#aborto spontaneo così
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Amo hai battuto leggermente su una macchina
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Alcune coppie scelgono di saltare il sesso e passare direttamente alla fecondazione in vitro La scelta di saltare il sesso e passare direttamente alla fecondazione in vitro Alcune coppie stanno prendendo in considerazione la possibilità di saltare il sesso e passare direttamente alla fecondazione in vitro per ridurre i rischi per la salute del nascituro. Test genetici preimpianto e riduzione dei rischi I test genetici preimpianto sugli embrioni possono garantire che abbiano il giusto numero di cromosomi, riducendo così le probabilità di aborto spontaneo, secondo il dottor Lucky Sekhon della RMA di New York. Fecondazione in vitro come opzione di riserva Il dottor Sekhon consiglia di considerare la fecondazione in vitro come un’opzione di
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Tilia Auser in residenza creativa per "Tre Voci"
04 Dicembre 2023 - 15 Dicembre 2023
Da oggi fino al 15 dicembre 𝗧𝗶𝗹𝗶𝗮 𝗔𝘂𝘀𝗲𝗿, il gruppo di lavoro composto da Sara Bertolucci e Riccardo F. Scuccimarra, sarà in residenza presso il 𝗧𝗲𝗮𝘁𝗿𝗼 𝗜𝗹 𝗟𝗮𝘃𝗮𝘁𝗼𝗶𝗼 𝗱𝗶 𝗦𝗮𝗻𝘁𝗮𝗿𝗰𝗮𝗻𝗴𝗲𝗹𝗼 per la ricerca e composizione della nuova opera 𝗧𝗿𝗲 𝗩𝗼𝗰𝗶, 𝘀𝘁𝘂𝗱𝗶𝗼 𝘀𝗰𝗲𝗻𝗶𝗰𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝘂𝗻 𝗿𝗮𝗱𝗶𝗼𝗱𝗿𝗮𝗺𝗺𝗮 𝗶𝗻 𝘃𝗲𝗿𝘀𝗶 𝗱𝗶 𝗦𝘆𝗹𝘃𝗶𝗮 𝗣𝗹𝗮𝘁��, con cui si è aggiudicato la 𝗦𝗲𝗴𝗻𝗮𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘀𝗽𝗲𝗰𝗶𝗮𝗹𝗲 𝗣𝗿𝗲𝗺𝗶𝗼 𝗦𝗰𝗲𝗻𝗮𝗿𝗶𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟯.
Tilia Auser Tre voci studio scenico per un radiodramma in versi di Sylvia Plath
con Sara Bertolucci, Riccardo F. Scuccimarra ideazione, drammaturgia, composizione vocale Sara Bertoluccidisegno sonoro e musiche originali Riccardo F. Scuccimarra direzione tecnica e disegno luci Jacopo Cenniconsulenza progettuale Antonino Leocata
‘What is that bird that cries with such sorrow in its voice? I am young as ever, it says. What is it I miss?’ Il foglietto spiegazzato del cadavere squisito giunge a noi da Sylvia Plath e dal suo ‘Three Women. A Poem for Three Voices’: un radiodramma in versi liberi mandato in onda dalla BBC nel 1962. Tre personaggi femminili intrecciano i loro soliloqui dentro la stessa cornice del reparto maternità in cui sono ricoverate: la prima per dare alla luce un bambino, la seconda condotta da un aborto spontaneo, la terza per liberarsi della gravidanza indesiderata. Non si incontrano mai: solo gettano parola poetica tra i corridoi dell’ospedale, interrogando il corpo fecondato che si piega, si ferisce, si lascia abitare. Versi che nascono per essere detti ad alta voce, ma percorsi anche da un canto sotterraneo non scritto: così le ‘tre donne’ sono divenute ‘tre voci’ di un corpo solo, e la parola parlata un componimento trasversale e musicale. Una sola identità femminile sulla scena si muove tra i tre destini possibili, accompagnata dal disegno sonoro dal vivo della chitarra elettrica. Cosa significa generare? Di cosa si nutre la promessa che portiamo? Cosa spacca in due, anzi in tre, il nostro tempo e la nostra voce?
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Tilia Auser è pseudonimo e contenitore di pratiche performative in germinazione. Porta sulla scena una ricerca in limine tra voce, parola poetica e suono, coniugando spazi e saperi teatrali a incursioni site-specific e studio sul paesaggio. Auser è il ramo antico di un fiume che non esiste più.
Sara Bertolucci (Lucca, 1994) è diplomata alla Scuola di Teatro di Bologna e si è perfezionata all’Istituto di Ricerca di Arte Applicata Socìetas. Ha dedicato gli ultimi anni alla ricerca vocale e alla sua integrazione nella pratica teatrale.
Riccardo F. Scuccimarra (Reggio Emilia, 1993) è musicista, compositore e attore. Formato in chitarra elettrica blues e jazz, ha all’attivo un progetto cantautorale e compone musiche per la scena. È diplomato alla Scuola di Teatro di Bologna.
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Corso di nuoto per gestanti : benefici e costo
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Corso di nuoto per gestanti : benefici e costo
Il corso di nuoto per gestanti offre diversi benefici sia per la madre che per il bambino. Ecco alcuni dei principali vantaggi:
Esercizio fisico sicuro: Il nuoto è un ottimo modo per rimanere attive durante la gravidanza senza esercitare eccessiva pressione sul corpo. L’acqua sostiene il peso corporeo, riducendo lo stress sulle articolazioni e sulla schiena.
Migliora la circolazione: Nuotare favorisce la circolazione sanguigna, riducendo il gonfiore e aiutando a prevenire problemi come le vene varicose e la ritenzione idrica, comuni durante la gravidanza.
Allevia il dolore: Il movimento in acqua può alleviare i dolori muscolari e articolari tipici della gravidanza, fornendo un senso di sollievo.
Migliora la respirazione: L’esercizio in acqua incoraggia una migliore respirazione e può essere benefico per la madre durante il travaglio.
Rafforza i muscoli: Il nuoto aiuta a mantenere e rafforzare la muscolatura, in particolare quella della schiena, dell’addome e dei muscoli pelvici, utili per il parto.
Stato d’animo positivo: L’attività fisica rilascia endorfine, migliorando l’umore e riducendo lo stress e l’ansia, comuni durante la gravidanza.
Preparazione al parto: Il nuoto può essere un ottimo modo per praticare la respirazione e le tecniche di rilassamento, utili durante il travaglio.
È importante, tuttavia, consultare il proprio medico o un professionista sanitario prima di iniziare qualsiasi programma di esercizio fisico durante la gravidanza, per assicurarsi che sia sicuro e adatto alla propria situazione specifica.
Quanto costa e a che mese di gestazione farlo
Il costo di un corso di nuoto per gestanti può variare notevolmente in base alla struttura, alla località e alla durata del corso stesso. Alcuni centri offrono pacchetti settimanali o mensili, mentre altri potrebbero avere tariffe basate su singole lezioni.
Per quanto riguarda il momento ideale per iniziare un corso di nuoto durante la gravidanza, generalmente si consiglia di aspettare almeno fino al secondo trimestre. Questo perché nei primi tre mesi, il rischio di aborto spontaneo è più alto e molte donne preferiscono attendere che il primo trimestre sia trascorso in sicurezza.
Il secondo trimestre, che inizia intorno alla 13a settimana di gravidanza, è spesso considerato il periodo migliore per iniziare un corso di nuoto per gestanti. In questa fase, molti dei sintomi spiacevoli del primo trimestre, come nausea e affaticamento, possono diminuire, e la pancia potrebbe non essere ancora così ingombrante da rendere l’attività fisica in acqua scomoda.
Tuttavia, ogni donna è diversa e alcuni centri potrebbero accettare partecipanti in qualsiasi fase della gravidanza. È sempre meglio consultare il proprio medico o un ostetrico prima di iniziare qualsiasi tipo di attività fisica durante la gravidanza per assicurarsi che sia sicura e appropriata alle proprie condizioni. Quindi, i costi e il momento migliore per iniziare dipendono da vari fattori personali e dalla struttura che offre il corso.
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Spero che gli avvocati di Baricco non mi chiedano le royalties se saccheggio per la milionesima volta quelle sue due righe per dire che accadono cose che sono come domande, passa un minuto oppure anni e la vita risponde.
In questo caso, un giorno: ragionevole via di mezzo tra minuto e anni. Un giorno tra la lettera degli editorialisti del New York Times, e l’editoriale di Pamela Paul. Un giorno tra la resa di Nicola Sturgeon e un altro editoriale, sul Washington Post. Ma, prima di parlarne, bisogna chiarire il contesto.
