#all’estero non ho ancora sperimentato
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Mi è stato appena detto, testuali parole e dal vivo: “Non so se hai studiato la strage di Bologna a scuola”.
Compio trent’anni tra sedici giorni (e sono gravemente insonne da mesi e mesi con tutte le inevitabili ripercussioni estetiche del caso, oltre ad andarmene in giro con due stracci frusti addosso). Chiamatemi pure Dorian Gray, ché altrimenti non si spiega.
#un pensiero comune a chiunque io incontri d’altronde… dal nord al sud Italia: me lo dicono TUTTI#all’estero non ho ancora sperimentato#che bell’aggettivo “frusto”
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8 LUG 2019 16:41
“ENTRAI IN RAI GRAZIE A UNA FORMIDABILE RACCOMANDAZIONE DI MIO PADRE” – L'INTERVISTA A GREGORETTI BY CIRIELLO (ANNO 2016): “ERA IL ’53, C’ERA QUESTO DIRETTORE CHE STAVA TRAGHETTANDO L’EIAR VERSO LA RAI. E DOPO MESI DA IMPIEGATO PASSAI AI SERVIZI GIORNALISTICI CON VITTORIO VELTRONI. L’ITALIA ERA UN PAESE INGENUO, CHE SI FACEVA SFOTTERE DA ME. DA PICCOLO MI PORTAVANO IN COLLINA. MI INNAMORAI A TAGLIACOZZO. AVEVO 13 ANNI” – VIDEO: A TELEDURRUTI DEL 2010
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1 – IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – CI MANCHERANNO L’INTELLIGENZA, LA GRAZIA, L’IRONIA, L’ELEGANZA, LA CULTURA E OVVIAMENTE ANCHE L’IDEOLOGIA CHE UGO GREGORETTI PORTÒ NELLA TV DEGLI ANNI ’60 E IN TUTTO QUELLO CHE FECE A PARTIRE DA QUEGLI ANNI
https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/necrologio-giusti-ndash-ci-mancheranno-rsquo-intelligenza-207852.htm
2 – INNAMORARSI A TAGLIACOZZO
Marco Ciriello per https://mexicanjournalist.wordpress.com/* - 30 luglio 2016
*uscito su “il Mattino”
Per il cinema era quello della tivù, per la tivù era troppo avanti, al punto di essere sempre contemporaneo. «Appaio ai giovani insonni che avrebbero tutto il diritto di ignorarmi». Ugo Gregoretti: regista, autore tv, pedagogo, antropologo, girava l’Italia con l’inganno al collo, quel microfono che ha fatto raccontare a moltissimi italiani passioni e illusioni.
Elegante, ironico, mai sopra le righe, di una gentilezza unica che comincia nei modi e finisce – avvolgendoti – nel linguaggio, un italiano perfetto. Criticava costumi e svelava il carattere degli italiani, dai più famosi a quelli più lontani. Riuscendo a non essere mai catalogabile.
Dove passava le sue prime estati?
«La pediatria allora aveva due tendenze: il mare ricostituente e la collina rigenerante. Io preferivo il mare ma mi portavano in collina. In Abruzzo, Riofreddo, Scorrano, Arsoli, ce li siam fatti tutti questi paesini, mentre i miei cugini andavano a Santa Marinella, a Viareggio, Forte dei Marmi, con mio enorme rammarico».
E lei che faceva?
«Il poeta. Avrò avuto 12 anni, radunavo all’imbrunire intorno a una fontana: armenti, contadini e villeggianti, e leggevo loro le mie poesie. Li vessavo, costringendoli all’ascolto. È lì che credo sia cominciato tutto, con questo improvvisato teatro».
E dopo?
«Mi innamorai a Tagliacozzo, che rispetto agli altri paesi era una metropoli. Vidi questa ragazzina, bionda, bellissima. Avevo 13 anni».
E giù poesie.
«No, presi a leggere Benedetto Croce».
Che cosa?
