#Un mondo orfano
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Il libraio di 72 anni (1948), Mohamed Aziz, di Rabat, Marocco, passa dalle 6 alle 8 ore al giorno a leggere libri. Dopo aver letto più di 5000 libri in francese, arabo e inglese, rimane il libraio più anziano di Rabat dopo oltre 43 anni nello stesso posto. Quando gli è stato chiesto del perché lasci i suoi libri incustoditi fuori, dove potrebbero potenzialmente essere rubati, ha risposto che chi non sa leggere non ruba libri, e chi può leggere non è un ladro.
È conosciuto come il libraio più fotografato al mondo. Ha la sua bancarella di libri usati dal 1963 nella Medina, il quartiere più antico di Rabat, la capitale del Marocco. Rimase orfano a 6 anni, provò a fare il pescatore per realizzare il suo sogno di diplomarsi alle superiori, ma a 15 anni lasciò la scuola perché non poteva permettersi i libri di testo, troppo cari per la sua famiglia. Frustrato e senza studi, decise di aprire una libreria, mettendo i libri su un tappeto per terra sotto un albero, e ora da oltre mezzo secolo gestisce il suo negozio, realizzando il sogno di studiare.
La sua giornata dura dodici ore. Prima di aprire la libreria, cerca libri usati in altri negozi per leggerli e rivenderli. Oggi, oltre i settant'anni, dice che con due cuscini e un libro è sufficiente per sentirsi felice. Accumula torri di libri e quando gli chiedono quanti ne abbia, risponde che non ne ha mai abbastanza. Interrompe la lettura solo per pregare, fumare, mangiare e servire e consigliare i clienti interessati a temi specifici. Col tempo la sua libreria è diventata famosa e molti turisti gli fanno visita per comprare qualche libro e scattargli fotografie.
Fonte: web
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🧑🎤 VECCHIONI: "ETTORE COME SINWAR"
• IL TALLONE DI ACHILLE DI VECCHIONI
Di Tonino Serra Conti
Caro prof. Vecchioni
amo in lei il poeta, il cantore delle emozioni profonde, l'insegnante amato nel suo liceo, l'uomo buono che ha sofferto molto ma, mi permetta di dirle con affetto, che lei è un gran pasticcione.
Paragonare Ettore a Sinwar è una solenne bestemmia, caro professore, e nei suoi allievi potrebbe provocare una grave confusione. Non avrei mai immaginato che, forzando il mito avrebbe tradito il logos, preferendo un paragone suggestivo, ma falso, alla realtà cruda ma vera.
Mai avrei pensato che sarebbe diventato un cattivo maestro.
La seguiranno in molti purtroppo perché confonderanno la sua musica con le sue parole inappropriate. Lo stanno già facendo.
Ettore, "il grande Ettorre", è l'eroe magnanimo per eccellenza, il guerriero che si batte per la sua gente affrontando a viso aperto il più forte e invincibile degli eroi greci: Achille, figlio di Teti, che lo aveva reso quasi immortale.
Sa bene di morire nel duello, sotto le mura di Ilio. Lo sa così bene che saluta per l'ultima volta Andromaca, la donna amata che sta per lasciare sola insieme con il piccolo Astianatte, al quale augura comunque un futuro felice: "Non fu sì forte il padre".
Ma si fa uccidere in un duello impari per proteggere la sua città, si sacrifica per essa.
Sinwar non affronta il nemico con lealtà. Si nasconde nelle caverne profonde e sicure, dove ha ammassato viveri e danaro, assistendo al massacro della sua gente, che sacrifica sull'altare di un ideale di morte. Non difende i suoi cittadini, ma se ne fa scudo e li lascia uccidere.
Prima di scatenare il pogrom di vecchi e bambini, prima di rapire e stuprare uomini e donne ridotti a schiavi, sapeva che avrebbe portato il suo popolo al massacro: lo desiderava, anzi, per suscitare la commozione contro il nemico che si era costruito con odio per anni.
Il sangue della sua gente sarebbe servito a erigere uno stato islamista, fanatica, malvagia.
Ama il martirio, ma degli altri.
Dal suo regno sotterraneo vede soddisfatto la sua gente morire sotto le bombe da lui innescate
No. Sinwar non è Ettore.
E non merita, come lei auspica, che il suo cadavere sia restituito alla famiglia per rendergli onorata sepoltura.
Sinwar non ha una famiglia, non ha un padre come Priamo che gli dei pietosi aiutano a raggiungere di nascosto la tenda dove abita l'assassino del figlio Ettore. Ha solo dei complici di una vita violenta, di assassini senza umanità alcuna.
Lascia non un orfano puro come Astianatte, ma figli educati all'odio con lettere deliranti e un esempio diabolico. Questi familiari chiederebbero il suo corpo per farne un feticcio di morte, un monumento all'intolleranza, al razzismo, all'odio eletto a sistema.
No. Sinwar non avrà un Omero che ne racconti i giochi in suo onore, con il mondo eroico che si inchina davanti alla purezza del più grande di loro.
Ecco, professore, il nemico restituisce il corpo di un uomo che rispetta, non il cadavere di un uomo odiato per la sua ferocia, che ha disonorato ogni principio di civiltà.
Questo cadavere sia bruciato e le sue ceneri vengano disperse.
Come quelle di un altro efferato assassino, anche lui cresciuto nell'odio verso gli ebrei e nel sogno infernale di distruggere un popolo.