Il contesto delle opportunità sanitarie rispetto alla disforia di genere in America è, innanzitutto, un contesto americano. Cioè relativo a quel paese in cui ogni giorno si leggono storie dell’orrore su donne che sono dovute andare in un altro stato a liberarsi d’un feto morto contenuto nel loro utero e per il quale stavano andando in setticemia.
Riformulo, casomai non fosse chiaro: un paese che, quando la sua Corte suprema ha stabilito che un cavillo relativo alla privacy non bastava a permetterti d’abortire, non è riuscito a elaborare leggi locali sensate per cui, anche se l’interruzione volontaria di gravidanza non è consentita, una tizia che ha avuto un aborto spontaneo possa farsi fare un raschiamento senza che l’alternativa sia il suo morire d’infezione come se fossimo nel ’500, o l’andare i suoi medici in galera come se fossimo in un romanzo della Atwood.
A un paese il cui buonsenso sta messo così, l’americanizzazione dell’occidente ha affidato il ruolo di guida morale sul tema «se mio figlio gioca con le bambole e si declina al femminile, mio figlio che ha due anni e non sa la grammatica e non sa la biologia e non sa allacciarsi le scarpe, sarà il caso di fargli cominciare un percorso medicalmente assistito verso la transizione di genere?».
Farebbe ridere, se non ci fosse da preoccuparsi. In paesi meno smaniosi del nostro di sembrare americani, e quindi meno pieni di articoli deliranti sul tema dei bambini trans (sì, La Stampa, sto proprio alludendo a te), ogni tanto qualcuno osa dire «mi sembra che stiate sbarellando» (comunque si dica, in inglese, sbarellare).
C’è la prima ministra scozzese che infine è costretta a dimettersi perché le femministe inglesi, diversamente da quelle italiane, non temono la riprovazione sociale se dicono che l’identità di genere, della quale Nicola Sturgeon è stata sacerdotessa, è un oggetto di fantasia.
C’è la Rowling – Joanne, divenuta famosa con le iniziali J.K. perché l’editore diceva che i bambini maschi non avrebbero voluto una fiaba scritta da una femmina – che potrebbe contare i miliardi tutto il giorno (io al suo posto farei gran nuotate nei dobloni) e invece si mette di traverso alla questione più immorale di questo secolo, e non molla (dove trovi la pazienza e la voglia d’insistere è un mistero: meno male che ci sono quelle con la tigna).
E c’è il New York Times che, com’è abbastanza normale faccia un grande giornale, su questo tema pubblica articoli in diverse direzioni. Una settimana fa, un articolo stigmatizzava le leggi antitrans negli stati repubblicani. I trans hanno problemi a farsi curare? Immagino di sì, in un paese in cui le donne hanno problemi a farsi fare un raschiamento.
Ma ovviamente il dibattito non è sullo specifico sanitario ma sulla percezione sociale del tema, e immagino che la direzione del giornale abbia guardato i commenti dei lettori, che sul New York Times sono molto controllati, e si possono vedere in ordine di preferenza degli altri lettori. Quello con più approvazioni, 1269 nel momento in cui scrivo, dice: «Sono un uomo gay, ma credo si debba fare un passo indietro, o anche due, da quella che è diventata la politicizzazione dei trattamenti medici per i bambini che potrebbero essere trans. Anni fa, una famiglia del mio quartiere ha annunciato con una bandiera trans sulla porta che il loro fino ad allora figlio di otto anni era trans. Da allora, una simile epifania è accaduta ad altre tre famiglie nel nostro isolato. Quattro bambini trans in un solo isolato a Pittsburgh? Non credo proprio».
È interessante che Michael di Pittsburgh debba premettere «sono gay», per non venire accusato d’essere repubblicano, transfobico, e orrendamente normale (significa: medio; lo preciso perché ho grandissima fiducia nella capacità dei lettori di non strapparsi i capelli strillando «ci ha dato degli anormali»). È interessante che per dire l’indicibile, cioè che trattasi di contagio sociale e che i bambini d’oggi vogliono essere trans come noialtri volevamo le Timberland, e non venire accusati di essere propagandisti di destra, si debba dire: ehi, però sono un po’ strano anch’io.
Poiché ogni tanto, negli ultimi mesi, il NYT ha scritto che imbottire i bambini di ormoni forse non è un’ottimissima idea (diventerà il più gran scandalo sanitario della storia: bambini che dicevano «sono femmina» come avrebbero detto «sono Batman» che, divenuti adulti con l’osteoporosi, faranno causa a Biden per aver favorito il brodo di coltura di questo delirio), l’altro giorno i suoi editorialisti più smaniosi di posizionarsi come prescrittività sociale vuole hanno scritto una lettera aperta contro l’ardire di mettere in dubbio la giustezza del culto trans.
Passa un giorno, e la vita risponde. Ha risposto pure la direzione, dicendo che non è consentito firmare lettere aperte in cui si parla male del giornale che ti paga (ma tu pensa), ma soprattutto è stato pubblicato sul NYT un editoriale di Pamela Paul in difesa di J.K. Rowling – quella che è riuscita a farsi prendere sul serio restando donna, benché abbia delle iniziali ambigue per vincere la diffidenza del mercato nei confronti delle donne. (Va altresì detto che le iniziali ambigue, diversamente dai medicinali per la transizione, non ti fanno venire l’osteoporosi).
L’editoriale principale su questo delirio postmodernista era però già uscito sul Washington Post, e non conteneva mai la parola “trans”. Precedendo la lettera degli editorialisti del NYT, e non citandone mai l’argomento, Megan McArdle è riuscita a scrivere l’articolo definitivo sul dibattito intorno alla transizione di genere. Parlando del complesso di Edipo, e di Walter Freeman.
Walter Jackson Freeman era un medico, nato alla fine dell’Ottocento e morto cinquant’anni fa, che nella sua carriera aveva eseguito quattromila lobotomie. Negli ultimi anni della sua vita girò gli Stati Uniti per andare a trovare le persone che aveva operato, cercando indizi che gli dicessero che le lobotomie erano state una buona idea e lo assolvessero moralmente.
Dice McArdle che c’entra quel complesso lì: se Edipo non avesse saputo di chi era figlio, non si sarebbe cavato gli occhi; se Giocasta non avesse saputo di chi era madre, non si sarebbe impiccata. A volte è meglio non sapere. A volte siamo pronti a tutto pur di non ammettere neanche con noi stessi d’aver perorato procedure e ideologie che fanno danni irreversibili.
Per mentire a te stesso, devi spararla sempre più grossa: non è che ho fatto cambiare sesso a una bambina non in grado di capire cosa significasse restare sterili, è che se non l’avessi fatto si sarebbe ammazzata. Poi il tempo sclerotizza le scelte, e dopo un po’ puoi cominciare a dire che sono le Rowling cattive che vogliono morti i bambini trans, mica tu che prendi sul serio le idee sull’identità di gente abbastanza giovane da non avere il permesso di bere alcolici perché vuoi sentirti moderno.
Quello che la McArdle non dice lo aggiungo io, per completare con un ultimo tassello la questione del «ma anche la medicina è d’accordo, il manuale delle malattie psichiatriche non considera più una patologia il percepirsi d’un altro sesso, e io mi fido della scienza»: il tizio che inventò la lobotomia vinse il Nobel per la medicina. La cosa più antiscientifica e dannosa che si possa fare alla scienza è rifiutarsi di metterla in discussione.
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rebloggato integralmente perché si.