«“Estetica come scienza dell’espressione”, mi sforzavo. Una volta, avrò avuto 16 anni, mio padre fece irruzione nella mia stanza e vide i libri di scuola sul tavolo mentre io leggevo altro in poltrona e se ne lamentò, allora alzai il libro e dissi: “Cazzo, sto leggendo Croce”».
Era posa o vera ricerca?
«Volevo essere un intellettuale di stampo napoletano. Anni dopo a Roma avrei scoperto col mio amico Nello Ajello che contava moltissimo venire da quella scuola, dall’Istituto degli studi filosofici, ma nonostante l’applicazione e le letture, mi mancava l’accento: non avevo il supporto lessicale e fonetico».
E poi che successe?
«Grazie a una formidabile raccomandazione di mio padre: entrai in Rai, dopo aver cambiato tre facoltà: architettura, giurisprudenza, lettere, e sperimentato un po’ di giornalismo. Era il ’53, c’era questo direttore Sernesi che stava traghettando l’Eiar verso la Rai. E dopo mesi da impiegato passai ai servizi giornalistici con Vittorio Veltroni – il papà di Walter – cominciando le estati di lavoro. Ho sempre lavorato. Inaugurai le trasmissioni da Napoli, allora la tivù era un affare che si fermava a Roma».
L’estate-lavoro migliore?
«Quella del ’60, in luglio, girai “La Sicilia del Gattopardo”, che rimane il mio lavoro migliore, almeno per la tivù. Vinsi il “Prix Italia” per il documentario, che allora andava sempre alla BBC, e passai da Gian Burrasca a ragazzo prodigio, e così mi fecero fare “Controfagotto”, il nome lo scelsi perché la parola era divenuta famosa per un errore a “Lascia o raddoppia” che era un programma che fermava l’Italia. Poi feci il “Circolo Pickwick” troppo avanti per gli sceneggiati in uso, anche se il “Time” mi dedicò una pagina di elogi».
Anche il suo primo film ha come tempo l’estate.
«Sì, “I nuovi angeli”. Proprio per il successo della tivù, venne da me Luigi Comencini, che oltre a fare il regista era anche produttore e mi propose di girare un film. A me parve un miracolo, allora tutti volevamo diventare registi, era il salto. Così mi licenziai dalla Rai – con drammi familiari enormi – e scommisi sul mercato».
E vinse. E tornò anche in Rai.
«Avevo bisogno di soldi, sa con cinque figli. Facevo di tutto. Ho fatto il reporter al “Cantagiro”, ricordo le sfilate sulle spider azzurrine della Fiat, tutte in fila con il nome scritto sulla carrozzeria. Mi sono divertito molto».
La ricordo cattivissimo con una madre che le mostrava il suo bambino ballerino, prima di “Bellissima” di Visconti.
«Doveva essere dalle parti di Cuneo. Facevo questi pezzi che allora venivano definiti di giornalismo satirico».
Invece era il futuro. Quel ragazzino era il padre delle ossessioni di oggi? Il suo pezzo migliore al Cantagiro?
«Sì, lo era. Quello che ancora mi fa ridere è l’intervista a Bobby Solo, lui parlava e io facevo crescere il mio interesse per la filologia romanza. Poi siamo diventati amici».
Oggi sarebbe impensabile. Ma perché preferiva agire d’estate?
«Lavoravo con la gente che trovavo in giro, e l’Italia estiva era più ricca, stava più tempo all’aperto, la gente usciva in massa e tra loro c’era un numero maggiore di stravaganti, e per me era più facile fare una congrua pesca. Ho fatto 4 anni di “Sottotraccia” sempre d’estate, per me era la stagione del fermento. Feci anche un programma che si chiamava “i R.A.S” (ridotte attitudini sociali)».
La storia più bella?
«Questa vecchia rivoluzionaria che si era dovuta ritirare in campagna, lasciando la comune che l’aveva vista guidare mille battaglie. I figli si vergognavano che alla sua età ancora avesse da battersi».
Che Italia era?
«Un paese molto più ingenuo, che si lasciava sfottere da me. Ma sotto la mia cattiveria, preziosamente celato, c’era e c’è amore. Il mio motto è: Amare vuol dire sfottere».