Era Adolf Eichmann.
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Caro professore,
avrebbe potuto dire ai suoi allievi e ai fanatici che domani costruiranno il mito di Sinwar anche attraverso le sue parole, che il macellaio di Gaza e dei palestinesi non è Ettore: Sinwar è Thanatos, la personificazione della morte.
Omero, che le consiglio umilmente di rileggere, racconta che era un dio crudele, figlio della Notte come Ipno, che concede ai mortali la dolcezza del sonno.
Thanatos è invece il dio dell'angoscia e dell'incubo: abita il mondo sotterraneo dal quale esce per tormentare i mortali.
Nell’Alcesti di Euripide Thanatos è il tetro sacerdote dell’Ade che combatte con Eracle venuto a riprendere Alcesti: il dio della morte che combatte per sottrarre una sventurata alla vita.
Ieri nell'Ade, oggi a Gaza.
E siccome a lei piacciono i paragoni, vorrei ricordarle che Freud, profondo conoscitore dell'animo umano, contrappone teoricamente Eros a Thanatos, due divinità che da sempre agitano l’inconscio dell’uomo tra istinti di vita e istinti di morte.
Sta qui la differenza tra Ettore e Sinwar: non simili, ma contrapposti e incompatibili come lo sono il culto della vita e la morbosa adorazione della morte.
Io so con chi stare. Senza alcun dubbio e nessuna confusione.
Fino alla sconfitta definitiva di Thanatos e dei suoi fanatici fedeli.
Buona vita e buone letture, professore.
Di Tonino Serra Conti
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Brancaleone, 5 novembre 1935
Esercito il piú squallido dei passatempi: acchiappo mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo uno zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo una inutile castità. Non capisco perché muoiono tanti padri di famiglia lasciando belle corone di orfani inconsolabili e non crepo io, orfano piú che consolato. La caratteristica del Padre Eterno è evidentemente la mancanza di tatto, per cui, esagerando poi dalla parte opposta, riporta vanto di esser l'alta armonia che concilia i contrari. Prendi un esempio: ci sono delle persone cui tutto va male, di quelli che, «se vendessero cappelli, la gente nascerebbe senza testa». Ebbene, il Padre Eterno mette al mondo delle altre persone cui tutto va bene, e dopo averle fatte belle e sapienti, le fa ancora vincere alla lotteria. E giustizia è fatta. Ha persino inventato il Diavolo; per poter addossare a lui le trovate troppo enormi.
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Animali Domestici
In foto, San Rocco del Parmigianino, che sebbene sembri un quadro modernissimo è del 1527-1528.
Rocco è tra i santi più venerati del mondo cattolico: si narra che Roq nacque tra il 1345 e il 1350 a Montpellier, capoluogo della Linguadoca (Francia meridionale, a 10 km dalla costa del Mediterraneo, un posto incantevole). Secondo la pia devozione, il neonato nacque con una croce vermiglia impressa nel petto. Rimasto orfano, vendette tutti i suoi averi donandoli a favore dei poveri e si mise in pellegrinaggio verso Roma. Nel 1367, arrivato ad Acquapendente (provincia di Viterbo), si fermò per dare assistenza ai malati di peste in un ospedale e, narrano le cronache, cominciò ad operare guarigioni miracolose: per questo, e altri prodigi riguardanti le guarigioni, sin dal Concilio di Costanza, nel 1414, lo si invoca per la liberazione dall’epidemia di peste e si festeggia il 16 Agosto, giorno della sua morte (nel 1376 o 1379).
Nell'iconografia, porta il tabarro, il bastone del pellegrino e ha due caratteristiche: una piaga, di solito sulla coscia, a dimostrare la lotta contro il morbo pestifero, e il cane, che leggenda vuole fosse al suo fianco quando, ammalatosi mentre curava gli appestati, si ritirò in una grotta: per confortarlo gli leccava le piaghe e ogni giorno gli portava un po’ di pane, rubato alla tavola del padrone. Dopo qualche giorno, san Rocco si riprese e la peste lo abbandonò, mentre il cane rimase con lui per sempre.
In francese roquet indica sia il carlino, sia in generale un piccolo cagnolino, ma la tradizione vuole che il cane di San Rocco fosse un Epagneul breton
Il suo culto è diffusissimo in tutto il Mediterraneo, e in ogni altra nazione dove l'emigrazione da questi paesi ha creato forti comunità all'estero.
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Io sono un padre
Per di più un padre “single” perché mia figlia ha scelto di stare con me, anche se è fuori per studi. Ma qui è la sua casa ed io sono in parte la sua casa.
Mio padre ci voleva bene, lo so, perché ricordo quante volte mi prendeva in braccio da piccolo, o soddisfava le mie voglie di Dudufour oppure come sorrideva il giorno che mi ha regalato il tavolo da disegno, perché in qualche modo seguivo il suo percorso ed un suo desiderio inespresso. Ma mio padre era un taciturno, un orso. Non anaffettivo ma probabilmente incapace per educazione a dire ti voglio bene. Orfano di madre dall’età di sei anni, figlio di contadino, vita da campagna in una sorta di matriarcato, trattato a modo suo come un principe dalla sorella più piccola. Ma ti voglio bene lo sapeva esprimere o facendo cose o in silenzio. E quel silenzio, aggravato dal suo umore peggiorato dai mille acciacchi a seguito di un grave incidente, è risuonato come un urlo in un vano scale: assordante.
