#allargare
Explore tagged Tumblr posts
Text
STORIA LUNGA E TRISTE
Un po' di tempo fa mi telefona un signore del mio paese che faceva il fabbro, mi dice che gli affari gli sono andati male per svariati motivi e che sia l'oliveto di sua proprietà che il capannone andranno presto all'asta, mi dice "ho pensato che magari ti poteva interessare visto che ci confini" e così io li per li spiazzato e lusingato per aver pensato a me gli dico SI! di getto, senza pensarci troppo. L'accordo consisteva in questo: visto che avevamo pochi soldi entrambi e che a lui interessava riprendersi il capannone e a me l'oliveto (che lui aveva già abbandonato da tempo) mettevamo un po' di soldi per uno e così non lasciavamo che gli sciacalli si aggiudicassero l'asta. Bene, inizia una trafila burocratica abbastanza lunga che non sto a raccontarvi dove come al solito metto tutto me stesso, arriviamo quindi a una ventina di giorni dall'asta, è tutto pronto ma il signore inizia a gohstarmi, non mi risponde al telefono, fa finta di non vedermi quando passo in mezzo al paese, si nega al citofono; non riesco proprio a comprendere questo comportamento e intanto passano i giorni, quando a 3 giorni dall' asta mi telefona e mi dice che non se ne fa più niente, che vuole riprendere tutto la moglie (da cui è separato) che è la prima creditrice e così è tutto più semplice. Mi assicura che però il nostro accordo non si cambia, appena acquisito tutto poi per la stessa cifra mi venderà l'oliveto senza nemmeno pagare le spese notarili. La cosa mi puzza ma lascio perdere, avete presente quando proprio non avete energie per lottare? E poi lottare per cosa? Per un oliveto abbandonato? Bene, passano i mesi e il silenzio è tombale, do quest'affare per perso ormai fino a che oggi, porto l'olio a un mio nuovo cliente, iniziamo a chiacchierare e mi racconta che nella zona dove opero voleva prendere un oliveto molto bello, me lo descrive e somiglia proprio tanto a quello del fabbro, mi racconta che il proprietario se lo voleva riprendere insieme a un ragazzo agricoltore ma alla fine la moglie si è fatta prestare i soldi da due tizi e si è presa tutto lei e adesso ha messo in vendita il tutto per il quadruplo del prezzo.
Chi sono i due tizi? I miei zii.
#tutto questo per non farmi allargare troppo#io veramente boh#lo schifo#sopportatemi#scrivere mi aiuta a sfogarmi#ve vojo bene
260 notes
·
View notes
Text
Ho mangiato la mia ragazza by La Sintesi is an Armandaniel song.
#armandaniel#devil's minion#I know it's an italian song but it fits so well#especially for the past dm#it's still one of my favorite songs but I never found a suitable ship and then boom#when it says ho chiuso tutte le porte con il mondo ho dormito abbracciato ai suoi vestiti#and#ho mangiato la mia ragazza per allargare la mia cultura inglobando la sua#which means I closed all doors with the world#slept hugging her clothes and I ate my girlfriend to improve my culture by incorporating hers it's them#ok bye
4 notes
·
View notes
Text
Comunque le felpe di Mimmo le hanno rubate dal set di MareFuori palesemente
1 note
·
View note
Text
Land… Land is a ship too big for me. It's a woman too beautiful. It's a voyage too long. Perfume too strong. It's music I don't know how to make
The Legend Of 900 (La Leggenda Del Pianista Sull'Oceano) by Alessandro Baricco, adapted by Giuseppe Tornatore
#la leggenda del pianista sull'oceano#the legend of 900#giuseppe tornatore#quotes#alessandro baricco#in italiano c'è ovunque dai bisogna allargare gli orizzonti#remember
0 notes
Text
Programmi.
Allora siamo d’accordo, sì, ci vedremo solo per scopare. Come se non ci conoscessimo, come se non ci interessasse niente l’uno dell’altra. Ci incontreremo, ci saluteremo, senza perdere troppo tempo in convenevoli. Come stai, come è andato il viaggio, ti trovo bellissima. Faremo il tragitto fino a dove ci potremo prendere senza pudore e senza rimpianti. Né rimorsi. Dove i nostri pensieri diventeranno realtà. Ti farò entrare, chiuderò la porta. Ti prenderò per un braccio per girarti e metterti di fronte a me, con i tuoi occhi nei miei. Leccherò le tue labbra prima di baciarti. Toccherò il tuo seno prima di spogliarti. Sfiorerò il tuo culo prima di stringerlo.