Il delirio postmodernista di credere ai bambini che vogliono essere trans (o Batman)
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Quel tipo di ragazzo
Sono quel tipo di ragazzo che nemmeno sa se è effettivamente un ragazzo. Partendo da questo presupposto dunque, voglio scrivere tutto ciò che sento, tutto ciò che parte dal mio cervello. Sono una persona con molte domande, troppi punti interrogativi alla quale da solo non posso rispondere e mi auguro che il tempo (o un bravo psicologo magari) mi aiuti. Scrivo perché penso possa aiutarmi ecco, e non mi importa se scrivo bene, male, sticazzi onestamente quello che davvero importa è buttare tutto fuori. Il mio sesso biologico assegnato alla nascita è femmina, questa cosa non credo mi abbia mai recato alcun problema; almeno fin quando non mi sono svegliato e ho iniziato a farmi tanti tipi di domande, un po’ come quei filosofi che si interrogano continuamente. Ad ogni modo, non ricordo un cazzo della mia infanzia per cui la descrivo attraverso i ricordi dei miei genitori: sono sempre stato SUPER FEMMINILE nel modo di pormi e di vestirmi, unica cosa è che verso i tre o quattro anni i miei capelli faticavano a crescere, per cui mia mamma piangeva disperata perché pensava che gli altri mi scambiassero per maschio (ironia della sorte) e ancor prima di avere me lei ebbe un aborto spontaneo (pensava fosse un maschio ma non si seppe mai con certezza). All’asilo giocavo con tutto, amavo colorare, imparai presto a scrivere e infatti quando la mia maestra preferita si assentò per lungo tempo le scrissi addirittura una lettera! Amavo tanto giocare con le bambole, con le macchinine e ricordo che ero ossessionato con una che aveva le fiamme; e a proposito di fiamme, un bambino di nome Marco si innamorò di me però io rimasi colpito da Davide. Trovavo quel nome affascinante così tanto che ci fu un periodo in cui sostenevo di “essere Davide”, ripetevo in continuazione “io sono Davide, io sono Davide” e mia mamma esasperata mi correggeva ogni volta. Le elementari andarono piuttosto bene, feci amicizia con una che poi si dimostrò una stronzetta basic che ad oggi ha la stessa mentalità di un tempo. In quella classe c’era anche una bambina di cui all’età di dodici anni me ne innamorai perdutamente, mi sentivo in colpa di provare certe emozioni e questo mi portò a respingerla ma ad oggi quelli sono i sentimenti più veri che io abbia mai provato in amore. Per lungo tempo mi sono sentito insicuro, ancora adesso mi sento così (sennò non sarei qui a raccontare e al contempo a farmi infinite domande) e per scacciare via l’insicurezza dall’età di tredici anni mi affidai alla validazione maschile che è la cosa più stupida, brutta e traumatizzante che io abbia mai potuto fare. Il mio primo “fidanzatino dell’adolescenza” mi uscì il pene mentre mi stava accompagnando a casa, una sera d’estate: riuscivo solo a dire “wow” perché mi sentivo bloccato, senza parole per un’azione del genere, così disgustosa. Dopo aver visto il suo pene eretto, corsi a casa impaurito. E fu solo la prima molestia. Ecco cosa ha significato nascere in un corpo di donna da quel momento. Devo ammettere che tutti i ragazzi che ho avuto me li andavo a cercare con il lanternino, cioè li credevo interessanti perché erano misteriosi ma la verità è che erano dei schifosi che di me non volevano altro che il corpo, il seno più specificamente. Il mio seno lo detestavo già perché mi rifiutavo di indossare i reggiseni d’estate, poi iniziò a crescere e di conseguenza a calare; una fottuta tortura! Ma ecco che se ai maschietti-con più capelli che cervello-piacevano allora lo dovevo mettere in mostra, perché solo così sarei riuscito ad essere “amato”. Che idiota che ero! La validazione maschile mi ha distrutto, ho persino mandato nudi a tizi sconosciuti solo per ottenere qualche complimento oppure a colpevolizzarmi perché un tossichello mi ghostava dopo tre mesi a scrivere giorno e notte; pazzesco come io abbia pensato di non meritare amore. Se potessi tornare indietro nel tempo, a quest’ora starei raccogliendo le lacrime del me del passato e dirgli che in torto sono gli uomini e quella costante sottomissione alla quale era abituato e riteneva fosse normale.
Il me del passato è ancora accanto a me e deve assolutamente aiutarmi, è resiliente e so che può farcela. Mi dispiace per tutto quello che ho dovuto passare, ma forse il vero arcobaleno dopo tutte quelle piogge e quei tuoni è proprio questo! Il me del passato fino a pochi mesi fa, era ancora sottomesso ad un uomo, doveva soddisfare tutte le sue perversioni e sostenerlo eppure ero sempre io a rimetterci. Il mio vero “io” stava emergendo all’inizio del 2021, quando guardandomi allo specchio attentamente, avvertí che il mio volto non era quello di una donna, bensì un volto androgino e amavo quello che stavo scoprendo! Arrivai a conoscere il termine “agender”, insomma le cose stavano andando bene ma poi ci si è messo quel ragazzo che da me pretendeva addirittura che fossi una figura materna, che fossi sexy, sempre con il culo in mostra da poter palpeggiare. Mi privava di andare ad eventi LGBTQ+ perché sapeva che lì c’erano persone che avrebbero potuto capirmi e per tenermi sotto lo schiaffo faceva la vittima, sostenendo che io mi sarei innamorato di una persona al gay pride, ad esempio. La paura, l’insicurezza e la validazione maschile ancora una volta l’ebbero vinta, ma allo stesso tempo avvertivo che stavo sbagliando (dopo quattro cazzo di volte che ero caduto in questo tipo di relazioni e menomale direi)! Presi coraggio e un giorno di novembre lasciai questa relazione tossica, mi presi le colpe di essere un traditore, tanto sapevo che non era vero e avevo le mie giuste motivazioni. Ricordo le lacrime nel bagno della scuola, ricordo tutto quanto di quei mesi in cui stetti in quella relazione orribile. Fu l’ennesima dimostrazione che non importava quanto io mi impegnassi a trasmettere qualcosa, il mio corpo valeva più dei miei pensieri ed era alienante. Aver deciso di mettere un punto mi è servito, ho detto basta e ho deciso di mettere le cose in pratica. Ho finalmente fatto quello che volevo ma non immaginavo minimamente che potesse portami tanti di quei dubbi! I pronomi femminili sono stati un grande muro da scavalcare e i pronomi maschili sono un nuovo approccio con i quali mi ci trovo nonostante mi misgenderi spesso da solo. “Sono in un’era di rivoluzione” mi disse la psicologa un mese fa, io amo molto quella parola (e non solo perché mi sono avvicinato al comunismo). Sono quel tipo di ragazzo che ne ha passate tante e che non vuole essere come quei tipi di ragazzi che fanno del male atroce alle donne, ecco perché non so se sono un ragazzo, probabilmente non lo sono in senso binario del termine. Detesto ogni costrizione imposta dalla società e se sento la necessità, se mi sono svegliato per scoprire che dentro di me doveva emergere ed uscire fuori un uomo, va benissimo ma non sarò come la società si spetta che io sia. Non sono una donna, non sono un uomo in termini binari. So che mi sentirei meglio in un corpo maschile, ma ciò non esclude che io non vorrò indossare vestiti o comunque abiti ritenuti “da donna”. Sono libero di essere chi sono! Detto questo sono quel tipo di ragazzo un po’ pazzerello, che spesso si sente a disagio, che ha orari precisi, che è anticipatario, che lotterà sempre accanto alle donne e porterà il massimo rispetto per loro! Sono quel tipo di ragazzo che scrive frasi comuniste sui muri, sono quel tipo di ragazzo nato in un corpo di donna ma che vuole cambiare nonostante le tante paure, le tante domande e i tanti dubbi.
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Il Natale più brutto della mia vita è stato nel 2004,quando ero incinta e ho rischiato di perdere mio figlio. Il 20 dicembre avevo fatto l’amniocentesi e avrei avuto il risultato dopo venti giorni. Il 28 mi ha chiamato il medico dicendomi che nel liquido amniotico c’era un’infezione causata da un batterio molto raro e l’antibiotico per combatterlo esisteva solo in flebo. Così mi sono ricoverata in ospedale e ci sono rimasta fino all’Epifania,attaccata alle flebo giorno e notte,monitorata costantemente per controllare l’andamento della gravidanza,con la paura di non riuscire a farcela. Dopo anni di tentativi di rimanere incinta,un aborto spontaneo e cure per la fertilità,quella per me era l’ultima chance di avere un figlio e ce la volevo fare a tutti i costi. Sono stata fortunata perché l’infezione è stata eliminata. Quando sono tornata a casa,il giorno dopo ho chiamato per avere il risultato dell’amniocentesi. Il bambino era sano,non aveva nessuna anomalia ed era maschio,come desideravo io. Ho abbracciato mio marito e ho pianto per cinque minuti per la felicità. Da allora tutti i Natali sono belli perché c’è lui con noi.
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MA CHE PICCOLA STORIA IGNOBILE MI TOCCA RACCONTARVI
Chi ha riconosciuto la citazione saprà cosa starò per scrivere, anzi... cosa ha scritto una mia amica (incidentalmente anche tamblera sopita) ad Alley Oop, nome-de-plume di un collettivo di giornaliste del Sole24ore
Cara Alley,
Da qualche giorno avevo giramenti di testa. Non volevo crederci troppo perché non era molto che provavamo ad avere un figlio. Il 3 novembre decido di fare il test di gravidanza. La seconda linea si colora: sono incinta.
I primi mesi della gravidanza proseguono bene, qualche fastidio, ma nemmeno troppo invadente. Il 16 dicembre compio 37 anni. Di solito dopo i 35 si consiglia di fare amniocentesi o villocentesi, ma nel mio caso, anche vista la presenza di un utero fibromatoso, insieme al mio ginecologo decidiamo di fare il Prenatal Safe. Il 22 dicembre faccio una breve ecografia e il prelievo di sangue da inviare al centro analisi.
