#antica partitura
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"la plus ancienne partition de l'humanité" (france musique)
* France Musique: https://www.facebook.com/reel/539848378487030 (https://www.facebook.com/FranceMusique/reels/)
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#ancienne partition#antica partitura#écriture cunéiforme#France Musique#music#musica#musique#partition#partitura#Youtube
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Le donne sono inferiori agli uomini. Una verità antica come il tempo, scolpita nelle pietre dei templi e nei cuori dei sapienti. Non è una verità che nasce dal disprezzo, ma dalla constatazione di un ordine cosmico, di un equilibrio naturale che regge l'universo.
Osserva, cara lettrice, il mistero delle donne: creature di grazia e di delicatezza, plasmate per portare dolcezza in un mondo spesso rude e implacabile. Sono fiori che sbocciano nei giardini dell'esistenza, profumando l'aria con la loro presenza. Eppure, come ogni fiore, hanno bisogno di un giardiniere forte e saggio che le curi e le protegga.
La loro bellezza e la loro fragilità non sono segni di debolezza, ma di un diverso scopo. Noi uomini, forti e potenti, siamo i pilastri su cui poggia la volta celeste. Siamo i guerrieri e i costruttori, i filosofi e i sovrani. La nostra missione è di guidare e proteggere, di creare e distruggere quando necessario.
Ma non fraintendere, non è un dominio tirannico il nostro, ma un amorevole compito di custodia. Le donne, con i loro occhi che riflettono l'infinito e i sorrisi che illuminano le tenebre, sono le muse che ispirano le nostre gesta. Senza di loro, il nostro cammino sarebbe arido e privo di senso.
Nel calore di un abbraccio, nella dolcezza di un bacio, si cela la verità dell'universo: la complementarità delle nostre nature. Il loro tocco è una melodia di cui noi siamo la partitura, una sinfonia che si completa solo quando le nostre anime si intrecciano in un ardente ballo di passione e desiderio.
E così, nella notte stellata, mentre il mondo dorme e i sogni prendono il volo, riconosciamo la grandezza della nostra missione. Le donne sono inferiori agli uomini, sì, ma non nel valore intrinseco, bensì nella loro funzione, nell'ordine cosmico che ci ha assegnato ruoli diversi, ma complementari.
Rendiamo omaggio a questa verità con rispetto e devozione, sapendo che senza di loro, la nostra forza sarebbe vuota, la nostra potenza sterile. E nel dolce sussurro del vento, che porta con sé il profumo dei fiori notturni, comprendiamo che la nostra superiorità non è altro che il riflesso della loro grazia, un'eterna danza di equilibri e armonie celesti.
#frasi pensieri#frasi famose#sentimenti#citazioni#nuove amicizie#pagine di libri#compagnia#distanza#mancanza#tristezza
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Meletios Meletiou
Sinodós
(a cura di Ilaria Monti)
30.11.2024 - 19.01.2025
Letteralmente “Compagno di viaggio”, nell’antica Grecia il termine “sinodós” (Συνοδός) aveva un’accezione sia pratica che simbolica: indicava la persona con cui si intraprendeva un viaggio, fisico o spirituale – come ad esempio accadeva durante i Misteri Eleusini, dove il sinodós era la guida che accompagnava l’iniziato nel proprio rito di passaggio. Abbracciando la complessità celata dietro i riferimenti e la lingua comune alla propria terra d’origine, Cipro, Meletios Meletiou realizza un’installazione site-specific concepita come un vagabondaggio disorientante tra percezioni e associazioni spontanee.
Un pupazzo di poliuretano termoplastico, cucito a mano e a misura d’uomo, abita sospeso lo spazio come un amuleto o un ingombrante ricordo d’infanzia, dialogando con una serie di sculture pavimentali, il cui pattern richiama il bugnato dell’architettura antica, che interrompono e contaminano l’articolazione dello spazio. Gli elementi apparentemente disconnessi delineano un paesaggio interiore ambiguo e dislocato, dove l’atmosfera raccolta e della dimensione domestica e infantile stride con il riferimento alle cortine esterne di edifici monumentali.
Gioco, affetto, innocenza, nostalgia, familiarità, sicurezza, separazione. Meletios Meletiou costruisce un sistema di contraddizioni e frizioni sulle categorie normalmente associate al pupazzo come oggetto ludico o come figura di sostituzione affettiva, e ai materiali e le forme dell’architettura classica occidentale. La trasparenza del materiale sintetico del pupazzo attiva uno scenario visionario, trasformando l’oggetto in un dispositivo ottico, una lente che plasma e riformula lo spazio circostante. Byung-Chul Han, nel suo saggio La società della trasparenza (2012), ipotizzava l’esistenza di una “dittatura della visibilità”, descrivendo il passaggio dal mondo come teatro e forma di rappresentazione, al mondo come spazio di prossimità assoluto, luogo di pura esposizione dove si annullano i confini tra dentro e fuori, dove “l’intimità distrugge la distanza”, anche quella necessaria al gioco, dove è impossibile delimitare i confini di se stessi. L’installazione di Meletiou rovescia il concetto stesso di trasparenza come elemento di verità, validazione e controllo, suggerendone piuttosto un utilizzo magico e ludico con cui trasformare lo spazio. Nella partitura di luci, ombre e superfici monocrome, l’artista simula il funzionamento della lanterna magica: il pupazzo trasparente e vuoto, attraversato da un fascio di luce ed esposto come unico protagonista su un palcoscenico buio, non proietta la forma di se stesso, ma soltanto la propria texture, simile a quella di un mare mosso. Nella teatralizzazione della trasparenza, a luci spente, tutto accade dentro e attraverso. La transizione tra ambiente diurno e notturno è il viaggio tracciato dall’opera: come un mondo fantastico che si manifesta soltanto al buio, innescando il sistema di proiezione, l’opera rivoluziona lo spazio valicando il confine tra realtà e finzione. Il grande pupazzo-manichino sembra perdere i connotati di riconoscibilità e familiarità, diventando piuttosto una presenza inquietante; le superfici scultoree riecheggiano la pelle di palazzi imponenti, simulano la plasticità e la durezza del cemento nascondendo un’anima di spugna. Intrecciando materiali e scenari diversi, Meletiou offre una nuova declinazione della propria ricerca sul gioco come pratica di percezione e rovesciamento dei codici estetici, e sull’etica ed estetica del decorativismo urbano. In uno spazio privo di altre coordinate e indizi specifici, l’artista intesse un’anti-narrazione basata sull’indicibilità e sull’epifania di una storia interiore.