Mio padre di colpo è mancato, non tanto inaspettatamente, ma ci ha lasciato nel fiore della mia gioventù stravolgendomi la vita. É mancato nel momento in cui sembrava stesse cambiando, in cui era più sereno, in cui sembrava cercasse maggiormente il nostro contatto. É venuto a mancare ed io l’ho potuto vedere solo steso sul letto, pronto ad essere messo in una cassa per sempre, senza avergli potuto dire ciao oppure “ti voglio bene”. Tante parole mancate che non possono essere più dette ma almeno pensate, per ricordargli e ricordarsi che non bisogna mai far mancare a un figlio il senso di protezione, un abbraccio, un “ti voglio bene” anche quando sei distrutto o il mondo ti si rivolge contro.
Non gliene faccio una colpa. Lui era così. Non poteva fare di più di quel che ha fatto. Ma io da lui posso solo apprendere che quello che a me è mancato, non deve mai mancare a mia figlia, anche se le ho inferto un dolore insanabile essendo la concausa dello sfascio della nostra famiglia.
Un “ti voglio bene”, un abbraccio non sono mai troppo. Bisognerebbe dirli ed esprimerli a profusione per dare quel senso di calore e sicurezza ai propri figli nei giorni belli e nei giorni brutti, per ricordare loro che, anche se siamo imperfetti, anche se sbagliamo e possiamo fare loro del male (siamo pur sempre uomini) noi ci siamo e ci saremo, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi davvero.
Dopo, tutto quello che non è stato dato non ritornerà più.
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Yamato Video ha recuperato, a sorpresa, un'altra nuova serie da aggiungere al già ricco catalogo del canale ANiME GENERATION su Prime Video.
Conosciuta, per comodità, come I PARRY EVERYTHING, visto che a prescindere dalla lingua il titolo è impronunciabile nella sua interezza, l'avventura fantasy tratta dalla light novel di Nabeshiki arriverà in streaming a partire da domani, con un episodio a settimana ogni mercoledì.
Trama: Noor è un ragazzo rimasto orfano che sogna di diventare un avventuriero, ma nonostante stenuanti allenamenti alla capitale, non riesce a risvegliare il proprio talento, così se ne torna in campagna ad allenarsi da solo per 14 anni.
La serie, il cui titolo italiano ufficiale è USO PARRY SU OGNI COSA - IL PIÙ FORTE DEL MONDO NON CAPISCE DI ESSERLO E VUOLE DIVENTARE UN AVVENTURIERO, è stata trasmessa la stagione scorsa e conta in tutto 12 puntate.
L'adattamento è fatto in casa OLM (Il Monologo della Speziale, Tonbo!) e segna il debutto alla regia di Hiroshi Fukuyama.
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The Will of the Many - James Islington
"The Will of the Many" di James Islington è il primo volume di una saga fantasy. Il romanzo narra di Vis, un ragazzo orfano che verrà adottato da un senatore, per cui dovrà cercare informazioni di tipo politico all'interno della prestigiosa Accademia, scuola elitaria di tutti i figli delle figure più illustri di questa società.
In breve il romanzo è questo, ma ciò che lo rende più interessante è la struttura della società nella quale è ambientato. Infatti, la società è suddivisa in diverse classi, ispirate a quelle della Repubblica Romana, in modo piramidale, in cui coloro che stanziano al gradino più basso devono cedere la volontà al gradino appena successivo, e così via, fino ad arrivare alla punta. È evidente, quindi, che questa società sia basata sulla volontà degli esseri umani, che diviene la moneta di scambio per la sopravvivenza. Questo aspetto ricorda la società odierna, nella quale la valuta maggiore è il tempo, la nostra attenzione e, di conseguenza, la nostra volontà. L'autore riesce a creare e strutturare un mondo che è metafora della società odierna, in modo naturale e brillante. Il mondo che viene creato dall'autore è non banale e ben descritto: a partire dalla descrizione piramidale della società, vengono descritti in modo estremamente approfondito le dinamiche politiche, i pensieri stessi della società, i difetti che questa detiene. Niente è lasciato al caso. James Islington crea un mondo reale da quanto minuziosamente viene descritto: ogni cosa al suo interno ha un senso, dalle materie scolastiche, al nome dato alle infrastrutture. Lo stesso funzionamento magico viene descritto esplicitamente, attraverso descrizioni che aggiungono alla vicenda grande veridicità e che trasportano il lettore all'interno del romanzo. Le descrizioni sono caratteristica non indifferente del romanzo, soprattutto quelle dei luoghi: questi vengono descritti e proposti al lettore come se fossero delle fotografie, poiché l'autore non si limita affatto. I luoghi descritti, comprese le infrastrutture, ricordano moltissimo l'architettura antica romana, ma sono circondati da un'aura magica, resa possibile dalla scelta accurata dei termini. Anche i personaggi sono ben approfonditi: Vis, che è il protagonista, ma anche tutti coloro che compaiono, vengono introdotti non solo da un punto di vista estetico, ma nel corso del romanzo si percepiscono tutte le sfumature dei loro caratteri. Questa accuratezza è magnifica, magica. Ovviamente il personaggio di Vis è colui che si conosce meglio, anche perché è proprio lui il narratore. Vis è sicuramente il classico protagonista fantasy prescelto, con alle spalle un passato degno di nota e ricco di domande senza risposta, ma nonostante ciò è molto originale e si discosta dalle consuetudini. È da apprezzare come egli venga introdotto: l'autore non parte con una sua descrizione fisica e caratteriale, bensì lo presenta al lettore piano piano, di pagina in pagina. Si potrebbe dire che è Vis che si svela di volta in volta. Tale scelta rende la narrazione più scorrevole e concatenata, senza bloccarla inutilmente. Vis è un ragazzo coraggioso, che combatte per la verità, sapendo di non aver più nulla da perdere. Ha moltissimi aspetti negativi, che si svelano con la lettura, ma questi lo rendono più umano. Infatti, una qualità da apprezzare è proprio la sua umanità: il lettore diventa a tutti gli effetti un amico di Vis, un suo compagno di avventure, nonché custode dei suoi segreti. Il legame che si crea nasce dalla lettura stessa che porta il lettore ad immaginarsi in carne ed ossa il protagonista. Una peculiarità del romanzo è la trama stessa: essa è fitta di misteri e domande, che naturalmente non vengono risolti in questo primo volume, ma essi sono proposti e raccontati con uno stile non semplicistico e banale, bensì con uno stile ricercato e funzionale. Da qui si evince che il ritmo del romanzo, nonostante la sua mole, è abbastanza veloce, per lo meno tradotto, proprio perché Islington fa nascere nel lettore un interesse sempre maggiore che lo spinge a proseguire nella lettura.
