#andiamo di nuovo a berlino
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zuccherodisqualo · 7 years ago
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D’un tratto mi mancano la metropolitana e i supermercati di Berlino.
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superfuji · 4 years ago
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L'eroe Mussolini e gli immigrati assassini: i fascio-fumetti invadono le scuole
La propaganda nera arriva dalla Germania sotto forma di vignette, graphic novel, opuscoli e libri animati pubblicati dalla galassia degli editori d'ultradestra: amministrazioni e assessori soprattutto di FdI li donano a istituti e biblioteche
C'E' LA CARICA dei tagliatori di teste al grido di “hail!”, che sostituisce, rievocandolo, il saluto hitleriano “heil”. C’è l’immigrato assassino che brandisce un machete insanguinato: lo stesso sangue grondante da un coltello impugnato dal solito uomo di colore che, nella narrazione fumettistica, rappresenta il male della società. C’è Mussolini raccontato come un eroe e c’è la ricostruzione fantasiosa e apologetica - in chiave martire-valoroso -, dell’uccisione a Dongo di Alessandro Pavolini, ultimo segretario del Partito fascista e comandante delle famigerate Brigate Nere. Sospesi tra realtà e finzione. Pieni di slogan e santini propagandistici, rimandi nostalgici, simboli del neofascismo e del neonazismo (rappresentati quasi sempre da personaggi “veri”, realmente esistiti e entrati nel pantheon dei camerati). Sono i fumetti dell’estrema destra. Scie, vignette, graphic novel, opuscoli, libri “animati”. Pubblicati da case editrici vicine, o collegate, in alcuni casi diretta emanazione di movimenti politici della galassia nera. Alcuni dei quali già sotto inchiesta e attualmente alla sbarra.
Controcultura nera
Un’operazione di “controcultura” in risposta al racconto mainstream. Che si snoda soprattutto tra Italia e Germania, ed è rivolta – ovviamente - alla platea dei giovani. Giovani delle scuole, anche. A cui – grazie all’iniziativa di amministrazioni comunali, sindaci, assessori, deputati – questi fumetti vengono regalati. L’elenco degli ultimi casi italiani ci porta a Ascoli Piceno. Su input del sindaco di FdI Marco Fioravanti, per il Giorno del Ricordo 2021, il Comune ha comprato e donato agli studenti della provincia il libro “Foiba Rossa. Storia di un’italiana”, dedicato a Norma Cossetto. Il volume è pubblicato da Ferrogallico, casa editrice di fumetti legata a doppio filo all’estrema destra: tra i soci fondatori (2017) figurano due esponenti di Forza Nuova (Marco Carucci, ex portavoce milanese, e Alfredo Durantini), e il cantautore “non conforme” Skoll, nome d’arte di Federico Goglio. A distribuire i volumi di Ferrogallico oggi è Altaforte, la casa editrice del dirigente-picchiatore di CasaPound Francesco Polacchi, pregiudicato per violenze come alcuni dei suoi autori, e anche proprietario del marchio di moda Pivert, nonché editore del Primato Nazionale, la testata (carta e on line) dei “fascisti del terzo millennio”. Sulle pagine del periodico di CPI trovano spazio pure i fumetti. Un esempio: la lenzuolata intitolata “Il paese normale, fatti e cronache di ordinaria integrazione”. Un collage di notizie di crimini commessi da immigrati ruota intorno al disegno di un coltello stretto in una mano dalla pelle scura.
Soldi pubblici e casse fasciste
Torniamo a Ferrogallico e al caso Ascoli Piceno. La stessa scelta di parlare del Giorno del Ricordo attraverso il fumetto su Norma Cossetto è stata assunta anche da altre amministrazioni: due anni fa, tra le prime, l’assessore all’Istruzione della Regione Veneto Elena Donazzan, di FdI, poi esibitasi in Faccetta nera ospite di una trasmissione radiofonica. Seguirono Regione Piemonte, Pavia - sempre su proposta di una consigliera del partito di Giorgia Meloni, Paola Chiesa, che distribuì personalmente il libro - , ed altri Comuni. Il tutto, tra prevedibili e incandescenti polemiche. Anche perché si tratta di soldi pubblici che finiscono dritti nelle casse di case editrici collegate a gruppi e movimenti dichiaratamente fascisti. Andiamo avanti. Sorvolando sul fumetto (sempre targato Ferrogallico) dedicato alla vita di Nino Benvenuti, esule istriano, si può ricordare un altro caso: due anni fa l’amministrazione di Verona decide di regalare alle scuole e alle biblioteche comunali il libro a fumetti pubblicato nel 2017 (l’editore è sempre lo stesso) che racconta la storia di Sergio Ramelli, giovane membro del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 a Milano da militanti di Avanguardia Operaia, e diventato, da allora, uno dei simboli del neofascismo.
"Immigrato criminale"
Come funziona la propaganda del fumetto nero? Da dove nasce? Chi c’è dietro questa editoria che punta su leggerezza e immediatezza per veicolare messaggi nostalgici e revisionisti? Alla base dell’ombra lunga, che trova il suo terminale nei politici che ricoprono ruoli decisionali nelle istituzioni (Ferrogallico è stata sdoganata con incontri convocati in Camera e Senato da politici di FdI e Lega), c’è una strategia di diffusione mirata a entrare in contatto coi più giovani. Che utilizza stile e modalità narrative particolari. Come spiega Emilio Cirri ne “Lo spazio bianco – nel cuore del fumetto”, queste opere “sono accomunate da alcuni elementi ricorrenti. Da una parte abbiamo la forma artistica e narrativa. Si usa uno stile realistico per dare al contenuto un effetto ‘storicamente corretto’. Uno stile spesso rigido e sgraziato, minato da errori di anatomie e prospettive, più attento a creare immagini da usare per la propaganda”. In molti fumetti spiccano immagini di stupri e uccisioni “per creare un macabro effetto shock”. Nei dialoghi nelle vignette – spiega sempre Emilio Cirri - c’è una “prosa pomposa e retorica allo sfinimento, con dialoghi lapidari utili solo per trasmettere una tesi preformata e una definizione macchiettistica dei personaggi, sia quelli ‘buoni’ sia quelli ‘cattivi’”. Altri esempi. Graficamente, diciamo, border line. La copertina di ‘Adam – una storia di immigrazione’. E’ la graphic novel del giornalista Francesco Borgonuovo uscita sempre per Ferrogallico. Suona come un inno splatter alla tesi sovranista immigrato uguale criminale. Qui non è tanto importante ricordare che l’autore è ospite abituale a eventi e convegni organizzati da gruppi neofascisti e anche di ispirazione neonazista (vedi Lealtà Azione). Più interessante è interpretare la presentazione che Ferrogallico propone dei propri fumetti. “Ostinati e contrari”. Con un presunto obiettivo: portare alla luce “storie taciute su cui grava il velo di silenzio del conformismo culturale e del politicamente corretto”.
Quelle che avete appena letto sono le classiche parole d’ordine esibite dalla narrazione neofascista in questo mezzo secolo di storia: dagli anni ’70 ad oggi. Sono anche gli slogan che rimandano a quello che oggi si può considerare un laboratorio privilegiato della fumettistica di estrema destra. La Germania. E’ da lì che rimbalza, in Italia, il fenomeno. Per raccontare la mappa tedesca delle strisce apologetiche e revisioniste, delle graphic novel inneggianti alle SS e quelle che affondano nella propaganda omofoba e anti-immigrati, conviene partire da Hydra Comics. Che è diventato un caso politico. Andiamo con ordine. Ai lettori e agli appassionati della Marvel il nome Hydra non suonerà affatto nuovo: è la denominazione di una fittizia organizzazione terroristico-sovversiva, nata come società segreta, che compare nei fumetti americani Marvel Comics nel 1965. Gli spietati agenti di Hydra puntavano a istituire un nuovo ordine mondiale di stampo nazionalsocialista. Il loro motto? “Taglia una testa, altre due penderanno il suo posto”.
Sassonia ultranazionalista
Dresda, Sassonia. Un luogo a caso? No. E’ nel capoluogo del Land divenuto tristemente celebre negli ultimi anni per la nascita e l’attività violenta di gruppi di estrema destra e neonazisti che nasce Hydra Comics. Il fondatore è Michael Schafer, ex politico della Cdu poi passato a NPD e per anni dirigente dei Junge Nationaldemokraten (JN). Chi finanzia la creazione di Hydra? I destrissimi Movimento Identitario (Identitäre Bewegung) e Ein Prozent. Islamofobici, nemici dell’immigrazione e del multiculturalismo, oppositori dei diritti Lgbt. Parliamo di movimenti che non rifiutano angolazioni nostalgiche e neonaziste. Come Pegida, anche questa made in Sassonia. Nell’opera di proselitismo mediatico di queste formazioni, in particolar modo tra i giovani, oltre a cortei, presidi, manifestazioni no-vax, giocano un loro ruolo anche i fumetti.
Venticinque febbraio scorso: il caso Hydra balza alle cronache. Sulla pagina Fb di Comixene, importante rivista tedesca dedicata al fumetto, il direttore in persona fa, di fatto, da cassa di risonanza alla nascita di Hydra: prendendo formalmente le distanze dalla pubblicazione su un numero di Comixene della notizia del lancio della casa editrice nera, e invitando a indagare sulle sue origini segrete, nella pratica le offre un graditissimo spot. Comixene – come racconta sempre “Lo Spazio bianco – il cuore nel fumetto” - viene travolto da critiche durissime. Per altro: chi siano e cosa pubblichino quelli di Hydra Comics è già noto. Strisce e vignette con riferimenti ai “veri patrioti”, simbologia delle “squadre di salvaguardia” (SS) naziste, agenti segreti al servizio del popolo. Gli eroi Marvel Capitan America e Superman decontestualizzati. “Siamo aperti a tutti quegli autori che nel panorama odierno non trovano un posto in cui pubblicare” – spiega Hydra. “Opere non conformi, anche provenienti dall’estero” in difesa di quei lettori e quegli artisti che si sentono “limitati da un settore in cui l’ideologia viene prima del talento”. Intorno al progetto editoriale Hydra e alla sua lotta alla “dittatura del buonismo” si muovono artisti tedeschi della scena dell’estrema destra: il writer Wolf PM (che usa caratteri calligrafici di epoca nazista) e Remata’Clan dalla Turingia.
Asse Roma-Berlino-Tokyo
In Germania – dopo una lunga scia di violenze, molte delle quali avvenute proprio in Sassonia, e dopo la strage terroristica di Hanau del 21 febbraio 2020 – si è riaperto il dibattito sull’estremismo di destra. I servizi segreti hanno messo sotto sorveglianza AfD perché considerato un movimento pericoloso per la democrazia. AfD. Hydra. Link che si riattivano. Ci sono fumetti, in Germania, partoriti e pubblicizzati dagli stessi partiti. Tra il 2017 e il 2018 sulla pagina della sezione AfD di Berlino sono stati pubblicati sette racconti intitolati “Emilia and friends”. L’autore? Il caposezione Georg Pazderski. Protagonista dei racconti è, appunto, Emilia, una ragazza dalle sembianze di uccello, sostenitrice di AfD che difende le posizioni più estreme del partito contro una società fatta di crimini. A chi è ispirato, per la sua striscia ultranazionalista, Pazderski? Agli omologhi austriaci dell’FPÖ (Freiheitliche Partei Österreichs), partito di estrema destra austriaco il cui leader, Heinz Christian Strache, in questi anni è stato protagonista, a sua volta, di numerose vignette che lo immortalavano come un supereroe in lotta contro i mali della società liberale e globalista. Intorno a super Strache, un florilegio di riferimenti, diretti e indiretti, al nazismo e alle rune che ne hanno caratterizzato la deriva esoterica. L’elenco dei fumetti tedeschi finiti sotta accusa è lungo e fornito. Si è molto parlato, tra gli altri, di Der Vigilant. L’eroe qui – in un paradosso perfetto - è un vendicatore solitario che protegge il popolo da un partito dittatoriale ecologista. L’editore che ha dato alle stampe il fumetto si chiama Eric Zonfeld (Zonfeld-Comics). E’ noto per la pubblicazione di romanzi giovanili xenofobi, razzisti e attraversati da continui richiami al nazismo. Libri il cui contenuto – vari esposti sono finiti sul tavolo Tribunale di Colonia - “stimola l’odio razziale, glorifica o minimizza le idee del Nazionalsocialismo, glorifica i membri delle SS e discrimina gli omosessuali”. Il bisogno continuo di additare un nemico da combattere e annientare; la mitizzazione dei regimi e della razza; l'avversione verso gli "invasori” colpevoli di rovinarla. Dalla Germania all’Italia, sotto traccia, lavora la fabbrica del fumetto. L’ultimo prodotto Hydra Comics è dedicato all’artista giapponese Yukio Mishima, ultranazionalista adottato come feticcio dalle destre europee. Chi ha realizzato la nuova striscia? Semplice: Ferrogallico, l’etichetta editoriale dei fascisti di Forza Nuova distribuita dai fascisti di Altaforte-CasaPound. Siamo in tempo di pace, ma nella graphic novel si rinsalda l’asse Roma-Berlino-Tokyo.