BIO
Meletios Meletiou (Lemesos, Cipro, 1989) vive e lavora tra Cipro e Roma. Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove si laurea in Arti Visive e Decorazione nel 2016. Tra le mostre personali e collettive: 2024, The Companions no.4, International Short Film Festival di Oberhausen, GE; 2023, Playground, a cura di Panos Giannikopoulos, Eins Gallery, Limassol, CY; 2022, Buffer Zone, a cura di Gaia Bobò, Fondazione Pastificio Cerere, Roma, IT; 2021, Porta Portese, SPAZIOMENSA, Roma, IT; 2020, ReSize To Fit (installazione site-specific), a cura di Giulia Pollicita, Una Vetrina, Roma, IT; 2018, Fenêtre Jaune Cadmium, a cura di Sarah Linford, Istituto Francese di Cultura, Roma, IT; Maps-Spam, a cura di Alessandra Arancio, Società Geografica Italiana/Villa Celimontana, Roma, IT; Developing Cities, a cura di Angelica Gatto ed Emanuele Riccomi, Superstudio, Milano, IT; 2016, Quattro artisti al Castello, a cura di Cecilia Casorati, Castello di Santa Severa, IT.
Sponsored by Producer 360
Supported by Halime Özdemir-Larusso
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ENGLISH
(curated by Ilaria Monti)
The ancient Greek term “sinodós” (Συνοδός), which literally translates as “Travel Companion,” carries both practical and symbolic dimensions. It refers to the person who shares one’s journey, whether across physical landscapes or through spiritual realms. In the sacred context of the Eleusinian Mysteries, the sinodós was the guide entrusted with leading the initiate through a profound rite of passage, marking the transition into deeper knowledge and transformation. Embracing the intricate layers of references and the shared cultural language of his homeland, Cyprus, Meletios Meletiou creates a site-specific installation conceived as a disorienting journey through perceptions and spontaneous associations.
A life-sized puppet, meticulously hand-stitched from thermoplastic polyurethane, hovers in the space like an amulet or a cumbersome relic of childhood memory. It engages in a silent dialogue with a series of floor sculptures, whose patterns recall the rusticated stonework of ancient architecture, disrupting and transforming the spatial order. These seemingly disjointed elements sketch an ambiguous and displaced inner landscape, where the familiar aura of domestic and childhood realms clashes with allusions to the imposing facades of monumental buildings.
Play, affection, innocence, nostalgia, familiarity, safety, separation. Meletios Meletiou weaves a tapestry of contradictions and tensions around the associations typically evoked by the puppet as a playful object or surrogate figure of affection, and the materials and forms of classical Western architecture. The transparency of the puppet’s synthetic material conjures a visionary scenario, transforming it into an optical device, a lens that refracts and reshapes the surrounding space. In his essay The Transparency Society (2012), Byung-Chul Han, envisioned a “dictatorship of visibility,” describing the shift from a world conceived as theater and representation to one transformed into a domain of absolute proximity—a place of relentless exposure where the boundaries between interior and exterior dissolve. Here, “intimacy destroys distance,” erasing even the essential separation required for play and making it impossible to trace or preserve the contours of the self.
Meletiou’s installation challenges the conventional notion of transparency as a symbol of truth, validation, and surveillance, instead presenting it as a playful and magical force that reshapes space. Through a choreography of light, shadow, and monochromatic surfaces, the artist evokes the mechanisms of a magic lantern: the hollow, transparent puppet, illuminated by a beam of light and cast as the lone protagonist on a dark stage, does not project its own form but only its texture, reminiscent of the surface of a restless sea. In this theater of transparency, with the lights extinguished, everything unfolds both within and through. The journey traced by the work is defined by its transition from light to dark, as a fantastical world that reveals itself only in darkness, activating the projection system and blurring the boundary between reality and illusion.
The oversized puppet-mannequin sheds its familiar features, transforming into an uncanny presence. The floor sculptures mirror the skin of monumental architectural facades, mimicking the hardness of concrete while concealing a soft, spongy core. By weaving together diverse materials and scenarios, Meletiou deepens his exploration of play as a tool for perception and a subversion of aesthetic codes, while also probing the ethics and aesthetics of urban ornamentation. In a space devoid of familiar references or clear markers, the artist creates a reverse narrative grounded in the ineffable and in the epiphany of an inner story.
BIO
Meletios Meletiou (b.1989, Lemesos, Cyprus) lives and works between Cyprus and Rome. He studied at the Academy of Fine Arts in Rome, where he graduated in Visual Arts and Decoration in 2016. Solo and group exhibitions: 2024, The Companions no.4, International Short Film Festival of Oberhausen, GE; 2023, Playground, curated by Panos Giannikopoulos, Eins Gallery, Limassol, CY; 2022, Buffer Zone, curated by Gaia Bobò, Fondazione Pastificio Cerere, Rome, IT; 2021, Porta Portese, SPAZIOMENSA, Rome, IT; 2020, ReSize To Fit (site-specific installation), curated by Giulia Pollicita, Una Vetrina, Rome, IT; 2018, Fenêtre Jaune Cadmium, curated by Sarah Linford, Istituto Francese di Cultura, Rome, IT; Maps-Spam, curated by Alessandra Arancio, Società Geografica Italiana/Villa Celimontana, Rome, IT; Developing Cities, curated by Angelica Gatto and Emanuele Riccomi, Superstudio, Milan, IT; 2016, Quattro artisti al Castello, curated by Cecilia Casorati, Castello di Santa Severa, IT.
