#affezionarsi in tempo zero
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Sono ormai quattro giorni che questa bellissima mantide prega attaccata alla vetrina del negozio in cui lavoro. Ora le cose sono due: o mi supplica di concederle due fette di mortadella o cerca indulgenza per le sue efferatezze.
Mi dispiace contessa Ugolina, ma nulla posso...al massimo ti apparecchio due zanzarine, che di quelle ne ho in abbondanza.
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Sofferenza Opzionale
21/05/2021
Sono davanti al mare, è sera ormai. La birra ghiacciata mi apre la gola, un brivido scivola dietro e si arrampica svelto sulle scapole. Ho il cappuccio tirato sopra il capo, c'è una brezza leggera, ancora non è estate e mi fa piacere quella sensazione di riparo sulla nuca, dietro le orecchie. È il primo mare di questo 2021. Piatto, quieto, pieno di riflessi metallici, somiglia alla carta argentata che mia zia utilizzava nel presepe quando ero piccolo, per simulare un torrente, un laghetto artificiale, qualcosa dove far abbeverare uno sparuto gregge di pecore in gesso. Quella carta riusciva a riflettere le forme, ma le distorceva, restituendo una visione del mondo confusa, a tratti lisergica, eppure teneramente sospesa in un altrove fatto di minuti che sembrano ore. Potrei restare a contemplare questa massa d'acqua smisurata, che stasera sembra borbottare sottovoce, schiodandomi una birra dopo l'altra, per settimane, mesi, anni e non sarebbe mai troppo, mai abbastanza. Ci si dimentica in fretta delle cose che ci fanno bene. Al contrario, non molliamo neanche per un secondo le ragioni di una ferita: le curiamo, diamo loro da mangiare, ci inventiamo canzoni per farle dormire. Impieghiamo così gli intervalli che dovrebbero essere solo nostri, fra il lavoro e il sonno. Un po' come affezionarsi a una zecca. Il dolore è inevitabile, la sofferenza opzionale: il motto di questo blog. L'ho sempre associato ad Haruki Murakami ne L'arte di correre e l'ho fatto immediatamente mio. Ma Google mi informa che in realtà si tratta di un mantra buddista che l'autore di Tokyo Blues (Norwegian Wood) deve aver trovato incredibilmente calzante per un libro che racconta come ci si avvicina fisicamente, psicologicamente e filosoficamente a una disciplina tanto dolorosa, umiliante, noiosa eppure sorprendente e appagante, come la corsa. Davanti al primo mare del 2021, perché la mente nel presente non ci sa proprio stare, ripenso alla sgambata di qualche giorno fa, quando hanno annunciato ovunque che Battiato aveva terminato i suoi giorni sulla Terra e io ancora non lo sapevo.
Vento, sole, fiato zero. Le mie gambe traballano, i piedi perdono aderenza, la ritrovano. Poi la rifiutano, la disconoscono. Due settimane senza correre. Punto e a capo. Ma non ho più voglia di farne una questione e un cruccio. Prendere quello che viene con il massimo possibile di apertura (fisica e mentale) e dare una bella spremuta ai giorni, farne uscire il succo, imbrattarcisi, farli significare. Basta con la quantità, solo la qualità ha senso e te ne accorgi quando sei agli sgoccioli, in riserva. Ho deciso di deprimermi meno possibile anche per i tempi di Runtastic, la classifica degli amici che corrono, dove resto saldo all'ultima posizione, i “regressi” vergognosi che ogni volta questa app (leggi “sofferenza”) auto-inflitta registra meticolosa come peccati da tenere esposti sul frigorifero, sotto una brutta calamita delle vacanze altrui, in attesa di un confessore. La mia mente è carica, affollata, mai fresca e leggera. Anche mentre corro, faccio fatica ormai a focalizzare l'attenzione su qualcosa e restare lì, smettere di lasciar passare preoccupazioni e domande aperte, come il fianco squarciato di una nave da crociera che imbarca acqua a non finire. Il virus del multitasking, del bombardamento di input esterni è il mio male quotidiano, quello per cui patisco e non assaporo più, quello che blocca tutto, incasinando la lingua, i pensieri e il respiro. Mentre corro percepisco chiaro e intelligibile il problema alla base di questo sovraccarico. Poi lo perdo, mi scivola di mano, come un'intuizione che ti arriva fra la veglia e il sonno. Quando corri, se lo fai con una certa regolarità, le cose si fanno limpide, vuoi per meccanismi legati all'ossigenazione, vuoi per un'ancestrale ritorno a dinamiche basilari, primitive, che instillano un certo qual senso di libertà: la fuga, il gesto catartico di mettere distanza fra te e la puzza di merda che certi giorni “passa al convento”. Se ha un senso tutta questa sofferenza non pagata, che occupa decine di minuti preziosi nel mio giorno di riposo (difficile resistere e non scrivere nella mia ora di libertà, azzardando parallelismi inverosimili), è per questo senso momentaneo di chiarezza che si palesa nel cervello, uno sgombero a tempo determinato delle cianfrusaglie stoccate ai piani alti a prendere muffa e a rendere gli ambienti tossici.