Normalmente queste analisi forniscono i risultati dopo 5 giorni lavorativi, ma in questo periodo ci sono le festività di mezzo quindi so che impiegheranno più giorni. Non sono giorni sereni, ma do la colpa ad uno stato di preoccupazione perenne che mi attanaglia da sempre quando aspetto i risultati di qualsivoglia tipo. Il 2 gennaio partiamo per il Veneto (io sono di Roma), per una breve vacanza. La mattina del 3 Gennaio mi telefona il ginecologo “Buongiorno signora, mi hanno telefonato dal laboratorio, c’è un problema, sospettano ci sia una trisomia 13. Mi dispiace dirglielo così ma purtroppo non c’è un modo meno brutto per dire una cosa del genere“. Vuoto. Sono sotto shock.
“Ah. Certo, no non si preoccupi”. Mi dice, però, che quella del laboratorio non è una diagnosi e che, quindi, deve essere confermata con la villocentesi o con l’amniocentesi. La prima deve essere fatta entro la 14esima settimana, quindi sono proprio al limite, per la seconda, invece, dovrei aspettare almeno altre 3 settimane. “Ok”. Dico sì a tutto, sperando che quella conversazione finisca il prima possibile.
Riattacco e inizio a piangere. Ci metto un po’ per spiegare al mio compagno che è seduto vicino a me che cosa mi ha appena detto il medico. Mi sento come se il mondo mi fosse crollato addosso. Mi faccio inviare il report dal laboratorio in cui leggo in rosso che “è stata rilevata un’aneupladia del cromosoma tredici (TRISOMIA 13)” e più in basso la percentuale di probabilità (in realtà, in termini tecnici viene chiamato Valore Predittivo Posi): 92.86%.
Ma poi cos’è questa trisomia? L’unica trisomia che conosco è la 21, di questa non ne ho mai sentito parlare. Ci informiamo. Non parlerò di cosa comporta questa malformazione genetica, perché non è questo il punto. La definiscono “incompatibile con la vita”. Mentre inizio a fare mente locale, mi giro verso il mio compagno e gli dico “se dovessero confermare la diagnosi, io non ce la farei a portarla a termine”. Lui mi guarda, è stravolto anche lui, e mi dice che sì, è d’accordo con me. Non ci ho messo molto a prendere la decisione. Non è stata a cuor leggero, ma ci sono state tante motivazioni (personali e non sindacabili come lo sono tutte le motivazioni che spingono una donna a fare una scelta del genere) che mi hanno portato a pensare da subito che quella fosse la decisione giusta. L’unica possibile per me. Per noi.
Da quel momento in poi iniziano una serie di telefonate frenetiche per trovare un centro che facesse la villocentesi in poco tempo. Trovare posto in strutture pubbliche con così poco preavviso è impensabile, si parla di liste d’attesa di mesi. Per questo chiamiamo i centri d’analisi più grandi di Roma e finalmente dopo diversi tentativi troviamo posto per l’8 gennaio. Costo della villocentesi 1300 euro. Per fare l’esame, però, servono delle analisi, alcune delle quali già fatte nei mesi precedenti, altre da fare (tra cui il Test di Coombs, un esame che fanno davvero pochi centri). Altri soldi. Per fortuna lo stesso laboratorio che fa la villocentesi, è aperto il 6 gennaio e fa tutte le analisi che mi servono, quindi prenotiamo lì in modo tale da non correre il rischio di non avere le risposte in tempo.
Alla fine della giornata con il mio compagno siamo riusciti a prendere tutti gli appuntamenti necessari e a sistemare tutte le cose prettamente organizzative. Ci sentiamo stravolti, stanchi, distrutti. Per la prima volta da quando è iniziata quella giornata mi trovo a fare i conti con la mia decisione. Tutti continuano a dirmi di ‘rimanere positiva’, ‘che non ho ancora la certezza che il feto non sia sano’, ‘che magari è un falso positivo’. Ma la mia esperienza mi ha insegnato che è sempre meglio prepararsi al peggio, che per il meglio si fa sempre in tempo o per dirla come una canzone dei The Ark “hoping for the best, but expecting the worst” (spero nel meglio, aspettandomi il peggio).
Metto a fuoco che ho superato i 90 giorni entro cui, per legge, si può praticare l’IVG (interruzione volontaria di gravidanza). Quindi? Inizio a leggere freneticamente tutto ciò che trovo su internet. In questi casi si parla di aborto terapeutico. Ricordo di averne letto in passato e i ricordi delle storie lette mi tornano alla mente e mi terrorizzano. Quanti sono gli ospedali che praticano l’aborto terapeutico a Roma? Pochi, troppo pochi. Pensavo, ingenuamente, che tutti quelli che praticano l’IVG, facessero anche quello terapeutico. Non è così. Sono una piccola parte. A Roma mi sembra di capire che sono 5 o 6. Reperire informazioni precise, inoltre. non è facile, non esiste una pagina dove sono elencati, cerco di capirlo leggendo le pagine dei singoli ospedali o leggendo esperienze di altre donne, ma è tutto confuso.
Una volta identificati gli ospedali, provo a capire quali sono quelli con meno obiettori di coscienza. In uno, ad esempio, c’è solo una dottoressa a praticare aborti, tutti i suoi colleghi sono obiettori di coscienza. Anche negli altri la situazione è simile. Una piccola percentuale dei medici lo pratica. Gli altri sono obiettori. Mi rendo conto che devi, quindi, essere molto molto fortunata a capitare nel turno di uno di quei dottori e devi anche essere veloce ad eseguire la ‘pratica’ perché se ci metti troppo ed entri nel turno degli obiettori (e potrebbero essercene anche 2-3-4 di seguito) rischi di rimanere ignorata per ore (se non giorni).
La mia ansia cresce e cresce ancora di più quando capisco superata la 15esima/16esima settimana (a seconda delle gravidanze) l’aborto non è più tramite raschiamento, ma con parto indotto. Il feto deve essere partorito. Io sono già alla 14esima settimana e il tempo di attesa dei risultati della villocentesi mi porterà oltre quella data. Sono paralizzata dalla paura, dalla paura di dover affrontare un ‘parto’, di rischiare di doverlo affrontare da sola su un lettino di un ospedale durante il turno di obiettore, magari in mezzo a donne che stanno portando a termine la loro gravidanza (sì, succede anche questo).
Cerco così qualcuno in rete che possa aver vissuto quello che sto vivendo io. Ed anche per questo che scrivo tutto ciò, affinché qualche ragazza che si ritrovi nella mia storia si senta meno sola. Navigando con chiavi di ricerca quali “esperienza+aborto+terapeutico+Roma”, “aiuto+donne+aborto+terapeutico” trovo il blog di una ragazza che aveva abortito dopo una diagnosi terribile. Le scrivo una mail sperando che sappia darmi delle informazioni più precise. Lei mi risponde immediatamente e mi dice di rivolgermi ad una associazione che chiamata “Vitadadonna”. Vado sul sito e scrivo alla dottoressa Canitano che mi dà immediatamente il suo numero di telefono. In pochi messaggi mi tranquillizza e mi assicura che se l’esito della villocentesi dovesse confermare quello del Prenatal Safe, lei mi indicherà un ospedale dove praticare l’aborto, tentando di capire anche i turni dei medici obiettori. Un’altra organizzazione che avevo trovato in quella ricerca è la “Casa Internazionale delle Donne” e, se la ragazza del blog e la dottoressa Canitano non mi avessero risposto così rapidamente, avevo deciso di rivolgermi a loro, perché a Roma sono una delle poche associazioni che danno supporto alle donne in queste occasioni. E io avevo bisogno di supporto, avevo tanto bisogno di supporto.
Arriva l’8 gennaio, il giorno della villocentesi. La notte non riesco a dormire. Arriviamo al centro e vedo tante donne con il pancione, mi chiedo se arriverò anche io ad averlo o se finirà tutto prima. Ci fanno entrare nella stanza di un medico che ci informa che prima di fare l’esame devo essere sottoposta ad una breve ecografia. Mi stendo sul lettino. Il medico mi mette il gel sulla pancia e subito dopo mi dice “signora, mi dispiace” prende fiato “non c’è più battito”. Il mio compagno mi stringe la mano, ha gli occhi lucidi, io piango.
“Signora non pensi che può essere stato un suo comportamento, non c’entra essere andati in motorino, aver bevuto il caffè, non è colpa sua in nessun modo, probabilmente il Prenatal Safe aveva ragione.“ Apprezzo tanto quelle parole, non sono ovviamente mai andata in motorino in gravidanza, ma ho capito cosa volvolev dirmi e in quel momento mi è sembrata una cosa molto dolce. Gli sorrido, lo ringrazio e ce ne andiamo.
