#aforisma libro
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pietro-balivo · 18 days ago
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"Si nascondono nel cuore."
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marina98s · 3 months ago
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Mario Benedetti, Volto di te, Tutte le poesie, Garzanti, 2017
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I miei sentimenti sono così all’antica per questo mondo così moderno.
-Credevoinquellostupidotiamo
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esmesmoon · 2 months ago
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Non lasciarti mai la presa.. ❤️‍🩹
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ilragazzodallemanifredde · 2 months ago
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Guardava ammaliata la quiete di un tramonto, mentre dentro l'uragano spazzava via ogni certezza, lasciandola sospesa tra il silenzio del cielo e il caos del cuore.
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qu4lc0s41ncu1cr3d3r3 · 1 year ago
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lorenzospurio · 2 months ago
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"Lo stupore e la meraviglia", la nuova raccolta di aforismi di Emanuele Marcuccio
Il poeta e aforista Emanuele Marcuccio ritorna con una seconda raccolta aforistica (suo quinto libro): Lo stupore e la meraviglia. Aforismi e pensieri, per i tipi di Youcanprint (Lecce) e la cura editoriale della poetessa e promotrice culturale Gioia Lomasti; sua è l’immagine di copertina, realizzata attraverso una rielaborazione grafica di uno scatto originale dello stesso Autore dell’agosto…
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~ Lei: “Non pendo dalle tue labbra, non dipendo da te, non ti appartengo… e mentre mi raccontavi delle tue ex, mi hai parlato di te.”~ 💎
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aldameriniofficial · 9 months ago
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pietro-balivo · 14 days ago
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"Ti sogno sempre."
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coccaonthinks · 7 months ago
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C’è qualcosa che tutti possiamo fare un po' di più: è guardare, guardare con più attenzione il mondo intorno a noi. Guardare non è tanto un modo di informarsi, ma l’unico varco per arrivare a un possibile stupore, può essere un paesaggio lontano, può essere vicinissimo a casa nostra. Guardare è un modo per dire alle cose e agli animali di non andarsene, di rimanere ancora con noi. Guardare una lampadina, un imbuto, un albero, un cane, guardare e sentire un momento di vicinanza, mettere in crisi per qualche secondo la solitudine in cui siamo caduti.
In me la ricerca di quello che chiamo Sacro minore è andata crescendo man mano che aumentava l’invadenza della vita digitale. Si può stare in Rete anche molto tempo, ma non bisogna accodarsi all’esodo verso l’irrealtà, bisogna rimanere fedeli al reale, è l’unico bene, è il bene comune, il bene più comune di tutti e non dobbiamo perderlo.
Questo guardare di cui parlo non è un partito, non è un’ideologia, non è andare a rintanarsi in un rifugio, come se altrove fosse tutto deserto e miseria spirituale. Direi che è semplicemente il coltivare una saltuaria abitudine percettiva. Io non so fare di più. Dopo questi brevi slanci verso l’esterno la mia vita rifluisce verso l’interno, si riduce alla continua manutenzione dell’inquietudine. E qui mi pare che si incroci con quella di tanti in questo tempo di vite spaiate, lontane da ogni fuoco collettivo. Ecco il bivio: da una parte l’attenzione al mondo che ci circonda, dall’altra la deriva opinionistica in cui tutti cinguettano su tutto in una babele di parole che girano a vuoto.
La poesia è come un vigile che sta davanti a questo bivio e indirizza chi la legge verso l’attitudine percettiva piuttosto che verso le astrazioni dell’opinionismo. La poesia è la scienza del dettaglio, è il sogno tagliato dalla ragione o la ragione tagliata dal sogno, comunque non è mai nel dominio di una sola logica, è sempre intreccio, sconfinamento, purissima impurezza.