Poi ti farò girare.
E solo allora comincerò a parlare. Solo quando potrò avvicinare la mia bocca al tuo collo, solo in quel momento ti dirò della voglia che ho di te. Di quanto riesci ad eccitarmi, della passione che mi trasmetti, delle idee che mi fai venire. Di quello che succede al mio cazzo ogni volta che ti penso. Lo sai. Ti infilerò nei condotti uditivi le mie porche parole, sussurrate e dirette. Mi appoggerò alla tua schiena, al tuo culo. Per farti capire di cosa sto parlando. Sentirò la tua voce che mi chiede di continuare a parlare, mentre con le mani aprirò lento i tuoi pantaloni. Li abbasserò tenendoti sempre con la schiena rivolta a me. Alzerò la tua maglia, infilerò le mani sotto e slaccerò il reggiseno. Per toccarti i capezzoli, per stringerli tra le dita. Per sentirli cambiare. Per sentirli godere.
Ti farò cadere i pantaloni alle caviglie e ti abbasserò le mutandine. Le tue mutandine. Lo sai. Sarai con il culo nudo davanti a me. E allora sì, lo guarderò, lo desidererò, te ne parlerò e te lo dirò ancora; ti dirò che voglio metterci le mani.
Così, proprio come lo stai sentendo adesso che te lo scrivo.
E le mani saranno lì.
Sentirò quanto sei bagnata; come dal primo momento e avrai addosso tutta la voglia cresciuta nel viaggio per venire a scoparmi. Ad essere scopata da me, senza perdite di tempo. Diretti, espliciti, veri. Noi.
Ti farò piegare, ti farò sfilare i pantaloni solo da una caviglia, per poterti allargare un po’ le gambe. Per poterci mettere la mano in mezzo. Per passarci la lingua e le labbra. Per poterci mettere dentro il cazzo. Spingerò, tenendoti le mani sulla schiena per poi spostarle sui capezzoli, poi sui fianchi, te le farò sentire forti, sul culo. Ti farò appoggiare sulla scrivania e sulla finestra, mentre ti scoperò da dietro. Mi guarderai, voltando la testa verso di me. Mi incrocerai con gli occhi. Sentirai quello che voglio farti, la forza della mia voglia.
Continuerò, forte, fino a che non ti sentirò tutta con la testa e il corpo presa dal piacere, sfiancata dall’orgasmo, senza fiato, senza forze.
Allora ti farò girare, ti farò sedere, quasi delicatamente. Quasi delicatamente ti dirò di prenderlo nella tua bocca, con il tuo sapore sul mio cazzo, per te. Ti dirò quanto sei brava.
Quanto mi fai godere.
Lo sentirai.
22 notes
·
View notes
Photo
PRIMA PAGINA Il Resto Del Carlino di Oggi mercoledì, 13 novembre 2024
#PrimaPagina#ilrestodelcarlino quotidiano#giornale#primepagine#frontpage#nazionali#internazionali#news#inedicola#oggi italiano#carlino#nazionale#imola#giorno#dibattito#mili#instant#drinks#fitto#europa#causa#posizione#fisco#tempo#fino#concordato#allargare#platea#natale#miliardario
0 notes
Text
Bisogna avere il coraggio di essere fragili,
e non fa niente se diamo a tanti l'illusione del bersaglio facile,
se mostriamo la crepa
che gli altri possono allargare.
Dobbiamo avere il coraggio di farci trovare
sempre un po' in affanno, in disordine, in fuorigioco, lontani dalla vita,
in debito di ossigeno, di amicizie, lontani da ogni porto sicuro,
sperduti anche a noi stessi.
Franco Arminio
35 notes
·
View notes
Text
Le maggiori prestazioni di Eleonora
Mi chiamo Eleonora e lavoro da cinque mesi nella software house di Mirella. È divorziata da tempo e ha i figli lontani: uno lavora in Russia e un’altra s’è sposata con un Australiano. Di conseguenza, è totalmente dedita alla sua piccola azienda. Lei è una donna di mezz'età: molto curata, colta, intelligente e di gusti fini e non comuni.
