Tumgik
#allora vestito rosso
aliceisinchains · 1 year
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persone che si intendono di stile e colori dicono- vestirsi come il proprio colore di capelli è come ricevere un pugno in un occhio. Io dico bene così non devo prendere a pugni la gente perché ci pensa già il mio look.
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3nding · 6 months
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Doveroso oggi condividere un capitolo così doloroso della mia vita. Che questa sia una testimonianza, senza pretesa di verità. Se deciderà di prendere il mare agitato dei social va più che bene l’anonimato. Mia sorella è morta per il covid a 53 anni, si controllava regolarmente e l’ospedale per una banalità lo aveva visto una volta sola nella vita. E’ entrata in ospedale il 15 gennaio, ne è uscita dentro una bara chiara il 16 febbraio. Io e lei non abbiamo mai pensato fosse un’influenza più forte del normale, del resto, se lo fosse stata, non si sarebbe trovata con un tubo in gola, in coma farmacologico, con questo “serpente” che ritmicamente si gonfia e si sgonfia per tenerti attaccato alla vita. Non si sarebbe sfiancata in cicli di pronazione a testa in giù sperando di tornare alla vita e ai sorrisi. Noi parlavamo e cercavamo di agire con responsabilità, lei che mi ha detto “Non ci vediamo nemmeno a Natale, scusami, dobbiamo tutelare noi e gli altri”. Lei che l’ultima volta che  ha potuto dirmi qualcosa mi ha detto “Grazie, ringrazia tutti”. Le ho lasciato il vestito che preferiva, le scarpe del ballo che tanto amava, gli orecchini, la collana prediletta e lo scialle rosso per lei essenziale per questo corredo funebre, e ci scherzava nei primi giorni di ricovero, dandomi indicazioni, in un esorcismo laico mai riuscito. E allora penso ai quasi 94.000 che ad oggi hanno dovuto pensare a uno scialle, a riprendere i sacchi sigillati dall’ospedale con i vestiti dentro, con il nome scritto sopra con un pennarello, come dei caduti di una guerra che trova sempre nuovi motivi di divisione. E’ per questo che non è importante che questa sia la mia storia, è la storia di tantissimi. Tantissimi che chiedono solo l’uso della delicatezza, del rispetto, della gentilezza. Non vorrebbero leggere le opinioni non richieste, i complotti, l’iperbole definitiva di un autore sconosciuto. Nel momento più doloroso, quello dell’astio per la troppa superficialità di  chi usa questo mezzo che ci sta avvelenando l’anima ben oltre il percepito, riesco comunque a dare un segnale diverso. A non accodarmi. Non ho niente da dire nemmeno sul covid. Chiedo solo gentilezza, per mia sorella che era la mia roccia e il mio pilastro, da sempre. Chiedo gentilezza per tutti gli altri, lei  e’ un numero, insieme agli altri quasi 94.000. Ma se ci si impegna, si può avere rispetto anche dei numeri. Solo questo chiedo. - Paolo Di Sabatino, fb
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angela-miccioli · 2 years
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"L'ho anche frequentato per un periodo, uno tutto muscoli e addominali. Uno di quelli che quando ci sedevamo al ristorante faceva il conto delle calorie che gli mancavano da ingurgitare per completare il percorso ottimale segnato dal personale trainer. Uno di quelli che ordinava un filetto scondito. E che quando esordivo con la mia carbonara, mi guardava come se avessi arrotato un pedone sulle strisce.
"Ma di sera non è troppo pesante?".
Così mi disse, e io ripiegai con un finto sorriso su di un'ottima caprese.
Uno di quelli che poi, quando arrivi al dopo cena, ti toglie il vestito, lo ripiega, lo appoggia sull'appendino e volendo ci passa anche un po' di Stira e ammira.
Fu drammatica la serata e la ricordo ancora. La ricordo così tanto che da allora sono stata molto più accorta. Ho capito che un uomo (come una donna del resto) lo si capisce e lo si conosce a tavola.
Uno che ti ordina una bistecca con l'osso e magari ci sorseggia un brunello e quando ti versa il vino ti guarda negli occhi. Poi taglia il primo pezzo di Fiorentina e ti guarda ancora. E mica ti guarda. Ti spoglia. E ti spoglia mentre mastica e gode. Per il piacere della carne, per il sapore del rosso.
Uno che si siede e si ordina un'amatriciana. E alla prima forchettata ti fa il piedino, quasi a dirti "cazzo, ora ti metto al posto della pancetta".
Uno che si prende un tiramisù, e col cucchiaino ti imbocca, lasciando a te il pavesino più buono.
Uno che a tavola gode. E gode perché mangia e perché mentre mangia ti guarda.
E non vale solo per gli uomini. No la tavola è unisex.
Ma che son donne quelle che si siedono ed ordinano un'insalata? Ma che son donne quelle che guardano ad un pezzo di salame come se fosse un testimone di Geova? No, che non lo sono. E sono quelle che se poi ti invitano per un drink nella loro casa dopo cena, sull'uscio ti fanno levare le scarpe e ti infilano le pattine.
Le donne sexy sono altre. Sono quelle che un bicchiere di vino lo gustano e una pastasciutta la seducono.
Ricordo una scena, del film Flashdance. Lei un'operaia, lui il grande capo. La prima cena. Lei si toglie la giacca mostrando una schiena che vabbè. Si arriva fino lì. Ma poi inizia a mangiare aragosta. Con le mani. E si lecca pure le dita. Ma lo fa con una grazia, con una eleganza con una sensualità, che lui era già andato, era suo, che nemmeno quando lei ballava mezza nuda nel night.
Perché il buon cibo è come il buon sesso. E non c'è l'uno senza l'altro.
Ed io se parlo degli uomini, è perché donna sono.
E allora dico che va bene il romanticismo, la canzone ed il tramonto. Ma quando c'è da amare, come da mangiare, il maschio deve essere maschio.
E deve essere quello che ordina l'amatriciana e il vino rosso.
Perché poi noi donne siamo così. E ci piace essere prese così. Con passione con forza ed impeto. Con voglia ed irruenza. Così come si agguanta e si gusta un pezzo di rosticciana. Con le mani, mica con la forchetta."🍀
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forzadiavoloale · 7 months
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Il mondo appariva [...] dopo la guerra, enorme, inconoscibile, e senza confini. Mia madre tuttavia riprese ad abitarlo come poteva. Riprese ad abitarlo con lietezza, perché il suo temperamento era lieto. Il suo animo non sapeva invecchiare e non conobbe mai la vecchiaia, che è starsene ripiegati in disparte piangendo lo sfacelo del passato. Mia madre guardò lo sfacelo del passato senza lagrime, e non ne portò il lutto. Non amava, del resto, vestirsi in lutto. Quand'era morta sua madre, lei stava allora a Palermo, e se ne venne a Firenze, dove sua madre era morta all'improvviso da sola. Ebbe un grande dolore nel vederla morta. Poi uscì per comprarsi un vestito da lutto. Ma invece di comprarsi un vestito nero, come s'era proposto, si comprò un vestito rosso, e tornò a Palermo con quel vestito rosso nella valigia. Disse alla Paola: - Cosa vuoi, la mia mamma non poteva soffrire i vestiti neri e sarebbe contentissima, se mi vedesse con questo bellissimo vestito rosso!
- Natalia Ginzburg, Lessico famigliare
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personal-reporter · 9 months
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Natale: 10 Fatti curiosi che illumineranno le tue festività
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Il periodo natalizio è ricco di tradizioni affascinanti e storie intriganti che spesso sfuggono alla nostra attenzione. In questo articolo, esploreremo 10 fatti curiosi sul Natale che potrebbero sorprenderti e aggiungere un tocco di magia alle tue festività. L'Albero di Natale più Grande del Mondo Ogni anno, la città di Gubbio, in Italia, ospita l'albero di Natale più grande del mondo. La "Albero di Natale di Gubbio" è in realtà una composizione di luci disposta sulle pendici del Monte Ingino, creando un'illusione ottica di un enorme albero visibile anche a chilometri di distanza. Il Primo Albero di Natale Luminoso Nel 1882, il brillante inventore Thomas Edison mise in mostra il suo primo albero di Natale illuminato con l'uso delle sue nuove lampadine a incandescenza. Da allora, le luci sull'albero sono diventate una tradizione imprescindibile. Il Colore Originale di Babbo Natale L'immagine tradizionale di Babbo Natale con vestito rosso e bianco è stata popolarizzata dalla Coca-Cola negli anni '30. In origine, però, Babbo Natale era spesso rappresentato con abiti di diverse tonalità, tra cui il verde e il blu. La Stella di Betlemme: Un Fenomeno Celeste? La leggenda della Stella di Betlemme che guidò i Magi al bambino Gesù potrebbe essere stata un evento astronomico reale. Gli astronomi ritengono che una congiunzione di Giove e Saturno nel 7 a.C. sia stata abbastanza luminosa da essere percepita come una stella brillante. Il Canto Natalizio più Venduto "White Christmas" di Irving Berlin, nella versione interpretata da Bing Crosby, è il singolo più venduto di tutti i tempi. Pubblicata nel 1942, la canzone è diventata un inno natalizio classico che ha venduto oltre 50 milioni di copie. Il Mistero delle Calze Appese L'usanza di appendere calze vicino al camino risale a una leggenda del III secolo. Si narra che San Nicola abbia donato borse d'oro a tre sorelle povere, gettandole attraverso la finestra e atterrando nelle calze che si asciugavano sul camino. Il Primo Albero di Natale in America Il primo albero di Natale documentato negli Stati Uniti fu allestito nel 1747 a Bethleem, in Pennsylvania, da tedeschi immigrati. L'usanza si diffuse gradualmente, ma solo nel XIX secolo divenne una tradizione diffusa in tutto il paese. Le Renne di Babbo Natale Hanno Nomi! Secondo la tradizione scandinava, le renne di Babbo Natale hanno nomi! La famosa squadra di renne di Rudolph, Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donner e Blitzen è ispirata alle antiche leggende nordiche. La Guerra di Babbo Natale Durante la prima guerra mondiale, nel 1914, le trincee si trasformarono in un insolito scenario natalizio. In alcuni punti del fronte occidentale, le truppe nemiche decisero di fare una tregua spontanea durante il periodo natalizio, scambiandosi regali e giocando a calcio insieme. Il Villaggio di Babbo Natale in Lapponia Il villaggio di Rovaniemi, in Lapponia, è considerato il luogo di residenza ufficiale di Babbo Natale. Qui, i visitatori possono attraversare il Circolo Polare Artico, consegnare personalmente le lettere a Babbo Natale e godersi l'atmosfera magica dell'Artico. Con questi fatti curiosi, il tuo Natale sarà sicuramente arricchito da nuove informazioni e sorprese che aggiungeranno un tocco speciale alle tue celebrazioni. Buon Natale! Foto di Stefan Schweihofer Read the full article
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disastroebasta · 1 year
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La prima intimità
Eravamo lì, sdraiati nel mio letto. Faceva particolarmente caldo, quindi ho deciso di chiudere finestra e porta e mettere l’aria condizionata. Tutto intorno a noi si stava raffreddando, sentivo l’aria più fresca, eppure noi eravamo così caldi. Avvinghiati l’uno all’altro, lui che mi teneva stretta anche mentre dormiva, era diventato la mia coperta. Sentivo sul mio collo il suo fiato caldo e il suo respiro era diventata una melodia bellissima: soave, leggera e a tratti si faceva più pesante. Sono una ballerina, qualsiasi suono che sento è un ritmo diverso, diciamo una scusa per inventarci sopra una coreografia. Il suo respiro, a ritmo alternato, era diventata la mia musica preferita: sognavo di ballare con un vestito leggiadro, bianco, lungo, che seguisse tutti i miei movimenti.  Lo guardavo dormire e ancora non capivo cosa avesse avuto di speciale rispetto agli altri ragazzi incontrati quegli anni, per farmi addirittura cambiare le date degli esami e, credetemi, sono una secchiona: niente e nessuno ci è mai riuscito. Quel ragazzo dagli occhi verdi, stava diventando il mio “ne vale la pena”. In realtà, non è vero che ha gli occhi verdi, a lui piace dire così. Ha degli occhi veramente unici: da una parte quel verde fa ricordare le colline toscane, quelle curate, in cui tutti vorremmo trascorrerci delle ore davanti a un bel vino rosso (decorosamente toscano), regalandoti spensieratezza e tranquillità. Dall’altra parte, quando prende un po’ più di sole, insieme al verde, escono delle sfumature cristalline che ti ricordano il mare. Non un mare qualsiasi, ma quello cristallino, color smeraldo, forse paragonabile a quello sardo. Questo color cristallino ti permette di lasciarti cullare dal suo dinamismo, ti dà sicurezza e al contempo non puoi non lasciarti trasportare dal ritmo delle sue onde. Il mare però è anche turbolento quando agitato, di fronte a una tempesta indomabile, non puoi fare altro che aspettare che il flusso diminuisca. Ancora. Nei suoi occhi puoi scorgere anche un po’ di ambra, colore rarissimo da trovare negli occhi di una persona. Questo colore così giallastro che ti ricorda il sole: una presenza calda, piacevole, di cui tutti abbiamo bisogno. Lui forse è tutto questo per me: è entrato nella mia vita come una tempesta che sconvolge tutto, eppure non mi sono mai sentita cosi tranquilla e protetta come oggi. Forse, è troppo presto per dire di avere bisogno di lui, però sicuramente sento che averlo accanto mi rende più sorridente, più serena. 
È incredibile come tutti questi pensieri mi siano venuti mentre lui sta dormendo, decorosamente ad occhi chiusi. Nonostante sia rilassato, lì fermo immobile, senza lasciarmi un attimo, riesco a scorgere le sue rughette. Rughe che sicuramente in parte sono di espressione, ma dall’altra sono un po’ di vecchiaia. Succede a prendersi uno di 10 anni più grande. Ma posso dire che le trovo anche sexy? Quelle rughe sinonimo del suo grande sapere, della sua enorme saggezza che ogni volta mi impressiona. Ha una cultura che, quando lo senti parlare, hai quasi paura a stargli accanto. Questo suo enorme sapere che farebbe sentire stupidi chiunque, anche tra i più secchioncelli. Questo suo enorme sapere che ti rende piccolo piccolo quando sei con lui e ti fa capire quanto una persona così nella tua vita non può fare altro che arricchirti e migliorarti. 
Non appena ho sentito il suo sospiro farsi sempre più pesante, volevo provare ad alzarmi: aveva il braccio sotto di me, perchè non voleva lasciarmi. Non voleva che i nostri corpi fossero distanti nemmeno un cm, come se avesse avuto paura che al suo risveglio, io non fossi accanto a lui. Come se fosse, quello che stavamo costruendo insieme, quell’inizio (spero) della “nostra” storia, fosse un bellissimo sogno. Però, non potevo permettere che questa sua paura gli facesse giocare il braccio. Allora, ho provato ad alzarmi, delicatamente, senza far rumore, addirittura avevo smesso anche di respirare per paura che potesse sentire un fiato ancora più caldo sul suo collo. E niente, si è svegliato per prendermi con sé, girarmi con lui dall’altra parte e cambiare posizione. Ormai si era svegliato per colpa mia, non potevo essere responsabile della sua insonnia.  Allora, nel posare delicatamente le mie labbra sulla sua pelle calda nonostante il condizionatore segnasse 18 gradi, gli accarezzavo la mano. Ed eccolo lì tempo due minuti ed era già crollato. Di nuovo. Per paura di risvegliarlo, stavo ferma, respiravo a mala pena. Ho smesso anche di fargli i grattini, di accarezzargli la mano per paura di dargli noia. Non so bene cosa stava sognando, però, non ho fatto in tempo a smettere che lui cercava la mia mano. Non so bene spiegarvelo, ma mi ha fatto impressione: io e lui, attaccati come le patelle, smesso di accarezzargli una mano, lui la rimuove come se avesse sentito la mia mancanza. Io riinizio subito, incredula, a sfiorargli delicatamente la mano. “No dai, è uno degli spasmi che si fanno durante il sonno” mi dicevo. Convinta di questa tesi, smetto di fargli i grattini. e invece, la mia tesi era sbagliata: lo spasmo c’è stato di nuovo. e così, altre due o tre volte.  Esterrefatta di come un ragazzo così uomo dall’esterno, avesse bisogno di cosi tante coccole anche durante il sonno. Un ragazzo che si definisce come “spirito libero”, che non vuole incatenarsi, che però inconsciamente aveva bisogno di una mano che lo accarezzasse, come se questo gli regalasse tranquillità e sicurezza - due cose che, in realtà, forse non aveva bisogno. Almeno, io ero convinta di quello. 
Lui ha qualcosa di speciale, non so bene ancora cosa. Ma lo ha, sento che lo ha, sento che è diverso. E questa sua diversità mi fa paura, perchè credo che stia iniziando a piacermi. e seriamente anche. 
