#Tommaso-Maestrelli
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globalhappenings · 3 years ago
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Football: Wilson died, Lazio first scudetto captain
Football: Wilson died, Lazio first scudetto captain
(ANSA) – ROME, MARCH 06 – Pino Wilson, captain of Lazio’s first historic Scudetto, has died. He was 76 years old. “The SS Lazio, its President, the coach, the players and all the staff express deep condolences for the death of the captain of the first Scudetto Pino Wilson and join in the pain of the family “, reads the website of the biancoceleste club. Considered one of the strongest defenders…
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giancarlonicoli · 5 years ago
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21 GEN 2020 20:23
"GIORGIO CHINAGLIA E’ IL GRIDO DI BATTAGLIA!" I GOL, LE PISTOLE, I CALCI NEL SEDERE A D’AMICO, LE SCAZZOTTATE, IL VAFFA A VALCAREGGI (“E’ SOLO UN DISADATTATO IRRECUPERABILE”, COMMENTO' FRANCO CARRARO), GLI ECCESSI E GUAI GIUDIZIARI DI "LONG JOHN", SIMBOLO DELLA LAZIO DEL PRIMO SCUDETTO - "MI DICONO CHE SONO FASCISTA SOLO PERCHÉ VADO AL POLIGONO CON UNA 44 MAGNUM A ESERCITARMI. DI POLITICA NON CAPISCO NULLA MA MI PIACE GIORGIO ALMIRANTE" - VIDEO
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Claudio De Carli per “il Giornale”
Tor di Quinto, 12 maggio 1974, Lazio campione d' Italia, interno. Tavolata di tutta la squadra, eccitazione adolescenziale, ognuno racconta qualcosa, Luigi Polentes si è comprato un orologio nuovo alla gioielleria di Gigi Bezzi, lo fa girare, bello, sì sì, proprio bello, complimenti. Long John dice: fa vedere... e se lo mette al polso, poi legge infrangibile, ride, tutti ridono, allora se lo toglie e lo appoggia sulla tovaglia, prende un coltello per la lama e batte forte il manico sul quadrante, il vetro va in frantumi. Di colpo silenzio: «T' hanno fregato, gli fa a Polentes, vedi, non è infrangibile» e scoppia a ridere.
Quanto ci manchi Giorgione, puro e vero, distruttore del falso in un mondo di quasi tutti ipocriti, se uno è scarso è scarso e bisogna dirlo, non è coraggio, è la verità, e la dicevi con quella testa incassata nel collo piegata da un lato.
Bullo per indole, grande e grosso per natura, emigrante innocente, Galles, serie B, quando torna da noi è uno di Carnaby Street, giacca di velluto, camicia colorata, pantaloni attillati a tubo, stivaletti, basettoni, capello lungo. Diciannove anni, bocciato, il presidente dello Swansea Glen Davis fa: quell' italiano... come si chiama...sì sì, Chinaglia. Bene, quello non diventerà mai un calciatore professionista, non è portato, troppo grosso, meglio per il rugby. E gli sbatte il cartellino in faccia.
Era partito a sei anni dalla casa di nonna Clelia a Montecimato quasi Carrara, solo, su un treno con un cartellino al collo come le bestie, nome, cognome e indirizzo della destinazione, 111 Richmond street, Cardiff, Wales. Lì c' è il resto della famiglia, di mattina gioca a rugby, seconda linea, al pomeriggio calcio, centravanti.
Torna quando la Massese lo tessera per 250 mila lire al mese, l' Internapoli picchia 100 milioni sul tavolo, la notizia gli arriva quando sotto leva è su un banco di marmo in punizione per aver messo le mani addosso a un sergente.
Ma all' Internapoli conosce Pino Wilson, mezzo inglese, un amicone, la Lazio li prende in un colpo solo. La sua storia inizia qui.
Lui e Wilson da una parte, Luciano Re Cecconi e Luigi Martini dall' altra, due bande armate, spogliatoi separati, se per caso sbagliavi porta ti arrivava una bottigliata in faccia, Felice Pulici la evita per un pelo, botte senza pietà durante le partite di allenamento, in gara una squadra di cemento a presa rapida, la Lazio. Chi tradiva aveva chiuso. E una volta si sono messi a sparare per davvero tutti assieme dalle finestre dell' Hotel Americana alla vigilia di un derby. I tifosi della Roma si erano messi a far casino per disturbarli durante la notte, è partito qualche colpo, tutti spariti.
Wilson è il padrino, Long John il supremo, la Lazio è mia, cosa mia, fa, e prende a calci nel sedere Vincenzo D' Amico a San Siro perché non ha fatto pressing su Alessandro Mazzola, fa a cazzotti con Martini, tenta di strozzare l' arbitro Menicucci, non ci riesce, lo rincorre per prenderlo a ombrellate, attacca al muro un dirigente perché ritarda gli stipendi, si sposa, divorzia, si risposa, indagato, processato, prosciolto, spacca difese, un bisonte che vuole sempre vincere, chi non gli passa la palla finisce sul taccuino. A Monaco manda a quel paese due volte Valcareggi (nella foto) perché lo sostituisce con Pietro Anastasi durante Italia-Haiti al mondiale, il braccio destro che accompagna il labiale. Bufera.
Chi pensa di essere? Mai sostituito nella Lazio? E allora? È solo un disadattato irrecuperabile, commenta Franco Carraro. Il gesto è da maleducato, in mondovisione e va su tutti i giornali, ma aveva ragione.
