choreography,” Hamdi explains, “but what interests me most is the encounter with others.” The project he is working on is titled Dan(s)e House Trio and Constellations: it is a work in which dance, cooking, and music try to blend on stage to create a welcoming and immersive environment for the audience. For this, in choreographic writing, Hamdi is collecting an archive of gestures through the observation of the preparation of certain recipes or particular foods proposed by the people he meets. The archive, consisting of body movements, especially torso and arms, will be used to define the dance of the three performers who will be on stage: Ewa Bielak, Lucia de Oliveira Moreira, and Debora N’Jiokou, dancers and DJs who mix, prepare their traditional recipes, and dance traditional dances from their countries of origin—Poland, Portugal, and Cape Verde—on a hip-hop base, along with the gesture scores written by Hamdi.
In these first days of residency in Italy, after spending time in Spain and France in the previous months interacting with communities in those regions, Hamdi has started to meet some people from Mondaino and the surrounding areas to look for not only the love for cooking but also for being together and sharing a time and space of life: being, observing, storytelling, and listening.
We discover that the project is inspired partly by memories of his father’s work and the repetition of the action, in his case painting, and partly by his mother’s love for cooking.
On the day of his arrival in Mondaino, he was welcomed by Elisa and Erica, two sisters who have recently moved to the hills and opened a cultural association, Sentieri Felici, which mainly deals with projects for children.
Upon our arrival, everything is ready to welcome us in the best possible way. We immediately enter the kitchen, and Elisa and Erica begin to show us what they will prepare for us shortly: cassoni and piadine. As they mix the ingredients, letting flour and water slide between their hands, they tell us about their passion for food and cooking for others. The family tradition, passed down from grandmother to mother, is made of restaurants and bakeries, repeated gestures, shared foods, hospitality, and traditional dishes.
In the small kitchen, they move gracefully while Hamdi watches them closely, trying not to miss any part of their coordinated, rhythmic, and repeated movements: time is marked by the repetition of gestures, from kneading and stuffing, from waiting for the dough to rest to puncturing the dough box “to let it breathe” until the final baking.
Sharing the food with the whole family, the smiles of the children, and their attentive gazes, the aromas and flavors close for Hamdi the first intense day of meeting with the community. “It’s about,” Hamdi recounts, “understanding a gesture that becomes rhythmic: it’s not the dance that takes over but the gesture that, in its rawness, becomes rhythmic and the two things become organic: it’s the natural gesture that becomes dance inscribed in the bodies.”
We are now in Marezzano, in the municipality of Gemmano, at Ivan Fantini’s home where his bosco-storto (wooded garden) is located. He welcomes us together with his partner, dancer Paola Bianchi; then seated in the garden around a long table, Hamdi and Ivan share stories while sipping coffee and freshly made apple juice.
Ivan is an unorthodox and anarchic cook. Of Romagnolo origin, coming from a working-class family, he began cooking at home at the age of seven to help his sick mother and grandmother: this is how he learned traditional cooking. From then on, he never left the world of food and sharing: from culinary school to his first job at 16 in a famous local restaurant, then joining a cultural circle in Rimini, Quadrare il Circolo, then working with festivals and museums up to the Biennale Theater directed by Romeo Castellucci, where he curated gastronomic art installations that could be seen, touched, and eaten. Finally, an inn with a kitchen inside an old mill before abandoning everything to retire to his home in Marazzano.
He tells us how, starting from 2008 with the introduction of HACCP in Italy, a regulation concerning the sanitation of places and food, problems began: Ivan never accepted complying with that regulation and market laws: he did not want to buy products from the globalized world but continued to work with local farmers, who obviously could not comply with these regulations, and after three years of fines and a depressive crisis, he chose to leave the system.
He “left,” so to speak, his profession to do what he didn’t know how to do. He began writing. He cleared a forest to achieve food self-sufficiency. He started recovering discarded capital, what the community does not purchase, and to forage what nature offers, living off barter.
And it was thanks to barter that a friend brought him fresh fish. So we enter the kitchen, Ivan starts moving between the sink and the counter, the conversation continues as he cleans and fillets cuttlefish and mackerel, slices onions, gathers bay leaves, rosemary twigs, and lemon peels to make a special aromatic blend. His rhythm is tight and syncopated at the same time, the repeated gestures are rhythmic and sure, his hands move quickly and forcefully.
“I live the luxury of poverty: I have very strong human and political relationships throughout Italy. I am happy, despite what happens in the world,” he tells us. Meanwhile, the sounds and smells of the food begin to fill the space even though we are outside.
