#Suoni di Minoranza
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Suoni Di Minoranza
Comunicato stampaSuoni di minoranzaPrima edizione del festival sulle musiche delle minoranze linguistiche in ItaliaSan Costantino Albanese (PZ) 7-16 agosto 2024Si terrà dal 7 al 16 agosto a San Costantino Albanese (Potenza) “Suoni di minoranza”, il festival sulle musiche delle minoranze linguistiche in Italia che, per la prima edizione, ha questo ricco programma:7 agosto Robert Bisha10 agosto…
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Intervista a Maurizio Porcaro, A&R di Staircase Records (Jaywork)
Abbiamo incontrato Maurizio Porcaro, a & r di Staircase Records, una delle tante label dell'universo musicale decisamente variegato gestito e diffuso da Luca Peruzzi e Luca Facchini. Nella foto lo vedete sulla destra, con il cappellino bianco, mentre sulla sinistra c'è Stefano Riccardi, con cui condividete mille avventure musicali. Insieme sono i Rhythm Staircase, duo dal sound decisamente house... e coinvolgente. Attenzione che però cita un disco davvero particolare quando gli chiediamo di elencare tre brani importanti per lui...
Ci racconti che sound ha Staircase Records, la label del gruppo Jaywork di cui sei A&R?
Il sound della Staircase è un sound poliedrico alla continua ricerca di suoni originali con un pizzico di trasversalità, un sound che osa ovviare alle comuni librerie di suoni scontati.
Citi un paio di release che secondo te rappresentano bene il sound della label?
Mr Percussioni dall'EP Voodoo Channel composto da due tracce. E pure "Kilagbe" di Rhythm Staircase, il bel featuring della cantante georgiana Tosinger. Lo trovate qui: https://www.beatport.com/release/kilagbe/4501592.
Com'è far parte del gruppo Jaywork?
E' una grande opportunità ed un onore far parte di un team composto da veri pionieri produttori intenditori della dance. Un team che realizza ed ha realizzato grandi lavori.
Le nuove tecnologie come hanno cambiato l'approccio alla musica?
Hanno reso l’approccio a questo mondo molto più agevole. Allo stesso modo, ahimè c'è da dire che si è persa fortemente la creatività. In sostanza ciò che fa, o almeno potrebbe fare la differenza.
Da che parte sta andando la musica dance nel mondo? E il pop?
Sta andando verso musica alla portata di tutti. C'è solo l'eccezione di una minoranza di pochissimi artisti che producono meno musica, affidandosi ad una ricerca attenta di nuove sonorità.
Un tempo, quando i dischi si compravano, oltre ai singoli radiofonici, l'ascoltatore scopriva negli album anche brani più complessi e strani... Dopo essersi procurato gli album, comprandoli. Oggi succede di meno. Oppure no?
E' vero. C'è sempre meno originalità e sempre più tendenza a voler riprendere quello che �� stato ed è ad oggi intramontabile. Forse manca un po' di bagaglio musicale, un po' di cultura.
Elencaci 3 dischi, recenti o più vecchi, che sono essenziali per raccontare chi sei musicalmente... e spiegaci perché.
Tre dischi sono pochi, elencarli è un po' come cercare un ago in un pagliaio. Ogni suono, ogni nota rappresenta un periodo storico della mia vita. Eccoli qui, comunque: Jimmy Ross "First True Love affair" (Larry Levan mix), Depeche Mode "Enjoy the Silence", Antico "Freedom ".
Che consigli daresti a chi sta intraprendendo una professione artistica?
Ricerca musicale, originalità, ma soprattutto non siate limitati. Non seguite modelli già visti. Provate a trasmettere voi stessi attraverso la vostra espressione musicale.
Cosa ti piace e cosa non ti piace della della scena musicale attuale?
Ribadisco il concetto del modello da seguire. Ci vorrebbero meno copie e più originalità... E invece meno "tipo quello" e "tipo questo".
A che punto della tua vita professionale e personale ti senti?
Nella vita c'è sempre da imparare, anche da chi ha meno esperienza di noi. Penso che vivere sia sempre un work in progress. Lo scopo è ottenere la migliore versione di noi stessi.
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Intervista a Maurizio Porcaro, A&R di Staircase Records (Jaywork)
Abbiamo incontrato Maurizio Porcaro, a & r di Staircase Records, una delle tante label dell'universo musicale decisamente variegato gestito e diffuso da Luca Peruzzi e Luca Facchini. Nella foto lo vedete sulla destra, con il cappellino bianco, mentre sulla sinistra c'è Stefano Riccardi, con cui condividete mille avventure musicali. Insieme sono i Rhythm Staircase, duo dal sound decisamente house... e coinvolgente. Attenzione che però cita un disco davvero particolare quando gli chiediamo di elencare tre brani importanti per lui...
Ci racconti che sound ha Staircase Records, la label del gruppo Jaywork di cui sei A&R?
Il sound della Staircase è un sound poliedrico alla continua ricerca di suoni originali con un pizzico di trasversalità, un sound che osa ovviare alle comuni librerie di suoni scontati.
Citi un paio di release che secondo te rappresentano bene il sound della label?
Mr Percussioni dall'EP Voodoo Channel composto da due tracce. E pure "Kilagbe" di Rhythm Staircase, il bel featuring della cantante georgiana Tosinger. Lo trovate qui: https://www.beatport.com/release/kilagbe/4501592.
Com'è far parte del gruppo Jaywork?
E' una grande opportunità ed un onore far parte di un team composto da veri pionieri produttori intenditori della dance. Un team che realizza ed ha realizzato grandi lavori.
Le nuove tecnologie come hanno cambiato l'approccio alla musica?
Hanno reso l’approccio a questo mondo molto più agevole. Allo stesso modo, ahimè c'è da dire che si è persa fortemente la creatività. In sostanza ciò che fa, o almeno potrebbe fare la differenza.
Da che parte sta andando la musica dance nel mondo? E il pop?
Sta andando verso musica alla portata di tutti. C'è solo l'eccezione di una minoranza di pochissimi artisti che producono meno musica, affidandosi ad una ricerca attenta di nuove sonorità.
Un tempo, quando i dischi si compravano, oltre ai singoli radiofonici, l'ascoltatore scopriva negli album anche brani più complessi e strani... Dopo essersi procurato gli album, comprandoli. Oggi succede di meno. Oppure no?
E' vero. C'è sempre meno originalità e sempre più tendenza a voler riprendere quello che è stato ed è ad oggi intramontabile. Forse manca un po' di bagaglio musicale, un po' di cultura.
Elencaci 3 dischi, recenti o più vecchi, che sono essenziali per raccontare chi sei musicalmente... e spiegaci perché.
Tre dischi sono pochi, elencarli è un po' come cercare un ago in un pagliaio. Ogni suono, ogni nota rappresenta un periodo storico della mia vita. Eccoli qui, comunque: Jimmy Ross "First True Love affair" (Larry Levan mix), Depeche Mode "Enjoy the Silence", Antico "Freedom ".
Che consigli daresti a chi sta intraprendendo una professione artistica?
Ricerca musicale, originalità, ma soprattutto non siate limitati. Non seguite modelli già visti. Provate a trasmettere voi stessi attraverso la vostra espressione musicale.
Cosa ti piace e cosa non ti piace della della scena musicale attuale?
Ribadisco il concetto del modello da seguire. Ci vorrebbero meno copie e più originalità... E invece meno "tipo quello" e "tipo questo".
A che punto della tua vita professionale e personale ti senti?
Nella vita c'è sempre da imparare, anche da chi ha meno esperienza di noi. Penso che vivere sia sempre un work in progress. Lo scopo è ottenere la migliore versione di noi stessi.
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Molti credono di conoscere Napoli
Da quelle passeggiate sporadiche
Andando a mangiare un panino da qualche parte
Oppure attraversarla in macchina
E goderne le bellezze
Perdonatemi se ve lo dico
Conoscere Napoli e un altra cosa
Conoscere Napoli e saperne la storia
Le origini la cultura
Conoscere strade piazze e vicoli,avendoli vissuti e respirati,conoscere napoli e sentire i suoni delle voci che si distinguono dalle altre e capire cosa dicono,conoscere Napoli
E aver visto Filumena Marturano.Napoli Milionaria, Carosello Napoletano,e capirne il significato avendo vissuto quelle realtà,conoscere Napoli e conservare foto di una Napoli che non esiste più e dire io c'ero
Conoscere Napoli ti legano a questa Città da due tre generazioni della propria famiglia
Tutti dicono di conoscere Napoli ma pochi sanno cosa significa per un Napoletano,molti ne hanno paura,molti ne stanno lontani,tanti la criticano, tanti la offendono e tanti la amano:eppure stranamente quando si va in giro per il mondo anche chi non e di Napoli e vive nelle provincie ,si sente orgoglioso di definirsi Napoletano.Napoli non è una Città ma un mondo,tutto surreale,dove ogni cosa si veste di bello di unico di speciale,Napoli e quel biglietto da visita a volte positivo a volte negativo,ma questo non ha nulla a che vedere con la città,ma con quella parte di Napoletani che ne danno una cattiva immagine e per fortuna sono in minoranza...Napoli e una corona di alloro per chi la Ama..Franco Cegni.