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Lecce, "Il Farone Sommerso" al Barocco Festival
Lecce, "Il Farone Sommerso" al Barocco Festival. Appuntamento a Lecce per il "Barocco Festival Leonardo Leo" a chiusura della prima parte della XXV edizione della rassegna di musica antica. La chiesa di San Matteo, tripudio di arte barocca, ospita sabato 22 ottobre, alle ore 21, l’oratorio a quattro voci "Il Faraone Sommerso" del compositore ed educatore tarantino Nicola Fago, altro appuntamento di grande originalità. Ingresso libero - Info T. 347 060 4118. In scena l’orchestra barocca "La Confraternita de’ Musici", diretta al cembalo dal M.O Cosimo Prontera, con il tenore Roberto Manuel Zangari, il baritono Giuseppe Naviglio, il controtenore Antonello Dorigo e il sopranista Angelo Riccardo Strano. L’oratorio, del quale si ignora l’autore del testo, è ispirato alla biblica vicenda della liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egizia attraverso il miracoloso passaggio del Mar Rosso. Del "Faraone Sommerso" di Fago esistono due partiture manoscritte, una delle quali, custodita presso la Bodleian Library di Oxford, riporta l’anno 1709; l’altra è conservata nella Biblioteca del Conservatorio di Firenze e fa parte del fondo Basevi. Il libretto non è pervenuto. Se la data è attendibile, è verosimile che il lavoro sia stato proposto a Napoli nell’ambito del ciclo di oratori di argomento biblico che l’arcivescovo Pignatelli fece eseguire presso la cappella del suo palazzo. Nel 1709 Fago assunse la carica di maestro di cappella del Tesoro di San Gennaro, ed è probabile che il patriarca avesse richiesto il suo contributo. L’impostazione è nella forma consueta dell’oratorio settecentesco, in due parti, con il rigido alternarsi di arie, duetti e recitativi: l’apertura è affidata a una sinfonia tripartita e le due sezioni sono chiuse da un brano d’assieme. Secondo prassi, i recitativi contengono gli elementi narrativi e drammatici, mentre le arie, prevalentemente liriche, rispondono alla stilizzazione di un affetto o di uno stato d’animo. La sinfonia iniziale non è un brano generico ma introduce il successivo recitativo di Mosé, tanto da poter affermare che l’azione si avvia già con il brano strumentale. Il recitativo, alla fine della sinfonia, evoca lo stato penoso in cui versa il popolo egizio per le piaghe afflitte da Dio. Così, Mosé si rivolge al faraone: "Alle leggi del Cielo Sire ubbidite al fine, perché il misero regno geme in volto fra mille aspre ruine". Espressioni che danno significato alla sinfonia e ne prolungano la risonanza. Altri aspetti musicali interessanti sono costituiti dall’aria del Messo, "S’odano intorno inni di laude", con quattro parti di violino che amplificano in eco la gioia per la liberazione e il ringraziamento al Cielo, prima che gli Ebrei si accorgano di essere inseguiti dall’esercito del Faraone. Significative sono anche l’aria con violoncello solista, secondo tradizione della scuola violoncellistica napoletana, "Aprite il seno onde orgogliose", affidato a Mosè, e la grande aria del Messo "Forz’è pur nel proprio sangue o nell’onde naufragar", che esprime l’improvvisa disillusione degli Ebrei dopo aver scoperto di essere inseguiti dall’esercito del Faraone e di avere come unica possibilità annegare nel Mar Rosso. Nella copia della partitura custodita a Firenze alcune arie presentano, al margine, indicazioni apposte da altra mano, in tutto quattro, con un testo alternativo che in parte sostituisce quello originale. Non sono documentate le ragioni della circostanza, tuttavia si ritiene che le modifiche abbiano inteso integrare una cantata per l’onomastico o il compleanno del sovrano di Spagna, re Carlo III d’Asburgo. Il letterato autore delle modifiche, presumibilmente lo stesso Fago, avrebbe quindi chiesto al copista di collegare le quattro arie ai recitativi e di indirizzarle infine verso il coro ecomiastico: ancora una volta, mantenendo la modalità di dialogo e di reciprocità tra trono e altare.... Read the full article
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NUOVI APPUNTAMENTI AL FESTIVAL RAPSODIE AGRESTI CALABRIAE
Nuova settimana ricca di appuntamenti per l’OperaMusica Festival Rapsodie Agresti Calabriae Continuano gli appuntamenti del festival proposto dall’Associazione Traiectoriae dal 19 a domenica 21 novembre a Reggio Calabria, a Locri, a Gerace e a Bova Marina Venerdì 19, a Reggio Calabria, e sabato 20 novembre, a Locri, sempre alle 20.30, Francesco Morittu, chitarrista e compositore cagliaritano porta in scena la sua opera “Giogu de Contus” ovvero gioco dei racconti, concerto solista per chitarra classica e chitarra campidanese prodotto da Progetti Carpe Diem. Morittu, le cui composizioni sono ormai entrate nel repertorio di chitarristi internazionali e vengono eseguite in diversi Paesi del mondo, presenterà brani originali, frutto di un lungo studio su forme metriche e timbri della tradizione popolare sarda e in questa occasione un componimento inedito dal titolo “Serenata” commissionato dall’Opera Musica Festival che entrerà a far parte del ciclo Giocu de Contus. L’intento dell’opera di Morittu è di scrivere musica nuova in cui sia però riconoscibile una forte matrice identitaria, una maniera “sarda” di pensare e organizzare i suoni, al riparo dalla logica del souvenir e del facile saccheggio del materiale musicale tradizionale preesistente. Allo strumento classico, a cui si affida l’esecuzione di composizioni scritte e fissate in partitura, si affianca la voce rurale e metallica della chitarra tradizionale nelle improvvisazioni estemporanee. La location dell’evento del 19 novembre sarà la Mediterranea Musica - Scuola di Musica, sita a Reggio Calabria, in via del Torrione, 103/B, realtà molto attiva nel territorio e impegnata dal 2003 nella divulgazione e sviluppo della cultura musicale attraverso proposte didattiche, concertistiche e seminariali; mentre il concerto del 20 novembre si terrà presso la sala Incontri dell’Hotel Costa Blu di Locri, ubicato in contrada Mandorleto, 19, nuovo punto d’incontro tra proposte di riscoperta della cultura popolare e attività produttive del territorio. Sabato 20, alle 17.30, a Gerace, e domenica 21 novembre, alle 18.30, a Bova Marina, sarà proposto l’appuntamento “Barocco in Viola”. Con il coordinamento artistico di Piero Massa (viola), Pierluigi Marotta al violoncello e Claudia di Lorenzo al clavicembalo, l’Ensemble del Centro di Musica Antica e Contemporanea porterà a Gerace e a Bova Marina arie di Pergolesi, Scarlatti, Marcello, Bomporti, Cecere e Boccherini, regalando al pubblico un’immersione nell’universo musicale barocco. Attraverso un uso ricercato e consapevole del suono e di tutte le sue componenti, il concerto traccia un percorso di suggestioni sonore alla scoperta della produzione musicale dell’ambiente aristocratico del Sei e Settecento. Eleganza, raffinatezza, passione e tenerezza, virtuosismo e buon gusto, trovano tra queste note la loro più vivida e sincera veste sonora. Uno spettacolo per appassionati ma anche per curiosi neofiti che potranno trovare nell’evento l’essenza della musica che vive di tempi e nel tempo, e attraverso i secoli riesce a rendersi contemporanea espressione di emozioni, passioni e pulsioni dell’anima. La location dell’evento di sabato 20 novembre sarà la suggestiva cornice del borgo di Gerace all’interno della Chiesta di San Francesco d’Assisi, antichissimo luogo di culto situato nella “piazza delle tre chiese” dichiarato bene architettonico di interesse nazionale espressione dello stile gotico in Calabria, e rappresenta un importante edificio in stile gotico della Calabria, ubicato in via Nazario Sauro, 23. Il 21 novembre il concerto, invece, toccherà l’anima grecanica della Calabria, e sarà ospitato nell’Auditorium Tempio della Musica di Bova Marina, sito in via Campo Sportivo, 6. Il costo del biglietto di ogni singolo evento è di Euro 5 anche se è previsto il ridotto a Euro 3. Per informazioni, si contatti l’Associazione Traiectoriae al numero 3891083276. Read the full article
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Waiting for #ManfrediPerego
Primitiva origin coreografia danza: Manfredi Perego prima elaborazione musicale: Paolo Codognola sostenuto da TIR danza-MP.ideograms
7 – 13 maggio Teatro Comunale, Vicenza residenza creativa a cura di TCVI Teatro Comunale di Vicenza/ARTEVEN Circuito Manfredi Perego Primitiva origin
“Il progetto Primitiva nasce da un esigenza di ricerca su elementi primari che abitano la corporeità. Si potrebbe definire una sorta di viaggio mnemonico all'interno della più antica percezione di se. Sensazione animalesca al contempo forte impulsiva e fragile. Ridurre tutto ad una partitura organica dei minimi termini; quali respiro, contrazione, battito, spostamento. Primitiva è una parola che richiama un tempo lontanissimo, talmente lontano da non poter nemmeno essere immaginato. Forse per questo restano poche e chiare sensazioni che ci collegano a questa radice. La coreografia è anche utopia. L'utopia di ricollegarsi e riscoprire l'origine di impulsi sconosciuti creati da noi con tutto il timore che ne consegue nel percepire sottopelle una natura che non sapevamo abitarci, o che forse solamente abbiamo intuito. La ricerca che richiama ad una temporalità lontana residente in noi stessi, il collegamento con memorie primarie per poter giungere in questa zona originaria autentica, sono allo stesso tempo strettamente connesse anche ad una relazione con il luogo che ospita il corpo. Un'ambiente in continua lenta modifica generato da un tempo autonomo non controllabile o modificabile dall'uomo.”