E che cosa unisce quelle estati passate a quelle di oggi?
«Sono unite dal desiderio di divertimento, dal sentimento del gioco. I parroci avevano un mucchio di fantasia ed erano anche più protagonisti, ricordo questo prete ad Aulla in Garfagnana che si divideva tra le messe e l’organizzazione di un torneo di morra cinese».
Una estate all’estero?
«Le racconto una storia di cui non c’è più traccia, credo che abbiano bruciato quei documentari».
Ma davvero?
«Sì, di mio son sparite molte cose anche un documentario sui profughi ungheresi. Appartengo alla stagione dove non si cacciava nessuno ma i servizi sparivano. Ho cercato e ricercato ma niente.
Che aveva fatto quella volta?
«La Rai e il Ministero degli Esteri volevano che raccontassi questa emigrazione che funzionava in Argentina e Brasile. E così io e questo operatore – un piagnone romano, dopo le racconto che successe a Rio de Janeiro – partimmo.
Arrivati in Argentina a Baia Blanca mi accorsi che i tornitori, i saldatori, e il resto, erano stati istruiti per l’occasione e che in realtà uno gestiva la prostituzione, un altro faceva il prestigiatore e via così. Immagini, per me erano perfetti. Tornai, proiezione. Putiferio. Il ministro disse di non voler versare il resto dei soldi, e il mio direttore Massimo Rendina, mentre tutti stavano uscendo dalla sala, mi disse bluffando: “Lo mandiamo in onda sabato sera”. Dopo un’ora arrivò questo centauro del ministero a portare l’assegno».
Che fece sparire il documentario. E invece a Rio?
«Ero sfinito dai lamenti dell’operatore, ci portavamo dietro questo grosso registratore, gli argentini ci dicevano: “muy lindo gravador”, sì ma pesava, e poi c’era il sacco della pellicola, gravarsi anche del lamento era inammissibile. Gli dico andiamo in un bel posto, ci svaghiamo poi lavoriamo. Saliamo sul monte Pan di Zucchero, una vista bellissima.
Mi volto e vedo che piange: bene, si è commosso. E chiedo: “piangi per il panorama?” E quello, asciugandosi le lacrime: “No, dottò, sto a pensà che a quest’ora mi figlio ha fatto a caca pe’ tera, e ce sta a giocà cor dito dentro”».
E morì la poesia. Si è mai pentito di qualcosa?
«Mi appaiono ricordi di cose fatte e sono incancellabili, quindi cerco di non ricordare. Penso spesso a un povero contadino al quale feci credere che a Piazza Venezia c’era ancora il Duce».
Si è mai dato un limite?
«Intervistavo gente molto fragile. Quindi avevo il senso di responsabilità e il rispetto per il prossimo, molte volte li ho fermati prima che peggiorassero la loro situazione, si aprivano in modo eccessivo».
Quale è il suo segreto?
«Il mio tasto più felice è la malinconia».
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[ARTICOLO] PSY si complimenta con i BTS e dà loro consigli riguardo al successo e alla popolarità all’estero
“In una recente intervista rilasciata prima del suo così tanto atteso comeback l’artista PSY ha parlato dei successi internazionali dei BTS e della loro popolarità.
Ha affermato: “Ho visto che i BTS sono molto famosi all’estero. Sono orgoglioso di loro e penso che siano molto meritevoli di ricevere quell’attenzione”.
In quanto artista che ha sperimentato un fama inaspettata all’estero, PSY ha detto: “Sono un esempio unico di successo e così lo sono i BTS. In un certo modo sembra che gli artisti che le persone non si aspettino ottengano questo tipo di risultati sono coloro che sperimentano questa sorta di successo senza precedenti”.
PSY si è congratulato con loro e ha continuato: “I BTS sono molto famosi in molti paesi e so che parteciperanno ai BBMAs. Li ho visti durante le mie promozioni di ‘Daddy’ e ho davvero pensato che i ragazzi si sarebbero slogati qualche osso quando durante le prove li ho visti ballare con la stessa energia che ci metterebbero su un palco. Vederli lavorare così duramente mi ha fatto sentire orgoglioso. Penso che i BTS continueranno a crescere e a diventare un gruppo ancora più famoso sulla strada a venire.”