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...libro coinvolgente e affascinante per l'incontro di culture che si nota praticamente ad ogni pagina, per la descrizione dei personaggi, per l'ambientazione in un'epoca che attualmente viene percepita come ammantata di leggende o precipitata nell'oscurantismo più profondo...Per coloro che credono sia ancora possibile imparare dalla Storia, questo viaggio, immerso nella profondità della storia ebraica, traccia un mirabile affresco del clima di fine Millennio quando la civiltà mediorientale vive uno dei massimi momenti di splendore e l'occidente deve ancora "rinascere" dopo le grandi e successive crisi dei secoli precedenti. Il viaggio si colloca temporalmente in un periodo particolarmente significativo per la storia del popolo ebraico con l'inizio della divisione tra sefarditi, ebrei che vivevano nelle terre dell'Islam dove era concentrata la maggior parte degli israeliti, e ashkenaziti che vivevano invece nelle terre dei cristiani e rappresentavano una sparuta minoranza. Il miracolo dello stile di Yehoshua è riuscire a mantenere un ritmo rapido e a riempire parimenti il libro di dettagli, di aggettivi. Splendido il discorso, mai diretto, sempre riportato, vivissimo nonostante quasi mai si leggano le parole dei personaggi. Splendido il continuo miscelarsi delle fedi, specie di quella ebraica, carica di precetti ai limiti dell'inverosimile. Così come le fedi, anche le lingue si mischiano, anche se il lettore non le legge mai, perché non c'è discorso diretto. E allora sta al lettore immaginarsi i suoni del francese, del tedesco, dell'arabo, del latino, della "lingua sacra". Una storia che rivela tutta la fragilità dell'essere umano, il suo essere in balia di fattori non controllabili. Una fragilità che non accettiamo più nel mondo ricco ad alta tecnologia e ad alte prestazioni...Assolutamente da leggere...#ravenna #booklovers #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #narrativa #abrahamyehoshua (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/Ch_eeWdIb_l/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#ravenna#booklovers#instabook#igersravenna#instaravenna#ig_books#consiglidilettura#librerieaperte#narrativa#abrahamyehoshua
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i veri problemi secondo Sia; in equilibrio tra reali possibilità e un serbatoio d’amore meraviglioso e irraggiungibile
See, I am coming back for you Yeah, I know we will be okay everyday The sun shines a little brighter
Torno a cercare le parole per questa rubrica, dopo una lunghissima pausa tra domande fantasmi e nuove consapevolezze, la parola chiave è restare fluidi lasciare che sia l’immaginazione a guidarci soprattutto quando stiamo cercando di decodificare una risposta non matura.
La protagonista di questo appuntamento e l’autrice e cantautrice australiana Sia Kate Isobelle Furler,
Sin dai suoi esordi a fine anni Novanta, Sia si è fatta strada prima come autrice scrivendo testi con e per progetti musicali molto variegati tra loro, Da Zero7 a Rihanna, da Britney Spears, a Dua Lipa, passando per collaborazioni più durature e continuative con David Guetta e la triade LSD (Labyrinth, Sia Diplo) con cui ha sapientemente confezionato diversi singoli mainstream i cui testi mantengono comunque un valore empatico forte; Titanium, Flames, Helium Chandelier solo per citarne alcuni.
Some people have real problems negli anni in cui uscì fu illuminante per i suoi suoni capaci di mescolarsi e intrecciarsi in modo così contaminato e sovversivo con ricercata e sorprendente raffinatezza, da voler sembrare musica per palati fini alla ricerca di una musica originale lasciando che fosse l’essenza della musica stessa a far respirare e colorare i testi.
Testi che ho apprezzato e valorizzato, solo nel loop ascolto di queste ultime settimane, in cui ho colto il senso profondo delle storie vissute e immaginate che siano.
Credo sia ancora così, dopo quattordici anni credo sia un disco attualissimo.
La tracklist è il meraviglioso e riuscitissimo tentativo di dimostrare come i Veri problemi cambiano grandezza e importanza sulla base di ciò che ciascuno di noi è, agli ambienti e i contesti sociali.
In equilibrio tra metafore, figure retoriche efficaci simbolismi tra reale e onirico Sia denuncia e ci racconta il tentativo di un dialogo tra la realtà “urbana” a cui lei stessa appartiene è la prospettiva della minoranza agiata della metropoli americana.
Sia durante la costruzione di questo viaggio è narratrice onnisciente tra il suo sentire e ciò che il suo vissuto contestuale le ha permesso di fotografare illuminando una meravigliosa e amabile catena da cui desidera sottrarsi sin dalla prima canzone Little black sandals e il suo irrefrenabile desiderio di andare via.
Lentil e Academia sono le opposte prospettive che metaforicamente illuminano la superiorità e la voglia di rivalsa; Day too soon, Soon we’ll be found sono la raffinata e poetica fotografia di un’amore che realmente o immaginariamente abbiamo vissuto di cui non può restare traccia
E infine viene raccontato il rifiuto, (The giirl you lost in cocaine, Playgrund, Electric bird e Bottons) intersecato alla forza della ribellione e di affermazione della propria identità, nonostante i pregiudizi e i clichè, “imposti” per ineffabile e triste prevaricazione della ricca minoranza.
Il denominatore comune che avvicina ogni minoranza in quanto assembramento di esseri umani è il sentimento, che preferisce dispiegarsi in abiti sonori bipolari, tra la malinconia lucida e la pace di un sogno possibile a forma di ninna nanna. Magistralmente costruite e orchestrate le atmosfere intersecano stili modi arrangiamenti fluidi dal funky al jazz, dal moderno al trip-pop, la musica incornicia e dona una dimensione terza e multisfacettata ad ogni brano.
Questo album è uscito in due tempi, in due versioni con due copertine, la prima è quella della versione italiana del disco, una delle mie copertine preferite di sempre, mi ricorda quella libertà bambina nella gioia di usare i colori sulla pelle in nome della nostra essenza.
La seconda invece è una preziosa e simbolica rappresentazione degli universi interiori delle due minoranze di cui sopra e più in generale le due principali e svavillanti sfumature dell’anima umana.
Approfondimenti di ascolto
Sia live @ KEXP in the morning
Sia live @ USA 2008
#sia#some people have real problems#album#2008#music#article#articolo#songwriter#ooneekpeople#australian music#ooneekstudio
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Mesopotamia
Il potere di dirigere la natura per obiettivi agricoli trova un primo esercizio nella regione alluvionale del Tigri e dell'Eufrate.
Qui i pionieri bonificano la giungla paludosa. Questa impresa collettiva ha richiesto l'impegno di un notevole numero di esseri umani, che dirigono le forze naturali e sono a loro volta diretti da un piccolo numero di uomini che vedono delle possibilità al di là del tempo immediato. Come ha fatto questa minoranza a dirigere la maggioranza? Mediante la scrittura, che inizialmente si esprimeva in pittogrammi comprensibili a tutti?
Oppure mediante l'appello a forze e necessità cosmiche rappresentate dagli dèi? Gli sciamani accettano la scommessa verso successi futuri, trasformano le divinità che presiedono ai cicli della natura in divinità protettrici, e trasformano se stessi in sacerdoti.
Così Inanna, dea solare della fecondità, della bellezza e dell'amore, viene trasformata in divinità protettrice dei raccolti.
Un'altra divinità che i sacerdoti dirigono allo scopo è Enki, che diviene il Signore della Benevolenza.
Un'esigenza sollevata dai capi dell'impresa è quella di fissare in maniera non comprensibile le istruzioni per raggiungere lo scopo e gli strumenti per prendere nota dei processi e dei risultati. Coloro che scrivono (scribi) elaborano una tecnica di scrittura più complessa, che rappresenta in segni cuneiformi le immagini e i suoni in cui si articola il linguaggio.
Alla fine la scommessa è vinta. La pratica dell'agricoltura su campi appena bonificati e altamente fertili determina un'eccedenza di cibo rispetto a quello di cui la collettività degli appartenenti al clan ha bisogno, anche grazie all'utilizzo dell'aratro trainato da buoi addomesticati.
Chi ha diretto l'impresa si prende il merito del successo e mostra alla maggioranza che la natura può essere dominata.
Ai molti seguaci dell'impresa viene dato il necessario per sopravvivere. Ai pochi che hanno diretto l'impresa e ai loro collaboratori, trasformatori di linguaggio (scribi) e di divinità (sacerdoti), viene riservata l'eccedenza.
I pochi fanno prevalere la loro capacità immaginativa sulla forza lavoro impiegata dai molti, con il sigillo dei sacerdoti che agitano lo spauracchio delle divinità protettrici della comunità. Così nasce lo squilibrio fra il potere di appropriazione dei pochi e il potere di appropriazione dei molti.
Scribi e sacerdoti andranno avanti nella loro opera manipolativa.
Le eccedenze alimentari sono ammassate in magazzini, costruiti grazie ai mattoni di argilla che alcuni membri del clan sanno preparare. Gli scribi perfezionano l'arte di misurare, contare ed enumerare. Nasce la contabilità.
I sacerdoti accompagnano anche la celebrazione di colui che viene riconosciuto come capo dell'impresa, che in un primo tempo si chiamerà Ensi (signore della terra coltivata) e poi Lugal (grande uomo).
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Bambini
Luca arrivò quel giorno con la dovuta calma. Al lavoro era solo e non doveva rientrare un quarto d’ora prima come di consueto. Poteva prendersi un’ora intera di pausa pranzo.
Al self-service tirava aria di venerdì: poca gente, mentre chi era addetto all’impiattamento tradiva un lieve nervosismo, come se gli avventori fossero di impiccio.