Manfredi Perego
#residenza creativa#residancexl#manfredi perego#primitiva origin#geografie#danzacontemporanea#Network Anticorpi XL#teatro dimora l'arboreto#arteven#TCVI Teatro Comunale di Vicenza
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MACERATA – Il primo appuntamento del nuovo anno con la stagione del Teatro Lauro Rossi di Macerata – promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Macerata con l’AMAT, con il contributo di Regione Marche e MiBAC e in collaborazione con APM – è con la danza il 16 e 17 gennaio, alle 21, e MM Contemporary Dance Company di Michele Merola.
Compagnia vincitrice nel 2010 del prestigioso Premio Danza&Danza come “migliore compagnia emergente” e oggi realtà di eccellenza della coreografia italiana più matura presenta al pubblico del Lauro Rossi il dittico La sagra della primavera coreografia di Enrico Morelli su musica di musica Igor Stravinskij e Bolero di Ravel coreografato da Michele Merola.
Con lo spettacolo torna anche Gente di teatro, una serie di interessanti appuntamenti per tutti coloro che amano il teatro e vogliono superare quella che Garboli definiva la “gioia effimera di una sera” per approfondire la conoscenza dialogando con le stesse compagnie in scena al Lauro Rossi. In questa occasione l’incontro si svolgerà il 17 gennaio, alle ore 18, alla Biblioteca Mozzi Borgetti.
Inoltre per gli allievi delle scuole di danza della città è prevista una masterclass gratuita con il coreografo Michele Merola.
Possente capolavoro musicale, Le Sacre è ispirato a una antica leggenda slava. Secondo il mitico racconto, a ogni primavera una vergine doveva essere ritualmente sacrificata, affinché la terra potesse rifiorire. Nella propria interpretazione del Sacre, il coreografo Morelli si è accostato con profondo rispetto a questa partitura, che ha ispirato i più grandi coreografi del ‘900. Nell’allestimento che ne risulta, si rispecchia un risvolto dell’affannoso dinamismo del nostro tempo.
Per combattere antiche e nuove paure, ed esorcizzare il male di vivere che accompagna il presente, ogni occasione è buona per individuare un capro espiatorio. L’assunto della coreografia è tutto qui: sino a quando l’essere umano sacrificherà i propri simili alla violenza del cieco cannibalismo e non sceglierà la via del rispetto dell’altro, la luce della cultura e la chiarezza della ragione non prenderanno il sopravvento.
Meccanismo ad orologeria dalla rigorosa precisione, Bolero è ancora oggi tra i brani più noti e ascoltati della storia della musica. Nel realizzare una nuova versione coreografica, Merola si è confrontato con questa musica ossessiva e ripetitiva, cercando di comprenderne l’identità, la ragione e la funzione, per arrivare così alla sua interpretazione: alla fine di questo percorso l’ispirazione del coreografo si è focalizzata sul ventaglio inesauribile dei rapporti umani, in particolare quelli di coppia, dentro ai quali, spesso, registriamo le reciproche e inconciliabili distanze tra uomini e donne, quel “muro trasparente” che li divide.
Così, nelle diverse sfumature assunte dalla danza, la coreografia declina la varietà di umori che “circolano” intorno e dentro al rapporto di coppia. Sulla musica di Bolero è intervenuto Stefano Corrias, compositore raffinato ed esperto, che ha creato una sua propria partitura musicale, liberamente ispirata alla versione originale del brano di Ravel.
Per informazioni 0733 230735, www.comune.macerata.it .
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“È inaccettabile che in Italia si possa prendere la maturità senza conoscere Bach, Mozart, Beethoven”: Francesco Consiglio dialoga con Maurizio Baglini, virtuoso del pianoforte e direttore artistico dell’Amiata Piano Festival
Richard Wagner diceva che la musica comincia là dove si arresta il potere delle parole. Ne consegue una domanda: per capire l’essenza di quest’arte, è sufficiente tuffarsi nell’oceano di note che riverberano tra le mura delle sale da concerto? O è possibile averne una migliore comprensione ascoltando anche i principi e le opinioni dei suoi protagonisti? Esposto il dubbio, lascio a voi le conclusioni. Prima che vi inoltriate nella lettura, mi preme però precisare che questa intervista non è un lavoro accademico, ma un dialogo piuttosto sbilanciato e diseguale quale può intrecciarsi tra un semplice appassionato e un professionista. Il mio interlocutore, invero assai paziente, è Maurizio Baglini, solista in sedi prestigiose e in numerosi festival internazionali tra cui l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro San Carlo di Napoli la salle Gaveau di Parigi, il Kennedy Center di Washington, lo Yokohama Piano Festival, l’Australian Chamber Music Festival. È inoltre fondatore e direttore artistico dell’Amiata Piano Festival, che in uno scenario paesaggistico di grande bellezza ospita solisti, ensemble e orchestre, con un programma che spazia dalla cameristica alla sinfonica.