"Ascolta. Guarda. Taci."
Questo primo romanzo della saga "Hierarchy" ha superato le aspettative da ogni punto di vista, perché non solo propone delle ambientazioni in stile dark academia, la seconda parte del romanzo è proprio ambientata nell'accademia, ma ne aggiunge di altre con un'enfasi straordinaria. Ora non resta che aspettare il seguito.
10/10
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Il gruppo 21 Invest investe sui farmaci orfani
La società di investimento guidata da Alessandro Benetton annuncia l’arrivo del parere positivo del Comitato per i medicinali per uso umano, che raccomanda l’approvazione del farmaco orfano Akantior. Il farmaco orfano Akantior è l'unica cura al mondo per il trattamento della cheratite da acanthamoeba, malattia oftalmica rara gravemente invalidante che porta alla cecità. Il farmaco è stato sviluppato da Sifi che ha raggiunto un fatturato di circa 100 milioni di euro nel 2023, con ricavi provenienti per il 65% dall’estero. “Sifi è un gioiello del Sud Italia in cui crediamo fin dal 2015 - commenta Alessandro Benetton -. Sappiamo che sostenere un’azienda nella ricerca di un farmaco orfano per un periodo così lungo va al di là di ciò che è normalmente richiesto ad un fondo d’investimento, ma sono queste le azioni che contraddistinguono il nostro approccio alla crescita delle società in cui investiamo”. Negli ultimi 10 anni, le aziende in cui 21 Invest ha investito hanno registrato un aumento del fatturato di circa il 70% e la forza lavoro è incrementata di circa 6mila dipendenti. Read the full article
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SUGGERIMENTI PER NUOVI E COMMOVENTI SPOT PUBBLICITARI
FORMAT N. 1 – Il cuore del vecchio
Un gruppo di bambini poverissimi gioca a calcio in una strada polverosa. Il pallone finisce nella villa di un vecchio e spietato mercante d’armi d’origine asburgica. Un bambino più coraggioso degli altri salta la recinzione per recuperarlo. Si chiama Shumba ed è un orfano, profugo del Burundi, lo stato più povero del mondo.
Il vecchio spietato lo vede da una videocamera e libera i tre rottweiler Hans, Fritz e Gunther che circondano il fanciullo pronti a sbranarlo. D’un tratto il vecchio nota al collo del ragazzo il ciondolo che in gioventù aveva donato a un eroico burundese che durante un safari lo aveva salvato da una carica di ippopotami inferociti.
Corre in giardino, ferma i cani e chiede al fanciullo: «Dove hai preso quel ciondolo?»
«Era di mio nonno. Prima di morire me lo donò dicendomi di averlo ricevuto da un nobile e generoso signore europeo.»
Il mercante d’armi ripensa al suo passato e a come la vita abbia inaridito il suo cuore. Abbraccia piangendo il fanciullo.
La telecamera inquadra il pallone. Musica romantica e voce profonda fuori campo.
«Il vecchio adottò Shumba e gli offrì un luminoso futuro nella sua fabbrica di mine antinuomo, nominandolo direttore del reparto bombe a grappolo. Tutto questo grazie un pallone Aprigas, Aprigas, palloni cuciti dai bambini poveri per i bambini di tutto il mondo.»
Renato De Rosa.
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Ai piedi della croce, simbolo di morte, fiorisce una nuova vita. Il vecchio e il nuovo, Gesù che muore è l’anello di congiunzione fra ciò che è stato e ciò che sarà. Chi è rimasto, è rimasto fino alla fine ed rimasto in piedi davanti alla croce: tre donne e il discepolo amato. Parte da lì la nuova Comunità: da una madre, da una donna, e dal discepolo amato. Il discepolo non ha un nome, è riconosciuto per relazione e la relazione è data dall’amore di Cristo in lui, “il discepolo che egli amava”. Forse siamo noi quel discepolo? Gesù, sulla croce è figlio ed è padre e in questa veste da una parte fa dono alla madre di un figlio, e dall’altra promette al discepolo amato che non rimarrà orfano, qui sulla terra, perché gli (ci) fa dono di una Madre e lo (ci) invita a prenderci cura di lei. Gesù ci insegna che basta essere in due per fare famiglia, per fare comunità, fare Chiesa.