Luca ordinò il solito piatto: un’insalata grande di verdure cotte. Apprezzava la discrezione di chi lo serviva dietro la barriera di plexiglas, che gli preparava sempre lo stesso pasto ogni giorno, senza commentare.
Quel giorno il clima era ritornato afoso e preferì sedersi all’interno del self-service, dove c’era l’aria condizionata. Scelse un tavolino vicino alla cassa perché più isolato.
C’era però una coppia, probabilmente padre e figlia, seduti di fronte a lui, viso a viso. Il signore era anziano. I lineamenti gli ricordavano quelli di suo padre e ne immaginò l’età, che doveva superare gli ottanta.
Ma non furono solo i lineamenti a catturare la sua attenzione: quel signore guardava con una certa insistenza. La cosa potrebbe sembrare di poco conto, ma Luca non c’era abituato, per lo meno in quel self-service. Di solito riceveva sguardi distratti, come fosse una presenza diafana, in particolare dalle donne che pasteggiavano ai tavolini, da sole o in compagnia.
Fu colpito dallo quello sguardo: era uno sguardo indifeso, fragile, che conteneva una supplica implicita: quella di essere soccorso. Occhi tali non si vedono facilmente in una persona in età, molto più frequente vederli nei bambini o negli animali, in particolare nei cuccioli.
Eppure quel signore non era uno qualunque, per lo meno nella realtà bresciana. Era un uomo “che si era fatto da sé” come si suol dire. Aveva iniziato come fabbro verso metà degli anni ‘50 in una piccola bottega locale, per poi mettersi in società con altri due conoscenti.
L’officina specializzata in tornitura si era ingrandita nel corso degli anni ‘60 e aveva cominciato ad assumere personale, gente di fatica, che lavorava 10-12 ore al giorno senza sosta.
Nel giro di un decennio l’officina era diventata un’importante fabbrica di lavorazione metalli, che aveva clienti in tutto il Nord Italia, con macchine all’avanguardia e una cinquantina di dipendenti.
L’anziano in questione, una volta garzone di bottega, ora era un “padrone” che adottava uno stile di conduzione particolarmente duro nei confronti dei suoi sottoposti: ben diverso dalla figura che oggi siede a quel tavolo.
Era un capo che alzava spesso la voce o addirittura insultava chi era lento, poco produttivo o semplicemente non gli andava a genio. Tutto doveva funzionare per compiacerlo, e a volte questo nemmeno bastava: bisognava “conquistarlo”.
Luca, senza conoscerne il passato, non aveva intravisto alcuna eco di gioventù nel viso e nel corpo di quell’anziano, che gli sembrava semplicemente vecchio, come se fosse comparso oggi su quel tavolo e destinato ad andarsene domani.
Le movenze erano incerte e un lieve tremito alle mani era percettibile mentre si portava il cibo alla bocca o tagliava la carne. La polo a strisce blu e rosse era un po’ troppo larga per la sua figura, mentre i pantaloni di cotone lasciavano scoperte le caviglie, segnate da un reticolato di capillari violacei.
La donna di fronte a lui parlava raramente, facendo intendere che bastasse la sua presenza ad assolvere al proprio dovere di figlia. L’anziano sembrava più attratto dal tavolo dove Luca sedeva, anche se lo scambio di sguardi pareva turbarlo, come se venisse scoperto nudo.
Occorre dire che egli, una volta così arcigno, visse una grande tragedia alla soglia dei 35 anni. Il figlio maschio di appena 10 anni si ammalò e morì. Si trattò di un virus, una banale varicella, ma talmente potente che costrinse il bimbo a letto per giorni con febbre fuori controllo, fino a quando non intervenne una crisi respiratoria fatale.
Il padre si era rifiutato di farlo ricoverare, suscitando le proteste accorate del medico di base, che a nulla valsero. Sergio non aveva alcuna fiducia negli ospedali e nella medicina, così come in tutto l’apparato statale e, pur intuendo la gravità della situazione, voleva che il figlio rimanesse a casa fra volti famigliari.
Quella tragedia distrusse la madre, che aveva pregato fino all’ultimo che perché il figlio malato si riprendesse. Il rapporto di coppia esplose perché, per quanti sforzi Rossella facesse, non le riusciva di perdonare il marito per la sua decisione unilaterale, e un barlume di dignità ritrovata le impediva di essere completamente sottomessa, come in passato, ad ogni suo umore.
Ne nacquero litigi, particolarmente violenti, in cui Sergio rinfacciava alla moglie di avere mire sul suo patrimonio ma che in realtà nascondevano un sentimento di lesa maestà, perché lei aveva cominciato a dire dei no: no a una decisione non condivisa, no un'abitudine non più gradita, no a un’aspettativa illegittima.
Pomo della discordia era in particolare l’educazione della figlia Anna, che ora effettivamente sedeva di fronte a lui, in quel self-service: Sergio voleva che seguisse un percorso, un percorso prestabilito, che la portasse da adulta ad avere un ruolo direttivo nell’azienda, in assenza dell’erede maschio, per il quale questo futuro era stato precipuamente disegnato.
La madre invece tendeva a entrare in sintonia con le morbidezze caratteriali della figlia, a cercare la condivisione di sentimenti famigliari e persino di momenti di ilarità, ad assecondarne il temperamento fantasioso e le prime pulsioni artistiche. Questo scatenava litigi violenti, a cui la bambina spesso assisteva, restandone come interdetta.
Questo sentimento di impotenza, l’essere stretta fra due fuochi e l’intuizione dolorosa di rappresentare il motivo dello scontro fra i genitori, per quanto incolpevole, contribuirono a creare in Anna questa attitudine muta che è ben visibile anche oggi, un distacco auto-conservativo che la accompagnerà lungo tutta la sua esistenza. Lei continuerà diligentemente ad essere “figlia” e di supporto al padre nei momenti di bisogno, ma incapace di provare un attaccamento se non moderato, eppure bastante a farla sentire in pace con se stessa.
Gli affari del padre negli anni si erano sviluppati, tanto che l’azienda, nei primi anni’80, serviva ormai l’intero territorio italiano, aveva aperto due nuove sedi al Centro e al Sud, e iniziava ad approcciare i mercati esteri, intessendo rapporti con distributori dell’Est Europa.
Il rapporto col personale invece non era mutato: papà Sergio non amava delegare e tendeva a circondarsi di yes men, che eseguissero i suoi ordini senza troppo discutere. Aveva però acquisito una maggiore sensibilità verso le esigenze famigliari dei lavoratori, con una politica meno restrittiva sui permessi, quando adeguatamente motivati da necessità legate alla salute o all’istruzione dei figli.
All’interno della compagine sociale c’erano dei contrasti. Gli altri due soci, pur di minoranza, mal digerivano l’assenza di condivisione nelle decisioni aziendali, che riguardavano anche temi fondamentali come il reinvestimento dei profitti. Sergio voleva ingrandirsi, si era presto stancato della dimensione locale dell’azienda, ed era stato lui ad avviare il processo di internazionalizzazione. Ora, per gli altri, era arrivato il momento di guadagnarci, dopo tanti anni di sacrifici, mentre Sergio non conosceva sosta, e cercava di penetrare nuovi Paesi, nuovi mercati. La differenza di vedute diventerà insanabile e, dopo venti anni di convivenza, uno dopo l’altro, i soci se ne andranno sbattendo la porta e cedendo le proprie quote.
Un colpo di tosse fa sollevare lo sguardo a Luca. La figlia osserva il padre, a cui evidentemente qualcosa è andato di traverso, e verifica che non sia niente di grave, come si fa in questi casi. Il padre tossisce ripetutamente, con suoni sempre più sguaiati, poi finalmente si raschia la gola, cercando di ritornare a una situazione di normalità. Luca assiste con leggera apprensione.
Per tutti gli anni ‘80, allo sviluppo degli affari dell’uomo, corrispose un progressivo deterioramento della sua vita famigliare. I rapporti con la moglie divennero sempre più tesi. Dopo i primi no, le prime prese di posizione seguite alla loro tragedia famigliare, era come se si fosse aperto un portone, e Rossella non perdeva occasione per dire la sua e contrastare il marito su ogni argomento. Questa rinuncia al quieto vivere era il suo modo di espiare il senso di colpa per la morte del figlio, che le sembrava perito per la propria passività più che per la malattia.
Era cosa risaputa che Rossella avesse un amante, all’epoca: lui era uno scrittore noto, lo scrittore bresciano per eccellenza, autore di romanzi di media tiratura, racconti, storie per bambini, anche maestro burattinaio nelle scuole, quando occorreva; e soprattutto chiacchierone, fanfarone, tanto che la voce del loro affair si era diffusa rapidamente, anche in azienda, e Sergio era stato l’ultimo a saperlo. La sua reazione era stata violenta, come prevedibile, e la moglie ne fu terrorizzata, si rese conto che era stato oltrepassato un limite dal quale era impossibile tornare indietro, e decise di lasciarlo.
Sergio, come gran parte degli uomini, si accorse di essere innamorato quando tutto era finito, o semplicemente idealizzò il legame coniugale perduto, tanto che non si dava pace, la vita gli sembrava finita: per la prima volta si accorse di quanto insopportabile fosse la solitudine, quando nessuno bussa alla porta, bisogna cercare, darsi da fare ma non si ha né il tempo né la voglia, o semplicemente non si è in grado di relazionarsi agli altri. Gli mancavano i silenzi, la routine quotidiana, i litigi con la moglie, che erano diventati il loro codice di comportamento, ma che ora la moglie disconosceva. Sergio non ebbe più una donna né tanto meno cercò di recuperare il rapporto con Rossella: il meccanismo si era rotto e questo bastava a rovinargli la vita.