And Hamdi observes, recording with his eyes every movement and with his ears, thanks also to Anouk's help with the translation, the words: his gaze does not stop, entering and exiting the kitchen, following every movement of Ivan.
And threads are woven.
“Cooking is music: how the pan reacts chemically is a concert.”
“Knowing the rules to overturn them. I operate like a jazz musician who knows the notes and improvises.”
“Cooking is a dance, a poetic and brutal gesture at the same time!”
“Cooking, like everything, is poetic and political: when I cook, I have a kind of anger.”
So, between one comment and another, we arrive at the shared lunch in the garden: the long table is set and welcomes us. And we leave, enriched by this new encounter.
#Tandem 11
#stronger peripheries#residenza creativa#danzacontemporanea#progetto europeo#Hamdi Dridi#Dan(s)e house
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La fotografia documentaria come forma d’arte (sesta parte)
La fotografia umanista
di Lorenzo Ranzato
Introduzione
Con questo articolo completiamo il nostro racconto sul vasto mondo della fotografia documentaria, affrontando il significativo capitolo della fotografia umanista. Com’è facile intuire, la selezione degli argomenti e degli autori trattati è stata del tutto personale: quindi una scelta selettiva e parziale, che trascura inevitabilmente molti altri fenomeni del documentarismo che si sono manifestati nella seconda metà del ‘900.[1]
Come abbiamo visto, questo importante filone della fotografia del ‘900 si afferma a partire dagli anni ‘30, con un comune filo conduttore che può essere ben riassunto in questa frase: “il desiderio di vedere qualcosa riconosciuto come una realtà”[2]. Come ci segnala David Bate, questa aspirazione o volontà di raccontare in modo diretto (straight photography) il reale in tutte le sue manifestazioni “può includere approcci differenti, dove la verità è valutata in termini di interpretazione e rappresentazione”.
In effetti, seguendo il suo ragionamento, possiamo riconoscere all’interno del genere documentario la presenza di due tendenze diverse che si relazionano con il reale in modo oggettivo oppure soggettivo.[3]
A grandi linee, avremo un tipo di fotografia oggettiva o descrittiva che tende a porre un filtro tra fotografo e soggetto, cercando di mantenersi in una posizione neutrale senza farsi coinvolgere all’interno della scena ripresa. Questo tipo di fotografia è comune ad autori che abbiamo già conosciuto nelle precedenti puntate e che si esprimono con modalità espressive diverse: ci riferiamo a fotografi come Albert Renger-Patzsch o August Sander, oppure ai fotografi del Gruppo f/64.
1-Cartier-Bresson, foto da Images à la Sauvette 1952, “il libro” per eccellenza secondo Federico Scianna
Diversamente, la fotografia soggettiva o espressiva non pone barriere tra il fotografo e il soggetto, anzi vuole entrare dentro le cose che desidera raccontare, cercando di coinvolgere lo spettatore nella narrazione, pubblica o privata che sia. In questo filone molto variegato possiamo riconoscere le esperienze del documentario sociale (in particolare quella della Farm Security Administration) e più in generale quelle del fotogiornalismo – da Robert Capa, il più famoso fotoreporter di guerra, alla Bourke-Withe -, sino ad abbracciare la stagione d’oro della fotografia umanista che si afferma come “la tendenza dominante del documentario postbellico”[4].
A conclusione di questo breve riepilogo, segnaliamo che sul sito di Fotopadova è presente un contributo in due puntate di Guillaume Blanc, La storia della fotografia documentaria, tradotto e pubblicato da Gustavo Millozzi (a cui dedichiamo questo articolo). Una sua consultazione potrà essere utile per inquadrare l’argomento in una prospettiva temporale più allargata, che non solo riassume la storia del documentarismo sviluppatosi nel corso del ‘900, ma va anche alla ricerca dei precursori e di tutti quei fenomeni ragruppabili sotto l’etichetta di “documento”, che rappresenta fatti o persone reali oppure descrive avvenimenti storici.[5]
La fotografia umanista
“L'oggetto della fotografia è l'uomo, l'uomo e la sua vita breve, fragile, minacciata”.
La frase di Henri Cartier-Bresson, registrata in un’intervista del 1951 viene generalmente considerata da molti studiosi un modo per definire “la fotografia umanista”.[6]
2-Innamorati per le vie di Parigi, foto di Doisneau, Boubat e Izis.