di Paolo Berizzi - la Repubblica
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lamiaprigione · 5 years ago
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Non riesco a capire che piega stia prendendo la mia vita. Andiamo lì? Sì. Facciamo questo? Sì. Dico sempre sì. Accetto anche quest’invito in una villa megaborghese in collina con piscina e vista mozzafiato. Simona è sempre gentile e sorridente con me, se c’avessi provato un minimo ci sarebbe stata senza remore. Mi chiede ogni volta le stesse cose ma lo fa senza malizia, è che non le ho mai dato modo d’interessarsi veramente. Oggi ha un culo da paura, ma continua ad essere distante da ciò che sono, come tutte le altre ragazze che non sono riuscito a far entrare. Il suo nuovo ragazzo la invecchia, a me pare un pirla. Conosco il padre e dopo due ore che ci parlo ho l’impressione d’aver conquistato anche lui. Mi farà ammogliare con una a scelta tra le altre due figlie e vivrò una splendida vita borghese, in Cina oppure a Berlino, chi lo sa, ma un un terzo della villa sarà mio. Non ci son portato per ‘ste cose. Continuo a parlargli e m’accorgo che è meno scemo di quanto pensassi. Mi parla con fervore della maratona di New York a cui parteciperà tra qualche mese. Gli chiedo come si fa a resistere a correre 42 km, non a livello fisico, ma mentale. Ora sa che non sono fesso. Condividiamo lo stesso fuoco. Se uno non ce la fa è perché non è disposto a ripercorrere le orme dei giganti che l’hanno preceduto. Mi espone le sue teorie sulla scuola, ai bambini per prima cosa dovrebbero insegnare a copiare. A un certo punto chiedono ad A. quanti libri abbia letto in vita sua. Risponde due. Simona senza riuscire a trattenere lo sgomento ripete: due?! Fortuna che non lo chiedono a me. Quando Marghe mi consigliò Un uomo di Oriana Fallaci quasi si scusò chiedendo di non essere giudicata. A me non è mai fregato niente. Ho letto chi supportava i nazisti, chi supportava i fascisti, razzisti della peggior specie. E qualcuno mi è piaciuto pure. Uno scrittore l’ho sempre giudicato per quel che scrive, e anche quando si è schierato su posizioni a me più vicine, non mi è diventato più simpatico. Ché tanto un artista quando si politicizza si sporca in qualsiasi caso. Ma se PPP ci era amico, cazzo ne sappiamo noi? Alla fine chi scrive esagera sempre, vive in un mondo suo. Voleva far saltare per aria le moschee? E chissenefrega. Io farei saltar per aria pure le chiese, se non fosse per il loro valore storico e artistico. Chi scrive interpreta un ruolo. Ogni tanto dice qualcosa che non pensa solo per vedere che effetto fa, trovare l’abito a uno dei suoi nuovi personaggi. È un gioco, ma nessuno lo capisce. Terminato il prologo, giungo alla conclusione che mi sarei innamorato perdutamente di Oriana, del suo fine intelletto e della sua posata sensualità. L’altra sola scrittrice in grado di farmi provare un simile sentimento è stata Anais Nin. Ucciderei per essere al posto di Henry Miller o Alekos Panagulis. Ma sai cosa vuol dire avere una donna che scrive di te come loro han scritto del proprio amato? Sminuisco tutte le donne che mi hanno amato e hanno scritto di me, sì le sminuisco. Io non l'ho mai saputo che hanno scritto di me. Prima di andare ci sediamo in veranda a mangiare il gelato, Simona mette una playlist jazz dal suo macbook. È davvero questa la vita che voglio? 
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silviatorani · 5 years ago
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Racconti #2
Ehilà, da quanto tempo!
Quest’estate ho lavorato ad alcuni racconti e credo sia il momento giusto per un nuovo aggiornamento (dato che l’estate è finita da due mesi, sai com’è).
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“This world you live in is not a place for someone like you.”
–A Different Kind Of Human, AURORA
Ho scritto Nave madre per A Ticket To Write lo scorso agosto (ne ho parlato qui e qui). Non sono riuscita a terminarlo entro il viaggio di andata, ma ho sfruttato i due giorni di permanenza ad Aquisgrana e il viaggio di ritorno per finirlo.
Trama: Carlo si è appena trasferito in una nuova scuola e viene subito preso di mira dai bulli per il suo peso. L’unico compagno di classe che vuole fare amicizia con lui è Luca, anche lui vittima di bullismo. Luca racconta a Carlo di avere origini extraterrestri e Carlo lo asseconda, credendo che si tratti di un gioco a cui Luca gli sta chiedendo di giocare. I bambini fanno amicizia e Carlo interviene in soccorso di Luca durante un episodio di bullismo, ma a quel punto Luca gli rivela che la nave aliena sta per venire a prenderlo e gli chiede di andare via con lui.
POV: Prima persona presente dal punto di vista di Carlo.
Playlist:
Little Boy In The Grass - AURORA
Through The Eyes Of A Child - AURORA
Under The Water - AURORA
A Different Kind Of Human - AURORA
Mothership - AURORA
Tiny Alien - Katie Melua
The Tourist - Message To Bears
Personaggi: È possibile che in fase di editing cambierò i nomi dei protagonisti perché erano pensati per essere dei placeholder, ma forse mi ci sto affezionando. Vedremo.
Carlo
appassionato di geologia
disperatamente in cerca di un amico
insospettabile romantico
bravo ad ascoltare
Luca
convinto di essere un alieno
ossessionato dallo spazio
estremamente socievole e loquace
ha una fortissima immaginazione
Madre di Luca
madre single
fricchettona
vegetariana
brava a cucinare
Estratto:
Prende uno sgabello, lo accosta alla parete e ci sale sopra. Allunga una mano e indica un punto su uno dei poster. È così basso che deve comunque mettersi in punta di piedi.
«Vedi questo puntino qui, nella periferia di Andromeda? È la galassia M32. Il mio pianeta si trova lì. In questo periodo dell’anno, se ti allontani abbastanza dalla città e il cielo è limpido, di notte puoi vederlo.»
Prendo un’altra pietra.
«E lì com’è?»
Abbassa la mano e guarda il poster con la testa piegata all’indietro.
«È come un grande oceano, solo che l’acqua in realtà è il cielo e tutti galleggiano e possono respirare. Quello che senti diventa una luce sulla pelle e ogni emozione ha un colore diverso, così sai sempre se qualcuno è triste e lo puoi aiutare. Poi nessuno ti prende in giro se sei diverso, perché tutti lì sono sé stessi e ognuno può essere diverso dagli altri.»
«Sembra bello.»
Si volta e sorride.
«Se vuoi, puoi venire anche tu. Quando verranno a prendermi.»
Per un attimo mi sono dimenticato che è solo un gioco.
A che punto sono: Non avendo avuto a disposizione una connessione internet durante la stesura ho dovuto rinunciare ad alcune ricerche di cui prima di iniziare non mi aspettavo avrei avuto bisogno e che invece si sono rivelate abbastanza importanti per la caratterizzazione dei protagonisti, quindi il testo ha qualche buco che dovrà essere riempito con una buona enciclopedia sulle rocce e i minerali. A parte questo, il risultato mi ha lasciato molto soddisfatta, devo solo risolvere qualche problema di chiarezza e rivedere il finale che risulta un po’ affrettato.
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“Hate followed him gently, black seeds in his heart, roots tearing the love in him apart.”
–Churchyard, AURORA
Ho iniziato questo racconto nell’agosto 2018 e dopo aver scritto un paio di paragrafi l’ho messo da parte per mesi. A gennaio l’ho ripreso in mano e ho finito la prima stesura, ma quest’estate ho fatto vari giri di revisione.
Trama: Berlino, 1933. Konrad vive solo da quando la moglie è rimasta uccisa in un attentato diretto a lui e la figlia se n’è andata di casa per vivere con un mezzo ebreo. Una sera si reca al raduno della sua squadra di SA, ma ad aspettarlo trova solo Dieter, ultimo acquisto della squadra e amante della figlia. Fino a quel giorno è stato l’unico a conoscenza delle sue origini e non l’ha mai denunciato per pudore nei confronti della figlia ma, mentre camminano verso la sede della loro sezione, viene a sapere che Marlene ha lasciato Dieter sei mesi fa e nonostante questo si rifiuta ancora di tornare a casa.
POV: Prima persona presente dal punto di vista di Konrad.
Playlist:
Put the Blame On Meme - Rita Hayworth
Amado Mio - Rita Hayworth
As Time Goes By - Dooley Wilson
Churchyard - AURORA
O Tannebaum - canto tradizionale
Personaggi:
Konrad (nel racconto non viene mai detto il suo nome)
reduce della prima guerra mondiale e nazista della prima ora
troppo orgoglioso per fare un passo indietro
vive soltanto per la sua divisa
è così accecato dall’odio da non vedere quello che ha perso
Dieter
contraddizione vivente
ebreo da parte di madre
ha rinnegato le sue origini per essere accettato
fumatore incallito
Marlene
incolpa suo padre della morte della madre
ha lasciato Dieter quando si è unito alle SA
simbolo della vita a cui Konrad e Dieter hanno rinunciato
Gertie
l’amica ubriaca™
fa la ballerina in uno spettacolo di varietà
ospita Marlene in una catapecchia in affitto
Estratto:
Allunga la mano e sfiora una delle rose. Alcuni petali cadono sull’erba davanti alla lapide. «Queste le ha portate Marlene…»
«Come lo sai?»
Si volta verso di me. Magari ha mentito e si vedono ancora. Magari la segue.
Spingo un piede più a fondo nella ghiaia.
«Hai detto che non la vedi da mesi. Come sai che le ha portate lei?»
Torna a guardare la lapide.
«Conosco i suoi gusti.»
Chiude gli occhi, avvicina il naso e inspira l’odore delle rose. Lo immagino fare lo stesso ai capelli di Marlene. È quasi pornografico.
«Andiamo avanti. Non c’è tempo da perdere.»
Torna a guardarmi, rannicchiato davanti alla lapide con le ginocchia piegate. Sarebbe così facile dargli un calcio e buttarlo per terra. Il cimitero è deserto, non ci sono testimoni. Quanto forte dovrei colpirlo per non dargli la possibilità di difendersi?
A che punto sono: Quello che mi interessava mostrare con questa storia era come i due protagonisti, nonostante siano molto diversi tra loro, siano accomunati dalla stessa estraneità alla vita e abbiano entrambi rinunciato alla propria umanità in nome di una causa di cui non ricordano più le ragioni. Non sono ancora sicura di esserci riuscita: la parte che mi ha dato più difficoltà è stato definire una trama, dato che non succede quasi niente ed è tutto molto basato sull’interazione dei due personaggi. Al momento il racconto sta venendo letto da un beta e spero che il suo feedback mi aiuti a capire come aggiustare il tiro.
Questo mese ho scritto anche altri racconti partecipando al Writober di @enerimess​, ma sono tanti e non ho ancora deciso come (e se) ne parlerò qui sul blog, dato che non credo di perseguirli tutti. Ho anche avuto qualche idea per il titolo della raccolta che mi piacerebbe mettere insieme e a cui forse lavorerò durante il NaNoWriMo (non riesco a decidere se partecipare o no!), ma sarebbe davvero troppo per questo aggiornamento, quindi per il momento mi fermo qui.
A presto!
–Silvia
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mynameis-gloria · 5 years ago
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Qualcuno da lassù mi ama.
Oggi arrivo in aeroporto, tutto fila liscio fino a dopo i controlli, arrivando in anticipo il gate per l'imbarco non è ancora sugli schermi. Dopo 10 minuti compare la scritta A60
Percorro con calma praticamente l'intero aeroporto, la gente è già seduta, lo schermo è acceso e io mi accomodo su queste sedie rosse e rigide. Manca mezz'ora abbondantemente prima dell'apertura, controllo un attimo Il telefono e mi osservo intorno, fa anche caldo.
Alle 10 meno un quarto il personale arriva e la gente inizia a prepararsi per mettersi in coda. In quel momento penso 'per una volta tutto con tranquillità'.
Fila priority, stranamente sono la seconda, tiro fuori il biglietto dalla foderina e....
Non trovo la carta d'identità. 'Perché non sto mai zitta' mi maledico in quello stesso istante.
Riprovo a guardare, controllo nella tasca della giacca ma nulla, nizio ad agitarmi, il tizio sta aprendo gli sportelli per imbarcare, mi guardo attorno, la gente in coda dietro e di fianco a me. Guardo tra i piedi delle persone sperando sia caduta per terra un attimo prima. Sento gli occhi dei passeggeri
Chiedo a una ragazza se può sorvegliarmi un attimo la valigia e ripercorro la fila tornando alla sedia in cui mi ero messa. Nulla
Aumenta l'agitazione e anche il caldo
Ritorno dalla ragazza, continuo a toccarmi pantaloni, giacca ecc.
Chiedo al signore di Berlino insieme alla moglie se per caso mentre eravamo seduti han visto cadermi qualcosa. Mi risponde di no e mi chiede cosa non trovo, e dopo averglielo detto si dispiace con me e scambiandosi diverse occhiate si guardano intorno anche loro, li ringrazio; ringrazio anche la ragazza e le dico di prendere pure il mio posto perché tanto senza carta, adios volo. Prendo le mie cose e parlo subito con il Tizio allo sportello "Eh se non la trova non può partire senza documento" - grazie al cazzo!- gli chiedo se gentilmente posso lasciare qui la valigia perché ovviamente l'unica cosa da fare è ripercorrere l'aeroporto "ehh non potrei, se la lascia li non riesco a guardarla" - fanculo, doppio fanculo - dico un grazie scocciato prendo le mie cose, l'agitazione sta invadendo il mio corpo, il Tizio molto gentile inizia ad imbarcare; sono le 10.00, chiamo la mia coinquilina e dico che forse perdo l'aereo, ho smarrito la carta e non so se la troverò. Mi dice di non andare in panico e di ripercorrere il tragitto. Rispondo che non farò in tempo, chiude alle 10.15; ci salutiamo per non perdere ulteriore tempo
Ho solo 15 minuti per trovarla, in un intero aeroporto in mezzo a migliaia di persone, da sola e con bagagli alla mano. Quante probabilità ho! - Gloria respira!- Inizio a pensare già al peggio (cosa che non dovrei fare ma non posso non pensare al fatto che non avrei i soldi per un altro biglietto e al fatto che quelli non aspettano me). Ripercorro osservando per terra, non oso immaginare lo sguardo preoccupato sul mio volto, apro zaino e portafoglio e mi tolgo la giacca nuovamente, niente. Arrivo di nuovo all'ingresso nella zona ristorazione e un ragazzo mi ferma "ciao"- io "scusa non ho tempo, ho perso la carta d'identità " lui sorride -ma cosa sorride- "hai trovato me però " -oddio, ma gli pare il momento di flirtare- "no davvero sono nella merda, ho il volo tra pochissimo" io disperata, lui "va bene dai" sorride ancora "vai li al punto online (o qualcosa del genere) premi il tasto verde che chiama, ti rispondono subito e spieghi cosa ti è successo" lo ringrazio e schiaccio il pulsante verde in questa macchinetta poco chiara e sullo schermo compare una tizia con l'auricolare, la voce rimbomba nelle vicinanze, le parole escono in fretta e, dopo l'esclamazione "oddio" e una faccia che dice "lei è spacciata" spiega di rivolgermi alla polizia e far la denuncia. -signore dimmi che è uno scherzo- le chiedo dove sia la polizia, mi da indicazioni come se conoscessi l'intero aeroporto e il panico e tutto il resto di sicuro non aiutano. Non ho capito granché se non che devo prendere l'ascensore e dirigermi al piano 1. Mi dirigo in fretta e furia nel primo ascensore che trovo e nel mentre chiamo mia mamma (Giusto per avvisarla nel caso debba recuperarmi) e mentre parlo con lei vado ancora più in agitazione perché non so davvero come farò a trovarla, ripassando mentalmente tutti i passaggi e appunto fino ai controlli ce l'avevo, gli ho passati, e le dico che ora devo fare la denuncia e prima ancora raggiungere la polizia e insomma tutte queste cose e finisce che a fine chiamata scoppio a piangere (Credo per il nervoso) lì da sola, nell'ascensore (che sembra ci stia mettendo una vita a raggiungere il primo piano). Le porte si spalancano ed esco con le lacrime che mi rigano le guance, non mi era mai capitato di farmi vedere in pubblico, ma non mi importa nemmeno più della gente e se ci fa caso. Devo trovare sta polizia. Il piano mi sembra esattamente uguale all'altro e dell'ufficio nemmeno l'ombra. Chiedo a una signora di uno sportello dal nome "centro informazioni", e mi dice che devo tornare indietro e ripercorrere la strada appena fatta. Corro, ogni cosa è accelerata, sto letteralmente correndo sul tempo. Non contro
In alto la scritta "polizia" -dio grazie- un signore mi dice che devo bussare. Busso due volte, nulla; mi dice di aspettare un attimo, nel mentre compone un numero. 2 minuti dopo arriva alle mie spalle un uomo alto e robusto che mi domanda che succede. Dico che ho smarrito la carta d'identità e il volo parte tra poco, anzi forse hanno già anche imbarcato i passeggeri. Mi chiede nome e cognome e poi dalla sua bocca escono queste parole: "vieni, ce l'ho io il tuo documento". Attimi di silenzio -what???- lo seguo, mentre sto ancora elaborando e mi dice che devo dirigermi in fondo ai controlli (perché dopo tutta la strada fatta alla fine sono ritornata all'ingresso al "controllo valigie") e di andare nell'ufficio affianco all'altra porta con scritto polizia. Mi dirigo da sola, sempre correndo ed entro dicendo "avete la mia carta d'identità..." e la donna vicino al collega con cui ho parlato "ah ecco, fr1114 giusto? direzione....? stavo per avvisare il personale del volo" me la consegna ed esclama "vada, corra". Non capisco quindi se alla fine ha avvisato o meno (ma dopo questo mio dubbio viene risolto, andiamo con ordine) so solo che devo correre il triplo per raggiungere di nuovo il gate A60, sperando non sia già chiuso e il volo già in partenza. Risparmio tutta la parte in cui corro per l'ennesima volta in cui i miei piedi sbattono al suolo e, fan rumore a ogni passo fatto con valigia zaino e giacca, in cui le mie labbra sono secche e le forze sento che mi stanno abbandonando. (E ringrazio che non sono del tutto fuori allenamento ahaha) ma nessuno si aspettava di fare la campestre proprio oggi!