Il problema era chiaro giorni fa, quando è morto Battiato (che qualcosa più di noi l'aveva capita), lo è anche adesso mentre guardo il Tirreno, stappo un'altra Ichnusa e siamo già alla fine di maggio: la mia testa è diventata uno smartphone pieno di applicazioni che vomitano notifiche senza requie, è la stanza da letto di un accumulatore seriale che dorme in mezzo a pile di vecchie riviste di pesca, cartoni della pizza sparsi a macchia di leopardo, gattini mummificati e addobbi natalizi. Poche cose sanno dare sapore al presente, prima che vada a morire dietro alle torri della città vecchia. Pochi fragilissimi incastri sono capaci di illuminare a giorno per qualche istante la nostra penosa notte di acciacchi e proiezioni, la nostra favoletta del cazzo dove io, io, io...io sono...io faccio...cammino...io corro...scrivo...me la rido.
Ascolto: IOSONOUNCANE, hiver.
#sofferenzeopzionali#corsa#correre#lartedicorrere#mare#paesaggio#paesaggio italiano#pensieri#ricordi#multitasking#smartphone#presepe#battiato#accumulatoriseriali#iosonouncane#runtastic
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Dreaming San Francisco
Sono una stupida ipocrita che non fa altro che affezionarsi a tutti. Se potessi, vorrei cancellare tutti e tutto dalla mia vita, tranne i miei migliori amici e trasferirmi lontana, altrove. Sono stanca della mia attuale vita, io voglio andarmene in California, e portarli con me; ricominciare da zero e cambiare vita. Divertirmi con loro, lavorare in qualche bel posto, prendermi una bella casetta, continuare a scrivere, suonare, cantare, praticare surf, altro, e diventare ricca da fare schifo. Ci sarebbe anche un altro mio caro amico ma non si fa sentire. È impegnato a girare il mondo per lavoro; non riesco ad essere arrabbiata con lui per questo motivo, anzi lo ammiro per come riesce ad allontanarsi, così, dai suoi problemi. È forte, eh? È lui che mi ha dato ispirazione per questo titolo. Vorrei essere come lui. Credo che dovrò aspettare del tempo per tutto ciò, seguire ed avverare i miei sogni; non in modo egoistico; non lasciando indietro i miei, ormai, reali amici. Aspetterò, sognando San Francisco.
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⁖ ♡ Sophia & Dustin @ Sala Comune di Serpeverde / 3 Febbraio.
( ... ) L’ha visto quasi cadere dalla scopa? Ovviamente! Ma non credeva si fosse fatto poi così male, no? Pensava fosse stato semplicemente colpito da un bolide. L’ha scoperto solo a cena, quando non l’ha visto — ed ha origliato la conversazione di un paio di Serpeverde. Turbata, si reca nel Dormitorio quando tutti sono troppo impegnati per accorgersene; certo, indossa quel vestitino rosso ed è truccata di tutto punto e neanche sobria al cento percento, però...! ‹ Hey? Sei sveglio? › mentre si siede con delicatezza su una porzione di letto, cercando di attirare la sua attenzione sfiorandogli il viso con i polpastrelli. Delicatissima. L’idea della festa adesso non è più poi così allettante!
Beh, è chiuso in camera, tutti gli altri sono chissá dove e Dustin, visto che ha già voglia di uccidersi ha deciso di impegnare il tempo in qualcosa di...utile? Infatti, visto che la sera prima ha dormito poco e niente, ha chiuso gli occhi da un'oretta, quando sente quella voce e quel tocco sul viso. Apre lentamente gli occhi, il Macmillan, con lo sguardo che va a posarsi sul volto di...Sophia? Con un vestito rosso? Okay, probabilmente si perderebbe qualche istante di troppo a vederla se solo...non fosse dell'umore, ecco. « La festa è a parecchie rampe di scale da qui. » Borbotta solo questo, con gli occhi che tornano a chiudersi come per chiudere la conversazione.