Un po’ snob, direi. Nel suo campo lavorativo d'applicazione, malgrado la concorrenza feroce, è molto ben inserita: assieme al suo team infatti ha sviluppato e aggiorna/mantiene da remoto pezzi di software cruciali di sei importanti compagnie di profilo internazionale: due sono italiane e le altre quattro sparse tra Europa e Medioriente.
Tra di esse alcune di rilievo nel campo degli elettromedicali. Malgrado la concorrenza agguerrita, o forse proprio a causa di questo, il nostro lavoro procede a gonfie vele perché siamo aggiornatissimi; continua a essere richiesto, apprezzato e soprattutto puntualmente pagato. Ogni tanto prendiamo anche piccole commesse da regioni, comuni e aziendine private. Non si butta via niente. Tutto fa brodo; tutto porta soldi ed esperienza.
Mi ha assunta quindi per allargare la sua base di risorse umane e io le sono molto grata. Apprezzo questo lavoro come una benedizione, soprattutto in questo periodo di vacche magre, in cui per il Covid il lavoro di mio marito procede con difficoltà. Con Beppe ci siamo sposati l’anno scorso e ci amiamo. Molto.
Lui è un esperto e valido elettricista. Ha una piccola impresa in proprio, con due ragazzi che lo aiutano, ma adesso purtroppo per ovvii motivi di lavoro fortemente ridotto e grazie ai periodi di lockdown, pagati i loro stipendi a noi non resta molto. In questo frangente in cui per lui è tutto difficile, il mio introito almeno ci consente di mangiare e pagare le bollette.
Il mutuo per la casa lo sfanghiamo comunque ogni sei mesi a fatica. Il vestiario, quant'altro fosse voluttuario e qualsiasi altro bene o spesa superflui, di fatto non esistono più, per noi. Come per molti altri, del resto. Figli ancora non ne abbiamo. Oggi dico “grazie a Dio.” Vedremo in seguito.
Dal momento in cui sono arrivata in studio, con Mirella le nostre semplici cortesie tra donne hanno preso via via una piega molto particolare e sempre più intima: i quattro altri collaboratori miei colleghi, dall'arrivo del virus in poi hanno preferito lavorare da casa in smart working e vengono in sede soltanto se strettamente necessario.
Lei però mi ha chiesto da subito se io fossi disponibile a essere fisicamente sempre presente con lei, per non sentirsi troppo sola. Ho detto subito di si e la cosa mi sta bene, anche perché mi consente di uscire di casa e di non entrare in attrito con mio marito, cosa quasi sicura, qualora avessimo dovuto affrontare una convivenza forzata da isolamento, costretta e continua sotto lo stesso tetto.
Da quando in ufficio siamo da sole io e lei, sin dai primi giorni, al mio arrivo in studio alle otto - io sono puntuale come un orologio svizzero - lei mi ha sempre salutata con un bacino dolce sulla guancia e il caffè pronto nella tazzina di ceramica. Man mano che siamo entrate in confidenza sempre più intima, dapprima ha aggiunto al bacino un’amichevole… pacca sul culo!
Che però man mano s’è trasformata in una carezza amorevole e prolungata. Le prime volte cercavo di non farci troppo caso, però diventavo comunque rossa in viso. Ma come cazzo si permette, questa! Da poco mi ha confessato che il mio rossore la faceva impazzire di desiderio. Un giorno, durante la solita pausa caffè-confessionale tra donne delle dieci e mezzo, sono scoppiata a piangere.
Un po’ per tutte le difficoltà pratiche che stiamo incontrando a casa come coppia, ma soprattutto per una bella litigata fatta con Beppe proprio la sera prima. Allora mi ha presa sottobraccio, fatta sedere sul divano vicina a lei e quindi mi ha parlato da donna molto esperta, di fatto confortandomi grandemente.
Mi ha detto cose che in fondo ognuna già sa: che se lo amo me lo devo tenere stretto, a ogni costo. Che l’amore non è cogliere margherite. E che per un minuto di estasi ci sono ore di sacrificio, che bisogna sempre guardare al 90% di positivo che l’altro porta nella nostra vita, trascurando l’inevitabile 10% di difetti che ciascuno ha. Che non devo cercare di cambiarlo, perché un uomo o chiunque altro lo puoi solo amare così com’è.