Arrivo, non so come ma arrivo, e ritrovo il Tizio gentile addetto all'imbarco, il mio amicone, oltre a noi due nessuno. Penso di essere arrivata troppo tardi e poi: "ah ti avevo già cancellato dalla lista dei passeggeri" -avevo detto che era gentile- (e qui si toglie anche il dubbio di cui parlavo sopra, ovvero che quella collega dell'ufficio non ha avvisato proprio nessuno, se no non sarei stata cancellata dal volo! ) si volta e vedo in lontananza una signora già oltre la porta a vetri, lui la ferma: "aspetta aspetta c'è anche lei". La raggiungo sempre correndo e lei: "calma calma, tanto sono io che guido, finché non arrivo non si parte e di conseguenza nemmeno il volo" -una con un pò di umanità- penso, la ringrazio e poi mi accompagna sulla navetta. Sento le guance rosse e accaldate, il respiro torna pian piano regolare, bevo un sorso d'acqua e non vedo l'ora di salire per mettermi seduta. Posso dire poi che il resto del volo è andato bene, e aggiungo fortunatamente. Ma insomma la mattinata non è iniziata nel migliore dei modi. Proprio no!
Ma dicono che bisogna prenderla con filosofia, e quindi guardo i lati positivi di questa assurda e indimenticabile esperienza, ovvero che potevo rischiare di non ritrovarla (quindi forse lassù qualcuno mi odia ma non cosi tanto), ho fatto anche attività fisica (per compensare i 10 anni persi per lo spavento e la vicenda) e ora so come trovare la polizia in un aeroporto ( che spero non servi mai più)...Ok facciamo che dimentichiamo e basta, forse è meglio!!!
_mynameis-gloria
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madeforgardens · 6 years ago
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ANDIAMO DI NUOVO A BERLINO BEPPE
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alkalineblues · 6 years ago
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Siccome stavo pensando e mi stavo tirando giù, mi sono messo a guardare la collezione di dischi per distrarmi e ho ritrovato un disco registrato nella serata di questo video. Per me è speciale. E voglio scriverlo di nuovo.
Sono convinto di averlo già raccontato ma vabbè. Queste canzoni, questo evento, le ho trovate per sbaglio. Ero a Berlino con una mia ex coinquilina del pais vasco e una sua amica, non sapevamo cosa fare, lei propone di andare in questo cinemino indipendente e alternativo che voleva visitare da tanto. “Cosa fanno?” “Inside Llewyn Davis” “volevo proprio vederlo! andiamo!”.
E così andiamo. Arriviamo in questo cinema. O meglio, saletta da 15 posti stretta e lunga, un posto pregno di Berlinesità, quasi uno stereotipo. Bellissimo. Ci sediamo, inizia la proiezione.
Qualcosa non va. Non sembra un film, per niente. E infatti era un docufilm su questa serata evento per la musica folk americana, con un sacco di artisti a me conosciuti e non, il tutto legato al film dei Coen.
Ne usciamo folgorati. Io in particolare, ma pure loro.
È un ricordo molto bello per me, uno dei pochi. Forse perché era un periodo in cui ero ancora carico, anzi mi stavo caricando. Ero in tesi, stanco ma contento, con tante, tante aspettative per il futuro. Tanti progetti. Ero riuscito a caricarmi di positività per il futuro ed ero pronto ad affrontare tutto. Ero contento, o almeno ci mettevo quasi tutto me stesso per esserlo. Chissà che pensavo.
Insomma, una visione folgorante. Torno a casa e non me la levo dalla testa. Ma non esistono dischi da comprare, ne dvd. Non c’è niente ancora in vendita, i dischi usciranno dopo un anno. Mi attivo da pirata quale sono e trovo il docufilm, pure in buona qualità! pazzesco!
Ma non potevo non avere dei dischi da ascoltare sempre, dei file. Estraggo l’audio, divido le tracce, faccio un mixaggio per farle incastrare bene, taglio i dialoghi. Un fine settimana intero di lavoro pieno. Viene fuori un capolavoro.
In un lampo di positività preparo pure dei CD da inviare alla mia amica a sorpresa, sapevo le sarebbero piaciuti molto come regalo. Non li ho mai inviati, ero più positivo, ma sempre io. Come da tradizione mi sono fermato da solo, perché non lo ricordo più.
Poi guardo il film, bellissimo. Un paio di anni dopo compro i CD ufficiali registrati alla serata, bel packaging, belle foto, alcune canzoni in più non presenti in video.
Ma sapete una cosa? Le canzoni registrate hanno perso quel tocco magico del docufilm, quel passaggio dalla preparazione al live, il pubblico, quelle introduzioni particolari. È un ascolto diverso, molto. Almeno per me.
Io sento la mancanza di quel tocco in più, ma forse il mio giudizio è viziato dal ricordo, dal me di quell’epoca. Da quella visione, dall’ascolto, dal sorriso che partiva dal petto.
Insomma, io rimango custode di note, sensazioni e file speciali. Su youtube non c’è molto, ma almeno guardatevi almeno questo video, e magari cantate un po’.
I've got to find her and tell her that I love her so I'll never rest 'til I find out why she had to go Thank you for your precious time Forgive me if I start to cryin' That's how I got to Memphis
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robertchi-blog1 · 6 years ago
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(Scroll down for the English version)
Riassunto dell’itinerario in breve: 5 giorni
Volo: Milano Orio al Serio / Porto
Porto – Fatima – Lisbona (giorno 1)
Lisbona: MATTINA:  Giardini Amalia Rodríguez – Parco Edoardo VII – Av. de Liberdade – Praca Rossio – Elevador de Santa Justa –  Bairro Alto, Baixa, Praca do Commercio; POMERIGGIO  Praca do Martim Moniz – Miradouro de Nossa Senhora do Monte – Castelo de Sao Jorge – Alfama – Chiesa di Santa Engracia –  SERA: Bairro Alto   (giorno 2)
Lisbona:  MATTINA: Ponte del 25 Aprile, Monumento alle Scoperte, Torre di Belem;  POMERIGGIO: Parco delle Nazioni, Acquario Oceanografico di Lisbona –  SERA: Barrio Alto  (giorno 3)
Lisbona – Cabo da Roca – Nazarè – Porto (giorno 4)
Porto: giro in sightseen bus per il poco tempo a disposizione e rientro a Bergamo (giorno 5)
Nella primavera dell’anno scorso, prima di iniziare a scrivere questo blog, ho fatto un viaggio molto bello, ormai reso classico dai voli Ryanair; la destinazione di cui molti amici mi hanno parlato bene è infatti Porto; Non ero mai stato in Portogallo, ma, prima di prenotare ho deciso di non fermarmi solo in questa città come meta ma di girare un po’.
eccovi quindi il mio itinerario Porto – Lisbona – Porto di  5 giorni.
Eh si, se avete qualche giorno perché limitarsi ad una città piccola come Oporto quando potete con 10 euro al giorno noleggiare un Auto e muovervi un pochino lungo il Portogallo?
Atterriamo al mattino a Porto, ma la nostra destinazione principale per i primi giorni è Lisbona, quindi dopo aver sbrigato tutte le pratiche del noleggio auto imbocchiamo l’autostrada E1 verso sud; in realtà l’obiettivo è di arrivare a Lisbona entro le 18:00 facendo una tappa lungo il percorso, visto che l’autostrada passa per Fatima; facciamo quindi la prima tappa per visitare il Santuario costruito sul luogo dove nel 1917 i pastorelli portoghesi Lucia, Jacinta e Francisco iniziarono a vedere la Madonna.
Siamo fortunati, la giornata è bella e il santuario non è preso d’assalto, c’è molta gente ma è vivibile, facciamo un giro nella chiesa, e nella grande piazza e accendiamo un cero; questo luogo così mistico, va visitato di sicuro se siete in zona e rimarrete colpiti dall’aura di misticismo e fede di cui è intriso.
Ci rimettiamo in strada direzione Lisbona che raggiungiamo anche prima del previsto . Calcolate che la distanza Porto – Lisbona è di 320 km più o meno quindi non vi ci vuole molto. A Lisbona, ho trovato un appartamento molto carino in un quartiere tranquillo appena fuori dal centro, con garage, dove poter lasciare l’auto per un paio di notti; a Lisbona non vi serve, dato che la rete metropolitana e di trasporti pubblici è molto efficiente.
L’appartamento è stata un ottima soluzione – economico, bello, ben arredato e in ottima posizione: qui il link dell’appartemento su booking.com http://www.booking.com/Share-i5KfqN 
Usciamo a fare un giro per il centro dirigendoci nella zona di Baixa per cenare e fare due passi e rientriamo prima di mezzanotte in metrò.
GIORNO 2:
All’indomani facciamo colazione in appartamento avendo fatto un po’ di spesa in un supermercato sotto casa e ci incamminiamo verso il centro passando per i Giardini di Amalia Rodríguez con il suo punto panoramico (dovete tenere conto che Lisbona è una citta che si trova su varie colline ed è quindi tutto un saliscendi anche molto ripido, ma è anche ricca appunto di miradori, delle terrazze panoramiche, da cui godere di una vista della città circostante dall’alto).
Continuiamo la camminata attraverso Parco Edoardo VII e Avenida de Liberdade (la via dello shopping e delle boutique di lusso), ci incantiamo a guardare alcuni tram caratteristici di questa città che si inerpicano su per le ripide salite della città, passiamo per alcune piazze fino all’Elevador de Santa Justa che altro non è che un ascensore in ferro del 1900 con terrazza panoramica che serviva ad unire la parte bassa a quella alta del Bairro Alto. Giriamo su e giù per queste caratteristiche viuzze del centro senza una meta ben precisa, e attenzione, non perché non sappiamo dove andare, ma, proprio perché Lisbona per certi versi va proprio visitata così, perdendosi e girando a casa tra le sue vie. Riscendiamo dalle viuzze del Bairro dove abbiamo già deciso di passare la serata in quanto è in queste vie che si svolge l’animata vita notturna di questa città, e ci ritroviamo nella grande Praça do Commercio. Qui in zona mangiamo un panino prima di dirigerci in Praça do Martin Moniz perché da qui c’è la partenza del tram 🚋 storico 28 che si inerpica su per i colli della città antica . Arrivati alla partenza però ho due problemi, il primo è che c’è una folla di turisti allucinante e quindi già immagino che sul tram si starà come le sardine e difficilmente si potrà godere di una bella vista; il secondo problema è invece la mia caviglia che inizia a dolorare (mi hanno levato il gesso in seguito ad una frattura circa due settimane prima, e quindi dopo i km di questa mattina zoppico) . Trovo subito però la soluzione a me più congeniale, sul marciapiede opposto una ragazza di fianco al suo tuc tuc mi guarda e mi sorride come avesse già capito cosa stavo pensando. Mi fa segno di raggiungerla e dopo una breve contrattazione ci offre un giro di 2 ore e mezza con lei come guida del tuc tuc e guida turistica e con un itinerario di diverse tappe su per i colli della città antica, seguendo in parte lo stesso percorso del tram 28. Inoltre ci avvisa che nel percorso farà diverse tappe dove possiamo smontare a fare delle foto o visitare il luogo. Sarebbero 70 euro a gruppo, noi siamo in due e riusciamo a scendere il prezzo a 50 euro. Vista la bella giornata calda, e la mia caviglia dolorante devo dire con il senno di poi che questi sono stati i 25 euro (la mia quota) meglio spesi della mia vita; montiamo e viaaaa si parte. Gabriela è una ragazza molto spigliata alla guida e con un ottima conoscenza della storia e delle curiosità della città e quindi ci allieta nel percorso con cenni storici e aneddoti. Nel giro saliamo verso il Castelo de Sao Jorge e facciamo una tappa al Miraduro de Nossa Senhora do Monte punto più alto della città (devo dire che Senza tuc tuc visto quanto è ripida la salita, non ci saremmo mai arrivati). Gabriela, ci offre una limonata fresca prima di ripartire passando per la Chiesa di Santa Engracia (che i portoghesi chiamano la loro S.Pietro, vista la somiglianza con la chiesa vaticana) e scendendo verso il quartiere di Alfama . Facciamo qualche altra tappa prima di ritornare al punto di partenza. Alla fine ci abbiamo messo tre ore, ma abbiamo visto un sacco di cose, col minimo sforzo (la mia caviglia ringrazia😜) e alla fine lasciamo pure una mancia a Gabriela.