Il titolo di questo racconto è la “prima intimità” perchè credo che dormire con una persona a cui tieni in modo particolare, sia un vero senso di intimità. Sei povero, indifeso, debole, esposto a tutti i pericoli. Eppure non te ne frega, perchè ti fidi della persona che è lì con te, ti lasci cullare, ti lasci proteggere. è un’altra forma di intimità rispetto a quelle che verrebbero in mente nel momento in cui si legge questa parola, ma forse anche più importante, più forte, più travolgente. 
Ho paura di questa tempesta. Ho paura della tempesta che sta portando dentro di me. Sarò capace di domarla? O meglio, sarò capace essere abbastanza forte da resistere a tutto? Sarò abbastanza per un qualcuno così?
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inspiremysoulll · 2 years
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Ho fatto questo sogno stamane.
Era qualche evento, non so in famiglia ecco, eravamo tutti felici e carini.
Dovevamo andare a tavola, e io ed alcuni miei cugini dovevamo fare una foto importante, per la nostra azienda ed eravamo proprio fighi.
Tutti mi facevano i complimenti, roba strana.
Mi avvicino ad uno specchio e c'era questa ragazza BELLISSIMA, vestita con un vestito molto stretto e abbastanza corto, di un verde molto chiaro, quasi pisello ma più chiaro, bellissimo.
E ci provava con me in un modo bellissimo, ed io ci stavo in realtà, mi avvicinavo.
Le faccio, miseria sei bellissima.
E lei mettendo la testa sulla mia spalla guardandoci allo specchio dice che il vestito poteva essere più bello, mi dà un bacio con il rossetto super rosso.
Poi le dico che mi avesse detto il colore del vestito avrei messo qualcosa abbinato e lei mi guarda sorridendo, mi dà un altro bacio e poi si avvicina all'orecchio dicendo se fosse iniziata la serata perché aspettava di baciarmi.
Poi mi son svegliato.
Allora due cose. La ragazza in questione era identica ad una che seguo su ig che parla di film.
Bella bella davvero.
(parpaglions on ig)
Poi la seconda cosa è che, stavamo tutti accomodati nel bagno padronale di casa.
(si è enorme).
Ma tipo usavano la vasca come tavolo, non ho capito un cazz ahaha
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thedreamer-of · 2 years
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Nessuno è perfetto
Ebbene si, nei giorni scorsi un mio neurone è partito nuovamente nell’universo Maisel, ed ecco una nuova Fanfiction, un po’ più lunghetta questa volta. Spero di essermela cavata bene nel dare la giusta intensità ad alcune scene, non scrivevo una fanfiction da davvero molti anni prima di rincontrare una ship che mi appassionasse tanto da scrivere, lasciatemi un commento o un cuoricino se apprezzate la storia.
For everyone want this story in English, I can work on, or you can translate this with an online translator and edit the story with a correct sense in english. Please let me know!
AVVERTENZE: In questa storia ci sono riferimenti a droga, sesso, viene usato un linguaggio volgare.
Nessuno è perfetto
Dopo la Carnegie Hall si erano visti furtivamente in qualche hotel, lui aspettava lei che finisse il suo spettacolo, lei aspettava lui, per gli amici di Lenny stava diventando una consuetudine vederlo sparire in determinate sere. Quando Midge iniziò il Gordon Ford, lui partì per Los Angeles, si salutarono con la promessa che si sarebbero scritti e telefonati qualvolta fosse possibile. Passarono due mesi di lettere e brevi telefonate, finché una sera, dopo il Gordon Show, Midge trovò delle peonie rosa nel camerino, con un biglietto:
“Sono al Corner, c’è un Martini con molte olive a farmi compagnia, mi raggiungi? - Lenny”
Le si sgranarono gli occhi e strinse istintivamente il biglietto al petto, soffocando un gridolino eccitato, mise i fiori in acqua e iniziò a prepararsi per l’appuntamento, scegliendo la sua lingerie con molta più attenzione del solito.
Quando uscì dal camerino Gordon la braccò nel corridoio, impedendole di proseguire la sua camminata
“Ehy Midge, gran show stasera”
“Grazie!” Rispose con un sorriso più luminoso del solito, cosa che incoraggiò Gordon nell’ennesimo invito
“Allora che ne dici di andare a festeggiare insieme?”
“Oh ti ringrazio per l’invito, ma ho dei piani e devo scappare, mi stanno aspettando”
“Beh allora non ti trattengo, ma prima o poi me lo concederai un appuntamento vero?”
Midge alzò gli occhi al cielo e le scappò una risatina “non lo so, la mia agenda è molto impegnata….staremo a vedere Gordon Ford, per adesso potresti pensare alla tua fidanzata, che ne dici?”
Gordon raccolse la provocazione e si fece da parte, facendole proseguire il suo percorso “capisco, non ti piacciono gli uomini impegnati, peccato”
Midge lo salutò con la mano muovendosi per avvicinarsi all’uscita “diciamo che attualmente preferisco i miei impegni a quelli degli altri, buona serata Gordy”
E scappò via, ignorando ogni altra persona sulla sua strada per quella sera.
Uscì indossando il suo soprabito primaverile nero, era decisamente elegante per essere un’uscita in un bar, il suo vestito rosso brillava al di sotto del suo soprabito nero, nell’atmosfera newyorkese tra luci dei lampioni e dei locali vicini.
Quando arrivò nei pressi del Corner lo vide subito lì davanti, il suo impeccabile abito nero, con la sigaretta tra le dita e le braccia incrociate, appoggiato al muro, che fissava un punto non definito del marciapiede opposto, probabilmente aspettandosi che lei venisse da quel lato, ma questo non accadde e Midge si avvicinò silenziosamente guardando nella stessa direzione 
“Si, dev’essere lì che ho visto pisciare un barbone una volta”
Lui si girò di scatto e rise di gusto, sbuffando il fumo dalle sue labbra 
“Pensavo fosse solo un ubriacone, eri sicura fosse un barbone? Oppure era un cane molto grande?”
“Oh non lo so, ho un ricordo molto vago, ero impegnata a fumare uno spinello con comico molto importante”
Lui rise e le sfiorò il braccio tirandola gentilmente in un incavo del retro del bar 
“Direi che non potevo aspettare vicino al tuo Martini, non avrei potuto darti questo”
Si chinò a strapparle un bacio veloce, lei restò per un momento senza fiato e poi ricambiò con più fervore. Le ci volle tutta la sua forza di volontà per allontanarsi dopo qualche momento, entrambi con il fiato corto dai loro baci.
“C’è un Martini per lei Mrs Maisel, e forse potremo ballare, in seguito, le prometto che potremo darci tutti i baci che vuole in un’altra sede”
Midge sorrise “Ottime idee Mr Bruce” gli strinse la mano e con l’altra gli tolse il rossetto dalle labbra, “mi piacciono gli attacchi a sorpresa, molto organizzati”
“Ho la fama per essere un uomo dissoluto, ma in realtà ci tengo particolarmente a farti trascorrere il tuo miglior tempo in mia compagnia” rispose sorridendo di rimando e spostandole un capello dal viso “cerchiamo solo di non far scandalizzare il Village, ora siamo entrambi importanti e l’ultima cosa che vorrei è trovarmi la stampa dietro anche per questo”
Lei annuì, gli lasciò la mano e lo guardò mentre usciva dal loro piccolo incavo “Sto diventando molto brava a fingere di non conoscerti così bene Mr Bruce” disse con un sorriso malizioso sulle labbra.
Lenny si morse il labbro inferiore e la seguì, portando le dita sulla sua fronte 
“Se continui a chiamarmi Mr Bruce ci arresteranno per atti osceni in luogo pubblico Mrs Maisel…”
Midge si lasciò andare in una risata rumorosa entrando nel locale, lui dietro di lei indicò il tavolo che aveva riservato per loro, abbastanza riservato da poter essere lontano da occhi indiscreti.
Trascorsero un paio d’ore a bere drink e a raccontarsi le loro carriere, di tanto in tanto si sfioravano le mani, poi  Lenny la cullò dolcemente in un paio di lenti che alimentarono la loro voglia di stare insieme. Uscirono dal locale alle 3 del mattino, erano ormai da soli per strada e lasciarono che le loro mani si intrecciassero nel tragitto che percorrevano a piedi.
“Sai Mr Bruce, sono un po’ stanca di tutti questi hotel dove andiamo…..”
Lenny sorrise “oh mia cara ho sempre saputo che preferivi un uomo con un contratto di locazione…”
Midge rise e cominciò a camminare all’indietro, seguendo il tragitto “adesso potrei preferire casa mia ad un contratto di locazione…”
Lenny si fermò sorpreso da quella affermazione “e i genitori? I figli? Il vasino?”
Midge sorrise dolcemente e gli si avvicinò piano alle labbra sussurrando “Genitori fuori, mio padre è andato a Philadelphia per uno spettacolo teatrale e mia madre è con lui per un paio di notti romantiche, i bambini sono con il mio ex marito, quindi ho per due giorni tutto il comfort delle mie cose, senza nessuno intorno…”
“Nemmeno la cameriera che voleva i miei pantaloni?”
“No…”
Lenny le diede un leggero bacio sulle labbra “in tal caso sono disposto a passare un’altra notte nell’Upper West side, magari trasformando vecchi ricordi in qualcosa di decisamente più memorabile”
Midge sorrise “decisamente” premendo le labbra verso di lui brevemente, poi si staccò e si allontanò sul ciglio della strada per prendere un taxi che li avrebbe portati direttamente a Riverside.
Il viaggio in taxi fu uno sfiorarsi continuo di mani e corpi, fin quando non arrivarono all’appartamento di Midge, salirono in ascensore e Lenny cercò di fare tutto ciò in suo potere per iniziare a slacciare il vestito di Midge non appena usciti dall’ascensore. La tirò subito a se baciandosi ardentemente, Midge continuò a camminare all’indietro verso la porta del suo appartamento, nessuno dei due notò le luci accese all’interno, ma dall’interno tutti osservavano le due figure che avevano appena sbattuto pesantemente sulla porta a vetro.
Lenny tirò le chiavi  dalle mani di Midge per aprire lui la serratura, trovandosi in una posizione di vantaggio rispetto a lei che era premuta contro il vetro della porta. Midge iniziò a darsi da fare per togliergli la giacca e allentare la cravatta e iniziare a sbottonare la camicia, si lasciarono andare in piccole risatine mentre la serratura girava e la porta si apriva, Midge tirò Lenny dal colletto a sé per continuare a baciarlo, Lenny la tenne dalla vita mentre il soprabito primaverile di Midge cadde per terra e la cerniera del vestito fu aperta per metà, Midge stava per far cadere anche la giacca di Lenny per terra mentre furono sorpresi da un “Miriam!” scandalizzato, pronunciato da una Rose completamente scioccata.
Lenny alzò lo sguardo e si irrigidì di colpo, dalle sue labbra uscì un soffocato “O cazzo” trovandosi davanti Il signor due maglioni, la signora della cucina, un uomo dalla faccia pallida e la bocca spalancata e due signori robusti anche loro a bocca aperta.
Midge vide il viso di Lenny e sentì la voce di Rose, era ancora tra le sue braccia quando si girò e si trovò davanti i suoi genitori e La famiglia Maisel al completo, completamente esterrefatti dalla visione appena avuta.
Le ci vollero un paio di secondi per razionalizzare e togliersi dalle braccia di Lenny, coprendosi d’istinto con la giacca di lui, che stava per far cadere a terra, “c…cosa ci fate a casa?”
Ci fu un insolito silenzio, Abe dopo poco si fece coraggio e rispose 
“Mei è in travaglio, Joel, Moishe e Shirley ci hanno chiamato per portarci i bambini, abbiamo provato a contattarti ma eri già andata via dagli studios, pensavamo fossi a casa ma non c’eri, siamo dovuti rientrare il prima possibile…adesso sappiamo con chi eri”
Midge fece un sospiro imbarazzato “bene, sono a casa adesso, suppongo che in questi casi si debba dire Mazel tov?” Joel si passò una mano sul viso sospirando, strinse i denti mentre gli uscirono le uniche parole sensate che gli vennero al momento “Bene, direi che adesso possiamo andare da Mei in ospedale.” 
Posò con un tonfo le borse dei bambini e fece segno ai genitori di andare.
“Non c’è bisogno di prenderla così male adesso Joel”
Midge intervenne nell’immediato vedendo il movimento di rabbia di Joel, ma lui scattò molto più pesantemente del dovuto
“Non c’è bisogno Midge? Davvero?! Ti abbiamo cercato per un’ora prima di far tornare i tuoi genitori, mentre Mei aveva le contrazioni!! Esther ha pianto spaventata, voleva stare solo con te!! Si è calmata solo poco fa, appena sono arrivati Abe e Rose e finalmente si è addormentata! Che razza di madre sei?!”
Lenny lo guardò sconvolto, sentirlo urlare in quel modo verso Midge gli mosse qualcosa dentro e lo spinse ad intervenire con il suo tono calmo 
“Non c’è bisogno adesso di alzare la voce e svegliare i bambini”
Joel si girò rabbiosamente verso di lui “E tu che cazzo vuoi?!”
Lenny spostò d’istinto Midge al lato della porta liberando l’uscita riuscendo a tenere il tono calmo “Credo che qualcuno abbia bisogno di te fuori da questa casa”
Joel sorrise nervosamente e si avvio d’istinto verso lui puntandogli il dito
“Questa è anche casa mia!”
Midge soffocò le parole lentamente “Non…non più Joel..”
Moishe lo trattenne dal braccio, si stava agitando anche lui, ma fece di tutto per mantenere la calma “Joel, andiamo da Mei ”
Midge rimase in silenzio, apaticamente, guardando Joel spostare con rabbia il padre, le lacrime le arrivarono agli occhi senza che se ne rese conto e si allontanò nel corridoio dirigendosi nella stanza dei bambini per controllare Ester e Ethan, sentì la porta chiudersi poco dopo e mentre accarezzava i capelli di Ester le lacrime iniziarono a scendere copiosamente.
Lenny osservò i Maisel andare via, Abe li pregò di informarlo appena Mei avrebbe dato alla luce il bambino, rimase in silenzio a raccogliere il soprabito di Midge, spolverandolo e mettendolo sull’appendiabiti all’ingresso, mentre la porta si chiuse.
Rose sbuffò osservando i movimenti di Lenny, senza dire una parola, Abe, invece, si girò verso di lui e con un sorriso di cortesia gli chiese “gradisci una tisana? Conciliano bene il sonno..”
Rose gli diede una gomitata che lo prese alla sprovvista “auh, che c’è? Abbiamo un ospite dopo tutto”
Rose alzò gli occhi e le mani al cielo e sbuffò andando via nel corridoio anch’essa.
Lenny si grattò la testa imbarazzato “Credo che saluterò Midge e andrò via…”
Abe lo guardò attentamente “Non siamo stupidi Lenny, lo sappiamo di te e Midge, da un po’ veramente…stasera è stato solo strano, vedervi…ecco”
Lenny “lo sapevate?”
Abe “Certo, Midge che non torna a casa quando sei in città, le chiamate di nascosto, le lettere. Lei non lo ha detto, ma lo sappiamo che sei tu… quindi, davvero, non c’è problema”
Lenny completamente spiazzato da questa affermazione “oh, ok, immagino”
Midge riemerge dal corridoio con la giacca di Lenny fra le braccia, il trucco un po’ sbavato e lo sguardo basso
Abe vide il volto della figlia e sospirò pesantemente “Credo che avete qualcosa da dirvi, raggiungo mia moglie..” fece un cenno di saluto a Lenny prima di andare nel corridoio e sparire in una delle camere.
Lenny si avvicinò a Midge lentamente, accarezzandole la guancia coperta ora dalle linee di trucco sbavato
“Non devi ascoltare le parole di Joel.”
Midge alzò lo sguardo, sbuffò, con voce spezzata “io, io…Lenny…mi dispiace”
“E di cosa? Il tuo ex marito è uno stronzo, wow, anche la mia ex moglie lo è ma ehi, è pur sempre la madre di mia figlia…. Non siamo perfetti, nessuno lo è Midge, Lui ha voluto solo farti del male perchè, probabilmente vederci non lo ha reso felice, voleva colpirti…”
Lei annuì tirando via il trucco dalle sue guance con i pollici
“Hai ragione ma, sentirmi una madre inadeguata è la peggior cosa”
Lenny fece un sospiro “Midge…tu lavori, i tuoi risparmi servono per assicurare questa vita ai tuoi figli, perché tuo marito vi ha lasciato. Sei indipendente, forte, divertente…il nostro lavoro non ci permette di star sempre sul pezzo con i bambini ma ci assicuriamo che abbiano tutto.”
Midge annuì sospirando e accennando un sorriso “ Grazie Lenny….vuoi…vuoi restare comunque?”