Il ct si era intestardito e aveva messo dentro contemporaneamente Sandro Mazzola, Luigi Riva, Gianni Rivera e lui. Non funziona, Long John gioca da schifo ma non è lui il peggiore, però paga lui. Tommaso Maestrelli vola in Germania, gli chiede di scusarsi pubblicamente, non esiste, gli risponde, e non devo farlo per la Lazio che qui non è rispettata, dovevamo esserci almeno in sette, invece due fanno panchina e io vengo sostituito. Il suo mondiale del '74 si chiude qui. Ma poi si prende una rivincita che entra nella storia, in un colpo solo sistema Italia e Inghilterra a Wembley davanti a quarantamila emigrati che gli inglesi chiamano camerieri. E lui l' ha fatto il cameriere al Mario' s Bamboo restaurant di suo padre. All' 88' va via sulla destra a modo suo, ingobbito, testa giù, quando arriva sul fondo la butta in mezzo, Peter Shilton va in presa bassa, gli sfugge, area piccola, c' è lì Fabio Capello a un metro, la mette, 1-0, prima vittoria dell' Italia contro l' Inghilterra.
Ma lo chiamano fascista. Un tifoso della Roma un sabato sera lo insulta. È al cinema Gregory con tutta la squadra, lui aspetta che si spengano le luci e poi gli si piazza dietro la poltroncina, gli batte due dita sulla spalla, il tifoso si gira e gli arrivano un destro e sinistro che lo sprofondano sulla mouquette della sala. Mi dicono che sono fascista solo perché vado al poligono con una 44 magnum a esercitarmi, tutta la Lazio la chiamano fascista, anche Martini e Re Cecconi girano armati e fanno paracadutismo con quelli della Folgore e allora? Io di politica non c' ho mai capito niente, destra, sinistra, centro, per me sono la stessa cosa, ma mi piace Giorgio Almirante, uno fuori dagli schemi, mi piace come parla, non so se è un tifoso della Lazio, ma mi sembra proprio come noi, forte, aggressivo, sfacciato, fuori dal Palazzo, e lo voto.
Ma in politica poi ci si butta, due volte, con la Democrazia Cristiana alle regionali e alle europee, niente da fare, ci riprova con i Popolari, bocciato.
Va in America, i Cosmos di Edson Arantes do Nascimento lo ricoprono di dollari, lì c' è il business, in nove anni di Nasl segna 231 gol in 234 partite ma quel cimitero di elefanti del soccer non decolla, adesso ha i soldi, è ricco, e ritorna in Italia per la seconda volta. Guai infiniti, casini a Foggia, presidente alla Lazio, paga tutti i debiti, la vuole la meglio squadra del mondo, le ha fatto vincere quasi da solo uno scudetto, la riduce con le pezze al sedere da dirigente, un amore viscerale, sbaglia ogni volta sempre di più, un' indole incapace di controllarsi che lo porta a strafare, generoso e inviso nelle stanze che contano con un progetto dissennato di grandezza. Paga e paga pesante la sua idea di libertà assoluta.
È scappato dalla Lazio con un piede in serie B ma i tifosi non smettono di amarlo: agisco con il cuore, fa, e questo non è sbagliato nel mondo del calcio, voglio troppo bene alla Lazio, per me questa è normalità. Unico, dinastia di uomini che non tornano, lo sguardo malinconico e gli occhi da buono, ha costretto i cronisti a raccontare cose che nel nostro calcio non erano mai successe, caudillo di una squadra trasgressiva che giocava contro tutto, scandalizzava e vinceva.
Di notte in giro per Roma sulla Jaguar e la giacca con le frange, I' m a football crazy, il primo aprile 2012 a Naples, piccola cittadina della Florida, la morte improvvisa per infarto cardiaco, quanto ci manchi Long John.
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italianaradio · 5 years ago
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Calcio, Serie A: la Lazio di Immobile continua a volare e a sognare lo scudetto, il Napoli crolla
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Calcio, Serie A: la Lazio di Immobile continua a volare e a sognare lo scudetto, il Napoli crolla
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Calcio, Serie A: la Lazio di Immobile continua a volare e a sognare lo scudetto, il Napoli crolla
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Dopo una settimana dedicata agli ottavi di finale di Coppa Italia, torna il campionato con i tre anticipi del sabato validi per la prima giornata del girone di ritorno. La Lazio si conferma la squadra più in forma del campionato: i biancocelesti sanno solo vincere, sono inarrestabili e puntano decisamente allo scudetto. Juventus e Inter dovranno fare i conti con Immobile e compagni fino al termine della stagione. Contro la Sampdoria all’Olimpico, la squadra di Simone Inzaghi colleziona l’ennesima vittoria: e sono 11 di fila. Addirittura 13 se consideriamo Supercoppa (3-1 alla Juventus) e Coppa Italia (4-0 alla Cremonese). In attesa di Juventus-Parma e Lecce-Inter, Lazio a -3 dalla Vecchia Signora capolista e a -1 dai nerazzurri. Ma non dimentichiamo che i capitolini devono recuperare la sfida interna contro il Verona (si giocherà il 5 febbraio). Insomma, sempre più numeri da scudetto per il club di Lotito.
Blucerchiati strapazzati con un perentorio 5-1. Super Ciro scatenato: tripletta per il bomber laziale ora capocannoniere con 23 reti. Una media pazzesca per lui: 23 centri in 19 giornate. Immobile punta a frantumare il record assoluto di Gonzalo Higuain: 36 gol con la maglia del Napoli nella stagione 2015-2016. Ma contro la Samp c’è gloria anche per Caicedo e Bastos. La spettacolare Lazio archivia la pratica in soli 20 minuti: tre reti e ospiti al tappeto. E’ la Lazio dei record: centesimo successo da allenatore per Inzaghi che sale a 183 presenze sulla panchina biancoceleste affiancando un mito come Tommaso Maestrelli, il tecnico dello scudetto del 1974. La Sampdoria di Ranieri invece è impietrita dai ritmi e dalle giocate dei padroni di casa: il gol di Linetty alla fine è solo una piccola consolazione in un pomeriggio da dimenticare per la compagine genovese che resta invischiata nella lotta per non retrocedere.