Rientriamo per una doccia e un riposino in appartamento e usciamo sul tardi per cenare e vivere un po’ di vita notturna di questa città. Andiamo quindi nelle stradine del Barrio Alto, piene di pub, bar, birrerie e piene di gente che si diverte. Ceniamo in un piccolo ristorante di tapas e ci beviamo un paio di birre in alcuni rumorosissimi locali. Devo dire che la vita notturna di Lisbona, è molto movimentata e divertente.
GIORNO 3: 
Ci svegliamo l’indomani con calma, e con il metrò scendiamo verso piazza del commercio da dove prenderemo un trenino verso la zona di Belem.
Scesi dal trenino, camminiamo lungo il Tago, da qui si gode di una vista stupenda sul Ponte del 25 Abril uno dei luoghi più famosi di Lisbona ed è un ponte che ricorda il Golden Gate Bridge di San Francisco. Continuando la passeggiata verso la famosa Torre de Belem passando per il monumento alle Scoperte . Pranziamo in uno dei tanti ristorantini con tavoli all’aperto, con il tempo per essere aprile siamo fortunatissimi, sole e caldo.
il pomeriggio dovremo spostarci a qc km da qua dall’altra parte della città al Parco delle Nazioni, zona dell’Expo  Universale del 1998, e definita la zona più futuristica della città. Qui facciamo visita al famoso Oceanario, davvero molto bello.
siamo soddisfatti, abbiamo visto la città in lungo e in largo, e devo dire che Lisbona è una di quelle mete che non mi sono mai venute in mente prima, ma che da oggi è per me una delle capitali più belle d’Europa.  Quindi quando pensate a cosa visitare e vi viene in mente Parigi, Londra, Berlino, pensateci meglio perchè Lisbona è molto molto meglio (per quanto anche le altre città siano belle) ed è anche molto più economica.
GIORNO 4:
La mattina salutiamo il padrone di casa a cui abbiamo riconsegnato le chiavi, e risaliamo sulla nostro Fiat Punto a noleggio; guardando la cartina ho deciso che per oggi invece di rientrare lungo l’autostrada fatta all’andata, di fare una variante lungo oceano e di fare due tappe, la prima a Cabo Da Roca e la seconda  a Nazarè prima di arrivare a Porto meta del nostro ultimo giorno prima di rientrare a casa.
Cabo da Roca: è il punto più occidentale del continente Europeo, ed altro non è che una stupenda scogliera a picco sull’Oceano Atlantico, che nulla ha da invidiare alle Cliffs of Mohar irlandesi.  Mentre sto facendo alcune foto, sento qualcuno che mi chiama, e non posso fare a meno che pensare che il mondo è proprio piccolo: incontro infatti qui per caso alcuni miei compaesani; quattro chiacchiere e poi via di nuovo verso Nazarèdove abbiamo letto se il mare è mosso si possono vedere le onde più alte del Mondo. Facciamo tappa alla praja do Northe, la giornata è stupenda, la spiaggia bellissima, ma mai visto il mare così calmo in vita mia, quindi niente onde, ma comunque un panino in spiaggia per pranzo ci stà.
ci rimettiamo in marcia e raggiungiamo il nostro hotel a Porto verso le 17:00. Lasciamo le nostre cose e facciamo subito un giro in centro.
Porto è una città piccolina, famosa soprattutto per le sue cantine di vino e con un centro storico davvero affascinante: il quartiere Ribeira è appunto la zona centrale ricca di antiche case, strette vie acciotolate e numerosissimi ristoranti e bar.
Le numerose cantine di Vino, dall’altra parte del fiume, dove si produce il Porto appunto.
Mangiamo in un ristorante lungo il fiume, e assaggiamo alcuni vini locali tra cui il Porto che tra un bicchiere e l’altro si fa notte. L’indomani, non abbiamo molte ore, nel pomeriggio dobbiamo tornare in aeroporto, quindi anche a causa della mia solita caviglia, decido per la prima volta in vita mia di prendere uno di quegli autobus turistici aperti sopra che fanno tutto il giro della città. Riusciamo così a vedere Porto stando comodi, prima di rientrare, e devo dire che sono sempre più convinto di aver scelto il giro giusto, Lisbona da visitare con calma e bellissima, e Porto per quanto molto carina non merita più di un paio di giorni al massimo.
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Questo il mio primo approcio con il Portogallo, ma devo dire che mi ha piacevolmente stupito, per la sua bellezza, per la gente, per la vita, tanto che ho deciso di tornarci quest’estate per fare un po’ di mare nella zona Sud, in Algarve.
e voi ? siete mai stati in Portogallo? che ne pensate?
Summary of the itinerary in brief: 5 days
Flight: Milan Orio al Serio / Porto Port – Fatima – Lisbon (day 1)
Lisbon: MORNING: Amalia Rodríguez Gardens – Eduardo VII Park – Av. De Liberdade – Praca Rossio – Elevador de Santa Justa – Bairro Alto, Baixa, Praca do Commercio; AFTERNOON Praca do Martim Moniz – Miradouro de Nossa Senhora do Monte – Castelo de Sao Jorge – Alfama – Church of Santa Engracia – EVENING: Bairro Alto (day 2)
Lisbon: MORNING: 25th April Bridge, Monument to the Discoveries, Belem Tower; AFTERNOON: Nations Park, Oceanographic Aquarium of Lisbon – EVENING: Barrio Alto (day 3)
Lisbon – Cabo da Roca – Nazarè – Porto (day 4)
Porto: tour in sightseen bus for the short time available and return to Bergamo (day 5)
In the spring of last year, before starting to write this blog, I had a very nice trip,  in fact, the destination of which many friends have spoken to me very well is Porto; I had never been to Portugal, but, before booking, I’ve decided not to stop only in this city as a destination but to go around a little bit.
so here is my itinerary Porto – Lisbon – Port of 5 days.
Oh yes, if you have a few days why limit yourself to a small city like Porto when you can rent a car with 10 Euro /day and move a little along Portugal?
We land in the morning in Porto, but our main destination for the first days is Lisbon, so after hurrying all the car rental practices we take the E1 highwayto the south; in reality the goal is to arrive in Lisbon by 18:00, making a stop along the way, as the highway passes through Fatima; there we make the first stop to visit the Sanctuary built on the place where in 1917 the Portuguese shepherds Lucia, Jacinta and Francisco began to see the Madonna.
We are lucky, the day is beautiful and the sanctuary is not crowded, we walk around the church, and in the large square and light a candle; this place so mystical, should be visited for sure if you are in the area and you will be struck by the aura of mysticism and faith that is soaked.
We get back on the road towards Lisbon that we reach even earlier than expected.
The apartment was a great solution – cheap, nice, well furnished and in a great location: here the link of the apartment on booking.com  http://www.booking.com/Share-i5KfqN
We go out for a walk around the center heading into the Baixa area for dinner and take a walk and return before midnight in the subway.
DAY 2:
The next day we have breakfast in the apartment having done a little ‘shopping in a supermarket under the house and we walk towards the center through the Amalia Rodríguez’s garden with its vantage point (you have to keep in mind that Lisbon is a city that is on various hills and is therefore all a steep up and down, but it is also rich of the so called  miradori, the panoramic terraces, from which to enjoy a view of the surrounding city from above).
We continue the walk through  Edoardo VII Park and Avenida de Liberdade (the shopping street and luxury boutiques), we are enchanted to watch some characteristic trams of this city that climb up the steep hills of the city, we pass through some squares until ‘Elevador de Santa Justa which is nothing more than a 1900 iron elevator with a panoramic terrace that served to connect the lower part to the high one of the Bairro Alto. We turn up and down these characteristic alleys of the center without a precise goal, and attention, not because we do not know where to go, but, just because Lisbon in some ways goes so well visited, getting lost and wandering through its streets. We descend from the alleys of Bairro where we have already decided to spend the evening as it is in these streets that takes place the animated nightlife of this city, and we find ourselves in the great Praça do Commercio. Here in the area we eat a sandwich before heading to Praça do Martin Moniz because from here there is the departure of the historic tram 28 which climbs up the hills of the ancient city. Arrived at the start but I have two problems, the first is that there is a crowd of tourists waiting to climb in the tram, and so I already imagine that on the tram will be like the sardines and you can hardly enjoy a nice view; the second problem is instead my ankle that starts to ache (I have removed the plaster after a fracture about two weeks before). But now I find the solution most congenial to me, on the sidewalk opposite a girl next to her motorcycle tuc tuc looks at me and smiles as she already understood what I was thinking. She beckons me to join her and after a short bargaining she offers us a two and a half hour tour with her as a guide to the tuc tuc and tour guide and with an itinerary of different stages on the hills of the ancient city, following in part the same path of the tram 28. It also warns us that in the path will make several stops where we can take off photos or visit the place. It would be 70 euros per group, we are two and we can get down to 50 euros. Given the beautiful hot day, and my ankle ache I must say with hindsight that these were the 25 euros (my share) better spent my life;
Gabriela is a very sensible girl  with an excellent knowledge of the history and the curiosities of the city and therefore she gladdens us on the path with historical notes and anecdotes. In the ride we climb to the Castelo de Sao Jorge and make a stop at the Miraduro de Nossa Senhora do Monte highest point of the city (I have to say that Without tuc tuc, seen how steep the climb, we would never have arrived there). Gabriela, offers us a fresh lemonade before leaving again through the Church of Santa Engracia (which the Portuguese call their St. Peter, given the similarity with the Vatican church) and descending towards the Alfama district . We make a few more stops before returning to the starting point. In the end it took us three hours, but we saw a lot of things, with the least effort (my ankle thanks) and at the end we leave a tip to Gabriela
We return for a shower and a nap in the apartment and go out late to have dinner and live a bit ‘of nightlife in this city. So we go in the streets of the Barrio Alto, full of pubs, bars, pubs and full of people having fun. We have dinner in a small tapas restaurant and drink a couple of beers in some very noisy places. I must say that Lisbon’s nightlife is very lively and fun.
DAY 3:
The day after we reach with the subway the Commecio square from where we will take a train to the Belem.
Once out of the train, we walk along the Tagus, from here you can enjoy a wonderful view of the 25th April Bridge one of the most famous places in Lisbon and is a bridge that recalls the Golden Gate Bridge in San Francisco. Continuing the walk to the famous Belem’s Tower passing  the Monument to the Discoveries. Lunch in one of the many restaurants with outdoor tables, with the time to be April we are lucky, sun and heat.
In the afternoon we will have to move  from here on the other side of the city to the Park of Nations, area of ​​the Universal Expo of 1998, and defined the most futuristic area of ​​the city. Here we visit the famous Oceanarium, very beautiful, worht a visit.
We are satisfied, we have seen the city far and wide, and I must say that Lisbon is one of those destinations that I have never thought of before, but that today is one of the most beautiful capitals in Europe for me. So when you think about what to visit and you can think of Paris, London, Berlin, think better because Lisbon is much much better (although the other cities are beautiful) and it is also much cheaper ..
  DAY 4:
In the morning we say goodbye to the landlord to whom we have handed the keys back, and we go back to our rented Fiat Punto; looking at the map I decided that for today instead of returning along the same highway of the first day, to make a long ocean variant and to make two stops, the first in Cabo Da Roca and the second in Nazarè before arriving in Porto our last day before returning home.
Cabo da Roca is the westernmost point of the European continent, and is nothing more than a beautiful cliff overlooking the Atlantic Ocean, which has nothing to envy to the Irish Cliffs of Mohar. While I’m taking some pictures, I hear someone calling me, and I can not help but think that the world is really small: in fact I meet some of my fellow citizens here; a chat and then off again to Nazarè where we read if the sea is rough we can see the highest waves in the world. We stop at the praja do Northe, the day is beautiful, the beautiful beach, but never seen the sea so calm in my life, so no waves.
we get going again and we reach our hotel in Porto around 17:00. We leave our belongings and immediately take a ride downtown.
Porto is a small town, famous above all for its wine cellars and with a really fascinating historical center: the Ribeira district is precisely the central area full of ancient houses, narrow cobbled streets and numerous restaurants and bars.
  The numerous wine cellars, on the other side of the river, where the Port is produced.
We eat in a restaurant along the river, and taste some local wines including the Port that night falls between one glass and another. The next day, we do not have many hours, in the afternoon we have to go back to the airport, so also because of my usual ankle ache, I decide for the first time in my life to take one of those tourist sightseen buses all the way around the city. So we can see Porto being comfortable, before returning, and I must say that I am more and more convinced that I have chosen the right round, Lisbon to visit calmly and beautiful, and Porto, however pretty, does not deserve more than a couple of days maximum.
This is my first approach to Portugal, but I must say that I was pleasantly surprised, for its beauty, for people, for life, so much so that I decided to come back this summer to do a little ‘sea in the South , in the Algarve.
and you ? have you ever been to Portugal? what do you think?
Porto – Lisbona, 5 days for a small Spring’s adventure (Scroll down for the English version) Riassunto dell'itinerario in breve: 5 giorni Volo: Milano Orio al Serio / Porto…
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giancarlonicoli · 4 years ago
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11 mar 2021 15:50
PIRLO & GATTUSO, OVVERO COME ALLENARE MALE ED ESSERE PROTETTI DAI GIORNALISTI - "IL NAPOLISTA": "SARRI FU LINCIATO PER L’ELIMINAZIONE CHAMPIONS. IL SALOTTINO SKY NON RACCOGLIE LA BORDATA DI FABIO CAPELLO E SALVA ANDREA PIRLO PERCHÉ È UNO DI LORO (GIÀ COMMENTATORE COME COSTACURTA E DEL PIERO). PURE GATTUSO GODE DI GRANDE BENEVOLENZA MEDIATICA. DOVE VOGLIAMO ANDARE, ALLORA, SE QUESTA È LA NUOVA GENERAZIONE DI ALLENATORI?" (E DOVE ANDIAMO CON QUESTI COMMENTATORI SPORTIVI?)