"Tecnicamente tuo padre mi ha dato la sua benedizione, ma…meglio di no, sarò pronto a portarti fuori di nuovo domani sera”
Le accarezzò la guancia posando un lieve bacio sulle labbra “E domani nessuno ci interromperà…”
Midge sorrise “Va bene, anche se il mio letto è molto grande, mia madre prende i sonniferi e mio padre dorme con i tappi alle orecchie..”
Lenny la tirò più vicino a sé “Tua madre prende i sonniferi?”
Midge annuì guardandolo con aria maliziosa, facendo lievi passi indietro tirandolo a se
Lenny sorride “magari…magari potrei solo provare com’è comodo il tuo letto ed andare via prima che si sveglino tutti…”
Midge soffocò una risata baciandolo, immergendo le sue mani nei capelli neri e ricci di Lenny, aprì piano la porta della sua camera da letto e lo tirò dentro con lei, dimenticando totalmente l'episodio appena accaduto.
Il mattino seguente il telefono squillò molto presto, Midge si svegliò tra le braccia di Lenny sentendo suo padre che urlava e si complimentava per telefono “congratulazioni! Una femminuccia!!” Furono le prime parole che sentì, guardò l’orologio che indicava le 6:00 del mattino
“Lenny, svegliati…ci siamo addormentati”
Lenny portò la sua mano libera al viso e fare un ghigno abbastanza scontroso, il che la fece sorridere.
Si chinò per dargli un bacio sulla mascella “So che lo odi, ma mio padre si chiuderà in bagno a scrivere a macchina tra mezz’ora, ed è lì che dovrai uscire di casa…”
Lenny sbuffò e la strinse più forte “questa clandestinità autorizzata è molto eccitante, abbiamo solo mezz’ora?” Disse chinandosi a baciarla, Midge ricambiò il bacio velocemente prima di venire distratta dal pianto disperato di Ester, evidentemente svegliata anche lei dalla voce del nonno, e il suo “mammaaaaa” fu talmente forte da svegliare anche Ethan.
“Ok vado via” disse Lenny sgranando gli occhi al suono della bambina, Midge si alzò seduta sul letto di scatto 
“Merda, si devi andare, tra poco i miei figli busseranno alla mia porta e vorranno entrare in questo letto” Lenny scattò in piedi mettendo frettolosamente pantalone e camicia, Midge gli infilò la cravatta dalla testa mentre lui saltellava per mettersi le scarpe e chiudere la cintura dei suoi pantaloni. 
“Chiamami all’hotel appena ti liberi” le disse prima di premere un altro bacio sulle sue labbra “lo farò” rispose divertita alla vista di un Lenny Bruce arruffato, con voce ruvida del mattino e la camicia quasi completamente aperta, Midge aprì la porta della stanza e notò Abe nella stanza dei bambini 
“Papà ci penso io! Vai a scrivere tranquillo!”
Abe annuì chiudendosi in bagno, Ester echeggiò un altro “mammaaaaa” piagnolento seguito da un Ethan esasperato “Per favore Ester non piangere!” , Midge uscì nel corridoio facendo cenno a Lenny di passare, aprì la stanza dei bambini prima di dare un ultimo sguardo a Lenny che furtivamente si avviò alla porta, le lanciò un ultimo sguardo prima di uscire lentamente e chiudendo la porta dell’appartamento alle sue spalle. Appena si girò si trovò davanti una Zelda molto sorpresa “Mr Bruce buongiorno “
Lenny rimase spiazzato “Buongiorno” rispose coprendosi con la giacca lì dove i bottoni della camicia erano ancora aperti 
“Di nuovo un vestito stropicciato Mr Bruce”
Lenny annuì sorridendo imbarazzato e si portò di lato per superarla “Prima o poi mi vedrà in un vestito stirato, glielo prometto, buona giornata” e si precipitò all’ascensore che fortunatamente era già sul piano.
La giornata passò relativamente in fretta, tutti cercarono di fare finta di niente, riguardo a Lenny, e Midge tenne a bada solo le mille domande di Ester riguardo alla nuova sorellina, domande come “Potrò giocarci? Potrò farle le treccine?” Si susseguirono per tutta la giornata, finché non fu Ethan a spiegare alla sorella che era inutile eccitarsi, non potrà giocarci finché non camminerà da sola, la cosa non fece piacere ad Ester che si rifugiò con il broncio nelle braccia di Midge “Ethan! Smettila di essere antipatico, domani i vostri nonni vi verranno a prendere e vi porteranno a casa di vostro padre per aspettare che Mei e la bambina rientrino, conoscerete vostra sorella e abbraccerete forte vostro padre. Mostra un po’ di entusiasmo!”
Ethan sbuffò "sì, avevo proprio bisogno di un’altra bambina in casa”
Midge “Ethan! Smettila!”
Ethan sbuffò e si diresse verso Ester che era appena scesa dalle braccia di Midge” Ester vieni, giochiamo” i due si allontanarono in camera loro mentre Midge si rivolse ai suoi genitori con aria preoccupata “Non so cosa fare con loro, Ester sembra entusiasta ed Ethan sembra quasi deluso da questa nuova bambina”
Abe sorrise “Anche tuo fratello lo era quando sei nata tu, dagli tempo di adattarsi alla nuova situazione, si sistemerà”
Midge sbuffò poggiando la testa al tavolo “Sono esausta”
Rose la guardò torva “Bene allora possiamo parlare di te che entri in casa mezza nuda tra le braccia di “è solo un amico” Lenny Bruce”
Midge alzò di scatto la testa e la guardò “Mamma…”
Rose con il suo fare calmo la calzò di nuovo “Cosa? Non mi sembra la tipologia di uomo adatta ad una donna in carriera, sembra che abbia molti più guai di te”
Midge sbuffò ancora “Va bene, sai cosa? Devo prepararmi per andare a lavoro, e non aspettatemi stasera.” Alzandosi e sistemandosi il vestito fece per lasciare il divano sulla quale era seduta.
Rose si alzò di scatto “Devi vederti ancora con lui stasera Miriam?! Dobbiamo preoccuparci di vederti arrivare a casa sballata come lui quella notte?!”
Midge rabbrividì a quella frase, Abe richiamò Rose per aver esagerato, Midge girò lo sguardo e l’affrontò di nuovo “Prima la mia carriera, ora che la mia carriera va bene hai da dire su chi scelgo di portarmi a letto..sai cosa mamma? Nessuno è perfetto, io non sono perfetta, non sono una figlia perfetta, una madre perfetta, nemmeno Lenny lo è! Ma al diavolo, se c’è una cosa di cui sono sicura è di come mi sento quando sono con lui, e no, mamma, non devo discutere con te dei suoi problemi, nemmeno tu sei perfetta, sono stanca di tutta questa perfezione che hai cercato di farmi raggiungere negli anni, STANCA”
Rose ”è evidente che non lo sei, scegli sempre uomini sbagliati”
Midge “tu non lo conosci, smettila”
Rose “Non venire a piangere da noi quando finirà con lui Miriam. Non ci sarò, te lo stai creando tutto da sola questo”
Midge “Felice di crearmelo”
E andò via, prese un paio di vestiti e un beauty con le sue cose e andò a salutare i bambini, promettendo che al loro risveglio l’indomani avrebbero fatto colazione insieme.
Lo show andò bene, Midge fece un monologo sulle scelte di vita e sull’approvazione dei genitori, che fece molto ridere e riflettere il pubblico in sala. Dopo lo show si diresse nel suo camerino e sentì bussare “Un attimo, non sono pronta..”
“Va bene se non sei pronta, ti aiuto io…”
Midge spalancò gli occhi, afferrò una vestaglia e aprì la porta facendolo entrare “cosa ci fai qui?”
“Mm..ho sentito il monologo, ho pensato che avessi bisogno di un po’ di supporto morale in questo camerino..”
Midge gli sorrise e lo abbracciò, sprofondò la testa nella sua spalla “è stato terribile oggi, avrei voluto raggiungerti in hotel appena possibile”
Lenny le strinse la vita avvicinandola al suo corpo “ora sono qui, possiamo prenderci tutto il tempo che vuoi, cos’è successo?”
Midge sospirò “mia madre…non ha reagito benissimo all’averci visto”
Lenny la strinse “neanche io reagirei bene nel vedere mia figlia in certi atteggiamenti con un comico malato come me"
"Lenny..."
Lui sorrise "Ok, lo ammetto, sono qui per dirti che se posso aiutarti, potrei conoscere i tuoi genitori...rendere, ufficiale? la nostra relazione.."
Midge rimase spiazzata a quelle parole "Davvero? Lo faresti?"
Lenny abbassò lo sguardo "Non sono perfetto, ho molti difetti, sono un casino tra avvocati e processi, ma se c'è una cosa che mi fa stare bene, l'unica che mi fa sentire davvero bene con il mondo, è stare con te..quindi si, lo farei per te."
Midge sentì i suoi battiti aumentare "Ma, noi....insomma.....io, non credevo che.."
"Midge...." alzò lo sguardo guardandola dritto negli occhi "ti ho detto ti amo almeno due volte senza che tu te ne accorgessi..."
Midge arrossì restando senza parole "Wow, ho tolto le parole a Midge Maisel..." Lenny sorrise e le accarezzò il braccio, facendo scivolare le mani intorno alle sue "Ti ho detto ti amo la prima volta in tv, a Miami, quando ho detto che ti amavo almeno quanto amo me stesso, Ti ho detto ti amo quando ti ho detto che ti presto attenzione, sempre....credo di averti detto ti amo anche sul palco del Carnegie Hall. Non voglio darti false speranze, non ti farò promesse che non sarò in grado di mantenere, ma voglio stare con te, davvero...io.." sorrise "Io ti amo Midge...sono fottutamente innamorato di te da anni"
Midge riuscì ad espirare finalmente, dopo aver ascoltato quelle parole che le avevano tolto il fiato "anche io ti amo....anche io..." disse in un sospiro, le sue labbra furono rinchiuse in un bacio dolce, lento, si stavano trasmettendo attraverso le loro labbra tutto ciò che provavano, i loro corpi si avvicinarono automaticamente e la mano di Lenny scivolò in fretta a chiudere la serratura della porta, prendendo Midge dolcemente e trascinandola sul divano del suo camerino. Fu lì che si amarono dolcemente, attraverso gemiti soffocati e vestiti trascinati via, cercando di fare il meno rumore possibile, si amarono lentamente fino a raggiungere insieme l’apice.
Quando finirono restarono distesi e abbracciati sul divano, Midge sul petto di Lenny che eseguiva cerchi circolari sul suo petto, Lenny che provvedeva allo stesso movimento sulla sua spalla, non riuscendo a staccare un solo secondo le mani dal corpo dell'altro.
"Dovremmo rivestirci e andare a mangiare qualcosa, credo di avere un po' fame.."
Lenny sorrise "Hai ragione, dovremmo, l'attività fisica implica un nutrimento adeguato, e stanotte non ho intenzione di fermarmi qui..."
Midge sorrise e gli diede un leggero schiaffo al petto alzandosi e raccogliendo i suoi vestiti "dammi dieci minuti e sarò pronta per il cibo e per il nostro hotel Mr Bruce.." 
Lenny si tirò su i pantaloni accendendosi una sigaretta e restando a petto nudo mentre fumava seduto sul divano, si godette la vista di Midge che si divide tra la toilette e lo specchio del camerino, sistemando i capelli, il trucco, il corsetto, il vestito
"Puoi aiutarmi qui?" lo chiamò mentre la fissava, lui si alzò e le chiuse la cerniera porgendole un dolce bacio sul collo "Sei spettacolare" 
Midge sorrise e gli porse la camicia che giaceva sulla sedia avanti a loro "anche tu, ma sono molto gelosa che altre persone ti guardino senza camicia.." Lenny sorrise e si rivestì anche lui.
Per non destare sospetti nei corridoi, Lenny uscì per primo, accordandosi di ritrovarsi al Corner dopo poco. Ma quando Midge stava per uscire, trovò Joel davanti alla porta del camerino che stava per bussare 
"Joel.." rimase sorpresa
"Midge, posso parlarti?"
"Certo, entra.."
Joel entrò guardandosi intorno, sembrava agitato "ti hanno sistemato bene qui.."
"Si, ti senti bene? Tutto bene con la bambina?"
"Si, si...senti, sono qui per..scusarmi"
Midge rimase sorpresa "Oh.." 
"Si, io ho sbagliato a reagire in quel modo, io...ero agitato per Mei, poi vederti con Lenny fottuto Bruce a pomiciare, insomma...non ha aiutato.."
"ah, beh...scuse accettate"
"Ma..devo dire che l'ho odiato vederti con un altro uomo..io..Midge io forse provo ancora dei sentimenti per te.."
Midge lo guardò sbalordita "E cosa ti fa pensare che dirmelo possa migliorare la tua situazione? Joel hai appena avuto una figlia da un'altra donna....una donna che ti ama! Ha cambiato religione per te, ha avuto una gravidanza anche se non voleva interrompere i suoi studi!"
Joel si passò le mani sul viso "Lo so!! Credi che non lo sappia?! Ma tu, tu..." sospirò sedendosi sul divano "io sto sbagliando tutto, ho sbagliato tutto"
Midge lo guardò rassegnata "Joel, è normale provare dei sentimenti, ma tra noi non c'è più amore....io...io non ti amo più e neanche tu, e lo so perché quando sei con Mei tu... tu sei migliore, lei ti migliora, hai solo paura di questi cambiamenti"
Joel alzò lo sguardo "...si, troppi cambiamenti. Scusami Midge io non so cosa mi sia preso"
Midge "Hai paura, ma credimi, urlarmi contro o interessarti alla mia vita amorosa non ti farà sentire meglio....concentrati sulla bambina, sui nostri figli, su Mei....mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi con Lenny, io non potevo immaginare che ci foste voi in casa. Joel....tra noi ci sarà sempre un grande affetto, ma le nostre vite ormai sono divise..."
Joel annuì, alzandosi "si..hai ragione, io comunque non volevo dire che non sei una brava madre, sei sensazionale come madre...e qualunque cosa ci sia tra te e Lenny Bruce, se ti farà soffrire ti giuro che andrò a prenderlo a pugni..."
Midge fece una risatina pensando che anche Lenny avrebbe voluto fare lo stesso con lui "Non ho bisogno di queste dimostrazioni di supremazia maschile, ma comunque ti ringrazio....ora, devo andare, mi accompagni fuori?"
Joel annuì e si diressero entrambi fuori dallo studio, prendendo entrambi strade diverse una volta fuori.
Midge trascorse la notte con Lenny, rientrando la mattina ad ora di colazione per svegliare i bambini. Rose la guardò per tutto il tempo, notò il suo volto felice appena arrivata, il suo ottimo umore nel corso della giornata. 
Il giorno proseguì con i bambini a scuola e dopo da Joel per conoscere la piccola  Yuki, Midge aveva il giorno libero da Gordon Ford ma aveva un esibizione nel Village, non sapeva se avrebbe visto Lenny quella notte, anche lui aveva un concerto dal lato opposto della città.
Lenny quella sera riuscì ad esibirsi evitando di farsi arrestare, ma alla fine del suo set una donna molto elegante si presentò di fronte a lui non appena tutti quelli che volevano un autografo finirono.
“Buonasera madre di Midge”
“Sei simpatico, dovresti fare il comico..” disse con aria superiore a quella battuta “Puoi chiamarmi Mrs. Weissman”
Lenny le fece cenno di sedersi e lei lo fece “La chiamerò Mrs. Weissman, come preferisce, gradisce da bere?”
“No grazie, sono qui per parlarti”
“bene, avrei qualcosa da dirle anche io”
“Ti droghi ancora?” Lenny rimase spiazzato da quella domanda “Rispondimi, non fare quella faccia sorpresa, ti ho visto entrare in casa mia in condizioni decisamente pessime”
“Un ricordo che preferirei rimuovere dalla mente di tutti coloro che mi hanno visto…”
“Beh io so bene che quella sera non eri solo ubriaco, quindi?”
Lenny fece un sospiro, sapeva che prima o poi la questione droga sarebbe uscita fuori 
“Ne faccio un uso terapeutico da quando sono tornato dalla guerra…quando sono stato a casa vostra, in quel periodo mi facevo anche di altro ma, da quando sta succedendo questa storia con Midge, sto cercando di tenermi pulito..”
Rose sbuffò “non prendermi in giro, non esiste cercare, esiste essere disintossicato oppure no, se ti droghi poco non vuol dire che sei meno drogato”
Lenny si passò una mano sul viso “io amo Midge, non le farò del male”
Rose rimase sorpresa “Tu la ami?” 
“Certo, si….io.. io non posso prometterle un matrimonio o un altro figlio ma posso garantirle che farò tutto ciò che è in mio potere per farla stare bene”
“E in questo stare bene è compreso anche il trovarti svenuto in overdose da qualche parte?”