“Tieni un capo del filo, con l’altro capo in mano io correrò nel mondo. E se dovessi perdermi tu, mammina mia, tira”. (Margaret Mazzantini)
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Little Women e Kurosagi
Gli imbroglioni hanno sempre saputo… che il loro mestiere non è quello di convincere gli scettici, ma di permettere ai creduloni di continuare a credere quello che vogliono credere. (Thomas Sowell)
Ohhhh... oggi si parla di truffe.
Imbrogli, complotti, inganni... chiamateli come vi pare ma il concetto quello rimane.
E siccome "tutto il mondo è paese" e la fraudolenza non conosce confini, queste due serie sono un ottimo modo per confrontare il tema - seppur da punti di vista diversi - in diversi paesi.
Iniziamo dal Giappone con Kurosagi.
Questo drama in realtà dovrebbe essere un remake dell'originale del 2006 con Yamapi e di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza.
La storia ruota intorno a Kurosaki Koshiro che quando aveva 15 anni rimase l'unico sopravvissuto della sua famiglia ad una strage perpetrata dal suo stesso padre per colpa di una truffa in cui era caduto. Il papà non avendo modo di ripagare i debiti e completamente fuori di testa, accoltellò la famiglia sotto lo sguardo terrorizzato del nostro lead.
Rimasto orfano, il buon Kurosaki diventa Kurosagi, un truffatore che inganna i truffatori, vendicandosi di loro e fottendogli tutti i soldi. Sì, è una sorta di Robin Hood
E' un giovane molto intelligente ma solitario e poco incline alla fiducia poiché la sua intera dolorosa vita ruota attorno alla vendetta per ciò che è successo allo sua famiglia.
Accanto a lui, c'è la sua vicina di casa, ragazza che sogna di diventare Procuratrice e che crede che debba essere la giustizia ad occuparsi dei truffatori, non le azioni personali. Motivo per il quale cercherà di far cambiare idea a Kurosagi, aiutandolo anche ad affrontare il suo difficile passato. Tuttavia, si scontrerà con la realtà dei fatti: i truffatori conoscono la legge e sanno come scavalcarla. Ed i poliziotti spesso hanno le mani legate e non possono intervenire. Questa è anche una tematica della serie e trovo che il drama l'abbia portata in scena molto bene.
Ora, la serie può essere un po' ripetitiva: Kurosagi riesce a fregare i truffatori sempre nello stesso modo e al quinto modus operandi identico, potrei annoiarmi. Che per carità: ogni raggiro del nostro lead ha un retroscena economico/bancario che davvero mi sfugge ed è quindi interessante scoprire come funzioni l'economia ed i rapporti che la gestiscono.
Kurosagi, memore del dolore portato alla sua famiglia dalle truffe, cercherà di aiutare altre vittime, mentendo, manipolando, falsificando ecc ecc i truffatori che nel giro di poco, si renderanno conto di aver perso tutti i loro guadagli. chi di truffa ferisce...di truffa perisce
Kurosagi è pure un bel figliuolo, l'attore recita da Dio e la serie è stata brava nel tratteggiare tutti i suoi personaggi.
Due cose in particolare mi sono rimaste impresse e mi hanno quindi spinta a scriverci qualche parola:
La protagonista femminile che per quanto testarda e idealista, almeno non è un personaggio che balbetta e rimane muta davanti agli altri. Sa parlare e sa tenere fuori la voce. E già la amo solo per questo. Inoltre, pur non approvando il comportamento di Kurosagi, non gli ha mai messo i bastoni tra le ruote, lasciandogli carta bianca ed allo stesso tempo proponendosi come spalla di conforto e aiuto.
L'altra cosa è il conflitto interiore. I giapponesi sono maestri nel creare introspezione e riflessione e Kurosagi non fa eccezione. Oltre al lavoro del lead, al tema della polizia e della giustizia, questa serie introduce un altro elemento interessante:
Kurosagi infatti, prende le informazioni sui truffatori da ingannare da un uomo che lo ha cresciuto come un padre ma che è allo stesso tempo l'uomo che ha inventato la truffa che ha portato alla fine della sua famiglia. Per tutta la serie assistiamo al conflitto del protagonista tra l'affetto che prova per quest'uomo e la necessità di sconfiggere anche lui per completare la sua vendetta. Un combattimento profondo che è presente anche nell'uomo che pensa a Kurosagi come ad un figlio, che gli vuole bene ma che sa che vuole la sua sconfitta. Questa relazione è ciò che ho trovato più interessante, complicato e intenso.
In conclusione una bella serie che riesce a mitigare la ripetitività di certe scene con una forte introspezione, bei personaggi ben caratterizzati e degli elementi più conflittuali che danno un tono profondo al drama. Inoltre, credo che con questa serie io abbia preso una Laurea in Economia.
Voto: 7.9
Little Women
Chi invece è un truffa, a partire dal nome, è Little Women. Dal titolo pare di star vedendo la versione dei giorni nostri di Piccole Donne della Alcott ambientato in Korea.