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Fabrizio D’Esposito per ilnapolista.it
Al solito, le notevoli considerazioni di Massimiliano Gallo nei suoi due ultimi articoli, dopo la disfatta bianconera in Champions (qui e qui), offrono vari spunti di riflessione. Ne proverò a sviluppare due, partendo soprattutto dalla prima analisi. Quella sulla narrazione mediatica dei guai della Juventus, il cosiddetto racconto mainstream.
La premessa consiste nella conferma ai miei sospetti ricevuta ieri da un amico nonché autorevole collega di fede juventina. Cioè che a differenza di Maurizio Sarri, ad Andrea Pirlo è stato risparmiato il linciaggio social e giornalistico che fu invece riservato all’allenatore in tuta (chi l’avrebbe mai detto che un giorno mi sarei ritrovato a difendere il Comandante dell’Estetica).
La stessa cosa che oggi accade in politica con il governo Draghi. Mi spiego: sia Giuseppe Conte sia SuperMario hanno gli stessi problemi con l’emergenza pandemica. Nulla è migliorato e anzi la situazione peggiora al punto che si discute di un nuovo lockdown. Eppure Draghi gode della benevolenza dei giornaloni mainstream che non fanno nulla per contenere il loro eccesso di salivazione, come direbbe il mio direttore Travaglio, nei confronti del nuovo uomo della provvidenza. Sono gli stessi giornaloni che per mesi hanno diffuso la vulgata di un Conte dittatore ma anche inetto.
Ecco lo stesso paragone vale per Pirlo e il suo predecessore Sarri. Entrambi eliminati agli ottavi di Champions con due squadre di livello non eccelso, Lione e Porto; entrambi con una squadra senza identità dal gioco incerto; entrambi non all’altezza del trionfante ciclo di Massimiliano Allegri. Già, Allegri. La scena madre di questa genuflessione collettiva ai piedi dell’inespressivo Pirlo (che vinca o perda ha sempre la stessa faccia immota) è andata in onda a caldo, pochi minuti dopo l’inutile vittoria della Juve con il Porto. Ovviamente nel salottino di Sky. Fabio Capello, a cui va riconosciuta una schiettezza anomala in questi circoletti tv del calcio, ha squarciato il velo come scrive Max e detto la verità più scomoda. Per la serie: come la mettiamo con il “vituperato” Allegri gestionista che comunque due finali di Champions le conquistò?
A quel punto Capello si è trasfigurato in una sorta di Giovanni Battista che predicava nel deserto. L’ineffabile Paolo Condò sembrava lì di passaggio, uno capitato per caso da quelle parti. Silenti, ma terrei in volti anche Billy Costacurta e Alessandro Del Piero. Insomma, una notazione caduta in un abisso di imbarazzo muto.
Il fatto è che alla verità scomoda di Capello ne va contrapposta un’altra: Pirlo, a differenza del marziano Sarri, è uno di loro, uno del clan Sky, già commentatore come Costacurta e Del Piero. Scatta allora l’omertà amicale tipica delle lobby. È quella commistione famiglia-squadra-tv che ha già investito Ilaria D’Amico e Massimo Mauro. Senza dimenticare che un’aura indulgente avvolge tutti i campioni del mondo del 2006 diventati allenatore, come ha scritto Roberto Liberale.
E qui, la “protezione” mainstream di Pirlo, rinforzata anche da giornali e altri salotti tv, incrocia il secondo spunto di Massimiliano Gallo: la modestia del campionato italiano che pratica un calcio vecchio di tre lustri. Accanto a Pirlo, va quindi collocata una figura che da tifosi napoletani conosciamo bene, ahinoi: Gennaro Gattuso detto Rino. Pure Gattuso gode di grande benevolenza mediatica. Potrei citare Il Mattino di oggi, per esempio, in cui le sconfitte di Mister Veleno vengono addirittura addebitate a De Laurentiis, colpevole di aver trasformato Gattuso in un Re Travicello per il contratto rinnovato e poi rimangiato.
Ma anche qui sovviene in aiuto la solita scena di Sky, stavolta domenica sera dopo Napoli-Bologna e già raccontata dal Napolista. Ossia un surreale teatrino, in cui spiccava Sandro Piccinini, che elevava lodi all’amico Rino. Insomma i campioni arrivati sul tetto del mondo a Berlino nel 2006 non si toccano. Eppure sia Pirlo sia Gattuso (lascio perdere il linciaggio toccato a Re Carlo nella sua permanenza a Napoli, uno che aveva capito tutto) non hanno un’idea che sia una e condividono persino gli stessi errori. La disfatta della Juve con il Porto è iniziata infatti con una bestialità nella fatidica costruzione dal basso. Idem, domenica il Napoli col Bologna. Aggiungo che per fare questa minchiata ormai vecchia come il cucco, Gattuso sta sacrificando un talento di 23 anni (Meret) per affidarsi a un portiere di 32 anni ritenuto più bravo coi piedi (Ospina). Giusto per parlare di rinnovamento.
Dove vogliamo andare, allora, se questa è la nuova generazione di allenatori? Ricordo che Allegri il suo primo scudetto lo vinse a 43 anni, Conte (oggi primo in classifica) a 42. Volete sapere l’età attuale di Pirlo e Gattuso? Eccola: Pirlo ne ha 41, Gattuso 43 e vanta già un mediocre curriculum da allenatore. Certo, poi magari la realtà mi spiazzerà e Pirlo vincerà lo scudetto e Gattuso supererà se stesso arrivando per la prima volta nella sua carriera al quarto posto. Ne dubito.
In ogni caso il movimento calcistico italiano continua ad avere i suoi migliori allenatori nel passato (Allegri, Conte, Mancini, Ancelotti) e il futuro si prospetta ancora più tragico. Perché l’alternativa ai campioni del 2006 sono i nuovi sarriti col joystick in panchina, quelli che teleguidano i giocatori per impedire loro di pensare: Italiano, Juric, De Zerbi. E il rischio è che uno di questi tre rischiamo di ritrovarcelo a Napoli il prossimo anno.
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levysoft · 4 years ago
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Che La casa di carta fosse una serie molto musicale non lo scopriamo certo oggi. Lo sappiamo già dagli inizi, quando il Professore spiegava a Berlino il senso di Bella ciao, il nostro famoso canto partigiano. Siamo sinceri: è lì che è scattato l'amore con la serie spagnola Netflix, creata da Alex Pina, che è tornata in streaming dal 3 aprile con la quarta stagione. Se Bella ciao era il simbolo delle prime stagioni, e raccontava anche gli ideali e le motivazioni che animavano il Professore e la sua banda, ne La casa di carta 4 arriva proprio alla fine, per ricordarci che i nostri sono ancora loro, sono ancora animati da quella spinta e da quegli ideali. Ma, con il successo della serie in tutto il mondo, e con il presumibile aumento di budget, La casa di carta si è allineata alla tendenza delle grandi serie internazionali.
La casa di carta 4 - La nostra videorecensione
Le grandi serie, infatti, ormai usano sottolineare dei momenti chiave con l'uso di canzoni famose, spesso usate per il loro senso, o a contrasto con la situazione in cui sono inserite, o, più normalmente, per evocare un'epoca e trascinarci dentro a un'atmosfera ben precisa. Sulle pagine di Movieplayer vi abbiamo raccontato, in questo senso, l'uso sapiente delle canzoni che è stato fatto in Stranger Things, e l'uso molto particolare pensato per inserire dei famosi pezzi in The Handmaid's Tale e Black Mirror. Vi abbiamo anche anticipato nelle nostre news che, ancora una volta, ne La casa di carta ci sarebbe stata un'attenzione particolare per la musica italiana. Ma andiamo a vedere la storia di questa canzoni, e come sono state inserite in alcune grandi sequenze de La casa di carta Parte 4.
La casa di carta 4, il finale della serie Netflix è solo un nuovo inizio...
1. Ti Amo (Umberto Tozzi)
È il primo attimo di leggerezza, il primo momento "pop" de La casa di carta, e arriva in un momento tesissimo. Siamo nell'episodio 1, nella claustrofobica situazione della Banca di Spagna, dove Nairobi (Alba Flores) sta lottando tra la vita e la morte. Per un attimo, così, stacchiamo e torniamo indietro nel tempo, in una situazione bucolica, colorata, all'aria aperta. Siamo nel convento fuori Firenze dove la banda aveva situato il suo quartier generale prima del primo colpo. Siamo al matrimonio di Berlino (Pedro Alonso) con Tatiana. È lui a prendere in mano il microfono e a intonare, con un irresistibile accento spagnolo, Ti amo di Umberto Tozzi. Ma la sorpresa arriva subito dopo: ad accompagnare Berlino ci sono un organo da chiesa e un gruppo di monaci, intonatissimi.
Ti amo è - insieme a Gloria - la canzone più famosa del cantautore di Torino (80 milioni di copie vendute in tutto il mondo in complesso). È uscita nel 1977 e dà il titolo all'album omonimo, una raccolta con le canzoni dei suoi primi tre dischi. Ti amo è firmata da Umberto Tozzi e Giancarlo Bigazzi e vinse il Festivalbar in quell'anno. È una canzone molto semplice, che si basa su un giro di Do, una serie di quattro accordi. Umberto Tozzi, evidentemente, è un autore molto cinematico: abbiamo ancora tutti negli occhi, e nelle orecchie, la sequenza di The Wolf of Wall Street sulle note della sua Gloria. Sia Ti amo che Gloria sono state incise da Laura Branigan e sono diventare un grande successo negli Stati Uniti.
2. Centro di gravità permanente (Franco Battiato)
Non sopportava i cori russi, Franco Battiato, all'epoca in cui scrisse Centro di gravità permanente, visto il famoso verso in questione. Chissà se apprezzerà il coro di monaci italiani che intona, in modo assolutamente sorprendente, la sua Centro di gravità permanente, in uno dei momenti più allegri de La casa di carta. Siamo di nuovo in un flashback, nell'episodio 2, che è intitolato proprio Il matrimonio di Berlino. E vediamo ballare Berlino con la sua Tatiana, colto nel momento più felice della sua vita. È una scena che permette, ancora una volta, di alleggerire la tensione delle vicende della rapina. Ma anche, nel suo prosieguo, di analizzare i delicati rapporti tra Berlino, il Professore (Álvaro Morte) e Palermo (Rodrigo de la Serna).
Centro di gravità permanente è un brano immortale, uno dei più famosi di Franco Battiato. È tratto dal suo album storico La voce del padrone, del 1981, il primo lp a superare il milione di copie vendute in Italia. È una canzone che parla di smarrimento, ricca di riferimenti colti (gesuiti euclidei vestiti come bonzi alla corte della dinastia dei Ming, i capitani contrabbandieri macedoni e la vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù) inseriti in una confezione pop irresistibile.
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3. Delicate (Damien Rice)
Delicate di Damien Rice arriva a chiudere quella che è forse la puntata più dolorosa de La casa di carta 4, l'episodio 6 (Ko tecnico), quello in cui dobbiamo dire addio a uno dei personaggi più amati della serie. Dopo aver assistito alla sua morte, e aver anche capito quali erano i suoi rapporti, e i suoi progetti di vita una volta finito il colpo, vediamo questo personaggio in un momento di felicità, all'aria aperta, una giornata spensierata passata con gli amici della banda. La voce di Damien Rice, inconfondibile, elegiaca, dolente, ci accompagna alla perfezione in questo momento.
E Damien Rice molti di noi lo avevano scoperto con la canzone The Blower's Daughter, inclusa nella colonna sonora de Il caimano di Nanni Moretti, dove sottolineava uno dei momenti più dolorosi del film (ma è presente anche in Closer e nella serie The L World). Delicate è tratta da O, l'album di debutto del cantautore irlandese, del 2002, lo stesso disco dove troviamo The Blower's Daughter e Cannonball. Delicate, la canzone che apre il disco, è stata utilizzata anche in molte serie tv (Lost, Dr. House - Medical Division, Dawson's Creek, Alias, Misfits e CSI: Miam_i). "_Potremmo vivere come non abbiamo vissuto mai/quando non c'è niente da dare/come possiamo chiedere di più?/Potremmo fare l'amore in qualche posto sacro/L'espressione del tuo viso è delicata" recita il bellissimo testo.
4. Wake Up (Arcade Fire)
Wake Up, la canzone degli Arcade Fire, è evidentemente destinata a grandi cose. A lei va l'onore di chiudere alla grande la migliore puntata de La casa di carta Parte 4, l'episodio 7 (Attacco alla tenda). È un momento epico, glorioso: il Professore ha appena sferrato la sua controffensiva contro la polizia, che è stato soprattutto un attacco mediatico. E gli affari interni si sono accorti che Lisbona è tenuta nella tenda senza alcun avvocato o processo. Nel momento in cui esce dalla tenda, la vediamo passare tra la folla. È una prima, parziale, rivincita, per lei, il Professore e la banda. Ma è anche il momento in cui ritroviamo tutta la passione del popolo per la banda e le sue imprese. Lisbona passa tra la folla al ralenti mentre questa straordinaria ballad fa da colonna sonora.
Wake Up è tratta dall'album degli Arcade Fire, Funeral, del 2005, il disco che ha rivelato la band canadese di Win Butler e Régine Chassagne, autrice del brano. Il suo suono barocco, enfatico, malinconico ha conquistato subito artisti come gli U2 e David Bowie. Dicevamo che Wake Up è destinata a grandi cose: era il brano che apriva, prima dell'ingresso della band sul palco, il Vertigo Tour degli U2 (gli Arcade Fire hanno fatto anche da supporter per alcune date) ed è stata eseguita anche da David Bowie. "Qualcosa ha riempito/Il mio cuore con il nulla/Qualcuno mi ha detto di non piangere./Ma adesso che sono più grande/Il mio cuore è più freddo/E riesco a capire che è una bugia. /Bambini, svegliatevi/Sostenete i vostri sbagli/Prima che trasformino l'estate in polvere". Guardate la scena, ascoltate queste parole e quella musica, e non rimarrete indifferenti.