Io credo di essermi educato allo sguardo proprio grazie alla poesia, al suo rendere l’anima più agile, capace di oscillare dall’infimo all’immenso, dal dentro al fuori. E sull’attenzione al mondo esterno posso citare i miei due grandi maestri, Peter Handke e Gianni Celati. Il primo conosciuto e frequentato nei suoi libri, l’altro frequentato anche di persona. Celati mi ha insegnato le meraviglie dei luoghi ordinari, delle giornate qualsiasi. In fondo il mio lavoro di paesologo ha una sola regola che si può riassumere con questo mio aforisma: “Io guardo ogni cosa come se fosse bella e se non lo è vuol dire che devo guardare meglio.” All’inizio la mia attenzione ai luoghi marginali era più in chiave politica, ero infiammato dalle disattenzioni della politica. Il margine era indagato come luogo dell’abbandono, ero protesto a cogliere il passaggio dalla miseria contadina alla desolazione della modernità incivile. Sono rimasto a indagare il margine, ma con uno sguardo diverso, direi più ricco. Non ho abbandonato la lotta contro lo spopolamento delle aree interne, ci ho aggiunto l’attenzione al sacro che ancora resiste in quelle aree, come se Dio amasse i luoghi dove non c’è partita Iva. Da qui è arrivato un libro come Sacro minore o un film come Nuovo cinema paralitico, realizzato con Davide Ferrario. Guardare il mondo quasi come un’attività nostalgica, considerando che stiamo tutti diventando senza mondo, considerando che non bisogna dare per scontata l’esistenza del mondo, come se la fuga nel digitale potesse trafugarlo e lasciarci come ombre vaganti in una terra di nessuno. Una volta si indagava il mistero della vita dopo la morte, adesso è da indagare il mistero della morte che dilaga dentro la vita, dilaga quanto più la morte viene rimossa, occultata dal fervore masochistico del consumare e produrre. Ecco che dal guardare, dalla semplice postura contemplativa, la questione diventa più complessa, diventa politica: non è in gioco solo il nostro modo di abitare la giornata, ma il modo in cui l’umanità abita il pianeta. Si tratta di prendere atto che il modello imperante produce solitudine e depressione negli individui, produce ingiustizie sociali e danni enormi al pianeta. Qualcuno ha detto che la bellezza salverà il mondo. Forse ora si potrebbe dire che il mondo lo salveranno i percettivi. FRANCO ARMINIO
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Forse alla fine c’hai ragione tu, ormai vedo solo il marcio nelle persone. Accade, sai, quando per anni non hai fatto altro che vederne il buono, per poi finirne calpestata da chi di buono non aveva proprio niente.
-Credevoinquellostupidotiamo
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Falsi ortopedici
Capita a tutti di citare erroneamente. capita anche di credere vera una citazione o un aforisma legati a qualche personaggio che si ammira. Io che ne scrivo tante, ne sono certo, avrò fatto qualche errore di valutazione. Qualche volta però mi capita di incuriosirmi e verificare: per esempio una molta bella e famosa dice
Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me, e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio. Forse no. Però mi e venuto il dubbio, e vorrei anche sapere se, ogni tanto, questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso, per poter ricordare te.
Attribuita nientemeno a Kierkegaard nel suo Diario di un seduttore. Ebbene, grazie anche ad una mia splendida amica lettrice, ho constatato che nel libro non esiste niente di tutto ciò, e la citazione è costruita prendendo parti diverse da altri libri.
In questi giorni, mi è capitato di rileggere un post che sostiene questo:
Anni fa, uno studente chiese all'antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di armi, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l'osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo.
L'autore è qualche volta sconosciuto, altre volte Ira Byock, un medico scrittore americano. Dato che sono in vacanza, mi sono messo a cercare un po' di notizie, poichè secondo me questa affermazione è altamente improbabile che l'abbia detta l'antropologa Margaret Mead.
La prima evidenza della frase appare in un libro del 1980, Fearfully and Wonderfully Made, del chirurgo Paul Brand e di Philip Yancey, in cui dice "reminded of a lecture given by the anthropologist Margaret Mead, who spent much of her life studying primitive cultures".
La storia però cambia quando un articolo di Forbes durante la pandemia (del Marzo 2020) cita lo stesso episodio: How A 15,000-Year-Old Human Bone Could Help You Through The Coronacrisis di Remy Blumenfeld:
Years ago, the anthropologist Margaret Mead was asked by a student what she considered to be the first sign of civilization in a culture. The student expected Mead to talk about clay pots, tools for hunting, grinding-stones, or religious artifacts. But no. Mead said that the first evidence of civilization was a 15,000 years old fractured femur found in an archaeological site. A femur is the longest bone in the body, linking hip to knee. In societies without the benefits of modern medicine, it takes about six weeks of rest for a fractured femur to heal. This particular bone had been broken and had healed.
L'aggiunta è questa datazione del reperto osseo, e l'articolo continua suggerendo pratiche di condivisione di aspetti gioiosi e comunitari nei periodi di segregazione sociale imposto dal Covid19. L'articolo diviene virale e diffonde sul web lo stesso misterioso passo.