In sostanza, non devo commettere gli errori che ha commesso lei, per poi ritrovarsi sola e che sarebbe sempre stata a mia disposizione per aiutarmi quando ne avessi avuto bisogno. Mi ha accarezzata a lungo, stringendomi a sé. Poi mi ha dato il solito bacio sulla guancia. Però per la prima volta non s’è staccata: ha continuato a tenere le labbra incollate al mio viso e, dandomi mille bacini, s’è man mano spostata sul mio collo.
Mi ha letteralmente scioccata: mi ha baciata, leccata e - potevo sentirla chiaramente farlo - ha aspirato profondamente il mio odore naturale misto al profumo che uso al mattino. Incollata a me per buoni cinque minuti. Francamente ero paralizzata dalla sorpresa, perché non avevo mai neppure remotamente pensato di poter essere l’oggetto del desiderio da parte di una donna.
E non osavo oppormi, troppo tenevo a quell'unica fonte di sostentamento per la mia piccola famiglia. Le ho solo sussurrato di non farmi dei succhiotti, per ovvie ragioni. Quindi a un tratto s'è staccata, forse sentendomi un po’ irrigidita e imbarazzata. Ha finito a malincuore di godere di me e, un po’ impacciata, mi ha sorriso ed è tornata rapidamente nel suo ufficio, che è in una stanza separata dall'open space riservato a noi dipendenti.
La giornata è proseguita poi come al solito. Abbiamo pranzato parlando di lavoro, dei colleghi e di altro. Tutto come sempre, almeno apparentemente. Io però ero in pieno subbuglio interiore. A fine lavoro, a occhi bassi e in lacrime mi ha chiesto scusa per essersi lasciata andare, per aver infranto la mia sfera intima, privatissima. Mi ha detto che è molto sola, che anche lei ha un assoluto bisogno d'amore e che si sente ancora una donna viva e appassionata.
Di fatto, ha aggiunto, tu sei l’unica persona che mi dia un po’ di calore umano, recentemente. Alle sue parole profonde, provenienti dal centro della sua anima, mi sono sciolta. Le ho sorriso per rassicurarla, l’ho accarezzata a lungo, l’ho stretta a me e le ho detto di non preoccuparsi, che capivo perfettamente. Perché alla fine siamo tutti esseri umani e perciò prede di legittime e sacrosante passioni. Mi ha sorriso grata. Forse così facendo devo aver alimentato la sua cotta per me. Niente bacetto di commiato, quella sera.
All'indomani Mirella non ha saputo resistere: appena sono arrivata mi ha fissata a lungo, mi ha preso il viso tra le mani, confessando di avermi pensata tutta la notte e mi ha direttamente baciata a lungo lingua in bocca. In modo appassionato. Io diplomaticamente stavolta l’ho assecondata e ricambiata. Abbiamo giocato con le lingue, per darci il “buon lavoro” mattutino. Devo dire che stavolta non ero troppo dispiaciuta.
Anzi, ero lusingata e contenta di ricevere attenzioni e manifestazioni di desiderio da parte di una persona più grande di me di vent'anni almeno e che professionalmente ammiro moltissimo. Poi, in qualche modo abbiamo ritrovato la concentrazione necessaria per lavorare. Ma alla solita pausa caffè delle dieci e mezzo sul divano in pelle, s’è aperta completamente: mi ha confessato che mi ama, che mi desidera da morire e ha preso a leccarmi il collo, di fatto tentando di rubarmi l’anima e la gioventù. A lungo.
Mi infilava le mani dappertutto, mi coccolava il seno, giocava coi miei capezzoli oramai rigidi dal desiderio e con le sue dita mi violava il culo e la fica ripetutamente. Poi le toglieva e le succhiava, avida. Mi ha detto che da quando si era separata, tre anni addietro, non faceva più sesso e che per me avrebbe fatto cose folli, pur di avermi e farmi sua. No, che non mi preoccupassi per il matrimonio: figuriamoci se avesse mai voluto crearci un qualche disturbo. Chiedeva a me solo un pezzettino di felicità.
E io potevo darglielo. Volevo, a questo punto. Mi faceva soltanto un’assoluta tenerezza. E iniziava a piacermi anche sessualmente. In breve, giocoforza siamo diventate amanti. Mi sono dovuta piegare, in tutti i sensi. Ormai ogni giorno, prima di tornare a casa apriamo il divano letto d’emergenza presente in ufficio; ci denudiamo e a lei lascio fare del mio corpo tutto quello che vuole. Mirella di me è diventata completamente pazza.