Sprofondo Napoli. Una grande Fiorentina, letteralmente rigenerata da mister Iachini, sbanca con merito il San Paolo. Finisce 2-0, con le reti di Chiesa nel primo tempo e di Vlahovic nella ripresa. Dopo le occasioni sciupate da Castrovilli (comunque uno dei migliori in campo) e Milik (bravo Dragowski nella circostanza), una bella trama Castrovilli-Benassi-Chiesa porta al gol del figlio d’arte. Buone notizie anche per la Nazionale di Roberto Mancini dopo il grave infortunio di Zaniolo: superati i problemi fisici, Chiesa è tornato e il centrocampista Castrovilli continua a crescere. Difende bene la squadra di Iachini, anche se Callejon di testa si divora il pari.
Nella ripresa, il Napoli invece di reagire crolla: sul taccuino solo un tiro da fuori di uno spento Insigne che scheggia il palo. Splendido il raddoppio del talentuoso 19enne Vlahovic, entrato al posto di Cutrone. Un successo che consente alla Viola di agganciare i partenopei a quota 24 punti. E ora il Napoli è più vicino alla zona retrocessione che alla zona Champions League. Effetti diversi dei cambi in panchina: l’esonero di Montella e l’arrivo di Iachini hanno rilanciato i gigliati, il licenziamento di Ancelotti e l’ingaggio di Gattuso hanno peggiorato la situazione in casa Napoli. I numeri sono impietosi: quattro sconfitte e una sola vittoria in cinque partite. Senza dimenticare che questa è la quarta sconfitta interna di fila.
Sassuolo-Torino 2-1. L’uragano Boga stende il Toro e i neroverdi emiliani tornano a vincere dopo due mesi. I ragazzi di De Zerbi ribaltano i granata nella ripresa con le reti dell’ottimo 23enne attaccante ivoriano e di Berardi, dopo il vantaggio ospite arrivato nel primo tempo grazie all’autogol di Locatelli su tiro di Rincon. Nel finale traversa del giovane Millico, bel prodotto del vivaio del Torino. Il Sassuolo dunque ottiene in rimonta quella vittoria che in casa mancava dall’8 novembre e si rialza dopo tre sconfitte di fila. Boga è l’assoluto protagonista: un gran gol all’incrocio e l’assist per il due a uno di Berardi. Il Toro di Mazzarri dal canto suo, si ferma dopo due successi consecutivi ma si mangia le mani per aver gettato alle ortiche il raddoppio con Belotti e Verdi. Vittoria pesante in chiave salvezza per il Sassuolo, mentre il Torino perde terreno nella corsa all’Europa League.
Dopo una settimana dedicata agli ottavi di finale di Coppa Italia, torna il campionato con i tre anticipi del sabato validi per la prima giornata del girone di ritorno. La Lazio si conferma la squadra più in forma del campionato: i biancocelesti sanno solo vincere, sono inarrestabili e puntano decis…
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Fabio Camillacci
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tepasport · 7 years ago
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Tantissimi auguri al mitico Giancarlo Oddi (Roma, 23 luglio 1948) Comincia a giocare da ragazzino nel Santos Roma, la squadra del suo quartiere (il Tufello) ed a quel tempo viene descritto come una promettente mezz'ala. A quattordici anni passa al Gate, la squadra del quotidiano Paese Sera per poi essere acquistato l'anno successivo dall'Almas Roma del quartiere San Giovanni. Qui Oddi arretra la sua posizione in campo trasformandosi prima in mediano di spinta, poi in libero e alla fine in terzino destro. I piedi non sono raffinati ma mostra già il carattere agonistico sebbene non abbia ancora vent'anni, tanto che nel 1967 gli osservatori della S.S. Lazio lo portano ai campi d'allenamento di Tor di Quinto. Nella stagione 1967-68 entra nella Primavera, vince il campionato De Martino e fa una presenza in Serie B. L'anno successivo, per problemi economici della famiglia, chiede di andare a giocare in provincia e la Lazio lo presta al Sora in Serie D dove fa un buon campionato. Un anno dopo è di nuovo a Roma ma racimola solo 3 presenze e per il campionato 1970-71 va a giocare nella Massese 1919, in Serie B. Tornato per la terza volta alla Lazio nel stagione 1971-72, primo anno di Tommaso Maestrelli alla guida dei biancocelesti, gioca dieci partite e contribuisce alla promozione in Serie A. Per un triennio gioca 30 partite su 30 senza mai uscire nemmeno per un minuto. Riveste il ruolo di stopper puro con grande affidabilità, sempre incollato al