Infine PSY ha condiviso alcuni consigli con i BTS dicendo: “Voglio dire loro che indipendentemente da quanto a lungo promuoveranno all’estero di non sentirsi sotto pressione. Si sono già affermati come artisti degni di riconoscimento in Asia”.”
Traduzione a cura del Bangtan Italian Channel Subs (©lynch)| Trans ©soompi&peachisoda
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Psycho-pass Utopia Hound Bonus Track 2 ITA
Questa parte del Bonus Track è una delle mie preferite: vediamo finalmente come Kougami è riuscito a fuggire dal campo di grano, come è sopravvissuto fino alla sua fuga e soprattutto c’è uno dei momenti più belli tra Kougami ed Akane, la loro “ultima” conversazione telefonica.
Nota prima di leggere: le frasi in corsivo rappresentano i pensieri dei personaggi.
2
Quel giorno, Kougami Shinya era diventato un esecutore fuggitivo e aveva oltrepassato la linea finale da criminale latente.
Di fronte a lui, c’erano due scelte…fuggire di nuovo o restare in quel luogo.
Se fosse rimasto, Kougami forse sarebbe stato punito. Sarebbe stato colpito col dominator da un vecchio amico, oppure sarebbe stato punito in un centro di isolamento?
Si chiese tra sé inconsciamente. Fino a che punto aveva paura di morire?
Raggiungendo il proprio obbiettivo, non gli importava più di niente…dire che non si sentiva così, sarebbe stata una bugia.
Nel momento in cui era fuggito dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, aveva arrecato molti problemi ai suoi colleghi. Aveva paura che Tsunemori e Ginoza vedessero la sua fuga come un tradimento. Non aveva più un posto in cui tornare.
“Ancora un po’ …”
Se pensava alla morte, avrebbe potuto morire in ogni momento. Ma una volta morto non sarebbe più potuto ritornare in vita. C’erano sono leggende di morti tornati in vita, però sfortunatamente Kougami non era né un santo né un mago.
…provare a vivere ancora un po’?
Alla fine, Kougami aveva scelto di sopravvivere. Una volta deciso di fuggire, aggrapparsi ai vecchi amici non sarebbe andato bene. Così era fuggito, dedicandocisi anima e corpo.
All’inizio aveva camminato. Aveva trovato una macchina con una telecamera interna e un sistema per aggirare l’identificazione biometrica. Quest’auto poteva evitare la rete del Sibyl System di sorveglianza del traffico. Poteva un’auto così comoda finire nelle sue mani con tanta facilità?
Semplicemente, era successo.
Aveva trovato l’auto usata da Makishima per i suoi spostamenti.
Anche se era stata usata dall’uomo che aveva odiato a morte, l’aveva usata. L’auto di Makishima, senza alcun link al sistema di monitoraggio e con un ottima mimetizzazione, era l’auto perfetta per un criminale.
Non era possibile che lui fosse un criminale come Makishima.
Ne aveva bisogno per preparare una controffensiva. Tra i compagni di Makishima c’era un cracker molto abile. Aveva anche come sponsor un grand’uomo chiamato Toyohisa Senguchi.
Il potere della tecnologia e della finanza erano più che sufficienti.
Accesa la macchina, per prima cosa Kougami era tornato a Tokyo.
“…..”
Correndo sull’autostrada con l’auto di quell’uomo detestabile, aveva sperimentato l’allucinazione di avere Makishima Shougo seduto nel sedile di fianco a lui.
Nella macchina c’era un computer di piccole dimensioni. Fermata la macchina, Kougami aveva acceso il monitor e la tastiera olografici. Una volta controllato tra le applicazioni off-line presenti, aveva provato ad avviare il software delle mappe. Nonostante non si connettesse alla rete, il software aveva preso accuratamente la posizione della macchina.