In realtà, questo filone della fotografia soggettiva/espressiva, nasce all’interno del milieu fotografico francese degli anni ’30, dove un nutrito gruppo di fotografi condivide un comune interesse per l’uomo e le sue vicende di vita quotidiana. Particolarmente attenti alla vita della città, ci restituiscono “le figure di un’umanità autentica e sincera: uomini semplici, lavoratori e le loro famiglie di ceti modesti, bambini ricchi della loro innocenza e spontaneità solitaria, o coppie di innamorati rese migliori dalla forza dei loro sentimenti”.[7]
3-Brassaï, Paris de nuit, libro sulla vita notturna parigina.
La maggior parte dei fotografi umanisti condivide la professione di “reporter-illustratore”, ma ciò non toglie che molti di loro raggiungano lo status di fotografi-autori, grazie all’editoria che costituisce la parte più gratificante del loro lavoro. Valga per tutti il famoso libro fotografico Paris de nuit (1933) del fotografo ungherese Brassaï, che si stabilisce a Parigi nel 1924 dove frequenta l’ambiente surrealista e conosce Picasso. Dopo la seconda guerra mondiale “le flaneur des nuit de Paris” si trasformerà in un “globe-trotter”, grazie a una lunga e fruttuosa collaborazione con Harper’s Bazaar.[8]
4-Foto di bambini di Doisneau, Ronis, Izis e Boubat
Assieme a lui, ricordiamo i quattro più importanti rappresentanti della fotografia umanista francese: Robert Doisneau, Willy Ronis, Izis e Édouard Boubat che hanno in comune un grande amore per la città di Parigi e per le sue strade che diventano la principale scenografia dei loro scatti. Soprattutto a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, trasmettono al mondo “une certaine idée de la France”, attratti da quanto c’è di incanto o di mistero nei fatti quotidiani oppure alla ricerca di temi cari ad altre arti quali le canzoni, il cinema, la poesia e la letteratura.[9]
5-Doisneau Au Pont des Art 1953, Un regard oblique 1948
Ma per il pubblico restano due gli indiscussi protagonisti di quella stagione d’oro della fotografia: da un lato Robert Doisneau, con la sua visione del mondo romantica e compassionevole e il suo sguardo attento a cogliere lo spettacolo permanente della vita quotidiana, che trasforma le anonime persone della strada in attori naturali della commedia umana, trasfigurandoli spesso in figure fantastiche e oniriche [10]; dall’altro, Henri Cartier-Bresson, che nei diversi periodi della sua vita è sempre riuscito a rinnovare il suo sguardo sul mondo, tanto da essere definito l’occhio del secolo e considerato il massimo interprete del cosiddetto “realismo espressivo”, che si contraddistingue per la capacità di saper individuare e cogliere dentro il flusso ininterrotto del tempo l’istante decisivo.[11]
6- Cartier-Bresson, Hyères 1932, Ivry sur Seine 1955
Il movimento umanista inizia ad avere un certo seguito anche al di fuori della Francia a partire dagli anni ’50, come reazione al terribile dramma della seconda guerra mondiale, con la volontà di affermarsi nel resto del mondo come linguaggio universale accessibile a tutti.
Il movimento raggiunge il suo apice con la Mostra The Family of Man - organizzata da Edward Steichen al Museum of Modern Art di New York nel 1955 - che assume una risonanza planetaria, grazie ai suoi messaggi di fratellanza universale e di dignità dell’uomo, di speranza e di condivisione di un medesimo destino. È un progetto grandioso, costituito da 503 fotografie provenienti da 68 paesi diversi, che diventa la più grande manifestazione nella storia della fotografia e che verrà esposta negli anni successivi in molte parti del mondo.
7- The family of man, 1955
Alle fotografie di grandi autori come Ansel Adams, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Édouard Boubat, Robert Capa, David Seymour, Bill Brandt, Elliott Erwitt, Eugene Smith, Robert Frank, August Sander, Sabine Waiss, Margaret Bourke-White, Richard Avedon, Garry Winogrand, si affiancano immagini di fotografi meno noti, mentre altre fotografie di Dorothea Lange e Russel Lee provengono dall’ archivio della Farm Security Administration, realizzato negli anni della Grande Depressione statunitense.
Come abbiamo già detto nell’introduzione, il movimento umanista diventa la principale espressione della fotografia a livello mondiale a cavallo degli anni ’50 e ’60, ma verrà ricordato anche come uno dei periodi più caratterizzanti della fotografia francese, che dagli anni ’30 fino agli anni ’60 ha avuto il suo centro indiscusso nella metropoli parigina.