Lenny rimase un po’ irritato dalla sfacciataggine di Rose “Non andrò in overdose, è sotto controllo, io non le farò del male”
Rose sbuffò “Io non fingerò che vada bene questa situazione, non mi va bene questa situazione signor Bruce, Lenny….se tieni a Midge devi provare a disintossicarti, fallo per lei, fallo per chi ami”
Lenny la guardò negli occhi e vide il suo sguardo preoccupato “io, non posso promettere niente ma…ci proverò….”
Rose annuì “Grazie..e complimenti per le battute, capisco perché mia figlia e mio marito ti adorino così tanto”
Si alzò e si diresse verso l’uscita, Lenny si posò una mano sul volto sbuffando e sbottonandosi il primo bottone del colletto, allentandosi la cravatta, trangugiò d’un sorso il suo drink e si diresse anche lui per strada, con l’intento di chiudersi in hotel con il solo obiettivo di usare la sua borsetta nera.
Proprio mentre era intento a preparare la sua siringa, sentì bussare alla porta, sbuffò, lasciò tutto sul lavandino e andò ad aprire “Midge”
“Sorpresa, ho finito prima e ho pensato di venire a darti la buonanotte..” Midge notò subito che aveva un volto triste, la manica della camicia alzata, l’orologio tolto “Tutto bene?”
Lenny annuì “Si…si..ero..stavo per.. non importa..entra, aspetta un attimo qui..” le fece segno di aspettare davanti la porta d’ingresso, lui si diresse velocemente in bagno e buttò tutto ciò che aveva preparato “scusami ma stavo per fare un bagno..”
Midge si affacciò nel bagno e lo vide sbarazzarsi delle fiale nel cestino della spazzatura e rimase paralizzata, in tutti questi mesi non aveva mai pensato più a quella borsa nera, lo aveva sempre trovato bene, pensava fosse pulito, non ne avevano più parlato.
“Lenny…” disse a bassa voce guardandolo dalla porta. Lui si girò di scatto “Midge…scusami..io..”
Midge fece un passo indietro “Ti ho disturbato… io…non volevo..vado a casa” Lenny lasciò le cose che aveva in mano e la raggiunse, fermandola prima di uscire “No non andartene, non adesso, per favore..”
Midge lo guardò, gli occhi lucidi, non riusciva a pronunciare più una parola, Lenny riconobbe la delusione nel suo volto e abbassò lo sguardo
“è venuta tua madre alla mia esibizione stasera…”
“C…cosa?”
“mi ha chiesto delle droghe…” alzò lo sguardo, si passò una mano sul volto “mi ha chiesto di disintossicarmi, per te, per noi..”
“Non devi..” Midge lo disse senza rifletterci troppo, senza sapere realmente cosa dire
“Non devi disintossicarti…voglio dire… non devi farlo se non vuoi.”
“Posso assicurarti che non ci riuscirei se non lo volessi”
“e lo vuoi?”
Lenny sospirò “Io non lo so, io, è difficile, è….è qualcosa di cui ho bisogno, stavo per farmi prima che bussassi….ma adesso non ne ho più bisogno, ora che sei qui”
Midge gli posò le mani sul volto “Lenny….io, una parte di me, avrebbe preferito ignorarli e continuare fin dove saremmo arrivati….”
“Siamo arrivati al punto di essere innamorati, Midge, io non so se riuscirò a migliorare, ma tua madre stasera mi ha fatto sentire come…” le parole si spezzarono, un nodo in gola rese la sua voce tremolante “io, non voglio farti del male”
Midge gli diede un bacio leggero “Non me ne farai, lo affronteremo insieme…vuoi affrontarlo insieme?”
Lenny annuì, ricambiando con un altro bacio “tu mi dai la forza di affrontare qualsiasi cosa, ma, se vedi che non ci riesco, se vedi che ti sto tirando giù nei miei guai, per favore….lasciami andare, non farti del male per salvarmi, promettimelo”
Midge lo guardò, vide i suoi occhi lucidi, sentì la sua voce spezzata, avvolse le braccia intorno al suo collo e lo abbracciò forte, Lenny ricambiò la stretta “te lo prometto, ma prima di lasciarti andare farò di tutto per tenerti…non posso farne a meno”
Lenny soffocò un singhiozzo e le lacrime scesero ad entrambi, si strinsero forte finchè non si calmarono.
Quella notte non fecero l’amore, quella notte dormirono abbracciati, avevano la necessità di sentirsi vicini, prendendosi cura l’uno dell’altro, cercando di dimenticare le preoccupazioni e cercando di immaginare il loro futuro insieme. L’unica cosa certa era il loro legame, qualcosa che sicuramente sarebbe restato indissolubile, qualsiasi sia il loro futuro.
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mucillo · 3 years
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C'era una volta una mela a cavallo di una foglia
Cavalca, cavalca, cavalca
Insieme attraversarono il mare
Impararono a nuotare
Arrivati in cima al mare, dove il mondo diventa mancino
La mela lasciò il suo vecchio vestito e prese l'abito da sposa più rosso, più rosso
La foglia sorrise, era la prima volta di ogni cosa
Riprese la mela in braccio, e partirono
Giunsero in un paese giallo di grano pieno di gente felice
Pieno di gente felice
Si unirono a quella gente e scesero cantando fino alla grande piazza
Qui altra gente si unì al coro
"Ma dove siamo? Ma dove siamo?"
Chiese la mela
"Se pensi che il mondo sia piatto allora sei arrivata alla fine del mondo
Se credi che il mondo sia tondo allora sali, e incomincia un girotondo"
E la mela salì, salì, salì, salì, salì
La foglia invece salutò, salutò, salutò
Rientrò nel mare e nessuno la vide più
Forse per lei, mah, il mondo era ancora piatto
In cima al mare, dove il mondo diventa mancino
Se credi che il mondo sia tondo, allora sali, sali
Incomincia il girotondo
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ballata · 3 years
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Da #gliaudaci di#robertonicolettiballatibonaffini #leruditaeditrice Il Labyrinth era una discoteca molto alla moda durante l’età del bronzo. Ci venivano da tutto il mondo allora conosciuto e per entrare dovevi stare in lista, oppure potevi raccomandarti anche a Giove in persona, ma non ti faceva passare. Alla porta c’era proprio lui, Minos il Minotauro. Minos era cortese e professionale ma fermo e se decideva che non potevi entrare – perché eri vestito male oppure di rosso, o semplicemente non gli andavi a genio perché eri spagnolo, e si sa che ai tori gli spagnoli stanno sul cazzo – non c’era nulla che lo avrebbe convinto a farti entrare. Noi ragazzi andavamo d’accordo con lui e instaurammo fin da subito una buona amicizia. Stefano Mars, che anche da ragazzo era un pallone gonfiato, gli lasciava certe mance esorbitanti per scusarsi di tutta la gente che pestava perché fissavano la sua Similla; mance che neanche al Bi-Dracmier, una disco dance per semidèi arricchiti sull’insula Sardinia, vedevano. Così, tra tutti i denari devoluti da Stefano Mars, un cocktail dietro l’altro, una rissa da bar e una storia infinita con un tizio per un capriccio su un gomitolo di lana rosso sparso per tutto il “the Labyrinth”, tutti noi crescemmo. Noi quattro tornammo a Roma e lui fece strada fino a diventare – da dipendente – il proprietario di quel locale dalle mille stanze. (presso Labirinto.) https://www.instagram.com/p/CXaxi58qkkn/?utm_medium=tumblr
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armoniaprivata · 3 years
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Gelosia
Era nell'aria da tempo.
Da quando stiamo insieme, circa sei mesi, qualche volta nei nostri giochi e nelle nostre fantasie sono entrate altre coppie, o uomini o
donne non ben identificati, storie fatte un po' per ridere e un po' per eccitarci e, la visita ad un club privé, è stata sempre messa in preventivo.
Cosi questa mattina gliel'ho detto candidamente:
"Elena stasera andiamo al privé?"
Lei, divertita e un po' ironica come al solito, mi risponde: "Mi farai scopare da dieci maschiacci?"
"Perché no? Se ti piace l'idea..."
"Idiota"
Ridiamo insieme e, mentre mi abbraccia, con una mano arriva a toccare il mio sesso, a voler capire se fosse una scusa per far l'amore, un
pretesto.
Ci è sempre piaciuto fantasticare su una donna che la stuzzichi, ed a me piacerebbe da morire vederle e magari, mentre "giocano",  io farei sesso con Elena.
Una fantasia ben radicata nella mia mente. Il discorso cade lì, ma mi ripropongo di riprenderlo nel pomeriggio. Sono le sette di sera quando e ci stiamo preparando per uscire a cena. È il momento giusto e le ripeto la domanda. Questa volta capisce che sono serio, e che stamattina non stavo scherzando.
E' perplessa ma, appena avute tutte le raccomandazioni del caso, accetta.
Cambio di programma allora. Cena veloce a casa con un silenzio molto rumoroso, ma anche eccitazione per una trasgressione mai fatta prima.
Arrivano le dieci e mi chiede come vestirsi.
"Devi essere la più figa di tutte, come sempre"
Sorride, le piace essere al centro delle mie attenzioni.
"Che ne dici del completo in latex? Quello cortissimo? E sopra, l'impermeabile nero, quello che usiamo per andare in giro quando sotto sei completamente nuda! Che ne pensi?"
"Si. Si può fare"
La osservo mentre si veste.
Scelta perizoma.
Apre il primo cassetto del mobile della camera da letto. Decine e decine di perizoma che spuntano.
Il forziere del mio tesoro. E lei è il mio gioiello più prezioso. Comincia a scegliere e a provare.
"Non metterlo. Ti voglio stramaledettamente porca, per la gioia dei miei occhi"
Mi guarda fisso negli occhi, e un misto di amore esensualità mi colpiscono.
Si avvicina e mi stampa un bacio sulle labbra sussurrando:
"Allora sarò porca come piace a te."
Si siede sul letto.
Scelta autoreggenti.
Calze a rete leggere, con
grosso elastico decorato che rimarrà in bella vista sotto il
miniabito.
Arrapante.
Apre l'armadio e prende la scatola in basso a sinistra, la scatola dei nostri giochi, la scatola delle nostre perversioni.
L'apre ed ecco apparire il micro abito in latex. L'abbiamo usato solo una volta, appena comprato, circa tre mesi fa.
Via un po' di polvere ed ecco che lo indossa.
Le calza a pennello e le fa delle curve spettacolari: vita stretta, fianchi precisi, rotondi. Scollatura davanti chiusa da lacci che le stringono il seno e lo comprimono.
Eccitantissimo.
La aiuto a chiudere la lampo posteriore e noto con stupore che è veramente
cortissimo.
Non lo ricordavo minimamente.
Praticamente sopra c'è scritto
"Scopami".
Prende l'altra scatola, quella con gli stivali. Comincia ad
indossarli, non senza difficoltà, ma le calzano come fossero una seconda pelle.
Da leccare.
Passa agli accessori: come ornamento per il collo mette una fascettina di raso nera, mentre, come orecchini, usa due piccoli fili argentati.
Di classe.
Si lega i capelli dietro, con una coda lunga e molto sexy. Selvaggia. La copia sensuale di Eva Kant.
Ora è pronta, si alza e, già sapendo la risposta, mi domanda:
"Sono abbastanza figa così?"
"Quasi quasi non usciamo più, ci ho ripensato e ti butto sul lettone!"
Ridiamo.
Indossiamo i nostri soprabiti e usciamo.
Entriamo nell'ascensore e mi avvicino per baciarla, ma si scosta, usando come
pretesto che le si sarebbe tolto il rossetto appena messo. Colore rosso deciso!
Accetto controvoglia e proseguiamo.
Saliamo in auto e ci avviamo.
"Ci vorranno circa trenta minuti per arrivare".
Dopo una decina di minuti si sbottona il soprabito, come se mi volesse invitare a fare qualcosa, mi fissa e sorride. L'invito è troppo goloso e comincio ad accarezzarle le cosce. Divento sempre più ardito e comincio ad avvicinarmi al pube. Il suo miniabito mi permette di "giocare" senza problemi e, per aiutarmi, allarga un po' di più le gambe e scivola un pochino più in basso sul sedile; è più comoda nel sentire il suo piacere.
Ora posso toccarle senza problemi il clitoride e infilarle anche un paio di dita senza problemi.
Il suo sesso liquido la contorce e, per il piacere, si morde il labbro superiore.
"Ma non è che andiamo a finire fuori strada?"
Mi domanda con voce rotta dal godere.
"Speriamo di non andare addosso a nessuno, altrimenti come faremo a spiegargli come sei vestita?"
Ridiamo insieme.
Siamo giunti a destinazione. Imbocco il cancello segnalato dalle fiaccole e percorro il viale selciato fino al parcheggio.
Non ci sono molte auto, ma in compenso sono tutte di grossa cilindrata. La nostra, in confronto, sembra pronta per la demolizione. Parcheggio, scendo dall'auto e da buon cavaliere le vado ad aprire la portiera. Rimane meravigliata e stupita e mi ringrazia in francese: "Mercì beaucoup".
Le rispondo a modo mio: "Enchantè mademoiselle"
Ridiamo di nuovo insieme.
C'è un misto di allegria e complicità tra noi. Le è sempre piaciuto ridere e questo è un motivo per cui stiamo insieme.
La faccio ridere e la faccio sentire bene.
Entriamo e comincio a scrutare l'ambiente. L'ingresso è luminoso e ci avviciniamo alla reception. Ci chiedono di mostrar loro la tessera di soci e, appena
scoperto che siamo "novizi", ci fanno compilare dei moduli e ci danno tutte le notizie e ci istruiscono sui comportamenti.
Dopo mezz'ora di nenia e dopo che si è formata una fila alla cassa, tra cui quattro ragazzi e due coppie che già allegramente si baciano tutti insieme, passiamo al guardaroba.
Appena Elena si toglie l'impermeabile un misto di
gelosia e di piacere si danno battaglia in me. Vedo gli occhi dei ragazzi dietro noi che la stanno spogliando con lo sguardo e stanno abusando della sua bellezza. Ora ho paura che se la portino via, sento il freddo della gelosia e della paura che mi attanaglia. Dentro me penso che, forse, venire qui è stato un errore...
Proseguiamo.
L'ingresso della sala è ampio e scuro, un sordo rumore di musica nell'aria ma, appena un inserviente ci apre la porta della sala discoteca, siamo avvolti e inghiottiti dalle note musicali ad alto volume. Entriamo sorridenti e affascinati dallo sfarzo del posto. Molte persone ballano ed alcune donne che si esibiscono in eccitanti lap-dance.
La fisso negli occhi, la prendo per mano e la porto in mezzo alla sala. E' bellissima e voglio ballare con lei, voglio che la vedano tutti.
E' eccitante vederla ballare con quel vestito, e vedo che anche gli altri la guardano e commentano fra di loro.
Dopo alcuni tentativi di approccio, anche di cattivo gusto, ci andiamo ad accomodare su un divanetto rosso. Ci sediamo e noto che, appesi ai muri, ci sono centinaia di quadri di natura erotica e che, in ogni posto e in ogni dove, è pieno di kleenex.. Sorridiamo, facendo un paio di battute sulla mania della pulizia. Ci si avvicina una coppia all'apparenza nostra coetanea e chiede se possono accomodarsi vicino a noi.
"Naturalmente" è la mia risposta.
Si presentano e noi facciamo altrettanto, e cominciamo a parlare del più e del meno, per rompere il ghiaccio. Lei è una ragazza molto bella: bionda, occhi azzurri, labbra carnose e peccaminose. Il suo vestito è molto scollato e si nota che è senza reggiseno come Elena.
Porta una quarta, è molto abbondante di seno ed Elena sa che una donna cosi mi piace molto. Avrà una trentina d'anni, li porta bene ma non è molto alta, al massimo arriverà al metro e settanta grazie ai dieci
centimetri di tacco che le guarniscono una caviglia sottile; nulla a che vedere con la però.
In piedi Elena è alta come me. i suoi piedi e le sue gambe sono inguainate da stivali col tacco alto undici centimetri.
Da vertigini.
Lui, invece, è un uomo sulla quarantina, rasato a zero come la moda impone, con una giacca e una camicia firmate e con un paio di mocassini di pelle che, nell'insieme, mi fanno pensare che sia un imprenditore o qualcosa del genere.
Faccio un confronto con
me stesso. Io jeans e camicia fuori. Al massimo sembro un impiegato di quarto livello. Mentre chiacchieriamo vedo le occhiate dell'uomo
insinuarsi tra le gambe di Elena; cerco di intromettermi, mi alzo, faccio un po' di confusione per distoglierlo dal suo fare.
Ancora gelosia.
Ancora stupore in me.