centravanti avversario ed esentato dai compiti di manovra, sebbene sia uno dei pochi stopper a giocare con entrambi i piedi e non gli manchino lucidità e visione di gioco. È uno dei migliori difensori tra il 1972 e il 1974 e con Wilson e Martini fanno una diga difensiva quasi insormontabile. Nell'estate del 1973 ha richieste da tutte le squadre del nord, ma il presidente Lenzini e soprattutto Maestrelli, rifiutano qualsiasi ipotesi di trattativa per il suo cartellino. Si consolerà con lo Scudetto del 1974 vinto da romano nel suo stadio. La sera dei festeggiamenti fu derubato della sua auto con dentro il giaccone di pelle che, scaramanticamente, portava anche quando faceva un caldo da spiaggia. La macchina fu ritrovata pochi giorni dopo, ma del giaccone non ebbe più traccia. La stagione 1974-75 lo vide sempre protagonista, ma la malattia dell'allenatore fu un colpo tremendo per tutta la squadra che non si ripeté ai livelli della stagione precedente. Con Maestrelli malato, la società capitolina compie l'errore di smembrare la squadra. A tal conto, il capitano Pino Wilson aveva manifestato, sin dagli inizi, una contrarietà a tale scelta poiché veniva di fatto ridimensionata quella forte squadra, sapientemente costruita dal loro amato allenatore Tommaso Maestrelli. Così su indicazione del nuovo tecnico Corsini, spinto anch'egli da cattivi suggerimenti, anche Oddi viene ceduto, dopo 132 presenze in sei anni di Lazio. Finisce, insieme al regista Mario Frustalupi, tra le file dell' A.C. Cesena Pagina Ufficiale in cambio di Ammoniaci e Brignani, facendo la fortuna del piccolo club romagnolo che centrò la qualificazione in Coppa UEFA l'anno successivo. Nel Cesena Oddi trascorre otto lunghi anni tra Serie A e Serie B ma il desiderio di tornare a Roma è così forte che nel 1983, a trentacinque anni, accetta di buon grado la chiamata dalla Lodigiani in Serie C2, dove rimane un altro anno prima di terminare la sua carriera di calciatore ... ⚽️ C'ero anch'io ... http://www.tepasport.it/ 🇮🇹 Made in Italy dal 1952
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360bongdanet · 5 years ago
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Chủ tịch Claudio Lotito đang sốt sắng mời Simone Inzaghi ngồi vào bàn đàm phán để gia hạn hợp đồng. Bản hợp đồng hiện tại còn thời hạn đến năm 2021 sẽ được gia hạn đến 2025, hoặc tối thiểu là 2023. Inzaghi cũng có thể được kí một bản hợp đồng mới hoàn toàn, với mức lương tăng lên 3 triệu euro/năm, gấp rưỡi mức lương đang nhận. Sự sốt sắng này là có thể hiểu được, khi Lazio đang là đội bóng chơi tiến bộ nhất châu Âu ở mùa này. Họ đăng quang tại đăng quang tại Siêu Cúp Italia, thậm chí còn cạnh tranh sòng phẳng với Juve và Inter trong cuộc đua tới Scudetto.
Mùa Hè trước, ông chủ tịch Lotito còn đang vắt óc suy nghĩ tìm người thế chỗ Inzaghi ở Lazio, khi Juventus đánh tiếng muốn mời nhà cầm quân trẻ tuổi ngồi vào “ghế nóng” của Max Allegri. Sự có mặt của Maurizio Sarri đã cứu cho Lotito một bàn thua trông thấy, và ông không muốn phải trải qua cảm giác mất mát này một lần nào nữa. Rõ ràng những người lãnh đạo của Lazio đang tính đến một bản hợp đồng dài hạn với nhà cầm quân 44 tuổi. Thậm chí, anh có thể gắn bó với Lazio thêm cả chục năm nữa, trở thành một Alex Ferguson của đội bóng này.
Ở lại Lazio ít nhất đến năm 2023 nghĩa là Inzaghi sẽ có 7 năm dẫn dắt Lazio, trở thành HLV lâu năm bậc nhất trong lịch sử đội bóng này. Tính đến hiện tại, chỉ có 3 HLV dẫn dắt Lazio từ 7 mùa giải trở lên là Dino Zoff (7 mùa), Roberto Lovati (10) và Guido Baccani (18). Trên tất cả, động thái của BLĐ cho thấy họ muốn Inzaghi gắn bó sâu đậm hơn nữa với Lazio, dù có thể nói rằng ngay từ bây giờ, một phần tuổi trẻ của Inzaghi đã nằm tại đội bóng này. Ngoài 11 năm thi đấu cho đội 1, Inzaghi còn có 6 năm dẫn dắt đội trẻ Lazio, tức là đến nay đã cống hiến trọn vẹn 21 năm cho đội bóng này – một con số đáng kinh ngạc.
Nếu dẫn dắt nốt 12 trận còn lại và giành Scudetto mùa giải này, ta có thể nói Simone Inzaghi đã là HLV vĩ đại nhất lịch sử Lazio. Bởi thêm 12 trận nữa, ông sẽ vượt qua Dino Zoff về số trận dẫn dắt CLB (203 so với 202). Và nếu giành Scudetto mùa này, ông sánh ngang Sven-Goran Eriksson cùng Tommaso Maestrelli, trở thành những người hiếm hoi giành Scudetto cho nửa xanh thành Roma – một kịch bản trong mơ.