Vabbè. V a b b è. Prima Valentyne che la tratta di merda sul campo da Quidditch, adesso Dustin –– e okay, si dice che è perché sta male. Però deve comunque contare fino a dieci per non parlare, per non dire niente, tirando su un sospiro / lunghissimo / che lascia fuoriuscire solo dopo svariati istanti. Avrebbe voglia di fargli il verso, a dirla tutta, o di alzarsi e andarsene senza troppi preamboli. E lei che voleva essere / carina /. Affezionarsi alle persone sta diventando una vera merda. Quindi si limita ad alzarsi, a tornare in piedi, ed anche se l'altro ha chiuso gli occhi lei lo guarda comunque. ‹ Lo so. › si limita a replicare, gelida. ‹ Volevo solo sapere come stavi. ›
Si, Dustin lo sa che lei voleva solamente essere carina ma...non ce la fa, va bene? Ha la sportivitá di...boh, James Hopkins quando si ci mette. Per non parlare del fatto che il punto colpito ancora gli fa male e lo fa essere ancora meno amichevole del solito. Ma sospira, quando la sente alzarsi dal letto. E di nuovo apre gli occhi per guardarla. « Sto bene. Devo solo darmi alla clausura per qualche giorno. » E cerca. / Cerca / di non essere troppo scontroso, ma...
Sophia lo fissa in silenzio, senza che una singola espressione le attraversi il viso, dall'alto. Senza intenzione di far qualcosa come sorridere, o mostrare empatia. Zero. Adesso è incazzata, che ci possiamo fare? Quindi si limita ad aspettare che parli, giusto per avere la conferma che non stia per morire, diciamo, e annuisce con un secco cenno del capo. Insomma, tutto l'entusiasmo della giornata? Perso. ‹ Okay. Allora buona clausura. › il tono di voce piatto, eh, mentre si butta i capelli corvini dietro un orecchio e poi si volta per lasciare i Sotterranei così come c'è arrivata. La visita più breve che abbia mai fatto a qualcuno, / wow /.
Che dovrebbe fare? Provare a trattenerla? Dire qualcos'altro? Forse si, dovrebbe. Ma si conosce abbastanza bene da sapere che potrebbe solamente peggiorare la situazione, dicendole qualcos'altro. Perchè l'ho detto, non è di certo dell'umore adatto per avere a che fare con una grifondoro, specialmente non con una che era anche in campo. E gli dispiace, vederla andare via così incazzata ma... ah, che ha fatto di male, nella vita, per meritarsi le ragazze? « Divertiti, mi raccomando. » Ecco, appunto, l'ho detto che è meglio per tutti se Sophia se ne va...!
Non che lei si aspetti Dustin faccia o dica qualcosa, eh, e neanche lo spera — un po’ perché ha imparato com’è fatto, ed un po’ perché semplicemente preferisce andarsene incazzata piuttosto che beccarsi addosso altro schifo. Perché che palle, lei ha aiutato la squadra a vincere e piuttosto che stare con loro a festeggiare è venuta qui, digiuna, e si becca pure questo comportamento da parte sua. Ne ha proprio / abbastanza /, per oggi. Valentyne, lui, quei Serpeverde che la squadrano da testa a piedi per fare battutine stupide. Quindi semplicemente è già quasi a metà strada, con i tacchi che risuonano contro il pavimento, quando sente quella frase. E si volta di scatto. ‹ Fammi capire. › esordisce, secca, facendo qualche passo in avanti di nuovo. ‹ Non ceno, mando a puttane la festa, che mi sono / meritata / perché in campo sono stata brava, per venire da te... e mi devo tenere anche questo sarcasmo? Complimenti, Dustin. › e scuote il capo, adesso, il naso che si arriccia—— ‹ Divertiti tu, piuttosto. Sono sicura che le tue ragazze si divertiranno un mondo a farti da crocerossine. › E se prima il tono era atono, stavolta potrebbe definirsi nient’altro che acidognolo. Mentre gli rivolge un'ultima occhiata, ovviamente, con tutta l’intenzione di andare via e tornare in Sala Comune a / divertirsi /.
Cosa lo ha spinto a trattarla così? Beh, i motivi sono sempre gli stessi, no? E' una grifondoro, era in campo mentre loro hanno perso e... gli fa male il petto, okay? Se prova a fare un respiro più profondo gli fa male / tutto /! E lo sa che sbaglia a comportarsi così, perchè effettivamente Sophia colpe non ne ha però... però... ha un carattere di merda. E' così. Da sempre. Eppure si è ripromesso di provare ad essere migliore, nel momento in cui pensava di star per morire! Per questo motivo, al posto di lasciar correre, ecco che si alza a sedere, lasciandosi andare ad un piccolo lamento visto che lo ha fatto troppo velocemente e sforzando troppi muscoli. « Scusa, okay? Lo so che non avevi nessun obbligo di venire e... scusa. » E certo, Sophia non lo conosce abbastanza, ma anche lei dovrebbe facilmente intuirlo che Dustin Macmillan non è uno che chiede facilmente scusa.