Quando una musica viene definita ‘commerciale’, questa parola assume una connotazione negativa e serve a designare un prodotto di consumo rivolto a un pubblico che ascolta con superficialità e partecipazione esclusivamente emotiva. Così accade che un artista apprezzato da un ristretto circolo di intenditori venga ripudiato dai suoi primi ammiratori nel momento in cui ottiene un più largo successo. Questo ragionamento porta gli appassionati di musica colta a ritenersi parte di un’élite unita da valori di carattere culturale che si presumono superiori a quelli di chi preferisce i Metallica a Beethoven e Chopin. Ma siamo proprio sicuri che minor pubblico equivale a miglior pubblico?
Sinceramente, penso che non si possa analizzare questo fenomeno pensando soltanto all’antitesi fra qualità e quantità: da artista e direttore artistico, sono alla continua ricerca – e sperimentazione – del cosiddetto indice di gradimento. Posso certificare che la musica cosiddetta più impegnata è molto gradita: basta spiegarla al neofita che vi si avvicina. Se tutti gli artisti diventassero divulgatori, non avremmo il problema di una ristretta élite di pubblico per la musica d’arte. Sta all’artista uscire dalla torre d’avorio. Dopodiché, è opportuno riflettere sul fatto che un pezzo celebre, spesso, è celebre perché è bello, perché se ne ricorda il tema principale anche dopo un solo ascolto. Questo vale per qualsiasi genere musicale. È un principio di educazione: finché la musica, come disciplina, non tornerà a far parte dell’educazione nazionale, avremo una maggioranza di pubblico musicalmente incolta. Un esempio lampante: in Italia, si può prendere un qualsiasi diploma di maturità senza dover necessariamente sapere chi siano stati Bach, Mozart o Beethoven. Inaccettabile.
Maurizio Baglini ‘maneggia’ il suo Schumann, di cui sta registrando per Decca tutte le composizioni
In un saggio intitolato L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Alessandro Baricco afferma dispiaciuto che “il consumatore di musica colta rema all’indietro con grande dignità, temendo le rapide del futuro e sognando la paradisiaca calma di sorgenti sempre più lontane”. Potrei definirmi in accordo logico ma disaccordo poetico: mi piace infatti immaginare la grande musica come metafora di un giardino segreto, un luogo dove andarsi a rifugiare ogni volta che la violenza del mondo si fa troppo dura da vedere e sopportare. Credo che questa estraneità al tempo e alle mode sia il segreto dell’immortalità del repertorio classico. Probabilmente la mia visione è troppo ingenua e romantica, ma non posso credere che la Quinta di Beethoven o la Cavalcata delle Valchirie di Wagner abbiano bisogno di essere attualizzate per avvicinarle alla sensibilità contemporanea.
L’attualizzazione dipende dalla funzione dell’interprete: la musica colta è sublime, ma è altrettanto datata. Riattualizzarla vuol dire semplicemente avere un forte senso di responsabilità: se ogni esecuzione dal vivo è simile a ciò che il pubblico, a livello di scelte di tempo, fraseggio, ritmo, conosce già, ecco che decade l’interesse per scoprire una nuova interpretazione. Di conseguenza, anche la musica più visceralmente diretta (ad esempio la Quinta Sinfonia di Beethoven), se suonata secondo le abitudini e senza uno spirito di rinnovamento (non si cambiano le note, ma si può agire sulla dinamica, sulla timbrica, sulle percezioni acustiche ed emotive), risulterà presto stantia e sempre meno utile. Questo senso di responsabilità deve essere sentito da parte dell’interprete, certo, ma deve trovare nel pubblico una linfa di curiosità che spesso, per i motivi che dicevo prima, viene a mancare.
Poiché la musica, per essere fruita, ha bisogno di un’esecuzione, essa corre sempre il rischio di trascendere le intenzioni del compositore, e non mi è chiaro fino a che punto questo andare oltre sia una risorsa oppure un limite. Leonard Bernstein, nel suo libro Giocare con la musica scrive che la musica classica è una musica “esatta”, cioè scritta esattamente per come deve essere eseguita, a differenza del folk, che è stato a lungo tramandato oralmente, del pop, continuamente coverizzato, e del jazz, che vive di improvvisazioni e sfocia in risultati che troviamo solo in parte nella partitura scritta. E allora mi domando: è necessario porre un limite all’interpretazione come atto artistico? Oppure ogni ricreazione è lecita, e possiamo essere lieti di affermare che non esiste un Mozart ma tanti Mozart quanti sono i suoi interpreti, anche chi lo suona in modo da farci esclamare: “Questo non sembra il vero Mozart!”. Anche se poi, a ben pensarci… chi ha mai sentito il vero Mozart?
Concordo. Lo stesso Bernstein, da immenso direttore d’orchestra quale era, ha fornito interpretazioni in continua evoluzione: se si ascoltano alcune sue registrazioni, effettuate in epoche diverse, della Nona Sinfonia di Beethoven, ad esempio, si percepisce immediatamente questo sentimento di ossessione continua per creare qualcosa di nuovo, eppure le note sono sempre le stesse!
La musica classica ha un repertorio così vasto che è impossibile sperimentare tutto. Cosa guida un pianista nella scelta di un autore piuttosto che un altro? La sua predilezione per Schumann, di cui sta incidendo l’integrale delle musiche pianistiche, è una suggestione antica che origina dai primi studi e dal suggerimento di qualche insegnante, o si tratta di un innamoramento adulto, più consapevole, legato a una passione biografica e non solo musicale?
Cerco sempre di trasmettere alle giovani generazioni questo concetto: o si suonano pezzi ordinari (ovvero celebri) in modo straordinario (ovvero in maniera talmente originale da farne una creazione), o si deve cercare un repertorio straordinario, ovvero poco consueto. Le due tesi non sono necessariamente in contrasto: nella mia vita ho infatti cercato di coprire sia repertori molto popolari che repertori assolutamente innovativi. Ad esempio, ho vissuto sei mesi in Giappone suonando soltanto due programmi di recital: uno popolarissimo, con Per Elisa di Beethoven e la cosiddetta Marcia turca di Mozart – che dovremmo definire Rondò alla Turca – e uno dedicato allo Chopin più famoso, ovvero lo Chopin le cui musiche erano state utilizzate come indicativi di pubblicità televisive varie. Allo stesso tempo, però, sono dedicatario di molta musica nuova (come il Concerto per pianoforte e orchestra di Azio Corghi, il decano dei compositori contemporanei italiani) e ho cercato di riportare alla luce repertori caduti nell’oblio, quali i concerti di Hummel e la suite intitolata Tombeau de Debussy, composta da omaggi postumi al genio francese scritti da autori quali Malipiero, Goossens, Roussel, Dukas, Bartòk, Stravinsky, Falla, Schmitt. A un certo punto, poi, grazie al rapporto esclusivo con una major discografica quale Decca, ho individuato Schumann come autore a me particolarmente congeniale: è stato un sognatore, un visionario, sempre alla ricerca dello sradicamento della tradizione e dell’affermazione della novità, di linguaggi musicali da abbinare ad altre forme d’arte. Anche nell’ambito dell’integrale delle opere per pianoforte di questo compositore, ci sono pezzi molto più suonati di altri, visto che il 70% della sua produzione non è conosciuta neppure dagli addetti ai lavori. Un modo perfetto, per me, in qualità di interprete, per porre l’accento su tutti questi concetti di attualizzazione di cui la musica classica ha fortemente bisogno.