Acquista online per me la biancheria più costosa e profumi esclusivi. Arriva tutto in ufficio, ovviamente. Io per parte mia sono comunque e molto pragmaticamente ben contenta di farla felice, pur di tenermi il lavoro. Ho imparato a dirle sempre di si, a godere delle sue mani, della sua lingua, a leccarla a lungo e a farla godere a mia volta. Questa cosa segreta e proibitissima però vedo che sta facendo bene anche al mio matrimonio.
Con Beppe infatti sono diventata molto più paziente del solito e con sua grande sorpresa prendo spesso l’iniziativa per farmi scopare. Gli consento, se vuole, di avere la fica o il culo a suo piacere; poi gli faccio pompini interminabili e infine lo ingoio golosissima. Gli infilo la lingua o le mie dita ormai esperte nel culo, mentre lo masturbo o lo succhio.
Lui resta ogni volta a bocca aperta dallo stupore per le mie insospettabili ormai svelate abilità di puttana. Quindi si diverte da matti se gli chiedo di onorare il mio seno con la sua bocca e di leccarmi la passera a lungo, come e quanto desidera lui. Tutto perché è il mio uomo e, nonostante lo tradisca con una donna, lo adoro ancor più di prima. Anche perché lui ha il cazzo, presidio maschile sacrosanto senza cui non saprei vivere. Sere fa ho confessato a Mirella che quello che facciamo insieme sarebbe il sesso perfetto, se solo lei avesse il membro.
Il giorno dopo mi ha fatto la sorpresa: a fine lavoro ha tirato fuori e ha voluto che indossassi uno strap-on di notevoli dimensioni che solo Dio sa come avrà fatto a trovare in così poco tempo! Le ho fatto toccare il cielo con un dito. Penso di provare qualcosa anch’io per lei ormai. Per amarci, ogni sera, prima di aprire il divano-letto, anche se siamo sicure che con l’isolamento ognuno dei colleghi non si muove da casa, facciamo il dovuto giro di telefonate e ci assicuriamo che i vari collaboratori siano tutti belli tranquilli a casa e che non vengano a farci una imbarazzante visita a sorpresa.
Ritengo anche che tra un mesetto o giù di lì le chiederò un aumento di stipendio per “maggiori prestazioni”; se non altro per giustificare con Beppe le ore di “extra lavoro” svolto ogni giorno. E a fine pandemia dovremo trovare il modo e l’opportunità per stare da sole. Per fortuna lei vive a due soli isolati dall'ufficio. Perché ci si abitua a tutto ed eventualmente ci si affeziona anche alla propria padrona crudele. Lei invece è solo una donna tenera e bisognosa delle mie carezze. Tra noi due la vera padrona sono io, ormai: sessualmente e sentimentalmente l’ho in pugno.
Ma sul lavoro, in modo molto corretto, prevale il comportamento puramente professionale, com’è giusto che sia. Beh… dovremo cercare di non far trapelare nulla, mai... Perché questa storia non può finire. La desidero molto anche io e la penso spesso, anche quando faccio l’amore con Beppe. Quando si dice: “unire l’utero al dilettevole!” Alla fine, l’amore ti si insinua comunque dentro: quando, come e con chi tu non avresti mai pensato possibile.
RDA
12 notes
·
View notes
Text
Per i giovani italiani il ministro Lollobrigida ha una sola proposta: raccogliere pomodori nei campi per 507 euro al mese.
Lo chiama servizio civile, ma sarebbe più esatto caporalato di Stato, volontario al momento e domani chissà.
E poi perché non allargare a operai, facchini, camerieri?
Prossima fermata la servitù della gleba.
Giovanni Paglia
15 notes
·
View notes
Text
Bisogna avere il coraggio di essere fragili, e non fa niente se diamo a tanti l’illusione del bersaglio facile, se mostriamo la crepa che gli altri possono allargare. Dobbiamo avere il coraggio di farci trovare sempre un po’ in affanno, in disordine, in fuorigioco, lontani dalla vita, in debito di ossigeno, di amicizie, lontani da ogni porto sicuro, sperduti anche a noi stessi.
-Franco Arminio-
78 notes
·
View notes
Text
- Non possiamo allungare la vita, la possiamo allargare. (Dalla trasmissione Bake Off Italia).