8- The family of man, 1955
Gli anni del secondo dopoguerra sono caratterizzati da importanti trasformazioni politiche, sociali e culturali, dove il generale benessere dell’occidente, sostenuto dal boom economico, convive con “la guerra fredda” e il rischio nucleare. Ma già negli anni ’60 iniziano a manifestarsi fenomeni di crisi, alimentati anche dalla contestazione dei tradizionali valori borghesi da parte delle giovani generazioni in nome di una nuova ideologia libertaria: contestazione che raggiunge l’apice nel 1968, che verrà ricordato come l’anno delle grandi manifestazioni di piazza e degli scioperi dentro le fabbriche e le università.
Nello stesso tempo, con l’affermarsi del pensiero liberale e il propagarsi di nuove forme di consumismo, al di là dell’oceano gli Stati Uniti acquisiscono progressivamente un ruolo egemone a livello mondiale, diventando la principale forza trainante dell’economia di mercato, che porterà a radicali cambiamenti anche in ambito culturale.
In particolare nel campo delle arti visive, assisteremo a un grande sviluppo dell’arte e della fotografia americana - inizialmente influenzate da quella europea - che nel corso del tempo si imporranno autonomamente a livello internazionale. Con lo sviluppo dell’Espressionismo astratto (in particolare l’Action painting di Jackson Pollock) e con l’affermarsi di una particolare forma di street photography tipicamente americana, si aprirà una nuova stagione per le arti visive caratterizzata da una radicale trasformazione dei linguaggi, che segnerà una forte discontinuità con il passato.
Anche il mondo della fotografia a cavallo fra gi anni ’50 e ’60 dovrà affrontare una vera e propria “rivoluzione visiva” attuata da Robert Frank con il suo libro The Americans: dalla critica Frank verrà considerato come l’anticipatore di un nuovo linguaggio che sovverte radicalmente i paradigmi che hanno contraddistinto l’estetica e le più tradizionali forme espressive della fotografia umanista, un linguaggio “informale” che ancor oggi possiamo riconoscere in molte manifestazioni della fotografia contemporanea.[12]
---- [1] Ci riferiamo in particolare a quanto già scritto in un mio precedente articolo pubblicato il 18 giugno 2021: I territori del “fotografico”: pittorialismo, documentarismo, concettualismo. Documentarismo va inteso nello specifico significato che gli attribuisce David Bate nel suo libro La fotografia d’arte, (Einaudi, 2018). Bate prova a reinterpretare il mondo della fotografia, della sua storia e dei suoi autori attraverso tre categorie del fotografico - pittorialismo, documentarismo e concettualismo -, entro le quali circoscrivere i diversi comportamenti della fotografia, così come si sono evoluti a partire dalle origini sino ai giorni nostri: comportamenti che di volta in volta hanno assunto proprie specificità linguistiche e poetiche e che, a mio avviso, in alcuni casi hanno avuto modo di contaminarsi o ibridarsi, soprattutto nella più recente fase della contemporaneità.
[2] David Bate, Photography. The Key Concepts, 2016, Trad. it. Il primo libro di fotografia, Einaudi, 2017, p. 89.
[3] Bate, op. cit. p. 83.
[4] Bate, op. cit. p. 68.
[5] Gli articoli sono stati pubblicati rispettivamente il 10 dicembre 2022 e il 23 gennaio 2023. Il testo originale è consultabile al seguente indirizzo: https://www.blind-magazine.com .
[6]Ricordiamo che sul sito di Fotopadova ci sono diversi articoli che trattano della fotografia umanista, articoli rintracciabili con una ricerca dal menu collocato in alto a sinistra: Edouard Boubat, sguardo di velluto di Marie d'Harcourt, da: https://www.blind-magazine.com/news/edouard-boubat-a-velvet-gaze/ (trad. Gustavo Millozzi); Henri Cartier-Bresson: “Non ci sono forse - vivere e guardare”, da https://lens.blogs.nytimes.com/ (trad. Gustavo Millozzi); Adolfo Kaminsky: la Parigi “umanista” e popolare (seconda parte) di Lorenzo Ranzato; Templi, Santuari, Cappelle e capitelli della Fotografia: 2, Casa dei Tre Oci a Venezia:“Esposizione” di WillY Ronis, di Carlo Maccà; Sabine Weiss, ultima fotografa umanista, di Gustavo Millozzi.
[7] Si veda: La photographie humaniste sul sito del Ministero della Cultura francese-Biblioteca nazionale di Francia: https://histoiredesarts.culture.gouv.fr/Toutes-les-ressources/Bibliotheque-nationale-de-France-BnF/La-photographie-humaniste-1945-1968.