Esco dalla stanza e improvvisamente mi sento sollevata. So che può essere difficile da comprendere ma la natura aveva scelto al posto mio, anche se avevo già scelto. La natura, soprattutto, mi aveva risparmiato tutto quel percorso di ricerca dell’ospedale, del parto indotto, degli obiettori che era stato l’incubo di quei giorni. Ora, infatti, si trattava di un aborto spontaneo. Potevo farlo nell’ospedale dove avrei dovuto partorire, ospedale che non pratica l’aborto terapeutico.
Il 14 gennaio vado in ospedale e, in day hospital, mi sottopongo all’intervento. I medici e gli infermieri sono gentilissimi e mi trattano davvero bene, ma mi viene naturale chiedermi se sarebbe stato lo stesso se quella decisione l’avessi presa io (come poi in effetti era) e non la natura.
Quando ripenso a quei giorni mi trovo a fare i contri con gli effetti che ha avuto su di me quell’esperienza e non riesco a non pensare a cosa sarebbe successo (e, in realtà, a cosa succede) se al mio posto, una donna di 37 anni sicura di sé e della sua relazione, sicura della sua scelta, appoggiata dal proprio compagno e dalla propria famiglia, fortunatamente senza grosse difficoltà economiche che vive a Roma, ci fosse stata una ragazza di 18 anni, una donna straniera che parla poco l’italiano, una ragazza madre che vive in un paesino sperduto, ma anche, più semplicemente una donna come me che non può permettersi di spendere 1300 euro di villocentesi, più i soldi delle analisi, più i soldi del medicinale. Una donna che, detto banalmente, non ha i miei stessi privilegi, le mie stesse possibilità.
Una donna quando compie una scelta del genere non dovrebbe avere altri pensieri, dovrebbe sapere che la sua scelta verrà rispettata e che verrà fatto il possibile per fargliela portare a termine in sicurezza. Ma così, troppo spesso, non è.
Questo non è un Paese per donne.
https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/07/01/aborto/?uuid=106_NirPCDFP
Non che il mio dolore conti molto di fronte al suo e a quello del suo compagno ma questa sua lettera mi ha fatto tornare in mente i momenti in cui ci sentivamo e lei mi chiedeva prima delucidazioni che ero felicissimo di darle e poi rassicurazioni che invece non potevo regalarle.
Come le ho scritto ieri sera ‘tutta la tua gioia, la tua speranza, poi il dubbio, i miei miseri incoraggiamenti e poi la conclusione’.
Per rimanere fedeli al titolo, la vita che buffa cosa, ma se lo dici nessuno ride.
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man mano che affioravano i dettagli nei ricordi, ho deciso di andare a controllare le note - annoto sempre quando noto qualcosa di anomalo - nell’app che uso per monitorare il mio ciclo mestruale: ero davvero incinta, ho avuto un aborto spontaneo dopo 4 settimane, a causa dello stress. d’altro canto, i sintomi erano quelli. il dolore che ho provato in quel momento è indescrivibile; ero a lavoro, sono svenuta tre volte e quando mi sono risvegliata l’ultima volta ho cominciato a tremare così tanto da non riuscire a stare in piedi e a far nulla. vennero a prendermi entrambi i miei genitori; arrivata a casa corsi in bagno e capii cosa era successo.
mi ricordo anche che mi guardavo allo specchio e osservavo il pancino che si intravedeva, essendo minuta e con la pancia piatta.
ho pianto quando mi è tornato tutto per filo e per segno alla memoria, ho pensato a quel piccolo esserino che è lassù già da un po’ di tempo.
incredibile la capacità del cervello umano di cancellare i traumi e far tornare l’individuo a vivere come se non fossero mai accaduti… fino a che c’è un evento scatenante.
il mio migliore amico ci tiene davvero tanto a me.
dopo aver scoperto che Stefano è ormai fidanzato da un mese - grazie a lui - mi è stato vicino coccolandomi - e facendomi ridere un po’ - dopo che mi sono intristita e mi è venuto da piangere.
c’è una cosa che non saprà mai, qualcosa che mi amareggia un po’: ho avuto un ritardo, me ne sono accorta circa 3 giorni prima che chiudessimo definitivamente, 14 giorni dopo esserci visti l’ultima volta. in quei giorni ero nervosa, non sapevo come dirglielo per messaggio perché non avrebbe voluto vedermi, non mi avrebbe creduta se gli avessi detto che avevo qualcosa di molto importante da dirgli. ho avuto delle perdite di sangue dopo due settimane e mezza dall’ultimo ciclo, ero terrorizzata fossero perdite da impianto; erano troppo strane e ravvicinate per essere mestruazioni. sono impazzita da sola, non l’ho detto neanche a mia madre, ho camminato avanti e indietro per casa per due settimane col cellulare in mano, indecisa se chiamare la ginecologa per un consulto. non ho avuto il coraggio di fare il test. se l’avessi fatto e fosse risultato positivo mi sarei precipitata subito da lui, probabilmente con le lacrime agli occhi. le settimane successive sono stata attenta a non assumere alcolici e ad evitare salumi e crudi, con le scuse della dieta abbinata al nuovo allenamento in palestra e della disintossicazione prima della partenza per le vacanze. ho iniziato a pensare a come dire ai miei amici che non avevo intenzione di bere alcol in vacanza. a come spiegarlo ai miei. per un mese ho atteso sperando di non vedere cambiamenti essendo molto magra, prima di salire sull’aereo mi sono informata su quali conseguenze potessero esserci sulle donne in gravidanza. altre tre settimane dopo, le mestruazioni. ho tirato un sospiro di sollievo assurdo… se ci penso mi vengono i brividi.
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Il cimitero dei feti, storia di una vergogna che dura da più di vent'anni Può capitare nell’Italia del 2020 che una donna abortisca e, a sua insaputa, il feto sia prelevato dall’ospedale, trasportato in cimitero e seppellito con rito religioso, con “nome e cognome della madre” scritto su una croce, insieme alla data dell’aborto. Così Marta ha scoperto per caso una tomba a suo nome, o meglio, a nome di suo figlio. (...) Ma questa non è una storia dei giorni nostri, è lunga almeno vent’anni. Nasce nel 1999 insieme a Difendere la vita con Maria (Advm), un’associazione di volontariato di Novara, che tra le prime inizia a stringere accordi con aziende ospedaliere e Comuni su quelli che la legge definisce “prodotti abortivi”, ciò che resta in seguito a un aborto, che sia terapeutico, spontaneo o, come la maggior parte dei casi, un’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Prima in Italia, l’Advm istituisce proprio nella provincia piemontese il cimitero dei “bambini mai nati”. L’attività dell’associazione approfitta, pur nella legalità, di un paio di norme non troppo stringenti nel campo della sepoltura e dello smaltimento dei rifiuti ospedalieri. D’altro canto è sostenuta - o per lo meno, trova partner ideali - da aziende ospedaliere italiane, Asl e decine di comuni in giro per l’Italia, con la quale stipula protocolli per accedere negli ospedali e successivamente seppellire i feti in appositi appositi spazi all’interno dei cimiteri, detti “Giardini degli angeli”. Della volontà della donna poco importa. Ad oggi solo l’Advm ha compiuto oltre 200mila sepolture: quante di queste sono state richieste dalle donne? (...) Superate le 24 ore (dall'aborto), se non avviene nessuna richiesta, decade ogni diritto. In quel momento entrano in gioco le associazioni religiose che grazie ad accordi con gli ospedali dispongono del “prodotto abortivo” o “del concepimento”, con la libertà di seppellirlo secondo cerimonia religiosa. Persone legate all’associazione si recano nei presidi, avvengono poi i funerali : processioni con il carro funebre, in cui vengono letti passaggi delle Sacre Scritture, accompagnati da benedizioni e preghiere di cui nessuno è a conoscenza e a cui partecipano liberamente, oltre al prete, volontari e credenti. Questo è possibile in quanto l’associazione di volontariato, fa prima richiesta per essere riconosciuta all’interno del Servizio Sanitario Nazionale , e poi si impersona con il “chi per essi” previsto dalla legge. L’Advm è in più di un centinaio di comuni, conta oltre tremila associati e ha 60 sedi locali. Promuove “la cultura della vita, i diritti del concepito e l’atto di pietà del seppellimento dei bambini non nati, in collaborazione con le istituzioni sanitarie e la Pastorale della vita”. Si