…come fa a funzionare senza usare il GPS? In qualche modo sembra ci sia incorporato un sistema che calcola la posizione dalle onde elettromagnetiche presenti nei dintorni.
Nel software delle mappe erano registrate le posizioni della safe house di Makishima Shougo e dove lui teneva le armi. Era praticamente perfetto. Ricevere un regalo da un uomo così malvagio lo faceva sentire male, ma Kougami poteva sopportarlo. Il primo posto in cui si era diretto era stata la safe house in Kabukichou. Non era un quartiere abbandonato o una terra di nessuno, l’edificio sorgeva proprio nel mezzo di un quartiere animato e Kougami all’inizio si era meravigliato dell’audacia di Makishima.
E dato che c’era la possibilità che il complice di Makishima fosse ancora vivo, quando era entrato nell’edificio, guardingo aveva impugnato la pistola. Comunque, era finito tutto in una paura inutile perché cercando in ogni angolo della casa, dal bagno a sotto il letto, non aveva trovato nessuno nascosto.
Il seminterrato di un edificio ad uso abitativo e commerciale era diventato in toto la base di Makishima.
Toyohisa Senguji, l’uomo che era stato sponsor di Makishima, era il presidente della più grande compagnia generale di costruzioni del Giappone, la Teito Network Construction Corporation.
Fornire a Makishima in segreto questa safe house deve essere stato un gioco da ragazzi per lui.
Nella safe house le comodità erano così ben ordinate (generi alimentari, libri di carta, attrezzatura da allenamento) che Kougami aveva fatto passare già una settimana senza mettere nemmeno un piede fuori dalla stanza. Cercando nel notebook, aveva trovato documenti di vario genere che sembravano preparati da un cracker, il subordinato di Makishima. Qui per la prima volta Kougami aveva conosciuto il nome del cracker di Makishima.
Choe Gu-sung….un mezzo-giapponese*?
Choe Gu-sung aveva investigato attentamente sul sistema di sorveglianza del Dipartimento di Pubblica Sicurezza.
Aveva usato un programma di calcolo per determinare i punti ciechi degli scanner stradali e calcolare un percorso stradale per spostarsi dal quartiere residenziale ai quartieri abbandonati.
Il cracker aveva fatto dei preparativi che arrivavano fino alla simulazione di una fuga all’estero.
“Uhm…”
Tsk, devo ammetterlo…Aveva pensato Kougami.
I nemici con cui ho combattuto fino a ora, sono stati i peggiori per il loro carattere, ma veramente grandi per le loro abilità.
Comunque Kougami era affamato. E dato che aveva guidato senza riposare non aveva avuto abbastanza riposo.
“…qualcosa da mangiare”
Kougami aveva cercato la dispensa delle provviste nella safe house. Non c’erano piatti autocucinati a base di super-avena, aveva trovato cibi congelati e a lunga conservazione come quelli dei vecchi tempi. Il menù dei cibi a lunga conservazione consisteva in tagliolini istantanei e cibo in scatola e il cibo congelato…
Dalla credenza Kougami aveva preso del beef jerky* e una latta di polpo marinato sottolio e aglio. C’erano anche lattine di birra e Kougami si era servito.
Si era trasferito nel living room e aveva aperto due lattine di birra e un pacchetto di beef jerky. Appena mangiato un boccone, un sapore speziato di pepe nero si era diffuso nella sua bocca. Quindi si era versato una birra. L’anidride carbonica gli aveva dato una sensazione effervescente in gola. Il condimento salato che si accordava così bene con la birra era davvero buono.
Aprendo anche la scatoletta di polpo, l’aveva mangiata. Anche questa era molto buona. Era come se il sapore ricco e grasso dell’olio all’aglio l’avesse riempito fino alla punta delle dita. Una volta placata la fame, Kougami si era rivolto verso la libreria. Vi erano allineati vecchi libri di carta in grandi quantità. C’è anche uno splendido assortimento di libri proibiti dal Sibyl System e antichi libri rari. Quando aveva pensato che erano cose di proprietà di Makishima aveva provato un miscuglio di sensazioni contrastanti, però quelle cose non avevano colpa per il tipo di proprietario a cui erano appartenute.