7 notes
·
View notes
Text
CHARLES MINGUS E ORSON WELLES
CAPODANNO AL FIVE SPOT
Capodanno 1959, seduto in prima fila, proprio sotto il contrabbasso di Mingus c’era Orson Welles, quasi un alter ego del jazzista, per genialità, esuberanza, fierezza, complessità. E anche per le tante disavventure artistiche. Per Mingus era un idolo, lo seguiva dai tempi radiofonici di The war of worlds, adorava Quarto potere (dove in una scena c'era il suo amico d'infanzia Buddy Collette che suonava il sax in una festa sulla spiaggia), ammirava il suo modo di vestire, il suo impegno politico (sempre in prima linea per la difesa dei diritti civili, il suo Macbeth tutto nero è del 1936), la sua voce (“mi ricorda Coleman Hawkins. Potevi sentirla a un miglio di distanza”). E non era il solo jazzista a essere stato sedotto dalla voce radiofonica di Orson Welles, anche Miles Davis lo citava come un’influenza sul suo modo di suonare: “Fraseggio, tono, intonazione: tutte queste cose possono avere come modello un maestro della parola”.
Il 1959 sarà un anno d’oro del jazz per quantità, qualità, creatività. Al Five spot, piccolo, fumoso, maleodorante locale di Bowery, scelto come luogo di riferimento da artisti e intellettuali, l'anno comincia con un formidabile double bill: sono di scena, uno dopo l’altro, Sonny Rollins, alla testa di un trio con il bassista Henry Grimes e con il batterista Pete La Rocca, e Charles Mingus con il pianista Horace Parlan, il batterista Roy Haynes (che sostituisce il fedelissimo Dannie Richmond arrestato) e i sassofonisti Booker Ervin e John Handy. È la prima sera dell’anno, ma nel club di Bowery dei fratelli Joe e Iggy Termini è anche l’ultimo impegno di quel prestigioso, favoloso cartellone con Mingus molto irrequieto per tutta la scrittura. Aveva appena registrato la musica per il film di John Cassavetes Shadows, una colonna sonora bocciata nel rimontaggio finale (la stessa cosa sarebbe successa anni dopo con Todo modo di Petri), aveva ripreso i suoi musicisti brutalmente e una volta aveva minacciato violentemente i clienti di un tavolo che, durante il suo set, non smettevano di parlare. Oltretutto ogni sera tendeva ad allargare il suo set e Sonny si inferociva, talvolta rifiutandosi di suonare. Ma era un gran clima, entusiasmante e effervescente. Rollins era in un momento di transizione, alla vigilia di un ritiro clamoroso per rinnovare il linguaggio del suo sax tenore con il leggendario e solitario corso di aggiornamento stilistico sul ponte di Williamsburg: «In un posto tranquillissimo, un angolo morto che oggi sarebbe impossibile ritrovare con il traffico che c’è» il suo racconto, dove poteva esercitarsi liberamente.
Anche Welles, come Mingus, era reduce da una delusione cinematografica: la Universal gli aveva tolto di mano la post-produzione del nuovo film, L’infernale Quinlan, ne aveva tagliato una ventina di minuti e aveva fatto girare nuove scene, modificando il primo montaggio. Più o meno nello stesso periodo era finito in soffitta un documentario intitolato Viva Italia (Portrait of Gina) perché Gina Lollobrigida aveva messo un veto, non gradendo il suo ritratto di giovane attrice ambiziosa e la Abc tv lo aveva bocciato ritenendolo cosi poco ortodosso da non poter essere trasmesso. Era un film di mezz’ora scarsa sull’Italia, paese che Orson ha frequentato per 20 anni (la terza moglie è stata l’attrice italiana, Paola Mori). Dopo un lungo oblio (Orson aveva perduto l'unica copia esistente all'Hotel Ritz di Parigi) è stato riscoperto nel 1986, proiettato al festival di Venezia ma poi di nuovo bandito su intervento della Lollobrigida.