via 360 Bóng đá
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pangeanews · 6 years ago
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Erano per Almirante, ma piacevano a Berlinguer: ode ai “bad boys” del calcio, la Lazio irriverente di Chinaglia e Maestrelli
“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”, diceva Jorge Luis Borges. Li hanno definiti maneschi e fascisti, eppure hanno scritto una delle pagine più belle del calcio italiano. C’è tutta una letteratura su quella squadra di cui ha parlato nel libro Pistole e palloni, ripubblicato nel 2017 da Liet Edizioni, il giornalista e scrittore Guy Chiappaventi. La Lazio di Tommaso Maestrelli, l’allenatore buono, nel 1972-’73 sfiorò lo scudetto e vinse il campionato di serie A nel 1973-’74. Due anni prima militava in serie B. L’ambiente non aveva accolto favorevolmente quel gentiluomo nato a Pisa, che aveva combattuto in Montenegro, che era stato un giocatore dell’odiatissima Roma e che aveva guidato, fino quel momento, compagini di serie cadetta come la Reggina, il Bari e il Foggia. Poi, all’improvviso, il miracolo Lazio. Era specialmente la squadra di Giorgio Chinaglia e Giuseppe Wilson, che non sopportavano chi parlasse lombardo. Maestrelli aveva diviso lo spogliatoio in due. Di qua i chinagliani, di là Martini, Re Cecconi e “quelli del nord”. Chinaglia, centravanti, era un ragazzone bizzoso, figlio di emigranti che aveva iniziato a giocare in Galles dove gli italiani venivano definiti con disprezzo “i camerieri”. L’altro, Wilson, difensore colto e raffinato, il primo calciatore laureato ancora in attività. Nell’undici di base della Lazio del ’74 militavano: Felice Pulici, Sergio Petrelli, Luigi Martini, Giuseppe Wilson, Giancarlo Oddi, Franco Nanni, Renzo Garlaschelli, Luciano Re Cecconi, Giorgio Chinaglia, Mario Frustalupi e Vincenzo D’Amico. La squadra si dichiarava politicamente dalla parte dell’Msi di Giorgio Almirante, ma Enrico Berlinguer, segretario del Pci, aveva simpatie per i colori bianco-azzurri e non lo nascondeva. “Eravamo convinti che potessimo fare ciò che volevamo, sempre e dappertutto”, ha ammesso il capitano Wilson in una recente intervista che ho pubblicato sulla rivista “Lazialità”. Quei giocatori sparavano alle lampadine degli alberghi lasciando sbigottiti i proprietari, ma anche in mezzo alle gambe dei massaggiatori che si prestavano a fare da cavie. Qualcuno volava con il paracadute. Eppure hanno scritto una delle pagine più belle del calcio italiano di tutti i tempi, tanto da attirare le attenzioni del figlio del Presidente delle Repubblica Giovanni Leone, Giancarlo (oggi dirigente di spicco della Rai), che il giovedì si allenava con quel gruppo di scalmanati. Durante le partitelle infrasettimanali volavano spintoni, schiaffi, calci e qualche fondo di bottiglia. La domenica, però, il mucchio selvaggio era un blocco unito, granitico. Sono morti quasi tutti, qualcuno addirittura per un’incredibile fatalità (a Re Cecconi il 18 gennaio 1977 spararono dentro una gioielleria in circostanze mai chiarite del tutto, nonostante la versione ufficiale fu che avesse inscenato una finta rapina). Giorgio Chinaglia, latitante negli Stati Uniti e imputato in Italia per i reati di riciclaggio di denaro e aggiotaggio nel tentativo di riprendersi la Lazio, se ne è andato il 1° aprile 2012, di domenica durante l’ora delle partite.
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Ma come fece quella squadra così irregolare a vincere il campionato contro ogni previsione? Annotò Mimmo De Grandis (il padre di Stefano, noto conduttore televisivo di Sky Calcio) in S.S. Lazio (Edi-Grafic 1977): “Nessuno lo pensa, nessuno se ne accorge. La squadra è divisa, c’è un gruppo di maggioranza, uno di minoranza, c’è il gruppo degli indipendenti. Al di sopra di tutti si innalza però la figura di Tommaso Maestrelli che tiene in pugno la situazione e governa la barca con sensibilità e intelligente elasticità”. Il segreto stava nelle capacità umane di questo padre per tutti. Affabile, discreto, in grado di gestire sapientemente i suoi ragazzi. Li capiva, li ascoltava. Li difendeva, li perdonava. Il giornalista Franco Recanatesi ha scritto un volume che lo ricorda affettuosamente: Uno più undici (L’Airone 2006) definendo Tommaso Maestrelli “l’interprete più anomalo e meno integrato di un mondo decisamente venale, discretamente superficiale e un po’ tronfio”. Gianni Brera reputava la Lazio un’eresia calcistica. Giocava un calcio all’olandese, arrembante e dinamitardo. Ma si sa, le storie belle finiscono presto. Nell’inverno del 1975 Maestrelli iniziò a stare male e si accasciò al termine di una trasferta vittoriosa a Bologna. Il perseverare dei sintomi lo costrinse a sottoporsi ad esami clinici. Gli fu diagnosticato un epatocarcinoma al fegato. “Perché mi avete chiamato per farmi vedere un morto?”, disse il famoso chirurgo Paride Stefanini allargando le braccia. Perse quasi quindici chili in due settimane. La squadra dello scudetto, senza il suo allenatore, stava precipitando in serie B. All’inizio della stagione 1975-’76 venne chiamato sulla panchina il bergamasco Giulio Corsini, che entrò subito in conflitto con Chinaglia. L’intransigenza di Corsini cozzava con lo spirito di ragazzi anarchici e ammaestrati solo dalla bontà e della dolcezza di Maestrelli. I giocatori continuavano a pensare al loro secondo padre e passavano ore al suo capezzale. Intanto un immunologo genovese, Saverio Imperato, stava sperimentando sull’allenatore una nuova cura contro il cancro. Si era presentato spontaneamente promettendo la guarigione. I risultati furono stupefacenti. Maestrelli, sul letto di morte, cominciò a reagire bene e gli tornò l’appetito. La cura si chiama sinterapia, ed è un trattamento che agisce in sinergia con le terapie ufficiali utilizzando il vaccino BCG per stimolare le difese immunitarie del corpo a reagire contro le cellule tumorali. L’allenatore buono ordinava il pesce e la carne mentre i ristoranti di Roma si mobilitavano per portargli a casa i piatti più prelibati. L’attrice Lea Padovani, tutti i lunedì, gli faceva recapitare la pasta con i fagioli da lei stessa cucinata.