Dannazione! Aveva detto Kougami per il disappunto. Il suo gusto nelle letture è dannatamente simile al mio.
Dato che erano presenti tutti i volumi de ‘Alla ricerca del tempo perduto’ di Proust, bevendo la sua birra aveva iniziato a leggere il primo volume, ‘Dalla parte di Swann’.
*
…..alcuni giorni dopo.
Muovendosi qua e là da Ikebukuro fino ai quartieri abbandonati, dopo aver fatto visita alla tomba, era finalmente arrivato a Shibaura. Il suo obbiettivo era il molo di Shibaura* nel porto di Tokyo. Nel secolo scorso, la banchina di Shibaura, il cui deterioramento continuava nel tempo, era stata rinnovata ed era diventata la principale base di appoggio per le flotte di navi drone.
“…penso sia inutile, però…”
A metà strada, Kougami aveva gettato via sul retro di un camion a lunga distanza l’elmetto copia-tonalità che aveva usato quando era fuggito dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza. Se l’elmetto fosse stato scoperto in un posto diverso, avrebbe potuto trarre in inganno un inseguitore.
La safe house di Shibukuro era una casa isolata.
“Nonostante io sia un criminale, è una vita dannatamente buona…”
Senza pensarci, Kougami si era lasciato scappare dalla bocca parole del genere. La casa solitaria era in un angolo di una città residenziale, una casa di due piani decorata fino alle piante ornamentali vere. Dato che si sentiva il corpo pesante, aveva fatto stretching, corso su un tapis roulant e fatto esercizi per i muscoli, quindi si era fatto un bagno rilassante.
Subendo il crollo dell’economia a livello mondiale e dell’ordine pubblico, il Giappone era passato ad un regime di isolamento dai paesi esteri. Frontiere inespugnabili protette da droni e corpi speciali dotati di armamenti ultra avanzati. Non tollerando invasioni dall’esterno, non potevano perdonare fughe dall’interno. Tuttavia, non è che si si potesse soddisfare il fabbisogno nazionale soltanto con le risorse interne del Giappone. Il commercio estero e l’import-export continuavano ancora. Era la stessa politica di isolamento del periodo Edo.
Spesso capitava che gli altri partner commerciali non fossero nazioni, ma partiti militari e aziende private di armamenti oltreoceano. Le flotte di drone erano costituite da navi container che avevano un equipaggio estremamente scarso (a volte non ne avevano affatto). Essendo il Kyūshū l’entrata principale alle basi di import-export, le navi container drone orbitavano tra i porti interni e i punti di commercio con i paesi esteri come pesci migratori. I drone conducevano interamente le operazioni di trasporto merce.
Il suo obbiettivo era una nave container autopilotata come quelle. Choe Gu-sung aveva preparato vari scenari con un programma in grado di craccare ogni sorta di drone del governo. In aggiunta a questo, c’erano degli occhiali con una funzione di indicazione di routing in grado di muovere i punti ciechi degli scanner stradali.
Bevendo un caffè caldo, Kougami aveva elaborato un piano.
….se lo faccio, riuscirò assolutamente a scappare.
Aveva cercato meticolosamente nella safe house se c’era qualcosa che potesse usare. Una sparachiodi modificata per aumentarne la potenza, un kit medico piccolo ma altamente efficiente, un terminale portatile e razioni militari facili da conservare e da portare. E naturalmente, aveva preso sigarette e una pistola e il libro che stava leggendo.
Il revolver che aveva posto fine al caso Makishima.
I proiettili non erano abbondanti, ma era la massima capacità di offensiva che il Kougami di adesso potesse avere.
Usando gli occhiali, aveva ispezionato il molo di Shibaura. Aveva anche provato il software di cracking. Riducendo in parte la distanza, era riuscito ad intrufolarsi per mezzo di micro robots.
Se fallisco una volta, non sarò in grado rifarlo di nuovo. La cosa migliore è essere prudenti.