La presenza del regista di Quarto potere al Five spot non era casuale
Nel club di Bowery si poteva incontrare chiunque, da Jack Kerouac che leggeva le sue poesie, alla mitica baronessa Pannonica de Koenigswater scesa dalla sua Rolls Royce, a William de Kooning che voleva respirare la libertà del jazz, a Leonard Bernstein che si divertiva a curiosare nella notte, allo scrittore Norman Mailer con la sua passione per quella musica. Ma la musica da sempre è stata una grande passione di Welles. La mamma pianista gli aveva fatto prendere lezioni di piano e violino e Orson aveva anche mostrato un certo talento, tanto da essere considerato un ragazzo prodigio. In gioventù era stato un grande sostenitore del jazz di New Orleans, ma sicuramente ammirava Charles Mingus per la sua musica e la sua personalità, il suo impegno, il suo agire tellurico.
(Marco Molendini)
Non potevo non condividerlo.
Due miei ingombranti miti nella stessa foto, nello stesso locale, nello stesso articolo.
26 notes
·
View notes
Text
L'inizio
“A poco a poco devi creare intorno a te una nebbia; devi cancellare tutto ciò che ti circonda, finché non si possa dare più nulla per scontato, finché più nulla è certo o reale…”
Questa frase, giunta chissà da dove, gli trapanò la testa in un nanosecondo e invase il suo cervello a ranghi compatti, come una falange dell’antica Roma.
Fortunatamente il foro prodotto permise anche alla musica, che proveniva dal potente impianto stereo poggiato sulla libreria, di entrare e ricamarsi il suo spazio, con un subitaneo effetto benefico.
“C’è un tempo per andare dritti giù all’inferno, c’è un tempo per tornare a saldare il conto…”
La musica e le parole che gli fecero drizzare i peli delle braccia e allargare il cuore, erano quelle della Gang, uno dei suoi gruppi preferiti. Il migliore nella vasta costellazione delle band italiane. Li aveva sempre amati, fin dal loro esordio, oramai molti anni prima. Li aveva ascoltati crescere, passo dopo passo, aveva approvato e condiviso senza riserve la scelta di passare dall’inglese all’italiano per la scrittura dei testi, anche se, lo sapeva con certezza, non sarebbero comunque mai arrivati a tutti con la dovuta forza. Peccato. E peccato anche non averli mai incontrati di persona. Chissà, forse le cose sarebbero potute andare diversamente. Chissà!
“Quando un uomo decide di fare una determinata cosa, deve andare fino in fondo, ma deve prendersi la responsabilità di quello che fa. Qualunque cosa faccia, deve prima sapere perché lo fa e poi deve andare avanti con le sue azioni senza dubbi o rimorsi…”
Queste invece erano le parole del Libro. Dischi e libri insieme. Mescolati tra loro, impastati col suo stesso sangue, a formare un unico corpo con la consistenza del cemento armato e l’elasticità di una tela di ragno.
A ciò stava pensando l’uomo intento a radersi, ben piantato di fronte allo specchio del bagno. E radersi, per lui, non era una semplice operazione quotidiana di pulizia, che so, come lavarsi i denti o farsi la doccia,ma un vero e proprio momento catartico, una pulizia, vero, ma quasi più interiore che esteriore. Del resto anche la stanza da bagno somigliava più ad un luogo di meditazione e purificazione, piuttosto che al luogo che tutti conosciamo e vogliamo che rimanga. Era amplissima e luminosa, bianca, completamente bianca, muri, maioliche, sanitari, cornice dello specchio e la lunga mensola che correva su tre lati delle pareti: tutto rigorosamente bianco. Le uniche concessioni al colore e che davano carattere al luogo erano: la sedia a dondolo in bambù ed una stampa raffigurante l’Urlo di Munch; poste una di fronte all’altra.
“Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore, bruciami l’anima…”
Questo era il disco.
“C’è di male che una volta che ti conoscono, tu sei una cosa data per scontata e, da quel momento in avanti, non sarai più capace di rompere i legami dei loro pensieri. Io personalmente amo la libertà ultima di essere sconosciuto…”
Questo invece era il libro.
“E passala sta cazzo de palla, Salvato'! E’ vero che l’hai portata tu, ma ci dobbiamo giocare tutti! Cazzo!”
Questa era una voce nuova! E non proveniva né dal libro, né dal disco.