Certo, suona difficile trasportare l'opera in un contesto moderno visto che:
proviene dalla seconda metà dell'Ottocento
riguarda le vicende di una famiglia
L'ambientazione ed il contesto
La parte che più mi preoccupava era il creare una serie accattivante e che potesse tenere il pubblico dei giorni nostri incollato allo schermo, mentendo la storia, i personaggi e le vicende che segnano la famiglia March senza snaturarne il messaggio ed il suo essere un caposaldo della letteratura.
Le prime due puntate devo ammettere che sono intriganti e mi è piaciuto come hanno deciso di partire: il drama infatti ha delle similitudini con Piccole Donne, delle cose che lo ricordano, ma allo stesso tempo presenta profonde modifiche:
La madre ad esempio, che nel romanzo è presente e punto di riferimento per la famiglia, nel drama è una stronza senza cuore. Un' egoista che sparisce nel nulla rubando i soldi delle figlie e non si fa più vedere.
Al contrario le ragazze hanno degli elementi che le accostano alle loro controparti cartacee: Oh In Kyung possiamo ricondurla a Jo vista la sua passione per la scrittura, il suo essere maschiaccio, la sua relazione con un amico di famiglia, il suo legame difficile con la prozia ecc ecc...
Una cosa che ho adorato è come hanno reso il tema della povertà. Nel romanzo la famiglia March è povera ma vivono la cosa nel modo più dignitoso possibile ed anzi sono sempre pronti a cedere il loro cibo a chi è più sfortunato di loro. Nel drama, poiché tale atteggiamento sarebbe stato un po' anacronistico, la povertà viene vissuta come un peso insopportabile, soprattutto per due sorelle.
Ed anzi, sarà proprio la scarsità di liquidi che darà il via alla storia e trasformerà questo drama da Piccole Donne ad una serie thriller/investigativa. Per questo dico che è una truffa: perché chiamarlo Piccole Donne se poi più di metà drama è una corsa a sventare complotti, sparatorie, omicidi, allucinazioni, psicopatia ecc ecc?
La storia non ha più nulla a che fare con il romanzo della Alcott e racconta una storia a sè ed ho trovato difficoltà nel ricollegarmi con il romanzo:
La sorella maggiore (Meg) scopre che la sua collega e unica amica è morta e le ha lasciato di nascosto una fraccata di soldi. Ovviamente la donzella se li vuole tenere e spendere, soprattutto per il bene delle sorelle. Ma questi soldi sono di qualcuno che giustamente li rivuole indietro. Inizia così una caccia al denaro, una guerra contro la famiglia più ricca di Seoul che metterà in campo di tutto.
A far compagnia a Meg c'è ovviamente Jo che dei soldi non gliene frega nulla e che vuole solo scoprire la verità a tutti costi, aiutando certe volte e mettendosi nei casini in altre.
Ed infine c'è Amy che oberata dall'affetto delle sorelle che farebbero di tutto per lei ma con cui lei si sente in eterno debito, decide di andare a vivere con la famiglia ricca e sembra che per gran parte della serie, abbia voltato le spalle alla sua vera famiglia.
E' una storia di tensione, suspance e mistero ed è divertente da guardare pur avendo un po' di buchi di trama. Soprattutto nel finale che ho trovato frettoloso e poco soddisfacente.
In fin dei conti, Little Women non è un brutto drama. Mi ha intrattenuto ed è riuscito a mantenere la mia attenzione fino alla fine anche se appunto, poco ci azzecca con il romanzo da cui prende il nome.
Ottima la caratterizzazione delle sorelle, ognuna diversa dalle altre e che la serie approfondisce, permettendoci di conoscerle e comprendere il perché dei loro comportamenti. La cosa positiva di loro è che sono personaggi reali, ossia fallaci ed imperfette. Non sono eroine cazzute o badass ma ragazze perfettamente normali. Certo, avrei gradito un po' più del loro sviluppo ma con 12 episodi ci dobbiamo accontentare.
Nota a margine per due personaggi:
Choi Do Il. È stato il mio personaggio preferito: intelligente e calcolatore, porta avanti la sua vendetta dietro le quinte ed è stato spesso risolutivo per la storia. Non ho ben capito perché non abbiano sviluppato la love story con Meg visto che la chimica e l'affetto era palese...ma comunque ho adorato il suo acume e abilità di ribaltare la partita.
Park Hyo Rin anche mi è piaciuta. Figlia della famiglia ricca, pare sottomessa ed invisibile, non calcolata dai genitori troppo presi con le loro vite. In realtà è sveglia ed intelligente ed ho amato quando molla i genitori e scappa via in giro per il mondo, con Amy.
In conclusione Little Women è una drama godevole se chiudi gli occhi sui buchi di trame e sul finale. Se non cerchi di ricordarne il titolo ed i suoi collegamenti con il romanzo della Alcott e ti godi solamente la storia. Ha un alto valore produttivo e molto bel recitato con un grande cast che a parer mio ha fatto un buon lavoro. Peccato per il finale e la storia che a metà è diventata davvero complicata da seguire, tra complotti, segreti, tradimenti e collegamenti tra i vari personaggi.
Voto: 7.8
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Cosa si cela dietro la morte misteriosa di Edgar Allan Poe?