finanzia attraverso le donazioni: “Con soli 20 euro puoi sostenere il costo del seppellimento di un bambino non nato”, si legge nel sito. (...) Tutto è legale e previsto dalle normative. Lo schema prevede patti sia con gli ospedali, che poi con i Comuni. Protocolli d’intesa predefiniti in cui le associazioni si impegnano, con una scadenza presa in accordo, a passare negli ospedali e raccogliere i feti in contenitori speciali biodegradabili. Così l’azienda ospedaliera si libera di alcuni costi: autorizzazioni al trasporto e al seppellimento, contenitori e cassette per le inumazioni, inumazione, manutenzione e decoro dell’area (come ad esempio cura di fiori, giardino e pulizia). Il Comune dalla sua mette a disposizione gratuitamente l’area dedicata, eventuali scavi e lavori, e gli operatori cimiteriali che si occupano del seppellimento. Quanti sono i cimiteri dei feti in Italia non si sa di preciso. Jennifer Guerra, giornalista di The Vision, ha provato a mapparli , arrivando a contarne una trentina. “Lascia perdere sono cose che non ti interessano”. Si è sentita rispondere così Francesca quando ha chiesto: “Ma adesso che fine fa?”, in sala parto, dopo un aborto farmacologico al sesto mese per gravi malformazioni al feto, tra atroci dolori, senza epidurale e totale abbandono da parte dei sanitari. Anche volendo nessuno le avrebbe spiegato che era suo diritto chiedere una sepoltura, oppure rifiutarla. Sicuro non le è stato detto che tutto può finire con una croce nel cimitero della tua città, con nome e cognome scritti sopra. In assenza di ogni norma sulla privacy e diritto costituzionale. A Francesca è successo al cimitero Flaminio di Roma, a Marta a quello Laurentino , istituito nel 2012. Nome e cognome sono all’interno del sistema dei Cimiteri Capitolini, basta digitarlo per scoprire un riquadro, una fila e una fossa, con tanto di cartina sul come arrivarci. (...) “Città per la vita”, “comune a sostegno della vita e della famiglia”, “l’aborto non come mezzo per il controllo delle nascite”. Con queste formule sono approvate nei Consigli comunali decine di mozioni pro-vita. Promosse nella totalità da partiti di destra, in particolare Lega e Fratelli d’Italia, negli ultimi anni hanno trovato terreno fertile: documenti intrinsechi di ideologie antiabortiste, che allo stesso tempo approvano finanziamenti alle associazioni pro-life o permettono ai consultori pro-famiglia di accedere in quelli pubblici. Imperia, Torino, Genova, Cremona, Caserta, Trento, Treviso, Venezia, Busto Arsizio, Biella, ultima Marsala, in Sicilia, questo agosto. Sono solo alcune: partite dal nord vent’anni fa, negli ultimi anni le associazioni puntano al sud. (...) Negli ospedali si consuma ogni giorno una sorta di patto fra parti, le associazioni religiose da un lato e la sanità pubblica, che sulla carta dovrebbe essere laica, dell’altro. A pagare sono sempre le donne. Queste associazioni pro-vita e antiabortiste, con la falsa finalità di voler supplire a un’esigenza pubblica e rendere un servizio, trovano ancora una volta il modo per aver voce sulle scelte delle donne e sui loro corpi. Ora basta. RITA RAPISARDI
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Certo, non ha detto esplicitamente che hanno deciso di abortire, ma era abbastanza sottointeso... altrimenti perché immediatamente dopo gli sarebbe stato chiesto tipo "Ahhh quindi sei pro aborto?" E lui ha sorriso e ha detto "sono per la libera scelta" ?
Ovvio, non lo ha detto chiaramente ma il collegamento c'era 😅 o almeno, io e altri l'abbiamo capita assolutamente così, poi se lui intendeva altro, ok, nessun problema
In realtà non sono d'accordo.
Da cosa deduci che fosse sottointeso? Dal fatto che lui ha affermato di essere a favore della libera scelta?
Non è così scontato. Io ad esempio sono a favore della libera scelta perché ritengo che sia importante che in una situazione simile ogni donna possa decidere cosa fare del proprio corpo. Ma se io rimanessi incinta, nonostante lo sappiano pure i sassi che non voglio figli e che il mio istinto materno si è perso per strada più o meno all'epoca in cui giocavo con le bambole, non abortirei.
Continuo a essere pro choice, ma non prenderei in considerazione l'aborto per me stessa.
Ovviamente qua si parla di Ermal, che in quanto uomo forse ha una parte meno attiva in una decisione simile e quindi le cose non possono essere messe a paragone, però era per dire che anche se lui è a favore della libera scelta e quindi a favore del fatto che una donna possa decidere di interrompere una gravidanza, non significa che in quella circostanza sia stata presa quella decisione.
Per esperienza ti dico che possono cambiare mille cose in un minuto, quando ti trovi in situazioni simili.
Qualche anno fa una mia conoscente rimase incinta. Non aveva intenzione di tenere il bambino, al punto che aveva già parlato con il suo ginecologo di voler interrompere la gravidanza. In questo caso generalmente viene dato del tempo per poter riflettere su questa decisione prima di proseguire e proprio in quei giorni ha avuto un aborto spontaneo. Quindi seppur lei non volesse un bambino, alla fine non ha dovuto ricorrere a un'interruzione di gravidanza.
Può essere successo di tutto in quella circostanza, non possiamo basarci sul fatto che lui abbia detto una frase che può farci presupporre delle cose, soprattutto se non è così perché quella frase di certo non faceva presupporre nulla. Era semplicemente una dichiarazione che Ermal avrebbe potuto fare a prescindere dal fatto che una sua fidanzata avesse fatto un test di gravidanza con esito positivo.
Per dirti, io ti posso dire che sono pro choice pure se non ho mai fatto un test di gravidanza in vita mia. Non è che se ti dico: "Sono a favore dell'aborto" allora ti sto dicendo che ho abortito in passato, le due cose non sono collegate.
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Supermercato sotto casa
Una delle cose da non fare mai, neppure se avete il supermercato sotto casa è fare la spesa di domenica sera soprattutto se abitate in una città di mare. Puntualmente vi troverete un botto di gente che torna dal mare e deve preparare per la cena. I più scaltri su sono fatti mettere il pollo allo spiedo da parte, i più pigri faranno scorta di friselle e pomodorini, qualche spavaldo comprerà gli arrosticini da cucinare la sera e poi ci sono quelli che all'ultimo si ricordano di non avere nulla a casa.
Se poi arrivi tardi non trovi neppure i carrelli che non solo sono utili per caricare molta più spesa ma anche perché per portare la spesa su a casa in ascensore senza prendere buste di plastica così ti senti meno in colpa nei confronti dell'ambiente. Comunque se ti serve il pane ti devi accontentare di qualche baguette e poco altro.
Se poi vai con Tigrotto, per usare un termine diplomatico, sono volatili per diabetici (cazzi amari).
Oggi ho avuto modo di riparlare con il ragazzo dell'ortofrutta, lo stesso che mi aveva detto che la compagna era in attesa da circa otto settimane. Purtroppo ha avuto un aborto spontaneo, ci ha tenuto a dirmelo così come mi aveva voluto dire che erano in attesa. Gli leggo la delusione in faccia e immagino quanto deve essere dura per lei. Gli dico di starle vicino perché anche se non dice nulla starà soffrendo da matti. Lo so perché ho visto mia moglie svegliarsi nel cuore della notte e piangere pensando a un bimbo mai nato.
Stasera era al supermercato lei, Sabrina, non come dipendente ma come cliente. Ha riconosciuto Tigrotto lo ha salutato e lui ha fatto il timido. Chissà, se non l'ha riconosciuta per via della mascherina. Le chiedo come sta, come si sente. Sa che io so. Mi fa piacere vederla e intuisco il sorriso dietro la mascherina. Ride per quello che mi fa Tigrotto che cerca disperatamente e pervicacemente di strapparmi la mascherina. Ci riesce quasi staccandomi un orecchio.
Sabrina mi dice che si prende ancora qualche giorno di vacanza prima di riprendere. Non sembra tradire troppa sofferenza. Mi auguro sia davvero così.
In fondo non conosco benissimo questi due ragazzi quindi non dovrebbe importarmene molto, giusto?
Invece ho deciso che mi importa, perché conosco la sofferenza e conosco abbastanza loro.
Abbastanza da dire che mi importa di loro. Ho deciso che mi importa di loro.