Aveva completato il suo piano.
Domani finalmente lascerò il Giappone…in quel luogo, Kougami aveva contattato Tsunemori Akane.
Per non essere rintracciato, stava usando il terminale portatile modificato.
[Pronto…sono Tsunemori]*
La sua voce sembrava incerta.
Ascoltando quella voce, Kougami aveva realizzato l’importanza delle cose che aveva gettato via.
“Hey…da quanto tempo”
[Kougami-san…!?]
Nella voce che arrivava dall’altra parte del terminale portatile c’era una traccia di sorpresa.
“Non è strano dire ‘da quanto tempo’? Va tutto bene. Siccome sto chiamando da un canale complesso che opera in remoto, non c’è rischio di essere intercettato”
[…dove si trova? …]
La voce di Tsunemori si stava velando di pianto. Kougami sentiva un dolore pungente nel petto.
[…non può dirmelo, vero?]
“Ecco, non so quando uno scanner o un drone mi troverà, però…sarò in un posto sicuro per un breve periodo”
[Perché…ha chiamato?]
“Da ora in poi, camminerò su un sentiero pericoloso”
Aveva detto Kougami. Domani, si sarebbe diretto all’estero rubando un passaggio su una nave container drone.
Tsunemori aveva sussultato.
[Kougami-san…!]
“A lungo termine mi trasferirò in un posto sicuro. Per poter fare questo, avrò bisogno di fare alcune cose pericolose”
Anche con gli occhiali e il cracking, se soltanto fosse uscito di poco dal sentiero sicuro, la sua presenza sarebbe rilevata dal sistema di sicurezza.
“Se domani mattina dovesse spuntare fuori il mio corpo…se dovesse accadere questo, penso che saresti scioccata. È giusto per prepararti spiritualmente”
[Deve per forza fare…quelle cose?]
“Quanto valore possa avere la mia vita…questo non lo so, però essere ucciso dal Sibyl System non dev’essere così piacevole”
Non così piacevole…?
Kougami aveva riso di se stesso.
Non c’è un modo migliore di parlare?
[Se lei si arrendesse, anche ora…]
Tsunemori è incredibilmente positiva. Pensa di potermi aiutare con la legge anche ora.
“Anche se sei tu, Tsunemori, è impossibile. Non so perché, ma Makishima era il favorito del Sibyl System. Il sistema non mi perdonerà per averlo ucciso”
[…ah…]
“In ogni caso, questo è veramente un addio. Che io sopravviva o muoia”
[No, non lo è]
“…uh?”
[Ho la sensazione che potremo incontrarci di nuovo, Kougami-san. Non come ispettore ed esecutore, ma più come normali esseri umani”
Questa volta era stato Kougami a sussultare. Non riusciva nemmeno ad immaginare una tale eventualità.
Cosa le viene in mente? Incontrarci di nuovo come persone comuni? È impossibile.
Però…..
Se è lei a dirlo, sembra veramente che possa accadere.
“…Mi arrendo. Sei veramente ottimista, eh?”
[E’ il mio unico merito]
Tsunemori aveva riso un po’. Era la risata di una ragazza molto giovane.
“…ho capito. Anche io guarderò con attesa al giorno in cui ci incontreremo ancora. Ci vediamo allora.”
[Si. Un giorno…]
Aveva chiuso la comunicazione al terminale portatile.
E aveva sospirato.
Se avessi rinunciato a Makishima, ora starei dando la caccia a qualche altro criminale insieme a lei?
Era una supposizione inutile.
Anche se lo rimpiango non posso farci niente, non è vero?
Per poter uccidere, aveva gettato via se stesso.
Anche se aveva buttato via qualcosa di importante, doveva farlo.
Kougami Shinya doveva farlo per poter continuare a essere Kougami Shinya.
NOTE TO TRANSLATION:
*Beef jerky: Il jerky è un alimento costituito da carne sgrassata, tagliata a fettine e lasciata essiccare; viene poi aggiunto del sale per favorirne la conservazione e impedire il proliferare dei batteri. La parola "jerky" deriva dallo spagnolo "charqui" a sua volta una contrazione della parola Quechua "ch'arki", che significa bruciare (la carne).