Niente, continua a guardarla lì e lei non sembra affatto indispettita, anzi allarga leggermente le gambe affinché Fulvio, mi pare quello il suo nome, possa sbirciare meglio.
Gelosia, ma anche piacere nel constatare che Elena è desiderata da altri. Fulvio e Gloria ci spiegano come funziona il locale, e ci fanno notare che ci sono delle camere preposte a fare
sesso, dove i singoli possono solo guardare attraverso delle grate e possono entrare solo se invitati da una coppia. Gloria si alza dal divanetto, si avvicina a me e mettendomi una mano sulla gamba mi chiede se vogliamo andare a provare una di quelle stanze tutti e quattro insieme.
Le rispondo affermativamente ma che, al momento, non vogliamo fare assolutamente uno scambio di coppia. Mi sale l'idea di fare sesso con Elena, mentre gli altri ci guardano e mentre noi guardiamo altri che scopano. Siamo al centro del mondo. Ci guardano e desiderano, ma solo noi decidiamo il gioco. Sento uno strano potere in me.
Ci alziamo e ci avviamo al piano superiore. La musica dietro di noi si fa più debole. Ora sento solo il mio cuore battere e domando a Elena
cosa ne pensa.
"Ti scoperò come non ho mai fatto!"
Mi fulmina con i suoi occhi verdi.
Diabolica espressione.
Mai vista cosi, sembra eccitata come non mai, forse solo quella volta che ci
siamo messi a fare sesso al terrazzo del Gianicolo con la gente che passava e che non capiva se quello che vedeva fosse realtà o immaginazione. Ora la mia sensazione di potere si trasforma in paura.
Mi volto e vedo una decina di uomini seguirci, alcuni con le mani sopra la patta dei pantaloni, i più sfacciati addirittura dentro. Arriviamo in un corridoio dove ci sono molte stanze. Ognuna ha il suo nome e il suo tema: Kamasutra, Etrusca, Olimpo, Antica Roma, S/M, Medioevo,
Inferno.
Ognuna, sicuramente, ha la sua storia da raccontare.
Ci dirigiamo, o meglio Fulvio ci conduce in quella che per lui è la sua preferita: Kamasutra.
Una porta rossa, grande, contornata da colonne
romane o greche. Non le riesco a distinguere perché l'architettura non è mai stata il mio forte.
Poco più in là le famose grate. Fulvio fa entrare prima le donne e poi fa passare me, entra e chiude la porta.
Appena entrato il blu mi acceca, la luce è soffusa, ma si riflette nei miei occhi attraverso il grande specchio che ho di fronte. Alle altre
due pareti quadri di Manara mi fanno capire il perché del nome della stanza. Ora mi sento un po' in imbarazzo mentre i nostri due "amici"
cominciano a scambiarsi effusioni. Le mani di Gloria cominciano a sbottonare la camicia e slacciare la cravatta di Fulvio. Lui invece comincia a levarsi la giacca. Io guardo Elena, i suoi occhi sono sempre diabolici e mi si avvicina all'orecchio e mi dice:
"Spogliati amore che stanotte ti faccio rinascere!" e, mentre lo fa, mi da un piccolo morso al lobo dell'orecchio destro. La mia mente è confusa ed eccitata; le salterei addosso e me la scoperei, ma penso
anche alla grossa quantità di sperma che quel letto e quel divanetto hanno dovuto subire.
Cazzo sono confuso.
Mi volto di nuovo e ora vedo
anche i sei uomini di prima che si masturbano allegramente bofonchiando
qualcosa.
Mi gira la testa mentre mi si avvicina Elena e mi da un bacio passionale spingendomi la lingua in bocca. Gloria è rimasta in perizoma e sbottona i pantaloni al suo partner mentre lui bacia e morde il suo seno e i suoi capezzoli ambrati. Le sue areole sono scure e grosse come quelle di una ragazza mulatta e il suo capezzolo largo ma non lungo. Ora che ha finito il suo lavoro si inginocchia davanti a Fulvio e gli sfila il cazzo dalle mutande.
Comincia a prenderlo in
bocca mentre mi guarda fisso negli occhi. Elena non si spoglia, d'altronde quel vestito è stato indossato per quel motivo. Mi prende
per mano e mi conduce vicino al divanetto. Si siede e comincia a slacciarmi i jeans. Gloria continua a muoversi sul cazzo del suo compagno, ma i suoi occhi sono fissi su di me, per farmi eccitare, per
farmi forse andare da lei affinché le faccia leccare anche il mio.
Elena imita la sua nuova amica, e mi guarda negli occhi. Vede che il mio sguardo è fisso sull'altra e, mentre continua a masturbarmi, mi chiede se voglio che Gloria la aiuti nel suo lavoro. Mi volto e guardandola fissa nel suo verde, le confermo che non la cambierei con nessuna donna al mondo.
Gloria intanto si stacca da Fulvio e si avvicina a me, come se telepaticamente avesse colto l'invito.
Ora lei è dietro di me, in piedi, e mi passa una mano sul sedere scoperto; passa un dito nel solco e con la punta delle dita arriva a toccare i
miei testicoli: "Posso giocare con voi?" chiede guardando Elena.
Il diavolo che si è impossessato di lei risponde affermativamente. Mi fanno sedere sul divanetto e cominciano a leccarmi in due; vedo le loro lingue toccarsi più volte, e forse non solo per caso. Elena lo riprende in bocca, mentre l'altra si dedica con minuziosità assoluta ai miei testicoli.
Fulvio è nell'angolo che si masturba da solo, e ci osserva divertito.
La mia mente comincia a pensare, troppo per quel momento.
Già immagino che lui chieda di fare la stessa cosa a Elena, e mentre vedo che Gloria
sprofonda tutto il mio cazzo nella sua gola, la vedo alzarsi e dirigersi verso l'altro. Gli altri al di fuori della stanza continuano a masturbarsi, chiedendo di poter partecipare a scopare "queste due gran troie".
Così le chiamano.
Un no si alza flebile dalla mia bocca, ma è troppo basso il mio tono, o forse è stato detto soltanto dalla mia mente. Vedo Elena che si inginocchia davanti a lui e che comincia a toccarlo, comincia a leccargli la cappella e poi tutta l'asta. La mia eccitazione cresce, incredibile.
Non pensavo che vederla spompinare un altro provocasse tanto piacere in me. Gloria continua a lavorare sul mio cazzo, se lo passa sulle areole e sui capezzoli. Mi chiede se voglio scoparla. Non so cosa le ho risposto, so solo che si è alzata e mi si è seduta sopra. Il suo culo ha inghiottito il mio cazzo senza problemi; comincia a cavalcarmi, ma il mio sguardo è solo per Elena,
che continua a spompinare quel bastardo.
So che fra un po' anche lui se
la scoperà, ma non riesco a fermarli. Non riesco e non voglio.
I nostri sguardi si incrociano e vedo che le sue labbra mi sussurrano "Ti amo".
Si alza, appoggia le mani alla testa del divano, alza una gamba e mi fa godere del suo spettacolo. Il bastardo è dietro di lei e comincia a leccarla. Ora Elena mi guarda attraverso lo specchio e
controlla che ancora mi stia inculando la porca. Vedo Fulvio alzarsi e infilarsi un preservativo e affondare il suo cazzo dentro di lei. Geme, e ogni gemito è una spada che mi trafigge lo stomaco.
Mi sento trafitto, ferito, e intanto mi inculo questa tizia che non conosco e che vorrei non aver mai conosciuto. Un paio di minuti e non ce la faccio più, faccio alzare Gloria, che mi guarda sbigottita, vado verso Fulvio che continua a spingere il suo sesso dentro di lei.
"Lascia! Ora abbiamo finito di giocare"
Lei si volta, e ancora il suo
volto diabolico mi guarda e mi sfida.
"Inculami".
Non me lo faccio ripetere e in quella posizione, una volta scansato il "bastardo", la penetro con forza, quasi con rabbia. Sento il piacere
crescere in lei, ad ogni spinta violenta inarca sempre di più la schiena, abbassa il culo per goderne appieno.
La scopo e dallo specchio vedo la coppia che ora tromba allegramente dall'altra parte della stanza, mentre i masturbatori incalliti fuori della stanza sono ancora lì, nel pieno della loro attività, nel pieno delle loro godute e sborrate. Io ora non penso a niente, voglio solo Elena, e scopiamo. Si masturba mentre cede sotto i miei colpi, sento che sta per venire e anch'io sto per farlo. Il suo urlo di piacere si diffonde nella stanza mentre il mio seme le inonda completamente lo sfintere.
Ci rilassiamo per un paio di secondi, sfilo il mio cazzo e un rivolo di sperma le esce dal buchino. Mi inginocchio dietro di lei e la pulisco con la lingua; le lecco anche la fica per assaporare i suoi umori, mentre i suoi occhi sognanti mi ripetono in silenzio l'affermazione fatta poco prima.
"Ti amo anch'io Elena."
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Lo sciakuddhi, il folletto dispettoso del Salento
il folletto salentino, visto da Daniele Bianco
  di Paolo Vincenti
Lo sciakùddhi, o sciacuddhi, è la maschera popolare del Carnevale della Grecìa salentina, protagonista delle colorate sfilate in maschera che si tengono nei giorni carnascialeschi. È un termine greco-salentino col quale si indica un curioso folletto, esponente di quell’immenso patrimonio che sono le tradizioni popolari del nostro territorio, abitato da molte altre maschere o “spauracchi”, quali la catta scianara, l’uomo nero, le macare, il Nanni Orcu, ecc.  Lo sciakùddhi è conosciuto sotto nomi diversi non solo negli altri comuni del Salento ma anche in tutta la vasta area meridionale italiana. Nella fantasia popolare, esso è un folletto, molto piccolo, bruttino, fosco, peloso, vestito di panno e con un buffo cappellino in testa; in genere scalzo, smanioso di possedere un paio di scarpette, quindi riconoscente nei confronti di coloro che gliele donano, ai quali regala un gruzzolo di monete sonanti o indica il luogo dove si trova nascosto un tesoro, l’acchiatura. Ha l’abitudine di saltare di notte sul letto delle case che visita, raggomitolandosi sul petto del dormiente e dandogli un senso di soffocamento, poiché esercita una forte pressione; e probabilmente, proprio dalla voce dialettale carcare, ossia “premere”, deriva carcaluru, nome con cui è più conosciuto nel nord Salento.  Per la verità, questo che stiamo descrivendo è propriamente il tipo dello scazzamurrieddhu, assimilato allo sciakùddhi, mentre lu moniceddhu è raffigurato come un uomo piccolissimo, vestito con un abito da frate ed è considerato uno spiritello più bizzarro e scherzoso che cattivo, come è invece  lu scazzamurrieddhu : “piccin piccino, gobetto, con gambe un  po’ marcate in fuori, è peloso in tutta la persona, gli copre il capo un piccolo cappelletto a larghe tese e indossa una corta tunica affibbiata alla cintola”, come  ci informa il Castromediano.
Vi è almeno una trentina di modi in cui è chiamato questo folletto: oltre a quelli già citati, asciakùddhi, variante di sciakùddhi, nella Grecìa Salentina, soprattutto a Martano; àuru, nelle varianti lauru e laurieddhu, a Lecce; diaulicchiu o fraulicchiu, o, più raro, piccinneddhu, nel medio Salento; scarcagnulu, diffuso nel Capo di Leuca; altrove anche uru, urulu, ecc.
Per il Rohlfs, sciacuddhi /sciaguddhi è un folletto ed anche un incubo; il suo nome verrebbe dal greco σκιαούλον, ossia “piccolo spettro”, da σκιά ,“ombra”, con influsso del latino augurium. In altre aree del Salento si ha però, come abbiamo detto, anche scazzamurreddhu, scazzamaurrieddhu, che secondo il Vocabolario dei dialetti salentini vale “spirito, folletto” e “incubo”. L’origine si trova in un cazzamurreddhu che, oltre a presentare l’aspetto di una parola composta, si mostra anche congruente col francese cauchemar. La somiglianza non è sfuggita a Rohlfs, che infatti rimanda la nostra forma a un composto tra la voce dialettale cazzare, “schiacciare”, e il germanico mara, “fantasma”. Nonostante la voce salentina (e meridionale) presenti un vocalismo e uno sviluppo morfologico più tipico, l’origine di questo secondo elemento è rafforzata dal primo, visto che TLFI (Trèsor de la langue francaise informatisè) ritiene che il francese cauche dipenda proprio da un latino calcare, “schiacciare” e, in sintonia con la proposta di OED (Oxford English Dictionary on line) per l’inglese nightmare, riconduce il francese mar a forme di tipo mare, “spettro” presenti in neerlandese, tedesco e inglese antico.
Munacceddhu e animali, visto da Daniele Bianco
  A Napoli, “o munaciello” è quasi una maschera popolare; ma, a differenza del monaciello napoletano, che miracolosamente nacque dalla bella Mariuccia e dall’ottantenne doli Salvatore, come informa Giovan Battista Basile nel Cunto de li cunti, lu scazzamurrieddhu salentino non ha lasciato traccia della sua venuta al mondo. Può essere lo spirito di un bambino morto senza aver ricevuto il battesimo, come il monachicchio, l’omologo lucano del nostro moniceddhu, di cui parla Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli. Oppure, questo spirito lo si credeva sprigionato dal fumo delle carcare (da cui, forse, un’altra etimologia per carcaluru), nelle quali si produceva la calce utilizzata per le costruzioni. Dal fumo della calce ribollente, veniva fuori l’astuto folletto e guai alla casa che prendeva di mira, nella quale si intrufolava passando dal camino, e guai agli abitanti della stessa, che venivano svegliati di soprassalto dallo scazzamurrieddhu, il quale in questo modo, sonoramente, sottolineava il proprio arrivo. Certo, il comitato di benvenuto che il furbo carcaluro si sarebbe aspettato di trovare al suo arrivo non era proprio la “festa” che gli arrabbiatissimi famigliari, svegliati di soprassalto, gli volevano fare. Il Nostro è dunque un nano, categoria dalla quale ha attinto molta letteratura per l’infanzia e in ispecie le fiabe (pensiamo, su tutti, a Biancaneve e i sette nani).
Il primo e il più famoso di questi nani è lu cumpare Sangiunazzeddhu, così chiamato perché piccolissimo quasi quanto un sanguinaccio, secondo il Castromediano. Sangiunazzeddhu sta per Sanguinello e la derivazione forse più attendibile di questo termine, secondo Rossella Barletta, è quella di Silvanus, una divinità agreste della mitologia romana che più tardi il popolo convertì in una specie di folletto.
A volte, egli può volgere la sua attenzione agli animali: di notte striglia, abbevera i cavalli e gli asini nelle stalle, oppure li bastona; può vedere di buon occhio il cavallo e mal vedere l’asino, e allora toglie la biada all’uno e la porta all’altro. Una volta infilatosi in casa dal camino, comincia a compiere una serie di scherzetti anche pesanti: nasconde o cambia la disposizione degli oggetti, rompe piatti, bottiglie, bicchieri, producendo un gran frastuono, facendo sobbalzare nel letto i componenti della famiglia. Guai se vi è un ospite sgradito in casa: lu moniceddhu comincia a premergli il petto fino a toglierli il respiro. Ma se l’oppresso riesce a vincere l’affanno e a catturare il folletto, prendendolo per il ciuffetto e tenendolo fermamente, allora il dispettoso spiritello piange e prega e tutto promette per riavere la libertà.
disegno di Daniele Bianco
  Un altro modo per sottometterlo è impadronirsi del suo berretto rosso, lu cappeddhuzzu. Senza il suo copricapo, il folletto non può vivere e per riaverlo promette di rivelare ai padroni della casa il luogo in cui si trova un’acchiatura. Ciò può essere un tranello e, per ritrovare questo fantomatico tesoro, l’uomo può cacciarsi in grossi guai, sempre che il folletto non sia nel frattempo scappato, dopo aver ricevuto il suo cappeddhuzzu, senza rivelare alcun nascondiglio. Essendo un burlone, se gli si chiede denaro, egli colma la casa di cocci; se invece gli si chiedono cocci, egli dà il denaro. “E’ uno di quei folletti”, dice ancora il Castromediano, “tra il bizzarro e l’impertinente, tra lo stizzoso e lo scherzevole, cattivo con chi lo ostacola o sveli le sue furberie, benefico con chi usa tolleranza”.
Frequentando le stalle, può succedere che si innamori di un’asina o di una cavalla ed allora è tutto premure e dolcezze. Pettina e lucida il crine o la coda della cavalla di cui è innamorato e, a questa soltanto, porta tutta la biada, sottraendola agli altri animali, che diventano sempre più rinsecchiti, per somma disperazione dello stalliere che non riesce a darsi una spiegazione per lo strano fenomeno. La famiglia che abita la casa visitata dal nanetto, a causa della sua presenza ossessiva e fastidiosissima, può anche decidere di cambiare casa; sempre che il terribile folletto non decida di seguire le sue vittime nella nuova abitazione.