L’uomo terminò di radersi, si risciacquò il viso con abbondante acqua fresca e si affacciò sul vicolo sottostante. Un gruppo di una decina di ragazzini stava giocando al calcio in strada. Era una partita vera, cinque contro cinque, chi arriva prima ai dieci goal segnati, e i maglioni gettati in terra erano le porte regolamentari. La scena lo commosse e lo riportò indietro nel tempo, in un’altra galassia. Anche lui, secoli prima, era stato uno di quei monelli e si era battuto come un leone con i suoi coetanei, nei vicoli del suo paese, così simili a quelle vie della vecchia Roma che, in senso lato, erano diventate la sua nuova dimora.
Ma non aveva tempo per affogare nel miele dei ricordi. Con uno schiocco della lingua li ricacciò indietro e tornò alle sue faccende. Ammirò per l’ultima volta allo specchio il suo lavoro, approvò con un accenno di sorriso il disegno perfetto del pizzetto e si passò ripetutamente il palmo della mano sui corti capelli neri a spazzola. Gli sarebbe piaciuto rasarli a zero, lo aveva anche fatto tempo prima, molto tempo prima, ma si era accorto che dava troppo nell’occhio. Troppe persone lo notavano e non poteva permetterselo; così aveva optato per quel taglio anonimo.
Era vero che, negli ultimi due o tre anni, i pelati erano tornati di moda ed erano cresciuti in maniera esponenziale. E anche se le teste rasate erano ancora ben lungi dal raggiungere il numero delle teste di cazzo, si poteva tranquillamente affermare che la forbice si era ristretta.
Andò in camera ed iniziò a vestirsi. Erano le otto di sera di un bel sabato di fine settembre. L’aria era fresca e pulita e lui aveva un appuntamento cui non poteva mancare. Indossò il suo impeccabile vestito nero, comode ed eleganti scarpe di pelle, anch’esse nere, infilò la pattada sarda nella tasca interna della giacca e fece poi scivolare la sua trentotto special nella fondina ascellare perfettamente nascosta dal taglio dei suoi abiti. Infine spense la luce ed uscì in strada. Il lupo era sceso dalla montagna. La caccia era iniziata.
“Il mondo è un luogo misterioso. Specialmente al tramonto.”
Era di nuovo il libro a far udire la propria voce.
20 notes
·
View notes
Text
Può un
desiderio
allargare
la
voglia e
provocare...
la mente ?....
Io dico
di
sì....
Splendida
serata !! 🌹❤️
4 notes
·
View notes
Text
Stupisce il fatto che il lavoro, facendo parte della nostra vita per almeno un terzo della giornata, venga considerato così poco dalla crescita personale. Eppure, il lavoro è un universo ricchissimo di prove, sfide, cadute, abbandoni, tradimenti, conflitti, paragonabile a un viaggio dell'eroe tra i più impegnativi. Nel lavoro dobbiamo prendere in mano responsabilità di ogni tipo, allargare il nostro sguardo per avere una visione più ampia che possa darci maggiore capacità organizzativa. Possiamo gustarci relazioni piacevoli, oppure subdorare il clima emotivo quando è incandescente, per proteggerci o attaccare qualcuno se serve a farci rispettare. Dobbiamo prendere bivi, strade ed entrare in certi labirinti ogni giorno al lavoro, di ogni tipo: relazionali, burocratici, procedurali, manageriali, finanziari e via di seguito. Il lavoro è davvero un mondo ricchissimo al pari delle relazioni sentimentali, in quanto ne raffigura una versione più formalizzata e ritualizzata, ma non per questo meno arricchente e a volte dura da sopportare, oltre che da sbrogliare. Il mio terapeuta più e più volte mi disse, di fronte a diversi snodi traumatici, di ascoltarne le risonanze durante il lavoro, in quanto i rapporti umani mi avrebbero permesso di lavorarci come se stessi in palestra. Una palestra umana, emotiva, spirituale, capace di metterci alla prova e di permetterci di mettere mano ai nostri irrisolti. Siano essi un'autostima zoppicante, un senso di responsabilità fragile, una ferita da riconoscimento o una mancanza di indipendenza.
Omar Montecchiani
8 notes
·
View notes
Photo
PRIMA PAGINA Corriere Della Sera di Oggi martedì, 22 ottobre 2024
#PrimaPagina#corrieredellasera quotidiano#giornale#primepagine#frontpage#nazionali#internazionali#news#inedicola#oggi della#sera#solferino#montura#storia#esclusa#frase#contin#classe#solito#giorgia#allargare#esempio#cercando#file#piti#volta#anche#vita#forse#venuto
0 notes