5. Bella ciao (Najwa)
La chiusura va a lei, la regina delle canzoni de La casa di carta, la canzone simbolo. Alex Pina e il suo team non ne abusano in questa stagione 4, visto che l'avevamo già sentita molte volte nelle stagioni precedenti. Ma Bella ciaoarriva, a ricordarci quali sono gli ideali che animano i nostri. Arriva in un momento emotivo non casuale, alla fine di tutta la storia. La missione del Professore si è appena compiuta, con un volo in elicottero sul tetto della Banca di Spagna. E noi abbiamo appena visto, sullo schermo, un faccia a faccia che non ci lascia per niente tranquilli, in vista della probabile stagione 5. Lo schermo è a nero. Iniziano i titoli di coda. E, dopo qualche secondo, arriva Bella ciao, cantata in spagnolo, in una versione intima, da Najwa, cioè l'attrice Najwa Nimri, che interpreta la spietata Alicia Sierra.
Bella ciao è un canto popolare italiano, nato prima della Liberazione, e considerato l'inno della Resistenza italiana, della lotta partigiana, durante la Seconda Guerra Mondiale. È un canto italiano, una canzone nata nella nostra terra, eppure è diventata, nel tempo, famosa in tutto il mondo come inno per la libertà, contro il nazi-fascismo e ogni altra forma di dittatura. Negli anni è stata cantata, tra gli altri, da Yves Montand, Giorgio Gaber, Goran Bregovic, dalla Banda Bassotti, in versione ska, e dai Modena City Ramblers nella loro famosa versione folk-rock. È stata cantata durante le manifestazioni di Occupy Wall Street, a New York, in Turchia dal movimento che si oppone a Erdogan e dagli indipendentisti curdi nella guerra civile siriana.
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giulianaleone91 · 7 years ago
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Diario di Bordo -  Direzione Chicago
Ci metto un attimo a capire dove mi trovo, non appena apro gli occhi. Sono distesa su un sedile imbottito. A Berlino. In viaggio. Ecco a cosa è dovuto l’entusiasmo che mi travolge ancora prima di comprendere perché non mi trovo nel mio letto. Non sono nemmeno le sei eppure mi sento carica, più carica di ieri. Trovo svegli anche gli altri. A quanto pare non sono l’unica impaziente di tuffarsi in questa avventura. Approfittiamo del fatto che l’hotel l’aeroporto sia deserto e ci diamo una rinfrescata in bagno. Wow, ci sono addirittura le docce. L’addetto alle pulizie mi rimprovera perché deve pulire il bagno e io perdo tempo. Lancia un’occhiata accigliata al ripiano accanto al lavandino pieno di tutte le mie cose e mi dice di fare in fretta. 
Dopo esserci sistemati facciamo un giro per l’aeroporto alla ricerca di un posto nel quale mangiare qualcosa. I negozi sono ancora tutti chiusi. Io non ho voglia di aspettare, quindi mi accontento di un choco cappuccino e di un cioccolato della macchinetta. 
Colazione fatta, apre il gate.  Si va!
Sono le 7:27 del mattino e ci aspetta una lunghissima giornata, prima di raggiungere l’aeroporto numero cinque (l’ultimo).
Alla fine arriviamo davvero. Ci perdiamo un giorno per strada, nel vero senso della parola, ma arriviamo. L’aereo enorme atterra e le ore di attesa che ci sembravano interminabili, terminano. Tra il fusorario, gli scali, le file e gli aeroporti, non siamo certi di quanto sia stato il tempo trascorso in volo. C’è chi dice undici ore, chi un giorno e mezzo, chi un mese. Poco importa, l’importante è essere qui: a Chicago.
Risolviamo le questioni pratiche (passiamo i controlli, preleviamo i contanti, compriamo la scheda telefonica americana, facciamo sosta al bagno) e poi siamo pronti a lasciare l’O’Hare. E anche se sono stanca e ho sete e fame e lo zaino pesa e sento caldo, in questo momento l’unica cosa che desidero è uscire all’aria aperta. Raggiungiamo le porte di corsa, quasi colti da un attacco collettivo di claustrofobia, e piombiamo nel caotico parcheggio.
Ci concediamo due secondi per assaporare il freddo, qualche bandierina svolazzante con la scritta “welcome to United States”, il cielo nuvoloso e soprattutto il fatto di avere i piedi sul suolo americano. Poi ci mettiamo alla ricerca della macchina che abbiamo noleggiato. Passa un macchinone dopo l’altro e noi ogni volta speriamo che sia il nostro. In verità non sappiamo come riconoscere l’auto perché sul sito c’era scritto che non potevano garantirci quella prenotata ma solo la tipologia. 
Parecchi minuti dopo mi accorgo di un pullman che porta il nome dell’agenzia, Dollar. Andiamo a informarci e sì, la macchina non verrà da noi. Siamo noi a dover andare da lei. La struttura è adiacente all’aeroporto, ma a piedi sarebbe stato troppo lontano.
Se credevamo di aver lasciato la sfortuna a Berlino, dobbiamo ricrederci. Al bancone all’ingresso ci aspetta infatti una sorpresa: il nostro voucher risulta cancellato.
Spieghiamo che il primo guidatore è diventato poi il secondo guidatore e viceversa e loro ci dicono che devono averci inviato un nuovo codice via email. Non possono far niente finché non lo troviamo. Proviamo a far funzionare i nostri cellulari e sorpresa numero due: sono stecchiti. 
Per fortuna siamo in America, vuoi che non ci sia un wifi? Sorpresa numero tre: non c’è. Ma come? Tutte le guide dicevano che avremmo trovato internet libero O-V-U-N-Q-U-E.
Noi però abbiamo un asso nella manica, la scheda nuova. Peccato che non funzioni. Ma aspetta, sorpresa numero quattro, nelle istruzioni c’è scritto di attivarla tramite il loro sito. Divertente, no?
Dopo un momento di disperazione, pura disperazione, decidiamo di chiedere aiuto alla signora dietro il bancone. Le spieghiamo tutto e la preghiamo di farci usare il suo telefono. Forse lasciatasi impietosire da quattro sventurati, ci permette di cercare il voucher dandole il nome del secondo guidatore, e quello valido salta fuori.
Sospiro di sollievo, almeno la macchina c’è. E che macchina...
Ci viene data una Nissan Qashqai bianca nuovissima, spettacolare. Oltre al fatto che sia enorme e spaziosissima è anche comoda e super accessoriata. L’umore migliora, grazie al nuovo picco di entusiasmo (che per tutta la durata delle disavventure era rimasto stabile, sotto l’asfalto).
Ci lasciamo trasportare dell’euforia per la macchina bellissima, ma purtroppo dura solo fino al passaggio a livello davanti l’uscita dell’agenzia; perché ok, abbiamo la macchina, ma come cavolo lo troviamo l’hotel? Nella claustrofobica autostrada passiamo le ore successive. I segnali stradali non sono chiari e, ci accorgiamo, il centro dista una trentina di km (che perdendoci diventano almeno il doppio). 
Poi uno di noi ricorda di aver visto dei telefoni all’aeroporto e decidiamo di tornare lì, per chiamare il numero verde sulla scheda nuova e per cercare un wifi così da salvare il percorso fino all’hotel.
 Entrambi i nostri piani naufragano e sconsolati ci immettiamo di nuovo in autostrada. Solo quattro ore dopo ci accorgiamo di qualcosa all’orizzonte, impalpabile e amalgamato con la nebbia spessa. Se non si tratta di un miraggio allora quelli in lontananza sono grattacieli. Tanti. Enormi. Venuti fuori dalle nubi all’improvviso. 
Entriamo in città e finiamo nel parcheggio di quello che ci sembra un centro commerciale (non lo è) e non riusciamo più a uscire. Ci dividiamo. Luca cerca un modo per uscire, Gloria prova a contattare l’assistenza clienti, Marco va alla ricerca del wifi, io corro dentro a chiedere informazioni. Scopriamo quattro cose: 1. il wifi non c’è neanche qui 2. l’assistenza clienti ci detta un procedimento da fare per attivare la linea 3. Per far riaprire la barra bisogna pagare 4. nessuno sa dove si trovi l’hotel.
Decidiamo che tornare in città e girare lì sia più produttivo che rimanere qui a chiedere in giro. Dopo aver chiesto ad altre mille dieci persone circa, ci viene il dubbio che forse Chicago sia un pelino più grande di quanto immaginassimo. 
Solo molti giri dopo riusciamo a trovare l’hotel e il parcheggio. Non possiamo credere di avercela fatta! (Forse perché non ce l’abbiamo fatta). Chiediamo a un ragazzo che se ne occupa se il parcheggio sia quello giusto e lui dice di sì, possiamo entrare. Saliamo per diversi piani su una strada a chiocciola, e solo quando arriviamo alla fine di essa e una sbarra si chiude alle nostre spalle, ci accorgiamo di non essere nel parcheggio giusto. 
Siamo, di nuovo, bloccati dentro. 
Per uscire questa volta non bisogna pagare un paio di dollari, ma ben 17$. Io mi rifiuto, dopotutto abbiamo chiesto al ragazzo proprio per essere sicuri di entrare nel posto giusto. E poi nemmeno abbiamo posteggiato, siamo solo rimasti bloccati. Luca scende dalla macchina e cerca qualcuno; sembra essere tutto deserto. Così io e Gloria ci offriamo volontarie per passare sotto il passaggio a livello e andare a cercare aiuto. Il problema è solo uno: le macchine che salgono non hanno modo di vederci e di sicuro non si aspettano qualcuno a piedi scendere giù da una strada che sale soltanto. Per salvare la pelle siamo quindi costrette a correre a rotta di collo giù dai sei piani, in una adrenalinica e folle corsa. Rimaniamo vive, non so come, e il ragazzo ci manda alla reception dell’hotel perché lui non si occupa di problemi di questo tipo. (Sei un parcheggiatore, se non pensi al parcheggio che diavolo fai?) Lì veniamo ascoltate e mandate da un’altra persona che a sua volta ci manda da un’altra che ci manda da un’altra ancora. In poche parole veniamo sballottate a destra e a manca finché qualcuno non decide di aiutarci e di salire su con noi, questa volta con l’ascensore. 
Liberata la macchina decido di andare a fare il check in e di chiedere al facchino dell’hotel dove poter mettere la macchina, terrorizzati all’idea di rimanere incastrati da qualche altra parte. Il tizio ci indica l’entrata giusta ci fa sapere che c’è una quota da pagare per poterla tenere da loro, ben 36$ dollari a notte. Per i miei gusti sono un furto, ma esausti come siamo avremmo accettato anche di farci tagliare un arto, pur di non avere a che fare con un altro parcheggio da incubo.
Sono le otto passate e siamo in macchina dalle tre meno un quarto. Facciamo una sosta brevissima in camera e poi andiamo alla ricerca di un supermercato e di un ristorante. 
Finalmente ci concediamo di guardare la città. I maestosi grattacieli dalle finestre a specchio e dalle forme particolari ci lasciano senza fiato. Le strade dai marciapiedi larghi pullulano di luci e di gente. Chicago è bella da star male e nessuna foto riesce a dargli giustizia. La bellezza della Windy City ci regala una gioia che da sola ripaga tutte le fatiche di questa giornata infinita e devastante.
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Andiamo a cena da Pizza Uno e proviamo la Deep Dish Pizza (conosciuta anche come Chicago Style). È altissima e ha la consistenza di un biscotto. Più che una pizza ricorda le tortine salate di York. È particolare ma buona, forse ci vorrebbe giusto un pochino di sale in più. Anche le patatine fritte sono diverse da quelle che facciamo noi. Sono più sottili e croccanti. Sembrano fritte due volte o passate in qualche pastella. Il locale è caratteristico e adorabile.
Dopo cena filiamo a nanna, stremati.
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tmnotizie · 5 years ago
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di Tonino Armata (presidente onorario associazione Città dei Bambini)
Egregio direttore,
Stamattina sono (ri)tornato sul tetto sopra l’undicesimo piano del mio palazzo a guardare San Benedetto con il suo bellissimo lungomare. Il sole sorgeva su un bel mare colore turchese arato dal vento. Erano anni che non vivevo una simile bellezza. Le palme respiravano, gioivano del giusto tempo sabbatico. E lì mi sono chiesto: saprò tornare alla normalità? Oppure è la normalità il problema? E se tutto tornasse come prima, anzi peggio, con libertà e democrazia già morte in un golpe silenzioso, nell’indifferenza di un popolo recluso e sotto anestesia?
Non potevo rassegarmi all’idea di poter ripensare, fra qualche mese, a questa reclusione come a uno dei momenti più felici della vita. Già mi vedevo, invecchiato, a dire a un amico: ti ricordi, che bei tempi quando facevamo il pane in casa e il trinciato di pomodori secchi, quando ci si parlava dai balconi, l’agenda era vuota di appuntamenti inutili e c’era tempo per raccontare fiabe ai nipotini lontani?
Oppure: oh cara, che giorni erano quelli, in cui ci si confrontava sui grandi temi in uno scambio di lettere vibranti tra i quattro angoli della Terra! Quel mondo senza smog, senza caselli, senza check-in, quando ci leggevamo storie ad alta voce, io prendevo appunti a notte fonda con la lampada frontale e poi mi alzavo al richiamo del merlo…
Guardavo il primo sole planare sulla città e il mio istinto si rifiutava di confinare nel mito la primavera del 2020. Contavo ancora, testardo, su un nuovo inizio. Ma l’angelo nero già mi sussurrava: svegliati ragazzo, la ricreazione è finita. Non vedi? Oltre i bollettini medici, oltre la protezione civile, le mascherine e i guanti c’è solo il vuoto; al comando non c’è nessun pilota; e presto tutti ci riabitueremo al rumore, ai gas, all’indifferenza, alla burocrazia soffocante, alla brutalità del saccheggio, al consumo, alle ronde, al sospetto, alle ammucchiate e allo stato di emergenza permanente.
Uno dei vantaggi della vecchiezza è sapere che la libertà è effimera, e quindi saper approfittare fino in fondo dei varchi in cui si manifesta. Ho scritto alcune cose su come vivere al tempo del coronavirus distillandone ogni sillaba come gioia e privilegio, ma anche con la certezza che tutto poteva finire e che un giorno sarei tornato al mio chiostro senza problemi. Già alcuni anni fa mi ero dato alla macchia, deciso a non scrivere più per un quotidiano online.
Troppi giri d’aria per il mio carattere. E poi non mi sono sentito a mio agio come quando lavoravo con la responsabilità di documentarista a Panorama (figura allora presente a Newsweek, Spiegel e Panorama) diretto da Lamberto Sechi, dal motto: “I fatti scissi dalle opinioni”, il quale, allora non era la voce dal padrone; ma, con l’Espresso rappresentava la voce del popolo di sinistra capace di reagire rapidamente ai fatti. A 60 anni, in pensione, i libri erano ormai il centro della mia vita.