La figlia visse male la separazione e col tempo manifestò ingenti problemi di adattamento sociale. Era risultata diligente nello studio, diplomandosi al Liceo Calini di Brescia, e laureandosi a pieni voti presso la facoltà di Economia, ma era rimasta come inerte di fronte al mercato del lavoro, in preda all’ansia già dalla presentazione della propria candidatura, impaurita dall’idea di ritrovarsi sola in ambienti complessi, faticosi, se non ostili. Sergio ben presto realizzò come l’unica soluzione fosse quella di farla lavorare alle proprie dipendenze per superare l’empasse.
Inoltre Anna non aveva un fidanzato, non ne aveva mai avuto uno, ed erano già visibili i prodromi del suo destino di solitudine, di donna che non avrebbe avuto una famiglia, e quindi dei nipoti. Anna cresceva muta, debole, anaffettiva, ma fu solo dopo una grave crisi depressiva, che la costrinse immobilizzata a casa per tre mesi, che Sergio cominciò seriamente a preoccuparsi e riflettere sul suo ruolo di padre, sull’educazione fornita alla figlia.
Il self service si andava svuotando, erano le 13 e 45. Luca sorseggiava un caffè (anche se quello non si poteva certo definire di buona qualità) mentre dal tavolo di fronte ci si prendeva una breve pausa dopo il pasto, prima di alzarsi. Luca aveva smesso di incrociare lo sguardo con l'anziano, gli sembrava già di aver intuito quello che si celava dietro questo scambio, pur senza conoscere la storia personale dell'uomo. Non si può certo dire che gli mancassero intuito e intelligenza, forse difettava di volontà, e ad esempio gli risultava giá pesante il rientro pomeridiano al lavoro, nonostante la giornata più tranquilla del solito.
L’azienda di Sergio vide un decennio di consolidamento dei risultati aziendali, dagli anni ’90 fino ai primi 2000, in cui venne quotata in borsa e aprì varie sedi estere, anche negli Stati Uniti e Estremo Oriente. I clienti principali erano nel settore della componentistica automobilistica e nel settore edile, mentre numerose erano le commesse che si attivavano nella cantieristica navale, oltre che in ambito militare. Gli affari andavano a gonfie vele.
Al contempo però Sergio era sempre più solo. Si era trasferito in un casolare ristrutturato in provincia di Brescia con la figlia, ai piedi delle montagne, col primo centro urbano a 5 km di distanza. Tale scelta era dovuta al fatto che la sua vita era fin troppo satura di gente: clienti, fornitori, enti pubblici…persone. Anche un cane, animale da compagnia per il quale la figlia aveva espresso un vago desiderio, era di troppo. D’altronde Anna si turbò molto alla notizia del trasferimento dalla città in una zona isolata, ma fece in modo di non darlo a vedere.
Ormai l’assenza di una donna nella vita di Sergio era diventata una condizione cronica, una sorta di vedovanza in cui viveva di rimpianti e sensi di colpa, per quanto avrebbe potuto fare o evitare di fare per salvare il proprio matrimonio. Non era un brutto uomo e l’alone di potere che emanava gli faceva avvicinare occasionalmente alcune donne, anche molto belle. Tuttavia gli sembravano tutte superficiali e prive di valori, se confrontate con Rossella, di cui era ancora innamorato, e per cui bruciava di gelosia al pensiero che si fosse risposata – si dice - con il primo fidanzato: un uomo che aveva sentito nominare ai primi tempi della loro relazione e che evidentemente era rimasto segretamente innamorato di lei.
Ma se tutte le crisi portano a un cambiamento, Sergio non solo aveva iniziato per la prima volta a mettersi in discussione, ma i mutamenti erano visibili anche nel suo aspetto fisico. Alla volta del nuovo millennio ormai superava la sessantina e la sua massa muscolare, una tempo tonica e guizzante, aveva perso di volume e diventava flaccida, mentre le spalle si incurvavano miseramente a sopportare il peso di una condizione di vita greve, insoddisfacente. Lo sguardo era diventato triste, bastonato e il tempo in cui una risata viscerale l’aveva scosso era lontano. Era come se durante la convivenza avesse assorbito un po’ dell’apatia della figlia, che ormai quarantenne si era rassegnata ad essere subalterna rispetto a un padre una volta prevaricatore, ora semplicemente fragile.
“Andiamo papà?” chiese Anna al padre. “Si sono fatte le due”. L’anziano tremebondo si alzò lentamente facendosi leva su un bastone da zoppo, che Luca non aveva notato e che era stato infilato sotto la sedia. La figlia fece per aiutarlo ma l’uomo rifiutò, più per non scomodare la bambina che per dimostrare una ormai perduta autosufficienza. Le cameriere avevano cominciato a pulire i tavoli con la stessa frenesia delle ore di punta, quasi costituisse un modus operandi, anche senza avventori.
Luca pensò a se stesso, alla propria condizione. Da quando era stato licenziato, era tornato a vivere con gli anziani genitori a Brescia. Era rimasto senza lavorare alcuni mesi, in preda a una forte disagio psichico, poi il padre era riuscito a farlo assumere nell’azienda di un suo ex cliente, dei tempi in cui faceva l’assicuratore. Non c’erano donne nella sua vita, si può dire anzi che la madre rappresentasse il suo universo femminile, e osservava i rapporti altrui come qualcosa di portentoso, a lui precluso.
Luca pensò che lo sguardo di quell’anziano (che, non si è detto, convive da anni con il cancro) era simile al suo. Era proprio il suo stesso sguardo: uno sguardo di bambino.
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12 giu 2020 10:57
"QUEST'ALBUM NON VENDERÀ UN CAZZO” – FABRIZIO DE ANDRE’ E LA CONFESSIONE A GINO CASTALDO NEL 1984 IN OCCASIONE DELL’USCITA DI 'CREUZA DE MÄ', UN INTERO DISCO CANTATO IN UN MUSICALISSIMO MA INCOMPRENSIBILE DIALETTO GENOVESE – “IO IN BANCA HO POCHI MILIONI CON UN'AZIENDA AGRICOLA DA MANDARE AVANTI IN CUI RIMETTO I SOLDI, QUINDI IO E DORI SIAMO DUE STRACCIONI, MA NON ACCETTO L' ANSIA DI VENDERE…" - IL RAPPORTO CON LA TV E QUELLA VOLTA CHE FU CONTESTATO DA UN GRUPPO DI ESTREMISTI - VIDEO
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Gino Castaldo per “la Repubblica”
Era l' aprile del 1984 e Fabrizio De André aveva appena messo sottosopra il mondo della canzone con una strabiliante magia intitolata Creuza de mä , un intero disco cantato in un musicalissimo ma incomprensibile dialetto genovese.
Uno dei massimi artisti italiani della parola cantata ci stava dicendo che non voleva essere capito, o meglio che in questo caso essere capito o meno non aveva alcuna importanza, proprio lui che era il più nitido e carismatico cantore di storie, lui che aveva scolpito versi indimenticabili.
Una svolta epocale. Creuza de mä , firmato insieme a Mauro Pagani, era un disco sublime e coraggioso che volava su onde di musica mediterranea in un viaggio di incanto. Quel giorno Fabrizio si presentò insieme a Mauro Pagani, e per tre ore ci chiudemmo in una stanza della sede romana della Ricordi.
Quello che segue è il resoconto in gran parte inedito di una straordinaria conversazione che iniziò più o meno con queste parole: «La canzone è un miracolo, come la moltiplicazione dei pani e dei pesci a cui del resto non ho avuto la fortuna di assistere. Come si fa altrimenti a spiegare un' emozione, soprattutto se poi la devi comunicare? Più cerchi di spiegarla più se ne va aff* tutto quello che da un punto di vista scientifico è imperscrutabile, immotivato».
Da dove parte il lungo viaggio che vi ha portato al disco?
«Nasce dal mio amore per la musica etnica e dalla possibilità di lavorare con uno che questa musica la conosce sul serio, quasi un etnologo nella capacità di usare certi strumenti. Mi rendo conto che un oud arabo suonato da un bresciano può sembrare strano, ma funziona a meraviglia. La verità è che eravamo stufi della narcosi che viene fuori dai suoni ripetitivi che si sentono in giro, abbiamo usato un abito talmente vecchio che paradossalmente sta tornando di moda».
Eppure alla fine per rappresentare questa vastità avete scelto di usare solo il dialetto genovese. Come mai?
«Ero partito dall' idea di usare varie lingue, ma non ne ero padrone, conosco bene il sardo dell' interno, e anche l' occitano, ma alla fine il genovese mi sembra appropriatissimo stilisticamente, e ci sono rientrato, perché di fatto non lo parlavo da anni.
Di base avevamo paura che nascesse un Minotauro, se avessimo usato la lingua italiana sarebbe uscito fuori un mostro perché comunque la lingua italiana che si usa per versificare è una lingua aulica, e invece le piccole etnie usano il loro vocabolario per intero, comprese le parole cosiddette sconce, senza che nessuno abbia niente da ridire.
Se in italiano dici "fica cazzo" pensano: questo vuol fare il furbo e vendere più dischi. Così invece ho potuto parlare molto più liberamente».
Non c' è la paura di essere poco compresi fuori da Genova?