Lo scrittore americano Edgar Allan Poe anche se ha avuto una vita breve, segnata da sofferenze e problemi, è riuscito a ritagliarsi un grande spazio tra i migliori scrittori americani Nato a Boston nel 1809 figlio di due teatranti, che dopo soli due anni muoiono e lo lasciano orfano. Il piccolo Poe viene adottato e cresciuto dalla famiglia del mercante John Allan a Richmond con cui fin da subito ha un rapporto pieno di alti e bassi. Seguendo gli affari del tutore, Edgar passò molto tempo in Gran Bretagna e questo periodo della sua vita influenzerà molto la sua produzione letteraria. Al suo ritorno negli Stati Uniti Poe continua a seguire in maniera irregolare i corsi universitari, fino a quando non li abbandona definitivamente. Verso i venti anni, dopo l'abbandono degli studi, si avvicina alla vita militare. Quest'ultima nonostante una serie di veloci avanzamenti di carriera non lo rende felice. Il suo unico conforto sembra essere la scrittura. In questo mondo di parole Poe scrive intriganti racconti gotici, poesie ricolme di malinconica bellezza e lo portano a conoscere la sua futura moglie Virginia, che all'epoca non era neanche quattordicenne. Le sue opere hanno esplorato gli angoli più oscuri dell'animo umano, creando le fondamenta per la letteratura Horror e la narrativa di fantascienza. Ma la sua presenza nel mondo letterario non si limita soltanto alla mansione di scrittore, infatti Poe è conosciuto anche come critico, editore e redattore. Cosa sappiamo sulla sua misteriosa morte? La vita di Edgar Allan Poe è segnata anche da molte tragedie personali, e, come i suoi personaggi è tormentato emotivamente ed instabile. La morte precoce delle venticinquenne Virginia (sua moglie), causata dalla tubercolosi, accentua ancora di più i suoi problemi psicologici, portandolo a rifugiarsi dietro l'uso di alcol e droghe. Il 3 ottobre del 1849 viene trovato delirante e in fin di vita a Baltimora. Dopo diversi giorni che se ne sono perse le tracce, il 7 ottobre muore senza aver mai riacquistato pienamente la coscienza. Nonostante la sua vita brilli di una luce singolare, la sua morte è avvolta nell'ignoto. L'unica cosa certa è che non doveva trovarsi a Baltimora, nei pressi si un seggio elettorale a ripetere ossessivamente "Reynolds". Le teorie sulla sua morte sono molte, dall'idea di un'avvelenamento a all'idea di un caso di cooping. Quest'ultima è una pratica elettorale fraudolenta per cui un povero malcapitato veniva sequestrato, drogato e infine mandato a votare un candidato più e più volte. La teoria del cooping è, attualmente, quella più accreditata. Nonostante la sua vita tragica e la sua morte misteriosa, ha lasciato una grande eredità che ha ispirato grandi autori come Arthur Conan Doyle, Alfred Hitchcock e molti altri. Read the full article
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Eglantyne Jebb. La fondatrice di Save the Children
L’umanità deve ai bambini il meglio che può offrire
Eglantyne Jebb è stata l’attivista britannica che ha fondato Save the Children.
Una donna coraggiosa e carismatica, la cui visione e impegno aveva conquistato gran parte dell’aristocrazia, le organizzazioni sindacali, il Papa, il governo bolscevico e la Lega delle Nazioni a Ginevra.
Pioniera nell’anticipare il concetto che anche l’infanzia avesse dei diritti, nel 1923 ha scritto la prima Carta dei Diritti del Fanciullo, testo base per la successiva Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
È nata il 25 agosto 1876 a Ellesmere, nello Shrophire, nella tenuta di campagna di una numerosa famiglia benestante, fortemente impegnata nella propria comunità.
Laureatasi in Storia Moderna a Oxford, durante la prima guerra mondiale, prestando servizio nella Croce Rossa, aveva toccato con mano le orribili conseguenze del conflitto bellico e constatato il fatto che le persone più colpite fossero proprio le bambine e i bambini.
Trasferitasi a Cambridge, collaborava, con sua madre e le sue sorelle a diversi progetti umanitari. Quando si è unita alla Charity Organisation Society che studiava le strategie per organizzare le opere di carità secondo metodi razionali e moderni, ha avviato un’importante ricerca che l’ha portata, nel 1906, a pubblicare il saggio Cambridge, A Study in Social Questions.
Intanto, per la rivista Cambridge Magazine, scriveva la rubrica Note dalla stampa estera, pubblicando la traduzione di articoli di giornali esteri che descrivevano le gravi conseguenze dell’embargo del governo britannico nei confronti di Austria e Germania che, pur di non dare aiuti al nemico sconfitto, lasciava morire di fame bambini e bambine.
È stata una donna che non riusciva a tacere di fronte alle ingiustizie e non ha avuto remore ad andare contro il suo stesso governo per tutelare i diritti di figlie e figli dei nemici di guerra.
Arrestata mentre, per smuovere l’opinione pubblica, distribuiva volantini con fotografie di bambini austriaci affamati, non si è lasciata intimidire dalle autorità e ha continuato con maggiore determinazione.
Nel 1919, insieme alla sorella Dorothy, ha fondato Save the Children Fund, un’organizzazione per aiutare i bambini tedeschi e austriaci che, in breve tempo aveva trovato una grande partecipazione negli ambienti aristocratici dove aveva raccolto ingenti somme di denaro.