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Era il 30 novembre del 1975. Un giorno insignificante, una domenica come un’altra, per gli italiani. La Lazio partì per la trasferta di Ascoli Piceno. Negli spogliatori dello stadio, prima della gara, in uno dei tanti diverbi tra Chinaglia e Corsini, l’attaccante diede un ultimatum all’allenatore: “Se oggi perdiamo, tu te ne vai”. Maestrelli, da casa, si apprestava ad ascoltare “Novantesimo Minuto” seduto sulla poltrona del salotto. Ad Ascoli faceva freddo. In Piazza del Popolo, chiusa dallo splendido abside di San Francesco, il convoglio dei tifosi di casa partiva alla volta dello stadio. Ascoli era per tutti la città di Alfredo Alfredo di Pietro Germi, e Dustin Hoffman poteva sembrare un po’ l’americano che sarebbe diventato di lì a poco Giorgio Chinaglia andando a giocare nei Cosmos stellari di Pelé e Beckenbauer, diventando in un paio di anni l’icona del calcio statunitense che si stava espandendo in tutto il paese. Allo stadio Cino e Lillo del Duca l’Ascoli si batté al massimo delle forze, mentre la Lazio appariva smarrita. Segnarono Gola e Morello. All’ultimo minuto l’arbitro indicò il dischetto del calcio di rigore in favore la squadra romana. Chinaglia realizzò con un tiro laterale a sinistra. Il bomber esultò, irriverente, verso il pubblico ascolano che l’aveva fischiato per novanta minuti. Per i laziali Ascoli non era di certo, quella notte, la città del film I delfini di Citto Maselli, in cui i giovani del posto furono incapaci di rompere un ordine prestabilito, di andarsene dal luogo della nascita, ma proprio nella cittadina marchigiana nacque la suggestione dell’incredibile ritorno. Chinaglia e Wilson telefonarono a Maestrelli abbandonando ogni indugio: “Mister, noi senza di lei siamo un’armata brancalone”. L’allenatore buono fece una scelta d’amore. Emaciato, magro, febbricitante, ritornò in panchina per i suoi ragazzi. Quando mercoledì 3 dicembre 1975 sciolse ogni riserva, a molti tifosi vennero le lacrime agli occhi, mentre altri aspettarono che si accomodasse in panchina, per crederci veramente. Fu accolto da 75.000 spettatori per la partita interna con il Napoli del 7 dicembre. Salvò la squadra dalla retrocessione, ma morì l’anno successivo, il 2 dicembre 1976. Per un destino crudele, nel 1999 e nel 2011, sono venuti meno, per lo stesso male, anche Patrizia e Maurizio, due dei quattro figli.
*
Tommaso, dopo la partita di Ascoli, aveva chiamato la moglie Lina per dirle: “Amore mio, torno ad allenare. Non mi dire di no”. Si era appena lavato il viso e aveva passato il dopobarba sul mento. Si infilò un maglione e si avviò in corridoio dove era posizionato il telefono. Chinaglia e Wilson si abbracciarono come bambini perché erano stati i primi a saperlo, appena rientrati nella capitale e diretti al night club preferito, il “Jackie’O”, meta del jet set italiano di allora. I bad boys avevano finalmente ritrovato il loro maestro. Belli e maledetti, come quella Lazio eccessiva, indomita. Una formazione dove Giorgio Chinaglia si permetteva di sbeffeggiare la Juventus e perfino Gianni Agnelli in persona, l’unico che lo aiutò nella folle impresa di diventare presidente della Lazio nel 1983. Oggi, in un’epoca oberata da costi e fatturati, il calcio degli affetti è svanito. E ci manca, come ci mancano Maestrelli e Chinaglia. Chissà se Giorgio, Long John dalla marca di whisky che beveva, si sentiva solo, in Florida. Dicono che non facesse altro che parlare di Roma, dei tempi belli. Tante volte era tornato e tante volte se ne era andato. Un’avventura continua. Roma è stato sempre orfana di lui, quando non c’era. Ogni settimana lo raggiungeva Giancarlo Oddi al telefono. Parlavano da vecchie glorie, ma l’amore per quella maglia era rimasto immutato. E pensare che qualche giorno prima ci aveva anche giocato, sulla malattia. L’ex compagno di squadra gli aveva detto: “Mica te ne vorrai andare prima di rivederci?”. Lui rispose che stava bene e rise. Aggiunse poche cose con la voce roca, intervallata dalla boccata di una sigaretta appena accesa. A Naples, nella città dove viveva, il clima era ideale. Ci abitano anche Steven Spielberg e Larry Bird su quella linea costiera dal clima temperato. Ma Roma era Roma. I figli di Tommaso Maestrelli hanno voluto che salma del campione fosse tumulata accanto a quella del padre nel cimitero di Prima Porta a Roma (dove ancora oggi giungono mazzi di fiori da tutta Italia). Per una ricongiunzione ideale, come dopo quella lontana partita di Ascoli, che ormai quasi nessuno ricorda più.
Qualunque cosa può essere mitologia. Anche il mito dell’infanzia, del tutto soggettivo, che in questo caso si lega al gioco del calcio, al “basso epico” che Jorge Luis Borges vede come la faccia moderna di un passato altrettanto mitologico, quello dei gladiatori dell’Impero Romano per intenderci, dei lottatori che sublimavano la lotta per la sopravvivenza. Il mito segue il senso della forza fisica, dell’imposizione fiera ed eroica incarnata da Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia.