«Dico la verità, sono convinto che la lingua decade a indegnità di dialetto e un dialetto assurge a dignità di lingua solo per motivi storici e politici, non per motivi intrinseci all' idioma stesso, perché quando un idioma ha abbastanza avverbi, aggettivi e parti del discorso per esprimere non solo le sue ragioni ma anche i sentimenti, a quel punto è una lingua.
Ad esempio il Portogallo che era una regione iberica, liberata definitivamente dal giogo castigliano dal Seicento, si è andato a prendere il Mozambico, l' Angola e il Brasile, ma non si può dire che in Brasile parlino un dialetto portoghese, è diventata lingua.
Genova fu venduta ai piemontesi col Regno d' Italia, e i genovesi hanno dovuto dire: da oggi noi parliamo il dialetto genovese, porca A Genova ormai gli scalini li chiamano "scalin", io mi ricordo che si diceva "scain", il posto lo chiamo "scito" come in italiano "sito", nel disco ci può essere qualche piccolo errore di pronuncia perché sono tanti anni che sto a Milano e non riesco a parlare il genovese, ma ho cercato di essere preciso, è il dialetto a cui sono rimasto, quello delle strade di via Piave e via Trieste dove facevo le sassaiole con gli altri "ragazzacci", all' epoca passava una macchina ogni ora e mezzo, si
giocava alle "grette" coi tappi delle bibite disegnati con i colori delle maglie delle squadre ciclistiche. Pur essendo di estrazione medio-borghese non mi hanno mai impedito di frequentare la strada, per fortuna».
A cominciare dal titolo, in questo disco si percepisce ovunque il mare, quasi fosse un viaggio che collega idealmente con suoni e riverberi i diversi porti del Mediterraneo. Qual è alla fine il suo rapporto col mare?
«Un rapporto abbastanza diretto, l' ho preso per andare a pescare, l' ho preso per fare dei viaggi, per emigrare, anzi sono uno dei pochi casi di emigrato ligure in Sardegna.
Per quanto mi riguarda il mare è un posto dove si vive malissimo, infatti nessuno è più amante della terra del navigante, e infatti Creuza de mä, la mulattiera di mare, vede il ritorno di questa gente bagnata fradicia, insalinata, che arriva a farsi finalmente una mangiata in terra».
Questo disco in dialetto modifica nella sostanza il suo approccio da cantautore?
«Per la prima volta ho deciso di non fare il cantautore ma il cantante, quindi ci siamo preoccupati del suono, del fonema cantato, il dialetto genovese è ricchissimo di iati, dittonghi, forse più dell' inglese.
Perché dovrei dire ma-ri-na-io quando c' è "mainà" che posso tenere a lungo, "mainààààà", oppure troncare secco "mainà". Trovo più divertente fare una cosa che si ascolti volentieri e che comunichi delle emozioni, senza per forza dover fare dei "bei" testi. Diciamo che questa è musica cantata».
Come pensa di sostenerlo un disco del genere, o più banalmente come pensa di promuoverlo?
«Intanto non trovo indispensabile associare la persona al disco che ha fatto. Bisognerebbe arrivare a Borges, a pensare che l' autore non dovrebbe neanche esistere.
Abbiamo cercato di dare un calcio a una porta chiusa, e non venderà un cazzo (il disco al contrario è uno dei più venduti della storia della discografia italiana, ndr) ma non è che mi disturbi, cioè mi disturba sul piano economico, io in banca ho pochi milioni con un' azienda agricola da mandare avanti in cui rimetto i soldi, quindi io e Dori siamo due straccioni,
ma se il lavoro dell' artista deve esere svilito, ok, sviliamolo, ma non andiamo a fare gli spot, quello no, non accetto l' ansia di vendere, anche se sono ansie che ti fanno venire, e intediamoci non voglio parlare male dell' industria discografica della quale usufruisco ampiamente, ma queste ansie mi vengono comunicate anche in sala in realtà quando superi gli ottanta milioni di budget per un disco vanno tutti in crisi,
dicono ommammmia Per me è molto più facile scrivere un pezzo che non andare a promuoverlo, anzi per me è una vergogna andare in giro a reclamizzare il mio prodotto come se fossi un venditore di castagne».
Quindi di andare in televisione non se ne parla?
«Il fatto è che se tu ci vai e sei una persona lunatica e in quel momento non ti senti bene, devi avere la possibilità di dirlo al pubblico, come in concerto, se non sto bene io lo dico: scusate guardate, stasera sarà un concerto del cazzo perché sto male o perché sono ubriaco, è una cosa umana, normale, sono un automa?».
Dal vivo è tutt' altra cosa. Anni fa però le capitò di essere contestato in un concerto con la Pfm, anche se da un piccolo gruppo di estremisti.
«Negli anni Settanta succedeva. Francesco (De Gregori, ndr) ci ha messo sette anni per tornare a suonare a Milano, dopo che fu processato a un concerto. Io ho detto una cosa molto semplice, lo consideravo un disturbo di una minoranza a danno di una maggioranza. Ognuno era libero di fare quello che voleva, ma io me lo ricordo, scesi giù in platea, gli andai addosso, non mi stava bene, io non ce l' avevo con nessuno e non vedo perché qualcuno dovesse avercela con me. Io stavo lavorando».
Di base però il suo rapporto col pubblico non è mai del tutto sereno...
«Mi sento sempre sotto esame, non sono mai tranquillo e, senza andare troppo nel profondo, è semplicemente la paura di essere giudicato. Il fatto è che ho cominciato a cantare in pubblico a 35 anni, il primo concerto fu alla Bussola il 18 di marzo del 1975.
Il secondo a Pisa per Lotta Continua e il terzo a Piazza Navona, per Pannella».
Quanto è importante collaborare?
«Decisivo. Di 120 canzoni che ho scritto, sessanta usufruiscono della collaborazione altrui, quando uno è in carenza creativa l' importante è trovare i collaboratori giusti, un disco è un mosaico, come il cinema, qui siamo noi due, io e Mauro, e lui ha scritto i pezzi come gli sembrava che venissero bene.
All' arrangiatore una volta al massimo dicevo: mi raccomando le tonalità, io canto in la minore, sol minore oppure in do maggiore, tutto qui, spesso mi arrivava l' arrangiamento già finito.
Ora è diverso, Mauro è un creativo, del resto io non mi sento come Leopardi che dice eccomi qui, messo a nudo, da solo sulla montagna, mi ispiro e vi do il verbo. Anche il modo di fare dischi è cambiato, per fortuna. Agli inizi entravi in un vecchio studio, c' era la regia con gente che ti guardava da lontano, distante, sembrava di essere ricevuti da Mussolini. Ma tanto, alla fine, il nostro hobby è vivere, peccato che possiamo dedicarvi poco tempo».
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Suoni di minoranzaPrima edizione del festival sulle musiche delle minoranze linguistiche in Italia
San Costantino Albanese (PZ) 7-16 agosto 2024 Si terrà dal 7 al 16 agosto a San Costantino Albanese (Potenza) “Suoni di minoranza”, il festival sulle musiche delle minoranze linguistiche in Italia che, per la prima edizione, ha questo ricco programma:7 agosto Robert Bisha10 agosto Orchestra Bottoni11 agosto Claudia Crabuzza, Peppa Marriti Band12 agosto Canzoniere Grecanico Salentino14 agosto…
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A Musicultura Brunori Sas, il cantautore alla ricerca dello stupore
Dario Brunori, in arte Brunori Sas, è stato uno degli ospiti più attesi di questa XXIX edizione di Musicultura; reduce dall’esperienza televisiva del suo primo programma “Brunori Sa”, andato in onda la scorsa stagione su Rai3, domenica 17 giugno il cantautore siciliano è tornato ad esibirsi sul palco del Festival e a La Controra, occasione in cui ha intrattenuto il pubblico con i racconti incentrati sulla sua musica e sulla vita professionale.
Membro del Comitato Artistico di Garanzia del concorso, Brunori ha avuto un ruolo importante nella scelta degli 8 vincitori, avendo ascoltato il disco contenente i brani dei 16 finalisti di Musicultura e avendo dato un voto alle proposte artistiche che ha ritenuto più interessanti. In riferimento alla sua musica socialmente “impegnata”, grazie alla quale ha ottenuto grandi riconoscimenti, ha confessato: “Ho avvertito un'emergenza emotiva di raccontare la cronaca”. È un artista, oltre che uno dei più famosi cantautori della scena musicale italiana, che negli anni ha saputo raccontare la società con parole semplici e vere, mantenendo un proprio stile e facendo dell’onestà artistica la sua cifra stilistica. Anche alla redazione di Sciuscià ha voluto parlare delle tante sensazioni e dei pensieri racchiusi nelle sue canzoni, ma anche del nuovo progetto vissuto come conduttore.
L'Amnesty International Italia ha premiato il suo pezzo, L'uomo nero, come miglior brano sui diritti umani. Un testo sottile e politicamente impegnato. Com'è nato? C'è stato un evento particolare che l’ha spinto a scrivere di intolleranza?
