#acciaieria
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Mi sento di taggare @surfer-osa e dirle che, anche in qualità di protagonista dei video, è così.
Quando preparavo l'esame di Calcolatori Elettronici con un mio amico, il suo fratello (studente di Fisica) nella stanza affianco ascoltava i Sonic Youth.
A me sembrava tipo quando qualcuno taglia il vetro con un flessibile.
#1 yes that's true #2 this slaps and needs to be longer
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Riflessioni sulla vicenda dell' acciaieria ex Ilva di Taranto.
Ci sono diverse domande in merito a questo vicenda, mi chiedo chi ha la responsabilità di aver dato i permessi di costruzione che hanno fatto sì che il quartiere più vicino all' acciaieria si espandesse fino alla sua vicinanza, mettendo la popolazione più vicino ai fumi inquinanti? Se i governi che si sono succeduti e hanno avuto la certezza che l' acciaieria era indispensabile al Paese ed erano a conoscenza della sua azione inquinante e pericolosa per la popolazione, perché non hanno preso la decisione di spostarla in un altro posto idoneo in Italia e lontano da zone abitate? Così da ricostruirla anche con nuovi criteri ecologici. Quanti denari pubblici sono stati spesi inutilmente in tutti questi decenni? Da questa vicenda si capisce come le istituzioni sia deboli e incapaci di fare scelte difficili e razionali.
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S. Avallone - ACCIAO Via Stalingrado, Piombino
“Da una parte c’era il mare. invaso di adolescenti in quell’ora bestiale. Dall’altra il muso piatto di casermoni popolari. E tutte le serrande abbassate lungo la strada deserta. I motorini allineati sui marciapiedi erano parcheggiati di traverso, ciascuno con il suo adesivo. Con la sua scritta di Uniposca “France, ti amo”. Il mare e i muri, di cui casermoni sotto il sole rovente del mese di…
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L'azienda del gas mi ha mandato la fattura sui consumi stimati. Secondo loro abito in qualche acciaieria.
dovetosanoleaquile
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E' FURNUTA, SE N'E' ACCORTO PURE IL MANIFESTO -
Nei grandi circoli della finanza capitalistica (...) la transizione ecologica non sembra più raccogliere i consensi di un tempo.
Tra i grandi proprietari cresce la fazione che contesta l’eccessiva rigidità delle misure necessarie a ridurre le emissioni inquinanti. L’idea che ora va di moda è che la transizione “green” è troppo veloce e che l’aumento dei costi di produzione rischia di diventare insostenibile.
Il cambio di orientamento ai vertici del potere si avverte un po’ ovunque nel mondo. Attuale capofila è il premier britannico conservatore Rishi Sunak, che ha messo in discussione non solo il ritmo di abbattimento delle emissioni ma anche gli obiettivi di eco-compatibilità fino ad oggi vigenti nel Regno Unito.
Ma anche nel nostro paese si avvertono riverberi della nuova tendenza. Al recente Italian Energy Summit del Sole 24 Ore, l’amministratore delegato di Eni è intervenuto sulla nuova “dottrina” di Sunak sostenendo l’esigenza di ridimensionare gli obiettivi europei della transizione verde, e possibilmente di adattarli alle specifiche caratteristiche di ciascun paese. Un adattamento al ribasso, ovviamente.
Questi nuovi venti di «capitalismo anti-ecologico» sembrano esser diventati dominanti anche nella topica vicenda dell’Ex Ilva di Taranto. L’idea della ricapitalizzazione da parte dello Stato, per portare avanti la riconversione ecologica dell’impianto e la bonifica del territorio, appare ormai sconfitta. Il governo Meloni non ha nessuna voglia di mettere altri soldi pubblici sul progetto di acciaieria «verde», e si para affermando che i contribuenti non capirebbero. (...)
I capitalisti nemici dell’ambiente stanno pescando consensi in una classe lavoratrice frammentata e già martoriata dall’inflazione, (...) che ciò nonostante appare sempre più insofferente verso i costi della transizione ecologica. Con qualche ragione, a ben vedere. (...)
In questo scenario, c’è il rischio concreto che nei circoli dell’alta finanza la questione ecologica perda il suo glamour. (...)
Ci potremo arrivare con il libero mercato, come i circoli del capitalismo ecologista talvolta amano suggerire? Con buona pace delle fantasiose storielle sui benefici della cosiddetta «finanza verde», la risposta è negativa. Per quanto turbi gli animi dei ricchi, ecologisti o meno che siano, la soluzione potrà essere una soltanto: una versione, inedita e innovativa, di piano collettivo.