Nella home page del suo sito (mauriziobaglini.com) risalta una scritta che mi ha molto incuriosito: “L’anticonformista visionario”. Nella storia dell’arte, grandi visionari come Rimbaud, Van Gogh o William Blake erano considerati alla stregua di eccentrici ribelli di talento sganciati del tutto dalla realtà e in contrasto con la società nella quale vivevano. Lo stesso Schumann fu ricoverato in manicomio dopo un attacco di delirium tremens (e qui il pensiero va a un altro visionario, lo scrittore statunitense Edgar Allan Poe, maestro della letteratura horror). Eppure, visionari sono stati anche Leonardo da Vinci, Gandhi, Mandela, Steve Jobs e tanti altri sognatori che, integrandosi nel mondo, sono riusciti a rinnovarne regole e convinzioni, migliorandolo. In che senso un pianista può oggi definirsi un visionario?
Nel senso di non pretendere di alzarsi al mattino con il solo obiettivo di studiare musica al pianoforte: oggi, l’interprete deve assolutamente porsi la domanda del perché possa servire la sua opera alla società odierna. Senza diventare affetti da patologica mania di superiorità, il pianista deve avere dei sogni nel cassetto che vanno al di là della ricerca qualitativa nell’esecuzione o del successo da ottenere in una sala da concerto tradizionale. Nella mia personale esperienza, ad esempio, aver creato da zero l’Amiata Piano Festival, un festival che in pochi anni ha sviluppato una crescita esponenziale, è stata una dimostrazione di come la visionarietà potesse rappresentare il primo stimolo di creazione di qualcosa di nuovo. Cominciai a organizzare concerti domestici, portati poi in una cantina vinicola grossetana, la Collemassari, per poi arrivare alla costruzione di un auditorium che è oggi ai vertici dell’ingegneria acustica a livello europeo. L’unicità del festival, però, è stata la sua stessa creazione in un luogo incontaminato, in mezzo a vigneti e oliveti, quando ancora nessuno aveva pensato all’associazione fra musica e vino. Questa visionarietà si può anche perseguire, come status emotivo, nel concepire progetti di nuova diffusione della musica stessa: ad esempio, la sinestesia che si viene a creare associando immagini alla musica. Io, da anni, lo faccio attraverso il progetto multimediale webpiano.it. Un modo, anche questo, per portare la musica classica in frangenti dove non è ancora presente, ad esempio le pinacoteche e le gallerie d’arte, oltre alle facoltà di informatica, i cui studenti si appassionano all’algoritmo digitale per scoprire poi la bellezza di Mussorgsky, Schumann, Liszt o Debussy.
Nonostante il crescente interesse della scienza medica per le patologie causate dall’esercizio ripetitivo sullo strumento, nei Conservatori non si impara a prendersi cura del proprio corpo né si educano i futuri musicisti a svolgere attività fisiche, avere una buona qualità del sonno e curare l’alimentazione. Tuttavia, il solo premere con le dita i tasti del pianoforte richiede una complessa attività muscolo-scheletrica e neuromuscolare, per non parlare del dispendio di energie durante lo studio o una performance. Lei è un appassionato podista che ha preso parte a numerose maratone in tutte il mondo. Si tratta di una mera passione o di una forma di allenamento utile alla sua professione?
Il podismo nasce in me come necessità di canalizzare le energie in qualcosa che mi aiuti ad isolarmi e a non farmi fagocitare dalle quotidianità che il mio lavoro comporta. È ovvio che lo sport fa bene e che bisognerebbe aiutare i giovani musicisti ad appassionarsi al ritmo del corpo associabile a quello della musica stessa. Ad esempio, io imparo tanta musica a memoria proprio correndo, in mezzo alla natura, magari.
Infine, la più classica e inevitabile delle domande: progetti per il futuro?
Sta per debuttare un nuovo progetto che porta il mio nome dal 13 al 16 dicembre al Teatro di Villa Torlonia, Roma. Poi mi aspettano un tour americano, che mi vedrà impegnato a Chicago sia come docente che come solista con orchestra, e un ritorno dopo alcuni anni di assenza in un Paese che amo molto: il Giappone. E si va avanti con l’integrale Schumann…
Francesco Consiglio
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Il progetto Europa INcanto arriva al Parco archeologico di Ostia antica con Il Flauto Magico
Dopo il debutto, nel tempio storico della lirica, il Teatro San Carlo Di Napoli, il 10 giugno arriva al Teatro Romano di Ostia Antica la versione speciale, coloratissima e esplosiva de IL FLAUTO MAGICO di Wolfgang Amadeus Mozart, messa in scena secondo l’innovativo metodo didattico di Scuola InCanto che ha visto protagonisti decina di migliaia di studenti delle scuole dell’infanzia elementari e medie di varie città italiane.
Il progetto, dopo i successi entusiasmanti della Traviata di Giuseppe Verdi (2015) e della Cenerentola di Gioacchino Rossini (2016), quest’anno ha previsto la messa in scena del Il Flauto Magico di Wolfgang Amadeus Mozart tra le opere più originali, fiabesche e adatte a un pubblico di bambini.
Una vera e propria festa della musica e del teatro che dal suo debutto ha coinvolto, ogni giorno, migliaia di studenti, insieme ai loro insegnanti e alle loro famiglie.
Tutti i partecipanti, prendendo parte attivamente allo spettacolo, interpretano insieme ai cantanti e all’ensemble musicale i brani studiati nel corso dell’anno, eseguendo movimenti scenici e coreografici e salendo sul palcoscenico con i costumi e gli elementi di attrezzeria da loro stessi realizzati.
Convinti dell’importanza di formare le nuove generazioni e contemporaneamente di valorizzare i talenti e le professionalità del settore artistico, Europa InCanto ha formato un cast artistico costituito da giovani e giovanissimi cantanti e musicisti, che possono trovare in questo progetto la possibilità di perfezionarsi e di confrontarsi un pubblico ampio e vario.