Ora se ne va aprile, un mese dolce, che sa anche riderti in faccia. Con esso non se ne va l’emergenza, e anche il senso di questa mia quarantena piena di pensieri, speranze e illusioni. Ieri sera con ritardo ho acceso una candela per il 25 aprile e la nostra bistrattata Costituzione. Avevo visto metà del parlamento restar seduto al ricordo della Resistenza e avevo provato nausea.
Oggi Dante mi torna alle labbra «Ahi serva Italia di dolore ostello / nave senza nocchiero in gran tempesta / non donna di provincie, ma bordello» – e mi chiedo dove andrà a finire la bella energia espressa dalla parte migliore del Paese in questi giorni irripetibili. Dialoghi ricchi di speranza, che ho raccolto sotto forma di appunti, con la gioventù d’Europa.
I ragazzi della generazione Erasmus, cresciuti senza confini, che abbiamo fregato tre volte, prima con lo scoppio della bolla finanziaria del 2008, poi con l’emergenza terrorismo e ora col coprifuoco da Covid 19. Tre guerre che li hanno spinti ai margini di un mondo sempre più chiuso e rassegnato a perdere libertà civili; pagati meno di quanto si può incassare oggi col contributo Covid ai senza lavoro.
In questi 45 giorni ho partecipato a bei dibattiti online, scoprendo di avere davanti giovani capaci di rileggere la Resistenza in modo nuovo: come rifiuto dei vecchi equilibri e progetto di un mondo più frugale, verde, maturo, onesto. Qualcosa capace di rilanciare insieme la crescita, la solidarietà e l’ordine, i tre pilastri della comunità.
Mio nipote, recluso in casa, mi spiega che il petrolio non lo vuole più nessuno, e che oggi ti pagano per non comprarlo. Ormai il capitale punta trilioni di dollari sulle società smart. I vecchi pachidermi sono alla canna del gas, se hanno paura di una bambina come Greta, e magari si aggrappano ai Putin, ai Trump, ai cinesi, persino ai libici, gente che ricatta l’Europa coi profughi, o la indeboliscono con quinte colonne sovraniste nella politica e nell’informazione.
Questo mentre in Polonia e Ungheria si va allo smantellamento della democrazia con la scusa del virus. E ovunque – parole di Judith Denkmayr e Sofia Nerbrand – la società aperta subisce attacchi, mentre i più poveri diventano ancora più poveri. Scenari orwelliani. Ci sarà pure una scialuppa per raccogliere questa gioventù che sogna il ritorno all’agorà, segno distintivo dell’Europa.
Berengère Chauffeté, paesaggista francese a Berlino: «Torniamo alla terra, ma uscendo dall’approccio utilitaristico. La natura non è solo risorsa, è un partner». Lucia Pantone, da Tricarico in Basilicata: «la vigna esige di essere piantata anche se attorno c’è ancora morte e distruzione. È questa la durissima prova che il trauma esige e che non si potrà rinviare».
Niccolò Galli, banca di investimento a Zurigo: «C’è un vuoto politico da riempire, mancano statisti in grado di far capire ai paesi ricchi che ci rimettono anche loro, se i meno ricchi non risorgono». Marco Magini, specialista in environmental markets a Londra usa parole forti: «Questa lezione ci è servita a capire che l’uomo prospera solo nell’ambiente e che nel fronte di coloro che fomentano l’odio per Greta si è coalizzato il peggio di ciò che ci minaccia». E ancora: «Brexit è un segnale di insoddisfazione per un’Europa che resta fusione fredda e non diventa patria».
Tu, per esempio, Aleksandra, figlia della Serbia profonda, che sei rimasta muta fino a quando, a cinque anni, non hai incontrato un violino che ti ha sbloccato le corde vocali. E tu, Vasko, clarinetto di Macedonia, che ci incantavi con arcane melodie risalenti forse ai tempi di Alessandro il Grande. E tu Anastasya, che per raggiungerci con la tua viola ti sei fatta due giorni e mezzo di autobus da Kiev.
O tu, montanaro Johannes, che appena mollavi le percussioni ci commuovevi con romanze austriache alla fisarmonica. Per non parlare di te, Filippo, piccolo trombettista e mascotte, che a dodici anni hai fatto piangere mille persone suonando il “silenzio” sotto la pioggia per i Caduti della Grande Guerra.
«Tenebra, vento, schiume senza fine / l’immensità della notte cresceva / triremi di Pelasgi e di Liburni / ci remavano accanto a vele piene». Di notte il verso ti sveglia, riaccende la nostalgia di Europa e la voglia di fuga. Dai, scappiamo un’altra volta, Piero, mio capitano, che recitavi Omero al timone. La notte è perfetta, c’è poca Luna e a luci spente nessuno ci vedrà. Andiamo via, lontano da scartoffie, droni e capitanerie, splendidamente irreperibili, e vendiamo cara la pelle.
Al largo di San Benedetto incontreremo le balene. / Fuori, le sberle del mare. All’interno / solfeggio di respiri, in sintonia / col dormiveglia lungo del rollio. Nei porti andavi a caccia di buon vino, ma non per berlo subito. Lo centellinavi dopo, nei lunghi inverni sambenedettesi, per rivivere accanto al caldo i viaggi dell’estate. Oggi ho issato la bandiera stellata d’Europa fuori dal balcone. Alziamo le vele e via, con brezza di Ponente.
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Amico mio sono anni che ti dico andiamo via
Non mimava con le labbra le parole delle strofe, ma le comprendeva, assorto nei suoi pensieri. Si era reso conto di quel fenomeno per la prima volta a diciotto anni: un giorno, nella macchina di un fidanzato venne risvegliato dal di lui oscillare della mano. “Ao” diceva il fidanzato “ma stai incazzato?”, e lui incazzato non era, stava soltanto ascoltando il testo della canzone in riproduzione dagli altoparlanti della macchina. L’episodio rimasto simbolico negli anni rappresentava la realizzazione che un silenzio composto era una misura efficace per comprendere i significati di una canzone. Realizzazione basilare per molti ma non per chi come lui aveva l’abitudine a mimare il testo delle parole. Era, soprattutto sugli autobus, un’attività che lo entusiasmava, poiché era convinto che quanto più completa fosse la sua conoscenza del brano, tanti più sguardi d’approvazione avrebbe ricevuto.  Camminando lungo Kurfürstendamm in questo tardo pomeriggio di dicembre non muoveva la bocca da dietro la sciarpa per stare al passo col testo ma guardava fisso di fronte a sé in un punto all’orizzonte, tra le teste dei passanti e le ultime luminarie di natale che riusciva a scorgere all’orizzonte. Era talmente assorto nei suoi pensieri che non si rendeva conto di non aver riportato a galla la memoria del fidanzato in macchina.   Fermo al semaforo, aspettando di procedere lungo il lungo viale dove si trovavano - a distanza di due chilometri e mezzo - il suo appartamento ed il suo posto di lavoro, testimoniava alla triste confessione della voce nelle cuffie: amico mio sono anni che ti dico andiamo via, ma abbiamo sempre qualcuno da salvare. Deglutire certe volte è rumoroso anche nel bel mezzo della strada più popolare di Berlino, di fronte agli Apple Store, agli Hard Rock e ai mercatini di Natale, circondato da passanti, autovetture, scooter elettrici, mobike ed autobus a due piani che non hanno fatto abbastanza rumore da coprire il suono della rimonta dei tuoi ricordi. Gulp! fa la gola quando Motta ti ricorda che la libertà che senti sulle spalle in questo momento è una liberà che hai procrastinato per anni.  Erano non a caso anni che si diceva di andare via ma c’era sempre qualcuno da salvare. E da baciare. Gulp! di nuovo.  Finalmente, dopo otto anni di croci di diverso taglio, peso e fattezza, era libero dall’amore, con una gioia incredibile. Libero dall’amare, mimando con la bocca le parole che sapeva di dover dire e mimando con i gesti quello che sapeva di dover fare, era caduto in un tombale silenzio di cui immaginava la profondità. Chiunque altro ne avrebbe avuto timore: un silenzio estatico in cui recuperare otto anni di vissuto consacrati alla sempiterna conquista di un amore ogni volta aggiornato e ripulito dagli errori del sistema precedente. Relazioni-reboot in una relazione umana mai dettata dall’intrigo verso l’altro e perlopiù dovuta alla meticolosa ricerca della perfezione. Sheila Heti in “La persona ideale”, solo per un periodo pari ad un terzo del suo vissuto. Un corso di studi decennale incentrato sullo studio di sé tramite letture tenute da amanti incazzati neri che gli puntualizzavano quanto fosse una merda per questo, questo e questo. Assolutamente mai amati e forse per questa ragione non più in circolazione ed artefici del di lui corrente senso di aver buttato all’aria gli anni dieci del millennio corrente.
La fine dei vent'anni è un po' come essere in ritardo: non devi sbagliare strada, non farti del male, e trovare parcheggio. Non pensava avrebbe capito il senso di quei versi un giorno qualsiasi al semaforo rosso dell’incrocio con Knesebeckstraße. Un giorno dal bus aveva notato il cartello di quella strada e si era convinto che un giorno quel nome gli sarebbe stato utile. Forse perché si sarebbe perso e sarebbe riuscito a tornare sulla via principale grazie al nome di quella strada che l’avrebbe riportato verso Halensee. Metaforicamente fu proprio quello che successe quando si rese conto, sei anni prima rispetto alla vera fine dei vent’anni, che stava cercando di non sbagliare assolutamente strada con ogni decisione presa. Che il piano di andare via, da solo, era finalmente vero.  Cazzo, bastava stare un attimo zitto ed ascoltare, invece di cercare attenzioni.
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nadiabensbih-blog · 6 years ago
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Breve storia di un misfatto scritta con lo scopo di gettare un poco di umorismo sul trauma
U-bahn Schönleistrasse– Berlino – 18.30
Non sto a dire quali pensieri quel giorno tanto per cambiare mi tormentavano. Però come facevo di solito per ignorarli, avevo deciso di prendere un giorno libero. Era domenica.
Incontro il mio ragazzo all’U_bahn di Schönleistrasse e decidiamo di vagare per la città – come spesso capita – come due anime pallide senza meta. Berlino è una meraviglia, dicono, ed io ne faccio parte. Vivo il mito dall’interno. Credo. Comunque ad un certo punto siamo davanti ad un Secondhandlanden – qui va di moda – e sono sicura che una volta varcata la soglia potremo salvare la nostra domenica.
Giriamo ancora però senza meta tra gli scomparti. Voglio galvanizzarmi. E allora comincio a cercare le cose più eccentriche. Non per me, ma per il mio ragazzo, che però non si presta troppo al gioco. Nonostante lo scetticismo prova a farmi contenta. Anche lui si annoia dopo tutto. Per cui lo istigo a provare una maglietta colorata con delle palme meravigliose dai colori dorati, come quelle palme che scintillano nelle sere calde e gialle di Miami. Quelle che si vedono in MiamiBeach la serie. Proprio quelle. Che emozione.
Quando esce dal camerino esito un attimo, ma poi penso che ci sta alla grande. Lui pallido che più non potrebbe esserlo un caucasico, con questa maglietta caraibica. Ricorda vagamente il Don Johnson nonostante il cencio in faccia. Ed è anche belloccio il mio moroso. In fondo gli voglio parecchio bene, se non fosse che ci si mette di mezzo sempre quello stupido ego. 
Decidiamo di prendere anche una giacca di pelle degli anni 80. Pura casualità, penso si abbinasse bene alla maglietta, e poi usciamo. Non ho trovato nulla per me, ma in fondo ero contenta di aver trovato qualcosa di così straordinario per il mio ragazzo e che finalmente il suo armadio avrebbe preso un po’ di colore in mezzo al grigio topo e al nero catrame fresco.  
U-bahn Hermannplatz– Berlino – 20:30
Siamo di nuovo nelle strade a vagare, nuovamente senza meta, ma adesso abbiamo un bottino. Qualcosa che ci dice che la giornata non è stata buttata via. Comunque la galvanizzazione è passata e gli spiriti sono tranquilli come le vibrazioni ondeggianti di un mare in quiete che nascondono l’impeto degli abissi. Comunque per ora va, ma da qualche parte aspettiamo la prossima sensazione…
Sembra invece che per oggi sia tutto. Andiamo all’U_bahn ad Hermannplatz. Ma sono di corsa - come sempre nella mia vita di allora, spinta da non so quale sensazione di dover correre dietro a qualcosa, altrimenti questo qualcosa mi sfugge ed è l’apocalisse. Una sensazione che si tratti di vita o di morte. 
L’U-bahn arriva – tra l’altro è una sola fermata per Schönleistrasse dove scendiamo – ed io corro perché non voglio perdere l’U_bahn – anche considerando che 3 minuti dopo ne sarebbe arrivato un altro. Ma si tratta di vita o di morte e allora bisogna prendere l’U-bahn e anche il mio ragazzo deve.
Corriamo su per le scale. Il mio ragazzo è alto 1.90 e fisicamente ha più massa da trasportare, onde per cui tendenzialmente meno agile di me, che invece sono 30 cm più piccola. L’U-bahn sta però per partire, ma io ce la faccio ancora ancora ad infilarmi, e con la coda dell’occhio vedo che anche lui ci riesce. Quasi. Non del tutto. Un pezzo rimane fuori. Ma grazie al cielo niente di organico. 
A rimanere fuori dalla porta, ormai chiusa, in sospeso perché ancora trattenuta insistentemente: la borsa con i vestiti.
U-bahn Schönleistrasse- Berlino- 20:35
La borsa rimane a mezz’aria anche quando il mio ragazzo tra lo stupore e l’orrore molla la presa. L’U-bahn parte e noi rimaniamo increduli ed incapaci di agire a guardare la grossa borsa con il malloppo, che prima si dimena alla velocità e poi si frantuma contro il muro.
Ci ha voluto un attimo prima che uno di noi potesse dire qualcosa. Una volta scesi alla stazione successiva realizziamo che il contenuto doveva trovarsi disperso da qualche parte nel tunnel che percorre il treno da una fermata all’altra. Impossibile da recuperare per noi. Forse solo dagli addetti ai lavori.
Decidiamo di contattare l’info point presente in tutte le fermate, spieghiamo il nostro piccolo dramma, sottolineamo l’importanza del malloppo e riceviamo una risposta positiva. Non ce l’aspettavamo. Dunque arriva questo tizio probabilmente del reparto tecnico delle BVG che fa salire nel treno il mio moroso, davanti, ed insieme partono alla ricerca dei resti. Io rimango ad aspettarli. Poi arrivano con in mano i vestiti ed è giubilo! La domenica è stata salvata.