Certo, Sophia l’ha capito lui che tipo è. C’è arrivata al fatto che non è il tipo di persona che non chiede scusa facilmente, però... non si lascia intenerire. Non stavolta. Né dalle sue parole, né dal fatto che si sia messo a sedere, né da quel lamento dovuto al dolore. Perché? Perché è stanca. È stanca delle persone che la trattano male e poi credono di poter aggiustare tutto con un semplice / scusa /. Come Valentyne. Come sua madre. Come i suoi ex ragazzi. Come Ezra. E come Dustin, adesso. È stanca di essere considerata come... niente. Lei, che con il suo carattere di merda dimostra sempre di tenerci, anche se a modo suo. E ne fa una colpa a se stessa, adesso, perché forse non sarebbe dovuta venire e basta. Forse non si sarebbe dovuta affezionare a lui, avrebbe dovuto lasciare quei sentimenti che inizia a provare morire sul colpo. Perciò adesso le pizzicano gli occhi, ma non piange. Non vuole farlo davanti a lui, no — si limita a scuotere il capo e lasciar fuoriuscire dalle labbra una risata secca, che in realtà di divertito non ha niente. ‹ Forse funziona con le altre. Trattarle di merda e poi tenersele nel letto dicendo “ scusa “. › e lo guarda dritto negli occhi, anche a distanza, le labbra tese e le gote imporporate senza che il trucco c’entri niente. ‹ Ma non con me. › Non stavolta, almeno. Non più. Perché non è “ una Grifondoro “, né una giocatrice, né la prima stupida che gli è caduta ai piedi. È Sophia, e Sophia è... furiosa.
Quello che vorrebbe farle capire, ora, è che lui non chiede scusa solamente per mettere " pace ". E' orgoglioso, il Macmillan. Davvero molto orgoglioso. Da fare invidia ad alcuni grifondoro, paradossalmente. E certo, è consapevole dei propri errori, ma in ogni caso... non lo chiede sempre, scusa. Eppure lo ha fatto con lei. Probabilmente significa molto più di quello che Sophia crede. « Non cerco di tenerti nel mio letto. » Anche perchè... ora come ora non vuole nemmeno riesce a pensare di tenere qualcuna nel proprio letto, ignorandola completamente, quella risata. « Mi sono comportato di merda, e mi sto scusando. »Tutto qui, meglio non dire altro, perchè se un minimo di Sophia l'ha capito, sa che quando è arrabbiata è... meglio cercare di non dire cose che potrebbero essere interpretate in maniera sbagliata. E poi... sul serio gli dispiace, eh! Non sta fingendo solamente per tenersela calma!
Lo sguardo chiaro di Sophia vaga per la stanza per un attimo, proprio quando una lacrima solitaria va a rigarle una guancia — lasciando un vuoto lì dove il trucco viene sciolto. Perché è semplicemente fatta così: quando è arrabbiata tira calci e pugni, o piange. Non dalla sofferenza, ma dal nervosismo, da quella brutta sensazione che le stringe improvvisamente lo stomaco in una morsa. Proprio come adesso. Ma se l’asciuga subito con il dorso della mano, il viso, perché non ne vuole sapere di dargli la soddisfazione di vederla piangere. O star male. Tant’è che quando riporta lo sguardo sul suo volto esso appare asciutto, fermo, come in realtà non si sente, perché Sophia è in tumulto. ‹ Bene, magari potevi pensarci prima di trattarmi come se fossi l’insetto più fastidioso che potesse capitarti a ronzarti intorno. › si limita semplicemente ad asserire, con quel tono di voce che torna ad essere piatto. Privo di emozioni. Ed è assurdo, no? Soprattutto per lei che di queste ne prova fin troppe. Però... l’ha trattata malissimo fin troppe volte, ad oggi. E lei invece è sempre stata carina. Stupida, forse. E non lo capisce cosa significhi per Dustin quel chiederle scusa, perché... come potrebbe? Sophia è una delle tante, no? Forse la più fastidiosa. Quindi si limita a passarsi le braccia intorno la vita, come se si volesse abbracciare da sola. Dovrebbe andarsene, ma non ne ha la forza.