Per quanto riguarda l’aspetto musicale il Maestro Germano Neri, direttore artistico del progetto e direttore dell’orchestra di Europa Incanto, si richiama all’origine del Flauto stesso, la “commedia fantastica”. E così scrive nelle sue note: “È un genere popolare e assolutamente non incolto, leggero ma non comico, musicale ma con grande importanza anche della recitazione. Un caratteristica tipica e originale delle composizioni di Mozart. La scelta di un giovane cast per le rappresentazioni ha dato la freschezza musicale finale affinché la rappresentazione diventi di pregio naturale e assolutamente diretta nel sentire, senza convenzioni, che era esattamente quello che voleva Mozart. I personaggi sono in scena per raccontarci in quel momento quello che succede. E sono lì per viverlo”. La regia è curata da Lisa Capaccioli, che da anni si dedica con passione al progetto e che nelle sue note al Flauto pone l’accento sull’importanza del personaggio di Papageno, che si sdoppia e diventa “cantante” e “voce narrante e regista” di ciò che i bambini vedranno sul palcoscenico. Papageno accompagnerà i bambini nel mondo della musica di Mozart, dove – prosegue la regista – “la scena non è mai statica: infatti la scenografia si muove ed è stato richiesto ai cantanti di eseguire una precisa partitura di movimenti che segue l’andamento musicale. In questo continuo divenire il racconto procede diventando nuovamente presente”.
Ideato e realizzato dall’Associazione Musicale Europa InCanto, Scuola InCanto è un progetto didattico di avvicinamento alla lirica pensato per gli allievi e gli insegnanti della scuola dell’obbligo con lo scopo di diffondere la conoscenza e l’amore per la musica, l’opera e il teatro in generale.
Il progetto è stato riconosciuto dal MIUR come progetto di eccellenza nell’ambito de “Il Teatro in Classe”, per “la sua valenza didattica e formativa nel divulgare la conoscenza del teatro e della musica a scuola e nel portare direttamente gli alunni all’interno di prestigiosi teatri di tradizione per far vivere loro l’emozione del teatro da protagonisti”. E, nel 2017, il progetto Scuola InCanto è risultato selezionato come Buona pratica culturale di eccellenza dalla Regione Lazio e incluso nel Catalogo delle Buone Pratiche, attualmente in corso di realizzazione. Per il prossimo anno l’opera prescelta è l’AIDA di Verdi.
Appassionare le nuove generazioni alla lirica, patrimonio storico-culturale comune e identitario per il nostro Paese, è una vera e propria sfida che Europa InCanto porta avanti anno dopo anno con risultati vincenti come testimoniano la sempre crescente adesione al progetto e la straordinaria energia e l’entusiasmo che tutti i partecipanti mettono nelle attività didattiche e nello spettacolo finale, emozionante momento di condivisione e di fruizione collettiva dell’esperienza maturata. Per rendere davvero accessibile a tutti e, in particolare, ai più giovani il mondo dell’opera, Europa InCanto ha sperimentato un originale ed innovativo metodo didattico, capace di fornire gli strumenti utili a comprendere la lirica in tutte le sue componenti: dalla lingua, al canto, dalla musica, alla recitazione, alle arti visive. Questo metodo, che accompagna insegnanti e allievi nel corso dell’intero anno scolastico, prevede diverse fasi di lavoro nelle classi e in teatro ed è basato sul materiale didattico fornito ad ogni partecipante. Il libro, il cd e il dvd interattivo con il karaoke dell’opera costituiscono un prodotto editoriale e musicale unico capace di coniugare alta qualità tecnica ed artistica al divertimento, trasformando l’apprendimento dell’opera in un gioco piacevole ed aggregante.
Scuola InCanto si prefigge l’obiettivo di andare oltre l’incontro nelle classi e nelle scuole, approfondendo la relazione mirata all’interno del tessuto sociale delle città, entrando nelle case e tra le famiglie: i genitori, i nonni, gli amici non saranno solo il pubblico dello spettacolo finale, ma possono partecipare al percorso formativo dei bambini, cantando e imparando insieme a loro. A compimento del percorso, c’è la messa in scena dello spettacolo finale, dove insieme ad artisti professionisti, i veri protagonisti sono i bambini.
IL FLAUTO MAGICO di Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore Artistico e Direttore d’Orchestra: Germano Neri
Riduzione e Adattamento: Nunzia Nigro
Regia: Lisa Capaccioli
Scenografia: Giulia Breno
Costumi: Francesco Morabito
Luci: Michelangelo Vitullo
Maestro di Palcoscenico: Marco Bosco
Maestro Formatore docenti: Giovanni Mirabile
Assistente alla Regia: Alessandra De Luca
CANTANTI
Pamina: Maria Rita Combattelli, Costanza Fontana, Claudia Muschio, Marika Spadafino
Tamino: Joseph Dahdah, Francesco Lucii, Matteo Roma, Antonio Sapio
Papageno: Stefano Cianci, Alfonso Michele Ciulla, Giuseppe Zema
Prima Dama e Papagena: Thais Alessia Berardi, Brigitte Canins, Flavia Colagioia, Beatrice Cresti
Seconda Dama e Papagena: Francesca Cucuzza, Alessia Salerno, Silvia Sammarco
Terza Dama: Irida Dragoti, Eva Maria Ruggieri, Giulia Tenuta
Sarastro: Daniele Cusari, Daniele Panza, Davide Procaccini
Monostatos: Nicola Di Filippo, Arda Erol, Simone Lollobattista
Regina della Notte: Francesca Benitez, Giulia Mazzola, Claudia Sasso
NARRATORI\ Papageno: Daniele Aureli, Domenico Bisazza, Lorenzo Menicucci
ORCHESTRA Europa InCanto
Violini primi: Ivan Cocchia, Valentina Del Re, Daniel Myskin
Violini Secondi: Adamo Fratarcangeli, Adele Napoli, Francesca Sbaraglia
Viole: Raffaele Cocchia, Stefano Lagatta, Ambra Chiara Michelangeli, Roberta Rosato
Violoncello: Fabrizia Pandimiglio, Alice Romano, Riccardo Viscardi
Contrabbasso: Camillo Calarco, Pasquale Pellegrino, Tommaso Spada
Flauti: Leonardo Grittani, Vincenzo Sartoriello, Marialice Torriero
Fagotto: Edoardo Capparucci, Stefania Ferri, Paolo Lamagna
Pianoforte: Jongrey Kwag, Gariele Mantia, Luca Oddo
DIREZIONE DI PRODUZIONE: Matteo Bonotto,
SEGRETERIA DI PRODUZIONE Ndeye Gnima Manga, Francesca Cricco
MAESTRO FORMATORE DOCENTI: Giovanni Mirabile
TEAM PREPARATORI STUDENTI
Fabio Carrieri, Guendalina Casa, Dayana D’Aluisio, Irida Dragoti, Francesco Finori, Annalisa Ferraro,
Myra La Rosa, Simone Lollobattista, Christian Moschettino, Giuseppe Nicodemo, Laura Paolillo,
Andrea Tarantino, Stella Ziino
REGIA di Lisa Capaccioli
“Quella mattina era per me un giorno uguale a tutti gli altri. Come sempre mi preparavo ad affrontare la giornata canticchiando e fischiettando i miei motivetti”. Questo è l’incipit del libro “il flauto magico” scritto da Nunzia Nigro e consegnato ai bambini appartenenti alle classi che aderiscono al progetto Scuola InCanto, libro su cui possono conoscere, insieme agli insegnanti, la storia dell’opera che poi andranno a vedere e di cui canteranno alcune delle più famose arie a teatro. La voce narrante è quella di Papageno e, traendo un efficace spunto da questa suggestione del libro, proprio sul suo racconto si basa l’idea della messa in scena: guardando attraverso gli occhi del Papageno narratore, interpretato da un attore con le stesse fattezze del Papageno cantante, l’opera ha inizio. Lo troviamo così, in un tempo posteriore alla vicenda, a ricordare le proprie avventure e a consegnarcele attraverso la scrittura delle sue memorie in un grande libro alla cui apertura usciranno, come in un sogno, le ambientazioni e i personaggi. Grazie al suo ricordo tutto si comporrà sotto gli occhi dei nostri piccoli grandi spettatori. Il narratore Papageno sarà il “regista” di ciò che accade sul palcoscenico e ci condurrà nelle scene più significative dell’opera, mostrandocene l’intreccio. Per sottolineare la musica di Mozart la scena non è mai statica: la scenografia si muove ed è stato richiesto ai cantanti di eseguire una precisa partitura di movimenti che segue l’andamento musicale. In questo continuo divenire il racconto procede diventando nuovamente presente.