Alessandro Moscè
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sportpeople · 8 years ago
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In occasione della sfida di campionato tra la Lazio ed il Chievo Verona, la società biancoceleste ha deciso di lanciare un’iniziativa speciale dedicata al popolo cinese che, il 28 gennaio di quest’anno, festeggia il capodanno. Per celebrare questa festa, ed evidentemente per accattivarsi le simpatie e le attenzioni del mercato cinese che da alcuni anni, ormai, risulta particolarmente interessato al mondo del calcio, Lotito ha ritenuto di far accedere allo stadio Olimpico, in Tribuna Tevere, i tifosi e gli appassionati (ma anche i semplici curiosi), provenienti dalla Cina, alla modica cifra di cinque euro. Un’iniziativa lanciata in pompa magna, con tanto di conferenza stampa congiunta unitamente all’ambasciatore cinese in Italia.
Ma non tutto è andato come previsto.
Arrivo allo stadio un’oretta prima del fischio d’inizio e mi rendo conto, dall’enorme dispiegamento di forze tutto intorno all’impianto sportivo capitolino, che la sfida tra la Lazio ed il Chievo deve essere rientrata nel novero delle sfide ad alta pericolosità: non si spiegherebbero altrimenti tutti questi uomini in divisa schierati e bardati di tutto punto, le camionette delle forze dell’ordine vicino ad ogni varco di accesso, e addirittura i carabinieri a cavallo che perlustrano la zona circostante. E’ vero che a causa del mio lavoro sono lontano da Roma ormai da parecchio tempo, ma non avevo avuto modo di percepire, neanche lontanamente, l’accesa rivalità tra la tifoseria laziale e quella clivense, unico motivo che potrebbe giustificare, seppur parzialmente, tutti gli uomini in uniforme in servizio questa sera allo stadio.
Ad aumentare le mie perplessità sulla situazione generale di questa sera ci sarebbe poi da raccontare il simpatico siparietto nel quale mi trovo coinvolto, mio malgrado, quando supero i tornelli della tribuna Tevere e vengo fermato per la seconda, accuratissima, perquisizione di rito prima di poter guadagnare finalmente gli spalti dello stadio. In questa occasione, infatti, lo steward preposto ai controlli, mi fa aprire la custodia della mia macchina fotografica per verificare cosa ci fosse al suo interno. Alla vista della mia Canon (una semplicissima macchina fotografica, senza obiettivo e senza accessori strani a corredo) fa una strana smorfia, e mugugna, quasi in maniera impercettibile: “non penso che questa possa entrare”. Gli chiedo il perché, visto che non è la prima volta che la porto con me allo stadio, e lui mi risponde, ermeticamente, “è troppo grossa”, per poi voltarsi e richiedere le attenzioni di due agenti in borghese alle sue spalle. Questi si avvicinano e cominciano a disquisire tra di loro, sulla falsa riga del più classico “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, sulle dimensioni della mia macchina fotografica. “In  effetti è grossa” fa il primo, “ma non poi così tanto; e poi non vedo il problema perché non possa entrare”, risponde il secondo. E vanno avanti così per diverso tempo, mentre io me li guardo incredulo e basito. Alla fine decidono di farmi passare (e ci mancherebbe altro, anche se al giorno d’oggi non mi stupirei più di nulla), ma lo fanno quasi con l’atteggiamento di chi mi sta concedendo un qualcosa che non potrei e non dovrei avere: con quello sguardo severo ma compassionevole, come a dire “va beh, per questa volta ti facciamo passare, ma giusto perchè siamo buoni”.
E la serata era, sostanzialmente, appena iniziata.
Entrato finalmente in tribuna mi comincio a guardare intorno. La tanta auspicata (dai vertici societari della squadra capitolina) invasione cinese risulta essere l’ennesimo buco nell’acqua. Sono presenti diversi gruppetti di sostenitori con gli occhi a mandorla, alcuni dei quali vengono addirittura accompagnati ai propri posti dagli steward, manco fossimo a La Scala di Milano in occasione della “prima” della stagione lirica, ma tutto sommato lo stadio risulta piuttosto vuoto, così come da molti mesi a questa parte, oramai.
A rendere il tutto ancora più ridicolo, poi, ci sono i megaschermi posizionati nella parte alta delle due curve, che, periodicamente, trasmettono un video con alcune scritte in cinese e con diversi giocatori della Lazio impegnati, molto faticosamente, a ripetere una frase in quella difficilissima lingua, evidentemente per fare gli auguri per il capodanno. Auguri che vengono poi replicati tramite uno striscione (sempre realizzato dalla società biancoazzurra) che fa il giro di campo prima della partita e che viene accolto dagli applausi del (poco) pubblico orientale presente questa sera e che, tra l’altro, per sottolineare il proprio entusiasmo in merito, sventola anche alcune bandierine rosse della Cina.
Personalmente, comunque, ritengo sia davvero assurdo il voler tentare di coccolare e di arruffianarsi a tutti i costi un popolo sostanzialmente così lontano, quando poi non si riesce neanche a tenersi vicini i sostenitori e i tifosi di sempre.
In tutti i casi, pochi minuti prima dell’inizio della partita, viene tramesso anche un video per ricordare Giorgio Chinaglia, nato il 24 gennaio del 1947, accolto dagli applausi del pubblico presente. Dopo il consueto volo dell’aquila Olimpia e la lettura delle formazioni, le squadre fanno il loro ingresso in campo mentre l’altoparlante spara a tutto volume la canzone “So già du ore”, cantata da tutti i tifosi laziali. Ma proprio quando sta per iniziare l’ultima strofa della canzone, quella dedicata al “Maestro” (Tommaso Maestrelli, l’allenatore della Lazio nella stagione 1973/1974), viene interrotta bruscamente per dare spazio all’inno della Lega di Serie A: quella “O Generosa”, brano composto da Giovanni Allevi e che, bisogna dire sinceramente, non ha mai riscontrato i favori della stragrande maggioranza del pubblico negli stadi italiani. Oggi più che mai, poi, proprio a causa della brusca interruzione dell’inno precedente, viene subissato dai fischi dei sostenitori biancocelesti presenti questa sera sugli spalti dello Stadio Olimpico.