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virginiamurrayblog · 6 years ago
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La primavera estate 2019 di Proenza Schouler. Uno sguardo da insider
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
Proenza Schouler p/e 2019
di Liam Freeman
Settembre: è quel periodo dell’anno che i francesi chiamano la rentrée, il rientro dopo la pausa d’agosto in tutto il Paese. È un modo di dire che porta con sé una sensazione di ottimismo, di nuovi obiettivi, di novità. Proenza Schouler, il brand americano infinitamente cool fondato da Lazaro Hernandez e Jack McCollough, compagni nel lavoro e nella vita,  dopo aver sfilato con le due ultime collezioni a Parigi, quest’autunno è di nuovo di scena alla New York Fashion Week.
Gli ospiti della presentazione di lunedì potrebbero restare stupiti dall’equilibrio che McCollough e Hernandez, la cui fan base di fedelissimi comprende le attrici Chloë Sevigny e Kate Bosworth, mostrano nella collezione Primavera/Estate 2019. Vogue è andato nell’atelier dei due designer a SoHo, Manhattan, pochi giorni prima della sfilata, per scoprire che l’addio a Parigi è contraddistinto da un’estetica minimalista che si basa su idee di collaborazione e inclusione.
“L’ispirazione per questa collezione è stata duplice,” spiega Hernandez quando ci incontriamo ai fitting. “Ovviamente stiamo tornando a New York e volevamo ritrovare le nostre origini e focalizzarci davvero sulla nostra città, sulle nostre esperienze qui, sul nostro universo, i nostri  amici, il team creativo.” E fra quelli che fanno parte del loro universo, e che stanno svolgendo un ruolo attivo questa stagione, ci sono le artiste Olympia Scarry e Bunny Rogers, che sono passate dal front row alla passerella per indossare alcuni look della collezione. Ashley Brokaw, che collabora con i due designer da molto tempo ed è la casting director di tutte le campagne di Prada e Miu Miu degli ultimi sei anni, ha reclutato Amber Valletta (che è il volto della campagna a/i 18 del brand) e Gemma Ward, icone fashion degli anni 90 e 2000, rispettivamente. “Un mix variegato di ragazze, un gruppo grande e inclusivo, molto rappresentativo dell’America di oggi,” aggiunge McCollough.
L’altra fonte di ispirazione era la voglia di esplorare qualcosa di nuovo dal punto di vista dei tessuti. Nel corso del loro ‘capitolo parigino’, come lo chiamano i due stilisti, il loro lavoro si era focalizzato sempre più sul savoir faire francese, ed elementi come piume, ruche e pizzi dominavano la collezione primavera/estate 2018, mentre il macramè era una presenza importante per l’ autunno/inverno 2018. “Ci stavamo spingendo oltre i nostri limiti, era la nostra risposta al fatto che sfilavamo insieme a brand come Dior e Chanel” racconta Hernandez. “Ma non volevamo più dipendere da questi cliché, e la sfida creativa è stata, appunto,  quella di tornare all’essenza delle cose”.
“E questo significa che abbiamo usato materiali, per così dire, poveri”, continua McCollough mentre andiamo a vedere le ‘styling board’. “Tutta la collezione è stata realizzata in cotone e denim, con qualche piccolo dettaglio in pelle e qualche ornamento”. Nelle foto delle ‘styling board’ le modelle indossano blazer decostruiti con camicie marmorizzate, abiti in denim in varie tonalità con bretelle stile salopette, e stivali morbidi in pelle stretti alla caviglia. Gli abiti possiedono lo stesso sereno minimalismo di un dipinto di Agnes Martin, sono i vestiti della pioniera del 21° secolo.
Se per le collezioni di Parigi i due designer si erano rivolti a esperti artigiani, per la p/e 19 hanno collaborato con specialisti del denim a Los Angeles per sperimentare diversi lavaggi. “A ogni nuova collezione collaboriamo con piccoli gruppi di persone dal talento straordinario”, afferma Hernandez. “Utilizziamo tecniche che solo questi esperti del denim conoscono, ma chiediamo loro di applicarle con un approccio couture. Non avevano mai creato abiti simili prima d’ora”.
Hernandez e McCollough sono ormai nel business da quasi vent’anni, avendo lanciato Proenza Schouler (il nome del brand è composto dai cognomi da nubili delle loro madri) nel 2002, dopo che la loro collezione di laurea alla Parsons School of Design, come è noto, era stata acquistata da Barneys. Negli anni, “hanno sviluppato un metodo ‘abbreviato’, facciamo le cose in modo più veloce di un tempo”, dice McCollough. “Di solito si inizia con uno scambio di idee fra di noi su quello che ci sembra adatto e rilevante in quel dato momento, ovvero che direzione vogliamo dare alla collezione, sempre mantenendo intatto lo spirito della donna Proenza.”
I due stilisti ci spiegano che il passo successivo è quella della ricerca:  “Attacchiamo foto sulle pareti, poi le stacchiamo, le riesaminiamo, le rimettiamo al loro posto”. E dopo aver terminato vari cicli di studio di questo tipo, i due stilisti si rifugiano nella loro casa di campagna in Berkshires, nel Massachusetts, dove restano una decina di giorni e disegnano bozzetti anche 12 ore al giorno. “Ci ci diamo il ritmo l’un l’altro”, spiega McCollough. “Magari io disegno un dettaglio su una giacca che poi Lazaro mette anche su un abito, ad esempio”. Alla fine hanno pronta una pila di bozzetti il cui numero viene poi ridotto, fino a ottenere una collezione coerente. I bozzetti vengono poi passati alle loro sarte che iniziano a realizzare le prime tele (la versione di prova di un capo), che poi vengono provate su una modella finché non si ottengono il taglio e la forma desiderati. Il modello finale viene messo in produzione.
Ma il metodo seguito per la p/e 19 è stato piuttosto diverso, anche perché i due stilisti hanno incluso nel loro scambio di idee iniziale l’artista tedesca Isa Genzken, nota soprattutto per le  sue gigantesche rose di metallo e per i suoi manichini ‘sovversivi’. Hernandez e McCollough ammiravano da tempo i lavori dell’artista e alla fine hanno stretto amicizia con lei in occasione di un viaggio a Berlino la scorsa primavera. I due designer descrivono la collezione p/e 19 non tanto come una collaborazione con Genzken quanto come un “dialogo creativo”. Hanno mandato all’artista alcuni dei loro capi, e lei li ha messi su uno dei suoi manichini che sarà esposto nello spazio della presentazione. In questo modo l’artista è stata un po’ la loro musa. “Questo scambio fra il suo lavoro e il nostro diventa, a sua volta,  il punto di partenza per le nostre creazioni,” dice Hernandez, “in modo molto simile a come lavoriamo noi, in un certo senso”.
Se c’è una cosa che Hernandez e McCollough si sono concessi quando hanno scelto di prendersi una pausa dalle sfilate a New York ogni settembre e ogni febbraio, è il tempo per sperimentare. “Non devi restare fermo o bloccato su un certo modo di fare le cose: puoi essere molto più fluido e molto più libero nel modo in cui esplori nuove idee”, afferma Hernandez. “In particolare, con un’azienda indipendente come la nostra, possiamo essere più flessibili.”
“Chi può dirlo?”, conclude McCollough ridendo. “Magari la prossima stagione sfileremo a Londra.”
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cristianesimocattolico · 6 years ago
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Quando la Polonia fu tradita dal Regno Unito
Il nuovo film sulle fosse di Katyn ha messo in risalto la collusione del Regno Unito con l'Unione Sovietica a danno dei polacchi. Ma è solo la punta dell'iceberg: molti sono gli episodi che testimoniano del tradimento britannico nei confronti della Polonia.
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di Roberto Marchesini (22-07-2018)
Diversi lettori de La Nuova Bussola Quotidiana mi hanno scritto per chiedere lumi a proposito della recensione di Rino Cammilleri del film L’ultimo testimone (clicca qui). Possibile che i britannici (e gli statunitensi) sapessero la verità su Katyń e non abbiano detto nulla per non dispiacere l’alleato sovietico? Il pensiero manicheo, tipico della contrapposizione politica, segna un corto circuito: non siamo noi i buoni? Noi occidentali, alleati dei britannici e degli USA? Non erano (non sono) i russi, i cattivi?
Beh, a dirla tutta, l’atteggiamento descritto nei film era la regola, nei rapporti tra il Regno Unito e i polacchi. Gli esempi non mancano.
Cominciamo dalle vicende narrate dal film. Il 13 aprile 1943 Radio Berlino diede la notizia del ritrovamento delle fosse di Katyń. All’epoca dei fatti quel luogo era occupato dai sovietici, e c’erano pochi dubbi sulle responsabilità russe. Il generale Władysław Sikorski (1881-1943), capo del governo polacco in esilio, pretese un’indagine da parte della Croce Rossa Internazionale. Churchill (1874-1965) e Roosevelt (1882-1945) fecero enormi pressioni su Sikorski perché rinunciasse all’inchiesta; e così fu. In seguito i russi poterono addossare la colpa ai tedeschi posticipando il massacro di un anno, quando la Wermacht occupò la zona di Katyń. Il film parla di strane morti collegate alla strage di ufficiali polacchi; e anche Sikorski morì in modo  sospetto. Il 4 luglio 1943, poco dopo la sua rinuncia all’inchiesta, il suo aereo ebbe un incidente che molti considerarono sospetto…
Andiamo avanti. Tutti conosciamo – o dovremmo conoscere – l’eroico sacrificio di moltissimi uomini del II Corpo d’Armata Polacco del generale Anders (1892-1970) che conquistarono Montecassino e si batterono nella terribile e decisiva battaglia di Ancona. Eppure molti pellegrini che si recano in visita alla Santa Casa di Loreto si stupiscono di vedere, sulle pendici del monte, un cimitero polacco. Bene: facciamo attenzione alle date. La battaglia di Ancona è tra il giugno e il luglio del 1944. La conferenza di Teheran che vide incontrarsi Churchill, Roosevelt, Stalin si tenne tra il 28 novembre e il primo dicembre del 1943. Significa che, quando i polacchi risalirono l’Italia con gli Alleati e si sacrificarono in sanguinosissime battaglie per liberarla dai tedeschi, erano già consapevoli del fatto che britannici e statunitensi avevano acconsentito a regalare la loro patria alla Russia sovietica.
Traditi, venduti, combatterono ugualmente a fianco di coloro che avevano creduto alleati. Uno dei più noti motti patriottici polacchi recita: «Za waszą i naszą wolność» (per la vostra e nostra libertà). Prima per la vostra, poi per la nostra libertà. Una volta entrati ad Ancona, il generale Anders tenne alle truppe questo discorso: «Oggi il mondo comprende che la Polonia è governata da agenti servi di Mosca… Facciamo voto dinanzi a Dio, sulle nostre bandiere e sulle tombe dei nostri caduti, che continueremo la nostra lotta per la libertà della Polonia indipendentemente dalle condizioni in cui dovremo vivere e lavorare». E ancora, i polacchi in Italia, non cessarono di combattere: entrarono per primi a Bologna (dove furono accolti da bandiere sovietiche) e si misero a disposizione del re d’Italia Umberto II per impedire militarmente l’instaurazione della Repubblica.
Ancora. L’8 giugno 1946, a Londra, si tenne la grande Parata della Vittoria. Sfilarono truppe di diverse nazioni, di tutti i colori. Ma non i polacchi. Non furono invitati i polacchi che combatterono in Italia e in Francia. Degli aviatori polacchi che probabilmente decisero l’esito della Battaglia d’Inghilterra ne furono invitati soltanto ventisei (che rifiutarono sdegnati l’invito). I figli della Polonia, che si batterono più che valorosamente a fianco degli alleati, non furono festeggiati dagli inglesi. Da diverso tempo (nel film L’ultimo testimone ve n’è un accenno) i polacchi in Inghilterra erano insultati ed aggrediti. Come mai? In Polonia c’è un proverbio che recita: «Non potrai mai perdonare la tua vittima».
Ma non basta: parliamo ora dei campi di concentramento e sterminio tedeschi in Polonia. A proposito dei quali si sente dire: «Tutti gli abitanti del paese sapevano quello che stava succedendo dentro il campo di concentramento, ma nessuno voleva vedere». Beh, non è vero, i polacchi rischiarono la vita (e in molti casi la persero) per soccorrere come poterono i prigionieri; organizzarono fughe, e tentarono persino di suscitare delle insurrezioni armate all’interno dei campi. Un esempio su tutti, quello del tenente Witold Pilecki (1901-1948). Al termine dell’invasione russo-tedesca continuò a combattere (come tutti i suoi commilitoni) clandestinamente. Nel settembre del 1940, con il permesso dei superiori (era un militare, non un partigiano) si fece arrestare dalla Gestapo e internare ad Auschwitz. Esatto: Pilecki è l’unico uomo al mondo ad essere entrato volontariamente nei campi di concentramento nazisti. L’anno dopo riuscì a far uscire dal campo un suo rapporto su quanto avveniva ad Auschwitz; il rapporto arrivò al governo in esilio che lo girò agli inglesi. Lo ignorarono. Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1943 riuscì ad evadere (uno dei pochi ad esserci riuscito): compilò un secondo rapporto che consegnò agli inglesi. Questi giudicarono lo scritto di Pilecki «esagerato». Nel 1944 partecipò all’Insurrezione di Varsavia e, dopo la guerra, raggiunse il II Corpo d’Armata di Anders in Italia. Tornò in Polonia deciso a continuare la guerra contro i sovietici; venne catturato e condannato a morte. Fu ucciso con un colpo alla nuca; non sappiamo né la data della sua morte né dove sia stato gettato il suo corpo. Nonostante questo, la Polonia ha dovuto dotarsi di una legge per difendersi dall’accusa di aver costruito, gestito e organizzato i campi di sterminio nazisti in Polonia.
Gli episodi narrati dal film, per quanto sconcertanti, sono solo una goccia nel mare di fango che i polacchi hanno subìto, continuando a comportarsi in maniera eroica ed esemplare. Ma la storia la scrivono i vincitori, e non sempre sono i migliori. Almeno su questa terra. Sono sicuro che la Madre celeste, che i polacchi venerano a Częstochowa, veglia sui suoi figli sepolti a Montecassino, a Loreto, a Bologna; e sono altrettanto sicuro che lei non ha dubbi su chi abbia meritato il Premio eterno.
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