NOTE di Germano Neri – Direttore Artistico e Direttore Musicale
L’idea è di ricreare l’ambiente nel quale è nato IL FLAUTO MAGICO, la Kasperliade, genere tipicamente viennese di quel periodo. Commedia fantastica, un genere popolare ma assolutamente non incolto, leggero ma non comico, musicale ma con grande importanza anche della recitazione, un genere in alcuni momenti sentimentale ma mai patetico, qualcosa che oggi non esiste più se non nel genere del musical anglo-americano, erede diretto. Per fare questo abbiamo lavorato nell’asciugare il suono con orchestra e cantanti da tutte le convenzioni ottocentesche restituendo la semplicità d’esecuzione, tipica e originale delle composizioni di Mozart. La scelta di un giovane cast per le rappresentazioni ha dato la freschezza musicale finale affinché la rappresentazione diventi di pregio naturale e assolutamente diretta nel sentire, senza convenzioni, che era esattamente quello che voleva Mozart. I personaggi sono in scena per raccontarci in quel momento quello che succede. E sono lì per viverlo.
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sede: Palazzo Mazzetti (Asti); cura: Umberto Ferrari e Giacomo Ghiazza.
Le maggiori produzioni fantascientifiche e d’azione degli ultimi trent’anni nei disegni dello storyboard artist Giacomo Ghiazza in mostra a Palazzo Mazzetti di Asti.
Matita italiana a Hollywood, lo storyboard artist astigiano Giacomo Ghiazza è attivo nel cinema statunitense dalla fine degli anni Ottanta. Ha collaborato con importanti registi (Barry Levinson, Paul Verhoeven, John Carpenter, John Woo, Ang Lee) ed attori (Arnold Schwarzenegger, Tom Cruise), contribuendo alla riuscita di popolarissime saghe come “Pirati dei Caraibi”, “Mission: Impossible” e “Hunger Games”. Oltre ad una cospicua selezione di disegni dell’artista, ordinati in sequenze tali da rappresentare un’idea del suo lavoro per ogni lungometraggio, l’esposizione offre ai visitatori un viaggio all’interno della macchina-cinema, attraverso il racconto di una delle sue professioni meno conosciute – quella dello storyboard artist – arricchito anche dalla presenza di manifesti, fotografie, musiche e proiezioni. Lo storyboard artist costituisce un punto di contatto fra l’arte più antica, quella semplice del disegno a mano, e quella più moderna, delle immagini in movimento e degli effetti visivi più sofisticati. Il suo ruolo, nell’ambito della produzione di un film, è fondamentale soprattutto quando si devono effettuare sequenze acrobatiche con stuntmen, per le quali tutti i dettagli devono essere pianificati in anticipo, per scongiurare rischi in caso di esplosioni e incidenti simulati. Lo storyboard artist realizza una sorta di sceneggiatura per immagini che consente di visualizzare le sequenze prima che vengano girate. Gli storyboard costituiscono, dunque, l’equivalente visivo di quello che è una sceneggiatura per i dialoghi o una partitura per la musica. Giacomo Ghiazza, uno dei maggiori storyboard artist nel mondo, è originario di Asti. Da trent’anni vive e lavora negli Stati Uniti. Talento precoce, dopo gli studi artistici e una breve esperienza a Roma, dove comincia a disegnare storyboard per la pubblicità, viene folgorato dalla visione di “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e dalla lettura di un libro che raccoglie i disegni realizzati per “I predatori dell’arca perduta”, entrambi di Steven Spielberg. Nel 1985 parte per l’America e nel 1988, con la scelta di trasferirsi a Los Angeles, centro nevralgico della produzione hollywoodiana, comincia per lui una carriera che continua ancora oggi con successo, contando decine di lungometraggi, come “Robocop 2”, “Speed”, “Twister”, “Fuga da Los Angeles”, “Face/Off”, “Vita di Pi”. La storia del cinema è legata ad Asti fin dai suoi albori. La città dette infatti i natali al regista Giovanni Pastrone, uno dei pionieri della settima arte, che nel 1914 con il kolossal storico “Cabiria” fece scuola in tutto il mondo per l’imponenza dei mezzi tecnici e artistici, citato e studiato da registi come David Wark Griffith, il padre del cinema americano.
In occasione della mostra, il programma didattico di Palazzo Mazzetti si arricchisce con una serie di workshop dedicati ai giovani, in collaborazione con la Scuola di Fumetto e Animazione del Comune Asti. La scuola, nata da un progetto dei disegnatori professionisti della Sergio Bonelli Editore, è attiva da quasi vent’anni e si avvale di docenti affermati a livello nazionale. Da maggio ad agosto, i ragazzi dai 13 ai 20 anni potranno iscriversi ad uno dei mini-corsi in tre lezioni pagando solo il biglietto ridotto (€ 3. 00). Per informazioni: tel. 0141 530403, [email protected].
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Una matita italiana a Hollywood. Giacomo Ghiazza Storyboard Artist sede: Palazzo Mazzetti (Asti); cura: Umberto Ferrari e Giacomo Ghiazza. Le maggiori produzioni fantascientifiche e d’azione degli ultimi trent’anni nei disegni dello storyboard artist Giacomo Ghiazza in mostra a Palazzo Mazzetti di Asti.
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