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Posted @withrepost • @supercalifragilistiche 13 luglio 1954: muore Frida Kahlo Nonostante fosse affetta da spina bifida (inizialmente scambiata per poliomielite), fin dall'adolescenza Frida manifestò un talento artistico e uno spirito indipendente e passionale riluttante verso ogni convenzione sociale. A diciassette anni rimase vittima di un incidente stradale tra un autobus su cui viaggiava e un tram, a causa del quale riportò gravi fratture che le segneranno la vita costringendola a numerose operazioni chirurgiche che le sfigureranno il corpo intero. Dimessa dall'ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel suo letto di casa con il busto ingessato: è qui che Frida cominciò a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere soprattutto autoritratti, grazie a un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto che i genitori le avevano regalato. Dopo che le fu rimosso il gesso, portò i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore murale dell'epoca che, rimanendo particolarmente colpito dallo stile moderno di Frida, decise di trarla sotto la sua ala e inserirla nella scena politica e culturale messicana. Frida divenne così un'attivista del partito comunista messicano partecipando a diverse manifestazioni e, nel 1929 sposò Rivera, pur sapendo dei continui tradimenti cui andava incontro. Frida e Diego organizzarono i loro studi e accumularono reperti precolombiani del Messico e collezioni etnografiche nella grande ''Casa Azul'' di Coyoacàn, oggi aperta al pubblico come il Museo Frida Kahlo. Negli anni successivi al matrimonio Frida si trasferì a New York con il marito, al quale erano stati commissionati alcuni lavori, ma ben presto decise di tornare nella sua città natale, anche a causa di un aborto spontaneo in gravidanza inoltrata causato dell'inadeguatezza del suo fisico. Nel 1939 Frida e il marito divorziarono per il tradimento di Rivera con la sorella di Frida, per risposarsi di nuovo un anno dopo a San Francisco perché, di fatto, Diego non l'aveva dimenticata e non aveva mai smesso di amarla. (Continua a leggere nel post originale...) (presso Mexico) https://www.instagram.com/p/Bz2ReGYC9vf/?igshid=afc08hozfyoq
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Umiliate, al sole per ore, in un sottoscala: il calvario di chi vuole abortire a Roma
Umiliate, al sole per ore, in un sottoscala: il calvario di chi vuole abortire a Roma https://www.romatoday.it/dossier/obiezione-coscienza-aborto-roma.html
Forse la struttura sanitaria ha deciso di "posteggiare" queste povere donne sotto il sole cocente nella speranza che si sentano male e abbiano un aborto spontaneo, così da velocizzare il lavoro dei medici? No, davvero, la mia non è una battuta, è un'ipotesi perché ormai comincio ad aspettarmi di tutto...
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Scleri sulle "Imagine/FF" dei BTS su IG
Buonsalve a tutti! Mi piacerebbe "parlare" un po' delle imagine/ff che trovo di tanto in tanto su Instagram. Io non sono una gran scrittrice (anche se scrivo storie di tanto in tanto), ne scriverei volentieri una ma poi dovrei farla in inglese ed io con lei non ci vado tanto d'accordo, ops! È da anni che le leggo, era partito come un semplice passatempo per poi diventare una grande curiosità. Adesso che sono passati degli anni, però, mi sono accorta di quante cose strane e senza senso vengono scritte in queste storie. Ci sono così tanti cliché che ormai sono diventata un'indovina: il 94% delle volte so già come andrà a finire. Il che è frustrante. Premetto una cosa: io scriverò dei cliché che trovo spesso in queste storie, ma non dico che tutte sono così. Alcune hanno dei plot twist che mi piacciono, altri sono realisti e questo mi fa piacere perché significa che hanno fatto ricerche. Altre volte hanno storie originali che mi portano ad aspettare con impazienza il prossimo capitolo.
Parliamo dei nostri cari BTS (che io adoro, quindi ogni cosa che scriverò è dettato da quello che leggevo nelle imagine/ff).
Sono tutti senza cervello, non riescono a ragionare o riflettere di testa propria senza era trascinati o ingannati da una terza persona. Seriamente... non riuscite a fare un calcolo senza la mamma?
A volte vengono visti come dei traditori seriali che non riescono a rimanere leali alla propria compagna. Se non siete in grado di mandare avanti una relazione in maniera stabile, non entrateci proprio ok? Senza contare che molte volte tradiscono perché danno retta alla persona sbagliata senza chiedersi se fosse effettivamente vero o no. Mah...
Sono compagni di scuola/classe che scommettono su di lei, e puntualmente finiscono in tre modi: lui si innamora di lei, qualcuno rivela alla lei che era solo una scommessa, lei si arrabbia e lo lascia a marcire nel pentimento assoluto; lui si innamora di lei, qualcuno rivela alla lei che era solo una scommessa, lei si arrabbia e lui versa lacrime che Niagara spostati, lei lo perdona e tornano insieme più forti che mai; lui non si innamora di lei, qualcuno rivela alla lei che era solo una scommessa e... liberate il kraken!
... il resto lo potete immaginare: caos a ore dodici :)
Magari sono mafiosi e quindi tutto quanto deve essere drammatico fino all'ultimo secondo, per poi vivere una vita felice una volta che riescono a debellare il villain di turno. Ciccio... nel mondo della mafia, la vita sarà sempre uno schifo. Non esiste un "per sempre felici e contenti" per voi :)
Oh già! Come dimenticare i futuri padri. Sono tutti quanti senza cuore. Sul serio. Sei donna? Bene, sfornami un bambino! E che sia maschio, altrimenti ti picchio per bene. Oh, sei infertile? Allora ti tradirò con la tua migliore amica/sorella/cugina/amica d'infanzia! Non sei donna se non puoi rimanere incinta. Ottimo insegnamento! :D Senza contare che danno la colpa a lei se subisce un aborto spontaneo. Non ho parole per questo, mi verrebbe solo la voglia di sterminarli con un bazooka.
Potrebbero essere dei boss/CEO, che hanno sempre quella rompiballe di segretaria/collega che sparge false dicerie sulla nostra povera protagonista. E come reagiscono? Ovviamente ascoltando tutte le dicerie senza accertarsi della veracità. I miei complimenti, boss!
(Ne sto sicuramente dimenticando qualcuno, ma sono davvero troppi i cliché riguardo a loro. Se ne avete altri potete aggiungerlo nei commenti, così tanto per scambiarci qualche parola :D)
Passiamo alla "terza persona", ovvero un essere umano di sesso femminile che entra in scena per mettere una secchiata di drammaticità alla storia (già piena di suo).
Le ex, le sorellastre, le cugine lontane, le vicine, le "cape" (volevo mettere boss, ma dato che non c'è il femminile uso quello, abbiate pazienza), le segretarie, le ragazze popolari, le finte nerd, le migliori amiche, le amiche d'infanzia, il pesce rosso, il cane del vicino, le pec- ok scusate, ora la smetto... sono tutte delle psicopatiche pronte a tutto pur di avere il ragazzo tutte per sé. Sono sempre capaci di assumere degli assassini (che non costano quanto un pacchetto di cicche, sia chiaro) per eliminare di mezzo la protagonista, oppure saranno loro stesse che attraverso le minacce (o con l'aiuto di qualcuno) riusciranno ad allontanare i due "amanti". Sia chiaro, è assolutamente vietato parlarsi per risolvere la situazione insieme come una vera coppia, ma sei scema!? Rischi di mandare a cagare tutta la storia! Non essere frettolosa! Seriamente... a nessuno viene in mente di chiamare la polizia? Solo a me?
Provano gusto nel rovinare la vita della protagonista perché le odiano (spesse volte per una ragione a dir poco stupida), e se sono le sorelle/sorellastre è perché "mamma e papà ti adorano, ti coccolano, ti amano e a me no!". Se sono gemelle sono due le cose: o la tradiranno perché "innamorate" del loro ragazzo, o sono nuovamente delle psicopatiche che tutti credevano "morta" ma che in realtà riappare manco quel ragno che perdi di vista per due secondi trovandolo poi dall'altra parte della stanza. Di nuovo, il numero della polizia lo conosciamo tutti quanti.
E i genitori? Con questo apro un libro!
Sono dei pozzi assetati di soldi senza fondo, venderebbero l'anima al diavolo pur di avere il portafoglio più pesante. Sono pronti a mandare a quel paese la felicità e il benessere dei figli, ma l'importante è avere più soldi! E cosa succede quando il figlio rischia le penne o si fa un tantino più intelligente? Subito si pentono e chiedono perdono in ginocchio versando il Niagara al posto delle lacrime. Sono adulti, non riuscivano a capire da soli che ogni azione porta ad una conseguenza? Devono sempre aspettare che succeda il finimondo per capire che non dovevano farlo?
Ah, a volte potrebbero essere dei genitori che odiano le protagoniste perché preferiscono l'altra, che nel frattempo ha distrutto la vita del loro bambino ma sono futili dettagli.
Le protagoniste... ah, le mie preferite!
Sono di due tipi: o sono delle cool che riescono a mandare giù il boccone amaro a testa alta, o sono delle frignone che senza un uomo non vanno avanti.