Fra i vari dispetti, il peggior male è, senz’altro, quello di non dormire la notte o di dormire male, con un sonno agitato dagli incubi. C’è un altro rimedio per tenerlo lontano: si può apporre ad un arco o alla sommità della porta principale della casa un paio di corna di bue o di montone, di cui il folletto ha una paura tremenda. Come visto, un altro nome con cui viene indicato dalle parti di Lecce è lauru o auru, auricchiu nel suo diminutivo. Secondo Rossella Barletta, l’origine del termine auro deriva da “augurio”, dal latino augurium, derivato da augur, cioè “augure”, intendendo con questo termine quei sacerdoti che, nella religione romana arcaica, divinavano la volontà degli déi attraverso la lettura dei segni celesti o anche attraverso il canto o il volo, oppure ancora le interiora, degli uccelli. Ma il termine “augurio”, nella nostra lingua, è collegato con qualcosa di positivo, un buon auspicio, e questo ci fa pensare alla componente buona, o almeno duale, del carattere di questo folletto-divinità della casa. Maurizio Nocera individua un’altra etimologia per laurieddhu: “Le due parole (Laurieddhu e Monachicco) non sono in contraddizione fra di loro, anzi: Laurieddhu si riferisce al luogo e ha la sua origine etimologica da laura, grotta naturale, spesso usata nel primo millennio d. C. dai monaci bizantini per i loro ritiri, per pregare ed anche per dormire. In Salento le laure basiliane sono molte tuttora visitabili. Monachicco invece significa appunto piccolo monaco, che vive nella laura”.
Ricorda, Nocera, le sue paure di bambino nel piccolo paese agricolo (Tuglie) in cui è nato: “La mia paura era legata soprattutto al buio e ai racconti che si facevano intorno a questo elemento della natura. Una volta andati a letto, ai bambini si raccomandava di mettersi sotto le coperte e di non mettere mai fuori la testa da esse, pena l’arrivo del laurieddhu e gli scherzi di cattivo gusto che egli avrebbe potuto fare. A ciò vanno aggiunte le paure derivanti dai racconti legati all’apparizione di anime morte o comunque di spiriti maligni. Ovviamente da bambino anch’io ho creduto a tutto ciò, e non dimentico il terrore che avevo per questo strano spiritello. Il mio lettino stava affianco a quello di mio fratello più grande, oltre al quale c’era il camino, di giorno acceso, di notte spento. Una volta coricato e messa la testa sotto le coperte, l’immagine della mente più appariscente che mi si presentava era sempre quella della bocca del camino nero, dal quale poteva uscire lo gnomo dispettoso o qualche anima morta. Terrore e tremore fino a che il sonno non vinceva. Da adulti, mio fratello mi ha ricordato che durante quella prima fase di sonno ipnagogico, parlavo molto, a volte gridavo anche, e le parole che scandivo erano sempre rivolte allo gnomo affinché stesse lontano da me. Paure di bambino scaturite dalla narrazione.
Oggi di tutta questa leggenda sono rimasti solo i racconti”. Fatto sta che, nonostante la disponibilità di contributi autorevoli di figure di spicco della cultura salentina, deve ancora allestirsi una bibliografia sugli esseri immaginari salentini, anche in relazione a quelli di altre aree dello spazio mediterraneo.
Per trovare l’origine degli scazzamurrieddhi, secondo noi, si può certamente risalire ai Lares, ai Penates e ai Manes, le divinità domestiche della casa romana. Nella religione romana, i Lares erano protettori di uno spazio fisico ben preciso e circoscritto, la casa appunto. Ad essi si portavano delle offerte, come un grappolo d’uva, una corona di fiori o cibarie. Il Lar Familiaris è invocato da Catone nel De agri cultura e da Plauto nell’Aulularia. I Penati erano, etimologicamente, gli dèi del penus, cioè il vano delle provviste. Anch’essi erano i protettori della casa e dei suoi abitanti, in particolare del pater familias. Vi erano poi i Lemures o Manes, cioè gli spiriti dei morti. La morte, nell’antica Roma, veniva ritenuta contagiosa, funesta, e quindi doveva essere purificata con riti appropriati, come il sacrificio di una scrofa a Cerere. Il lutto durava nove giorni. L’ultimo giorno, si faceva un pasto sulla tomba, poi la pulizia con la scopa e la purificazione della casa e di tutti coloro che avevano assistito alla sepoltura. La famiglia infatti si riteneva contaminata, in qualche modo, dal contatto con la morte. Se ai morti veniva data giusta sepoltura, essi potevano sopravvivere in pace nell’aldilà, altrimenti potevano tornare sulla terra e tormentare i vivi. Questi spettri malefici erano chiamati Larvae e i famigliari venivano da essi tormentati. I Lares ed i Penates non abbandonavano mai la casa e ne proteggevano gli abitanti, mentre i Manes, nella loro forma di Larve, potevano essere avversi. Se dunque affondassero nella mitologia romana le origini dei folletti di casa nostra, ciò fornirebbe anche una spiegazione della loro doppia natura, benevola e malevola.
tavola di Daniele Bianco
  Ringrazio il prof. Antonio Romano per l’ottima consulenza bibliografica.
  BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Saverio La Sorsa, Fiabe e novelle del popolo pugliese, Bari, Casini, 1927.
Idem, Leggende di Puglia, Bari, Levante, 1958.
Giuseppe Gabrieli, Biblioteca del folklore pugliese, Bari, Set,  1931.
Giuseppe Gigli, Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto, ristampa, Bologna, Forni, 1970.
Sigismondo Castromediano, Cavallino: usi costumi e superstizioni, ristampa, Lecce, Capone Editore, 1976.
Gerard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini di Terra d’Otranto, Galatina, Congedo, 1976.
Aa.Vv., Favole e leggende salentine, Bari, Adda Editore, 1977.
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Alice Joisten e Christian Abry, Trois notes sur les fondements du complexe de Primarette. Loups-garous cauchemars, prédations et graisses, in Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n. 30- 1-3, 2002, pp.135-161.
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Mario Alinei, L’étude historique des êtres imaginaires des Alpes, dans le cadre de la théorie de la continuité,  in Les êtres imaginaires dans les recits des Alpes – Actes de la conférence annuelle sur l’activité scientifique du Centre d’Études Francoprovençales, Saint-Nicolas 16-17 décembre 1995, 103-110.
Gian Luigi Beccaria, I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e parole perdute, Torino, Einaudi, 1995.
Sabina Canobbio, Les croquemitaines du Piémont occidental. Premier inventaire, in Le Monde alpin et  rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n.26-2-4, 1998, pp. 67-80.
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Gennaro Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, Torino-Palermo C. Clausen, 1894 (Rist. anast. Cerchio, Polla, 1986).
Aa.Vv., Leggende e tradizioni popolari delle Valli Valdesi, a cura di Arturo Genre e Oriana Bert, Torino, Claudiana, 1977.
Alice Joisten e Christian Abry, Les croquemitaines en Dauphiné et Savoie: l’enquête Charles Joisten, in Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n. 26-2-4, 1998, pp. 21-56.
Êtres fantastiques des Alpes, a cura di Alice Joisten e Christian Abry, Paris, Entente, 1995, (Collezione di Estratti da: Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n.1-4/1992).
Giovanni Ruffino, Fantastiche abitatrici dello spazio domestico nelle credenze popolari alpine e siciliane, in Les êtres imaginaires dans les recits des Alpes – Actes de la conférence annuelle sur l’activité scientifique du Centre d’Études Francoprovençales, Saint-Nicolas 16-17 décembre 1995, 45-50.
Rossella Barletta, Scazzamurrieddhri i folletti di casa nostra, Fasano, Schena Editore, 2002.
Federico Capone, In Salento Usi, costumi, superstizioni, Lecce, Capone Editore, 2003.
Salento da favola storie dimenticate e luoghi ritrovati, a cura di Roberto Guido, Lecce, I libri di Qui Salento, Guitar Edizioni, 2009.
Maurizio Nocera, Il laurieddhu e il culto della papagna nel Salento, in La magia nel Salento, a cura di Gianfranco Mele e Maurizio Nocera, Lecce, Edizioni “Spagine/Fondo Verri”, 2018, pp. 123-136.
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DOPO LA FESTA
Lo svegliò l’odore del caffè e inconsciamente capì subito che doveva essere un caffè fatto in casa. Aprì gli occhi ma vide solo il bianco delle lenzuola e solo il vederlo gli fece venire un gran mal di testa tanto che chiuse gli occhi “Amore ti ho portato il caffè” disse una voce femminile “Che strana voce ha Gessica questa mattina.” Si disse, ascoltando ad occhi chiusi quella voce sottile quasi da bambina. Sentì sulle labbra il bordo della tazzina e presala in mano bevve lentamente “Buonissimo, pensò, proprio come piace a me Gessica questa volta è stata brava” Apri gli occhi sorridendo e si vide davanti il volto di una donna che non aveva mai visto. Era mora con gli occhi scuri, mentre Gessica era bionda con gli occhi chiari, la ragazza indossava un accappatoio chiaro con disegnato degli orsetti e da come era aperto sul davanti, si capiva sia che sotto non indossava nulla sia che aveva una misura di petto tripla di quella di Gessica. Anche il resto del suo corpo era il doppio di quello di Gessica che con i suoi cinquanta chili scarsi sarebbe scomparsa dentro l’indumento. “Che c’è?” Chiese lei vedendo la sua faccia sconcertata. “La luce, mi da fastidio.” Rispose dicendo in parte la verità. “dovevi vedere che mal di testa avevo io quando mi sono svegliata – fece lei sorridendo con aria complice – poi mi sono fatta una doccia ed è passato tutto. Fatti anche tu una doccia, vedrai che starai meglio” Aprì l’anta di un grande armadio tirando fuori un accappatoio con coniglietti Solo allora, alzandosi dal letto, si accorse che era nudo. Guardò le due nudità, che pensò di nascondere tra le mani e poi la ragazza cercando qualche scusa. Lei invece gli passò l’accappatoio e sfiorò con le labbra quelle di lui “Uhmmm – fece lei sotto voce – mi fai venire voglia” e si girò dirigendosi verso la sala su cui, attraverso un disimpegno, si affacciava la stanza da letto. L’ osservò andarsene muovendo il suo di dietro in una maniera tale, che pur di misura XXL aveva un che di aerea civettuoleria con gli orsetti dell’accappatoio che sembrava ballassero il chachacha “Ma che minchia ho fatto? E quanto minchia ho bevuto? Mannaia a mia sembra che non so che non sopporto l’alcool e che poi non mi ricordo nulla!!!” Si chiese preoccupato ed incazzato con se stesso. Andò verso il disimpegno in cui vi era anche la porta del bagno che era un trionfo di rosa e di cornici barocche colmo del profumo di creme rimasto a mezz’aria insieme al vapore. Prima di entrare nella doccia si guardò nello specchio che copriva la porta del bagno. I capelli erano scomposti come se si fosse pettinato con i mortaretti, mentre la faccia sembrava quella di un ‘pizzatu o peggiu, di nu cugghiuni di mulu, tanto era brutta, grinzosa e smorta. Sul petto aveva dei segni come di graffi e li in basso vide delle strisce rosse che pensò preoccupato sangue scoprendo che invece era rossetto Il pensiero andò alla fidanzata. “Che gli dico ora a Gessica?” Entrò nella doccia e aprì l’acqua e solo mentre si insaponava si ricordò un cosa tremenda “Gessica mi ha lasciato!!” restò immobile nella doccia mentre l’acqua calda scendeva in piccoli rivoli sul suo corpo  e lavando la schiuma dall’odore di papaya con cui si era coperto. Ora ricordava! Aveva litigato con Gessica. Anzi no, lei era venuta all’appuntamento che gli aveva chiesto e gli aveva restituito l’anello. “Mi dispiace, ma nun è cosa” “Comu nun è cosa? C’è un altro?” “No, ma nun è cosa, ommai si comu n’amicu: non provo più niente. È come se mi fossi svegliata da un sogno capendo che era un incubo. Devo finire questa farsa prima che ci facciamo male” “Ma come un incubo? C’è un altro?” “No – rispose lei incazzata – non c’è un altro, è che non ci sei tu!” Si girò e se ne andò Lui la rincorse e la fermò “C’ è un altro, troia, non me lo vuoi dire! Come può essere che dopo cinque anni che stiamo insieme prendi e mi lasci così, come si lascia un cane per strada” Lei diventò una belva ed incominciò ad urlare “Non c’è nessuno, sei tu che mi hai rotto, con le tue visite ai parenti, con il parlare di un domani con solo impegni e sacrifici, senza mai pensare a quello che io voglio e a come la penso. Io voglio stare con qualcuno che mi riempia la vita non che me la organizzi! Perciò hai rotto, capito? R-O-T-TO” E l’osservò con gli occhi di una belva. La guardò stupito, chiedendosi se fosse proprio lei quella che chiamava “amorino” o “micettina” e che invece era na rannissima buttana! Reagì quindi come reagiscono tutti gli uomini stupidi: le diede uno schiaffo! Ma all’ultimo momento rallentò la forza dello schiaffo, perché era un gesto contro la sua natura e perché non aveva senso. Perché in fondo l’amava e non poteva farle del male. Lei invece gli restituì lo schiaffo con una violenza tale che dopo aver fatto due giri su sé stesso andò a sbattere contro un albero del marciapiede e scivolò sulla strada finendo sdraiato tra due macchine parcheggiate.  Probabilmente era svenuto perché si ricordò solo la voce di un bambino che diceva “Guarda mamma due piedi” E la madre rispondere, “non toccare è cacca” Si ricordò vagamente che si alzò e sentendosi le guance gonfie per lo schiaffo e il colpo all’albero decise di andare da Mario, un suo amico che abitava li vicino a cui raccontò quello che era successo. Mario gli diede del coglione perché tutti avevano capito che lei lo voleva lasciare, mentre solo lui insisteva a non capire, a voler continuare “ma se due si vogliono bene, si parlano e le cose si risolvono” Si difendeva lui “Ma lei ti parlava in tutti i modi, con il corpo, le allusioni e le parole. Ma tu eri chiù orbu i na littiridda (pipistrello): non hai mai capito na minchia!” Concluse l’amico. Poi ebbe pietà e gli disse che avevano organizzato una festa clandestina in un Palmento verso Santa Teresa, sarebbero andati a divertirsi e dopo due bicchieri di vodka avrebbe sicuramente dimenticato Gessica. Dopo quasi un ora e mezza di macchina finì in un vecchio baglio dove in un magazzino enorme stavano chiusi per via delle limitazioni del Covid, un centinaio di ragazzi che ballavano storditi dalla musica, dalle canne e dall’alcool. A lui bastarono pochi bicchierini di vodka al melone per imballarsi. Si mise a girare per il magazzino pieno di ragazzi, che ballavano agitandosi nella penombra e nella nebbia formata dal fumo denso delle canne. Ballavano stordendosi, accecati da un mitragliare ritmico di raggi laser e assordati dalla musica ossessiva. Ad un certo punto gli sembrò di vedere la forma filiforme di Gessica con la sua chioma bionda e lunga. Pensò che forse era li con il nuovo ragazzo. Furioso si aprì una strada tra la folla per raggiungerla. Dopo aver sgomitato a destra e sinistra la arrivò alle spalle ed era appoggiata ad una botte piena di bicchieri di plastica con altri ragazzi che gli stavano intorno. Le toccò la spalla gridando “Gessica...” pronto a restituire lo schiaffo che aveva ricevuto. Anzi stava quasi per farlo partire quando la bionda si girò mostrando una barba di tre giorni e un naso aquilino che da solo faceva provincia. “Chi Cessica e Cessica? Cammelu sugnu! cu je sta Cessica” Disse seccato il biondo con proboscide “Nenti, nenti, ho sbagliato persona” fece frenando il braccio che stava partendo. “Levati i cà ricchiuni chi finisci male” disse uno alto e grosso quanto un paracarro seduto vicino a Cammelu “Vatinni , chi nun ti mittemu i mani in coddu picchi nun vulemu prublemi” Sottolineò l’uomo elefante. “Na cosa dissi, puru pi sbagghiu” rispose e si allontanò ostentando una faccia cattiva per tener a bada il gruppo. Si spostò di lato sedendosi su uno sgabello accanto un'altra botte, sempre guardando gli amici di Cammelu in cagnesco. “e tu chi sei?” Disse una voce da bambina. Si girò e la vide. Era la classica curvy: faccia da bambola e corpo da lottatore di sumu “Che è una botte riservata anche questa?” Fece lui seccato e rassegnato a non aver più pace. “in teoria si – fece lei tristemente – lei mie amiche mi hanno portato qui per non farmi pensare al mio ragazzo che mi ha lasciato, poi si sono imboscate col primo che trovavano. Ora sono qui, sola, abbandonata da tutti e con la sensazione di essere per sempre una tagliata fuori” “Davvero il tuo ragazzo ti ha lasciato? Anche la mia ragazza mi ha lasciato…” “Benvenuto nel club degli abbandonati” Fece lei alzando un bicchiere di plastica pieno di un liquore rosso. Lui prese un bicchiere di plastica, vi versò i rimasugli dei bicchieri che erano sulla botte e disse serio “Salute” Bevve l’intruglio d’un fiato, facendo una smorfia quando