[8] Brassaï, Photo Poche n. 28, 2009, con introduzione di Roger Grenier e un’ampia bibliografia alla fine. La collezione di questi agili ed economici libretti tascabili, pubblicati dal Centre national de la photographie, presenta un vastissimo catalogo di fotografi con più di 150 titoli.
[9] La photographie humaniste, cit. Segnaliamo anche il libro La photographie humaniste, 1945-1968: Autour d'Izis, Boubat, Brassaï, Doisneau, Ronis..., Catalogo della Mostra omonima, a cura di Laure Beaumont-Maillet e Françoise Denoyelle, con la collaborazione di Dominique Versavel, ed. Biblioteque Nationale de France, 2006
[10] Fra i molti libri si veda il recente: Robert Doisneau, Catalogo della Mostra a cura di Gabriel Bauret, Rovigo 23 settembre 2021-30 gennaio 2022, Silvana Editoriale 2021.
[11] Fra l’immensa bibliografia consigliamo la lettura del libro tascabile: Henri Cartier-Bresson, Gallimard 2008, con testi di Clément Chéroux, storico della fotografia e conservatore per la fotografia al Centro Pompidou. Alla fine, oltre ad un’ampia bibliografia, sono riportati alcuni testi e aforismi di HCB. Ricordiamo una delle sue celebri frasi: “Scattare una fotografia significa riconoscere, simultaneamente e in una frazione di secondo‚ sia il fatto stesso sia la rigorosa organizzazione delle forme visivamente percepite che gli conferiscono significato. È mettere testa, occhio e cuore sullo stesso asse”.
[12] Per un approfondimento si rinvia a: Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, 2012. Particolarmente interessanti i capitoli: Sull’onda dell’informale e La grande armata delle avanguardie che racconta il rapporto fra mezzo fotografico e i nuovi fenomeni artistici della Body Art, Narrative Art e Conceptual Art che si affermano nel corso degli anni ’70.
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L’unico e solo
Non mi interessa cosa dicono o pensano gli altri. Per me, l’unico e solo agente 007 cinematografico è Roger Moore. Ho cominciato ad amare questo attore dopo avere visto la serie televisiva Attenti a quei due, realizzata in una sola stagione di 24 episodi. Era basata sulla strana coppia di “agenti segreti” (uso le virgolette perché non ho ancora capito adesso cosa facessero), formata da un elegante britannico (appunto Rober Moore) e da uno sguaiato americano (Tony Curtis). Da allora, lui è uno dei miei attori preferiti. Lo trovavo simpatico. E lo vedevo adatto solo a ruoli positivi. A dire il vero non ricordo abbia mai fatto il cattivo. Ma potrei essermi perso qualcosa. Mi capita spesso.
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Tokyo. Comicon
“ Attenti a quei due “
😂❤️
#joseph quinn#joe quinn#love#sunshine#mylove#my sweetheart#comicon#strange things#fans#amore#jamie campbell bower
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Il primo impatto con l'appartamento me lo ricordo come se fosse ieri, anche se sono passati quasi due anni.
Un giovedì mattina, avevamo appuntamento con il proprietario, io e i miei genitori, davanti alla porta del palazzo. Doveva mostrarci la camera. Nell'appartamento in quel momento c'erano però anche le ragazze, quindi il proprietario ha suonato il citofono per farsi aprire da loro. Per l'esattezza, in quel momento c'erano Veronica e Claudia (la ragazza che dopo tre mesi ha lasciato la casa e ha ceduto il posto a Violetta), mentre Annarita era fuori. Siamo entrati, e loro dopo averci aperto si sono fatte da parte e hanno lasciato che il proprietario portasse me e i miei a vedere la camera.
In realtà Veronica e Claudia, dall'angolo cottura, senza farlo notare mi osservavano (questo me lo hanno raccontato dopo): ovviamente erano curiosissime di vedere com'ero: anche per loro era una novità assoluta abitare con uno studente maschio, avevano vissuto solo tra femmine, ed erano eccitate all'idea di questo cambiamento in casa. Però quel giorno con loro avevo interagito pochissimo. Ci eravamo chiesti reciprocamente di dove eravamo, e poco più.
La camera andava ovviamente benissimo ma lo immaginavo perché l'avevo vista in foto, e anche l'appartamento era moderno e piacevole.