Sì, la storia è nata quando ho incontrato un ragazzo sulla linea 90 a Milano, che cantava il Corano. Questo evento ha scatenato in me una sorta di attrito tra il mio non essere influenzato da ciò che mi circonda e la realtà intorno, fatta di una serie di paure che pensavo di non avere. Quel momento e tante altre occasioni mi hanno spinto a scrivere il pezzo. Ho sicuramente cercato di raccontare da una parte la sensazione di amarezza che stiamo vivendo tutti, dunque la consapevolezza che ci sia un ritorno di fiamma di alcune vicende che pensavamo fossero seppellite, di paure e pregiudizi considerati ormai lontani; dall'altra invece l’idea che di fronte a tutto questo non possiamo puntare il dito contro qualcuno e ammettere che alcuni argomenti non ci interessino. Dobbiamo provare a comprendere noi stessi e le nostre angosce per capire anche gli altri, cercando così di trovare una chiave di lettura che non sia solo “io sono contro di te perché tu pensi qualcosa che per me è assurdo”. Citando una frase attribuita a Gaber, ognuno deve analizzare prima il mostro che ha dentro, per poi capirlo. In ogni caso, molte cose che sto dicendo adesso le sto comprendendo mano a mano, a posteriori; nel momento in cui scrivo sono spinto dalle mie emozioni e non so davvero i motivi che ci sono dietro ad alcuni argomenti che affronto nei miei brani.
Restando in tema, secondo lei perché si avverte di più questa intolleranza di cui parla? Come mai sta aumentando il nazionalismo e forse il cinismo, nel nostro Paese?
Sicuramente il motivo risiede nell’incertezza e nell’insicurezza nei confronti del futuro. Lo straniero è sempre stato il bersaglio più semplice; questo lo dicono anche molti di studiosi. Accusare una minoranza è più facile e consente di dare spiegazioni che altrimenti sarebbero troppo complesse da ricercare. Noi sappiamo benissimo che la realtà che viviamo oggi non può essere causata semplicemente dall'arrivo di altre persone nel nostro Paese; così capita che l'immigrato viene visto come una sorta di capro espiatorio, un problema concreto e visibile. Baumann affermava che se non ci fosse stata la figura dello straniero, qualcuno avrebbe dovuto inventarla. Chi governa sa che è facile agire in questa direzione. Purtroppo, come diceva una famosa sentenza di un filosofo, quando c’è in atto una guerra tra le fasce dei più poveri, il massimo potere ne esce vincitore e a lui conviene questo odio.
Quest'anno ha indossato anche le vesti di conduttore televisivo e protagonista in “Brunori Sa”, un programma di ironia, poesia e musica. Com’è nato questo progetto?
È nato un po' per caso e senza tante aspettative. Abbiamo voluto creare una trasmissione che potesse fungere da documentario, da fiction e da serie televisiva. Ad ogni puntata ho invitato alcuni amici: cantautori e non, per cui provo ammirazione o con i quali ho instaurato, negli anni, rapporti di amicizia. È stato fondamentale che io già conoscessi le persone che ho voluto nel mio programma, perché con loro ho avuto la giusta confidenza per trattare alcune tematiche. L'argomento di ogni episodio è stato poi decisivo nella scelta sia delle materie da affrontare, sia dei brani da eseguire.
Molti la etichettano nel genere “indie”, nato per contraddistinguere gli artisti indipendenti. Com'è cambiato questo stile? Chi sono oggi i cantautori indie?
L'indie è un contenitore di cose diverse fra loro, ma allo stesso tempo collegate da un'attitudine a creare “dal basso”, per far sì che i progetti vengano fuori quasi in una maniera spontanea. Gli artisti indie non si sono mossi secondo le regola classiche della discografia “ufficiale”; partendo da questa premessa, c’è distanza dal percepire lo stile indipendente come un’estetica musicale. C'è da dire che oggi identifichiamo con l’indie l'itpop, una corrente melodica, all'italiana, che racconta situazioni vicine ad una parte della società, quella dei giovani. Personalmente io non mi riconosco nell'atteggiamento attuale dell’indie; questo genere prima era caratterizzato da suoni aspri, si poteva definire combattivo e combattente. Adesso analizzare i suoi contenuti può essere interessante; si potrebbe fare un confronto con la narrazione degli anni ’90 e quella attuale, in modo da cogliere i cambiamenti della società e della fascia giovanile.
Facendo parte del Comitato Artistico di Garanzia del Festival, ha ricevuto il disco con i brani dei 16 finalisti di Musicultura, per poter ascoltare e valutare le proposte in concorso. Su quale aspetto si è focalizzata di più la sua scelta di voto?
Mi hanno sorpreso maggiormente le proposte artistiche che hanno un qualcosa di innovativo da raccontare. Come ascoltatore cerco degli elementi che vadano al di là della tradizione, seppure come cantautore sia legato ad essa. Sollecito a proseguire il loro percorso quegli artisti che, anche in modo naïf, mi fanno provare stupore, curiosità e voglia di conoscenza.
Francesca Aliprandi
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RISPOSTA DEL GRUPPO “RIPARTIAMO” AL PD DAVOLESE SULLA QUESTIONE QUOTE ROSA Non sorprende che il PD di Davoli suoni la fanfara osannando l'Amministrazione comunale ogni qualvolta ritiene di poter assestare un colpo alla minoranza per una presunta sconfitta di quest'ultima; d'altra parte gli riesce di poter dare fiato alle trombe solo per sminuire la minoranza, dal momento che non può certo farlo per decantare risultati concreti e visibili, inesistenti, dell'operato amministrativo, questo si "inconcludente", a poco meno di tre anni dall'insediamento.
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4 Progetti di Music Business: dalla Swift Life alle teorie cospirazioniste
Una (parziale) leggenda racconta che Internet sia una tecnologia diventata popolare grazie ai fan dei Grateful Dead: di vero c’è che tra i primi messaggi che circolavano agli inizi degli anni '70 su Arpanet, il sistema proto-Internet, c’erano le set list dei live della band postate dalla community dei loro fan, i Deadheads.
Da allora sono trascorse diverse ere tecnologiche e oggi le star della musica cercano la chiave per, nell’ordine: difendere la loro professione da pirateria, download illegale e bagarinaggio, tamponare l’emorragia di vendite, utilizzare i nuovi media per allargare i confini del proprio business. Per riappropriarsi del controllo, anche qualitativo, della loro arte si sono lanciati su scommesse imprenditoriali legate all’hardware (vecchia scuola) e allo streaming, passando per i social. Ecco i tentativi più rilevanti per i vari settori, più una follia pseudo-scientifica.
Io e il mio social – Taylor Swift e Swift Life
La cantante americana Taylor Swift sta promuovendo il nuovo album in uscita il 10 novembre con alcuni singoli e ha nel frattempo annunciato per fine anno la nascita del suo social network personale, in collaborazione con Glu Mobile (società produttrice di videogiochi) per raccogliere attorno a un canale privato la community dei fan, lontana il più possibile da voci e commenti avversi. Pura illusione pensare che gli haters rimangano fuori dalla Swift Life di Taylor Swift, ma è certo che sarà come insultare chi ti ha invitato alla sua festa in casa.
Taylor Swift ha negli anni testato alla grande il potere dei social, come quella volta che rientrò su Spotify dopo una lunga assenza esclusivamente per sabotare il lancio del nuovo album dell’odiata Katy Perry con cui si è beccata ripetutamente a colpi di tweet.
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Ma la domanda è: che se ne farà, a parte donare gioia ai suoi fan? Le mosse sugli altri social sono abbastanza chiarificatrici. La Swift Life sta progressivamente sparendo dai suoi profili ufficiali, utilizzati principalmente per raccontare i momenti della sua professione. A questa progressiva aridità di vita personale, come se stesse preparando il terreno ad aprire le porte di casa sua solo ai più fedeli, ha alternato però alcuni colpi spettacolari, come le incursioni nelle dirette live su Instagram di alcuni suoi follower o addirittura nel matrimonio di una coppia.
Intanto sul suo sito ufficiale aveva già provato a contrastare il fenomeno del secondary ticketing, con accesso esclusivo alla presale per i live dedicata ai fan registrati. Facile immaginarsi che il meccanismo tornerà anche su Swift Life. Una mossa esclusivamente imprenditoriale? No. Ovviamente no. Non solo?
Io e il mio streaming – Jay-Z e Tidal
In attesa di comprare insieme alla moglie la franchigia NBA degli Houston Rockets (ma quindi, quella presenza assidua in prima fila nei palazzetti newyorchesi a vedere prima i Knicks e poi i Nets in qualità di socio di minoranza?) Jay-Z continua a veder crescere il suo colosso Tidal, un servizio di streaming per contenuti musicali (audio, video e premium), in esclusiva per gli utenti registrati. Tra le altre cose, rivendica il fatto di generare le royalties più alte per i musicisti.
Dal 2015, con il lancio in grande stile dell’hashtag #Tidalforall, a oggi ha raggiunto oltre 50 paesi e si vanta di essere l’unico servizio di streaming di proprietà degli artisti. Oltre ai coniugi Carter, ne fanno parte Rihanna, Nicki Minaj, Daft Punk, Jack White, Madonna, Arcade Fire, Alicia Keys, Usher, Chris Martin e Calvin Harris. Kanye West ci ha litigato e ne è uscito, ma lui litiga con tutti e non sorride mai.
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Io e il mio mp3 reader – Neil Young e Pono
Della vecchia generazione dei grandi della musica, Neil Young senza giri di parole ha dichiarato che si era stancato di ascoltare musica di m**** per colpa degli mp3 e allora ha deciso di lavorare lato “reader”.