Da IL MANIFESTO, https://ilmanifesto.it/perche-ai-capitalisti-non-piace-piu-il-green
I sapientoni benecomunisti se ne sono finalmente resi conto: la transizione eco energetica - t.e.e. - non tira più come prima tra chi ci ha messo i capitali e ne ricava i profitti (mentre i costi rimangono a chi é lasciato vivere purché consumi). La t.e.e. non ha MAI tirato tra chi lavora, ha sempre suscitato la perplessità di chi ha acquisito con profitto la matematica di terza media ma era un affarone troppo ghiotto per la finanza globale. I benecomunisti, sempre i più boccaloni perché confondono i loro desideri con la realtà, non hanno mai voluto capire è che la t.e.e. era solo un calesse momentaneo dopo altri per la speculazione finanziaria. Si sono illusi che fosse una reale conversione del Globalismo finanziario alle loro Verità, ma il loro statalismo era il solito riflesso monopolista, i soldi ai burattini da Greta ai giornalai era cibo a cani da guardia, quelli ai ricercatori era per ottenere ricerca sc sc scientifica "educated" e guidare il parco buoi. Ora non più, è furnuta: il grido che non si sente ma c'è è RIENTRARE, chi ha dato ha dato ... rimangono solo le retroguardie retrò provinciali tipo Elkann. Ai compagni delle Ztl che girano per i terrazzi a caccia di apericene, non resta che chiagnere ...
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Però a 200 km/h adesso posso ascoltare la musica, quella di prima sembrava una acciaieria al picco di produzione.
(che poi è il bello e brutto delle auto più larghe, non ti accorgi manco di quanto veloce vai, emozioni zero, proprio come la realtà tedesca).
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"ma quelle giacche gliele fabbricano in acciaieria?" -mia madre parlando di amadeus
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Un personaggio sempre sullo sfondo di vicende misteriose, che appare e scompare, di quelli che non finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma il cui nome affiora più volte negli atti giudiziari degli ultimi trent’anni. A volte perché accostato alla mafia siciliana, più di recente alla ‘ndrangheta. L’uomo di cui parliamo ha quasi ottant’anni, è nato in Libia ma vive a Catania.
Si chiama Francesco Rapisarda e nel corso della vita ha stretto relazioni pericolose che – seppure non abbiano mai portato a imputazioni per associazione mafiosa – hanno contribuito ad alimentare sul suo conto ombre e misteri. Alcuni dei quali intrecciati con la massoneria. Ora che è al centro di inchieste dell’antimafia, il modo migliore per conoscerlo è risalire la linea del tempo.
Per ultimo il suo nome è comparso nell’inchiesta della procura di Catanzaro che, a inizio luglio, ha riacceso i riflettori sul villaggio Sayonara di Nicotera (Vibo Valentia), passato alla storia per avere ospitato, nell’estate ’92, uno dei summit in cui le ‘ndrine decisero di aderire alla strategia stragista inaugurata da Cosa nostra con le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che, l’anno dopo, avrebbe portato le bombe a Firenze, Roma e Milano.
Per i magistrati, tre decenni dopo quella riunione, il Sayonara era ancora in mano alla ‘ndrangheta. E a dimostrarlo sarebbe proprio la presenza al suo interno di Rapisarda. Sayonara simbolo di un’alleanza duratura tra le organizzazioni mafiose divise dallo Stretto di Messina.
[...]
Per gli inquirenti, Rapisarda sarebbe arrivato al Sayonara forte di alcune referenze mafiose. In particolar modo da parte della famiglia Santapaola-Ercolano, che a Catania rappresenta Cosa nostra.
A sostegno di questa ipotesi, citano i fatti che nel 2016, l’anno prima di prendere la conduzione del lido, avevano portato Rapisarda e il fratello ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta Brotherood. Al centro dell’indagine erano finiti i punti di contatto tra esponenti della famiglia Ercolano e alcuni appartenenti a una loggia massonica di cui proprio Francesco Rapisarda era il sovrano.
Grazie a tali convergenze l’uomo, che è anche rappresentante di un’associazione che rimanda all’organo di governo del Rito Scozzese Antico ed Accettato, sarebbe riuscito a turbare un’asta giudiziaria e rientrare in possesso di un complesso industriale. Vicende per le quali Rapisarda è stato condannato a due anni e otto mesi in appello, dopo essere stato assolto in primo grado.