Si è spinta oltre, scrivendo una lettera al Papa Benedetto XV per avere il supporto della Chiesa contro la carestia. Il pontefice, in risposta al suo appello, aveva scritto l’Enciclica Paterno Iam Diu, chiedendo a tutte le chiese del mondo di raccogliere fondi per l’infanzia e l’anno successivo, il 1920, nell’enciclica Annus iam Planus est, ha lodato pubblicamente Save the Children per il suo lavoro. È stata la prima volta nella storia che la Chiesa Cattolica ha supportato una causa promossa da un’organizzazione non confessionale.
Nel 1921 Save The Children ha aiutato i bambini russi vittime della carestia e si è sempre trovata dalla parte dell’infanzia negata.
Nel 1923, a Ginevra, ha stilato la prima Carta internazionale dei diritti del bambino che, in cinque punti, afferma che l’infanzia ha i suoi diritti e la comunità ha il dovere di proteggerli:«che ogni bambino affamato sia nutrito, ogni bambino malato sia curato, ad ogni orfano, bambino di strada o ai margini della società sia data protezione e supporto».
Il testo è stato adottato dalla Società delle Nazioni il 26 settembre del 1924, con il nome di Dichiarazione di Ginevra e, successivamente, dalle Nazioni Unite. Sulla stessa carta si basa la Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989 oggi ratificata da tutti i Paesi del mondo ad eccezione degli Stati Uniti (poiché riconoscono la pena di morte anche per i minori) e della Somalia (che ha non ha un governo stabile).
Eglantyne Jebb si è spenta il 17 dicembre 1928, a Ginevra.
È stata una donna che ha sfidato il proprio tempo, che ha pensato in grande e ragionato fuori dagli schemi, si è attivata contro la povertà infantile e raccolto fondi per i bambini affamati dalle guerre e le loro aspirazioni, al di là dei confini geografici e politici.
Nei primi anni del Novecento ha reclamato uno spazio di azione pubblica, rivoluzionando il concetto di “prendersi cura” dell’infanzia. Non più atto caritatevole, ma investimento per creare una società più giusta, democratica e sostenibile.
Con coraggio e passione, si è messa in gioco, precorrendo i tempi e non abbandonando mai il suo “credo” più profondo: “L’umanità deve ai bambini il meglio che può offrire”.
Save the Children, ancora oggi è la più grande organizzazione indipendente per la difesa e la promozione dei diritti dell’infanzia. Opera in oltre 100 paesi portando aiuti in situazioni di emergenza, per calamità naturali o guerre. Ha status consultivo presso il consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite e fa pressione su governi e istituzioni nazionali e internazionali.
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Famiglia
Ciao ragazzi ne è passato di tempo dalle ultime volte che ho scritto qualcosa e ovviamente da allora ci sono stati ulteriori cambiamenti, soprattutto a riguardo di quello che scriverò oggi che è anche il titolo del post ovvero la famiglia.
Beh io inizierei dicendo che è vero quando si dice che si è fortunati ad avere una famiglia però è anche vero che non tutte le famiglie sono così belle tant'è che delle volte uno si domanda del contrario ovvero "Non potevo essere orfano?". Adesso fatto questo preambolo vi racconto della mia famiglia che non è altro una famiglia fatta di apparenze infatti agli occhi degli altri sembriamo quasi la classifica famigliola felice del mulino bianco, ma credetemi all'interno di essa si nascondono gli scheletri più inquietanti che voi possiate immaginare infatti (se ben ricordo) in passato vi ho anche detto che prima o poi mi sarei allontanato da loro e così ho fatto tant'è che adesso sono più di tre anni che vivo per conto mio da tutt'altra parte e soprattutto ben lontano da loro.
Probabilmente la gran parte che leggeranno queste righe penseranno che se sono arrivato a tanto è anche a causa del mio orientamento sessuale, ma non è così e ve lo farò capire descrivendoli nella maniera più sintetica possibile:
Mamma: la personificazione della falsità, se non fosse per la malattia che avevo da appena nato lei non mi avrebbe mai considerato infatti dopo che mi avevano curato per lei ero il signor nessuno quello che non avrebbe mai fatto nulla dalla vita, poi se ci aggiungiamo anche molta avarizia praticamente è il mix perfetto di cattiveria perché grazie ai soldi che prendeva dallo stato per avere degli aiuti per prendersi cura di me lei li utilizzava per fare i suoi comodi ed io ero quello che poi non migliorava solo per fargli fare la signora di mondo.
Papà: un uomo che si fa mettere i piedi in testa dalla moglie e privo totalmente di senso critico della realtà e di amor proprio
Fabio (mio fratello): una persona che vuol far credere di essere qualcuno ma in realtà è solo un fallito e per di più anche doppiogiochista
Insomma come vedete una gran bella famiglia 🤣🤣🤣.
Credetemi chiunque vi dica che la famiglia non te la scegli ha ragione solo in parte perché si a livello biologico la famiglia è quella da cui nasci che assomigli in tutto però a livello di vita non è detto che la famiglia è tassativamente quella biologica perché la vera famiglia si può anche creare l'importante è che ci sia amore all'interno infatti io dopo anni posso dire che sono riuscito a crearla tant'è che quella di sangue ormai è solo una machietta che fa parte della mia vita passata.
(come avrete notato quando ho fatto la descrizione di ogni membro della mia famiglia biologica quando ho parlato di mamma mi sono dilungato un po' perché comunque molte cose spiacevoli che ci sono state all'interno della famiglia so state con lei infatti la prossima volta tratterò prettamente lei come argomento perché ci sono tante cose da dire a riguardo)
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