Così due anni fa è nato PONO, il lettore ad alta qualità con un suo catalogo in streaming e il sostegno di alcune star come Eddie Vedder, che lo venera da sempre. Il servizio si è spento l’estate scorsa, forse perché troppo caro. Rinasce però come Xstream, un nuovo servizio con file di alta qualità Hi-Fi che, alla stregua di quanto già fa Netflix per i video, sarà in grado di adattarsi in maniera dinamica in funzione delle performance della banda disponibile. Keep on rocking in a free World, Neil.
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Io e il mio crowdfunding - B.o.b. e GoFundMe
Last e in questo caso pure least, il rapper americano Bobby Ray Simmons, in arte B.o.b. ha avviato una campagna di crowdfunding per raccogliere i soldi necessari a mandare nello spazio un satellite. L’obiettivo non è registrare e commercializzare i suoni alieni, ma dimostrare che la Terra è piatta. Prima che qualcuno dubiti della veridicità dell’impresa tentata, si può cliccare e finanziare qui
In un mese ha raccolto circa 6000 dollari del milione necessario per lanciare la missione. Mai perdere le speranze però.
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Nuovo evento pubblicato http://eventicatanzaro.it/event/il-giro-del-mondo-in-80-minuti-video-promo/
"IL GIRO DEL MONDO IN 80 MINUTI" + video Promo
VENERDI’ 17 FEBBRAIO AL Politeama Catanzaro – Official “IL GIRO DEL MONDO IN 80 MINUTI” CON L’Orchestra di Piazza Vittorio
Diciotto musicisti che provengono da dieci Paesi e parlano nove lingue diverse. Insieme, trasformano le loro variegate radici e culture in una lingua singola, la musica. Questa è l’Orchestra di Piazza Vittorio che, partendo dalla musica tradizionale di ogni Paese, mischiandola con rock, pop, reggae, e classica, dà vita a sonorità sempre nuove e diverse, arricchite da tutte le voci del mondo. Un progetto unico nel suo genere che arriverà al Teatro Politeama di Catanzaro venerdì 17 febbraio nell’ambito di una stagione che prosegue all’insegna della qualità e della varietà della proposta. “Il Giro del Mondo in 80 minuti” è il titolo del concerto scenico che racconterà di un viaggio nell’umanità attraverso il modo di fare e vivere la musica dell’Orchestra di Piazza Vittorio, ideata nel 2002 da Mario Tronco e Agostino Ferrente, all’interno dell’Associazione Apollo 11, un progetto sostenuto da artisti, intellettuali e operatori culturali che hanno voluto valorizzare il rione Esquilino di Roma, dove gli italiani sono una minoranza etnica. E’ la prima ed unica orchestra nata con l’auto-tassazione di alcuni cittadini che ha creato posti di lavoro e relativi permessi di soggiorno per eccellenti musicisti provenienti da tutto il mondo. Dal palco del Politeama l’orchestra lancerà un messaggio di fratellanza e di pace, promuovendo la ricerca e l’integrazione di repertori musicali diversi e spesso sconosciuti al grande pubblico. La scenografia sarà quella di una nave in partenza per destinazione ignota: l’unica condizione per potersi imbarcare è portare con sé una canzone. Il tempo stringe, tra mille peripezie e colpi di scena, i viaggiatori-musicisti salgono a bordo e si raccontano con melodie di luoghi e ricordi lontani. Ogni storia, allo stesso tempo fantasiosa e autobiografica, è un mondo che l’Orchestra di Piazza Vittorio accoglie e che racconterà anche a Catanzaro in un emozionante mosaico di suoni ed immagini (vedi video promohttps://youtu.be/U3XPKMTi1jQ) I biglietti sono ancora disponibili presso il botteghino del Politeama – aperto dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle 19, dal lunedì al sabato – e on line sul sito www.politeamacatanzaro.net o su www.liveticket.it/politeamacatanzaro. e sulle pagine facebook Politeama Catanzaro – Official e Liveticket. Comune di Catanzaro, Sergio Abramo Sindaco, Aldo Costa, Viviano Veraldi, Giovanna Massara, Antonietta Santacroce, Nuccio Marullo, Nicola Santopolo, Barbara Morelli, Maria Surace, Domenico Iozzo
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TOUR SU MISURA IN VIETNAM
Il Vietnam è una scena di contraddizioni con le città ricche di rumore e colore e confezionati con infinite sciami di motorini e aromatiche bancarelle di cibo di strada. Mentre nelle regioni centrali del paese, si trova la regione montuosa con le tribù di minoranza e lussureggianti terrazze di riso verdi, e una costa che si estende per quasi 3250 km e benedetto con piccole isole e spiagge bianche tropicali.
Alcuni dei momenti migliori per sperimentare sui tour su misura in Vietnam comprendono:
• esplorare la città vecchia mercati, musei e palazzi della capitale di Hanoi
• Visiting Hoi An, che è un sito protetto dall'UNESCO, prima di relax in una delle spiagge locali
• Prendere una rilassante crociera nella baia di Halong e ammirare le calcare carsico e grotte
• Trekking attraverso le terrazze di riso in Sapa
• Esplorare delta del Mekong, nonché i villaggi galleggianti
Quando andare in Vietnam
Il tempo in Vietnam è la regione dipende, da temperature fredde nel Nord per tutto l'inverno a temperature calde e umide nel Sud praticamente tutto l'anno. Questo paese ha due stagioni monsoniche, tra aprile e ottobre a destra in tutto il paese, tranne per la montagna e tra ottobre e marzo nel nord-est. La maggior parte delle feste Vietnam guide suggeriscono che un grande momento di visitare è nov-Feb (se state programmando di visitare il Sud) o aprile, maggio e ottobre, se intenzione di visitare tutta la lunghezza del paese.
Visto il Vietnam
Un visto valido Vietnam e il passaporto è un requisito per tutti i turisti che visitano il Vietnam. Il visto è facilmente organizzato presso l'Ambasciata vietnamita o all'arrivo nel paese in alcuni aeroporti e valichi di frontiera. Tuttavia, si raccomanda di solito per organizzare il lavoro di ufficio prima di arrivare nel paese per il viaggio più efficiente e tempestivo.
Per ulteriori informazioni, si prega di visitare il sito www.vietnamvisaprovider.com.
Organizzare i tour su misura in Vietnam
Tutti gli Vietnam vacanze su misura danno l'occasione perfetta per personalizzare completamente l'itinerario di viaggio al fine di corrispondere il bilancio personale, gli interessi e il calendario. Un tour ben pianificata permette di sperimentare i luoghi più autentici e suoni del paese dai beach break nascoste, il trekking della tribù della collina a distanza, esilaranti tour scooter e il meraviglioso cibo di strada. Qualsiasi parte del itinerario di visita può essere facilmente alterato in relazione alla sistemazione, escursioni e la cucina.
Vietnam del Nord
Vietnam del Nord offre una perfetta opportunità di esplorare caotico vecchia Hanoi e Halong Bay con i suoi imponenti isole calcaree. Potete anche arrivare a guardare la vita City vola da da uno dei bar all'aperto, passeggiare tra le grotte marine, alla deriva attraverso la giungla sormontato affioramenti, o visitare le accoglienti tribù delle colline di minoranza. Il Nord è una regione variegata che è ricca di cose da vedere e da fare.
Vietnam centrale
Vietnam centrale ha un ritmo più rilassato e la possibilità di esplorare le destinazioni popolari come Hoi An e Hue. Una visita a Hue permette di incontrare la gente del posto e dare una mano su una delle aziende agricole, o addirittura completamente rilassarsi dopo il suo arrivo a Palm Island. Dalla cucina di classe mondiale, spiagge paradisiache, fatiscenti cittadelle imperiali e sarti amichevoli, non c'è molto da vedere nella regione centrale del Vietnam.
Vietnam del Sud
La regione meridionale del Vietnam è un tripudio di rumore e colore con diversi angoli utili e tranquillo per riposare e rilassarsi. Grandi siti da esplorare includono la vivace Ho Chi Minh City, relax sulla spiaggia di Phu Quoc, esplorare i corsi d'acqua del delta del Mekong, o per godersi la cucina tradizionale via sulla strade principali della città.
Costruire le vacanze Vietnam dei tuoi sogni
Vacanze su misura in Vietnam dovrebbero essere in grado di adattarsi come un guanto, utilizzando la guida dei tour operator informati in Vietnam è possibile costruire il viaggio completamente su misura che dà l'esperienza più unica. Se siete dopo la vacanza autentica e classico, è sufficiente passare sul vostro budget, durata del viaggio e interessi particolari al vostro agente di viaggio che sarà in grado di assistere con la creazione del percorso completamente personalizzato
Anche se non si ha alcuna idea dei migliori posti per viaggiare in questo paese sud-est asiatico, è comunque possibile creare dei pacchetti turistici del Vietnam che corrispondono pienamente le esigenze personali della famiglia.
Se siete alla ricerca per i tour su misura di campagna, visite culturali, visite di interesse speciale, tour di attività o visite guidate per famiglie, vi è una perfetta opportunità per creare le vacanze su misura in Vietnam che possono dare i ricordi a lungo termine.
Esempio di viaggio idee Vietnam
Se non sei del tutto sicuro da dove cominciare a creare la vacanza in Vietnam su misura è possibile guardare i punti salienti di itinerari già pronti, tra cui:
Essential Vietnam giro
Le vacanze essenziali per il Vietnam aiuto di riunire il meglio di ciò che questo paese ha da offrire e comprende viaggio dal Nord al Sud. Questo può portare il magnifico fascino della capitale Hanoi, le meravigliose acque color smeraldo del Halong Bay, il fascino di Hoi An, che è grande per fare shopping e relax; la vivace città di Ho Chi Minh, con la sua influenza francese e il delta del Mekong meraviglioso.