Forse è un bene che non la nota, quella lacrima che va a solcarle il volto. Perchè... le ha detto che non le avrebbe fatto del male, no? E scoprire che l'ha fatta addirittura piangere, per lui, non sarebbe molto diverso dall'averle dato un pugno. Ma non dice altro, aspetta che lei si giri e a quelle parole, solleva una mano per passarsela tra i capelli, in quel chiaro segnale che si, è in difficoltà. Non sa cosa dire, non sa cosa fare e... è così snervante, non sapere cosa dire e cosa fare! Specialmente quando sei Dustin Macmillan. Per questo motivo non sa per quanti secondi rimane semplicemente a guardarla, ma alla fine... « Senti... ci metterei un quarto d'ora per alzarmi, puoi...venire qui? » Le chiede, dopo aver sospirato abbastanza rumorosamente. E quella sua domanda è anche un suo modo per...prendere un po' di tempo, ecco.
Forse sì, forse essere trattata in questo modo proprio da lui fa pure più male di tutti gli schiaffi che ha ricevuto. Però non lo dà a vedere, adesso, neanche durante quell’infinito lasso di tempo che stanno entrambi in silenzio a fissarsi. È proprio quando sta per voltarsi e andare via, che Dustin apre bocca. E lei resta a fissarlo per almeno un’altra manciata di secondi, vacua. Indecisa sul da farsi. Non sa se issare un dito medio ed andarsene, restare ferma lì dov’è, o assecondarlo. Alla fine opta per una via di mezzo, limitandosi a camminare nuovamente per ricoprire quella distanza, e l’unico suono udibile è quello dei tacchi a spillo sul pavimento. Forse avrebbe fatto meglio ad andarci, a quella festa per cui s’è persino preparata. E invece no, adesso si ferma di nuovo al lato del letto di Dustin — ma non dice niente, tiene le labbra appena socchiuse e gli occhi fiordaliso, più scuri del solito turchese, fissi sul suo volto. “ Che c’è? “ sembra domandare, ma non spezza il silenzio.
Impiega così tanto tempo a decidere cosa fare, che Dustin, in quel tempo, si prende a fare una cosa che forse avrebbe dovuto fare immediatamente, appena se l'è vista accanto. E la trova... / bellissima /. Perchè Sophia è davvero bella, lo sarebbe anche con un sacchetto di plastica addosso. Ma con quel vestito rosso così attillato, con quel trucco perfetto... beh, avrebbe dovuto di certo rendersi conto prima di quello che aveva davanti. Per questo motivo, tra le tante cose più sensate che potrebbe dire quando lei gli si avvicina... « Sei bellissima, sta sera. » L'ha detto. L'ha detto sul serio. Lui. Dustin Macmillan. Proprio lui che di solito tende a far notare alle persone solamente i loro difetti, adesso le ha fatto un complimento. E no, non l'ha detto per cercare di corromperla, figuriamoci, / lui / non farebbe una cosa del genere. E' stata solo una... consapevolezza raggiunta mentre la guardava. E solo adesso, come rendendosi conto di quello che ha effettivamente detto, ecco che distoglie lo sguardo da lei, sentendosi così... / stupido /.
Ci sono tante cose che Sophia si aspetta di poter udire, adesso, tutte incredibilmente diverse tra di loro. Ma questo? Mai. Certo, che Dustin la trovi bella lei lo immagina — ché in caso contrario non ci sarebbe mai stato niente, tra di loro. Ma non gliel’ha mai detto, fino ad ora, sin da quando si sono conosciuti la prima volta in quel bar. E... sentirselo dire così, adesso, in un modo che è papabile sia spontaneo... Sophia schiude le labbra in una perfetta “ O “ di sorpresa, le palpebre che battono tra di loro un paio di volte, ché quasi stenta a credere a ciò che ha appena udito. E sì, è abituata a sentirselo dire. “ Che bella, bellissima, guarda che viso, guarda che occhi “, ma così? Mai. Solo da suo fratello, forse, ma anche lì è... diverso. Quindi è normale che si sciolga un po’ di tensione dalle sue spalle, con le braccia che ricadono lungo i fianchi. Non è mai stata insicura, non sotto determinati punti di vista, eppure con lui ha sempre mostrato d’esserlo. Almeno un po’. Come adesso, che non appena Dustin distoglie lo sguardo lei si prende il tempo di inumidirsi appena le labbra con la punta della lingua. ‹ Lo pensi davvero? › chiede, con la voce sottile, anche se... lo sa che certe cose il Serpeverde non le dice. Perciò anche se glielo chiede ha già allungato una mano in avanti, per andargli a sfiorare il viso.