gli arrivò nello stomaco. “e a te perché ti ha lasciato” Chiese lui. “Perché si vergognava di me. Tutti si vergognano di me! Anch’io mi vergogno di me. E a tè perché ti ha lasciato” “Perché non le stavo più bene” “E cioè…?” “L’amore è come un vestito, deve essere della tua taglia, deve essere per come tu vuoi essere. Quando ci siamo conosciuti ero della taglia giusta, formale ed elegante. Ora è cambiata la moda, va il casual ed il cafone. Non le stavo più bene, allora mi ha mandato a fanculo!” Lei lo guardò tutta seria qualche secondo “Ha fatto bene - come se avesse capito fino in fondo il suo discorso – Se un vestito non ci fa sentire a posto, è inutile tenerlo” “lo so, ma io pensavo che quello era il vestito che voleva. Pensavo che stare insieme voleva dire famiglia, figli, cena la domenica, visita alle zie, vedere i mobili per la casa. Per lei stare insieme voleva dire non dover sentire nessuno e divertirsi. A me rompeva le palle visitare quelle mummie delle zie, ma pensavo che doveva essere fatto, che se eravamo fidanzati eravamo parte delle nostre famiglie mentre lei si era fidanzata proprio per scappare di casa” “e perché non ne avete parlato?” “Perché non ci pensavo, credevo che quello era stare insieme. Perché pensavo di fare la cosa giusta invece non avevo capito na minchia!” “ A volte, ognuno vive il suo amore scrivendosi una parte che poi non sa recitare, o non è adatta a lui. Allora invece di trovare un punto d’incontro, una soluzione, si preferisce scappare. Il mio ex ha fatto così e forse anche la tua ha fatto così. ” “Giusto! Per amore uno non dovrebbe levarsi i vestiti, ma le sue ipocrisie e preconcetti” “Parli bene, bravo! Ma allora perché ti sei fatto lasciare?” “Perché la persona saggia capisce il problema prima che capiti, quella stupida capisce tutto solo dopo che è successo il disastro e spesso neanche allora” “Bravo” Disse lei finendo le ultime gocce del bicchiere Lui la guardò come se la vedesse per la prima volta. “Lo sai una cosa? Non ce ne deve fregare niente se ci hanno lasciato! Noi siamo meglio di loro: noi siamo abituati a soffrire! la vita non ci schiaccerà: noi da sfigati abbiamo fatto della sofferenza la nostra corazza” “giusto: siamo come l’aglio, più ne butti giù più ti torna su” Lui la guardò non capendo forse per l’alcool che incominciava a fare effetto. “L’aglio? Chi minchia ci ntrasi” “io nei paragoni ho sempre fatto schifo – poi abbassando gli occhi e arrossendo aggiunse sottovoce – sono stupida” Lo disse con un’aria triste e facendo sporgere il labbro inferiore come fanno le bambine quando stanno quasi per piangere. A lui la faccia triste che mostrò lo fece ridere “Ma quale stupida e stupida vaja: stupido è il mondo che ci vuole tutti brillanti e spiritosi come cocainomani” Carmelu e i neandertaliani che lo accompagnavano, li guardavano scambiandosi battute e grosse risate Lui sentì che era partita un'altra canzone di J-Ax e per evitate problemi con quei vicini trogloditi decise che era meglio spostarsi da dove erano. “Balliamo! Facciamo vedere a tutti che ci siamo anche noi” Le prese la mano e la portò nell’aia che faceva da pista da discoteca e si misero ad agitarsi come presi dalle convulsioni. Poi, come sempre, arrivò un lento e si abbracciarono dondolandosi a destra e sinistra. Lei aveva la testa sulla sua spalla e lui stava valutando l’ipotesi di far scendere la sua mano sul posteriore di lei perché ormai a Gessica non gliene doveva fregare niente. “ Tu  faresti l’amore con me?” “Certo – le rispose – sei una bella ragazza, chi non lo vorrebbe fare?” “mi ricordo che il mio ex diceva che gli facevo schifo, che ero tanto grossa che non riusciva ad abbracciarmi” “I ricordi sono come le banconote fuori corso: possono essere belle o brutte ma in ogni caso non hanno più nessun valore. È inutile che li accumuli, perché non potrai spenderli mai. Lasciali stare i ricordi del tuo ex e pensa che inizi una nuova vita” Lei gli sorrise ed appoggiò la testa sulla sua spalla, ma dopo meno di qualche minuto la risollevò “Scusami, non mi sento bene, voglio….  voglio tornarmene a casa. Grazie della compagnia. Mi ha fatto bene” Lui gli avrebbe anche creduto se dai suoi occhi non fossero partite due lunghe strisce di lacrime. Si staccò da lui e se ne andò quasi barcollando. Vedendola zizzagare tra la folla, lui pensò che dentro di sé lui era come lei, disorientata, amareggiata, offesa, sola, delusa e tutto quello che uno poteva sentire in una simile situazione.  Pensò anche che per come barcollava, sicuramente si sarebbe ammazzata da qualche parte. Non che lui non fosse alticcio, ma lei sicuramente stava peggio di lui. La raggiunse e si mise accanto a lei “vuoi che ti accompagno? Non mi sembra che puoi guidare” “no, no sto bene credimi” Rispose prima di lanciare un urlo perché aveva messo un piede in fallo e stava per cadere. La prese al volo e la portò al parcheggio delle macchine. Questo era tutto quello che ricordava. Il resto, compreso il nome di lei, era da qualche parte nella sua testa, tra l’alcool che ancora non aveva smaltito e il ricordo di Gessica che faceva sempre meno male.
Uscì dal bagno rinfrancato e con l’accappatoio con i coniglietti e le pantofole a forma di coniglio attraversò la sala di fronte alla camera da letto. La sala faceva da salotto sala da pranzo e cucina. A lato della piccola cucina a vista c’era una vetrata che dava su un terrazzo dove sotto una tenda lei (come si chiamava? Anna? Carmela? Assunta?) era seduta ad un tavolo pieno di cibo. Dalla terrazza si vedeva il mare di un blu intenso sotto un cielo di un azzurro slavato e con un silenzio irreale rotto dal rumore di qualche camion o macchina che passava per strada. Si avvicinò seguendo il profumo di uova strapazzate e briosce calde. “Ho preparato qualcosa” Si sedette affamato e incominciò a mangiare tutto quello che gli capitava “Non ho mai avuto tanta fame al mattino” “Forse hai fame perché sono le quattro di sera” “Le quattro? Mamma mia ma quanto abbiamo dormito?” “poco visto che ci siamo addormentati per le sette del mattino, quando è passato il camion della spazzatura” “Ma scusa, siamo usciti alle undici, che abbiamo fatto da quell’ora alle sette?” “Abbiamo fatto! e tanto anche…” Rispose con uno sguardo malizioso Elisa? Alberta? Gianna? Lui la guardò incapace di crederle perché con Gessica amarsi più di mezzora era un record mai raggiunto. “Tutto questo tempo a letto? Incredibile” “Bhe non tutto questo tempo, ti ricordi? Abbiamo iniziato nell’ascensore…” Si ricordò! Improvvisamente si ricordò quando, arrivati a casa di Emanuela? Natalia? Marta?  dopo che lui le aveva parlato in macchina dell’importanza dell’essere sull’apparire, con esempi importanti da Maradona a San Francesco, Filomena? Renata? Marina?  gli chiese se voleva un caffè a casa sua, così poteva aiutarla a cercare le chiavi che non riusciva neanche ad aprire la borsetta. Lui accettò perché nelle ultime curve aveva avuto qualche problema a restare nella sua corsia. Scesero ed entrarono in un piccolo ascensore, tanto piccolo che pur stringendosi riuscivano appena a chiudere le porte. Erano cosi vicini che lui era quasi imbarazzato e per questo disse a Susanna? Concetta? Giulia? “Una volta facevano questi ascensori piccolissimi” Marta? Immacolata? Francesca? Fece la faccia sconsolata “Non è piccolo l’ascensore, sono io che sono grossa, che sono troppo grassa e stupida! A me nessuno mi amerà con la passione e la voglia che danno alle altre, nessuno mi sceglierebbe mai tra tutte le mie amiche o mi farebbe sentire come l’unica donna da amare. Tu parli parli, ma io sarò sempre una delle tante, buona per cinque minuti di sesso e per restare sola con una vita di rimpianti.” Alla luce fioca e tristemente gialla della lampadina, la guardo stupito perché alla fine, tutte le parole dette in macchina e il silenzio con cui le aveva ascoltate, non avevano risolto il nocciolo del suo dolore. Capì che era inutile buttare salvagenti di parole ad un’anima che stava affondando nel mare del suo non amarsi e che doveva tuffarsi in quel mare e andare a riprenderla prima che per sempre scomparisse nei suoi abissi, sfiorendo e inaridendosi. Allora lentamente, si abbassò di poco e delicatamente appoggiò le sue labbra su quelle di lei sfiorandole appena perché lo schiaffo di Gessica gli aveva fatto capire che ad ogni azione corrisponde una reazione contraria e di ugual intensità. “per me non sei una seconda scelta” Le disse con ancora le sue labbra calde delle sue. Alberta? Gaia? Ruth? aveva gli occhi fissi nei suoi come mani tese di un naufrago che spuntano tra le onde. “non so crederci più…” Gli rispose con un filo di voce. Era questo quello che la intristiva quello che aveva ucciso la sua speranza nella vita: aveva perso la sua fede nell’amore. Allora, come un giocatore d’azzardo, decise che doveva puntare tutto quello che poteva, per prendere tutto, o niente. Scese lentamente a toccare quelle di Beatrice? Gaia? Nicole? con le sue labbra semiaperte e a metterci più passione, ma capì subito che quello era un bacio che chiunque poteva dare a chiunque e che non era quello il modo di farle capire che lei, senza essere nessuno, era importantissima, che la vita, non era il dolore che ci poteva dare ma le opportunità che offriva. Allora fece scendere le sue mani sulla sua schiena premendo il suo corpo contro il suo soffice e profumato corpo. Quando le sue mani arrivarono al fondo schiena lo accarezzò lentamente in tutta la sua grande estensione, poi afferrata la sua veste, incominciò a raccoglierla tirandola su lentamente. Intanto la sua lingua era andata a cercare quella di lei invitandola a giocare a seguirla nella sua ricerca del piacere. La veste era ormai tutta nelle sue mani e le sue dita si erano raccolte intorno al filo del suo tanga. Allora incominciò ad abbassarsi lasciando tutta una scia luminosa di baci, sul collo e sul seno di Gloria? Valentina? Marcella? mentre faceva scivolare il suo tanga fino a che non lo lasciò su i suoi piedi. Risali lentamente continuando con i suoi baci sulle ginocchia, sulle tonde cosce, restando nascosto sotto la gonna e da li arrivò fino all’altra bocca di Raimonda? Gioconda?  Ilaria? che baciò nello stesso modo e con la stessa intensità di prima. Emerenziana? Angela? Epifania?  lo aveva seguito nel suo voglioso scendere, prima sorridendo, poi stupita, quindi persa in quanto le stava facendo, abbandonandosi all’ ondata di sensazioni che provava. L’ascensore era ormai al piano e la piccola lampadina si spense. Il buio era riempito solo dal respiro di Martina? Margherita? Rosa? sempre più affannoso, mentre chiudeva gli occhi e il suo respiro aumentava diventando più profondo e ritmico. Piegò la testa all’indietro e con le mani premette la testa di lui sotto il vestito contro il fuoco del suo corpo aiutandolo, muovendo il bacino avanti e indietro, a darle tutto quello che in quel modo voleva dirle sulla vita e sull’amore, ora che apparivano essere una sola cosa. Poi ci fu il rumore di una serratura che si stava aprendo e di corsa si ricomposero, Monica? Federica? Rachele? aprì la porta del piccolo ascensore, lo prese per mano e corse alla porta di casa sua tirandoselo dietro. Si chiuse la porta alle spalle e lo guardò. Lui si avvicino per sentire ancora il calore del suo corpo e Azzurra? Asia? Annarita? lo prese dalla camicia, lo attirò a se e lo baciò come se la sua anima attraverso le sue labbra dovesse scendere dentro di lui a cercare la sua. Non era un bacio, era come quando il sale si scioglieva nell’acqua, ora Pasqualina? Litteria? Epifania? si stava sciogliendo in lui per essere insieme qualcosa di diverso da quanto erano prima, da quello in cui gli altri li avevano infelicemente trasformati. Lui capì che Assunta? Pina? Maddalena? Era quel tipo di donna che ogni uomo avrebbe voluto accanto, non tanto per il sesso, ma perché sapeva restituire tutte le emozioni, tutta la gioia e piacere che le si dava. Si ricordò che era iniziato tutto così con Teresa? Serena? Angelica?
Sorrise soddisfatto. Era la cosa più strana che avesse mai fatto per una donna. Mostrò i graffi sul petto “E questi ?” “È stato quando mi hai fatto mettere su di lui…” Ricordò improvvisamente anche questo. Le aveva detto di salire su di lui e di muoversi per come le dava più piacere. Lei aveva incominciato e poi aveva trovato il modo giusto e quando lui le aveva afferrato i meloni davanti e li aveva spremuti, lei era come svenuta e si era aggrappata con le unghie al suo petto per non cadere dal letto. “però anche tu mi hai fatto male “ Gli disse Alessia? Fiorella? Selvaggia?  simulando il broncio E gli fece vedere una spalla dove vi erano stampati i suoi denti “ E questo?” “ Quando mi hai fatto fare la capretta e mi dicevi tutte quelle cose cattive  dandomi  gli schiaffi sul sedere e tirandomi i capelli.” Lui ebbe un flash back, con il sederone di Tindara? Febronia?  Ada? Che andava avanti e indietro e lui che le mordeva la spalla stringendole il seno. Lei si era abbattuta sul letto, accasciandosi tra le lenzuola disfatte con un lungo lamento, tanto che pensò le fosse venuto un infarto. Invece sorrideva e i suoi occhi mostravano solo il bianco del piacere assoluto. “Abbiamo fatto tutto questo?” “Si, poi abbiamo fatto il gioco del “Mi piace”. Tu mi baciavi sul corpo e io ti dovevo dire se mi piaceva o no e poi io l’ho fatto con te. Poi abbiamo parlato ci siamo detti tante cose di noi. Ti ho detto cose che neanche al mio ex ho detto.” “E anch’io ti ho detto tante cose?” “si. Mi hai fatto pensare. Poi hai incominciato a farmi il solletico e siamo finiti a fare l’amore” “Ancora?” “Si ancora. E’ stato dolce, molto bello…” “Insomma ci siamo divertiti! Ed io che non mi ricordo nulla… che figura” “Abbiamo giocato tutta la notte. Mi hai detto che l’amore è un gioco. Se dai una palla a dei bambini questi giocano tanto da non sentire fame e fatica, e noi stavamo facendo lo stesso. Il sesso era il nostro gioco e giocare è il modo più felice di vivere.” Lui sorrise. “Ieri è stata la giornata più triste della mia vita e nello stesso tempo è stata quella più fortunata perché ho incontrato te. In fondo questa è la vita” Si alzò una folata di vento che scosse la tenda che copriva la terrazza. Nuziata? Crocifissa? Immacolata? Si strinse l’accappatoio “Sta incominciando a fare freddo” “Ti aiuto a portare tutto dentro” Prese il latte e la spremuta di arancia e li portò dentro nel frigo. Federica? Stella? Matilde? raccolse tazze e tazzine e li mise nell’acquaio incominciandoli a pulire. Lui andò nella stanza da letto per vestirsi. Lo fece lentamente perché gli piaceva essere in quella stanza che sapeva di Gilda? Arianna? Bianca? Lei arrivò poco dopo e si sdraio a letto. “Mi riposo cinque minuti e poi rifaccio il letto”. Lui l’osservò distendersi nel letto e mettersi sotto le coperte con l’accappatoio. Le si sdraiò accanto e Alberta?  Ginevra? Aurora? si avvicinò abbracciandolo ad occhi chiusi e gli chiese “Ora cosa siamo? Fidanzati?” “Tu cosa dici?” “Siamo qualcosa in mezzo tra essere amici ed essere fidanzati - Restò qualche secondo in silenzio - Non voglio fidanzarmi!  Non voglio rincominciare tutto da capo con amici e parenti. Non voglio correre dietro a quello che sono gli altri o a quello che pensano” “È meglio restare così più che amici, ma non innamorati” “non seriamente innamorati!” precisò lei “Ti spaventa impegnarti di nuovo?” “Si e forse non ne vale la pena. Meglio essere una tra le tante, amare quando e se serve, ma restare libera senza impegni. Stare insieme è difficile. Io non so più sopportarlo!” “Forse è giusto così! La laurea, il lavoro, il matrimonio, tutti a darti obiettivi che adesso non hanno più senso. Forse hai ragione, forse è meglio restare cosi, fuori da ogni definizione.” “Per ora è quello che voglio. Ho bisogno di fermarmi e capire cosa voglio. Non voglio più decidere per paura di restare sola, o perché mi sento incapace di affrontare la vita. Uno deve scegliere per quello che prova, che desidera, non perché deve scegliere per ora paura della solitudine o di essere diversa dagli altri” Lui restò in silenzio per qualche secondo ”Io penso che la vita cambia sempre e proprio per questo devi cogliere le opportunità che ti arrivano. Per farlo però devi sapere cosa vuoi. Devo pensarci anch’io. Però ora ho sonno.” Si giro chiudendo gli occhi e mettendo i piedi sotto le coperte. Anche lei si girò dandogli le spalle e si accucciò per dormire “Se vuoi puoi andare – disse con la voce impastata di sonno – non ti preoccupare che non mi offendo…. Lasciami il tuo numero di cellulare…. Il mio è scritto sulla lavagnetta in cucina.” Lui rispose con una specie di grugnito.