Poi ci sono io, che se il fidanzato mi fa una bravata simile lo castro.
A parte gli scherzi, spesse volte le protagoniste sono delle macchine di vendetta che si fermeranno solo quando otterranno quello che vogliono. Altre volte piangono tantissimo e sono inconsolabili fino a quando non apparirà il loro salvatore di turno. Solo io riesco ad andare avanti senza un uomo?
Spesso sono madre single (avete tutta la mia stima!) che mandano avanti la baracca sudando camice e sputando sangue. Raramente le ho viste rimanere single per il resto della vita, il 98% delle volte incontrano un altro uomo e si sposano con lui. E l'ex ragazzo/fidanzato/marito? Eh sì, in un angolo a spiarla come un maniaco a pentirsi di tutto quanto.
Ultimo argomento e poi la chiudo qua prima di arrivare a scrivere un'Odissea: le storie in generale.
Alcune le ho evitate perché non mi interessavano un granché, ma di alcune le so ormai a memoria.
Quando sono ambientate nella scuola, si ha sempre: la protagonista che ha un/a nemico/a pronti a romperle le scatole dalla mattina alla sera; il bullo di turno; il professore (che potrebbe essere il ragazzo/marito) che la umilia davanti alla classe; il playboy che ci prova con lei per portarla a letto; il nerd; ecc... Senza contare che la scuola viene gestita dal mafioso di turno o da un adulto troppo scemo per capire che deve essere imparziale con tutti (pure con tuo/a figlio/a). Il massimo di drammatico avuto quando andavo a scuola era quello di essere stata vittima di bullismo e di una professoressa che mi ha fatta piangere per una cosa, punto. Mai avuto altri problemi come quelli citati sopra. Voi che problemi avete avuto a scuola?
Se sono ambientati nel posto di lavoro: il boss/CEO che prova qualcosa per lei, ma che viene puntualmente ingannato da qualcuno; sempre lui che la tratta da cane per poi redimersi verso la fine; raramente è un lui che non prova nulla e la tratta da schifo per una ragione "x"; ecc...
Arrivano i miei preferiti: i matrimoni combinati. Non sono un esperta, ma ho letto che la Corea del Sud non ha degli indici così alti di matrimoni combinati oggigiorno. Eppure nelle imagine/FF i matrimoni vengono combinati con la stessa frequenza con cui ti cambi le mutande. Lui ha già una ragazza, che per ovvi motivi la nasconde agli occhi dei genitori, ma non si fa problemi a sbatterla in faccia alla "moglie". Così, tanto per denigrarla. Perché è colpa sua se il matrimonio è stato combinato, non dei genitori sanguisughe. Ora, l'amante ha sempre un brutto caratteraccio, è una "gold digger" pronta a rovinare la vita della protagonista (credo di aver letto una sola storia con l'amante che è una bravissima persona e che si tira indietro). La storia la conoscete: si rivela per quella che è, lui la lascia e diventerà un marito leale. Oppure lui non ha nessuna amante, ma è comunque scontroso e freddo nei confronti di lei. Porella, nessuna pensa a lei che si trova nella stessa identica situazione. Alla fine finisce in due modi: si amano e rifanno il matrimonio, oppure divorziano e ognuno prende la propria strada.
A proposito di divorzi... Viene visto come l'unico mezzo per porre fine ai problemi matrimoniali. Non pensano mai che c'è un altro modo, che ne so... parlarne? Nah, troppo difficile!
Direi che posso pure finirla qui. Ci sono tante altre cose che volevo scrivere, ma così farei un post chilometrico. I figli che non portano rispetto alla madre, promesse infrante, lui che le parla male alle spalle, lui che messaggia all'amante senza rendersene conto che in realtà sta scrivendo alla ragazza/fidanzata/moglie, lui che la accusa di qualcosa per poi scoprire la verità ma ormai è troppo tardi, mariti violenti, lei che viene toccata in maniera inappropriata da un altro, e tanto altro... Potete aggiungere voi altri cliché che vi sono capitati sotto mano :3 Detto ciò, io ho scritto tutto questo solo per sfogarmi un pochino, ma non ho mai detto che sono brutte da leggerle: sono solo ripetitive, tutto qua.
Auguro a tutti voi una buona giornata!
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Approfitto bassamente del tuo post, Kon-Igi, per levarmi un sassetto dalla scarpa in merito a 'sta roba qui. Se dalla pubblicazione di quest'imbarazzante pezzo di cattivo giornalismo articolo avessi ricevuto a titolo di indennizzo 0,50€ per ogni volta che mi è stato sbattuto in faccia come prova che tutti gli antiabortisti sono sporchi bugiardi che odiano le donne, il caro bollette per me cesserebbe di essere una preoccupazione almeno fino al 2025. Non ce l'ho con te e non discuto del piano morale, ma quell' articolo è piuttosto fallace dal punto di vista informativo e trovo scorretto che venga trattato alla stregua di un saggio scientifico.
Sono state pubblicate - anche se non soprattutto da fonti proabortiste o neutrali, così la smettiamo di dire che è propaganda prolife - numerose smentite che mostrano come l'embrione o feto (a seconda dell'età gestazionale e dal tempo trascorso dal primo giorno delle ultime mestruazioni, che non sono la stessa cosa ma su cui c'è molta confusione e poca informazione) sia stato rimosso dalle foto o non sia (più) riconoscibile perché ovviamente andato distrutto nella rimozione, oltre che molto piccolo (praticamente hanno scoperto che le foto in macro usate nei testi di medicina non sono in scala 1:1). Un po' come se un giornale cavasse le foto di una serie di vittime di mine antiuomo da Rotten.com e pubblicasse un papiro in cui sostiene che quei poveri resti siano "il vero aspetto di un essere umano adulto, contrariamente a quanto afferma la propaganda pacifista".
Questo è l'aspetto reale di un embrione di 6 settimane intatto, espulso a seguito di un aborto spontaneo. La differenza con le foto del Guardian è evidente. A meno di non voler dare dei bugiardi antiabortisti tanto alla donna che ha fornito l'immagine quanto all'American Journal of Obstetrics and Gynecology, appare evidente che le foto del Guardian siano quantomeno edulcorate. Questa non è buona informazione, è altrettanto tendenziosa e fallace a livello scientifico e quindi anche morale quanto l'utilizzo di una foto di un feto di trenta settimane spacciata per un embrione di sei (per inciso, disapprovo certe tattiche manipolatorie). Eppure è stata immediatamente accettata come reale, forse perché "consolatoria". Se è tutto lì, cosa sarà mai. Ma questo è banalizzare una discussione che non può essere ridotta alla mera percezione individuale di cosa è vita e cosa non lo è.
Consiglio a chi volesse saperne di più la consultazione del progetto Virtual Human Embryo (VHE), dichiaratamente neutrale sulle controversie bioetiche legate alla vita intrauterina. La loro cronologia interattiva dello sviluppo prenatale è straordinariamente affascinante ed educativa, e non si propone di sostenere posizioni filosofiche di sorta. Al contrario dell'articolo del Guardian, che utilizza foto provenienti dal gruppo di attivismo proabortista MYA Network.
EMBRIONI DI 5, 6, 7 e 8 SETTIMANE (partendo in basso a sinistra) E FETO DI 9 SETTIMANE (in alto)
Immagine presa da un articolo de Il Post e preparata dalla Dott.ssa Joan Fleischman e colleghe del MYA Network)
Quelle che vedete sono CAMERE GESTAZIONALI - una sorta di ‘sacca’ - in cui, al momento di un eventuale interruzione di gravidanza, l’embrione è a malapena visibile e del feto vediamo solo le primitive strutture che andranno a organizzarsi nelle settimane successive.
Per ciò che mi riguarda, queste immagini non riguardano la ‘gravità’ o meno di un eventuale aborto - gravità nel senso etimologico del termine, inteso come ‘pesantezza’ di scelta e di percorso che la donna si trova ad affrontare, troppo spesso da sola e ostacolata dai (pre)giudizi - ma servono a far capire alla maggior parte delle persone che un certo tipo di pubblicità prolife non solo è tendenziosa e colpevolizzante ma proprio fallace a livello scientifico, visto che usualmente vengono usate immagini di feti MOLTO più avanti nella gestazione.
Poi, come recitava un vecchio slogan ‘Il bambino nasce in testa’ e ognuno cercherà di rendersi più o meno accettabile un limite dopo il quale affermerà che quella lì è VITA.
Si tratta pur sempre di sensibilità personale, quindi meritevole di rispetto a prescindere, ma che nessuno dimentichi mai che nei fatti esiste una sola persona che ha la prima e l’ultima voce in capitolo.
La donna che deve fare la scelta.
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