Se lo pensa davvero? Se non lo pensasse davvero avrebbe sicuramente detto altro! E invece...niente, se n'è uscito con quella frase cosí stupida che adesso...sará tutta colpa del dolore, si dice. O forse quelle pozioni hanno un qualche effetto collaterale. Oh si, deve essere proprio cosí, altrimenti mica si spiega perchè abbia rivelato a parole i propri pensieri! E poi...Sophia gli chiede anche conferma! Come se non fosse stato giá traumatico dirlo una sola volta! Per questo, ancora una volta si prende tempo, con le sue dita a sfiorargli il volto. E solamente dopo un buon minuto, si convince a tornare a guardarla. « Altrimenti non l'avrei detto. » Dice, come se questo fosse ovvio. E ancora una volta, rimane in silenzio, continuando a guardarla per tutto il tempo. E alla fine, ecco che parla di nuovo, con un tono tranquillo, rivolgendole addirittura un piccolo sorriso. « E alla festa dovresti davvero andarci. » No, non la vuole cacciare. Ma le sue parole precedenti gli hanno comunque fatto capire che lei vuole andarci, quindi... « Te...lo meriti. » Okay, questo fa ancora piú male di averle detto che la trova bellissima, perché...sul serio, si è meritata di festeggiare, ma questo vuole anche dire che lui, non si è meritato la vittoria. « Io sarò chiuso qui dentro per i prossimi tre giorni, non vado da nessuna parte. » E poi...forse è meglio che si faccia passare un po' il malumore dovuto alla sconfitta! E se magari gli passa anche un po' quel dolore non sarebbe mica male!
Non sa cosa pensare, adesso, cosa sentire. O meglio, lo sa, ma si... rifiuta. Perciò lascia ricadere nuovamente la mano, gli occhi chiari incatenati a quelli scuri altrui che le piacciono così tanto. Perché lo sente il cuore che sembra farle una capriola nel petto, sente le gambe che tremano e la gola divenire secca. Arida. E lo sa che non è giusto. Che Dustin... è un amico di suo fratello con cui a volte fa sesso di nascosto. Solo questo, no? Se lo ripete nella testa. Ma per quanto quasi lo gridi, dentro di sé, il corpo la tradisce. Perché se fosse stato così non si sarebbe arrabbiata così tanto. Perché se fosse stato così non sarebbe stata ancor più vittima della sua solita irrazionalità, come se stargli vicino azzerasse ogni buon proposito. E non può essere. Non può esistere. Anche se adesso torna a sedergli accanto per un istante, perché stare in piedi è divenuto quasi impossibile. È bastata una frase così semplice, a farla sciogliere. E questo la dice lunga, no? Perciò non lo guarda per un po’, entrambe le gote imporporate e lo sguardo fisso su di un punto indefinito dinnanzi a sé. Torna a volgersi verso di lui solo quando le parla di nuovo, le labbra appena inclinate in un sorriso vago. Già, dovrebbe andarci. Se lo merita davvero. Si merita l’alcol, e il divertimento, e le attenzioni di Dave o gli occhioni dolci di Marion o qualsiasi altra cosa. Ma come si dice alla persona con cui fai “ sesso occasionale “ che preferiresti star qui a guardar lui cercare di rimettersi in sesto, piuttosto che andare ad una festa che meriti? Che provi qualcosa? Che forse, sotto sotto, non è solo sesso? Non lo sa, Sophia. Sa solo che non dovrebbe essere così. Che... lo metterebbe in difficoltà, no? Perché lui ha tante cose a cui pensare e lei dovrebbe essere solo una ragazza con cui divertirsi. Come le altre. E invece... e invece no. Perché per la Urquhart è più complicato di così. Perciò è ammutolita, adesso. Non sa cosa dire, né cosa fare, se non star lì a fissarlo imbambolata. Come se fosse stupida. È forse un po’ lo è, no?
Non sa cosa aspettarsi, dopo quello che gli ha detto. Perchè... In un certo senso ha quasi il " timore " che lei possa prenderle a male, le sue parole - e si chiede anche da quando lui si fa certi problemi, ovviamente non riuscendo a darsi alcuna risposta. E invece...invece nulla. Sophia semplicemente si siede sul materasso, senza dire una sola parola, e Dustin non sa come interpretarlo, quel silenzio. Infatti, aggrotta appena le sopracciglia, prima di allungarsi un po' in avanti per poter andare a posare una mano su una sua coscia, lasciando su di essa una specie di carezza, come per incoraggiarla a dire qualcosa. « E poi, non so quando riavrete di nuovo la possibilità di fare una festa con me fuori uso. » Lo aggiunge cosí, un po' per sdrammatizzare, anche perchè alla fine nonostante non sia d'accordo con questo genere di feste, alla fine non ha mai fatto nulla per smontarle, visto che probabilmente non avrebbe l'appoggio di nessuno.