*mezzo-giapponese: la parola originale è 準日本人 . Non avendola trovata sul dizionario, ho chiesto consiglio alla mia insegnante di giapponese. Letteralmente significa “non completamente giapponese”. Si riferisce ad una persona con uno dei due genitori non giapponese, oppure una persona nata da genitori giapponesi, ma cresciuta all’estero o senza un’educazione giapponese.
*Shibaura: E un distretto del quartiere di Minato, situato a Tokyo, Giappone. Shibaura consiste principalmente di isole artificiali create scavando canali industriali nei primi anni del XX secolo. Precedentemente un’area industriale leggera, è diventata famosa per la sua vita notturna durante il periodo della bolla economica giapponese e fin dai primi anni del 2000 è diventato un distretto residenziale di grattacieli.
* [….] : le frasi tra parentesi quadre sono conversazioni al telefono.
* [Pronto…sono Tsunemori]: questa è la famosa conversazione telefonica intercorsa tra Kougami ed Akane, registrata in Psycho-pass Afterstories e scritta per la prima volta qui, nel Bonus Track di Utopia Hound. Decisamente uno dei momenti più belli e struggenti tra i due. D'altronde, cosa non è stato struggente tra i due fin dall’inizio?
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sede: Galleria Beaux Arts (Siena).
Architetture ormai fatiscenti che parlano e raccontano i fasti di una storia importante e perduta il cui eco è capace di arrivare fino ad oggi stimolando ricordi, immaginazione, fantasia, malinconia. Un vero e proprio viaggio nel tempo fatto di emozioni.
Fotografo professionista, Sorvillo è nato a Poggibonsi (Siena) e ha sviluppato la sua passione per l’obiettivo sin da bambino. Nel tempo ha sperimentato vari stili fotografici e ha costruito un suo particolare linguaggio figurativo.
Da sempre attratto dalla fatiscenza delle architetture di ambienti abbandonati, Maurizio Sorvillo ha iniziato nel 2013 a concentrarsi sul progetto The Sound of Oblivion ricercando ed esplorando luoghi abbandonati in Italia e all’estero e raccontandoli attraverso la fotografia. I suoi scatti ritraggono “luoghi – non luoghi”, architetture che hanno perduto lo scopo per cui sono state costruite e che sono rimaste orfane di un’identità precisa, in attesa di un nuovo destino.
“The Sound of Oblivion – spiega l’autore – nasce dall’ascoltare le vibrazioni che aleggiano ancora in quei palazzi, sia che si tratti di antichi manicomi, di fabbriche in disuso oppure di ville signorili. Mi fermo ad ascoltare le grida dei malati, il pulsare ritmico delle macchine o il tintinnare leggero di un servito da te. Immagino il passato attraverso i suoni che questo ci rimanda strappando, appunto, brandelli di vita vissuta dall’oblio che li ha inghiottiti. Ho pensato questo progetto a colori proprio per ridare vita e anima ad edifici che vita e anima non hanno più. Usando una particolare tecnica voglio rendere una visione non esattamente reale dell’abbandono ma leggermente falsata in modo che l’occhio dell’osservatore abbia la possibilità di fingere, di immedesimarsi in una storia che esiste solo nell’immaginazione”. “Si tratta di un progetto in divenire, dal momento che l’abbandono è sempre forte – continua a spiegare Sorvillo – Fino ad oggi ho avuto la possibilità di visitare ed esplorare vari siti in tutta Italia, riuscendo a fare una mappa delle regioni più colpite da questo fenomeno, ricercando anche le cause storiche e culturali che lo hanno provocato”.
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Maurizio Sorvillo. The Sound of Oblivion sede: Galleria Beaux Arts (Siena). Architetture ormai fatiscenti che parlano e raccontano i fasti di una storia importante e perduta il cui eco è capace di arrivare fino ad oggi stimolando ricordi, immaginazione, fantasia, malinconia.
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