Il meglio del Nord
Per un periodo di tempo limitato visita in Vietnam, un tour che prende in un'unica regione, come il Nord può essere una soluzione pratica. Questo dà una perfetta opportunità di esplorare molti luoghi meravigliosi, tra cui la capitale Hanoi. Altri siti da esplorare sono la spettacolare baia di Halong, da gustare su una barca junk vecchio stile, mentre una visita a Sapa permette di trekking attraverso la magnifica campagna e incontrare alcune delle tribù delle colline locali. Se volete vedere paesaggi di verniciatura ad acqua, un giro di giorno a Tam Coc, Van Long o Trang An in Ninh Binh è altamente raccomandato.
In alternativa, per coloro che vogliono esplorare Vietnam centrale è possibile visitare il patrimonio e affascinante città di Hoi An. Una visita a uno dei villaggi Co Tu permette di incontrare la gente del posto, mentre il Parco Nazionale di Bach Ma è certo fare appello a coloro che sono interessati in natura e bird watching. Hue rende possibile assistere ad alcuni di storia antica e moderna del Vietnam, mentre la splendida spiaggia di Lang Co è perfetto per un momento di relax.
Non importa dove si decide di viaggiare sul tuo sarto del Vietnam ha fatto le vacanze, si arriva a sperimentare città vistosi, brillante risaie verdi, foreste pluviali inesplorate e villaggi palafitte a distanza. Inoltre, la gente è gentile e accogliente e il cibo è sorprendentemente fresco ed economico.
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21 gen 2019 12:39
“SONO L'UNICO BIANCO A ESSERE APPLAUDITO QUANDO DICE NEGRO" - EDOARDO VIANELLO: “CENSURARE I 'WATUSSI' SAREBBE UNA FORMA STUPIDA DI POLITICAMENTE CORRETTO. SONO STATE LE STESSE PERSONE DI COLORE A DIRMI DI CONTINUARE A USARE "NEGRO", DATO CHE LORO NON SI SENTONO MINIMAMENTE OFFESE - QUANDO SI ESIBÌ PER LA PRIMA VOLTA, DA DILETTANTE, NEL 1956, SI PRESENTÒ SUL PALCO INSIEME A UN FINTO CORO GOSPEL DI "NEGRETTI”: “FU COME UNA MASCHERATA CARNEVALESCA” - VIDEO
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Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
Quando si esibì per la prima volta, da dilettante, nel 1956, si presentò sul palco insieme a un finto coro gospel di "negretti". Quando, tre anni dopo, fece la sua prima apparizione da professionista, ebbe invece al suo fianco due futuri giganti, o meglio watussi, della musica: il paroliere Carlo Rossi e il compositore Ennio Morricone. Da allora, l' 80enne Edoardo Vianello vanta 60 anni di carriera, 6.000 concerti e 60 milioni di dischi venduti, con un repertorio di canzoni intramontabili, che si portano dietro la leggerezza degli anni '60 e il peso dolce della nostalgia.
Vianello, nel 2019 spegne 60 candeline da professionista. Che ricordi ha del suo debutto?
«Come in tutti gli esordi, avevo l' incoscienza dell' "o la va o la spacca". Quel giorno, in un teatro di Roma, c' era il meglio della musica italiana. Io mi presentavo con un brano sconosciuto, Il capello, dal testo leggero ma a effetto: fortuna volle che ci fosse in sala un funzionario della Rca, allora principale casa discografica italiana, il quale, appena finita l' esibizione, mi propose un provino e poi un contratto, con la registrazione del mio primo 45 giri».
Merito del successo della canzone fu anche il testo firmato da Carlo Rossi: fu per lei quello che rappresentò Mogol per Battisti?
«Sì, fu determinante trovare uno che scriveva i testi col mio stesso modo di pensare la musica leggera: puntava a brani allegri, spensierati, che si prestavano a essere cantati in modo orecchiabile. Altrettanto importanti furono gli arrangiamenti di Morricone: i suoi attacchi sonori creavano subito l' atmosfera».
Tre anni prima lei aveva cantato con un quartetto di finti cantanti gospel travestiti da "negretti". Quell' esibizione sarebbe possibile oggi, al tempo del politicamente corretto?
«Io continuo a non vederci niente di male, fu come una mascherata carnevalesca. Eravamo studenti dell' istituto "Leonardo da Vinci" di Roma e improvvisammo un gruppo che motteggiava l' americano Golden Gate Quartet. In realtà ero in minoranza: tutto il quartetto era "nero", io l' unico bianco».
Da allora ebbe inizio il suo successo con pezzi quali Abbronzatissima, I Watussi, Pinne fucile ed occhiali. I Watussi nelle statistiche Siae resta una delle 15 canzoni più eseguite negli ultimi 10 anni, e Abbronzatissima è uno dei brani più cantati dagli italiani all' estero. Cosa le rende ancora così amate?
«Credo che alla base ci sia l' orecchiabilità dei suoni e la spontaneità con la quale le ho cantate, oltre al richiamo al clima gioioso dell' epoca. Poi penso che un valore aggiunto sia la loro originalità: è come se le mie canzoni rappresentassero un genere a sé stante».
Ne I Watussi lei parlava di «un popolo di negri» e alludeva a «gli altissimi negri». Quella parola, «negri», oggi è quasi vietata in Italia. Come mai a lei è ancora consentito pronunciarla?
«Innanzitutto perché, quando è nata quella canzone, il termine era ancora molto usato. E poi perché cambiarla sarebbe stato più offensivo, quasi a sottolineare che quella parola era proibita. Pensi che sono state le stesse persone di colore a dirmi di continuare a usare "negro", dato che loro non si sentono minimamente offese. Censurarla sarebbe una forma stupida di politicamente corretto».
Nello stesso disco c' era un' altra canzone, Prendiamo in affitto una barca, che dice «abbiamo trovato la barca, fuggiamo lontano sul mare». Oggi i migranti farebbero bene a non fuggire sul mare?
«Devono essere veramente disperati, se accettano di fare viaggi così rischiosi. Ma noi non possiamo sapere chi è perbene e chi no, e quindi occorrono controlli rigorosi per sapere chi sono, da dove vengono, perché arrivano. L' accoglienza dovrebbe essere regolamentata, a maggior ragione se si scopre che dietro gli sbarchi ci sono degli interessi».
A lei che ha cantato il mare come luogo di spensieratezza, che effetto fa vedere il mare ridotto a luogo di morte?
«Il mio era un altro sguardo, legato ad altri tempi: ho affrontato il mare come un panorama da godersi, come odori e divertimento, non come un elemento pericoloso. Ho provato a cantarlo come lo cantano i poeti».
Come giudica le dichiarazioni di Baglioni sui migranti?
«Credo che ognuno abbia il diritto di esprimersi e non gli si possa tappare la bocca.
Certo, se qualcuno pensa che quelle frasi possano essere dannose, allora prenderà provvedimenti».
Lei ha partecipato tre volte al Festival di Sanremo, nel 1961, 1966 e 1967. Ha mai più pensato di tornarci?
«Tutte le mie partecipazioni sono state inutili ai fini della carriera, forse perché le mie canzoni avevano un gusto estivo, mentre Sanremo è invernale. E comunque da allora non mi hanno più invitato. Ho cercato di parteciparvi altre due volte, ma sono stato scartato prima da Baudo, poi da Fazio».
Che giudizio dà dei fenomeni musicali di oggi, come il genere trap?
«Guardi, se non c' è una melodia, non si può parlare di canzone. Magari si tratta di un' altra forma d' arte, più volgare e sfacciata. Temo però che, senza melodia, quei brani non siano destinati a durare».
Negli anni '70, insieme alla sua prima moglie Wilma Goich, lei diede vita al sodalizio musicale I Vianella. Sente di aver anticipato Al Bano e Romina?
«Be' sì, siamo venuti prima noi. E comunque, nel momento in cui abbiamo messo su un duetto, ci è sembrato spontaneo farlo, dato che era il pubblico stesso a chiedercelo.
Il problema è che cantare insieme a tua moglie finisce per logorare il rapporto di coppia, perché si creano dei contrasti, soprattutto se il lavoro va bene: "È merito mio". "No, è merito mio", ci si rinfaccia. Infatti poi con lei è finita».
L' aver avuto tre mogli la ha aiutata almeno a restare sempre giovane?
«Sì, soprattutto se sposi una più giovane di te, come è capitato con l' ultima, con la quale tuttora ho un feeling fantastico, che ha 36 anni meno di me».
Lei ha dichiarato di essere di centrodestra. Intende votare per Salvini?
«In realtà non sono entusiasta dei rappresentanti attuali di governo. Almeno però Salvini lo vedo determinato contro coloro che vogliono far rallentare il Paese e dicono sempre no. Gli stessi che hanno ridotto Roma in una situazione disastrosa».
Una delle sue canzoni più belle è O mio Signore. Qual è il suo rapporto con la fede e come si immagina il Paradiso? Sarà un luogo dove si ascolta a palla Abbronzatissima?
«Sono certo che tutto quanto è intorno a noi non può essere casuale, ma qualcuno deve averlo pensato per farlo così perfetto. Quanto al Paradiso, se è un posto di divertimento, mi dispiacerebbe tanto non andarci. A maggior ragione se mettono la mia musica come sottofondo...».
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