È chiusa nel vortice delle proprie emozioni, dei propri pensieri, ma quel tocco da parte sua sembra riportarla alla realtà — con lo sguardo che per un singolo istante si posa su quella mano prima di risalire sul suo volto. E solo allora gli rivolge l’ombra di un sorriso vero, con gli angoli delle labbra appena inclinati verso l’alto a causa di quelle parole. ‹ Ho la vaga impressione che riusciremmo a far festa anche con te a zonzo nei corridoi. › si limita ad asserire, dopo un po’, con una punta di quel sarcasmo sottile che solitamente è intrinseco in ogni suo gesto ed in ogni singola parola. Ma ha il cuore che ancora batte forte, e... se Dustin si chiede perché si faccia certi problemi, Sophia si chiede perché proprio lui, tra tante persone che potessero piacerle. Anche se in realtà lo sa bene.
Vorrebbe soffiare una risata, nel sentire quella sua risposta, ma...meglio evitare ogni ilarità, visto che non gli fa di certo bene. Si limita ad accennare un mezzo sorriso, con la mano ancora posata sulla sua coscia. « Beh, possibile. Ma mia nonna mi ha insegnato come lanciare il malocchio, quindi... » Cosa vera. Sua nonna è... una strega all'antica, ecco, quindi certe cose ha cercato sempre di insegnargliele. E lui se l'è fatte insegnare visto e considerato che in un futuro potrebbe essergli utile conoscerli tali incantesimi solamente per poterli contrastare.
Sophia non ride, a quella risposta, ma quanto più si limita ad inarcare un sopracciglio. È che proviene da... un certo tipo di famiglia, ecco, dove non c’è mai stato spazio per le superstizioni. ‹ Esistono davvero incantesimi del genere? › un po’... scettica. Però vabé. La pressione della sua mano sulla coscia la sente, ovviamente, però non fa niente — né per assecondarlo, né per “ dissuaderlo “. Semplicemente si limita a guardarlo, un po’ vaga, ancora un po’ incazzata, a dirla tutta, però... pacifica, tutto sommato.
Si stringe nelle spalle, a quella sua domanda. « Il mondo magico spagnolo è... più strano di quello che pensi. » Di sicuro, a suo parere è troppo superstizioso, ma va beh, come ogni cosa, Dustin vuole saperne di più, così, nel caso in cui quelle informazioni possano essere utili in futuro, appunto. E intanto... Dustin cerca di capire se ce l'abbia ancora con lui o meno, cosa... un po' difficile, da dedurre.
A quell’affermazione è ancora un po’ stranita, a dirla tutta, però non dice niente. Risponde con una scrollata di spalle che significa tutto o niente, non lo sa neanche lei — perché... un po’ ce l’ha ancora con lui, un po’ le è passata. Non lo sa neanche lei, a dirla tutta, quindi... ‹ Ti lascio riposare. › dice, semplicemente, perché ha bisogno di pensare. È stata una giornata troppo emotivamente destabilizzante — e quindi... si limita ad alzarsi dal letto con un sospiro, tirando giù il vestito rosso. Però prima di andarsene gli rivolge uno sguardo un po’... strano.
Niente, non riesce proprio a capire cosa le stia passando per la mente. Per di più... lo guarda in quel modo un po'...strano che non riesce proprio a decifrare. Alla fine non è mai stato bravissimo a comprenderle, le ragazze, specialmente non è mai stato bravo a coglierne i loro stati d'animo. Per questo... niente, non capisce. Lascia solamente ricadere la mano sul materasso quando lei si alza, continuando a guardarla. E annuisce appena, non potendo fare altro. « E tu non divertirti troppo sul serio, mh? » Beh, il solito caposcuola, che poteva dirle, no?
Abbozza un sorriso, Sophia, un angolo delle labbra che lievemente si arriccia verso l’alto a quella sottospecie di affermazione. ‹ Occhio non vede e cuore non duole. › si limita a replicare, un po’ insolente, anche se in realtà sa bene che non si divertirà quasi per niente. Si limiterà a bere come una spugna con le proprie compagne di Dormitorio. Quindi semplicemente l’osserva per un’altra frazione di secondi, prima d’allontanarsi. ‹ Riposati. › gli dice, perché dopotutto le dispiace che stia male, prima di sparire oltre la porta.