Per spiegare perché la vicinanza agli Ercolano avrebbe rappresentato un buon biglietto da visita agli occhi di Mancuso, i magistrati ricordano invece l’amicizia che lega il boss di Limbadi ad Aldo Ercolano, nipote del capomafia Nitto Santapaola e condannato all’ergastolo per diversi omicidi, tra cui quello del giornalista Giuseppe Fava.
[...]
l capitolo più misterioso della biografia di Francesco Rapisarda risale, però, a tempi più remoti. Si tratta di una vicenda in cui, in prima battuta, venne tirato in ballo insieme al fratello Carmelo, per poi uscire di scena: il duplice delitto della Megara.
È il 30 ottobre 1990 quando, nella zona industriale di Catania, l’auto su cui viaggiavano Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio – amministratore e dirigente della più grande acciaieria di Sicilia – viene crivellata di colpi da un commando che, per gli investigatori dell’epoca, agì con «tecniche quasi militari».
Ad oggi non esistono colpevoli e l’indagine per tre volte è finita sul binario morto della richiesta di archiviazione. L’ultima attende il responso del gip, chiamato a valutare l’opposizione dei parenti delle vittime, convinti che non tutto il possibile sia stato fatto.
Sullo sfondo di questa storia c’è posto non solo la criminalità organizzata. Il 5 novembre 1990 una telefonata all’Ansa di Torino annunciò l’esecuzione di Rovetta e Vecchio per conto della Falange Armata, la sigla che ha accompagnato parte dei misteri italiani dagli anni Novanta in poi – dai delitti della Uno Bianca alle stragi – e che sarebbe sorta all’interno della settima divisione del Sismi, il servizio segreto militare. Di fatto, il duplice omicidio della Megara fu la seconda rivendicazione nella storia della Falange.
A mancare finora è stato anche il movente. L’acciaieria da tempo era nella morsa del racket e, con all’orizzonte una ristrutturazione miliardaria, Cosa nostra avrebbe avuto tutto l’interesse a evitare il clamore di un delitto eccellente.
È tra questi punti interrogativi che, a metà anni Novanta, compaiono sulla scena i fratelli Rapisarda: entrambi attivi nell’indotto della Megara, a citarli è il collaboratore di giustizia Giuseppe Ferone. Secondo il quale, Vecchio sarebbe stato ritenuto colpevole della riduzione di commesse a favore di una delle loro ditte e per questo destinatario di un’estorsione da parte degli emissari di un clan locale, a loro volta vicini ai Rapisarda.
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Regione Sicilia: l'Assessore Tamajo sollecita la proroga della cassa integrazione per i lavoratori della Acciaieria Duferco
Regione Sicilia: l'Assessore Tamajo sollecita la proroga della cassa integrazione per i lavoratori della Acciaieria Duferco La crisi dell'acciaieria Duferco in provincia di Messina e le pesanti ripercussioni sull'occupazione sono stati al centro di un incontro che si è svolto ieri, martedì 16 luglio, negli uffici di via degli Emiri, sede dell'assessorato delle Attività produttive della Regione Siciliana, al quale hanno partecipato, oltre all'assessore Edy Tamajo, rappresentanti del... Leggi articolo completo su La Milano Read the full article
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Sirone, incendio in acciaieria: paura tra gli abitanti della zona
articolo: https://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/sirone-incendio-acciaieria-c2d168ed Sirone (Lecco), 09 aprile 2024 L’incendio alla Rodacciai di Sirone Le fiamme sono divampate nel laminatoio della Rodacciai. Il fumo visibile a chilometri di distanza Incendio in acciaieria a Sirone. Un incendio è divampato nella prima serata di oggi a Sirone, nello stabilimento della Rodacciai. Dal laminatoio…
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La vittima aveva 52 anni, l'incidente sul lavoro all'alba a Lonato: del materiale incandescente si sarebbe rovesciato sulla pala meccanica che stava manovrando uccidendolo Operaio muore carbonizzato in acciaieria a Brescia - Fotogramma Ancora una tragedia sul lavoro. Un operaio di 52 anni è morto carbonizzato questa mattina all'alba, poco prima delle 6, mentre stava lavorando in un'acciaieria a Lonato, in provincia di Brescia. Secondo quanto ricostruito finora, la vittima, che lavorava per una ditta esterna in subappalto, avrebbe rovesciato materiale di risulta incandescente sul mezzo, una pala meccanica, che stava manovrando morendo così carbonizzato. Sul posto sono presenti i carabinieri e la polizia che ha avviato gli accertamenti. {} #_intcss0{display: none;} #U11104546365atD { font-weight: bold; font-style: normal; } #U11104546365SKE { font-weight: bold; font-style: normal; } #U11104546365oIB { font-weight: bold; font-style: normal; } Fonte
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Operaio muore carbonizzato in acciaieria
Un operaio di 51 anni è morto all’alba nella zona esterna dell’azienda Feralpi a Lonato, nel Bresciano. L’uomo, dipendente di un’azienda esterna, stava manovrando una pala meccanica quando, per cause ancora da accertare, avrebbe rovesciato del materiale incandescente sul mezzo, che ha preso fuoco. I pompieri, allertati per un incendio, quando sono riusciti a spegnere le fiamme hanno…
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Anas sperimenta asfalto innovativo con residui acciaieria di Terni from Umbria Journal TV on Vimeo.