Tuttavia, pur ammettendo che in una determinata occasione non documentata Margaret Mead abbia detto come sopra, ad una domanda specifica "When does a culture become a civilization?", l'antropologa rispose così:
Well, this is a matter of definition. Looking at the past we have called societies civilizations when they have had great cities, elaborate division of labor, some form of keeping records. These are the things that have made civilization. Some form of script, not necessarily our kind of script, but some form of script or record keeping; ability to build great, densely populated cities and to divide up labor so that they could be maintained. Civilization, in other words, is not simply a word of approval, as one would say “he is uncivilized,” but it is technical description of a particular kind of social system that makes a particular kind of culture possible. (Bene, questa è una questione di definizione. Guardando al passato abbiamo definito civiltà le società quando hanno avuto grandi città, elaborata divisione del lavoro, qualche forma di conservazione dei documenti. Questi sono i fattori che hanno fatto la civiltà. Una qualche forma di organizzazione ( il senso di script è questo N.d.t.), non necessariamente il nostro tipo di organizzazione, ma una qualche forma di organizzazione e di conservazione dei documenti; capacità di costruire grandi città densamente popolate e di dividere il lavoro in modo che potessero essere mantenute. La civiltà, in altre parole, non è semplicemente una parola di approvazione, come si direbbe ad un altro “è un incivile”, ma è la descrizione tecnica di un particolare tipo di sistema sociale che rende possibile un particolare tipo di cultura. - fonte Talks with Social Scientists, a cura di Charles F. Madden, Southern Illinois University Press, 1968).
Che non è affatto la stessa cosa. Ci sono poi altre questioni, ancora più profonde: tra tutte, è "la cura medica" il fulcro della umanità? Non è che quella esigenza, in quel contesto storico preciso, era necessariamente più sentita e ben accolta?
Probabilmente non saprò mai se davvero Margaret Mead ha raccontato la storia del femore. Ma sono certo che ha scritto questo:
La natura umana è incredibilmente malleabile, tale da adattarsi accuratamente, con aspetti contrastanti, a condizioni culturali in contrasto (Sesso e temperamento in tre società primitive, Il Saggiatore, 1967, pag 184)
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schizografia · 1 year ago
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- Si può dire che quasi tutta la sua opera sia fatta di frammenti; da dove deriva questa sua predilezione per il frammento ?
- Dalla mia pigrizia. Per scrivere qualcosa di coerente bisogna essere persone attive. Io sono nato nel frammento. Ho scritto anche testi più coerenti, ma non vale la pena di citarli. Ora scrivo soltanto aforismi: sono vittima delle mie idee; visto che non ho fatto altro che attaccare la letteratura, attaccare la vita, attaccare Dio. Perché mai, in simili condizioni, si dovrebbe scrivere qualcosa di coerente? Per provare che? E' stata una logica inflessibile a indurre in me questa attitudine, che poi si confà alla mia indole. Non ho mai scritto niente senza partire da dati vissuti. Tutto ciò che ho scritto l’ho scritto a causa di questo e quest’altro. Perché, come le dicevo, ho avuto il vantaggio di non dover fare il professore, di non insegnare, di non fare nessun mestiere, di non essere quindi tenuto a un qualche rigore intellettuale. Mi sono sempre considerato un irresponsabile. Dunque per me scrivere significa dire ciò che voglio. Salvo poi contraddirmi, il che non ha la minima importanza. Non ho scritto per la rispettabilità, né per il successo. Per molto tempo in Francia sono stato praticamente sconosciuto. Tranne in alcuni ambienti molto ristretti. Allora mi sono detto: «Visto che la cosa si confà alla mia indole...». Sì, è vero: ho anche subito l’influenza dei moralisti francesi. Da giovane ho molto ammirato Chamfort, La Rochefoucauld e compagni. Ho letto Joubert, tutti i moralisti. Ma è soprattutto una questione di indole. Lei capisce, scrivere aforismi è semplicissimo: vai alle cene, una signora dice un’idiozia e questo ti ispira una riflessione, vai a casa e la scrivi. È più o meno questo il meccanismo, no? Oppure si ha una ispirazione in piena notte, un abbozzo di idea, alle tre del mattino la scrivi. E alla fine diventa un libro. Questo non è serio. Non si potrebbe fare il professore universitario con degli aforismi. No, proprio no. Ma penso che in una società che si disgrega questo genere di cose vada benissimo. Ovviamente non bisogna