❪ CONCLUSA ❫
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Roleplay
Ormai è un bel po’ di tempo che non ruolo più. In realtà è circa un mesetto, ma dopo anni in cui ho mosso svariati pg, un giorno equivale ad un secolo, quindi cercate di capirmi! Ho iniziato (credo) a fine 2015 con una persona, e con la stessa persona ho continuato fino alla fine. Il mio modo di scrittura si è completamente abituato al suo, tanto che ruolare con altri era ed è praticamente impossibile... forse anche perché eravamo abituate a progettare quello che sarebbe successo, avendo così una linea guida da seguire. Comunque ruolare ancora sarebbe impossibile, perché tutti i miei pg sono bene o male intramati con i suoi, trame d’amore s’intende. Alcuni mi hanno detto di continuare con gli stessi, dicendo cose del tipo che si sono lasciati o che hanno divorziato... Eh, fosse facile. Come farebbe una persona reale a lasciarsi alle spalle un marito, dei figli e degli amici e andare avanti con la sua vita come se nulla fosse? E poi con lei non era solo ruolare UN SOLO pg, bensì un gruppo più o meno grande. Certo, ci sono i protagonisti, ma come farei ad abbandonare anche tutti gli altri? Brian comunque non lo ruolei più. Ormai è morto (lo so che è morto davvero, ma io intendo il Brian bubino di mamma della role che, grazie al caro Gesù, è finita giusto in tempo... altrimenti mi sarei tipo buttata sotto un ponte) e non può rinascere per fare altro. Il suo posto al mondo-fake è amare John e odiare qualsiasi persona che si avvicina troppo a lui. Anche chi critica la sua religione non gli stava molto a genio, ma se quel qualcuno ha l’accento tedesco e gli occhi di ghiaccio, allora ci può anche stare! Era nata come una cazzata, onestamente mi imbarazza pensare a tutte quelle minchiate ruolate all’inizio, ma con il tempo era diventata seria, per quanto risurrezioni randomiche e tira e molla regolari ogni due anni possano essere considerate serie. Ken invece lo considero una fenice. Un oc veramente adorabile quanto stronzo che ha avuto ben due vite e due storie! Nato da una precedente amicizia per un progetto stupido, diventato sempre più serio con il passare del tempo e morto con la fine della relazione. Iniziata una nuova amicizia, Ken rinasce dalle sue ceneri come pg più serio che mai e... sì, è di nuovo morto! Dopo ben un matrimonio, tre figli, tre cani, una baraonda di amici/parenti, un lavoro con i contro cazzi. Povero Watkins, chissà se riuscirà a risorgere una terza volta (ne dubito)? Lucky invece è il pg che meno ho avuto la possibilità di sviluppare, forse anche per il suo carattere e la sua intelligenza, fondata su di un solo neurone che pensava solo a pavoneggiarsi. Anche se la sua storia, su carta, non è definita, nella mia mente è bella limpida e chiara. Ma nonostante tutto, non credo di riuscire ad adattarlo ad una nuova vita (fondamentalmente perché è insopportabile, ed iniziare una storia da zero senza una trama è praticamente impossibile. Una volta ci ho provato, ma tutti mi appendevano dopo poco pensando che fossi io, la rp, la stronza antipatica di turno. Ma non si capisce che sto “recitando” una parte?). Comunque questo è il significato della mia pagina. Affezionarsi a delle persone che non esistono (o che esistono, ma tu le hai modificate giusto un pochino di carattere) perché in un modo o nell’altro li hai visti crescere, li HAI FATTI crescere. E’ come essere una mamma che partecipa alla vita del figlio, che ha creato e cresciuto con tanto amore. E quando una mamma deve lasciare il figlio, non è forse triste? Non è forse vuota? Capiamoci, non è che sono disperata, non mi sto certo mettendo le mani nei capelli o elemosinando risposte (che comunque sarebbero svogliate e quindi poco stimolanti), però ne sento la mancanza. Mi manca guardare il cellulare e vedere che c’era una risposta da leggere, mi manca pensare a cosa avremmo potuto fare alle nostre povere vittime, e mi manca anche commuovermi per i momenti tristi/felici (ma quello credo che sia un problema mio, visto che sono ipersensibile). Mi manca sentirmi una sorta di dio giudice, che con una parola avrebbe potuto rovinare o migliorare una vita ignara. Ora tutto questo è solo un lontano ricordo, ma chissà, un giorno le cose potrebbero cambiare...
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