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PS2 BLACK (L-4 NASZRAN FOUNDRY - Acciaieria di Naszran) full (ENG-IT)
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#IdentitàPartenopea
NAPOLI 💙⚜
Città bistrattata, sottovalutata e abbandonata al giogo della criminalità organizzata. Ma Napoli non è così e non fu così. Lo è diventata. Metropoli brillante, aristocratica e colta, luogo d’incontro di svago e del bel mondo, viva e felice sotto la dinastia dei Borbone che inizia nel 1734 quando Carlo di Spagna conquista i regni di Napoli e Sicilia sottraendoli alla dominazione austriaca. Incoronato nel 1735 re delle Due Sicilie a Palermo, sceglie Napoli, come capitale del regno. Considerata dalla corte di Vienna un regno lontano e poco degno di prestigio…quasi fossero “le Indie”, Napoli in realtà era una magnifica metropoli di arte e cultura del Sud, per il Sud, per l’Europa, per il mondo, intorno alla quale si raccoglieranno ben presto letterati, filosofi e architetti provenienti da tutta Italia.
Il “buon re”, così come veniva chiamato Carlo di Borbone, farà venire a Napoli il toscano e saggio Bernardino Tanucci a cui affiderà le sorti finanziarie del regno. Pittori e architetti come Fuga e Vanvitelli per dare vita a teatri, porti, fortificazioni e ospedali. E’ l’inizio del gran settecento dei Borbone a Napoli e dintorni. La prima fabbrica di locomotive a Portici, e la vicina reggia dove insieme a Maria Amalia, sua sposa e figlia del re di Sassonia, si darà vita ad un maestoso progetto residenziale con due grandi parchi, l’orto botanico e il real museo delle antichità con i reperti e le sculture provenienti dagli scavi archeologici di Ercolano. E ancora, il palazzo reale a Napoli, il tunnel borbonico come via di fuga, il real albergo dei poveri, il Teatro San Carlo, il golfo di Napoli con la più grande acciaieria e i più grandi arsenali d’Italia.
Costretto a lasciare Napoli per tornare in Spagna, dopo 25 anni di regno, a Carlo succederà il figlio di otto anni, Ferdinando, che passata la reggenza, vedrà una Napoli all’apice del suo splendore con la regina Maria Carolina, severa e austera per amore della sua città. Centro di cultura e svago, la città partenopea attrarrà le più grandi corti d’europa e dei lumi, fino a quando con l’annessione al Piemonte e la successiva unità d’Italia nel 1861 si passerà dall’epoca d’oro settecentesca ad un periodo di brigantaggio nato dalla reazioni sanguinose suscitate dalla politica repressiva dei piemontesi e parallelamente l’avanzare della criminalità organizzata che approfitterà “… per accamparsi sul deserto delle istituzioni.”