Ricordo questo: che i miei genitori, in quel momento molto attenti a piccoli dettagli tecnici (per esempio che non ci fossero macchie di umidità), sembravano quasi indifferenti di fronte alle future coinquiline, mentre apparivano preoccupati che io risultassi composto ed educato. È come se per i miei in quel momento le ragazze fossero delle persone anonime, forse perché immaginavano che io, chiuso nella mia stanza, non avrei mai interagito con loro.
Mentre per me erano tutt'altro che persone anonime, io vedevo i volti e i corpi di coloro con cui avrei iniziato a vivere pochi giorni dopo, e per me era una cosa incredibile, c'era un contrasto enorme fra l'emozione dentro di me, all'idea che stavo per abitare con delle ragazze – con quelle ragazze – e il fatto che cercavo di non dare a vedere nulla di tutto ciò, per apparire il più neutro possibile al proprietario.
La mia primissima impressione delle ragazze, in quei primi sguardi fugaci, era particolarissima. Le vedevo bellissime nella loro semplicità, carine e piacevoli, simpatiche nei sorrisi incuriositi con cui si sono presentate e nella freschezza dei loro volti.
Questo primo contatto è durato una mezz'ora al massimo, poi con il padrone, io e i miei genitori siamo andati via con l'accordo che mi sarei trasferito il primo giorno del mese successivo, giugno.
Io fuori di me ero impassibile e dentro di me stavo esplodendo: avevo appena visto due ragazze carine dentro la loro casa (che per me era già un'emozione), e qualche giorno dopo avrei iniziato a vivere con loro, a condividere la stessa casa e la vita quotidiana. Per me era una cosa che superava di miliardi di volte la migliore delle prospettive che avrei potuto avere solo quindici giorni prima.
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Fotopoesia - Attenti a quei due 😛
Fotopoesia – Attenti a quei due 😛
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AAA OFFRESI COMPAGNO DI CHAT
Sei una single? Ma non vuoi impegnarti troppo per questo San Valentino? Ti offro la mia presenza in chat o su altri social per questo giorno fino alle ore 0:00, poi amici come prima. O anche meno.
Offersi servizio di messaggeria in funzione ai vostri disagi mentali, un esempio delle mie offerte:
- ChattAnsia Ti chiederò se hai prenotato il tavolo per questa sera, se vicino a una finestra e in un angolo perché odio stare al centro. Poi tutti ci guardano. Mi farò paranoie per sapere se i fiori che ti regalerò saranno di tuo gusto; senza dirti che fiori saranno perché sarà una sorpresa. Sarai mica allergica a qualche ingrediente dolciario, neh?! Che io la torta l'ho già comprata. La chat sarà così ansiosa che avrai in omaggio una confezione di Xanax.
- Chat del delirio Ti scriverò "Ti amo", ma subito dopo sospetterò che tu stia scrivendo "ti amo" a un altro. Comincerò con una serie di domande psiconevrotiche per portarti alla confessione. Sarò convinto che avrai un'App che ti permetterà di accedere alla mia fotocamera e di spiarmi. Quindi chatterò con te indossando un passamontagna o la maschera di Guy Fawkes, a te la scelta.
- Chat Depressa Scriverò parole smielate per te in chat, anche se so che non te ne fregherà nulla di me stesso. Anzi se per caso tu dovessi rispondermi te lo farò notare con frasi del tipo "ah, ma allora esisto", "uh, ma allora mi noti". Tanto ti perderò, mi lascerai prima della mezzanotte, ne sono sicuro guarda, alle 23:59 mi scriverai "tra noi è finita". Avrò un minuto per scriverti che mi imbottirò di psicofarmaci per farti sentire in colpa. Però io ti amavo, sappilo.
- Chat da dipendenza affettiva Non so manco se scriverti in chat, io mica ti merito sai? Fai bene a non rispondermi, sei troppo bella. Potrai scrivermi frasi del tipo "lasciami in pace", "ma chi te conosce"... si puoi avere di più ma io sarò sempre ai tuoi piedi. Se vorrai fare sesso virtuale senza sesso, quindi solo virtuale, a me va benissimo. tanto non ti merito.
- Chat del narcisista Qua ti volevo. Si proprio in chat con me, dove pensi di andare? Uno come me mica lo trovi dietro l'angolo sai? Una come te invece si trova a ogni angolo della strada, anche sotto i lampioni. Se ti senti figa è solo grazie alle mie attenzioni cosa credi? Il tavolo migliore al ristorante a chi lo hanno riservato se non a me? Sai che quando ci serviranno le portate, stesse pietanze scelte per entrambi, le mie saranno più buone delle tue? Sai perché? Te lo dico subito: gnè gnè gnè. A mezzanotte chiuderò con un "mi rimpiangerai e non sai quanto". Salvo poi che tu a 0:01 mi riempirai di insulti, anzi verrai a casa mia a prendermi a schiaffi, sembrerai la dea Kalì tante saranno le sberle che mi prenderò.