Infine, prima del fischio d’inizio, verrà osservato un minuto di silenzio in ricordo delle vittime di Rigopiano.
Nel settore ospiti, alla mia sinistra, sono presenti una quindicina di tifosi del Chievo Verona. Affiggono i propri drappi nella parte bassa del settore e provano a compattarsi subito dietro. Lanceranno qualche sporadico coro nel corso della partita ed effettueranno anche alcuni battimani, ma visto anche l’esiguo numero, si sentiranno davvero molto poco. Ad inizio partita intenderanno sottolineare il loro essere al fianco della squadra al di là dei risultati e della distanza da casa e, sul finire del match, sulle ali dell’entusiasmo visto il risultato in campo a loro favore, riusciranno a farsi sentire maggiormente.
In Curva Nord invece, sono presenti i soliti due drappi “Diffidati vanto nostro” e “Questa curva non si divide”: Quest’ultimo però, a differenza delle ultime due partite della Lazio in casa, è affisso nello spicchio di curva vicino ai dintinti Nord-Est e dietro di esso si sistema un gruppetto di ultras laziali che sventolerà un paio di bei bandieroni e cercherà di coinvolgere anche la parte di curva con meno gente. Nell’altro spicchio invece, dove il numero di sostenitori è sicuramente maggiore, le bandiere, tra le queli spicca quella della Palestina, e i bandieroni sventolati nel corso della serata saranno davvero molti, e tutti di ottima fattura. Durante la partita verranno effettuate anche alcune discrete sciarpate e verranno lanciati alcuni cori contro le forze dell’ordine. L’apporto vocale, caratterizzato da numerosi cori a rispondere e battimani, risulta comunque continuo e costante e spesso riuscirà anche a coinvolgere il resto dello stadio. Sul finire della partita, con l’incredibile svantaggio della propria compagine acquisito sul campo, partiranno anche alcuni cori contro il presidente Lotito.
Sul rettangolo di gioco la partita è davvero particolare. La squadra di casa domina, sostanzialmente, per tutta la durata della sfida, e solo la bravura dell’estremo difensore ospite, insieme ad alcuni difensori che erigono, di fatto, un muro davanti alla propria porta, consentono al Chievo di restare a galla. Sostanzialmente la Lazio, questa sera, al posto di trovare il muro giallo (cinese) sugli spalti, si è dovuta scontrare, invece, contro il muro giallo (clivense) in mezzo al campo. Il risultato poi assume i contorni di una vera e propria beffa quando, al novantesimo, mentre la squadra laziale è totalmente protesa in avanti alla ricerca del gol vittoria, è il Chievo a portarsi incredibilmente in vantaggio approfittando dello sbilanciamento offensivo degli avversari. Il gol scatena, ovviamente l’entusiasmo dei sostenitori veronesi giunti quest’oggi allo stadio olimpico, mentre in Curva Nord partono numerosi cori di contestazione. Al triplice fischio i giocatori del Chievo andranno a salutare e a ringraziare i propri sostenitori, che verranno omaggiati anche di una maglietta lanciato da uno dei calciatori del Chievo. Dalla parte opposta i calciatori laziali, dopo aver comunque ringraziato la tifoseria laziale per l’impegno profuso nel sostegno vocale, abbandoneranno il campo a testa bassa tra i fischi e i cori di disapprovazione.
Daniele Caroleo.
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  Il Capodanno cinese e la muraglia clivense: Lazio-Chievo, Serie A In occasione della sfida di campionato tra la Lazio ed il Chievo Verona, la società biancoceleste ha deciso di lanciare un'iniziativa speciale dedicata al popolo cinese che, il 28 gennaio di quest'anno, festeggia il capodanno.
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tepasport · 7 years ago
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Tantissimi Auguri al Mitico Raffaele Trentini (Soave, 26 agosto 1945) Nasce calcisticamente nelle file delle "Frecce rosse" del Soave, suo paese natale, dove debutta in 1ª categoria nella stagione 1962-63; la stagione successiva il trasferimento nell' Hellas Verona FC, dove rimane per un paio di stagioni. Quindi il trasferimento prima al Barletta Calcio e poi nel Frosinone Calcio OFC dove nella stagione 1967/68 Trentini migliora il record nazionale di imbattibilità restando senza subire reti per ben 1.204 minuti. Successivamente passa al Foggia Calcio nel 1968 e, dopo una prima stagione da secondo portiere, diventa titolare, tra i protagonisti della promozione in Serie A nel 1969-1970 con Tommaso Maestrelli alla guida. Esordisce nella massima serie il 27 settembre 1970 in Torino-Foggia (1-1). Rimane a Foggia fino al 1975, dove durante la stagione 1972-1973 coronata con un'altra promozione in Serie A, stabilisce il record d'imbattibilità fra tutti i portieri del Foggia con 1.001 minuti. Successivamente veste le maglie di SSD Brindisi FC, Taranto calcio e F.C. Legnago Salus in Serie D. Chiude la carriera calcistica nei dilettanti del Valtramigna Cazzano, come attaccante e come allenatore nelle stagioni 1980-1981 e 1981-82. Complessivamente vanta 52 presenze e 63 reti subite in due campionati di Serie A giocati con il Foggia ... ⚽️ C'ero anch'io … http://www.tepasport.it/ 🇮🇹 Made in Italy dal 1952
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