La svegliò un odore forte che sul momento non capiva cosa fosse. Allungò la mano cercandolo, ma il letto era vuoto e sentì solo le lenzuola fredde. “Se ne è andato! È giusto così – pensò con un po' di tristezza – ha fatto quello che gli avevo detto di fare. Non posso prendermela! È un bravo ragazzo e con lui mi piace parlargli e giocarci. Ma non posso obbligarlo. Non posso imporgli la mia presenza per sempre, per una notte di sesso che abbiamo avuto. Grazie a lui però ho capito. Non esiste gente di seconda o prima scelta! Esiste chi sa dividere il proprio cuore con qualche altro come si divide il pane ed altri che non hanno nulla da dividere perché il loro cuore è come pane secco. Lui è dei primi: tutto quello che ha fatto lo ha fatto per me, perché mi sentiva uguale a lui e in fondo lo siamo. Lui ha aiutato me e io lui, abbiamo già un legame, dobbiamo solo capire quanto è forte. Lo chiamo domani per un caffè e magari stiamo un po' insieme per parlarci. Speriamo che mi abbia lasciato il cellulare e scritto come si chiama. Eravamo tanto brilli che non ci siamo neanche chiesti il nome. Ma non avevamo bisogno di sapere il nome o di chiamarci. Eravamo già nella stessa solitudine e li insieme e non potevamo lasciarci. Mi piace stare con lui, non mi fa sentire stupida e mi piace come mi bacia. Forse però domani non posso incontrarlo. Forse era meglio dirglielo prima. Comunque lo chiamerò per sentirlo. Ho voglia di rivederlo. Forse ne ho bisogno...” L’odore divenne più forte. Ora capì cosa era: frittura di aglio! Sicuramente aveva lasciato la vetrata aperta ed era salito l’odore della cucina del piano di sotto. Doveva alzarsi e chiuderla perché se no l’appartamento avrebbe avuto l’odore di una trattoria. Si alzò stringendosi addosso l’accappatoio. Ciabattò dinoccolandosi verso la porta della sala. Quando l’aprì restò di stucco. La sala era buia perché nella poca luce del crepuscolo, solo la luce della cappa della cucina era accesa. Davanti alla cucina c’era lui che stava muovendo con abilità la padella più grande da cui proveniva il rumore di gusci di vongole che si urtavano. L’osservò versare un bicchiere di vino bianco che sfrigolò liberando verso l’alto una nube di vapore. Incominciò a tritate sul tagliere il prezzemolo fresco e il suo odore riempì la sala unendosi a quello dell’aglio. Il suo pancino incominciò a gorgogliare di gioia nel sentire quei profumi. Si avvicinò lentamente alla cucina e quando fu a pochi metri di distanza lui si girò mentre sorseggiava un bicchiere di vino bianco. Le sorrise. “Ho visto le vongole in frigo. Se non le facevo si piddianu (sarebbero andate a male).” Sorrise ancora e si girò a tritare il prezzemolo. Dopo alcuni colpi si fermò e senza voltarsi le disse. “Ci ho pensato! Ho capito che per me non sei una seconda scelta, non lo puoi essere più” Lei si avvicinò e lo strinse appoggiando la testa sulle sue spalle, chiuse gli occhi e sorrise felice. Lui riprese a tritare il prezzemolo e lei restò attaccata a lui, “Va bene così – gli disse stringendolo e strusciandosi con lui come se fosse una coperta calda in inverno – non ci pensare, va bene così” Fuori il sole era una sottile striscia gialla che divideva il blu scuro del mare da quello del cielo. La striscia luminosa lentamente  scomparve e mare e cielo diventarono un unico colore.
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girulicchio · 3 years
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Trova l’intruso
Un uomo con un berretto invernale, una felpa spessa e dei pantaloni lunghi entra scalzo in un lido. Attraversa la discesa e il bagnasciuga e si butta in acqua, con tutti i vestiti. Fatica a galleggiare, appena messo un piede dove non si tocca. Inizia a sprofondare, tutti lo guardano stranito, nessuno chiede aiuto al bagnino. Eppure, solerte, una donna in un succinto costume rosso, a ricordare Pamela Anderson in Baywatch, corre verso l’uomo in mare. L’acqua e la breve distanza sono di aiuto alla donna che, nonostante la mole dell’uomo, riesce a metterlo in salvo. Le prime manovre di soccorso sono sufficienti: la folla applaude al miracolo, inneggiando alla bagnina. Mentre torna alla sua postazione, nessuno volge più attenzione all’uomo salvo per un pelo, zuppo e ancora troppo vestito per il mare.  La notte dopo, la bagnina, nello stesso costume rosso da lavoro, si tuffa in acqua con nonchalance, a discapito della temperatura e della solitudine. Nuota, arriva a largo, si ferma. L’ipotermia la colpisce, impedendole di tornare indietro. Si guarda attorno: un barcone in lontananza sembra venirle in soccorso. Lei sviene, gli uomini a bordo la raccolgono. Quando riprende conoscenza, il primo viso che vede è quello dell’uomo.  Il barcone si ridirige verso la propria meta, si ancora su una riva e la donna viene accompagnata in una struttura in mattoni. Lì, un gatto siede su un trono in velcro rosso, con i braccioli in legno e paglia. Ai piedi del trono, ci sono foglie di palma ingiallite, sassi e conchiglie. Stesi sul pavimento libero, fatto di corteccia, degli uomini e delle donne accarezzano dei serpenti con la mano sinistra. La donna volta le spalle al gatto ed è subito bloccata da due uomini armati di una lancia e un coltello. Viene fatta girare di nuovo al cospetto del gatto e inginocchiata. Le è proibito di alzare lo sguardo, allora fissa la sabbia sotto le sue ginocchia: inizia a cadere, ma non riesce a urlare, come se avesse le labbra cucite e la gola otturata. Quando la testa è completamente sommersa di sabbia, chiude gli occhi. Nel riaprirli, si ritrova in un prato di funghi e rane. Ogni suo fiato è un canto fatato, ad ogni respiro si alza di qualche centimetro da terra e levita. Ad ogni battito di ciglia, il colore del cielo muta dal blu al verde, al rosa, al rosso, al giallo. Nuvole morbide accolgono i suoi fianchi, le dita delle mani seguono una melodia armoniosa, come a suonare un pianoforte d’aria.  Poco dopo, la donna si ritrova con i piedi al posto delle mani e con la testa ruotata di centottanta gradi. I capelli le cadono a ciocche, come foglie d’autunno.  Ogni giorno, pensando a droghe leggere e pesanti, immagino un trip allucinogeno e ripenso alla storia del nano giallo.  Poi, ricordo che non ho bisogno di droghe, né di Elio. Solo di svuotare la testa. 
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Caro Tu, 
non ti chiamerò per nome, mi basta già sentirlo risuonare tra le pareti di casa mia. Spero che tu non prenda queste parole come segno di debolezza, perché sappi che, nonostante il mio cuore ti sia appartenuto, io sto bene.
Quel giorno, quel martedì, avrei voluto lottare, volevo impedirti di andartene, volevo convincerti che niente ci avrebbe potuto ostacolare se le intenzioni erano sincere. Ma poi ho capito, ho capito che tu le intenzioni non le avevi proprio e allora ho lasciato andare il capo del filo rosso che mi teneva ancora legata a te. 
Per tanto mi sono chiesta cosa ti abbia portato ad una decisione così improvvisa, “forse si è annoiato”, “forse ha un’altra”, forse entrambe. Ma mi piace illudermi che tu l’abbia fatto per me, anche se credo che in realtà tu stia vivendo la tua vita come se io non fossi mai esistita. 
Devo essere sincera, credo di essermi costretta a non stare male. Solo oggi, quando mi sono ritrovata tra le mani il vestito che avevo durante il primo week end insieme, ho sentito una stretta al petto. L’ho indossato solo una volta, quella domenica. 
Ma al di là di ciò, spero che la tua vita stia proseguendo serenamente, che il dolore e la rabbia che ti porti dietro un giorno trovino pace. Spero che tutte le tue domande troveranno una risposta. Spero che capirai chi sei, ma sopratutto da dove vieni, avrei davvero voluto aiutarti in questo, ma non me lo hai permesso. 
Ti lascerò in uno spazio del mio cuore, perché il tuo posto è lì, non voglio vuoti da colmare. 
Addio.
12/10/2020
@diariodiunaragazzatroppobuona
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cosa pensi della vanità?🗝😊
Questa potrebbe essere la storia di Marta.
A nove anni Marta aveva i capelli così lunghi che, se piegava una mano dietro la schiena, riusciva a toccarsi le punte. Le piacevano così tanto, i suoi capelli. Quando arrivava la primavera raccoglieva sempre piccole margherite bianche, e si divertiva a infilarsele fra le ciocche dei capelli. Si sentiva una principessa.
Ma un giorno un compagno di Marta le disse che i suoi capelli, così lunghi, erano brutti. Che gli ricordavano la criniera di un cavallo, e perciò iniziò a prenderla in giro, scimmiottando nitriti. Una volta a casa, Marta chiese a sua mamma di tagliarsi i capelli, così corti da sfiorarle appena le spalle. Non le piacevano, ma piacevano agli altri. Il giorno seguente la maestra le sorrise e le disse che valorizzavano il suo viso.
Da quel giorno Marta iniziò a dedicare molto tempo ai suoi capelli. Col crescere imparò a piastrarseli, a farsi qualche mèche, a intreccirseli, ad arricciarseli.
Nessuno le fece più il verso del cavallo.
A dodici anni Marta incominciò le medie. Non doveva più indossare il grembiule e finalmente poteva divertirsi a indossare i vestiti che preferiva. Adorava i colori accesi. Adorava le felpe, così morbide, e calde. Adorava sperimentare stili diversi. Ma le sue compagne iniziarono a mormorare alle sue spalle. A dirle che vestiva in modo infantile, o scialacquato, “perché le felpe si usano solo a ginnastica”. Marta odiava sentire quelle parole. Quando le pensava, le rendevano gli occhi lucidi e non riusciva a guardarsi allo specchio senza provare dei crampi fortissimi allo stomaco, come se dovesse vomitare da un istante all’altro.
Marta iniziò a dedicare molto tempo al suo guardaroba. Sostituì tutti i suoi colori preferiti con quelli che andavano più di moda fra le sue coetanee, che per lei risultavano anonimi e monotoni. Si comprò i jeans, le camicette a quadri, le magliette firmate, e decise che le tute poteva benissimo indossarle in casa, dove nessuno gliele avrebbe criticate e l’avrebbe fatta sentire inferiore.
Marta spese molti soldi per il suo nuovo guardaroba, ma sapeva che solo così sarebbe finalmente stata accettata dalle sue compagne di classe. Non voleva più sedersi al banco da sola. O non essere mai invitata alle feste di compleanno. Non voleva più passare la ricreazione senza qualcuno con cui parlare. Nessuna le aveva mai inviato un messaggio sul suo nuovo cellulare.
Col tempo, Marta iniziò a passare sempre più tempo davanti allo specchio, provando e riprovando vestiti, finché non si sentiva sicura. Sicura di aver fatto l’abbinamento corretto, di portare i colori giusti.
Nessuno le disse più che il suo stile era infantile.
A quindici anni Marta iniziò il liceo. E si rese conto di essere l’unica, fra le sue amiche, che andava a scuola senza trucco. A Marta il trucco non era mai piaciuto. Le piaceva il colore della sua pelle, le sue ciglia così morbide, le sue labbra sottili. Sua mamma, quando le accarezzava le guance, le diceva sempre che era bellissima. E suo padre, quando la guardava coi suoi grandi occhi verdi, la faceva sempre sentire perfetta.
Ma le sue amiche le dissero che senza trucco sembrava una bambina, e quindi nessun ragazzo l’avrebbe mai guardata. Marta non voleva essere ignorata dai ragazzi. Perciò chiese aiuto alle sue amiche, che le consigliarono i “prodotti giusti per lei”. Marta iniziò a truccarsi regolarmente, passando tante ore a cercare tutorial su YouTube e consigli di bellezza su Instagram, per apparire al meglio. Non le piaceva il trucco. Le faceva sempre prurito la pelle. I suoi occhi bruciavano così tanto, quando il mascara ci entrava dentro. Le sue ciglia non erano più morbide come prima e quando si guardava allo specchio le sembrava di vedere un’altra. Ma le sue amiche le dissero che era solo una sensazione iniziale e ch e poi le sarebbe passata.
A diciassette anni Marta ebbe la sua prima, vera, cotta. Il ragazzo di cui si era innamorata si chiamava Giacomo. Giacomo era un suo compagno di classe. La trattava sempre con molta gentilezza e riusciva a farla sorridere con molta facilità. Al cambio posti erano diventati compagni di banco, ed ebbe l’opportunità di conoscerlo meglio. Amava la fotografia, le passeggiate in bicicletta, e le torte di mele. Ascoltava i Green Day come lei, aveva letto tutti gli Harry Potter in una sola estate quando andava ancora alle medie, e da allora non aveva più smesso di leggere. Marta sapeva che era il ragazzo giusto per lei. E voleva tanto dichiararsi. Ma non sapeva come fare. Aveva paura di ricevere un rifiuto, si sentiva insicura e spaventata, perché non aveva mai provato nulla di simile prima.
Decise di chiedere aiuto alle sue amiche. E le sue amiche risero di lei. Le dissero che Giacomo era un ragazzo brutto. Non aveva i muscoli perché non andava in palestra. I suoi capelli erano sempre scompigliati. Portava gli occhiali. Non aveva la moto. Non aveva tanti amici, perciò era di sicuro noioso. Lei non doveva guardare i ragazzi così, perché sono sfigati, e lo sarebbe diventata anche lei se si fosse messa con lui.
Marta non capiva. Non riusciva a capire la reazione delle sue amiche. Perché le avevano detto quelle cose? In qualche modo, Marta si senti ferita dal loro comportamento.
Il sabato, le sue amiche la portarono in un locale, il genere di locale in cui devi portare un documento falso per entrare, devi portare i tacchi alti, il rossetto rosso, e il vestito scollato, se vuoi entrare e vuoi che i ragazzi ti guardino. E solo allora, dentro al locale, tra il fumo di sigaretta e i bicchierini di vodka, Marta si rese conto che lei non era quel genere di ragazza. Che non le piacevano quelle cose, e non le piaceva vestire in quel modo, e odiava truccarsi in quella maniera, e si sentiva ridicola coi tacchi. E che i ragazzi che c’erano li non la interessavano, perché a lei piaceva un altro. Un altro che però la società aveva già bollato come “sfigato”, e che quindi lei non avrebbe mai potuto frequentare.
Ma questa é anche la storia di Giulia, di Marta, di Chiara, di Giorgia e di qualunque altra ragazza.
Ci insegnano che, se saremo belli, saremo amati. E questo concetto lo iniziamo a coltivare sin da giovanissimi. Prima perché non vogliamo essere discriminati. Poi perché vogliamo essere accettati. Infine perché vogliamo solo essere amati.
Ma così facendo, siamo costretti a sopire il nostro carattere, la nostra identità, noi stesse. A non ascoltare i nostri gusti, le nostre passioni. Diventiamo superficiali, apatici e freddi.
E soprattutto, ci allontaneremo sempre di più da ciò che ci rende realmente felici.
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