“La storia dei vinti è scritta dai vincitori… ci saranno verità che i conquistatori vorranno nascondere“. E così, prima dell’arrivo dei Savoia, Napoli godeva di un’ ottima consistenza finanziaria. Il banco di Napoli contava 443 milioni di lire rispetto ai 148 dei piemontesi; il 51 %degli operai italiani erano occupati nelle industrie del Sud, la pressione fiscale sui cittadini meridionali era la metà rispetto a quella esercitata sui piemontesi dai Savoia, le produzioni agricole detenevano il primato grazie alla fertilità delle terra, alla salubrità dell’acqua e al clima mite. Finirà lo splendore, famiglie costrette all’elemosina, il commercio quasi del tutto annullato; opifici privati costretti a chiudere a causa di insostenubli concorrenze: tutto proveniva dal Piemonte, dalla carta finanche alle cassette della posta, non vi era faccenda con non era disbrigata da uomini e donne piemontesi che si prenderanno cura dei trovatelli…”quasi neppur il sangue di questo popolo più fosse bello e salutevole.”
Lina Weertmuller
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Acciaieria verde grazie alla direct reduced iron
Decarbonizzare l’acciaio con l’idrogeno, parte HYDRA. Il progetto di ricerca, guidato da RINA realizzerà a Castel Romano un impianto pilota in grado di produrre fino a sette tonnellate di acciaio all’ora attraverso le tecnologie legate all’idrogeno. Come decarbonizzare l’acciaio con l’idrogeno Durerà fino al 2028, coinvolgerà un team di 120 ingegneri e richiederà un investimento di 88 milioni di euro. Queste alcune delle cifre che contraddistinguono HYDRA, il nuovo progetto per la decarbonizzazione dell’acciaio attraverso l’idrogeno.
L’iniziativa è guidata da RINA e fa parte degli IPCEI, ossia gli Importanti progetti di comune interesse europeo finanziati dall’UE. L’obiettivo? Realizzare una mini acciaieria sperimentale, un centro di test e un polo di formazione dedicato al know-how sull’idrogeno. “Tra le sei catene strategiche del valore identificate dalla Commissione europea per l’attuazione dei progetti IPCEI, l’idrogeno ha un ruolo di primo piano”, spiega Ugo Salerno, Presidente e Amministratore Delegato di RINA. “Da oggi mettiamo in campo tutta la nostra competenza affinché Hydra diventi un catalizzatore per le eccellenze della siderurgia”. Non è la prima volta che il vettore trova un suo spazio nel percorso verso le zero emissioni dell’industria siderurgica. In particolare l’idrogeno offre la possibilità di riprogettare completamente il processo di produzione dell’acciaio, rendendolo a basso impatto di carbonio. O meglio ancora “verde”. Acciaio verde, cos’è? Il termine acciaio verde è usato per indicare un prodotto finale ottenuto senza l’utilizzo del carbone e quindi più ecologico sotto il fronte emissivo. Come? Attraverso quello che in gergo viene chiamato Direct Reduced Iron (DRI), ossia la riduzione diretta del ferro. Il processo fa reagire l’H2 direttamente con i minerali ferrosi per produrre ferro e acqua all’interno di un forno a temperature relativamente basse (circa 1000°C). Quindi, il ferro ridotto è ulteriormente trasformato grazie ad un forno elettrico in acciaio liquido. Le prestazioni dell’intero percorso, in termini di consumo energetico ed emissioni di CO2 sono nettamente più basse rispetto all’uso del coke in alto forno. Soprattutto se l’idrogeno utilizzato è a sua volta verde. La mini acciaieria verde di RINA Il progetto Hydra sarà portato avanti dal Centro Sviluppo Materiali (CSM) della multinazionale. Nella sede di Castel Romano verrà realizzato un impianto pilota per decarbonizzare l’acciaio, sperimentando l’idrogeno in ogni fase del ciclo. I lavori di realizzazione della struttura dovrebbero terminare nel 2025 puntando ad una prima produzione di 7 tonnellate di acciaio verde l’ora. Ed “emettendo una frazione marginale (nell’ordine dei chilogrammi) dell’anidride carbonica rilasciata attualmente“. Il progetto creerà nella stessa sede anche un centro dedicato ai test di materiali e componenti per il trasporto e lo stoccaggio del vettore e un polo di formazione sulla sicurezza, sulle normative europee e per la diffusione di know-how sulle tecnologie H2. “Crediamo molto non solo negli aspetti tecnici di questo progetto ma nella filosofia che lo guida: un’innovazione ‘aperta’”’ che porta valore a tutti gli stakeholder”, ha aggiunto Salerno. “La decarbonizzazione, uno dei pilastri del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), è una priorità e un obiettivo comune a tutti, specialmente nei settori hard to abate”. The Hydra project: leveraging hydrogen to decarbonize the steel industry Read the full article
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