mai leggere un libro di aforismi da cima a fondo. Perché si avrebbe l’impressione di un caos e di una totale mancanza di serietà. Bisogna leggerlo unicamente di sera, prima di coricarsi. O in un momento di cafard, di disgusto. Leggere Chamfort dalla prima all’ultima pagina è totalmente privo di senso. Gli aforismi si distruggono gli uni con gli altri. Gli aforismi sono generalità istantanee, pensiero discontinuo. Ti viene un pensiero che sembra spiegare tutto, uno di quelli che si usa definire istantanei; un pensiero che non contiene molta verità, ma che contiene un po’ di futuro. Nelle esperienze della vita si può sempre verificarne il senso e il contenuto. E' un atteggiamento mentale che si deve avere. In Russia, nella letteratura russa non ci sono aforismi, che io sappia. In Germania molto pochi. Soltanto Lichtenberg e Nietzsche coltivavano il genere. Neanche in Italia. L’aforisma è una specialità tutta francese. Ma è un miscuglio di serio e di non serio. A volte faccio affermazioni completamente insensate, che mi rinfacciano. Potrei benissimo replicare: «Guardate, dico il contrario: basta che voltiate pagina». Non è che io sia un sofista, il moralista non è un sofista. Ma sono verità pensate nell’esperienza. Sono verità falsamente frammentarie. Bisogna prenderle come tali. Ma chiaramente il vantaggio dell’aforisma è che non si ha bisogno di fornire prove. Si tira un aforisma come si tira uno schiaffo.
Emil Cioran, Un apolide metafisico.
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marcoleopa · 9 months ago
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Impresentabili
Il codice di autoregolamentazione delle candidature, ossia il decalogo approvato dalla commissione antimafia per tutte le competizioni elettorali, potrebbe essere sostituito dal più celebre titolo libro di Kundera “l’insostenibile leggerezza dell’essere”, dall’altrettanto acutissima riflessione del Lampedusa che parla per bocca dell’io narrante Don Fabrizio – “il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana…”, o, per concludere, con il celebre aforisma sul nulla di S. Beckett – “niente è più reale del niente”.
Perché in fin dei conti di nulla si tratta. Di un vago codice che dovrebbe generare (in chi non è chiaro?), un alert di valenza etica, per candidati definiti pomposamente, impresentabili.
Fa persino sorridere, posto che per piangere non si hanno più le lacrime in e di questo miserrimo paese, le valutazioni della commissione antimafia (presidente tal Colosimo), che ritiene gli impresentabili in contrasto con il codice etico di autoregolamentazione, poiché hanno trascorsi per procedimenti giudiziari. Parrebbe che qualcuno/a, abbia persino un collaboratore/portaborse, condannato per mafia, come indicato dalla DDA a palazzo San Macuto, sede della commissione parlamentare per la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, commissione antimafia, Copasir e ufficio parlamentare di bilancio.
Detto così farebbe sorridere, ma ribadisco, non vi sono più nemmeno le lacrime.
Un breve excursus storico, potrebbe aiutare per comprendere il disagio: l’aspirante a una carica pubblica nel mondo dell’antica Roma, detto petitor, dopo aver depositato ritualmente la sua candidatura, indossava come segno distintivo la toga candida, da cui l’appellativo di candidatus, cioè candido, per dimostrare la purezza e l’onestà della propria persona e le future oneste intenzioni del loro operato.
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antro-dei-fumetti · 1 month ago
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Consigli alle bambine
Consigli alle bambine Ben pochi sono gli scrittori di tutti i tempi citati al pari di Mark Twain. Non c'è argomento che non si possa trattare senza ricorrere a un suo aforisma, un suo paradosso, una sua provocazione. Una delle più ricorrenti è tratta proprio dal breve vademecum da lui scritto nel 1906, ora proposto al pubblico italiano in questo libro illustrato, e dedicato alle brave bambine: "Mai fare le maleducate con i grandi, a meno che non siano loro a cominciare". È questo l'ultimo di una serie di consigli che Twain offre alle bambine nel suo più autentico stile irriverente e sornione...
Ben pochi sono gli scrittori di tutti i tempi citati al pari di Mark Twain. Non c’è argomento che non si possa trattare senza ricorrere a un suo aforisma, un suo paradosso, una sua provocazione. Una delle più ricorrenti è tratta proprio dal breve vademecum da lui scritto nel 1906, ora proposto al pubblico italiano in questo libro illustrato, e dedicato alle brave bambine: “Mai fare le maleducate…
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