- Chat ossessiva Mi scriverai che mi ami, ma io mi chiederò se davvero mi ami. Mi scriverai che questa sera indosserai un intimo comprato apposta per l'occasione, ma io dubiterò che tu l'abbia comprato durante i saldi di gennaio. Se faremo sexting dovremo stare attenti, potrebbero spiarci gli hacker. Occhio che poi finiamo su TikTok e ci "paraculano". Ma sarai davvero da sola? Ma la tua igiene personale è davvero decente? Ma hai davvero l'età che mi hai detto? Non è che per caso ti chiami Ugo?
- Chat del panico Ti scrivo. Tu mi risponderai. Io andrò nel panico perché non mi aspettavo di certo una tua risposta. E se poi non ti piaccio?Dalla mia risposta sono passati tre secondi e ancora non ti vedo scrivere, oddio mi hai già lasciato? Per questa sera non mangerò verdure, pensa se mi si dovesse infilare della rucola tra gli incisivi, non aprirei più la bocca. Ti parlerei da ventriloquo. Ti bacerei da ventriloquo con un bacio a stampo. Poi mi rispondi che eri stata impegnata in bagno, mi rassicuro, perché sei andata a depilartela per questa sera, torno nel panico... magari dovrei depilarmi anche io, giusto per guadagnare quei due centimetri dal punto di vista ottico. Implodo, a mezzanotte non ci arrivo vivo.
- Chat dello stress Prima di cominciare sarà mio impegno far passare tutti i tuoi post dal 2009 a oggi. Dovrò sapere tutto di te. Vita, morte e miracoli. Si morte tanto per dire neh?! Ti invierò a casa mia per cena, come primo ti preparerò quella ricetta di Giallo Zafferano che postasti sul tuo profilo il 15 marzo del 2014 scrivendo "Mamma che bontà"; per secondo ho visto quel tuo reel su Instagram dove fai vedere una ricetta di Gordon Ramsay dove lui sbraitava "questo è crudo" e poi, come nel video, lancerò il piatto a terra spaccandolo. Saprò a memoria i tuoi gusti e i tuoi disgusti e quando mi racconterai qualcosa su di te fingerò stupore, perché tanto lo sapevo già... hai scritto tutto su di te suoi social.
- Chat del bornout Ti scriverò che ti amo più della mia stessa vita. Tanto manco mi risponderai.Un senso di fallimento totale mi pervaderà.Non sei più tu lo sai? All'inizio della chat eri diversa. Ti manderò dei nudes senza convinzione. Mi manderai dei nudes ma sarò poco convinto. Non saremo convinti di nulla. Anzi le nostre risposte ci daranno fastidio reciprocamente. Chiuderemo definitivamente con dieci minuti d'anticipo sulla mezzanotte. Mica ti reggo fino a quell'ora. Tu lo stesso di me.
- Chat del fobico Ti scriverò titubante. Ma tu romperai subito il ghiaccio e "zac" una foto di un tuo seno in chat. Ora ho paura ad aprire la chat e se mi arrivasse l'altro seno? Due non li reggo, mi scopro con la fobia del seno grosso. Ti riveli in tutto il tuo splendore in una foto nuda, scrivendomi che non vedi l'ora di essere posseduta. Niente mi riscopro afefobico. Mi scrivi un lunghissimo post per tranquillizzarmi, peccato che soffro di hippopotomonstrosesquipedaliofobia. Allora mi mandi un vocale, soffro di misofonia. Mi mandi a fare in cul0 ma soffro di genofobia. Mi mandi una foto della tua gnagna con scritto "scordatela", a me va bene soffro di coitofobia.
Per altre patologie ho un catalogo più vasto, come per esempio la "Chat Freud", per chattare su WhatsApp prego inviarmi il proprio numero su privato (santissimo cielo stellato l'ho scritto davvero).
Tariffe buone.
Nel senso che pago io. Eccheccazzo sono un cavaliere!
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00CINEMA: io e il cinema abbiamo rotto
Ho pensato molto a come rimettermi a scrivere di cinema. Ho sempre scritto e parlato di questo in maniera naturale, una profonda e totale connessione con ciò che vedevo. Avevo sempre qualcosa da dire e per un po’ pensavo quasi di avere la conoscenza assoluta.
Assurdo come qualcosa che hai curato per anni sia improvvisamente diventato un estraneo molesto, qualcuno di cui non si riesce ad evitare la presenza e che si è costretti a vedere ogni singolo giorno. Ogni volta che si parlava di cinema c’erano troppe cose da dire, troppi film da vedere, troppi soldi da spendere. Perché si, è una spesa essere uno spettatore abituale. Certo, una spesa più che giusta, ma pur sempre una spesa. Ed io, come penso moltə altrə mi sono fermata. Che significa? Ascoltavo le conversazioni, guardavo con interesse i dettagli che venivano colti rispetto alla pellicola di turno nei contenuti online, tenevo gli occhi attenti sulle ultime novità e mi accontentavo semplicemente di guardare, senza realmente vedere.
Era tutto troppo. Chiunque voleva dire la sua e questo meccanismo luccicante, rendeva tutto così poco reale, tanto da farmi perdere l’interesse. Non sentivo più la magia, non era più speciale.
Certo, nel mio piccolo ho lavorato ma avrei potuto fare di più sicuramente, impegnarmi per non illudermi che tutto stesse andando bene, che quella cultura che mi faceva da solido materasso dove mi rifugiavo lentamente stava cedendo e io non stavo facendo niente per rimanere a galla. E forse questo è il vero super potere che l’essere umano ha: la possibilità di aggiornarsi e di evolversi. La cultura non è mai troppa, il detto “non si smette mai di imparare” è così reale che dovremmo farne tuttə tesoro.
Non è certo questo il tono che voglio mantenere in questi lidi ma credo che la sincerità sia un’ottima base da cui partire. Non mi sono sentita all’altezza per molte cose e potrei tranquillamente paragonare il mio rapporto con il cinema come quello tra due persone che hanno una relazione e dove uno dei due ferisce l’altro. Non sto qui ad elencare tutte le volte in cui io mi sono sentita quella ferita ma la verità era che io rivestivo perfettamente l’immagine del carnefice, io ho lasciato che la valanga di titoli usciti mi offuscassero la mente, che l’ansia di cui soffro avesse il controllo su tutto e il cinema, la mia metà, si è sempre più allontanato da me.
Il mio obiettivo ora è proprio di riconquistarlo, lentamente, senza fretta, rieducando la mia mente a quello che mi faceva stare bene, a quello che mi motivava, perché capita a tutti di perdere l’interesse per ciò che si ama. Succede di perdersi senza sapere cosa si desideri fare. Accade di sentire il mondo andare avanti lasciandoti indietro e va bene così. Ci vuole tempo per rendersi conto che basta una manciata di passi per tornare a galla e riprendere coscienza di cosa si è. Perdersi fa paura ma è anche bellissimo perché quando ci si ritrova, ci si rende conto che le difficoltà passate erano solo momenti di sconforto.
Questo posto nasce per diventare parte di quei passi di cui ho bisogno. Nelle prossime settimane vorrei parlare di tutti quei film che mi accompagneranno in questo percorso e credo che ce ne accorgeremo insieme quando tornerò a galla.
Qualcuno mi ha detto “concediti di commiserarti” ed è quello che mi sento di consigliare a chiunque si ritroverà a leggere queste parole, concedetevi di stare male, di prendervi del tempo perché vivere non è facile. È bellissimo ma è dannatamente difficile al giorno d’oggi o forse lo è stato sempre e solo ora ne sto prendendo a pieno consapevolezza, questo io non posso saperlo. So per certo però che se si sente di aver perso il senso di ciò che si vuole fare, non bisogna mai fermarsi, rallentarsi va più che bene ma fermarsi del tutto è davvero pericoloso per chiunque, serve poi una forza non indifferente per tornare di nuovo centrati.
Poss(iam)o farcela.
I.R.
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"Mattarella & Piantedosi" - ATTENTI A QUEI DUE ! @alessandro.corbelli - Digital News 24 su YouTube
SECONDO AGGIORNAMENTO – Pesaro, 05/05/2024 Già on-line su YouTube + Social: “La bambina venduta – Mattarella” di Alessandro Corbelli. In questo settimo capitolo, l’autore stanco e fortemente dispiaciuto per l’attuale grave stato di salute della stessa Irene Palacino, (sottoposta a chemioterapia presso l’ospedale San Salvatore di Pesaro, sede di Muraglia) accusa con fermezza e massimo disappunto,…
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